Dal Verbano al Cusio - Scuola Media di Piancavallo Dal Verbano al Cusio/Dal... · Le colonne furono...

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Salve

Viaggio nel VCO Dal Verbano al Cusio

Scuola Media di Piancavallo (VB)

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In questa parte del nostro viaggio visiteremo:

Il Montorfano e la sua storia

Il paese di Montorfano e la sua chiesa romanica

La regione del Cusio

La Valle Strona e Campello Monti

Quarna paese della Musica

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Il MONT’ORFANO: la sua storia

Il Mont’Orfano, alto appena 794 metri, deve il suo nome al fatto che si erge solitario all’imbocco della Val d’Ossola, sopra la pianura alluvionale di Fondotoce, che divide il lago di Mergozzo dal lago Maggiore.

Il Mont’Orfano, il fiume Toce, a destra il lago Maggiore, a sinistra il lago di Mergozzo

Abbandoniamo ora le sponde del Verbano e ritorniamo poco oltre Fondotoce da dove siamo partiti.

Vi accompagnerò a visitare il piccolo e poco conosciuto paesino di

Montorfano, che come il suo monte ha parecchie particolarità…

Ma prima di raggiungere il paese vi devo dare alcune informazioni sul

piccolo povero monte, proprio orfano…e solitario!

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Il lago di Mergozzo, ha preso il nome dal piccolo paese che si trova sulle sue sponde, a pochi chilometri da Verbania. Un tempo lo specchio d’acqua era unito al lago Maggiore ma con il passare degli anni, i detriti portati nel lago dal fiume Toce hanno creato una barriera naturale. Il fiume Toce, che nasce in alta Val Formazza dall’unione di tre ruscelli, dopo aver percorso l’alta e la bassa Ossola, si immette nel lago Maggiore tra gli abitati di Feriolo e Fondotoce. Il grande ghiacciaio pleistocenico della Val d’Ossola che dal Monte Rosa, dal Monte Leone e dall’Arbola si spingeva verso Sud sino a riempire i bacini del Lago Maggiore e del Lago d’Orta, sommergeva completamente il Mont’Orfano, ma le sue rocce granitiche hanno resistito all’erosione.

Sullo sfondo la striscia di terra che divide ora i

due laghi

Foce del Toce nel lago Maggiore

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Si tratta di rocce molto profonde e antiche, di età ercinica, venute alla luce grazie ai processi tettonici che hanno generato le montagne alpine. Il territorio del lago Maggiore è stato più volte nel tempo occupato da un ghiacciaio di tipo “pedemontano”, cioè un ghiacciaio vallivo che esce fuori dalla valle e si espande in un grande lobo. Il flusso verso il basso è stato sicuramente un potente mezzo di erosione e di escavazione del territorio. Questi ghiacciai, infatti, rimodellavano le valli preesistenti allargandole, modificandole e scavandole in profondità. In questa loro azione i ghiacciai portavano a valle tutti i detriti accumulati sul fronte del ghiacciaio creando degli sbarramenti simili a dighe a sbarrare le valli stesse. In questi invasi si raccolse l’acqua che diede origine ai grandi laghi prealpini come il lago Maggiore, frutto del ritiro dell’ultima fase glaciale intorno a 15 mila anni fa. Il ghiacciaio, tuttavia, dopo il suo ritiro, ha lasciato anche sul Mont’Orfano numerose tracce: superfici arrotondate e striate, rocce affioranti e grossi massi erratici, fino sulla sua sommità. Si ritiene che il Mont’Orfano costituisca un corpo unico con il Mottarone che gli sta di fronte. Pochi sanno che fino all’ottocento il Mottarone era chiamato Il Margozzolo, ora invece viene chiamato “La montagna tra i due laghi” perché è inserito tra il lago Maggiore e quello d’Orta. Il Mont’Orfano appare tuttora profondamente segnato da un’intensa attività estrattiva, soprattutto di granito bianco, che ebbe inizio fin dal lontano Medioevo. Il granito bianco è una pietra di aspetto granulare con piccole punteggiature nere per la presenza di biotite. È una roccia di origine vulcanica formatasi circa 300 milioni di anni fa dal magma solidificato all’interno di una massa rocciosa preesistente e successivamente erosa. Nella parte rivolta verso l’Ossola esisteva, fino a pochi decenni fa, una cava di granito verde, per l’abbondante presenza di clorite, cava ormai dimessa per esaurimento del filone estrattivo.

Mont’Orfano a sinistra, Mottarone a destra in mezzo la piana del Toce,

sullo sfondo il lago Maggiore

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Già nel 1506 vennero realizzate con questo granito bianco le 12 colonne per il porticato del Lazzaretto di Milano, colonne che furono trasportate attraverso il Toce, poi il lago Maggiore, il Ticino e infine il Naviglio. Nel 1830, sul piccolo monte c’erano ben 39 cave. Tra le numerose opere realizzate con questo bellissimo materiale di Mont’Orfano, si possono ricordare le 82 colonne per la ricostruzione della basilica romana di San Paolo fuori le Mura, ma due colonne scartate rimasero alla cava e una di queste è la colonna che troviamo ora nel Vecchio Porto di Intra. Le colonne furono trasportate a Roma con un lungo viaggio su via d’acqua, durato ben quattro anni.

Cava di granito verde dismessa

Una cava di granito bianco vista dalla sponda del Toce

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La storia di questo piccolo monte è stata sempre segnata dalla sua posizione strategica. I romani, poiché all’epoca le acque del Lago Maggiore giungevano a lambire il massiccio, costruirono qui un porto che facilitasse la comunicazione con le Gallie, fornendolo di torri di vedetta. Durante la prima guerra mondiale il monte fu fortificato con torrette di avvistamento e sentieri militari, che facevano parte di quella grande opera di fortificazione delle Alpi, a scopo di difesa, conosciuta come “Linea Cadorna”. Oggi quelle strade militari si sono trasformate in percorsi panoramici per tranquille passeggiate. Una passeggiata, comoda, facile e molto panoramica è il “sentiero azzurro” che si imbocca poche centinaia di metri dall’inizio della strada che, dalla stazione ferroviaria di Fondotoce, sale al piccolo paesino di Montorfano. Il sentiero, nel bosco, percorre a mezza costa il monte fino all’inizio dell’abitato di Mergozzo dove una tappa irrinunciabile è L’Antiquarium in cui sono esposti importanti reperti archeologici che testimoniano la presenza di antichi insediamenti preromani e romani. Tra i reperti preistorici si ricorda l’ara di Giove e steli funerarie con iscrizioni leponzio – liguri. Il nome Mergozzo deriverebbe da Muregocium (Acqua nera). A circa due chilometri da Mergozzo si trova la cava di marmo di Condoglia, la cava madre del Duomo di Milano, di proprietà ancora oggi della veneranda fabbrica del Duomo. La cava è visitabile su prenotazione. Un’altra piacevole passeggiata, anche se un po’ più faticosa perché maggiore è il dislivello da percorrere, permette di raggiungere la vetta seguendo la vecchia via delle cave, incontrando le “casermette” fatte costruire dal generale Cadorna, completamente in granito del posto e abbastanza ben conservate. Sono ancora visibili sui muri le scritte dei soldati della prima guerra mondiale e le torrette per le sentinelle. Lungo la strada che collega Gravellona Toce a Verbania, si devia in direzione di Mergozzo sino in località Prato Michelaccio, dove inizia il sentiero di salita.

Una delle casermette della linea Cadorna

sul Mont’Orfano

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Il Mont’Orfano, solitario tra i due laghi, separati dai depositi del fiume Toce

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Montorfano paese

e la chiesa romanica di San Giovanni Battista

“…così ignorato e nascosto nel verde, incavato in un monte che sembra abitato dagli spiriti, non arriva mai nessuno, neanche sbagliando strada…”

Montorfano è un piccolissimo paese composto da un pugno di case in pietra edificate alle pendici del Mont’Orfano. Venti case, poche decine di abitanti, due chiese, uno spaccio alimentare bar, una fontana e una strada carrozzabile che collega con il piano. Piccole case, molto graziose, tutte ben ristrutturate e un centro di accoglienza che offre la possibilità di dormire a circa 25/30 persone.

Seguitemi…un po’ di salita e andiamo a vedere un gioiellino…un paese dal

sapore di altri tempi…con una storia particolare.

Vedremo poi la bella e sobria chiesa dedicata a San Giovanni Battista in

granito bianco.

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Perché due chiese per appena 56 abitanti? Perché 28 Montorfanesi sono cattolici e 28 sono protestanti. La storia di questa scissione risale a poco meno di un secolo fa quando erano tutti cattolici ed un prete saliva, una volta a settimana, per celebrare la messa nella bella chiesetta romanica del ‘600. Ma un giorno tornò dall’America un abitante del paese con tanti dollari e di fede protestante, di cui fece ampia propaganda tra parenti e compaesani. Il paese fu ben presto diviso in due fazioni, la cattolica e la evangelica e il protestante d’America, pur di non darla vinta a coloro che lo osteggiavano, fece costruire con i suoi risparmi una seconda chiesa. Da allora i pochi abitanti sono rimasti schierati in modo imparziale, esattamente a metà tra le due fedi, però alla loro morte sono sepolti tutti insieme nel piccolissimo cimitero cattolico, che si incontra a lato della strada salendo, un po’ prima delle abitazioni, all’ombra di castagni secolari e cespugli di agrifiglio.

La ex-chiesa evangelica

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Fa parte di questo grazioso agglomerato di case uno splendido edificio romanico di particolare interesse per la sua insolita struttura e per essersi quasi completamente conservato nel corso dei secoli. Di una preesistente chiesetta si ha già notizia in una carta dell’anno 885. In essa, l’arcidiacono della cattedrale di Novara Reginaldo da Pombia dona alla cattedrale un uliveto di sua proprietà sito in loco et fundo muregocio confinante con la terra sancti Iohannis, da cui si deduce che lì esisteva già una chiesa in alto Medioevo. Risale poi al 1256 una descrizione molto meticolosa dell’edificio da parte del vescovo di Novara Bascapè. Nei documenti della sua visita pastorale si trova una descrizione dell’edificio con grande ricchezza di dettagli. Nel 1717 il vescovo Gilberto Borromeo cita la costruzione di un piccolo campanile in facciata. Situata ai margini del piccolo villaggio di Montorfano, è l’unica chiesa romanica di impianto cruciforme nella diocesi di Novara orientata verso oriente secondo l’uso antico. La navata è coronata da una cupola ottagonale che termina in un abside con finta tribuna esterna con colonnette e capitelli neolombardi in pietra di Angera. Radicali interventi di ripristino, condotti dal Gruppo Archeologico di Mergozzo tra il 1970 e ultimati dalla Sovrintendenza Archeologica del Piemonte nel 1984, hanno rivelato un complesso paleocristiano e una basilica triabsidata di epoca carolingia. Tra gli interventi di recupero si è resa necessaria la demolizione di una abitazione del ‘700 e della sacrestia addossata al corpo principale. Gli scavi archeologici, infatti, hanno rilevato la presenza, all’interno della chiesa attuale, di un battistero paleocristiano del V-VI secolo di cui rimane tuttora visibile il fonte battesimale, di forma ottagonale all’esterno e circolare all’interno. All’esterno della chiesa, adiacenti al fianco sud, sono invece tornate alla luce le fondazioni di una costruzione a navata unica, conclusa da tre absidi, databile al periodo carolingio tra la fine del VIII secolo e l’inizio del IX secolo, già menzionata nella pergamena dell’885, e alcune tombe medievali. Questi interventi di recupero hanno eliminato le aggiunte sei-settecentesche e ricostruito la struttura originaria, realizzata in più fasi tra l’XI secolo (abside) e il tardo XII secolo (facciata).

La chiesa romanica di San Giovanni Battista come appare all’arrivo in paese

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La facciata d’ingresso, il fonte

battesimale e gli scavi

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La muratura è in blocchi, squadrati con cura, realizzati con materiali diversi: granito, serizzo e diorite, disposti in corsi orizzontali. Questi materiali derivano da massi erratici sparsi trovati in loco, e non sono il risultato di un unico momento di costruzione. Infatti le cave furono attivate solo più tardi. Le pareti esterne sono coronate da file di archetti in cotto o in pietra calcarea che poggiano su mensoline ornate da motivi antropomorfi e zoomorfi e disegni geometrici, incisi o a rilievo. Al centro della facciata a capanna si apre il portale, con profilo esterno ad archivolto, sormontata da una finestra monofora; altre quattro ampie monofore compaiono in posizione simmetrica nei fianchi della navata. L’abside semicircolare è conclusa all’esterno da una galleria di fornici, impostati su colonnine che sorreggono capitelli-mensola variamente decorati; parte di questi elementi provengono sicuramente da un edificio più antico. Nel punto di incontro dei due bracci della croce, si innalza un tiburio di forma ottagonale, concluso da un lanternino a pianta quadrata. L’interno, pure molto sobrio e a una sola navata, racchiude un bel capitello decorato usato come acquasantiera. La copertura interna, a volta in muratura, appare originaria.

La bellezza della sobrietà

dell’esterno.

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La pala d’altare di Luigi Reali, raffigurante la Madonna del Carmine tra i SS. Giovanni Evangelista e Rocco, è stata dipinta a olio su tela e risale alla metà del XVII secolo; l’antependium in scagliola è datato 1724 e firmato da Pietro Solari di Verna in Valle d’Intelvi. L’antica devozione a San Giovanni Battista attesta la grande importanza civile e religiosa di questo posto, e il suo battistero, il più antico fino ad ora ritrovato in Ossola, sembra essere stato il principale punto di riferimento per la cristianizzazione dell’Ossola inferiore e dei territori del verbano.

La pala d’altare

Una bella immagine della chiesa

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Mont’Orfano offre anche alcuni punti panoramici molto affascinanti con vista sul golfo Borromeo, la foce del Toce, la piana dove si trova Gravellona Toce e salendo ancora un po’ è possibile avere una visione a 360 gradi che comprende anche la valle dell’Ossola Inferiore.

Panorama dal Belvedere

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La regione del Cusio

Il nome Cusio, che viene attribuito al lago d’Orta, è di origine incerta. Potrebbe derivare dal vocabolo latino Cuscus o Clisius, per indicare un lago dalle caratteristiche alquanto particolari. Infatti è l’unico lago prealpino ad avere un emissario a nord. Secondo altri, il nome deriverebbe dalla tribù degli Usii che avrebbe abitato la regione prima della dominazione romana. Dalla stessa tribù avrebbe preso il nome il Monte Cremisino, da Crem monte e Usium degli Usi. Abitualmente il nome Cusio viene usato per indicare tutto il territorio compreso tra la Valsesia e il lago Maggiore. La definizione dei suoi limiti non è agevole a causa della particolare morfologia del territorio. Tutta la zona è stata teatro di una imponente invasione glaciale: il grande ghiacciaio dell’Ossola giunto presso lo sbocco attuale del fiume Toce nel lago Maggiore si suddivideva in due rami; il ramo maggiore proseguiva seguendo quello che è l’attuale solco del lago, l’altro sempre di dimensioni non trascurabili seguiva il solco del torrente Strona e del lago d’Orta. La massa glaciale, nella fase dei maggiori depositi morenici doveva avere uno spessore di oltre 1000 metri e si allungava fino a Gozzano con una pendenza del 10%. Nel periodo di regresso del ghiacciaio, la massa glaciale ha lasciato numerosi depositi morenici, laterali e frontali.

Il lago dall’alto

Ci lasciamo alle spalle il Mont’Orfano e andiamo a scoprire la zona del Cusio,

antico nome con cui i romani chiamavano il lago d’Orta e iniziamo con

un po’ di storia…

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Il lago d’Orta, posto a 290 metri s.l.m., è l’elemento predominante del paesaggio cusiano. La sua configurazione è quella di una lunga e stretta fenditura simile a quella degli altri grandi laghi prealpini. La sua lunghezza è di 13 chilometri e appena 2,5 di larghezza, alimentato da torrenti che confluiscono nello Strona. L’unica isola è quella di San Giulio, detta l’Isola del silenzio per la presenza del monastero benedettino, si visita solo a piedi con una passeggiata che è un invito alla meditazione. L’isola è occupata dalla basilica di San Giulio, fondata dal santo nel 390. La tradizione vuole che in epoche remote l’isola fosse dominata da mostruosi serpenti che infestavano la zona distruggendo qualunque cosa. La paura durò fino a quando Giulio, diacono greco del IV secolo, che si diceva fosse in grado di comandare le acque del lago, scacciò gli animali con un gesto della mano dopo essere salito sul mantello appoggiato sull’acqua come fosse stato una barca. La chiesa, visitabile, custodisce le spoglie del santo e attraverso varie modifiche e ricostruzioni, ha assunto l’attuale struttura intorno all’anno mille. Unico tra i laghi prealpini, il lago d’Orta versa le sue acque a nord, in un emissario la Nigoglia che a circa un chilometro dal lago confluisce nel torrente Strona che scende dalla valle omonima e si versa a sua volta nel Toce a circa un chilometro dalla sua foce nel lago Maggiore. Il deflusso delle acque del lago nella Nigoglia è regolato, da 1982, meccanicamente mediante una diga a paratie movibili.

In fondo le paratie mobili

Le montagne cusiane

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Su tutto il Cusio, spirano quotidianamente dei venti che durante il giorno soffiano dalla pianura ai monti, di sera e di notte soffiano dalle montagne a valle e prendono il nome di tramontana e inverna. Specialmente in estate spirano altri venti più o meno impetuosi, accompagnati spesso da forti temporali. Un aspetto saliente del clima fino a qualche anno fa, era senza dubbio l’alta piovosità che ha sempre condizionato il regime degli immissari del lago. All’estremità settentrionale del lago si trova Omegna, il cui borgo medioevale era cinto da mura in cui si aprivano 5 porte delle quali oggi resta solo quella che tutti chiamano la Porta Antica. Omegna, la romana Voemenia, che appartenne poi al ducato longobardo e ai conti di Castello e Biandrate e oggi è la capitale industriale del lago d’Orta. Infatti la cittadina è rinomata per le numerose industrie di casalinghi, come Bialetti, Lagostina, Piazza, Calderoni e Alessi. Il centro è attraversato dal torrente Nigoglia, che come già descritto percorre Omegna “al contrario” essendo un emissario del lago che termina la sua breve corsa dopo appena un chilometro.

La Nigoglia

Omegna dall’alto

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Per gli amanti dei dolci sapori ci sono le imperialine, cialde dolci e croccanti, a base di nocciole e cioccolato e le reginette, con mandorle e cioccolato. Al di là di alcuni scorci interessanti dal punto di vista architettonico delle belle case signorili e per il tipico impianto a pettine dell’antico borgo dei pescatori, con le case separate da stretti passaggi tutti orientati verso il lago, il monumento più significativo è la Collegiata di Sant’Ambrogio. Il complesso, realizzato nel X secolo, conserva ancora il campanile originale e nella chiesa sono conservati alcuni tesori artistici, tra i quali un gruppo ligneo con San Carlo e la Madonna oltre ad altri dipinti appartenenti ad epoche diverse. In una vicina area industriale, ora dimessa, è stato realizzato il Parco Rodari, un centro culturale polifunzionale gestito dalla Fondazione Arti e Industria di Omegna. Dell’importante passato industriale, rimane a testimonianza, la rossa ciminiera divenuta simbolo anch’essa della cittadina.

Il lungolago

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La Valle Strona e Campello Monti La Valle Strona inizia a Omegna (300 metri di altitudine) e sale piuttosto tortuosa e incassata tra ripidi versanti boscosi fino a Campello Monti (1300 metri), passando dall’ambiente morbido e dolce del lago d’Orta alle verdi asperità della montagna. Molto stretta all’inizio, prosegue poi un poco più larga e si fa man mano più aspra sopra Campello. La cima più alta è il monte Capezzone (m 2421). Qui domina il colore verde dei boschi di latifoglie alle quote inferiori e delle faggete a quote superiori.

Dopo aver conosciuto un po’ la regione del Cusio, ci incamminiamo alla scoperta della

Valle Strona…La Verde Valle…per arrivare nella splendida e molto

particolare località di Campello Monti, alla testata della valle…un grazioso borgo

dove il tempo sembra essersi fermato.

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È una valle di grandi contrasti, dal verde cupo dei boschi, al grigio dei tetti in sasso, ai colori forti dell’autunno ma anche una valle di mistero, di leggende, di superstizioni e di credenze ancora molto radicate. La valle è percorsa in tutta la sua lunghezza dal torrente Strona che le da il nome. Le stronaliti sono rocce metamorfiche, compatte e di colore chiaro che prendono il nome dalla valle. Lo Strona nasce da un limpido laghetto alle falde del Monte Capezzone (m 2421) che è la vetta più alta di questo territorio e versa le sue acque nel fiume Toce che a sua volta sfocia nel lago Maggiore.

Valle verde e ricca di sentieri

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Le montagne che circondano questa “verde valle” sono di altezza modesta, con vette dai 1400 metri ai 2400, non sono presenti ghiacciai e nemmeno pareti di rilievo alpinistico ma offre sentieri e panorami di rara bellezza. È il regno del grande escursionismo prealpino, ci sono buoni sentieri ma non mancano gli imprevisti, ampi panorami e camminate per tutte le esigenze. Nei diversi paesi della valle operano molte aziende a conduzione famigliare. La maggior parte si occupa di artigianato del legno, della lavorazione del peltro, dell’ottone, del rame, della latta, dell’acciaio. Oltre agli oggetti tradizionali come il cucchiaio di legno e la classica ciotola, che rappresentano i manufatti simbolo della valle, chiamata per questo “val di cazzuj” cioè valle dei cucchiai, si producono anche pettini, flauti, pinocchi, scacchi, casalinghi vari come piatti, oliere, macinapepe, cavatappi ecc. A Forno, un artigiano, ha raccolto all’interno di un mulino tutti i ferri del mestiere e tanti oggetti della tradizione creando un museo della lavorazione del legno in valle.

Apparentemente aspra e selvaggia, la Valle Strona è stata ed è tuttora segnata dalla presenza dell’uomo con notevoli opere artistiche. Il comune principale è Valstrona; memorie antiche documentano l’origine walser di Campello Monti alla testata della valle; a Forno notevole è la cinquecentesca parrocchiale dedicata ai Santi Pietro e Paolo; caratteristico e non soltanto per la sua posizione è Sambughetto; a Luzzogno c’è la chiesa più antica della valle e il santuario della Colletta famoso per la festa dell’8 settembre che si celebra ogni tre anni per la laboriosa preparazione.

La parte alta della valle vista dall’alpe

Quaggione

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Campello Monti

Grazioso paese, tanto amato dai Campellesi presenti e lontani, merita di essere conosciuto ed illustrato nella sua storia.

Campello Monti è un piccolo villaggio in cima alla Vallestrona, dove oggi la gente vive solo in estate. L’ultimo abitante con dimora fissa morì nel 1980, all’età di 86 anni. È stato un vero patriarca della montagna e si chiamava Augusto Riolo: aveva il viso solcato come i pendii ripidi e poveri del suo paese, il mento ispido, gli occhi piccoli, semichiusi e pieni di spirito e di stupore per tutto ciò che accadeva intorno a lui. Tra Augusto e la montagna è andata avanti una specie di sfida a cui partecipava tutta la valle, lo scontro continuo tra l’uomo solitario e i rigori della natura.

Uno sguardo sull’alta valle

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Ogni volta, dopo un’abbondante nevicata, un elicottero andava a controllare se Augusto stava bene; lui sempre allegro mandava cenni al pilota come a significare “Ce l’ho fatta ancora una volta!”. L’uomo, il cane, il gatto, le capre e le galline, una piccola comunità per la quale la montagna era un ambiente con cui avere rapporti stretti di convivenza e buoni. L’ eremita di Campello è sepolto nel piccolo cimitero del villaggio dove, dopo la sua morte, non è rimasto più nessuno ad abitare tutto l’anno. Campello Monti è un piccolo paese walser, a 1305 metri di altitudine: poche decine di case accostate le une alle altre, aggrappate al monte che formano la “perla della Vallestrona”, incastonata come una gemma nel monte Capezzone. Il paese si raggiunge percorrendo i venti chilometri di strada che partono da Omega, sul lago d’Orta, oppure a piedi dalla Valsesia, lungo l’antico sentiero che unisce Rimella alla Vallestrona. Campello fu fondata dagli abitanti di Rimella, nella vicina Valsesia, che alla ricerca di nuovi pascoli discesero nella Vallestrona. Il paese divenne tale quando, attorno al ‘300, gli alpigiani, sorpresi da una nevicata precoce e abbondante, furono costretti a svernare in quelle loro baite estive.

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Campello fece parte del comune di Rimella fino al 1816, poi fece comunità a sé, assumendo, nel 1862 il nome di Campello ai Monti. All’ingresso del paese, a destra, si osservano i resti di una piccola fabbrica eretta durante l’ultima guerra per la lavorazione del nichel che si estraeva dalla montagna sovrastante, purtroppo con scarsa resa. I torrenti Strona e Chigno scorrono sul fondo della valle, stretta ma affascinante. Nonostante la bellezza, il luogo non si può definire proprio “tranquillo”. Infatti, nel 1701, una valanga precipitò nella stretta valle del Chigno abbattendo numerose case; nel 1755 vi fu una grande alluvione, che si portò via diverse abitazioni; nel 1781 una seconda alluvione distrusse la chiesa di San Giovanni Battista, in località Gaby; infine nel 1843, un violentissimo incendio distrusse completamente 15 abitazioni. Oggi Campello rimane un tranquillo ed apprezzato luogo di villeggiatura estiva circondato dai suoi monti, regno dell’escursionismo alpino.

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Quarna, il paese della Musica

Il paese di Quarna si raggiunge da Omegna percorrendo una tortuosa strada di montagna per circa 8 chilometri, superando un dislivello di circa 500 metri. Dalla località Belvedere, dove sorge un albergo-ristorante con una grande balconata panoramica a sbalzo sul vuoto, si gode una vista mozzafiato sul lago d’Orta, i monti circostanti e la pianura fino a Novara.

Amate la Musica? Esiste un paese, poco distante da Omegna

dove tutto parla di note, di melodie, di suoni…è il paese di Quarna Sotto.

Seguitemi e vi farò conoscere anche Quarna Sopra, due paesi distanti appena un chilometro con due amministrazioni

comunali diverse.

La strada che sale da Omegna

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Quarna, o meglio Le Quarne, sono in effetti due paesi distinti, con due sindaci, due amministrazioni comunali ecc. Quarna Sotto è un comune di 427 abitanti. Quarna Sopra è un comune di 318 abitanti. Quarna Sopra e Quarna Sotto sorgono sulla sponda occidentale del lago d’Orta, a 800/900 metri di altitudine. Sull’origine del nome Quarna esiste un’ipotesi che derivi da “locus Carnium” cioè luogo dei Carnii, divenuto poi Cocarna. Quindi il paese sarebbe stato fondato da genti profughe dalla Carnia, che in queste zone hanno trovato rifugio all’epoca della conquista romana. A Quarna ci sono altre località il cui nome è di origine latina, da cui la conferma che il paese sia di origine romana. Ad esempio le località Mazzegno significa il grande pianoro e Montelucco significa il bosco sacro. Nulla si sa delle epoche preistoriche perché non ci sono caverne e non sono mai stati trovati utensili o armi in pietra o in bronzo. Probabilmente perché questa zona era un po’ tagliata fuori nel periodo dell’espansione degli Etruschi, a causa della sua posizione geografica. Sembra invece che gli Etruschi sono arrivati fino al lago Maggiore e al Ticino salendo dal centro dell’Italia. Per lo stesso motivo la zona di Quarna è rimasta esclusa dal passaggio dei Liguri e dei Galli. Queste terre iniziarono ad essere abitate probabilmente durante le incursioni dei Galli che stavano oltralpe e qualche secolo più tardi durante il passaggio dei romani verso la conquista della Gallia. È sicuro che all’epoca dell’impero romano la zona era abitata da gente di lingua latina e di abitudini romane, mescolate con usanze galliche o celtiche. Gente dedita soprattutto alla pastorizia. Così come è certo che la popolazione era di religione pagana; si suppone che nelle vicinanze del bosco sacro ci fosse un piccolo tempio dedicato a qualche dio silvestre. Forse il tempietto sorgeva dove ora c’è la chiesa, poiché solitamente le chiese cristiane venivano costruite sullo stesso posto dei templi pagani demoliti. Il cristianesimo si è diffuso nel Cusio ai tempi di San Giulio, cioè nel IV secolo (dal 350 al 400 circa), dopo che con l’editto di Costantino del 313, era stata concessa la libertà di essere cristiani, ponendo fine al periodo delle persecuzioni romane, all’epoca dei martiri.

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I primi documenti che attestano con certezza la presenza di un nucleo abitato, sono del XII secolo, periodo in cui gli abitanti vivevano sull’allevamento del bestiame, la coltivazione della segale e su attività silvo - pastorali, attività tipiche delle regioni alpine e che si sono protratte ininterrottamente fino alla metà del ‘900. Il centro storico del paese si trova a nord rispetto alla attuale configurazione urbana; centro è la piazza Pasquer dove un tempo si svolgeva il consiglio degli anziani chiamato “credenza”; sulla piazza si affaccia la chiesetta di San Rocco che risale al XIV secolo. Un po’ ovunque, sia nel centro abitato sia lungo i sentieri di campagna sorsero altri oratori e cappellette devozionali. La chiesa parrocchiale fu eretta nel 1517 ed è dedicata a Santo Stefano. Al suo interno si trova un grande organo riconosciuto come il secondo del Piemonte per dimensioni e per importanza.

L’abitato di Quarna Sotto

La chiesa di Quarna Sotto

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La popolazione di Quarna ha vissuto per secoli con i prodotti dell’agricoltura di montagna e dell’allevamento del bestiame. Gli uomini di solito andavano all’estero a lavorare come calzolai, tessitori, muratori o commercianti. A Quarna Sotto, nella prima metà dell’800 ebbe inizio la fabbricazione degli strumenti musicali a fiato, per iniziativa di 3 artisti che avevano imparato questo mestiere presso un artigiano di Milano e successivamente lo diffusero nel loro paese di origine. In poco tempo questa attività ebbe grande fortuna con la creazione di una vera azienda che già nella metà dell’800 era famosa in tutto il mondo; un’azienda che produsse ogni tipo di strumento a fiato sia in legno sia in metallo. Per questo motivo Quarna Sotto è chiamato il “Paese della Musica”. Oggi sono ancora attive due aziende e alcuni piccoli artigiani. È possibile visitare un museo dedicato agli strumenti musicali a fiato, in cui non solo sono esposti tutti gli strumenti ma vengono anche spiegate ed illustrate le tecniche artigianali di costruzione. La mostra, all’interno del museo, segue dei criteri espositivi molto moderni e particolari. Inoltre questo museo, tra i pochissimi musei musicali esistenti, si distingue perché presenta anche i vecchi metodi di lavorazione. Inoltre aiuta il visitatore alla scoperta e comprensione della musica sinfonica, bandistica, antica e moderna. Nella prima parte vengono presentate brevi notizie sull’artigianato quarnese e le fotografie di alcuni suoi artefici con le loro genealogie. È poi illustrata la disposizione dei vari strumenti in una banda musicale. Cinque settori successivi raggruppano strumenti simili per le caratteristiche della lavorazione e sono esposti anche esemplari di grande valore storico e documentativo, nonché modelli e prototipi per lo studio della meccanica e dell’intonazione. Ci sono anche macchinari e strumenti costruiti dagli stessi operai per eseguire meglio il lavoro. La prima sezione comprende strumenti come il clarinetto, gli oboi e i fagotti con i diversi campioni di legno che vengono impiegati nella lavorazione. La seconda sezione è dedicata al saxofono; la terza sezione al flauto; la quarta agli ottoni come trombe, tromboni, corni, ecc; l’ultima sezione presenta strumenti attuali, strumenti particolari e documenti delle vecchie aziende. Tutte queste sezioni si trovano al piano superiore.

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Gli strumenti a fiato si dividono in due grandi famiglie: legni e ottoni, a seconda del materiale con cui sono costruiti. I legni comprendono: il flauto dolce, il flauto traverso, il clarinetto, l’oboe e il fagotto. Il legno maggiormente usato è l’ebano perché molto resistente; inoltre è molto bello ed elegante per il colore nero e la particolare lucentezza. L’oboe deriva dalla zampogna, il fagotto dalla bombarda russa. Gli ottoni sono così chiamati perché costruiti in ottone e comprendono: la tromba, il corno, il trombone, la tuba e il basso tuba. Sono tutti strumenti che troviamo nella composizione della banda, hanno un suono molto potente che arriva a grande distanza senza bisogno di amplificazione.

Il Museo della Musica

Una piazzetta con il corno sul muro in fondo il

pentagramma

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Al piano inferiore si trova un’ampia documentazione di storia rurale alpina dove si possono vedere fedeli ricostruzioni della vecchia cucina, della camera da letto, del locale per la conservazione del latte. Inoltre ogni ambiente è arredato con oggetti d’epoca di uso quotidiano; è ricostruita la torneria con il tornio a pedale e il banco del falegname con alcuni esempi di manufatti comuni. Infine, il museo è dotato anche di un auditorium. La visita dura almeno mezza giornata. È necessaria la prenotazione contattando l’Associazione Museo di Storia Quarnese (tel.0323 826117); la struttura può accogliere una o due classi per una visita didattica ma anche per una pausa intelligente di divertimento. A Quarna Sotto si producono da alcuni decenni articoli casalinghi in acciaio. Percorrendo ancora un chilometro di strada si raggiunge l’abitato, altrettanto caratteristico di Quarna Sopra, un nucleo di case con una propria chiesa, un altro comune, un altro cimitero, altre piazzette.

Case di Quarna Sopra

Il campanile di Quarna Sopra

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Il nostro viaggio continua alla scoperta dell’Ossola.

A presto Rameico.

Foto di Rita Torelli e Massimo Sotto I disegni di Rameico sono di Gabriele Sotto