Dal Vangelo secondo Marco cap. 13 - (2ª parte)

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1 Dal Vangelo secondo Marco cap. 13 - (2ª parte) La grande tribolazione di Gerusalemme (14-23) 14 Quando vedrete l'abominio della devastazione presente là dove non è lecito - chi legge, comprenda -, allora quelli che si trovano nella Giudea fuggano sui monti, 15 chi si trova sulla terrazza non scenda e non entri a prendere qualcosa nella sua casa, 16 e chi si trova nel campo non torni indietro a prendersi il mantello. 17 In quei giorni guai alle donne incinte e a quelle che allattano! 18 Pregate che ciò non accada d'inverno; 19 perché quelli saranno giorni di tribolazione, quale non vi è mai stata dall'inizio della creazione, fatta da Dio, fino ad ora, e mai più vi sarà. 20 E se il Signore non abbreviasse quei giorni, nessuno si salverebbe. Ma, grazie agli eletti che egli si è scelto, ha abbreviato quei giorni. 21 Allora, se qualcuno vi dirà: "Ecco, il Cristo è qui; ecco, è là", voi non credeteci; 22 perché sorgeranno falsi cristi e falsi profeti e faranno segni e prodigi per ingannare, se possibile, gli eletti. 23 Voi, però, fate attenzione! Io vi ho predetto tutto. Questo brano presenta notevoli difficoltà sia nell’insieme, che nei particolari, per cui le spiegazioni dei commentatori sono spesso discordanti. Ci accontentiamo di uno sguardo che ci aiuti a comprendere l’essenziale del contenuto e del suo messaggio. Si parla della grande crisi finale, quando apparirà «l’abominio della devastazione». Nel profeta Daniele (capitoli 9,27; 11,31; 12,11) questa espressione si riferisce al re Antioco IV Epifane che nel 168 a.C. eresse un altare dedicato a Zeus (Giove) nel tempio di Gerusalemme. “Abominio” significa un idolo e in genere una mostruosità pagana. La “devastazione”, secondo il profeta Daniele, è la profanazione del tempio, ma può comprendere anche la distruzione della città. Forse Marco ha in mente anche l’imperatore romano Caligola che, nel 40 d.C. decise di far erigere la propria statua nel tempio di Gerusalemme. Il progetto non fu realizzato, ma è possibile che in quella occasione si sia pensato al testo del profeta Daniele.

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Dal Vangelo secondo Marco

cap. 13 - (2ª parte)

La grande tribolazione di Gerusalemme (14-23)

14 Quando vedrete l'abominio della devastazione presente là dove non è lecito - chi legge, comprenda -, allora quelli che si trovano nella Giudea fuggano sui monti, 15 chi si trova sulla terrazza non scenda e non entri a prendere qualcosa nella sua casa, 16 e chi si trova nel campo non torni indietro a prendersi il mantello. 17 In quei giorni guai alle donne incinte e a quelle che allattano!

18 Pregate che ciò non accada d'inverno; 19 perché quelli saranno giorni di tribolazione, quale non vi è mai stata dall'inizio della creazione, fatta da Dio, fino ad ora, e mai più vi sarà. 20 E se il Signore non abbreviasse quei giorni, nessuno si salverebbe. Ma, grazie agli eletti che egli si è scelto, ha abbreviato quei giorni.

21 Allora, se qualcuno vi dirà: "Ecco, il Cristo è qui; ecco, è là", voi non credeteci; 22 perché sorgeranno falsi cristi e falsi profeti e faranno segni e prodigi per ingannare, se possibile, gli eletti. 23 Voi, però, fate attenzione! Io vi ho predetto tutto.

Questo brano presenta notevoli difficoltà sia nell’insieme, che nei

particolari, per cui le spiegazioni dei commentatori sono spesso discordanti. Ci accontentiamo di uno sguardo che ci aiuti a comprendere l’essenziale del contenuto e del suo messaggio.

Si parla della grande crisi finale, quando apparirà «l’abominio della devastazione». Nel profeta Daniele (capitoli 9,27; 11,31; 12,11)

questa espressione si riferisce al re Antioco IV Epifane che nel 168 a.C. eresse un altare dedicato a Zeus (Giove) nel tempio di Gerusalemme. “Abominio” significa un idolo e in genere una mostruosità pagana.

La “devastazione”, secondo il profeta Daniele, è la profanazione del tempio, ma può comprendere anche la distruzione della città. Forse Marco ha in mente anche l’imperatore romano Caligola che, nel 40 d.C. decise di far erigere la propria statua nel tempio di Gerusalemme. Il progetto non fu realizzato, ma è possibile che in quella occasione si sia pensato al testo del profeta Daniele.

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Non è da escludere che Marco, ispirandosi a questi testi e a questi fatti, intuisca la prossima distruzione del tempio, per opera dell’imperatore romano Tito nel 70 d.C.

Se teniamo presente che Gesù è il vero tempio di Dio, non costruito da mani d’uomo, Marco sicuramente ricorda che questo tempio sarà distrutto dalla morte, ma Dio lo riedificherà in tre giorni, facendolo risorgere da morte.

«Quelli saranno giorni di tribolazione, quale non vi è mai stata dall'inizio della creazione, fatta da Dio, fino ad ora, e mai più vi sarà». La descrizione di quei giorni è generica, ma realistica, tipica della letteratura apocalittica con la sua abbondanza di immagini non facilmente decifrabili da noi oggi. Con qualche tratto caratteristico è disegnato un quadro di catastrofe universale. Rimane però convinzione profonda del credente che una simile tribolazione, ha i giorni abbreviati, cioè non supererà certi limiti, grazie all’amore di Dio per gli eletti, cioè grazie alla sua misericordia.

«Chi legge, comprenda», scrive Marco. È una situazione estremamente drammatica quella che sta davanti, ma non va compresa e vissuta andando dietro a falsi messia e falsi profeti che diffondono angoscia e spavento, come se questa grande tribolazione fosse il castigo di un Dio vendicativo che vuole distruggere tutto. Va invece compresa e vissuta come il travaglio del parto che precede la nascita di una nuova vita. Sono i gemiti e le doglie del parto della nuova creazione.

Falsi messia e falsi profeti sono anche quei cristiani fanatici che ritengono che il Cristo che deve venire alla fine dei tempi, sia già arrivato: «Ecco, il Cristo è qui; ecco, è là». «Voi non credeteci», dice Gesù.

Il discepolo è nuovamente chiamato a stare attento, in modo da vivere questi avvenimenti comprendendone il loro vero significato. Non siamo davanti a una catastrofe dalla quale nessuno scampa, quanto piuttosto ad avvenimenti nei quali è messa in gioco la nostra capacità di prendere decisioni responsabili per vivere l’oggi con speranza.

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Concludendo: le caratteristiche della comunità devono essere la vigilanza, la fedeltà alla parola del Signore, la testimonianza che ne scaturisce, la fiducia nello Spirito e la perseveranza, cioè il coraggio di portare avanti questa lotta fino alla fine.

Come si vede, tutto questo discorso è rivolto alla comunità non per soddisfare il suo prurito di udire novità religiose o la sua curiosità di conoscere la fine dei tempi e il futuro. Queste curiosità distolgono l’attenzione dal presente e deresponsabilizzano dall’impegno di testimoniare il Cristo Signore.

Il discorso escatologico ha proprio questo obiettivo: aiutare il cristiano a vivere, senza evasioni e fino in fondo, il momento presente, assumendosi tutte le sue responsabilità. Sul cristiano, come su ogni uomo, pesa tutto lo spessore di una storia negativa segnata da tribolazioni e violenze: è in questa storia che egli deve testimoniare il vangelo, con vigilanza critica contro tutte le deviazioni religiose, con fedeltà nella lotta contro il male, con piena fiducia in Gesù e perseveranza fino alla fine.

Allora il cristiano non è uno che “aspetta” la fine del mondo, stando con le mani in mano. È protagonista attivo della storia e, pur facendosi carico della sua negatività, come Gesù, guarda avanti con fiducia e speranza. Sa infatti che il mondo non si consuma e non finisce nella frustrazione e nel fallimento totale, ma trova il suo compimento positivo nella venuta del Figlio dell’uomo, come si dirà nel brano che segue.

Manifestazione gloriosa del Figlio dell’uomo1 (24-27) 24 In quei giorni, dopo quella tribolazione,

il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce,

25 le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte.

26 Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. 27 Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall'estremità della terra fino all'estremità del cielo.

1 Figlio dell’uomo: cfr nota 4 a pag. 6 del cap. 8

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Siamo al centro di tutto questo grande discorso “escatologico” 2

che, con un linguaggio “apocalittico” 3 dice la fede con la quale la

comunità cristiana guarda al futuro ultimo. Come dice il titolo dato a questo brano, la comunità aspetta la “manifestazione gloriosa del Figlio dell’uomo”, cioè di Gesù.

Di quale manifestazione si tratta?

Nei prossimi due capitoli Marco narrerà la passione e morte di Gesù, alla quale seguirà la risurrezione. Questa sarà la più gloriosa manifestazione di Gesù e del suo amore per il suo popolo e l’umanità intera. Un amore che sconfigge alla radice il peccato e la morte, cioè il male che minaccia la vita e la storia e vorrebbe far fallire il progetto di Dio. Con la morte e risurrezione di Gesù inizia già il futuro definitivo che attende però il suo pieno compimento nella manifestazione gloriosa di Gesù alla fine dei tempi, chiamata anche seconda venuta o, in greco, “parusia”. Niente si dice sul quando questo avverrà. Lo vedremo nel brano che segue.

In questo brano troviamo tre descrizioni: i prodigi del cielo, la manifestazione del Figlio dell’uomo e il raduno o il riunirsi di tutti gli eletti nella gioiosa comunione con Dio.

1°. Gli sconvolgimenti cosmici che riguardano il sole, la luna, le stelle e le potenze che sono nei cieli: nel linguaggio tradizionale dei profeti questi sconvolgimenti cosmici servivano a descrivere i potenti interventi di Dio per giudicare la storia. Sono immagini e come tali vanno interpretate. Niente autorizza a pensare che si riferiscano alla fine del mondo. L’intervento di Dio nella storia non ha come obiettivo distruggere la sua creazione perché troppo corrotta dal male. L’obiettivo è un altro: porre fine e sconfiggere definitivamente il male, affinché possano nascere i cieli nuovi e la terra nuova, dove non ci sarà più posto per il male. L’obiettivo di Dio è distruggere il male, non il mondo. Tutto questo diventerà più comprensibile quando leggeremo ciò che avviene al momento della morte di Gesù (cfr cap. 15,33-37).

2°. La manifestazione del Figlio dell’uomo è il traguardo ultimo e positivo di tutta la storia. La storia non cammina verso una catastrofe, ma verso la manifestazione del Figlio dell’uomo. Con una evidenza schiacciante che non ammette più alcuna possibilità

2 cfr. nota 1 della 1ᵃ parte del cap. 13 3 cfr pag. 3 della prima parte del cap. 13

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di dubitare o di discutere, tutti vedranno colui che ci ha preceduti nella morte e che ora, risorto, è presso il Padre, ma viene di nuovo, con grande potenza e gloria, perché, in lui, tutta la storia trovi il suo compimento.

3. Il raduno di tutti gli eletti è l’obiettivo della manifestazione del Figlio dell’uomo. Il fine di tutta la storia non è l’annientamento di coloro che sono stati infedeli al messaggio di Dio o la loro dannazione eterna, ma la riunione dei suoi eletti nel cielo. Il desiderio di ogni discepolo è di essere sempre con il suo Signore, sorgente di gioia e di vita che non conosce più tramonto. Il messaggio è chiaro: la manifestazione del Figlio dell’uomo porta a compimento la promessa fatta da Dio: riunire attorno a sé, da tutte le parti della terra, il suo popolo disperso.

Questo traguardo positivo è garantito da Dio, ma non è automatico. È il traguardo di chi sceglie di seguire Gesù e vivere come lui, lottando contro il male e subendone le conseguenze. Essere e vivere da discepoli chiama sempre in causa anche la nostra libertà e responsabilità.

Concludendo: la manifestazione del Figlio dell’uomo è il futuro della storia, è il futuro che speriamo; futuro che è già iniziato, ma non è ancora arrivato al suo pieno compimento. La speranza non è un’illusione. È certezza che chiede attesa, perseveranza, vigilanza.

Quando il buio si fa più fitto e il male raggiunge il suo parossismo, il cristiano non dispera: sa che il sole sorge nel punto più inoltrato della notte e che il raccolto avviene nella stagione più lontana da quella della semina. Per questo va avanti con coraggio e fiducia senza arrendersi mai, con un occhio nel presente e l’altro puntato verso la meta: la manifestazione del crocifisso-risorto.

Parabola del fico (28-32)

28 Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l'estate è vicina. 29 Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte.

30 In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. 31 Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.

32 Quanto però a quel giorno o a quell'ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre.

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Ci avviamo verso la conclusione di questo discorso non sempre facile da capire. Il linguaggio diventa più semplice. Lo stile è quello di una catechesi o di una esortazione. Brevi parabole e alcuni detti per confermare quanto già detto e per rispondere alla domanda rimasta in sospeso: «Di' a noi: quando accadranno queste cose e quale sarà il segno quando tutte queste cose staranno per compiersi?».

La parabola della pianta di fico risponde alla seconda parte della domanda: «Quale sarà il segno quando tutte queste cose staranno per compiersi?».

Viene in mente una preghiera di d. Tonino Bello che chiede alla ‘Vergine del mattino’: «Aiutaci a comprendere che additare le gemme che spuntano sui rami vale più che piangere sulle foglie che cadono. E infondici la sicurezza di chi già vede l'oriente incendiarsi ai primi raggi del sole».

In fondo è proprio questo che Gesù cerca di dirci con la parabola della pianta di fico, che ha attraversato l’inverno e ha perso tutte le foglie; ma ora l’inverno sta per finire, comincia la primavera e poi verrà l’estate. Si intuisce che stanno per spuntare le nuove gemme.

Anche la nostra vita e tutta la storia conosce i suoi inverni di sofferenza, di dolore, di tragedie. Ma come la pianta di fico non è morta durante l’inverno, anche se ha patito e ha perso le foglie, così la nostra vita e la storia dell’umanità sono già abitate da Gesù e dal suo vangelo. Il Regno di Dio è vicino, ha già fatto irruzione nella storia e la abita come una forza di vita nuova, buona e fraterna, che agisce dal di dentro e spinge la nostra vita verso il suo futuro, la fa maturare secondo il progetto di Dio per il giorno nel quale Dio radunerà tutti i suoi eletti.

Tutte le tribolazioni del tempo presente non sono altro che le sofferenze del parto e della nascita della nuova creazione, del mondo nuovo.

Quando avverrà questo? Quando finirà l’inverno della storia e entreremo nel giorno che non conosce tramonto? È certo che quel giorno verrà, ma non è possibile stabilire date e calendari. Il presente è il tempo della testimonianza, della perseveranza, della fedeltà, dell’impegno, della responsabilità. Non è il tempo per perdersi dietro a discorsi inutili sul quando e sul come.

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Però c’è quel «non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga». Di quale generazione si parla? Certamente di quella di Gesù che è stata testimone della sua morte e risurrezione, e ha compreso che con quegli eventi non calava l’inverno sulla storia, ma cominciava la primavera del mondo nuovo. Qualcuno pensava anche che i tempi di attesa per la manifestazione gloriosa del Figlio dell’uomo sarebbero stati brevi. Forse anche Marco lo pensava, ma non lo afferma mai come verità certa e si esprime sempre in una maniera tale per cui, da una parte dice che la sua generazione non è passata senza vedere, nella morte e risurrezione di Gesù, l’inizio dei tempi nuovi; dall’altra lascia intuire che ogni generazione – quindi anche la nostra – è chiamata a leggere la sua storia, a vivere i suoi inverni, alla luce del vangelo, scrutando oltre la notte, oltre l’inverno e riconoscendo, nel presente che vive, la presenza e la forza del Risorto che attende.

Vegliare per non essere sorpresi (33- 37)

33 Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. 34 È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare. 35 Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; 36 fate in modo che, giungendo all'improvviso, non vi trovi addormentati. 37 Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!".

Dopo la breve parabola della pianta di fico, una seconda breve

parabola, facendo leva sull’incertezza di quando ritornerà il padrone di casa – cioè il Signore Risorto - raccomanda di vivere in maniera sempre vigile. La raccomandazione vale sia per i servi, ai quali il padrone ha affidato compiti di grossa responsabilità, sia per il portiere al quale ha ordinato di vigilare.

È certo che il Signore tornerà, ma nessuno sa quando. Quindi occorre stare svegli, vegliare, vigilare. Una vigilanza attenta, responsabile e attiva. Il tempo dell’attesa non è un tempo vuoto da vivere, come si dice, “con le mani in mano” o cedendo al sonno della stanchezza. Ad ognuno è stato affidato un compito, una responsabilità.

Le ultime parole lasciano chiaro che la stessa raccomandazione è rivolta a tutti, cioè a tutti quelli che, in ogni generazione, leggeranno il vangelo, affinché la sentano come rivolta a sé.

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La vita dei credenti di ogni generazione è caratterizzata da questa tensione vigile verso un compimento che non si è ancora pienamente realizzato, ma del quale abbiamo, in Gesù Cristo, la certezza che avverrà.

La domanda: «Di' a noi: quando accadranno queste cose e quale sarà il segno quando tutte queste cose staranno per compiersi?» trova così la sua piena risposta pratica in un atteggiamento di discepoli che seguono il Signore con atteggiamento vigile, operoso, responsabile. Questo cammino li porterà a incontrare Dio in Gesù crocifisso e risorto, il Signore della storia. Colui che attendiamo ci attende e ci accoglierà alla fine del nostro lungo cammino di discepoli.

CONCLUSIONE

Nel brano del Vangelo che abbiamo letto e meditato, il Signore vuole istruire i suoi discepoli sugli eventi futuri. Non è in primo luogo un discorso sulla fine del mondo, piuttosto è l’invito a vivere bene il presente, ad essere vigilanti e sempre pronti per quando saremo chiamati a rendere conto della nostra vita…

La storia dell’umanità, come la storia personale di ciascuno di noi, non può essere compresa come un semplice susseguirsi di parole e di fatti che non hanno un senso. Non può essere neppure interpretata alla luce di una visione fatalistica, come se tutto fosse già prestabilito secondo un destino che sottrae ogni spazio di libertà, impedendo di compiere scelte che siano frutto di una vera decisione… Gesù dice che la storia dei popoli e quella dei singoli hanno un fine e una meta da raggiungere: l’incontro definitivo con il Signore. Non conosciamo il tempo né le modalità con cui avverrà; il Signore ha ribadito che «nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio»; tutto è custodito nel segreto del mistero del Padre. Conosciamo, tuttavia, un principio fondamentale con il quale dobbiamo confrontarci: «Il cielo e la terra passeranno – dice Gesù – ma le mie parole non passeranno». Il vero punto cruciale è questo. In quel giorno, ognuno di noi dovrà comprendere se la Parola del Figlio di Dio ha illuminato la propria esistenza personale, oppure se gli ha voltato le spalle preferendo confidare nelle proprie parole. Sarà più che mai il momento in cui abbandonarci definitivamente all’amore del Padre e affidarci alla sua misericordia.

Con noi porteremo soltanto quello che abbiamo donato.

da Papa Francesco, 2018