DALLA CURA DELLE PSICOPATOLOGIE A UN MODELLO · della psicologia, psichiatria, ... Cosa siano, che...

32
SOTTOMESSO NOVEMBRE 2016, ACCETTATO GENNAIO 2017 196 © Giovanni Fioriti Editore s.r.l. Psichiatria e Psicoterapia (2016) 35, 4, 196-227 DALLA CURA DELLE PSICOPATOLOGIE A UN MODELLO DELLA MENTE E RITORNO. ITINERARI DI VIAGGIO TRA MOTIVAZIONI, EMOZIONI, AFFETTI E COGNIZIONI Paolo Giardina 1. Introduzione Dall'interesse e la passione per la cura della sofferenza psichica utilizzando le conoscenze apprese, all'esigenza di capire meglio, innovare, produrre idee e prassi delineando un modello della mente che integri le esperienze cliniche di trenta anni di attività professionale con i saperi della psicologia, psichiatria, neuroscienze, filosofia della mente. Questo il percorso seguito negli anni che, in sintesi, vado a illustrare dopo averlo introdotto con precedenti contributi (Giardina 2015a, 2015b). La presentazione di un caso clinico esemplificativo accompagna le elaborazioni teoriche, sebbene necessariamente epurato di particolarità biografiche nel rispetto dell'anonimato. I riferimenti a parte della letteratura esistente arricchiscono il testo evidenziando analogie o favorendo un confronto critico con le teorie e i concetti esposti. Un'unica figura servirà a rappresentare graficamente il modello di mente proposto e ad essa lo scritto rimanda costantemente senza ulteriori, continui richiami. Uno dei principali motivi che ha animato il mio lavoro è stato il bisogno di fornire una visione precisa e concreta delle componenti della vita psichica e del loro dinamico concatenarsi evitando sia eccessi mentalistici che biologismi riduzionistici. La poetica descrizione dell'animo umano e le leggi chimico-fisiche che ne sostengono la vita si pongono a livelli diversi di comprensione, utilizzando un diverso linguaggio, e hanno un loro fascino e una loro utilità se su tali livelli vengono mantenuti. Cosa siano, che funzione svolgano nella mente il desiderio, la paura, la vergogna, l'amore, il pensiero, l'intenzione, l'azione, la personalità e altro ancora è necessario definirlo e comprenderlo con chiarezza per promuovere e migliorare la cura del disagio mentale, in primo luogo. Tratto così: della centralità del motore delle meccaniche psichiche: i Sistemi Motivazionali (paragrafo 2) delle spie del motore che comunicano i dati in entrata e i malfunzionamenti: stimolazioni somatiche, ambientali, emotive, cognitive (paragrafo 3) di come tali stimolazioni vengano percepite e di quali siano i conseguenti modi operativi del motore: gli stati di attivazione, disattivazione e quiete motivazionale (paragrafo 4) di come i modi operativi del motore si traducano in moti di marcia, un progetto di percorso,

Transcript of DALLA CURA DELLE PSICOPATOLOGIE A UN MODELLO · della psicologia, psichiatria, ... Cosa siano, che...

SottomeSSo Novembre 2016, accettato GeNNaio 2017

196 © Giovanni Fioriti Editore s.r.l.

Psichiatria e Psicoterapia (2016) 35, 4, 196-227

DALLA CURA DELLE PSICOPATOLOGIE A UN MODELLO DELLA MENTE E RITORNO. ITINERARI DI VIAGGIO

TRA MOTIVAZIONI, EMOZIONI, AFFETTI E COGNIZIONI

Paolo Giardina

1. Introduzione

Dall'interesse e la passione per la cura della sofferenza psichica utilizzando le conoscenze apprese, all'esigenza di capire meglio, innovare, produrre idee e prassi delineando un modello della mente che integri le esperienze cliniche di trenta anni di attività professionale con i saperi della psicologia, psichiatria, neuroscienze, filosofia della mente. Questo il percorso seguito negli anni che, in sintesi, vado a illustrare dopo averlo introdotto con precedenti contributi (Giardina 2015a, 2015b).

La presentazione di un caso clinico esemplificativo accompagna le elaborazioni teoriche, sebbene necessariamente epurato di particolarità biografiche nel rispetto dell'anonimato.

I riferimenti a parte della letteratura esistente arricchiscono il testo evidenziando analogie o favorendo un confronto critico con le teorie e i concetti esposti.

Un'unica figura servirà a rappresentare graficamente il modello di mente proposto e ad essa lo scritto rimanda costantemente senza ulteriori, continui richiami.

Uno dei principali motivi che ha animato il mio lavoro è stato il bisogno di fornire una visione precisa e concreta delle componenti della vita psichica e del loro dinamico concatenarsi evitando sia eccessi mentalistici che biologismi riduzionistici. La poetica descrizione dell'animo umano e le leggi chimico-fisiche che ne sostengono la vita si pongono a livelli diversi di comprensione, utilizzando un diverso linguaggio, e hanno un loro fascino e una loro utilità se su tali livelli vengono mantenuti. Cosa siano, che funzione svolgano nella mente il desiderio, la paura, la vergogna, l'amore, il pensiero, l'intenzione, l'azione, la personalità e altro ancora è necessario definirlo e comprenderlo con chiarezza per promuovere e migliorare la cura del disagio mentale, in primo luogo.

Tratto così:

– della centralità del motore delle meccaniche psichiche: i Sistemi Motivazionali (paragrafo 2)– delle spie del motore che comunicano i dati in entrata e i malfunzionamenti: stimolazioni

somatiche, ambientali, emotive, cognitive (paragrafo 3)– di come tali stimolazioni vengano percepite e di quali siano i conseguenti modi operativi del

motore: gli stati di attivazione, disattivazione e quiete motivazionale (paragrafo 4)– di come i modi operativi del motore si traducano in moti di marcia, un progetto di percorso,

Dalla cura delle psicopatologie a un modello della mente e ritorno.

197Psichiatria e Psicoterapia (2016) 35,4

un'azione di viaggio: gli affetti, l'intenzione, i comportamenti (paragrafo 5)– di come si producano i guasti delle meccaniche psichiche, la loro origine, la loro classificazione,

la loro riparazione: patogenesi, eziologia, diagnosi, terapia (paragrafo 6)– di quali siano i rapporti tra la struttura delle meccaniche psichiche e la loro funzione: cervello

e mente; di ciò che a un meccanismo manca e che l'essere umano ha: coscienza (paragrafo 7).

L'amore preteso e la paura di crescere. La storia di Irene

Irene è una giovane adulta. Appena maggiorenne abbiamo avviato una terapia che prosegue tuttora in un servizio pubblico di salute mentale. Tuttavia, già a sedici anni drastiche restrizioni alimentari autoimposte l’avevano portata ad una diagnosi di anoressia, a un prolungato ricovero e a un successivo trattamento ambulatoriale neuropsichiatrico. Dopo i miglioramenti ottenuti nel primo anno della nostra terapia si è fiduciosamente trasferita altrove per l’università, presto abbandonata. Girovagando per l’Italia ha imparato come le varie droghe potessero darle l’illusione di star meglio e lo spacciarle l’illusione di facili guadagni, fino a provare il carcere. Tornata a casa dai genitori è entrata in cura presso il servizio per le tossicodipendenze, quindi ha bussato di nuovo al mio studio e abbiamo ripreso la terapia. Erano trascorsi tre anni. Da allora non ci sono state più interruzioni. L’anoressia è scomparsa e ritornata a più riprese alternandosi all’abuso di sostanze fino agli attuali sviluppi di cui si dirà più avanti.

Il padre e la madre di Irene hanno entrambi avuto rapporti difficili con i loro rispettivi genitori tra lutti precoci, abbandoni e conflittualità. Un fratello, figlio del padre nato da una precedente relazione, ha sempre vissuto piuttosto distaccato da loro; una presenza-assenza che ha reso Irene, in sostanza, figlia unica, probabilmente caricata di forti aspettative di riscatto.

La diagnosi psichiatrica nosografica ricade nell’insieme indifferenziato del disturbo borderline di personalità che sottende l’anoressia e la dipendenza da sostanze. In certe fasi è emersa anche una sintomatologia dismorfofobica.

2. La centralità dei Sistemi Motivazionali

Ogni essere umano, come qualunque altro essere vivente animale o vegetale che sia, ricerca in modo più o meno complesso e contorto, ma con assoluta evidenza, il raggiungimento di mete vitali che garantiscano nel modo migliore possibile la sua sopravvivenza e il suo benessere, da una parte; dall'altra tenta di evitare tutto ciò che possa costituire un ostacolo o addirittura il fallimento di tale intento provocandogli uno stato di sofferenza e malessere e, in ultima istanza, la morte stessa.

Il nostro agire è costantemente finalizzato al raggiungimento di uno o più scopi, dunque, ed è alimentato da spinte motivazionali. La psicologia scientifica, nel corso della sua storia, ha prodotto diverse teorie motivazionali. Ciò che stupisce è che la psicopatologia non le abbia quasi mai considerate, o lo abbia fatto distrattamente, nonostante il suo oggetto di studio sia la sofferenza psichica che è l’evidente risultato di un disadattamento, di una difficoltà, cioè, o di un fallimento nel raggiungere ciò che rende vitali e soddisfatti e nel rifuggire ciò che risulta dannoso

Paolo Giardina

198 Psichiatria e Psicoterapia (2016) 35,4

Figura 1. Schematizzazione del modello di mente proposto

2

anni. Da allora non ci sono state più interruzioni. L’anoressia è scomparsa e ritornata a più riprese alternandosi all’abuso di sostanze fino agli attuali sviluppi di cui si dirà più avanti. Il padre e la madre di Irene hanno entrambi avuto rapporti difficili con i loro rispettivi genitori tra lutti precoci, abbandoni e conflittualità. Un fratello, figlio del padre nato da una precedente relazione, ha sempre vissuto piuttosto distaccato da loro; una presenza-assenza che ha reso Irene, in sostanza, figlia unica, probabilmente caricata di forti aspettative di riscatto. La diagnosi psichiatrica nosografica ricade nell’insieme indifferenziato del disturbo borderline di personalità che sottende l’anoressia e la dipendenza da sostanze. In certe fasi è emersa anche una sintomatologia dismorfofobica.

2. La centralità dei Sistemi Motivazionali

Figura 1. Schematizzazione del modello di mente proposto

Dalla cura delle psicopatologie a un modello della mente e ritorno.

199Psichiatria e Psicoterapia (2016) 35,4

e doloroso.I contributi di Maslow (1954), la sua rappresentazione della “piramide dei bisogni” e le

indicazioni su come le dinamiche psichiche ad essa connesse dovessero essere considerate dagli studi di psicopatologia, sono rimasti inascoltati fino agli anni novanta del secolo scorso quando Liotti (1994), ampliando gli studi di Bowlby (1969, 1973, 1979, 1980, 1988) e Gilbert (1989) ha teorizzato attraverso il suo approccio cognitivo-evoluzionistico cinque Sistemi Motivazionali Interpersonali (SMI) continuando ad indagarli e applicandoli alla psicopatologia e alla psicoterapia (Liotti 2001; Liotti e Monticelli 2008; Cortina e Liotti 2014): SMI attaccamento, SMI accudimento, SMI antagonistico, SMI cooperazione paritetica, SMI sessuale. Più specificamente, ha individuato i fattori di attivazione e disattivazione dei SMI a cui negli anni ho anch'io fatto riferimento ponendoli a confronto con le realtà cliniche di cui mi occupavo, finendo per dare un personale contributo nell’affinare la loro definizione (Giardina 2015a).

Parallelamente in ambito psicoanalitico Litchtenberg (1989, Lichtenberg et al. 1992) ha proposto un’analoga teorizzazione individuando a sua volta cinque Sistemi Motivazionali (regolazione fisiologica, attaccamento-affiliazione, esplorazione-assertività, avversività, piacere sensuale-eccitazione sessuale) che successivamente (Lichtenberg et al. 2011) ha rivisto e rielaborato portandoli a sette: il sistema motivazionale di attaccamento è stato distinto da quello di affiliazione ed è stato aggiunto l’accudimento (caregiving) prima compreso nelle dinamiche dell’attaccamento stesso.

La mia personale concezione dei Sistemi Motivazionali, maturata nel tempo, si accosta attualmente più a quella di Lichtenberg che a quella di Liotti che non ha dato spazio all’indagine sui sistemi motivazionali che regolano specificamente l’individuo nella sua parte di vita autonoma e indipendente dagli altri.

Ho, infatti, introdotto due Sistemi Motivazionali Personali (SMP) (Giardina 2015a, 2015b) uno, quasi coincidente con il sistema di regolazione fisiologica proposto da Lichtenberg, finalizzato alla cura di sé, attivato dalla percezione di uno stato di fame, sete, stanchezza, eccitazione sessuale dovuta a fattori interni (ormonali), malessere fisico, malessere emotivo, pericolo derivante da fattori ambientali; l’altro finalizzato alla realizzazione di sé, attivato dalla percezione di uno stato di insoddisfazione relativo al proprio sapere o alla propria produzione di opere. Immergendomi nelle storie personali dei miei pazienti, mi è risultato progressivamente sempre più chiaro che, per quanto tutto ciò che sappiamo e produciamo rimandi alla relazione con l’altro e abbia, quindi, a che fare con le mete dei SMI, rimane, tuttavia, un vissuto specificamente individuale relativo alle nostre personali capacità e a quanto riusciamo ad esprimerle. Il nostro sapere e il nostro produrre possono, dunque, risultare soddisfacenti o insoddisfacenti dandoci la sensazione di una piena o inadeguata realizzazione della nostra individualità, anche indipendentemente, talvolta, da quello che può essere lo scambio relazionale con gli altri, il loro giudizio favorevole o sfavorevole. Per Lichtenberg il senso di efficacia e il relativo piacere della competenza costituiscono le mete del sistema motivazionale dell'esplorazione-assertività, di quest'ultima in particolare, mentre l'esplorazione rimanda ad un generico attivarsi che a mio avviso è, invece, più precisamente riconducibile ad ogni singolo SMP/SMI, alla loro attivazione motivazionale volta al raggiungimento delle loro specifiche mete.

Per completare il quadro, riguardo agli altri SMI è emersa una sostanziale equivalenza, con

Paolo Giardina

200 Psichiatria e Psicoterapia (2016) 35,4

poche differenze, trascurabili in questa sede, tra ciò che hanno proposto Liotti e Lichtenberg e ciò che io ho potuto verificare attraverso la mia attività clinica: il SMI attaccamento (finalizzato ad ottenere aiuto, conforto e protezione nel raggiungere le mete dei SMP/SMI che non si è in grado di ottenere da soli), il SMI accudimento (volto a fornire aiuto, conforto e protezione a chi esprime segnali di richiesta), il SMI antagonistico, definito avversivo da Lichtenberg (finalizzato all’acquisizione e difesa di risorse limitate e contese definendo a proprio favore un rango di dominanza), il SMI di cooperazione paritetica, di affiliazione in Lichtenberg, (volto all’acquisizione di risorse in collaborazione con altri traendone reciproco vantaggio), il SMI sessuale, di piacere sensuale-eccitazione sessuale in Lichtenberg, (finalizzato al raggiungimento di un appagamento fisico e/o psicologico derivante dal sentirsi corrisposti in un’interazione di reciproco corteggiamento).

In ambito psicoanalitico Lichtenberg, pur confermando, e anzi accentuando, l'importanza del determinismo motivazionale freudiano “... secondo cui tutti i fenomeni psichici sono determinati da motivazioni, intenzioni e desideri consci e inconsci” (Eagle 2011, p. 47), realizza, dunque, un superamento del dualismo potenzialmente conflittuale tra pulsioni di vita (eros) e pulsioni di morte (thanatos) proposto da Freud nella versione finale della sua teoria delle pulsioni secondo la quale accanto ad una coazione a ripetere costruttiva e vitale finalizzata alla soddisfazione del principio di piacere è biologicamente connaturata nell’uomo una coazione a ripetere avversa e contraria, distruttiva, mortifera, tendente ad un ritorno allo stato inorganico da cui la vita si sarebbe inizialmente originata (Freud 1920, Nagera 1970). La teorizzazione di una pulsione oscura e antivitale che si contrappone alla soddisfazione del principio di piacere ha condizionato, e continua a condizionare considerevolmente in modo erroneo, l’interpretazione delle dinamiche psicopatologiche portando a ritenere che molti comportamenti disadattivi siano riconducibili a tale innata tendenza all’autodistruzione che diverrebbe in molti casi attivamente e insensatamente ricercata. È Lichtenberg stesso, esponendo un caso clinico, a evidenziare “… l’illogicità teleologica che confonde l’esito con l’intento: se è andata male, questo deve essere stato l’intento… Abitudini come attorcigliarsi compulsivamente i capelli, pattern ripetitivi come la bulimia o la prepotenza, e comportamenti di dipendenza come il gioco d’azzardo o l’abuso di sostanze vengono spesso vissute come se non avessero alcun legame con un obiettivo affettivo riconoscibile che abbia senso per chi li agisce. A causa della difficoltà, sia per l’analista sia per il paziente, di riconoscere e identificare l’affetto cercato, queste attività sono state spesso liquidate come masochistiche” (Lichtenberg et al. 2011, p. 164). Valutando con pazienza ed attenzione anche i comportamenti più distruttivi e patologici, in realtà, si arriva sempre a coglierne l’intento migliorativo e adattivo nelle intenzioni, sebbene divenga spesso disadattivo negli esiti per la contrarietà degli eventi o per le difficoltà nell’elaborare strategie di vita più funzionali da parte del soggetto o perché, come nei casi estremi di suicidio, non essendoci più, dal suo punto di vista, alcuna meta gratificante raggiungibile, il male minore rimane l’evitare il dolore che ne consegue ponendo fine alla propria esistenza.

Tornando a trattare più specificamente i Sistemi Motivazionali, risulta fondamentale l’analisi dei contributi di Panksepp (2009, Panksepp e Biven 2012) che nell’ambito delle neuroscienze ha cercato di individuare l’anatomia e la fisiologia dei circuiti cerebrali dei sistemi affettivi primari, talvolta definiti anche sistemi emotivi di processo primario. Si tratta dei sistemi della ricerca,

Dalla cura delle psicopatologie a un modello della mente e ritorno.

201Psichiatria e Psicoterapia (2016) 35,4

collera, paura, panico/sofferenza, gioco, desiderio sessuale, cura. Questi ultimi due sistemi corrispondono, in sostanza, nel modello che sto proponendo, al SMI sessuale e al SMI accudimento; il sistema della ricerca, invece, corrisponde più direttamente al sistema esplorazione-assertività di Lichtenberg: “...è un sistema che ci spinge ad impegnarci attivamente - proattivamente - nel mondo allo scopo di reperire le risorse a noi necessarie per svilupparci, così come per evitare pericoli e minacce” (Panksepp, Biven 2012, p. 156). Ciò corrisponde a quel che io intendo per attivazione motivazionale che, come ho già accennato, sottende ognuno dei SMP/SMI: quando l’organismo, e il cervello/mente in particolare, avverte il mancato raggiungimento di una meta motivazionale, si attiva ed avvia una ricerca per ovviare al mancato appagamento dello specifico SMP/SMI frustrato. Ciò che si registra, in sostanza, è sempre una specifica attivazione di un SMP/SMI e mai una generica attività di ricerca che non sia orientata verso una meta motivazionale. Il sistema del gioco è in parte riconducibile al SMI di cooperazione paritetica perché la maggior parte dei giochi, quelli sociali, sono attività caratterizzate dalla finalità di raggiungere una meta condivisa collaborando in modo paritario nello sperimentare virtualmente l’attivazione dei vari SMI. Esistono, infatti, giochi che mettono in atto finti antagonismi o simulano situazioni di attaccamento, accudimento, cooperative o sessuali. Ciò che caratterizza il gioco è, tuttavia, nella sua essenza, la cooperazione paritetica nel rispettare le regole relative allo svolgimento dei ruoli assegnati. Il SMI di cooperazione paritetica non si esaurisce ovviamente nelle sole attività di gioco e comprende le molte altre che sono finalizzate al raggiungimento di obiettivi condivisi, materiali o immateriali che siano.

I sistemi della collera, della paura e del panico/sofferenza proposti da Panksepp, infine, corrispondono, nel modello di mente che sto proponendo, ad emozioni e non a sistemi motivazionali. Panksepp stesso, del resto, definisce i suoi sistemi come affettivi primari o emotivi di processo primario e nella mancata differenziazione tra le funzioni svolte nell’economia psichica da sistemi motivazionali, emozioni ed affetti credo che stia, infatti, il suo limite principale. Collera (rabbia) e paura corrispondono evidentemente a due delle quattro emozioni che ritengo siano preposte a fornirci informazioni, a livello limbico, sullo stato di soddisfacimento dei nostri sistemi motivazionali (vedi paragrafo 3). I sistemi della sofferenza e del panico proposti da Panksepp, invece, appaiono riconducibili alla frustrazione dei bisogni di attaccamento e corrispondono, nella mia concezione delle dinamiche psichiche, rispettivamente all’emozione di tristezza e paura visceralmente indicative, la prima della perdita di una meta motivazionale, la seconda dalla sensazione di non avere i mezzi o le energie per ottenere di nuovo la meta stessa, in questo caso quella del SMI attaccamento.

Il lavoro di Panksepp è, dunque, di notevole importanza per i fondamentali contributi scientifici forniti sia nel delineare lo sviluppo evoluzionistico dell’architettura cerebrale che nell’avvicinare la psicologia e la psicopatologia alle neuroscienze rendendole un corpus integrato di conoscenze. Tuttavia alcune delle tipologie di circuito cerebrale da lui individuate (ricerca, cura, desiderio sessuale, gioco) sono, a mio avviso, insufficienti per dar ragione dell’intero panorama motivazionale che caratterizza l’uomo, e le altre (paura, collera, panico/sofferenza) corrispondono a solo tre delle quattro emozioni che animano la sensorialità limbica, senza che ne abbia specificato, inoltre, la funzione informativa in ingresso (input) differenziandola da quella esecutiva in uscita (output) propria degli affetti (vedi paragrafo 5).

Paolo Giardina

202 Psichiatria e Psicoterapia (2016) 35,4

I contributi di Damasio (1999, 2003, 2010), molto ricchi e interessanti per quanto riguarda il rapporto mente-cervello e l’architettura cerebrale della coscienza, appaiono, invece, piuttosto ridotti a proposito delle dinamiche motivazionali limitandosi a riconoscere che: “Di sicuro gli esseri umani hanno i sistemi motivazionali più avanzati…” (Damasio 2010, p. 77), senza, tuttavia, addentrarsi nello specificare quali siano, ritenendo, allo stesso tempo, che “Impulsi e motivazioni sono i costituenti più semplici di un’emozione: ecco perché la felicità e la tristezza alterano lo stato degli impulsi e delle motivazioni, mutando immediatamente il quadro composito di appetiti e desideri” (Damasio 2010, p. 146). Sembra, con ciò, che Damasio non distingua la specificità funzionale di emozioni e motivazioni né la dinamica del loro interagire finendo per attribuire alle emozioni un ruolo egemone rispetto a quello delle motivazioni che ritengo siano, invece, il motore del nostro agire, mentre le emozioni, proseguendo la metafora, costituiscono le spie dell'inadeguato, insoddisfacente funzionamento del motore stesso.

Tornando alla mia proposta teorica sui SMP/SMI, dopo averli ridefiniti, in questo paragrafo, mettendoli a confronto con i modelli di Liotti, Lichtenberg, Panksepp, e dopo aver rimandato ad un mio scritto precedente (Giardina 2015a) per la dettagliata analisi dei loro fattori di attivazione e disattivazione, riconsidererò, in breve, quali possano essere le loro diverse tipologie di attivazione, argomento anch’esso trattato nel mio contributo appena citato. Fino a non molti anni fa sono andato avanti facendomi guidare nel lavoro clinico dagli studi sui pattern d’attaccamento, basando la psicoterapia sull’obiettivo di renderli funzionali restituendo al paziente la “base sicura” su cui rifondare il suo equilibrio e benessere mentale (Bowlby 1988; Holmes 1993, 2001). Poi, gradualmente, le storie di vita dei miei pazienti, i racconti delle loro quotidiane vicende mi hanno indotto con le loro evidenze a convincermi che il SMI attaccamento non possa essere l’unico sistema motivazionale su cui ruota lo strutturarsi della personalità, l’insorgere delle psicopatologie, i conseguenti tentativi di cura. Così ho iniziato a dare pari dignità agli altri SMP/SMI nella comprensione delle dinamiche psichiche applicando anche a loro l’analisi dei possibili pattern di funzionamento in analogia con il patrimonio di studi esistente sui pattern d’attaccamento. Il risultato è stato il progressivo definirsi di quadri clinici molto più chiari e completi basati sullo studio dell’interazione dei pattern di funzionamento dei vari SMP/SMI. Descrivendoli in breve, il pattern sicuro rimanda ad un valido equilibrio nel valorizzare le mete di un SMP/SMI e buone competenze nel cercare di raggiungerle, il pattern evitante esprime una sostanziale inibizione verso le mete dei SMP/SMI che non sono considerate centrali dal soggetto nella sua economia psichica e vengono, dunque, poco e mal ricercate; il pattern iperattivo, parzialmente rivisto e corretto rispetto a ciò che si intendeva con pattern ambivalente nei classici studi sull’attaccamento, è rappresentativo di un’estrema importanza data dal soggetto alle mete di un SMP/SMI che vengono, dunque, ricercate con insistenza, perseverazione e con modalità spesso eccessive e inadeguate; il pattern rifiutante, anche in questo caso rivalutato e revisionato rispetto al classico pattern disorganizzato, è caratterizzato dal tentativo del soggetto di escludere, spesso in modo sofferto e doloroso, le mete di un SMP/SMI dalla propria vita psichica opponendosi con veemenza o freddo distacco agli eventuali stimoli di attivazione provenienti dall’esterno.

Tali pattern di funzionamento, posti su un continuum, sfumano l’uno nell’altro e proprio a questo dinamico collegamento che li unisce possono essere ricondotti i classici pattern

Dalla cura delle psicopatologie a un modello della mente e ritorno.

203Psichiatria e Psicoterapia (2016) 35,4

ambivalente e disorganizzato appena citati: il primo rappresenta, infatti, a mio avviso, l’oscillare tra un’attivazione iperattiva ed una evitante che frequentemente si riscontra nelle dinamiche psichiche di molte persone, mentre il secondo è esemplificativo del più drammatico passaggio tra il pattern iperattivo e il pattern rifiutante che è spesso alla base di importanti dinamiche psicopatologiche. Ambivalente è, ad esempio, l'oscillazione tra l'iperattivo attaccamento alla madre e l'evitante allontanarsi da lei di un figlio alla ricerca di una propria autonomia pur sentendo ancora molto forte un bisogno di protezione. L'ambivalenza consiste, dunque, in un'oscillazione che rimane nell'ambito dello stesso SMI. Disorganizzato è, invece, ad esempio, il drastico passaggio da un'iperattivazione dell'attaccamento di un figlio verso un genitore ad un rifiuto dell'attaccamento stesso, nel momento in cui egli frustra anche minimamente le sue aspettative, spesso seguito da un'iperattivazione dell'antagonismo verso il genitore stesso. La disorganizzazione consiste, dunque, in un repentino passaggio, apparentemente illogico, dall’iperattivazione alla completa disattivazione di un SMI solitamente seguita dall’iperattivazione di un altro SMI verso una stessa persona.

Riferendoci alle abituali grandi famiglie nosografiche si potrebbe dire che mentre gli assetti motivazionali sicuri rappresentano il presupposto per le condizioni di benessere psicologico, per quanto non ne siano una assoluta garanzia, gli assetti evitanti possono a grandi linee corrispondere agli abituali quadri clinici di nevrosi inibitoria, gli assetti rifiutanti alle disfunzioni di tipo potenzialmente psicotico, gli assetti iperattivi alle cosiddette patologie espressive talvolta definite perversioni. Le oscillazioni ambivalenti appena descritte caratterizzano, invece, quadri clinici apparentemente incostanti e variabili (alcuni disturbi ossessivo-compulsivi, forme ciclotimiche) mentre i fenomeni di disorganizzazione rimandano classicamente ai quadri borderline.

Ciò che si riscontra nello strutturarsi della mente nel corso del suo sviluppo è che tali pattern di funzionamento dei SMP/SMI tendono progressivamente a stabilizzarsi determinando un assetto motivazionale di base, un funzionamento abituale, che costituisce, assieme agli assetti di base delle altre componenti della vita psichica, la personalità dell’individuo. L’assetto motivazionale di base contribuisce, dunque, considerevolmente a determinare il funzionamento di un individuo che, tuttavia, in costante interazione con il mondo esterno esprime con continuità, nel momento presente, un assetto motivazionale attuale che spesso coincide con quello di base, ma che, se sollecitato da stimoli particolari, può essere anche diverso e, se fortemente diverso, costituire un elemento di cambiamento dell’assetto di base e, quindi, di una parte della personalità. La distinzione e l'interazione tra assetti attuali e assetti di base, già accennata nel precedente lavoro (Giardina 2015b) e che riproporrò anche a proposito delle altre componenti della vita psichica, rimanda “... alla cruciale distinzione, forse la madre di tutte le distinzioni filosofiche, tra particolari ed universali o, in una terminologia desunta da Peirce, tra occorrenze (tokens) e tipi (types)” (Paternoster 2010, pp. 8-9), cioè tra eventi mentali, occorrenze di stati mentali momentanei e proprietà mentali, tipi di stati mentali sedimentati nella nostra memoria. Intense e significative esperienze di attivazione di un SMP/SMI possono, così, determinare assetti motivazionali attuali che abbiano un rilevante impatto sull’assetto motivazionale di base modificandolo. La nascita di un figlio per un genitore con un assetto di base evitante del SMI accudimento può, ad esempio, essere determinante per orientare tale assetto verso un pattern sicuro così come causare, all’opposto, uno scivolamento verso un pattern d’attivazione rifiutante.

Paolo Giardina

204 Psichiatria e Psicoterapia (2016) 35,4

Si tratta dell’effetto di esperienze emotive correttive che può essere tanto migliorativo quanto peggiorativo per la persona che le sperimenta. Una più chiara conoscenza degli assetti di base, in particolare dell’assetto motivazionale di base, può rendere più facilmente prevedibile l’esito di intense esperienze emotive correttive e più efficace il loro potenziale utilizzo terapeutico. Con un po’ di coraggio innovativo, possibilmente condiviso dall’equipe curante, un uso più studiato, frequente e profondo delle esperienze emotive correttive potrebbe costituire una nuova frontiera dei trattamenti psicoterapeutici.

L’assetto motivazionale di base di Irene presenta iperattivazioni di alcuni SMP/SMI che si contrappongono ad un’attivazione prevalentemente evitante di altri. La via di mezzo, quella della sicurezza e dell’equilibrio, è scarsamente rappresentata. I bisogni di attaccamento, di sentirsi riconosciuta, amata, aiutata, protetta, valorizzata sono elevati e quando non soddisfatti lasciano spazio a fenomeni di disorganizzazione e a risposte rabbiose di tipo antagonistico (“chi non mi ama è mio nemico”), in sintonia con le modalità accudenti dei genitori che diventano ipercritiche e punitive quando Irene non risponde come vorrebbero alle loro cure, insegnamenti, regole. Il SMI antagonistico si accende, dunque, facilmente e non solo verso i genitori, ma verso tutto e tutti coloro che si oppongono al raggiungimento di un suo scopo. I SMI attaccamento e antagonistico sono, quindi, iperattivi.

In simmetrica e logica contrapposizione i SMI accudimento e cooperazione paritetica si attivano in lei raramente e con poca efficacia finendo per assumere una caratterizzazione evitante.

Il SMI sessuale ha tratti prevalentemente ambivalenti: a quattordici anni il dispotismo e l’atteggiamento violento più che romantico del primo fidanzato, più grande di lei, non le hanno lasciato un buon ricordo. Irene non ama il contatto fisico che la infastidisce e quasi la disgusta (polo evitante), ma desidera esser guardata e in alcuni periodi, quando utilizza più massicciamente sostanze stupefacenti, si attiva, supera le inibizioni e finisce per eccedere nella ricerca di soddisfazioni sessuali (polo iperattivo).

È una bella bambina, diventa un’adolescente sensuale. Il suo corpo è oggetto di attenzioni: i SMP finalizzati alla cura e alla realizzazione di sé lievitano e diventano iperattivi subendo precocemente le prime dure frustrazioni. Il suo viso le fa accarezzare il sogno di fare la modella, la sua statura non elevata glielo interrompe presto.

3. Stimolazione

L’interazione con l’ambiente esterno, animato e inanimato, implica per ogni organismo vivente un continuo flusso di informazioni in entrata (input) e di moti/azioni in uscita (output) volte a raggiungere o mantenere il miglior adattamento possibile. Parallelamente all’interazione con l’ambiente esterno, ogni organismo vivente mantiene una continua interazione interna tra i diversi apparati che lo compongono, anch’essa costituita da stimolazioni in entrata e reazioni in uscita articolate su circuiti circolari di feed-back, volte a mantenere quanto più possibile una condizione di benessere che costituisca una buona base per una valida e utile interazione con il mondo esterno. Ciò appare come un dato di fatto evidente e incontrovertibile, ma se andiamo ad

Dalla cura delle psicopatologie a un modello della mente e ritorno.

205Psichiatria e Psicoterapia (2016) 35,4

indagare le attuali conoscenze relative alle dinamiche somatopsichiche umane non appare così chiaramente definito quali ne siano gli input e gli output tanto che è da tale confusa distinzione che si sono generati, a mio avviso, importanti equivoci ed errori di interpretazione che rendono nebulosa e oscura la comprensione dei disadattamenti mentali, delle psicopatologie.

In primo luogo, a proposito di input, quando si parla di dinamiche psichiche siamo probabilmente propensi a dare più importanza agli input esterocettivi, provenienti dall’ambiente esterno, ma, con il conforto di Damasio (1999, 2003, 2010), non dobbiamo dimenticare l’importanza degli input corporei enterocettivi, provenienti dagli organi interni, propriocettivi e chinestesici, provenienti dal sistema muscolo-scheletrico, che nel loro complesso costituiscono ciò che egli definisce il proto-sé, un insieme integrato di configurazioni neurali separate che mappano, istante per istante, gli aspetti più stabili della struttura fisica dell’organismo “generando non mere immagini del corpo, ma immagini del corpo che sono sentite… spontaneamente presenti nel cervello normale in stato di veglia” (Damasio 2010, p. 242).

Mantenendo il riferimento alla concezione del cervello trino di Mac Lean (1973) diventa, inoltre, fondamentale distinguere input e output a livello limbico e neocorticale. A livello neocorticale si sviluppano le cognizioni, le credenze di fondo, i pensieri e il linguaggio verbale che ne è espressione. Nel corso degli anni la personalità dell’individuo giunge ad essere costituita in buona parte da un insieme di credenze, cioè da un assetto cognitivo di base che interagendo con l’ambiente esterno e interno determina un assetto cognitivo attuale (i pensieri del momento presente) che se particolarmente significativo e innovativo può determinare un cambiamento nell’assetto cognitivo di base. È il processo attraverso il quale cambiamo le nostre idee e convinzioni. Tali assetti cognitivi svolgono sia una funzione di input cognitivi, quando sono volti ad interpretare l’insieme delle stimolazioni in entrata, sia di output cognitivi quando accompagnano l’elaborazione di affetti e comportamenti in uscita.

Il discorso si fa più complesso a livello limbico. Per anni i miei pazienti hanno insistito fino a farmi prendere atto della distinzione tra input e output limbici: le emozioni e gli affetti, tanto simili nella loro fenomenologia da essere confusi, tanto diversi nella loro funzione da dover essere necessariamente distinti. Ho già brevemente delineato le basi di una Teoria delle Emozioni e di una Teoria degli Affetti (Giardina 2015a, 2015b), adesso cercherò di ampliarle e renderle più solide a partire da una breve revisione di quella consistente mole di studi e teorie che nel corso del tempo sono state finalizzate a stabilire:

a) cosa siano le emozioni;a) dove si collochino;b) che funzione svolgano;c) quante siano;d) come possano essere denominate.

Per rispondere alle prime due domande è utile ripartire dalla attempata ma mai sopita disputa, sintetizzata da Plutchik (1994) tra la teoria di James, poco dopo riproposta in modo simile da Lange, e la teoria di Cannon. Secondo James un dato evento eccitatorio provoca una reazione viscerale (pianto, tachicardia, tremore ecc…) e la sensazione di tali modificazioni fisiologiche costituisce l’emozione. Secondo Cannon un dato evento eccitatorio provoca una reazione

Paolo Giardina

206 Psichiatria e Psicoterapia (2016) 35,4

direttamente a livello talamico a cui seguono le modificazioni fisiologiche e le sensazioni emozionali. Recentemente Panksepp (Panksepp e Biven 2012) ha rianalizzato tale disputa teorica evidenziando criticamente come la teoria di James-Lange sia stata assunta come valida, ma rivista e corretta, dai cosiddetti teorici della “rilettura” (Damasio, Le Doux, Rolls) secondo i quali le emozioni nascono da una interpretazione (rilettura) delle reazioni fisiologiche svolta dalle strutture cerebrali superiori. Panksepp, invece, in accordo con le concezioni di Mac Lean (1973) sul cervello trino e con il cambiamento d’indirizzo proposto da Damasio nel suo ultimo lavoro (Damasio 2010), si schiera con Cannon individuando direttamente a livello sottocorticale i circuiti cerebrali che autonomamente costituiscono i sette sistemi emotivi di processo primario di cui ho trattato nel precedente paragrafo.

Personalmente ritengo che le diverse teorie appena accennate risultano solo apparentemente in contrasto perché attribuiscono maggior importanza ad alcuni aspetti delle dinamiche somatopsichiche perdendone di vista l’insieme. La visione più lucida rimane quella di Mac Lean (1973) sul cervello trino, frutto del lento sviluppo filogenetico, con il progressivo sovrapporsi stratificato di un cervello neocorticale, evolutivamente più recente, al cervello limbico intermedio a sua volta sviluppatosi sul più arcaico cervello rettiliano. Così mentre James e Lange avevano assegnato particolare importanza alle reazioni psicofisiologiche del cervello rettiliano e i teorici della “rilettura” alle rivalutazioni di queste svolte dal cervello neocorticale, Cannon prima, Panksepp e Damasio adesso, focalizzano maggiormente la loro attenzione sulle dinamiche del cervello limbico. Riuscire a mantenere una visione d’insieme è indispensabile per comprendere il funzionamento integrato dell’organismo-uomo nelle sue tre dimensioni di fondo: somatica, emotivo-affettiva, razionale. I circuiti cerebrali attraverso i quali si estrinsecano le emozioni risultano, dunque, più specificamente collocabili a livello limbico, ciò non esclude, tuttavia, che a livello rettiliano siano situati i loro antecedenti evolutivi (stimolazioni somatiche indicative di stati di piacere e dolore) e che a livello neocorticale, cioè cognitivo, possa essere realizzata una rivalutazione e un tentativo di decodifica di quanto avviene nei piani inferiori.

Visto dove si collocano le emozioni, precisare cosa siano è strettamente connesso all’indagare quale funzione svolgano. Per Darwin (1872) le emozioni favoriscono la sopravvivenza dell’individuo svolgendo sia una funzione informativa volta all'esterno, che gli permette di comunicare ad altri il proprio stato d’animo attraverso la loro espressione mimica, sia una funzione di preparazione all’azione che gli consente di attivarsi per tempo.

Seguendo Plutchik (1994) nella sua rassegna dedicata alle teorie sulle emozioni, si realizza che trascorre circa un secolo prima che Lazarus giunga a confermare il valore strumentale delle emozioni finalizzato a preparare l’individuo all’azione e che in un lavoro di qualche anno successivo metta in rilievo l’interdipendenza tra emozioni e cognizioni sottolineando, in aggiunta, la loro funzione valutativa rispetto alla condizione di soddisfazione/insoddisfazione dell’individuo nella sua interazione con l’ambiente, rafforzando l’idea espressa da Bowlby: “Le emozioni sono fasi di una valutazione intuitiva, da parte dell’individuo, o dei propri stati organismici e impulsi all’azione o delle sequenze delle situazioni ambientali in cui si trova” (citato in Plutchik 1994, p. 25).

Evidenziando la loro funzione valutativa, si sono poste le basi di una connessione tra emozioni e motivazioni che è stata successivamente sviluppata da Liotti (2001) con l’individuazione di

Dalla cura delle psicopatologie a un modello della mente e ritorno.

207Psichiatria e Psicoterapia (2016) 35,4

emozioni tipiche di ogni SMI, distinguendo quelle connesse agli ostacoli nel conseguire la meta da quelle che si provano all’avvicinarsi/raggiungere la meta dei SMI, sottolineando come le emozioni svolgano essenzialmente la funzione di organizzare il movimento, concordando, dunque, sul fatto che svolgano anche una funzione di preparazione all’azione come già evidenziato da Darwin e successivamente da Lazarus.

Anche per Lichtenberg le emozioni svolgono l’essenziale funzione di organizzare l’azione favorendo un buon adattamento attraverso la produzione di risposte immediate, veloci e spesso, perciò, efficaci alle sfide lanciate e alle difficoltà poste dall’ambiente esterno (Lichtemberg et al. 1992, 2011).

Allo stesso modo Damasio, commentando e correggendo la teoria di James, riafferma la sua idea “... delle emozioni come programmi d’azione...” (Damasio 2010, p. 151).

In Panksepp (Panksepp e Biven 2012), infine, come già accennato nelle pagine precedenti, i sistemi motivazionali e le emozioni vengono conglobati in quelli che egli definisce sistemi affettivi primari (o sistemi emotivi di processo primario) non considerando la specificità funzionale che distingue i sistemi motivazionali dalle emozioni nelle dinamiche psichiche.

Riassumendo, dunque, le posizioni degli autori citati, si possono distinguere tre funzioni svolte dalle emozioni: informativa rivolta agli altri, valutativa e di preparazione ed organizzazione dell’azione.

L’osservazione e lo studio protratto e verificato delle condizioni psicopatologiche mi ha portato a constatare che l’agire umano è costantemente dettato dal tentativo di raggiungere almeno una delle mete dei SMP/SMI e che ciò è invariabilmente realizzato attraverso stimolazioni in ingresso che a vario livello (somatico, limbico, neocorticale) segnalano la condizione dell’organismo rispetto a tale obiettivo come presupposto per una successiva elaborazione e la conseguente produzione di risposte in uscita che si concretizzano in comportamenti volti al raggiungimento di tale obiettivo nel modo migliore possibile. Se, dunque, nelle prime fasi dello sviluppo evolutivo il cervello rettiliano riceveva probabilmente solo stimolazioni somatiche di piacere e dolore che indicavano il raggiungimento o meno delle mete motivazionali, con il progressivo emergere ed espandersi del cervello limbico si sono aggiunte altre stimolazioni che in modo più completo e complesso fossero indicative di ciò. Tali stimolazioni limbiche sono ciò che definiamo emozioni e che in modo più specifico e dettagliato rispetto alle stimolazioni di piacere/dolore segnalano che le mete motivazionali:

-sono state raggiunte (emozione di gioia),-non sono state raggiunte, e rischiano di non essere mai raggiunte, per inadeguatezza dei

mezzi e delle energie che l’organismo ha a disposizione, a maggior ragione se messe a confronto con qualcuno o qualcosa che sembri avere più mezzi e energie (emozione di paura),

-non sono state raggiunte, e rischiano di non essere mai raggiunte, per l’opposizione di qualcosa o di qualcuno (emozione di rabbia)

-erano state raggiunte, ma sono state perse, o erano sul punto di essere raggiunte, ma sono sfumate (emozione di tristezza).

L’intensità delle emozioni è ovviamente variabile a seconda dell’importanza della meta

Paolo Giardina

208 Psichiatria e Psicoterapia (2016) 35,4

motivazionale per ogni specifico organismo ed anche il loro insorgere può determinarsi in vario modo mano a mano che viene a delinearsi uno dei quattro possibili esiti. In quanto stimolazioni (input) anche le emozioni, così come ciò che l’organismo vede o sente, rimangono percepite solo all’interno dell’organismo stesso, insondabili dall’esterno. Tutto ciò che è registrabile dall’esterno non può essere altro che la risposta (output) dell’organismo anch’essa espressa ai tre possibili livelli di funzionamento cerebrale (rettiliano, limbico, neocorticale) come vedremo nei paragrafi successivi. Possiamo così avvertire stimolazioni piacevoli o dolorose a livello viscerale e corporeo, ma si tratta di stimolazioni rettiliane. Le stimolazioni emotive si collocano a livello limbico, come le neuroscienze stanno dimostrando, e ciò che abitualmente riteniamo siano i correlati somatici delle emozioni (tachicardia, pianto, tremori, digrignamento dei denti ecc.) sono in realtà già delle risposte, degli output comportamentali sostenuti da output limbici (affetti) e neocorticali (pensieri) come meglio spiegherò nel paragrafo 5.

In contrasto con le teorie delle emozioni prima citate, dunque, le emozioni sono, a mio avviso, solo ed esclusivamente stimolazioni e svolgono una funzione informativa ma solo rivolta a se stessi, interna all’organismo, non volta all’esterno; una funzione informativa, inoltre, che rappresenta solo il presupposto di una funzione valutativa e di una funzione di preparazione ed organizzazione dell’azione che, almeno nell’uomo, implica spesso l’attivazione di strutture cerebrali superiori e più complesse.

Aver individuato la funzione svolta dalle emozioni comporta la conseguente definizione di quante esse siano. Rispetto al raggiungimento di una meta motivazionale, infatti, l’organismo non può che trovarsi in una o più delle sole quattro condizioni appena delineate sintetizzabili con i termini convenzionali di gioia, paura, rabbia, tristezza. Ciò permette il superamento delle infinite dispute sul numero delle emozioni, peraltro poco produttive in assenza di una preliminare definizione della loro natura e funzione, e sull'esistenza di emozioni primarie e secondarie: hanno consistenza funzionale le sole quattro emozioni descritte che possono essere contemporaneamente presenti e con diverse sfumature d'intensità dando luogo a stati emotivi variabili senza che, tuttavia, si possano individuare altre emozioni che abbiano un significato funzionale diverso. Kemper negli anni ottanta del secolo scorso aveva già individuato queste quattro emozioni primarie a base fisiologica a seguito di osservazioni e inferenze senza, tuttavia, aver individuato la loro specifica funzione e dal suo studio sulle diverse teorie al riguardo risulta che anche Trevarthen circa venti anni prima convergesse su questo risultato (citati in Plutchik 1994, pp. 71-72).

Sull’esclusione di sorpresa e disgusto dal novero delle emozioni, a dispetto della loro frequente inclusione da parte di varie teorie, già ho argomentato (Giardina 2015a). Aggiungo, in breve, che la sorpresa (trasalimento) si accompagna sempre ad una delle quattro emozioni individuate, ma soprattutto con la sua espressione mimica non rappresenta un input, bensì un output comportamentale riflesso molto rapido e veloce in risposta all’emergere altrettanto rapido e veloce di una variazione degli input emotivi (vedi ulteriori specificazioni nel paragrafo 5).

Del disgusto, invece, parlerò in modo più specifico nel paragrafo 4 a proposito degli stati di attivazione/disattivazione motivazionale.

Riguardo all’ultimo quesito che mi sono posto, relativo alla denominazione delle emozioni, è evidente che si tratta solo di una questione linguistica e terminologica, non sostanziale. Senza

Dalla cura delle psicopatologie a un modello della mente e ritorno.

209Psichiatria e Psicoterapia (2016) 35,4

perdermi in dispute filosofiche su realismo e nominalismo, è sufficiente affermare il primato degli studi volti a cogliere il complesso delle strutture e delle funzioni psichiche, per poi dar loro un nome, piuttosto che il contrario. La funzione limbica di stimolare l’organismo informandolo del raggiungimento o meno delle mete motivazionali si può declinare solo in quattro modi che, in sintonia con il linguaggio di uso comune, ho anch’io denominato con i termini di gioia, paura, rabbia, tristezza. Nella sola lingua italiana esistono vari sinonimi del tutto equivalenti o termini che esprimono diverse sfumature d’intensità delle quattro emozioni o che siano descrittivi delle loro varie, possibili commistioni senza che, tuttavia, ciò aggiunga nulla di rilevante nella comprensione della funzione svolta dalle emozioni stesse.

Più importante, invece, è non confondere i termini che definiscono le emozioni con quelli che denominano motivazioni, affetti, comportamenti e soprattutto i sentimenti. Questi ultimi rappresentano specifici stati somatopsichici che scaturiscono dall’interazione tra cervello limbico e neocorticale, tra emozioni/affetti da una parte e credenze/pensieri dall’altra. Già in precedenza (Giardina 2015b) ho posto le basi per una Teoria dei Sentimenti fornendo qualche esempio al riguardo. Quando le quattro emozioni sono colte e analizzate a livello neocorticale e, dunque, pensate, sottoposte ad una valutazione e ad un giudizio razionale fondato sull’assetto cognitivo di base del singolo individuo, cioè sull’insieme di credenze e pensieri costituitosi nel corso del tempo, allora le emozioni stesse assumono caratteri e sfumature diverse, divengono sentimenti emotivi che arricchiscono la nostra vita mentale.

Timidezza e vergogna, ad esempio, spesso confuse e sovrapposte sia nel linguaggio comune che, peggio ancora, nelle teorizzazioni scientifiche e nelle analisi cliniche, possono essere considerate sentimenti emotivi. La timidezza è, infatti, una stimolazione in ingresso costituita da un'emozione di paura (percezione di non avere i mezzi e le energie per poter raggiungere una meta motivazionale interpersonale, relativa ad un SMI, ritenuta importante) a cui si associano credenze e pensieri giudicanti relativi alle proprie inadeguatezze: il ragazzo che prova un’emozione limbica di paura nel proporsi all’amata avvertendo l’inadeguatezza dei propri mezzi al riguardo e allo stesso tempo formula pensieri giudicanti relativi alle proprie incapacità sta sperimentando un sentimento emotivo di timidezza. La vergogna è anch’essa una stimolazione in ingresso costituita, però, da un’emozione limbica di tristezza relativa alla perdita di una particolare meta: la stima di persone ritenute importanti. Il ragazzo di cui sopra che prova un’emozione limbica di tristezza per non aver ottenuto le attenzioni dell’amata accompagnate da pensieri giudicanti negativi relativi alla disistima che ritiene la ragazza abbia maturato nei suoi confronti sperimenta un sentimento emotivo di vergogna.

L’interazione tra emozioni e cognizioni che produce sentimenti emotivi nelle fasi di input ha un suo corrispettivo, come vedremo, nelle fasi di output dove l’interazione tra affetti e cognizioni produce sentimenti affettivi.

Prima di concludere la trattazione degli stimoli in entrata, è importante ricordare come accanto agli assetti di base somatici e cognitivi siano presenti assetti di base emotivi e sentimentali, costituenti fondamentali di ciò che intendiamo per personalità, che in continua interazione con l’ambiente interno ed esterno danno vita ad assetti attuali, nel momento presente, attraverso i quali, se intensi e significativi, gli assetti di base possono retroattivamente modificarsi. Così un bambino che, avendo subito molte perdite di mete motivazionali significative, abbia maturato

Paolo Giardina

210 Psichiatria e Psicoterapia (2016) 35,4

un assetto emotivo di base caratterizzato da una dominante emozione di tristezza e che, avendo sviluppato la credenza di essere il diretto responsabile di tale sua condizione, abbia consolidato un assetto sentimentale di base in cui prevale il senso di colpa, potrebbe arrivare a modificare tali assetti di base e, dunque, almeno in parte la sua personalità, se nel corso della sua vita dovesse sperimentare assetti attuali emotivi e sentimentali importanti di tipo diverso, esperienze emotive correttive in grado, cioè, di modificare quanto consolidato nella sua mente in precedenza.

Gli stimoli emotivi da anni pungono Irene nell’intimo, là dove pensiero e parola faticano ad arrivare: sono prevalentemente la rabbia e la paura a caratterizzare il suo assetto emotivo di base. La frustrazione dei SMI attaccamento e antagonistico si ripete frequentemente nel tempo proprio in virtù della loro iperattivazione, degli elevati bisogni di rispecchiamento e dominio, della pretesa di Irene di essere amata. La rabbia è un dolore acuto e bruciante legato alla percezione che eventi o persone spesso la ostacolino nel raggiungimento delle sue mete. La paura è meno evidente della rabbia, ma, di fondo, la sensazione di non avere le risorse sufficienti per prendersi convenientemente cura di sé e per riuscire a realizzare se stessa in modo adulto, la paura di crescere, la accompagna costantemente come un dolore sordo e profondo: i due SMP, entrambi iperattivi ed esigenti, determinano con più facilità la loro stessa frustrazione. La tristezza è marginale. Affiora sporadicamente quando immagina di perdere i genitori, un giorno, o nelle fasi mai troppo prolungate in cui gli stimoli che riceve dal proprio corpo sono gravemente distorti tanto da vedersi a rischio di calvizie o con il viso devastato dalla peluria perdendo la sua bellezza. La magrezza che riesce a mantenere negli anni, invece, le dà gioia e la gratifica.

Le stimolazioni cognitive, i pensieri “in entrata”, quelli che accompagnano lo sguardo sul mondo esterno e si concretizzano in una visione delle cose, in un rigido assetto cognitivo di base, rispecchiano gli insegnamenti ricevuti: una concezione alloplastica della vita in cui è la realtà esterna che deve adeguarsi e rispondere alle sue esigenze e non il contrario. Riscontrare che ciò solitamente non accade accentua la convinzione che siano i genitori ed il mondo ad essere ostili, senza che si sviluppi una consapevolezza sulla necessità di diventare lei stessa più adattabile e autoplastica. Così la rabbia e la paura di Irene, che spesso ribollono inconsapevolmente nella sua mente, anche quando emergono, quando vengono pensate e verbalizzate tramutandosi in sentimenti, non cambiano di segno.

4. Percezione e stati motivazionali

Le stimolazioni ambientali, corporee, emotive e cognitive costituiscono, dunque, input indicativi del raggiungimento o meno delle mete motivazionali finendo per determinare nell’organismo solamente tre diversi tipi di percezioni: la percezione del bisogno di raggiungere una meta piacevole ma assente o solo parzialmente presente; la percezione del bisogno di allontanare una meta sgradevole presente o assente ma con il rischio che possa diventare presente; la percezione del bisogno di mantenere le mete raggiunte piacevoli e presenti.

La percezione di tali bisogni può essere chiara e lucida da parte del soggetto ed è, allora, più probabile che i successivi output affettivi e comportamentali risultino validi ed efficaci. Spesso,

Dalla cura delle psicopatologie a un modello della mente e ritorno.

211Psichiatria e Psicoterapia (2016) 35,4

invece, la percezione dei propri bisogni risulta piuttosto confusa, resa tale dall’assenza di un valido schema mentale relativo ai propri SMP/SMI e alle loro mete. Facendo un confronto tra mentale e fisico, è quel che accade a chi cerca di decifrare i propri dolori o piaceri fisici in assenza di un adeguato schema corporeo relativo alla dislocazione dei propri organi e alla loro funzione: un dolore addominale costituirebbe un’informazione poco utile o perfino angosciante se il soggetto non sapesse anche solo grossolanamente che se il dolore è collocato nel basso addome riguarda l’intestino e le sue funzioni assimilative/escretorie o che, se provenisse dalla parte alta dell’addome, potrebbe riguardare lo stomaco e le sue funzioni digestive.

Gli schemi mentali relativi, in particolare, ai propri assetti motivazionali ed emotivi sono abitualmente piuttosto approssimativi e inesatti nella maggior parte delle persone e buona parte del lavoro psicoterapeutico deve così basarsi, secondo la mia esperienza, sul raggiungimento di una loro più chiara e precisa consapevolezza. Non sarebbe certo disdicevole, detto per inciso, che nei programmi educativi scolastici, oltre a insegnare le basi della mappatura e del funzionamento del corpo, si favorissero anche le conoscenze relative alle strutture e alle dinamiche mentali più importanti. Motivo in più per giungere ad un modello della mente chiaro e concreto, spiegabile con un linguaggio facilmente accessibile, come è certamente possibile fare, evitando astruserie mentalistiche, senza timore di svilire la scienza psicologica rendendola popolare e non più esclusivo appannaggio di super-esperti unici detentori di un sapere prezioso ed esclusivo.

Tornando ai tre possibili bisogni, indipendentemente dal fatto che siano percepiti più o meno chiaramente e consapevolmente dal soggetto, è possibile vedere come da essi scaturiscano invariabilmente dinamiche diverse. Il bisogno di raggiungere una meta motivazionale porta all’attivazione di uno o più SMP/SMI. Non necessariamente il più funzionale e appropriato, purtroppo. È così possibile che un’emozione di tristezza dovuta alla perdita/non raggiungimento della meta del SMI sessuale possa suscitare, con finalità compensatorie, l’attivazione del SMP finalizzato alla cura di sé che porti il soggetto ad output comportamentali di massiccia e sproporzionata assunzione di cibo. Ciò è più probabile quando l’attivazione si realizza essenzialmente a livello rettiliano e/o limbico determinando semplici impulsi ad agire. Se il bisogno e l’attivazione motivazionali si realizzano, invece, anche a livello neocorticale, quindi razionale, il bisogno stesso diviene consapevole, diviene un desiderio.

Il bisogno di allontanare una meta motivazionale può seguire un analogo destino determinando un impulso rettiliano e/o limbico o divenendo consapevole e generando, dunque, un disgusto, l’opposto del desiderio. Per questo il disgusto, come già illustrato (Giardina 2015a) non può rientrare nel novero delle emozioni. Svolge tutt’altra funzione ed occupa tutt’altra posizione nello svolgersi delle dinamiche psichiche.

Infine, la percezione di aver raggiunto in un determinato momento tutte le mete motivazionali ed il conseguente bisogno di mantenerle non determina alcuna attivazione, bensì una quiete motivazionale ed uno stato somatopsichico di appagamento. Tale condizione è rara, passeggera e rischia di essere quasi solo teorica per le ormai molte persone che non riescono a godersi il momento presente e sono costantemente proiettate sul futuro e sulla anticipazione di bisogni che potrebbero risultare potenzialmente insoddisfatti dopo un’ora, un giorno, dieci anni. Siamo biologicamente finalizzati al raggiungimento della quiete motivazionale, questa è la nostra ragione di vita, in sostanza; prosaicamente, ma realisticamente, questo è il senso della vita.

Paolo Giardina

212 Psichiatria e Psicoterapia (2016) 35,4

Paradossalmente, tuttavia, è un senso che costantemente ci sfugge dalle mani e richiede di essere rincorso. Concetti in piena sintonia con il principio di costanza, di matrice psicoanalitica, “... enunciato da Freud secondo cui l'apparato psichico tende a mantenere a livello più basso o perlomeno più costante possibile la quantità di eccitazione che esso contiene. La costanza è ottenuta sia con la scarica dell'energia già presente, sia con l'evitare ciò che potrebbe aumentare la quantità di eccitazione e con la difesa contro tale aumento” (Laplanche, Pontalis 1967, p. 118). Principio considerato, inoltre, da Eagle (2011) una delle quattro idee fondamentali della concezione freudiana della mente.

Gli stimoli emotivi (prevalentemente rabbia e paura), quelli esterocettivi (lo sguardo sul mondo), enterocettivi (lo sguardo sul corpo) e cognitivi (la concezione di sé in rapporto al mondo) determinano un assetto percettivo di base che in Irene tende a cristallizzarsi nel corso del tempo: avverte piuttosto costantemente il bisogno di ricevere affetto, aiuto, protezione, attenzioni, valorizzazioni (attaccamento), di sentirsi vincente e dominante (antagonismo), di potersi affermare (realizzazione di sé), di avere un corpo perfetto (cura di sé). Il bisogno di accudire le è estraneo e la spaventa tanto l’invecchiamento dei genitori quanto l’idea di poter avere un figlio. Il bisogno di cooperare è al di fuori del suo essere centrata su se stessa. Il bisogno sessuale è vissuto in modo ambivalente, da una parte l’esigenza di sedurre lo sguardo altrui, dall’altra quello di rifuggire il contatto fisico che talvolta è invece ricercato attivamente perlopiù sotto l'effetto di sostanze disinibenti.

I bisogni percepiti si tramutano in attivazione motivazionale, tradotta in impulsi inconsapevoli o in desideri consapevoli orientati al raggiungimento delle mete dei SMI attaccamento, antagonistico e dei SMP finalizzati alla cura e alla realizzazione di sé.

Verso le mete dei SMI accudimento e cooperazione paritetica, al contrario, prevale una sostanziale disattivazione motivazionale con impulsi diretti, spontanei ad allontanarsene e una sorta di disgusto più consapevole che la portano ad evitarle.

Gli stati di quiete motivazionale ed appagamento autentico sono rari e di breve durata, legati a “fasi fortunate” in cui “le cose girano bene”: i genitori più disponibili e amorevoli, il mondo esterno che elargisce qualche gratificazione in più, un partner che la apprezza senza chiederle troppo, qualche legame d’amicizia che si ricostituisce. Più spesso, invece, si determinano stati di quiete motivazionale apparente dove l’appagamento è illusorio, assicurato dall’azione chimica di sostanze stupefacenti che leniscono rabbia e paura favorendo una sorta di euforia artificiale più che emozioni di gioia autentica.

5. Elaborazione, progettazione, azione

La fase di elaborazione degli input somatopsichici finalizzata a produrre output comportamentali si pone a livello limbico e neocorticale. Come ho anticipato (paragrafo 3), le evidenze emerse dal lavoro clinico mi hanno portato a distinguere gli input limbici, le emozioni, con la loro funzione stimolatrice e informativa interna, dagli output limbici, gli affetti, con la loro funzione di preparazione all’azione. In letteratura non ho trovato teorizzazioni specifiche al riguardo, i termini “emozione” e “affetto” sono usati spesso in modo intercambiabile come

Dalla cura delle psicopatologie a un modello della mente e ritorno.

213Psichiatria e Psicoterapia (2016) 35,4

evidente conseguenza di una confusiva sovrapposizione e intercambiabilità dei relativi concetti. Plutchik passando in rassegna gli studi sulla misurazione delle emozioni nota come: “La

parola affetto viene spesso usata in modo intercambiabile con la parola emozione” (Plutchik 1994, p. 117).

In Panksepp “Il termine affetto raccoglie in sé tutta una serie di sfumature che possono essere rese anche con i termini sensazione, emozione, affettività e altri consimili...” (Panksepp e Biven 2012, p. VII).

Borgna (2001) arriva a distinguere, in una forma che a lui stesso appare precaria, le emozioni interiori (stimmungen) dalle emozioni esteriori, dirette verso gli altri, che emozioni, in realtà, non sono, ma affetti da esse chiaramente ben distinti.

Se analizziamo il dipanarsi delle dinamiche mentali guidati dalla constatazione che esse siano improntate al raggiungimento e al mantenimento di mete motivazionali ritenute positive, cioè adattive, e all’evitamento di mete motivazionali ritenute negative, cioè disadattive, possiamo verificare che si prospettano solo quattro possibilità di output, cioè di moto affettivo e comportamentale: andar verso, andar contro, andar via, star fermi che risultano strettamente connessi agli input emotivi, ma caratterizzati da vissuti molto diversi. Così se l’input emotivo della gioia informa l’organismo del raggiungimento di una meta motivazionale, l’output affettivo è probabile che possa essere un andar verso ciò che ha reso possibile tale gratificazione e l’affetto dell’andar verso è ciò che abitualmente definiamo come amore, che può declinarsi in vari modi a seconda dei SMP/SMI attivati. L’amore verso ciò che gratifica il nostro SMI attaccamento è, dunque, in senso lato, un amore filiale; l’amore genitoriale, l’amore fraterno, l’amore erotico sono, invece, gli affetti che abitualmente si provano verso ciò che gratifica rispettivamente il SMI accudimento, il SMI cooperazione paritetica, il SMI sessuale. L’amore verso se stessi è l’affetto che si prova quando riusciamo a gratificare le mete dei SMP finalizzati alla cura e alla realizzazione di sé ed è specificamente definibile come amore narcisistico. Verso ciò che permette la gratificazione del SMI antagonistico proviamo, invece, un amore strumentale cioè un affetto indirizzato allo strumento che ha reso possibile il raggiungimento di una vincente condizione di superiorità verso chi ci contendeva una risorsa importante ma limitata, verso un nemico, cioè, inteso nel senso ampio del termine.

L’affetto d’amore è, dunque, spesso connesso e conseguente all’emozione di gioia, ma il loro significato e la loro funzione sono completamente diversi.

Allo stesso modo l’emozione di rabbia, input limbico nel caso in cui si percepisca che qualcuno o qualcosa impedisca il raggiungimento di una meta motivazionale, è spesso connessa ma diversa dall’output limbico dell’andar contro definibile essenzialmente come odio, nel caso sia attivato il SMI antagonistico (l’andar contro un nemico), come risentimento nel caso siano attivati gli altri SMP/SMI (il risentimento verso un genitore, un figlio, un partner, un amico, se stessi).

L’input limbico della paura, emozione indicativa della percezione di una personale mancanza di mezzi e energie per raggiungere una meta motivazionale, è frequentemente il presupposto del moto affettivo volto ad andar via, allontanarsi da una meta desiderata ma irraggiungibile o da una meta disgustosa e avversata.

La tristezza è l’emozione che segnala la percezione della perdita o del mancato raggiungimento

Paolo Giardina

214 Psichiatria e Psicoterapia (2016) 35,4

di una meta motivazionale desiderata e il moto affettivo che abitualmente la segue, a livello limbico, è, in realtà, un non-moto, uno star fermi, una sospensione dell’affetto che si traduce nell’atto comportamentale della speranzosa attesa che la meta ambita possa tornare ad essere disponibile e raggiungibile.

La differenza tra ciò che si prova in entrata, come input emotivo, e ciò che si esprime in uscita, come output affettivo, credo risulti chiara e verificabile analizzando le dinamiche mentali di qualunque persona in qualunque momento della sua vita. Un esperimento che facilmente chiunque può ripetere “sul campo”, “in vivo” senza ricorrere a pratiche di laboratorio.

Se l’elaborazione delle emozioni in affetti avviene a livello limbico, tende a rispettare la corrispondenza evidenziata tra emozioni di gioia, rabbia, paura, tristezza ed i moti affettivi dell’andar verso, andar contro, andar via, star fermi. Qualora, invece, come spesso accade, l'elaborazione avviene in modo più ricco e diversificato a livello neocorticale, caratterizzata dal confronto e dall'interazione tra gli affetti limbici e l'assetto cognitivo di base della persona, costituito dalle sue credenze di fondo e dai pensieri che ne scaturiscono, allora l'esito potrebbe essere diverso. Da tale più complessa elaborazione derivano, infatti, i sentimenti affettivi, affetti, cioè, a cui sono associate valutazioni e giudizi, di cui si è, dunque, maggiormente consapevoli. Con ciò è frequente che la corrispondenza limbica tra emozioni e affetti prima descritta possa venir meno determinando un cambiamento nell’attivazione motivazionale e output comportamentali consapevoli potenzialmente migliorativi rispetto all’istintività e immediatezza degli output comportamentali limbici. Qualche esempio in breve. La gioia che deriva dall’accudire positivamente un figlio e che alimenta negli anni l’affetto amoroso dell’andar verso di lui, può (anzi dovrebbe) essere elaborata e trasformata producendo una sospensione affettiva, uno star fermi, nel momento in cui la crescita del figlio e la sua autonomizzazione non richiedano più l’espressione dello stesso amore genitoriale accudente dei periodi precedenti. L’andare verso di lui, l’affetto amoroso nei suoi confronti, potrà allora diventare più facilmente e opportunamente di tipo cooperativo-paritetico, collaborativo, solidale.

La rabbia verso un nemico antagonistico, invece di portare all'abituale moto affettivo limbico dell'andar contro, può essere elaborata in un sentimento affettivo di empatica condivisione di possibili obiettivi comuni dando luogo al moto affettivo dell'andar verso e ad atti comportamentali di pacificazione con ciò disattivando il SMI antagonistico ed attivando quello di cooperazione paritetica.

La paura verso mete desiderate, ma apparentemente irraggiungibili o disgustose e indesiderabili, può essere elaborata in un sentimento affettivo di coraggio che porti una madre ad occuparsi di suo figlio nonostante i timori iniziali o un medico in erba a superare la repulsa per la vista del sangue.

La tristezza per la perdita dell’amata, invece di essere elaborata nell’eterna sospensione affettiva in attesa di un suo improbabile ritorno, può dar luogo, dopo qualche mese di speranze frustrate, ad un sentimento affettivo di rassegnato distanziamento da lei, così come la tristezza per l’ingiusta perdita di un lavoro può essere elaborata, al contrario, in un sentimento affettivo di orgogliosa rivalsa legale verso la prepotenza del datore di lavoro passando dalla frustrante disattivazione del SMP finalizzato alla realizzazione di sé all’attivazione costruttiva del SMI antagonistico.

Dalla cura delle psicopatologie a un modello della mente e ritorno.

215Psichiatria e Psicoterapia (2016) 35,4

Strettamente connessa alla fase di elaborazione e prima di giungere all’output comportamentale finale si apre la piccola, fondamentale finestra della progettazione dell’azione a cui si affaccia l’intenzione, assente solo a livello rettiliano del funzionamento mentale dove l’impulso immediatamente si trasforma in un comportamento riflesso: una tegola mi sta cadendo sulla testa, gli stimoli ambientali visivi sono sufficienti ad attivare in via diretta il SMP finalizzato alla cura di sé che innesca l’impulso a produrre un comportamento riflesso di evitamento, senza il tempo di provare emozioni, esprimere affetti, elaborare alcun pensiero.

Il cervello rettiliano, semplice e primordiale, ci è ancora molto utile in tante occasioni, sebbene in altre possa risultare disadattivo proprio per la sua assoluta immediatezza.

A livello limbico e neocorticale l’intenzione svolge funzioni diverse e non sempre sinergiche creando talvolta non pochi problemi. Dando seguito alla funzione di preparazione dell’azione svolta dagli affetti, l’intenzione, a livello limbico, risulta essere già una forma di azione in cui l’organismo si prepara all’emissione di un comportamento istintivo dandone spesso avvertimento e confidando sul fatto che ciò basti ad ottenere l’obiettivo senza l’ulteriore dispendio energetico necessario per compiere l’azione completa. È per dar conto di questa sostanziale coincidenza che nello schema grafico proposto (figura 1) intenzione e comportamento istintivo sono compresi all’interno di uno stesso ovale.

Con ciò arrivo a dissentire, mio malgrado, dalle concezioni di Darwin (1872), relative all’espressione mimica delle emozioni, sostenute ed approfondite nel tempo da molti studi finalizzati alla classificazione delle emozioni stesse (Plutchik 1994). Sia le reazioni somatiche preparatorie alle azioni comportamentali, gestite in automatico dal Sistema Nervoso Autonomo attraverso il modificarsi di una serie di parametri fisiologici (pressione arteriosa, ritmo cardiaco e respiratorio ecc.) sia le espressioni facciali e motorie (dal digrignare i denti al serrare i pugni, dal sorridere al tamburellare le dita) volte ad avvertire circa le nostre intenzioni, infatti, sono evidenti output affettivo-comportamentali e non l'espressione di input emotivi. Digrignare i denti, infatti, non è la diretta espressione della rabbia che, in quanto input emotivo, è, invece, silenziosamente e invisibilmente percepita dal solo soggetto che la prova; è, piuttosto, un comportamento dettato dall'affetto dell'andar contro elaborato a partire dall'iniziale input emotivo della rabbia ed esprime l'intenzione di mettere in atto un comportamento aggressivo. Allo stesso modo neppure la tachicardia, che facilmente si attiva in contemporanea, può essere considerata una manifestazione della rabbia, ma è già un comportamento riflesso preparatorio (il cuore che batte più velocemente) in vista della possibile aggressione. La differenza non è di poco conto. Se a livello limbico, dunque, l’intenzione è già un’azione che prepara l’organismo all’azione comportamentale istintiva e talvolta la preannuncia, a livello neocorticale l’intervento del pensiero, attraverso la fantasia e l’immaginazione, dota l’intenzione di una funzione di previsione di quelle che potrebbero essere le conseguenze del comportamento consapevole che potrebbe essere attivato, giungendo a confermare, quindi, in ultima istanza, la sua emissione o favorendo la retroazione correttiva sull’interazione tra affetti e cognizioni con produzione di nuovi sentimenti affettivi e nuove intenzioni.

Il problema sta nel fatto che il nostro cervello-mente, affascinante ma tutt'altro che perfetto, quando non agisce in modo riflesso, a livello rettiliano, funziona contemporaneamente ai due livelli, limbico e neocorticale, talvolta non in accordo tra loro. Così è possibile che di fronte ad

Paolo Giardina

216 Psichiatria e Psicoterapia (2016) 35,4

un pericolo il cervello limbico, stimolato dall’emozione di paura, elabori l’affetto dell’andar via e prepari l’organismo alla fuga, mentre il cervello neocorticale ha contemporaneamente rielaborato a livello cognitivo l’affetto dell’andar via producendo un sentimento di coraggioso andar contro il pericolo, che prelude ad un comportamento consapevole di fronteggiamento e non di fuga.

Gli esiti possono essere ovviamente i più diversi, funzionali o disfunzionali. La psicoterapia può aiutare a comprendere i giochi della mente, la persona che la intraprende, una volta divenuta più consapevole delle proprie dinamiche psichiche, avrà la responsabilità di decidere come continuare a giocare.

Negli anni di abbandono della terapia e in quelli immediatamente successivi alla ripresa, l’assetto cognitivo di base di Irene è fortemente cristallizzato sul primato dei suoi diritti e le capacità di mentalizzazione e problem solving risultano rigide e sterili. Così l’emozione di rabbia verso i genitori, vissuti come troppo critici e poco gratificanti, e verso il mondo esterno, vissuto come troppo ostile e faticoso, viene elaborata prevalentemente in affetti di risentimento ed odio, in un andar contro che prende le forme di comportamenti aggressivi, prevalentemente verbali, verso i genitori e di atti antisociali (spaccio e furti) verso il mondo esterno. Il tutto è reso più facile dall’abuso pressoché continuo di alcol e sostanze.

Le sue emozioni di paura di non riuscire a realizzarsi attraverso un valido lavoro, nonostante abbia una viva intelligenza e varie attitudini, viene elaborata in affetti evitanti, in un andar via, un allontanarsi da prospettive di impegno adulto, rifugiandosi nella condizione di invalida civile e in lavoretti protetti e svalutativi.

L’emozione di paura che il suo corpo non risulti perfetto e desiderabile viene, invece, elaborata nell’affetto potenzialmente funzionale dell’andar verso la meta del prendersi cura di sé, ma con modalità disfunzionali caratterizzate da un rigido ipercontrollo che produce comportamenti alimentari restrittivi e dettagliate autosservazioni allo specchio finendo per notare e convincersi di inestetismi inesistenti.

Il passaggio tra l’elaborazione di affetti e la produzione di comportamenti, l’intenzionalità, la progettazione delle proprie azioni, è in tutta questa fase della sua vita veloce e sommaria. Irene si ritrova a fare ciò che fa senza quasi rendersene conto, guidata da ciò che sente più che da ciò che pensa.

Negli anni successivi il lavoro terapeutico sull'assetto cognitivo si focalizza sulle rigide e bellicose convinzioni di Irene circa i propri diritti (ad una pensione di invalidità civile, ad un lavoro protetto, che ottiene) che la società deve soddisfare, così come i genitori devono soddisfare i suoi diritti affettivi, introducendo faticosamente l'idea che esistano anche dei doveri o, ancor più, delle opportunità di reciproco vantaggio nel condividere la propria vita con gli altri. Parallelamente il lavoro sull'assetto motivazionale si concentra sull'acquisizione di consapevolezza riguardo al livello eccessivamente elevato dei suoi bisogni di attaccamento, antagonistici, di cura e realizzazione di sé e riguardo all'ambivalenza disfunzionale dei suoi bisogni sessuali a fronte delle sue scarse capacità accudenti e cooperative che le sarebbe utile sviluppare. La maggior parte delle sedute, tuttavia, si articola sull'elaborazione più funzionale delle emozioni di rabbia e paura in affetti e comportamenti che non siano un andar contro i

Dalla cura delle psicopatologie a un modello della mente e ritorno.

217Psichiatria e Psicoterapia (2016) 35,4

genitori e la società o un andar via allontanandosi da un proprio, equilibrato desiderio di cura e realizzazione di sé, ma prevalentemente un andar verso costruttivo orientato al raggiungimento delle proprie mete motivazionali che risulti vantaggioso per se stessa e gli altri.

Per quanto il mio tentativo sia di prendere spunto e rimanere aderente agli episodi di vita che Irene racconta, mi rendo conto che il rischio incombente è che le sedute finiscano per essere noiosi sermoni educativi volti a correggere i i suoi difetti e a insegnarle a vivere in modo civile e rispettoso. La tentazione di proporre esperienze emotive correttive è spesso presente, ma si scontra con il timore che possano risultare o essere considerate eccessive, inappropriate, rischiose, da parte dei genitori, dei colleghi, di un giudice eventualmente chiamato a valutare l'adeguatezza della terapia. Eppure un'azione, un'esperienza pensata e mirata è sempre mille volte più valida delle parole: andare a vivere da sola, un viaggio in solitario, lo sviluppo di una passione trascinante, il toccare la sofferenza degli altri affinché spontaneamente maturino le sue capacità adulte di accudire, cooperare, realizzarsi e prendersi cura di sè pretendendo meno dagli altri e mettendoci più del proprio. Dubbi che rimangono dubbi e non si trasformano in scelte.

Tuttavia progressivamente, nel corso del tempo, qualcosa inizia a cambiare grazie anche all’avvio di una co-terapia realizzata con la collega psichiatra che, oltre ad utilizzare più attenzione nella scelta dei farmaci, arricchisce e sostiene attivamente il percorso terapeutico incrementandone l’efficacia.

Il segnale più evidente è la rinuncia all’uso di sostanze eccitanti e l’accettazione di una terapia metadonica che attenua l’intensità delle emozioni di rabbia e paura. Irene riduce i comportamenti aggressivi verso i genitori, elimina le condotte antisociali. Il suo assetto cognitivo di base gradualmente si modifica e la sterile rivendicazione dei suoi diritti verso i genitori e il mondo esterno inizia a lasciare il posto all’espressione delle proprie potenzialità, delle proprie capacità di adattarsi agendo su se stessa in modo autoplastico.

Nell’ultimo anno decide e riesce ad affrancarsi dal metadone, impresa non facile, poi una drammatica ricaduta culminata in una nottata di eccessi sembra annullare tutti i progressi fatti. Mesi di chiusura monacale in casa ricompongono le fratture, guariscono le ferite e Irene riprende il sentiero interrotto. Con insistenza torna a chiedere un lavoro protetto che, per fortuna, questa volta è dignitoso, la arricchisce e non la svaluta. Sembra finalmente che non abbia più paura di realizzare se stessa in modo adulto e frequenta con successo un valido corso di formazione. La paura di un corpo imperfetto è molto attenuata. Sembra accettare i genitori per ciò che sono e il mondo per quel che è. Se vuol rendere migliore la propria vita è su se stessa che può contare, accettandosi e cercando di sviluppare le sue potenzialità.

Secondo il DSM-5 i suoi sintomi sono “attualmente in remissione”; il suo funzionamento mentale è migliorato, è più duttile e articolato e produce comportamenti adattivi. I progressi sono, tuttavia, ancora troppo recenti per essere considerati consolidati e le sue condizioni cliniche rimangono, tuttora, poco prevedibili.

Il passaggio dall'amore preteso all'amore proposto e ricercato è ancora incerto e instabile.La paura di crescere non è ancora pienamente soppiantata dal coraggio di vivere.Irene non è il suo nome. È il nome che ho scelto per lei, significa Pace ed è l'augurio che

possa trovare un po' più di serena soddisfazione nel prosieguo della sua vita.

Paolo Giardina

218 Psichiatria e Psicoterapia (2016) 35,4

6. Patogenesi, eziologia, diagnosi, terapia

Da quanto esposto emerge, in estrema sintesi, che il nodo centrale della patogenesi dei disturbi psichici è invariabilmente costituito dalla disfunzionale risposta dell’individuo alle frustrazioni delle sue proprie mete motivazionali.

Che tali frustrazioni producano emozioni di paura, rabbia, tristezza o, più spesso, una combinazione di queste, quando un individuo non riesce ad elaborarle in affetti e comportamenti che portino ad una significativa attenuazione o a un superamento delle frustrazioni delle mete motivazionali e delle conseguenti sofferenze emotive, si determina un disfunzionale disadattamento e, quindi, una psicopatologia. Naturalmente quanto più il disadattamento risulta duraturo e/o intenso e/o frequente tanto più si consolida la psicopatologia, anche se credo che cercare di stabilire un limite netto tra normalità, disadattamento e psicopatologia sia fuorviante e poco utile. L’una condizione sfuma nell’altra su un continuum ed è questo che dovremmo rappresentarci in una innovativa visione delle dinamiche psichiche risparmiandoci anche le fatiche degli attuali sistemi psicodiagnostici che tentano in tutti i modi di trovare criteri oggettivi per decretare il passaggio da una condizione di normalità a una di malattia, senza neppure considerare la posizione intermedia del disadattamento. Tornerò su questi temi tra poco trattando di psicodiagnosi.

Tornando alla patogenesi, dunque, ritengo che si determini un processo patogenetico quando una frustrazione delle mete motivazionali produce input emotivi che, non adeguatamente elaborati, vengono tradotti in output affettivi e comportamentali disadattivi per il soggetto stesso, perpetuando la frustrazione delle proprie mete motivazionali, o per gli altri, arrecando loro gravi danni, perlopiù violando la legge. Talvolta può sembrare che anche la gratificazione delle mete motivazionali, producendo emozioni di gioia intensa (euforia), determini una condizione di disadattamento se tradotta in moti affettivi e comportamentali eccessivi e dannosi. Tuttavia, se andiamo a sondare le dinamiche motivazionali, ci rendiamo conto che a spingere le persone verso pericolosi eccessi non è la gratificazione raggiunta e la gioia provata, ma il permanere di una frustrazione di fondo e di una conseguente, latente emozione di rabbia, tristezza o paura. Così il giocatore compulsivo continua a metter soldi nella slot-machine anche dopo una vincita o un bulimico continua a mangiare sebbene sazio non spinti da una gioiosa gratificazione, ma da sotterranee emozioni di rabbia, tristezza o paura derivanti da un SMP/SMI ancora frustrato e affamato di gratificazioni.

In molti casi, inoltre, la propria condizione di disadattamento non appare evidente alla persona che, interrogata sulle sue condizioni di vita, afferma di sentirsi pienamente soddisfatta e appagata anche se risulta evidente che la gratificazione di alcune mete motivazionali è gravemente compromessa o è raggiunta infliggendo gravi danni ad altre persone. Sono i casi in cui la persona è talmente sofferente, e da così tanto tempo, da non avvertire più il dolore pungente e stimolante delle emozioni di rabbia, paura e tristezza messe a tacere attraverso uno spegnimento dei SMP/SMI cronicamente frustrati (assetto motivazionale rifiutante e stati di quiete motivazionale apparente) o i casi di antisocialità (psicopatia) in cui latenti emozioni di rabbia vengono tacitate infliggendo gravi danni ad altri. In entrambi i casi il benessere è apparente, sotteso da dinamiche patogenetiche.

Dalla cura delle psicopatologie a un modello della mente e ritorno.

219Psichiatria e Psicoterapia (2016) 35,4

Chiarita l’essenza della patogenesi, le dinamiche si complicano se passiamo all’analisi dell’eziologia: cosa determina la frustrazione delle mete motivazionali, l’eccessiva intensità delle emozioni, l’incapacità di elaborarle in affetti e comportamenti adattivi?

Alla luce di quanto esposto finora posso affermare che siano gli assetti di base delle varie componenti della vita psichica che, interagendo, determinano l’eziologia di una psicopatologia. Un ruolo centrale, come si è visto, è rivestito dall’assetto motivazionale, ma molto importanti sono anche l’assetto somatico, emotivo, cognitivo, affettivo e comportamentale. Nel complesso, cioè, il globale funzionamento della personalità di un individuo.

Un assetto motivazionale caratterizzato da SMP/SMI prevalentemente rifiutanti, iperattivi o evitanti rende evidentemente, ma non necessariamente, più facile la frustrazione delle relative mete, ma non possiamo ritenerci esenti dalla possibilità di sofferenze psichiche se l’assetto motivazionale è sicuro o prevalentemente tale: la frustrazione delle mete motivazionali dettata da avverse vicende e il conseguente doloroso innalzamento del livello delle emozioni, a quel punto difficili da elaborare in positivo, è sempre possibile.

L’importanza dell’assetto somatico è evidente: una sua compromissione strutturale e/o funzionale determina le patologie psichiche di natura organica, comprensive di quelle di accertata origine genetica.

Un assetto emotivo di base, strutturalmente caratterizzato dal protrarsi e prevalere di intense emozioni di paura, rabbia, tristezza riconducibili a eventi di vita che hanno lasciato una traccia profonda nella mente, può non essere elaborato in senso adattivo per anni e determinare psicopatologie di lunga durata, così come può accadere a causa di assetti di base affettivi e comportamentali cristallizzati che continuano a produrre output disadattivi protraendo la frustrazione delle mete motivazionali.

Un ruolo centrale è chiaramente giocato, a livello neocorticale, dall’assetto cognitivo di base, costituitosi in anni di interazione con l’ambiente familiare e sociale, che con l’insieme delle credenze e dei pensieri che lo animano può gradualmente favorire o drammaticamente ridurre le capacità di elaborare le emozioni in affetti e comportamenti adattivi.

Queste le dinamiche eziologiche interne all’individuo, le uniche che, a mio avviso, possono essere considerate effettive dinamiche eziologiche.

La domanda che verrebbe spontaneo porre, infatti, sarebbe: quali esperienze di vita fanno sì che gli assetti di base di un individuo si strutturino in modo più o meno funzionale?

Quali, in sostanza, i fattori eziologici esterni all’individuo? Tutti e nessuno. Le esperienze che comportano la gratificazione delle mete motivazionali con alta probabilità risulteranno salutari per la mente della persona che le vive; all’opposto saranno quasi certamente patogene le esperienze che determinano una frustrazione delle mete motivazionali. Ma ovviamente non c’è una regola in tutto ciò.

Bambini abbandonati ospitati in istituti inadeguati possono uscirne con gravi psicopatologie, altri del tutto sani e ben funzionanti. Lo stesso dicasi per fratelli e sorelle, anche gemelli omozigoti, cresciuti in una stessa famiglia. Così un bambino vittima di bullismo può diventare una grave paranoico tanto quanto una persona felice e prospera. Subire un bombardamento, un tracollo economico, un grave abbandono dalla persona amata può dar luogo tanto a penosi disadattamenti psichici quanto essere i giusti stimoli per riprendere in mano la propria vita con più

Paolo Giardina

220 Psichiatria e Psicoterapia (2016) 35,4

determinazione e efficacia. La piena soddisfazione di tutte le mete motivazionali fin dall'infanzia garantisce, come si potrebbe credere, un benessere psichico stabile e protratto? Certamente no.

I fattori esterni all’individuo non possono, dunque, essere considerati fattori eziologici certi, ma solamente fattori potenziali di rischio o protezione.

Neppure gli assetti di base delle componenti della vita psichica, presi singolarmente, possono essere considerati fattori eziologici certi e sicuri, visto che neppure un assetto motivazionale prevalentemente rifiutante è l’indubitabile presupposto di un esito psicopatologico. Solo le dinamiche interattive tra gli assetti di base possono essere considerate eziologiche quando portano alla patogenesi, cioè alla produzione di affetti e comportamenti che invece di ridurre o annullare le frustrazioni delle mete motivazionali ne provocano la stabilizzazione o addirittura l’aumento.

Diretta conseguenza del modello patogenetico e eziologico delineato è la proposta di un modello psicodiagnostico dinamico e dimensionale basato e disegnato sulla mappa degli assetti di base e sulla rete delle loro interazioni in modo che risulti chiaro il percorso eziologico e patogenetico che conduce alla produzione degli affetti e dei comportamenti disadattivi. Un modello, dunque, non più statico e categoriale, che non si basi su diagnosi caratterizzate da un insieme di sintomi solamente descrittivi.

Il DSM-5 (American Psychiatric Association 2013) riveste ancora un’importanza fondamentale sia nella pratica clinica che in medicina legale e psichiatria forense, ma l’obiettivo negli anni a venire non può che essere il giungere a porre diagnosi funzionali che definiscano con più chiarezza le dinamiche eziologiche e patogenetiche sottese. Con ciò mi riallaccio brevemente a quanto scritto all’inizio del paragrafo. Dovremmo cercare di superare la logica di una netta separazione tra normalità e patologia basata sulla semplice rilevazione di un aggregato di sintomi. Dovremmo imparare a valutare il funzionamento di fondo dell’organismo somatopsichico cogliendo i moti di adattamento/disadattamento. Una psicopatologia, come anche una cardiopatia, non insorgono nel momento in cui si manifestano alcuni specifici sintomi. Le malattie, se proprio così vogliamo chiamarle, nascono molto prima e si costituiscono attraverso progressivi disadattamenti già di per sé patologici. A questi dobbiamo guardare.

Provando a “leggere” e “tradurre” le categorie diagnostiche del DSM-5 con il nuovo modello proposto si possono grossolanamente individuare alcuni disturbi essenzialmente caratterizzati dalla preponderanza di una delle quattro emozioni (tristezza nei disturbi depressivi, paura nei disturbi ansiosi, rabbia nei disturbi del controllo degli impulsi e della condotta, gioia apparente nei disturbi eccitatori), altri in cui tali emozioni si combinano in modo, a prima vista, confuso (ad esempio il disturbo borderline dove paura, rabbia e tristezza si contendono la scena o i disturbi paranoici dove paura e rabbia fanno tendenzialmente da padrone), altri ancora in cui la caratteristica patologica più evidente è l’output comportamentale con cui il soggetto tenta di dare risposta ai dolorosi input emotivi (l’ipercontrollo nei disturbi ossessivo-compulsivi, l’eccesso o le restrizioni di cibo nei disturbi alimentari psicogeni, l’assunzione di droghe nei disturbi da uso di sostanze).

Più differenziati risultano, come già accennato, i disturbi essenzialmente caratterizzati in modo comprovato da un disfunzionale assetto somatico (la maggior parte dei disturbi del neurosviluppo, neurocognitivi, indotti da sostanze/farmaci, dovuti ad altra condizione medica).

Dalla cura delle psicopatologie a un modello della mente e ritorno.

221Psichiatria e Psicoterapia (2016) 35,4

La prospettiva è tentare di superare gradualmente l’ottica diagnostica categoriale e sintomatica per giungere ad una visione dimensionale e funzionale in grado di valutare gli assetti (di base e attuali) motivazionali, somatici, emotivi, cognitivi, affettivi, comportamentali, il loro eziologico interagire disfunzionale e le conseguenti dinamiche patogenetiche.

Tutto ciò per favorire anche un rinnovato modo di fare psicoterapia. Definito, infatti, che la patogenesi dei disturbi psichici consiste invariabilmente nell’incapacità del soggetto di elaborare input emotivi disturbanti in output affettivi e comportamentali adattivi e che la loro eziologia è riconducibile alla disfunzionale interazione tra gli assetti di base motivazionali, somatici, emotivi, cognitivi, affettivi e comportamentali, va da sé che la psicoterapia dovrebbe essere centrata sull’acquisizione di una conoscenza e consapevolezza di tali dinamiche che permetta di comprendere il funzionamento dei propri assetti di base tentando di modificarli, se necessario, attraverso correttivi assetti attuali in modo che le frustrazioni motivazionali decrescano, si attenui la sofferenza emotiva e risulti più agevole l’elaborazione di output affettivi e comportamentali adattivi.

I lavoro con i miei pazienti si focalizza, infatti, sull’analisi dei loro sistemi motivazionali, sulla comprensione del significato delle loro emozioni, sulla messa in discussione di alcune delle loro credenze e pensieri, sulla attivazione di processi di problem solving che stimolino l’elaborazione di risposte affettive e comportamentali più adattive, il tutto connesso con una ricostruzione critica del proprio percorso di vita e dei momenti cruciali di cambiamento nella loro personale storia. Il caso clinico illustrato ne è un esempio.

In estrema sintesi, gli elementi innovativi proposti sono in primo luogo l’attenta analisi degli assetti di base e la comprensione delle loro interattive disfunzioni, ritenute i fattori eziologici del disturbo, in secondo luogo la forte focalizzazione sull’elaborazione delle emozioni in affetti e comportamenti disfunzionali, ritenuta il fattore patogenetico.

I risultati ottenuti, sinceramente mai sottoposti ad un’analisi statistica per motivi di tempo, sono, nel complesso, sufficientemente buoni e incoraggianti. Il proposito è migliorarne l’efficienza oltre che l’efficacia. I tempi, infatti, sono spesso troppo lunghi e il dispendio di energie mentali elevato. Un uso più mirato di esperienze emotive correttive, ideate con il paziente e da lui attivamente ricercate e messe in atto, potrebbe, ad esempio, più velocemente e efficacemente “colpire” e ristrutturare assetti di base disfunzionali incidendo direttamente e in modo più rapido sulle dinamiche eziologiche del disturbo.

Ci vorrebbe un po’ più di fantasia e coraggio. Spero che i miei pazienti mi aiutino dimostrando di averne più di me.

7. Cervello, mente, coscienza

Per concludere, trovo necessarie alcune brevi, essenziali riflessioni che pongano in relazione il modello di mente proposto con alcune tematiche su cui convergono gli interessi di psicologia, psichiatria, neuroscienze e filosofia della mente: la struttura del cervello e il suo percorso evolutivo, l’identità mente-cervello, la natura della coscienza.

Riguardo alla prima tematica il riferimento principale rimane la teoria del cervello trino di Mac Lean (1973) su cui è fondato il modello di mente proposto, mantenendo la distinzione

Paolo Giardina

222 Psichiatria e Psicoterapia (2016) 35,4

originaria tra cervello rettiliano, limbico e neocorticale, una distinzione determinata dall’incedere dei processi evolutivi. Una concezione dell’architettura della mente che dall’ambito delle neuroscienze è stata proficuamente introdotta nel campo della psicopatologia e della psicoterapia (Liotti 1994, 2001) favorendo un gemellaggio tra queste discipline che da allora si è ulteriormente rafforzato e sviluppato.

In Damasio (2010) e Panksepp (Panksepp e Biven 2012), in maniera più esplicita, si trovano recenti conferme sia della natura evoluzionistica della mente sia del sostanziale riconoscimento di tre livelli diversificati di funzionamento mentale collegati e gerarchicamente sovrapposti. Damasio individua, infatti, nel progressivo sovrapporsi delle strutture cerebrali del tronco, mesencefaliche e neocorticali l’evoluzione dal proto-sé al sé nucleare al sé autobiografico e il parallelo sviluppo della mente originariamente basata su una mappatura del corpo e su primordiali sentimenti di esistenza, successivamente capace di entrare in azione e di focalizzarsi su oggetti esterni, infine, divenuta consapevole di sé, in grado di raggiungere una sua dimensione sociale e spirituale.

Per Panksepp: ”Il CervelloMente è chiaramente un organo evolutivamente stratificato, fondato sugli affetti, i cui i passaggi evolutivi più importanti sono ancora evidenti nell’organizzazione cerebrale – le funzioni più antiche si concentrano nelle regioni cerebrali inferiori e più mediali, mentre quelle più recenti nelle regioni superiori e più laterali” (Panksepp e Biven 2012, p. 516) e si possono distinguere emozioni di processo primario, profondamente sottocorticali, apprendimenti di processo secondario, a livello limbico superiore, infine cognizioni di processo terziario, largamente neocorticali.

Il discorso si complica passando alla seconda tematica, il rapporto tra mente e cervello, una tematica, posta principalmente dalla filosofia della mente, che chiama inevitabilmente in causa neuroscienze, psicologia e psichiatria. “Al centro delle riflessioni su questo problema, così come dell’intera filosofia della mente, è il concetto di stato mentale… Ma che tipo di cosa è, esattamente, uno stato mentale? Che rapporto c’è tra uno stato mentale e uno stato cerebrale? Come può un sistema fisico qual è il cervello dare luogo a stati mentali?” (Paternoster 2010, p. 3).

L’osservazione clinica, in realtà, ci fornisce già di per sé una risposta chiara e inequivocabile sullo stretto legame tra mente e cervello, sulla loro sostanziale identità, superando definitivamente il dualismo cartesiano basato sulla distinzione tra una sostanza materiale, la res extensa, ed una sostanza mentale, la res cogitans. Cosa accade, infatti, alla nostra mente quando il cervello è colpito da un ictus, da una degenerazione atrofica o anche solo dal momentaneo effetto di una sostanza psicotropa? Le conseguenze sono immediatamente evidenti a conferma del fatto che mente e cervello costituiscono un unico insieme, che non esiste stato mentale che non sia associato ad uno stato cerebrale e che nulla possa accadere nella mente che non abbia un substrato fisico.

Siamo, dunque, nell’ambito del materialismo, del fisicalismo senza che, tuttavia, si debba scivolare verso un radicale riduzionismo in cui, ad esempio, l’emozione della paura debba essere descritta e studiata solo attraverso l’individuazione dei circuiti cerebrali che la sottendono perdendone il suo significato funzionale e adattivo. A maggior ragione dobbiamo evitare di cadere nelle paludi dell’eliminativismo, per il quale la mente non esiste e l’unico oggetto di

Dalla cura delle psicopatologie a un modello della mente e ritorno.

223Psichiatria e Psicoterapia (2016) 35,4

studio non può che essere il sistema nervoso, così come possiamo definitivamente superare il comportamentismo con la sua disarmante concezione della mente ritenuta talmente oscura e impenetrabile da non poter essere oggettivamente indagata. Il punto di arrivo è il funzionalismo, versione non riduzionistica del materialismo, che vede il cervello/struttura e la mente/funzione come due facce della stessa medaglia. Lo stesso rapporto esistente tra occhio e vista, stomaco e digestione, muscolo e forza. Cervello e mente: le neuroscienze si occupano del primo, psicologia (psicopatologia, psichiatria, psicoterapia) della seconda realizzando quel pluralismo esplicativo, basato sull’integrazione dei saperi, che sempre più si sta affermando sull’insensato, conflittuale tentativo di ridurre una scienza all’altra.

Si tratta anche di diversità di linguaggio, come sottolinea il monismo anomalo di Davidson (in Paternoster 2010): l’evento è unico, le relative spiegazioni e descrizioni possono essere collocate a due diversi livelli, fisico/cerebrale, psicologico/mentale. L’anomalia di cui parla Davidson sta nel fatto che non è semplice individuare delle leggi-ponte che connettano i due livelli di spiegazione e i due linguaggi descrittivi dell’unico evento. L’integrazione tra neuroscienze e psicologia sta dando importanti contributi in questo senso come dimostrano i lavori di Damasio, Panksepp e altri, ma la contemporanea pluralità e la complessità degli stati mentali-cerebrali non facilita certo il compito. Per questo credo che, volendo favorire l’integrazione dei saperi e dei linguaggi, le teorie e i concetti psicologici debbano essere formulati ed espressi in forme concettuali e linguistiche quanto meno astruse possibile evitando gli eccessi mentalistici. Il modello di mente che propongo è, infatti, molto concreto, esplicito, fondato sull’individuazione di componenti della mente che hanno una loro materialità (mete motivazionali, emozioni, cognizioni, affetti, comportamenti), una loro collocazione nell’architettura cerebrale, una loro precisa, chiara e comprensibile funzione.

È un modello che in parte si riconduce alla classica teoria computazional-rappresentazionale della mente (TCMR) di Fodor (in Paternoster 2010) secondo la quale i processi cognitivi sono computazioni/elaborazioni effettuate su rappresentazioni mentali (input) che producono un risultato comportamentale (output). Se ne differenzia, tuttavia, per l’importanza che a mio avviso rivestono non solo i processi cognitivi neocorticali ma anche quelli limbici, che possono elaborare direttamente gli input emotivi in output affettivi, e quelli rettiliani in cui un impulso determina immediatamente un comportamento riflesso, mentre “i teorici più rigidi e rigorosi del computazionalismo hanno spesso desiderato di reputare il problema delle emozioni un falso problema. Le emozioni sarebbero soltanto una modalità particolare di rappresentazione mentale delle cognizioni" (Ruggiero 2011, p. 140).

Analoga differenziazione si pone rispetto al cognitivismo clinico che dopo molti anni di razionalismo puro ha vissuto una svolta romantica dedicando in vario modo più attenzione ai processi emotivi, senza, tuttavia, approfondirne pienamente il significato, senza connetterli alle dinamiche motivazionali (a parte il cognitivismo evoluzionista di Liotti) né, tantomeno, distinguendoli dai processi affettivi e cogliendone la loro diversa funzione di input e output limbici. Così, per il cognitivismo clinico l’emozione “conserva sempre un elemento di opacità… L’emozione è un segnale, un messaggio interno ed esterno a un tempo, che ci comunica il nostro stato, di soddisfazione o meno. Ma poco ci dice su che cosa non ci soddisfa, dove abbiamo fallito, dove abbiamo mancato o dove il mondo ci ha deluso” (Ruggiero 2011, p. 144).

Paolo Giardina

224 Psichiatria e Psicoterapia (2016) 35,4

Quanto illustrato nei paragrafi precedenti credo contribuisca ad una più chiara comprensione del significato delle quattro emozioni, della loro origine, della loro funzione nelle dinamiche mentali e del loro potenziale psicopatogenetico se elaborate in modo disadattivo.

Per ultimo, qualche considerazione su come il modello di mente proposto si ponga riguardo alla spinosa tematica relativa alla natura della coscienza. Recentemente Thomas Nagel (2012), stimato filosofo della mente, ha riproposto tesi critiche nei confronti di fisicalismo e funzionalismo ritenendoli non in grado di fornire una spiegazione delle esperienze soggettive (qualia), dei fenomeni coscienti non riconducibili, a suo avviso, ad una base fisico-chimica: “Per spiegare il comportamento del mondo inanimato, si è inferita l’esistenza di elementi fondamentali e la validità delle leggi della fisica e della chimica. C’è bisogno di qualcosa di più per spiegare come possano esistere creature coscienti e pensanti i cui corpi e cervelli sono composti di quegli stessi elementi” (pp. 24-25), ”La coscienza è l’ostacolo più evidente a un naturalismo globale che si affidi solo alle risorse della fisica” (p. 89). Con tali argomentazioni l’obiettivo di Nagel è di criticare, in realtà, il materialismo su cui si fonda la teoria dell’evoluzione più che le neuroscienze e la psicologia in sé. Ha ricevuto, ovviamente, varie controcritiche molto ben sintetizzate da Telmo Pievani (2015) che tra le varie considerazioni pone in evidenza come lo stesso Nagel ammetta di voler confutare una comprovata teoria scientifica attraverso tesi filosofiche. Sarò, forse, drasticamente materialista, ma a me pare che i dubbi di Nagel sulla natura incerta e, comunque, immateriale della coscienza naufraghino semplicemente indagando su come si trasformino gli stati soggettivi quando processi di atrofizzazione attaccano i neuroni. Difficile smentire che la coscienza abbia una base organica chimico-fisica.

Ciò detto, non è affatto facile definire cosa si intenda per coscienza e quale sia il suo substrato cerebrale. Liotti (1994), facendo riferimento a Edelman e alla sua distinzione tra coscienza primaria e coscienza di ordine superiore, ne ha messo in luce la dimensione interpersonale derivante proprio dalla funzione svolta dai Sistemi Motivazionali Interpersonali.

Anche Damasio (2010), in sintonia con la concezione stratificata ed evoluzionistica dell’architettura cerebrale, distingue una coscienza nucleare che dà vita ad un sé nucleare ed una coscienza estesa che genera un sé autobiografico precisando che: “Un sé esiste davvero, tuttavia, si tratta di un processo, non di una cosa” (p. 19).

Allo stesso modo Paternoster analizzando gli sviluppi recenti del dibattito sulla coscienza afferma: “Forse l’unico risultato abbastanza solido è che la nozione di coscienza non si riferisce a qualcosa di unitario: disponiamo di molti indizi per affermare che, lungi dall’esservi un centro della coscienza, questa emerge bensì dall’attivazione parallela di molteplici circuiti cerebrali, che realizzano quelli che Daniel Dennett, già nella monografia del 1991, chiamava le “agenzie cognitive subpersonali”. Dunque la coscienza non è una funzione sovraimposta in modo gerarchico alle altre attività cognitive, ma è distribuita nel cervello, nei circuiti dedicati alle varie funzioni cognitive, somatosensoriali e motorie. Una conseguenza in qualche misura sconcertante di questa tesi sembra essere che non esiste un io unitario. Ciò che intendiamo comunemente per io (o autocoscienza), lungi dall’avere un sostrato psicobiologico, sarebbe una sofisticata costruzione linguistico-culturale” (Paternoster 2010, pp. 220-221).

Il modello di mente proposto nel presente lavoro non si discosta da tale concezione e non prevede, infatti, la presenza di alcun “centro direzionale”, nessun Io o Sé, nessun homunculus

Dalla cura delle psicopatologie a un modello della mente e ritorno.

225Psichiatria e Psicoterapia (2016) 35,4

che diriga le operazioni mentali, nessun direttore d'orchestra, solo un insieme di strumentisti, di componenti funzionali (la cui causalità si estrinseca attraverso processi chimico-fisici cerebrali) che risultano, tuttavia, non caoticamente assortite ma ben definite, concatenate e finalizzate.

Comprendere come l’unità mente-cervello si estrinsechi attraverso le interconnesse dinamiche motivazionali, somatiche, emotive, cognitive, affettive, comportamentali credo eviti sia il rischio di ridurre la mente a meri processi biologici sia di espanderla e disperderla in teorie troppo astruse espresse in un linguaggio mentalistico privo di concretezza.

Ne consegue che anche le psicopatologie possono essere comprese evitando quelle sterili contrapposizioni tra organicisti e mentalisti che hanno portato gli autori del DSM-5, e delle sue precedenti edizioni, a prenderne le distanze per evitare di schierarsi, giungendo ad una neutra classificazione dei disturbi mentali basata solamente sull’individuazione di aggregati di sintomi. È, anzi, proprio lo studio clinico-fenomenologico delle psicopatologie, scientificamente affidabile se realizzato in modo quanto più oggettivo e controllato possibile (Marraffa, Paternoster 2012, pp. 190-191), che, indagando sui processi di disadattamento, può rendere più chiari i processi di funzionamento della mente, oltre a costituire la premessa per più efficienti metodi e percorsi di cura.

Riassunto

Parole chiave: mente-cervello, sistemi motivazionali, emozioni-affetti, eziopatogenesi dei disturbi psichici

L'Autore, dando seguito a suoi precedenti contributi, propone un modello della mente, elaborato a partire da una lunga esperienza di lavoro clinico in un servizio pubblico di salute mentale, che permetta di comprendere meglio i processi eziologici e patogenetici dei disturbi psichici favorendo una loro più funzionale classificazione.Il modello proposto è basato su una ridefinizione dei Sistemi Motivazionali che animano la vita psichica e su una concezione innovativa sia della funzione svolta dalle emozioni che del loro dinamico interagire con gli affetti e le cognizioni fino alla produzione di comportamenti che possono risultare adattivi, potenzialmente sani, o disadattivi, potenzialmente patologici.Il confronto con alcuni contributi delle neuroscienze affettive e della filosofia della mente ha permesso, inoltre, di dare al modello proposto una sua collocazione nell'ambito del dibattito sui rapporti mente-cervello e la natura della coscienza.

FROM THE CURE OF THE PSYCHOPATOLOGIES TO A MODEL OF THE MIND AND BACK. ROUTES OF TRAVEL BETWEEN MOTIVATIONS, EMOTIONS, AFFECTIONS AND COGNITIONS

Abstract

Key words: brain-mind, motivational systems, emotions-affections, etiopathogenesis of mental disorders

The Author, following up on his earlier contributions, proposes a model of the mind, resulting from extensive clinical experience working in the public mental health service, which allows better understanding of the etiological and pathogenetic processes of mental disorders promoting their more functional classification.

Paolo Giardina

226 Psichiatria e Psicoterapia (2016) 35,4

The proposed model is based on a redefinition of Motivational Systems which drive psychic life and on an innovative concept regarding both the role played by emotions and their dynamic interactions with affections and cognitions to the production of behaviours that may be well adapted, potentially healthy, or maladapted, potentially pathological. The comparison with some contributions of affective neuroscience and philosophy of the mind also gives the proposed model its place in the debate on the mind-brain relationship and the nature of consciousness.

Bibliografia

American Psychiatric Association (2013). Diagnostic and statistical manual of mental disorders, fifth edition, DSM-5. American Psychiatric Publishing, Arlington. Tr. it. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, quinta edizione, DSM-5. Raffaello Cortina, Milano.

Borgna E (2001). L’arcipelago delle emozioni. Feltrinelli, Milano.Bowlby J (1969). Attachment and loss, vol. 1. Hogarth Press, London. Tr. it. Attaccamento e perdita, vol. 1.

Boringhieri, Torino 1972.Bowlby J (1973). Attachment and loss, vol. 2. Hogarth Press, London. Tr. it. Attaccamento e perdita, vol. 2.

Boringhieri, Torino 1978.Bowlby J (1979). The making and breaking of affectional bonds. Tavistock, London. Tr. it. Costruzione e

rottura dei legami affettivi. Raffaello Cortina, Milano 1982.Bowlby J (1980). Attachment and loss, vol. 3. Hogarth Press, London. Tr. it. Attaccamento e perdita.

Boringhieri, Torino 1983.Bowlby J (1988). A secure base. Routledge, London. Tr. it. Una base sicura. Raffaello Cortina, Milano 1989.Cortina M, Liotti G (2014). Una concezione evoluzionistica della motivazione: implicazioni per il dialogo

clinico. Psicoterapia e scienze umane XLVIII, 1, 23-72. Franco Angeli, Milano.Damasio AR (1999). The feeling of what happens: body and emotion in the making of consciousness. Harcourt

Brace, New York. Tr. it. Emozione e coscienza. Adelphi, Milano 2000.Damasio AR (2003). Looking for Spinoza. Joy, sorrow and the feeling brain. Harcourt Inc., Orlando. Tr. it.

Alla ricerca di Spinoza. Emozioni, sentimenti e cervello. Adelphi, Milano 2003.Damasio AR (2010). Self comes to mind. Constructing the conscious brain. Tr. it. Il sé viene alla mente. La

costruzione del cervello cosciente. Adelphi, Milano 2012.Darwin CR (1872). The expression of the emotions in men and animals. John Murray, London. Tr. it.

L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali. Bollati Boringhieri, Torino 1999.Eagle M N (2011). From classical to contemporary psychoanalysis. Routledge Inc., London. Tr. it. Da Freud

alla psicoanalisi contemporanea. Raffaello Cortina, Milano 2012.Freud S (1920). Al di là del principio di piacere. In Opere, vol. 9. Bollati Boringhieri, Torino 1989.Giardina P (2015a). Sistemi motivazionali e psicopatologia. Uno studio di quindici casi di depressione.

Psichiatria e Psicoterapia 34, 2.Giardina P (2015b). Paura e ipercontrollo. Lo studio di ossessioni e compulsioni in sedici casi clinici.

Psichiatria e Psicoterapia 34, 4. Gilbert P (1989). Human Nature and suffering. Erlbaum, London.Holmes J (1993). John Bowlby and attachment theory. Routeledge, London. Tr. it. La teoria dell’attaccamento.

John Bowlby e la sua scuola. Raffaello Cortina, Milano 1994.Holmes J (2001). The search for the secure base. Attachment theory and psychoterapy. Brunner-Routledge,

London. Tr. it. Psicoterapia per una base sicura. Raffaello Cortina, Milano 2004.Laplanche J, Pontalis JB (1967). Vocabulaire de la psychanalyse. Presses Universitaires de France, Paris. Tr.

it. Enciclopedia della psicoanalisi, vol. 1. Laterza & Figli, Roma-Bari 1993.Lichtenberg JD (1989). Psychoanalysis and motivation. The Analytic Press, Inc., Hillsdale. Tr. it. Psicoanalisi

e sistemi motivazionali. Raffaello Cortina, Milano 1995.Lichtenberg JD, Lachmann FM, Fosshage JL (1992). Self and motivational systems. Towards a theory of

psychoanalytic technique. The Analitic Press, Hillsdale. Tr. it. Il sé e i sistemi motivazionali. Verso una

Dalla cura delle psicopatologie a un modello della mente e ritorno.

227Psichiatria e Psicoterapia (2016) 35,4

teoria della tecnica psicoanalitica. Astrolabio, Roma 2000.Lichtenberg JD, Lachmann FM, Fosshage JL (2011). Psychoanalisis and motivational systems: a new look.

Routledge, New York-London. Tr. it. I sistemi motivazionali. Il Mulino, Bologna 2012.Liotti G (1994). La dimensione interpersonale della coscienza. La Nuova Italia Scientifica, Roma.Liotti G (2001). Le opere della coscienza. Psicopatologia e psicoterapia nella prospettiva cognitivo-

evoluzionista. Raffaello Cortina, Milano.Liotti G, Monticelli F (2008) (a cura di) I sistemi motivazionali nel dialogo clinico. Il manuale AIMIT.

Raffaello Cortina, Milano.Mac Lean PD (1973). A triune concept of the brian and behaviour. University of Toronto Press, Toronto and

Buffalo. Tr. it. Evoluzione del cervello e comportamento umano. Studi sul cervello trino. Einaudi, Torino 1984.

Marraffa M, Paternoster A (2012). Persone, menti, cervelli. Storia, metodi e modelli delle scienze della mente. Mondadori Università, Milano.

Maslow AH (1954). Motivation and personality. Harper & Row Publishers, New York. Tr. it. Motivazione e personalità. Armando Editore, Roma 2010.

Nagel T (2012). Mind and cosmos. Why the materialist neo-darwinian conception of nature is almost certainly false. Oxford University Press. Tr. it. Mente e cosmo. Perchè la concezione neodarwiniana della natura è quasi certamente falsa. Raffaello Cortina, Milano 2015.

Nagera H (1970) (a cura di) Basic psychoanalytic concepts on the theory of instincts. Allen &Unwin, Londra. Tr. it. I concetti fondamentali della psicoanalisi. 1: pulsioni e teoria della libido. Bollati Boringhieri, Torino 1978.

Panksepp J (2009). I sistemi emotivi del cervello e le qualità della vita mentale. Dai modelli affettivi animali alle implicazioni per le psicoterapie. In D Fosha, DJ Siegel, MF Solomon The healing power of emotion. Affective neuroscience, development & clinical practice. W.W. Norton & Company, New York-London. Tr.it. Attraversare le emozioni. Neuroscienze e psicologia dello sviluppo, vol. 1, pp.17-48. Mimesis, Milano-Udine 2011.

Panksepp J, Biven L (2012). The archaeology of mind. Tr. it. Archeologia della mente. Origini neuroevolutive delle emozioni umane. Raffaello Cortina, Milano 2014.

Paternoster A (2010). Introduzione alla filosofia della mente. Laterza & Figli, Roma-Bari.Pievani T (2015). Il naufragio filosofico di Thomas Nagel. MicroMega 8/2015.Plutchik R (1994). The psychology and biology of emotion. HarperCollins College Publishers, New York. Tr.

it. Psicologia e biologia delle emozioni. Bollati Boringhieri, Torino, 2014.Ruggiero GM (2011). Terapia cognitiva. Una storia critica. Raffaello Cortina, Milano.

Paolo GiardinaPsicologo, psicoterapeuta. Dipartimento Salute Mentale. Azienda Socio Sanitaria Territoriale di Pavia.

CorrispondenzaE-mail: [email protected]