Dal Vangelo secondo Marco cap. 14 - (2ª parte)

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1 Dal Vangelo secondo Marco cap. 14 - (2ª parte) Istituzione dell’Eucaristia (22-25) 22 E, mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: "Prendete, questo è il mio corpo". 23 Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. 24 E disse loro: "Questo è il mio sangue dell'alleanza, che è versato per molti 1 . 25 In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio". Siamo di fronte ad uno dei testi più antichi dei vangeli. Questo brano che narra l’ultima cena, vuole proporre alla comunità cristiana il significato profondo dell’eucaristia che essa celebra nel ricordo di Gesù. Il racconto è inserito tra l’annuncio del tradimento di Giuda e la predizione del rinnegamento di Pietro, per mostrare come Gesù si dona proprio ad una comunità che è sempre capace di tradimento e di infedeltà. Il pane spezzato insieme, e il vino versato e bevuto insieme, rivelano in anticipo il senso profondo di quello che sta per accadere: Gesù sta per essere ucciso, vittima di una malvagità inaudita. Ma egli non subirà passivamente quella violenza; la trasformerà nella più grande prova di amore. La sua vita è stata e sarà per sempre una vita donata. Quel pane spezzato e quel vino versato sono lì per ricordare sempre, a tutti e in ogni luogo, che la sua vita è solo dono. Chi si nutrirà di questo pane e di questo vino diventerà capace, come lui, di fare della sua vita un dono. Chi si nutrirà di questo pane e di questo vino, ma continuerà a vivere secondo i propri criteri egoisti, lo tradirà. Il detto finale, espresso con il linguaggio escatologico (che abbiamo imparato a conoscere al capitolo 13) vuole dire che l’eucaristia è anticipazione di quella comunione di amore che godremo pienamente quando siederemo a mensa nel Regno di Dio. 1 Versato per molti: L’uso di “molti” per significare “tutti” è tipico delle lingue semitiche.

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Dal Vangelo secondo Marco

cap. 14 - (2ª parte)

Istituzione dell’Eucaristia (22-25) 22 E, mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo

spezzò e lo diede loro, dicendo: "Prendete, questo è il mio corpo". 23 Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. 24 E disse loro: "Questo è il mio sangue dell'alleanza, che è versato per molti1. 25 In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio".

Siamo di fronte ad uno dei testi più antichi dei vangeli. Questo brano che narra l’ultima cena, vuole proporre alla comunità cristiana il significato profondo dell’eucaristia che essa celebra nel ricordo di Gesù.

Il racconto è inserito tra l’annuncio del tradimento di Giuda e la predizione del rinnegamento di Pietro, per mostrare come Gesù si dona proprio ad una comunità che è sempre capace di tradimento e di infedeltà.

Il pane spezzato insieme, e il vino versato e bevuto insieme, rivelano in anticipo il senso profondo di quello che sta per accadere: Gesù sta per essere ucciso, vittima di una malvagità inaudita. Ma egli non subirà passivamente quella violenza; la trasformerà nella più grande prova di amore. La sua vita è stata e sarà per sempre una vita donata. Quel pane spezzato e quel vino versato sono lì per ricordare sempre, a tutti e in ogni luogo, che la sua vita è solo dono.

Chi si nutrirà di questo pane e di questo vino diventerà capace, come lui, di fare della sua vita un dono. Chi si nutrirà di questo pane e di questo vino, ma continuerà a vivere secondo i propri criteri egoisti, lo tradirà.

Il detto finale, espresso con il linguaggio escatologico (che

abbiamo imparato a conoscere al capitolo 13) vuole dire che l’eucaristia è anticipazione di quella comunione di amore che godremo pienamente quando siederemo a mensa nel Regno di Dio.

1 Versato per molti: L’uso di “molti” per significare “tutti” è tipico delle lingue semitiche.

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Predizione del rinnegamento di Pietro (26-31) 26 Dopo aver cantato l'inno, uscirono verso il monte degli

Ulivi. 27 Gesù disse loro: "Tutti rimarrete scandalizzati, perché sta scritto:

Percuoterò il pastore e le pecore saranno disperse.

28 Ma, dopo che sarò risorto, vi precederò in Galilea". 29 Pietro gli disse: "Anche se tutti si scandalizzeranno, io no!". 30 Gesù gli disse: "In verità io ti dico: proprio tu, oggi, questa notte, prima che due volte il gallo canti, tre volte mi rinnegherai". 31 Ma egli, con grande insistenza, diceva: "Anche se dovessi morire con te, io non ti rinnegherò". Lo stesso dicevano pure tutti gli altri.

Il dono dell’Eucaristia, come abbiamo già ricordato, è stato preceduto dall’annuncio del tradimento di Giuda ed è ora seguito dalla predizione dello scandalo e della fuga di tutti i discepoli, col rinnegamento di Pietro: due episodi carichi di sofferenza per Gesù.

Tutti, dice Gesù, verranno meno nella notte decisiva, nonostante le loro presuntuose proteste in contrario. Così Gesù resta solo nel suo cammino, abbandonato anche dai discepoli.

Questo brano introduce a quella che sarà la solitudine totale di colui che è stato solidale con tutti e che, per primo, si accinge a fare il dono della vita.

Mentre predice la defezione dei suoi discepoli, Gesù promette di essere sempre con loro, anche dopo la morte: «Dopo che sarò risorto, vi precederò in Galilea».

Il discepolo che presume di sé farà inevitabilmente esperienza della sua debolezza e prenderà coscienza che può fare affidamento solo sulla fedeltà del suo Maestro.

LA PASSIONE SECONDO MARCO Per cogliere il significato profondo della passione è indispensabile

puntare a una visione di insieme, sottolineando i tratti che caratterizzano il racconto di Marco.

1. Si tratta di un racconto drammatico, non patetico: l’evangelista non analizza i sentimenti di Gesù, non cerca l’effetto; la sua narrazione è stringata, oggettiva, quasi una specie di verbale degli avvenimenti. Marco sottolinea i contrasti, rimarca il paradosso: la croce è la fine ignominiosa di una storia, eppure è la pienezza della rivelazione, l’evento capitale della storia della salvezza. Il nostro evangelista non punta a commuovere

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il lettore, cerca solo di offrire dei dati: ecco cos’è accaduto; tirane tu le conseguenze.

2. I testo è tutto impastato di citazioni della sacra Scrittura che hanno lo scopo di aiutare a trovare un senso a un destino così assurdo. La luce delle sacre Scritture permette di superare lo choc della croce e di vedere la passione inserita in un piano misterioso del Padre: la croce è il prezzo dell’amore di Dio, della sua fedeltà a un popolo infedele. La via della croce non è la via della morte, ma la via dell’amore.

3. Il Gesù del racconto di Marco è pienamente cosciente di ciò che gli sta capitando; per lui la morte non è un incidente, è una scelta; ha accettato fino in fondo la solidarietà con noi. Gesù non si lascia vincere dagli eventi, ma li domina con lucida consapevolezza. Lo mostra soprattutto col suo silenzio; parla solo tre volte: alle guardie, al sommo sacerdote, a Pilato. L’ultima parola sarà il grido al Padre prima di spirare.

4. È da sottolineare anche il contrasto tra Gesù e i suoi. Nel Getsèmani non sanno essergli vicini nella sofferenza e si addormentano; quando viene arrestato, tutti fuggono. Alla fine restano vicino a lui solo alcune donne. Siamo alla rottura totale: un discepolo ha già tradito, uno lo rinnegherà, solo un pagano alla fine comprenderà… Attorno a lui tutti si muovono, tutti si agitano ed egli sta là al centro, solo col suo dramma.

Al Getsèmani (32-42) 32 Giunsero a un podere chiamato Getsèmani ed egli disse ai suoi

discepoli: "Sedetevi qui, mentre io prego". 33 Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e cominciò a sentire paura e angoscia. 34 Disse loro: "La mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate". 35 Poi, andato un po' innanzi, cadde a terra e pregava che, se fosse possibile, passasse via da lui quell'ora. 36 E diceva: "Abbà! Padre! Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice! Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu". 37 Poi venne, li trovò addormentati e disse a Pietro: "Simone, dormi? Non sei riuscito a vegliare una sola ora? 38 Vegliate e pregate per non entrare in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole". 39 Si allontanò di nuovo e pregò dicendo le stesse parole. 40 Poi venne di nuovo e li trovò addormentati, perché i loro occhi si erano fatti pesanti, e non sapevano che cosa rispondergli. 41 Venne per la terza volta e disse loro: "Dormite pure e riposatevi! Basta! È venuta l'ora: ecco, il Figlio dell'uomo viene consegnato nelle mani dei peccatori. 42 Alzatevi, andiamo! Ecco, colui che mi tradisce è vicino".

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La scena del Getsèmani è di grande intensità drammatica: Gesù

è spaventato e disorientato, barcolla sfinito e cade a terra. L’ora è giunta. Gesù vorrebbe che passasse, ma si affida al Padre con una confidenza inaudita, anche se da lui non riceve nessun cenno di risposta.

Abbà, che corrisponde al nostro “papà”, è un termine usato nel linguaggio familiare da bambini e da adulti per rivolgersi al padre. Un’ invocazione così familiare per invocare Dio non si trova in nessun testo dell’Antico Testamento o dei Vangeli, ma solo due volte nelle lettere di S. Paolo.

I discepoli pur essendo lì, a pochi passi, di fatto sono lontani, incapaci cioè di essere solidali con la sua sofferenza, incapaci di vegliare e pregare con lui; compreso Pietro, che pochi momenti prima aveva solennemente assicurato che sarebbe stato al suo fianco a qualsiasi costo.

Nonostante questo, Gesù li chiama ancora a seguirlo nell’ora in cui, con determinazione, compie il passo decisivo: «È venuta l'ora: ecco, il Figlio dell'uomo viene consegnato nelle mani dei peccatori. Alzatevi, andiamo! Ecco, colui che mi tradisce (mi consegna) è vicino». Il discepolo che vuole veramente comprendere il Maestro, deve seguirlo fino alla fine. Solo così potrà diventare suo testimone di fronte al mondo.

L’arresto di Gesù (43-52) 43 E subito, mentre ancora egli parlava, arrivò Giuda, uno dei Dodici,

e con lui una folla con spade e bastoni, mandata dai capi dei sacerdoti, dagli scribi e dagli anziani. 44 Il traditore aveva dato loro un segno convenuto, dicendo: "Quello che bacerò, è lui; arrestatelo e conducetelo via sotto buona scorta". 45 Appena giunto, gli si avvicinò e disse: "Rabbì" e lo baciò. 46 Quelli gli misero le mani addosso e lo arrestarono. 47 Uno dei presenti estrasse la spada, percosse il servo del sommo sacerdote e gli staccò l'orecchio. 48 Allora Gesù disse loro: "Come se fossi un ladro siete venuti a prendermi con spade e bastoni. 49 Ogni giorno ero in mezzo a voi nel tempio a insegnare, e non mi avete arrestato. Si compiano dunque le Scritture!". 50 Allora tutti lo abbandonarono e fuggirono. 51 Lo seguiva però un ragazzo, che aveva addosso soltanto un lenzuolo, e lo afferrarono. 52 Ma egli, lasciato cadere il lenzuolo, fuggì via nudo.

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Il racconto dell’arresto di Gesù riporta in modo schematico i dati essenziali: sullo sfondo i capi, in primo piano Giuda con la folla armata che arriva per arrestare Gesù, dall’altra parte Gesù solo; tutti lo abbandonano.

Marco annota ancora una volta che Giuda è «uno dei Dodici». Se uno dei Dodici è capace di tradimento, ogni discepolo avverte che anche lui può diventare uno che tradisce Gesù.

Il tradimento si consuma mediante un bacio di amicizia, che era il saluto tipico del discepolo al suo Maestro. Il segno dell’amicizia diventa parola in codice per il tradimento. Questo bacio ferisce più delle spade e dei bastoni.

Dopo questo bacio Gesù diventa prigioniero, completamente in balia dei suoi avversari.

Uno dei discepoli reagisce alla violenza con un gesto di violenza. Non ha capito che non sono queste le armi delle quali può disporre un discepolo. I discepoli non sono stati capaci di vegliare e pregare vicino a Gesù, ora hanno una reazione scomposta e alla fine scappano tutti.

Gesù non dice niente né a Giuda, né al discepolo che estrae la spada. Una parola, invece, la dice a coloro che sono venuti ad arrestarlo. Una parola che denuncia l’incapacità di quella gente a capire che egli non è un prigioniero ridotto all’impotenza, ma una persona che dona la sua vita liberamente e per amore; una parola che denuncia la loro vigliaccheria che li spinge ad agire di nascosto, di notte, per paura di una sommossa popolare.

Inoltre quella gente non è minimamente in grado di comprendere che egli si dona affinché si realizzi il grande progetto d’amore del Padre. L’espressione «si compiano dunque le Scritture!» non va intesa nel senso che per Gesù la Bibbia sarebbe una specie di copione da eseguire meccanicamente; nella Scrittura egli rintraccia il disegno d’amore del Padre, al quale aderisce con responsabile docilità. Nella Scrittura la primitiva comunità cristiana trova la chiave per sciogliere l’enigma di una fine così scandalosa della “vicenda-Gesù”: ciò che è capitato a lui, è nella linea della sorte toccata a tanti giusti, amici di Dio.

L’episodio di quel ragazzo/giovane che ha addosso solo un lenzuolo e poi scappa via nudo viene interpretato in maniere diverse.

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Qualcuno ha pensato che poteva essere lo stesso Marco che ha tentato di seguire Gesù, ma alla fine è scappato via come tutti gli altri.

Qualche altro ha visto in questo giovane un’immagine di Gesù che lascia nelle mani dei violenti solo la veste del suo corpo, ma lui continua misteriosamente una vita sempre giovane, oltre la notte della morte. Ricordando che, il mattino di Pasqua, le donne che vanno al sepolcro, incontrano un giovane, vestito di una veste bianca, si può pensare che il giovane del Getsèmani rinvii al giovane del sepolcro e sia, quindi, portatore di un annuncio anticipato della risurrezione.

Altri ancora richiamano l’attenzione sul lenzuolo che avvolge il corpo nudo di questo giovane e segnalano che il corpo morto di Gesù viene deposto nel sepolcro avvolto in un lenzuolo. Il mattino di Pasqua nel sepolcro non c’è più il corpo. Nelle mani di chi l’ha ucciso resta solo il lenzuolo, non il corpo.

Infine quel lenzuolo che avvolge il corpo del giovane ricorda anche il lenzuolo che avvolgeva il corpo di coloro che prima del battesimo si immergevano nudi nell’acqua per poi essere rivestiti. Chi chiede il battesimo – sembrerebbe voler dire Marco - deve morire con Cristo, immergersi nudo nell’acqua che simboleggia la sua morte (anche Gesù è morto nudo in croce!) e indossare poi la veste bianca per iniziare la vita nuova di risorto.

Gesù davanti al sinedrio (53-65) 53 Condussero Gesù dal sommo sacerdote, e là si riunirono tutti i capi

dei sacerdoti, gli anziani e gli scribi. 54 Pietro lo aveva seguito da lontano, fin dentro il cortile del palazzo del sommo sacerdote, e se ne stava seduto tra i servi, scaldandosi al fuoco. 55 I capi dei sacerdoti e tutto il sinedrio cercavano una testimonianza contro Gesù per metterlo a morte, ma non la trovavano. 56 Molti infatti testimoniavano il falso contro di lui e le loro testimonianze non erano concordi. 57 Alcuni si alzarono a testimoniare il falso contro di lui, dicendo: 58 "Lo abbiamo udito mentre diceva: "Io distruggerò questo tempio, fatto da mani d'uomo, e in tre giorni ne costruirò un altro, non fatto da mani d'uomo"". 59 Ma nemmeno così la loro testimonianza era concorde. 60 Il sommo sacerdote, alzatosi in mezzo all'assemblea, interrogò Gesù dicendo: "Non rispondi nulla? Che cosa testimoniano costoro contro di te?". 61 Ma egli taceva e non rispondeva nulla. Di nuovo il sommo sacerdote lo interrogò dicendogli: "Sei tu il Cristo, il Figlio del Benedetto?". 62 Gesù rispose:

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"Io lo sono! E vedrete il Figlio dell'uomo seduto alla destra della Potenza e venire con le nubi del cielo".

63 Allora il sommo sacerdote, stracciandosi le vesti, disse: "Che bisogno abbiamo ancora di testimoni? 64 Avete udito la bestemmia; che ve ne pare?". Tutti sentenziarono che era reo di morte. 65 Alcuni si misero a sputargli addosso, a bendargli il volto, a percuoterlo e a dirgli: "Fa' il profeta!". E i servi lo schiaffeggiavano.

Si tratta del primo dei due processi, quello davanti al tribunale giudaico presieduto dal sommo sacerdote e composto dai capi delle grandi famiglie sacerdotali, dagli anziani e dagli scribi. È un interrogatorio sommario, tenuto di notte, montato su false accuse e tutto orchestrato per trovare una copertura giuridica a una decisine già presa.

Pietro aveva seguito Gesù, ma da lontano. È attaccato a Gesù, ma è anche pauroso. Si “mimetizza” in mezzo ai servi, evitando accuratamente di farsi riconoscere. Poi vedremo cosa succederà.

Mentre Pietro si scalda al fuoco, i membri del tribunale giudaico cercano delle testimonianze che diano una parvenza di legalità alla decisione che hanno già preso di condannare a morte Gesù. Ma si trovano davanti a una ridda di testimonianze contraddittorie. In tutti i processi contro innocenti si fa così, perché non si cerca la verità, ma una copertura giuridica per mascherare l’ingiustizia che si sta commettendo.

Gesù tace. Non risponde alle accuse. Che senso ha rispondere a chi ha già deciso che sei colpevole? Risponde però alla domanda decisiva che gli rivolge il sommo sacerdote e riguarda la sua vera identità, cioè chi egli sia e cosa dica di sé stesso. È la prima volta che lo fa solennemente e apertamente. In altre occasioni aveva preferito che non si parlasse di lui usando certi titoli, perché non era ancora il momento di farlo, potevano prestarsi a equivoci e fraintendimenti, la gente poteva crearsi false aspettative sul suo conto. Ora questo pericolo non c’è più. Egli si trova in una situazione così grande di umiliazione che quello che dirà non potrà essere frainteso.

E cosa dice? Rivendica per sé tutti i titoli messianici: Cristo (cioè Messia), Figlio di Dio, Figlio dell’uomo. Adesso lo può fare perché la passione e la croce diranno, in maniera sorprendente, inaudita e che va al di là di ogni immaginazione, che questi titoli non parlano di gloria mondana, di prestigio, di riscosse nazionalistiche, ma dicono che Gesù, il giusto condannato a morire in croce, è la

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rivelazione del vero di Dio che, per amore, si consegna totalmente all’uomo. Dio, in Gesù, si fa servo dell’uomo e l’uomo è elevato alla dignità di figlio di Dio.

Per il sommo sacerdote che Gesù si metta al livello di Dio, “seduto alla sua destra” come giudice della storia, è una bestemmia. Che Dio si riveli nel Figlio dell’uomo crocifisso è una bestemmia inaudita. Per questa bestemmia è reo di morte. Ma proprio nella sua morte si manifesterà l’umanità di Dio.

Un condannato a morte non ha più diritto a nessun rispetto; gli si può sputare in faccia, può essere percosso e schiaffeggiato. Ma in lui noi vediamo il Cristo, il Figlio del Benedetto, il Figlio dell’uomo che si è fatto Servo fedele dei fratelli. Servo di tutti in nome del Padre che in lui mostrerà la sua fedeltà a tutti.

Rinnegamenti di Pietro (66-72) 66 Mentre Pietro era giù nel cortile, venne una delle giovani serve del

sommo sacerdote 67 e, vedendo Pietro che stava a scaldarsi, lo guardò in faccia e gli disse: "Anche tu eri con il Nazareno, con Gesù". 68 Ma egli negò, dicendo: "Non so e non capisco che cosa dici". Poi uscì fuori verso l'ingresso e un gallo cantò. 69 E la serva, vedendolo, ricominciò a dire ai presenti: "Costui è uno di loro". 70 Ma egli di nuovo negava. Poco dopo i presenti dicevano di nuovo a Pietro: "È vero, tu certo sei uno di loro; infatti sei Galileo". 71 Ma egli cominciò a imprecare e a giurare: "Non conosco quest'uomo di cui parlate". 72 E subito, per la seconda volta, un gallo cantò. E Pietro si ricordò della parola che Gesù gli aveva detto: "Prima che due volte il gallo canti, tre volte mi rinnegherai". E scoppiò in pianto.

Pietro, che con un eccesso di sicurezza e presunzione, aveva dichiarato che mai e poi mai avrebbe rinnegato il Maestro, non è migliore dei discepoli che lo hanno abbandonato e sono fuggiti.

Davanti alle massime autorità del tribunale giudaico Gesù ha appena affermato con coraggio la sua vera identità. Pietro, invece, mentre «se ne stava seduto tra i servi, scaldandosi al fuoco» viene colto di sorpresa dalle domande di una serva e, dapprima nega, poi si mette addirittura a imprecare e giurare: «Non conosco quest'uomo di cui parlate». Gesù diventa “quest’uomo”, un estraneo, del quale non conosce neppure il nome.

Il canto di un gallo gli ricorda quello che Gesù gli aveva detto e scoppia in pianto. Questo pianto lo salverà. È il pianto liberatore di chi riconosce il suo tradimento, ma continua a sentirsi amato e crede che l’amore del suo Maestro è più grande del suo peccato. Ha rinnegato il suo Maestro, ma il suo Maestro non rinnegherà il suo amore per lui.