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Periodico d’informazione culturale dell’Associazione “Gli Stelliniani” di Udine – Anno IX – Numero 2 – Dicembre 2010 Periodicità quadrimestrale – Spedizione in abbonamento postale – Articolo 2, comma 20/c, legge 662/96 – D.C.I. “UD” degli Stelliniani Quando la storia è un valore che resiste al tempo Dal successo della presentazione a quello in libreria S abato 2 ottobre al Pa- lamostre di Udine è stato presentato il corposo volume Il Liceo Classico “Jacopo Stellini”. Duecento anni nel cuore del Friuli, costato svariati anni di lavoro, composto com’è di interventi di una ses- santina di autori che sono stati coordinati dal curato- re, Federico Vicario, e dal- la presidente dell’Associa- zione “Gli Stelliniani” (motore dell’iniziativa), Elettra Patti, già docente di Lettere Classiche del Li- ceo, i quali hanno dedicato tante energie per portare a compimento l’immane la- voro (si tratta di un tomo di quasi 700 pagine, belle dense e impreziosite da immagini, circa 400). Il tutto si è svolto in mo- do ufficiale ed insieme partecipato e caloroso nel corso di una animata sera- ta, allietata dall’esibizione di una rappresentanza del coro e dell’orchestra del Liceo, ormai apprezzati sul piano musicale, e con- trappuntata da tanti inter- venti, coordinati dal gior- nalista Davide Vicedomini (stelliniano anche lui, per- bacco!), a partire da quello del relatore ufficiale, il prof. Alessio Persic, già stelliniano e docente del- l’Università Cattolica di Milano, che ha impostato la sua articolata presenta- zione, divisa in più seg- menti, in accordo con le diverse sezioni in cui è sta- to strutturato il volume. Sono quindi seguite le let- ture di Gianni Cianchi, Franco Romanelli e Stefa- nia Pontecorvo, tratte dai testi contenuti nel volume fresco di stampa. Con no- tevole bravura essi hanno saputo evocare tramite le loro voci, facendo compie- re un magico e commo- vente viaggio nel tempo e nella memoria collettiva, non solo figure indimenti- cabili di docenti, studenti, ma pure la mitica “segre- taria”, la dinastia presti- giosa dei bidelli, ecc. Dopo le parole introdut- tive del dott. D’Agostini, presidente della Fondazio- ne CRUP che ha sponso- rizzato insieme a Regione, Provincia e con il sostegno del Liceo medesimo il vo- luminoso tomo, edito dal- la Forum di Udine, hanno preso la parola Elena Liz- zi, assessore provinciale alla cultura, che ha ricor- dato il ruolo della scuola in rapporto al territorio, Pietro Biasiol, direttore dell’Ufficio scolastico pro- vinciale, e il sindaco di Udine, Furio Honsell, che con arguzia s’è chiesto quanto Jacopo Stellini debba alla prestigiosa scuola udinese perché si- curamente il suo nome non sarebbe giunto ai po- steri per le sue speculazio- ni filosofiche, mentre è or- mai indissolubilmente as- sociato ad una delle gran- des écoles del nostro territo- rio: ciò gli ha garantito fa- ma imperitura. Potenza di un destino imprevedibile! Il nome dello Stellini evoca istintivamente sto- rie, personaggi, racconti, e (segue a pagina 2) (segue a pagina 2) E il libro va... I n una memorabile e partecipata serata, organiz- zata dall’Associazione “Gli Stelliniani”, è stato presentato il libro “Il Liceo Classico Jacopo Stel- lini - Duecento anni nel cuore del Friuli”. Sessanta autori hanno scritto un’opera curata dal prof. Fe- derico Vicario con la fattiva collaborazione della prof.ssa Elettra Patti e ideata dalla compianta prof.ssa Annamaria Veneroso Zuccato e dall’avv. Andrea Purinan. La necessità di conservare e ricordare in genere crea fatti e comportamenti da cui nascono convin- zioni che a loro volta producono valori, come cre- diamo siano stati espressi in questo libro di storia vissuta. Quella del Liceo è stata ed è storia di mol- ti, di tanti, che non l’hanno guardata dall’alto co- me un’aquila distante, ma che hanno partecipato con umiltà morale ad una ideale processione orientandone il corso. Un’opera di storia contem- poranea dunque, nel senso crociano di riattualiz- zazione pensata di quanto già esistente nella no- stra vita: non un già accaduto e perduto o che vi- ve come mero presente, ma il passato e il presente come attualità della cultura e dello spirito di una istituzione. Un libro di storia difficile da scrivere perché, come dice Kierkegaard, “i fatti accaduti hanno una duplicità che consiste nell’essere il luo- go di passaggio dal niente da cui furono creati e da altre possibilità multiple che furono scartate”. Perciò si può dire che autori e ideatori del libro sono stati spinti da una sola passione: la fede che ci regala sempre, contro il dubbio, il significato del divenire, cioè della storia di un mondo culturale come è ed è stato il Liceo “Jacopo Stellini”. Nel li- bro non si è voluto certo cristallizzare tale istitu- zione in un eterno presente di auto-compiacimen- to, mutato in una totalità immobile senza sviluppo e contrasti, che pur invece appaiono in vari artico- li del testo. Perciò questo si configura come un luogo ideale mosso da idee e correnti di segno di- verso, che ne impediscono la stagnazione in un passato senza contenuti. Sì, è vero, come dice il prof. Federico Vicario nella sua presentazione, che il libro è anche “un’operazione memoria”, ma si aggiunga pure che la memoria condivisa ad ogni costo è smemoratezza patteggiata, perché ognuno ebbe idee diverse sui destini della scuola e le per- seguì anche a costo di dibattiti e di visioni accese. La storia del Liceo, quella sì, è sempre stata con- divisa da tutti perché ognuno ha svolto la sua par- te anche in dialettica accesa verso gli altri, ma ol- tre il rogo dei conflitti di ieri non c’è oggi ira ne- mica. Per questo motivo anche le idee e le persone che sembravano incompatibili nella vita del Liceo furono pur sempre comparabili e confrontabili nella sua storia. Così il testo ci consegna “una ri- costruzione della temperie umana del Liceo”, co-

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Periodico d’informazione culturale dell’Associazione “Gli Stelliniani” di Udine – Anno IX – Numero 2 – Dicembre 2010Periodicità quadrimestrale – Spedizione in abbonamento postale – Articolo 2, comma 20/c, legge 662/96 – D.C.I. “UD”

degli Stelliniani

Quando la storia è un valore

che resiste al tempo

Dal successo della presentazione a quello in libreria

Sabato 2 ottobre al Pa-lamostre di Udine èstato presentato il

corposo volume Il LiceoClassico “Jacopo Stellini”.Duecento anni nel cuore delFriuli, costato svariati annidi lavoro, composto com’èdi interventi di una ses-santina di autori che sonostati coordinati dal curato-re, Federico Vicario, e dal-la presidente dell’Associa-zione “Gli Stelliniani”(motore dell’iniziativa),Elettra Patti, già docentedi Lettere Classiche del Li-ceo, i quali hanno dedicatotante energie per portare acompimento l’immane la-voro (si tratta di un tomodi quasi 700 pagine, belledense e impreziosite daimmagini, circa 400).

Il tutto si è svolto in mo-

do ufficiale ed insiemepartecipato e caloroso nelcorso di una animata sera-ta, allietata dall’esibizionedi una rappresentanza delcoro e dell’orchestra delLiceo, ormai apprezzatisul piano musicale, e con-trappuntata da tanti inter-venti, coordinati dal gior-nalista Davide Vicedomini(stelliniano anche lui, per-bacco!), a partire da quellodel relatore ufficiale, ilprof. Alessio Persic, giàstelliniano e docente del-l’Università Cattolica diMilano, che ha impostatola sua articolata presenta-zione, divisa in più seg-menti, in accordo con lediverse sezioni in cui è sta-to strutturato il volume.Sono quindi seguite le let-ture di Gianni Cianchi,

Franco Romanelli e Stefa-nia Pontecorvo, tratte daitesti contenuti nel volumefresco di stampa. Con no-tevole bravura essi hannosaputo evocare tramite leloro voci, facendo compie-re un magico e commo-vente viaggio nel tempo enella memoria collettiva,non solo figure indimenti-cabili di docenti, studenti,ma pure la mitica “segre-taria”, la dinastia presti-giosa dei bidelli, ecc.

Dopo le parole introdut-tive del dott. D’Agostini,presidente della Fondazio-ne CRUP che ha sponso-rizzato insieme a Regione,Provincia e con il sostegnodel Liceo medesimo il vo-luminoso tomo, edito dal-la Forum di Udine, hannopreso la parola Elena Liz-

zi, assessore provincialealla cultura, che ha ricor-dato il ruolo della scuolain rapporto al territorio,Pietro Biasiol, direttoredell’Ufficio scolastico pro-vinciale, e il sindaco diUdine, Furio Honsell, checon arguzia s’è chiestoquanto Jacopo Stellinidebba alla prestigiosascuola udinese perché si-curamente il suo nomenon sarebbe giunto ai po-steri per le sue speculazio-ni filosofiche, mentre è or-mai indissolubilmente as-sociato ad una delle gran-des écoles del nostro territo-rio: ciò gli ha garantito fa-ma imperitura. Potenza diun destino imprevedibile!

Il nome dello Stellinievoca istintivamente sto-rie, personaggi, racconti, e

(segue a pagina 2)(segue a pagina 2)

E il libro va...In una memorabile e partecipata serata, organiz-

zata dall’Associazione “Gli Stelliniani”, è statopresentato il libro “Il Liceo Classico Jacopo Stel-

lini - Duecento anni nel cuore del Friuli”. Sessantaautori hanno scritto un’opera curata dal prof. Fe-derico Vicario con la fattiva collaborazione dellaprof.ssa Elettra Patti e ideata dalla compiantaprof.ssa Annamaria Veneroso Zuccato e dall’avv.Andrea Purinan.

La necessità di conservare e ricordare in generecrea fatti e comportamenti da cui nascono convin-zioni che a loro volta producono valori, come cre-diamo siano stati espressi in questo libro di storiavissuta. Quella del Liceo è stata ed è storia di mol-ti, di tanti, che non l’hanno guardata dall’alto co-me un’aquila distante, ma che hanno partecipatocon umiltà morale ad una ideale processioneorientandone il corso. Un’opera di storia contem-poranea dunque, nel senso crociano di riattualiz-zazione pensata di quanto già esistente nella no-stra vita: non un già accaduto e perduto o che vi-ve come mero presente, ma il passato e il presentecome attualità della cultura e dello spirito di unaistituzione. Un libro di storia difficile da scrivereperché, come dice Kierkegaard, “i fatti accadutihanno una duplicità che consiste nell’essere il luo-go di passaggio dal niente da cui furono creati e daaltre possibilità multiple che furono scartate”.

Perciò si può dire che autori e ideatori del librosono stati spinti da una sola passione: la fede checi regala sempre, contro il dubbio, il significato deldivenire, cioè della storia di un mondo culturalecome è ed è stato il Liceo “Jacopo Stellini”. Nel li-bro non si è voluto certo cristallizzare tale istitu-zione in un eterno presente di auto-compiacimen-to, mutato in una totalità immobile senza sviluppoe contrasti, che pur invece appaiono in vari artico-li del testo. Perciò questo si configura come unluogo ideale mosso da idee e correnti di segno di-verso, che ne impediscono la stagnazione in unpassato senza contenuti. Sì, è vero, come dice ilprof. Federico Vicario nella sua presentazione, cheil libro è anche “un’operazione memoria”, ma siaggiunga pure che la memoria condivisa ad ognicosto è smemoratezza patteggiata, perché ognunoebbe idee diverse sui destini della scuola e le per-seguì anche a costo di dibattiti e di visioni accese.

La storia del Liceo, quella sì, è sempre stata con-divisa da tutti perché ognuno ha svolto la sua par-te anche in dialettica accesa verso gli altri, ma ol-tre il rogo dei conflitti di ieri non c’è oggi ira ne-mica. Per questo motivo anche le idee e le personeche sembravano incompatibili nella vita del Liceofurono pur sempre comparabili e confrontabilinella sua storia. Così il testo ci consegna “una ri-costruzione della temperie umana del Liceo”, co-

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alcune di queste illustri fi-gure, Annamaria VenerosoZuccato e Lino Comand, so-no state ricordate da Danie-le Picierno; figure alle qualiognuno ha accostato quelledi tante altre persone, a rin-saldare il legame particola-re che si instaura tra chi èstato stelliniano e l’istitu-zione ove si è formato. Chiera presente ha voluto rin-novarlo e ribadirlo con af-fetto: non si è trattato solo

di una scuola ma di una pa-lestra di vita nella quale ri-cercare punti di riferimentoculturali ed affettivi che so-no rimasti come una busso-la anche nei percorsi poi in-trapresi da ciascuno dei di-plomati (tantissimi, ricorda-ti negli appositi elenchi, dal1919 al 2009, inseriti alla fi-ne del volume, insieme conquelli dei docenti che hannoprestato il loro servizio nel-l’Istituto, anche per un soloanno; liste non meramenteburocratiche di nomi anno-tati con puntiglio e fatica, intante lunghe ore di trascri-zione da parte di varie ge-nerose colleghe, del cui ope-rato tantissimi saranno rico-noscenti ritrovando se stes-si, i loro cari, le persone chehanno conosciuto e stima-to).

Ne è uscito il ritratto di unliceo al passo coi tempi, co-me ha ribadito la preside at-tuale, prof.ssa GiovannaMarsoni, a dispetto di chil’ha sempre voluto vederesolo come rivolto al passato,mentre invece – in accordocon la sua natura bifronte –è sempre proteso verso ilfuturo, ancorché incerto,per raccogliere la sfida dicontinuare a restare unascuola sensibilmente apertaverso le occasioni che divolta in volta si presentano,

in scambi fecondi con altrerealtà (gemellaggi con scuo-le straniere, rapporti conl’Università, con enti ester-ni…), affacciata ai cambia-menti che coinvolgono que-sto come gli altri istituti, peresempio in occasione dellaRiforma appena avviata.

Dal volume esce sì il ri-tratto di un istituto di orien-tamento classico, ma dotatodi varie sfaccettature, poli-valente, perché nel corsodel tempo si sono promossiinterventi in variegati setto-ri come quello teatrale (dal-l’esperienza del Palio, natanegli anni ’70 del ‘900, aiLaboratori in rete, al Proget-to Theatron) o artistico-mu-sicale (coro e orchestra sonodiventati ormai punto di ri-ferimento con esibizioni ac-clamate anche al di fuoridegli appuntamenti scola-stici canonici). Una scuolavivace e attiva, cresciutasempre più grazie ai dialo-ghi interculturali e trasver-sali, tramite progetti che l’-hanno relazionata semprepiù al mondo esterno espinta verso esperienze inu-suali.

Ora un testo come quelloche ha visto finalmente laluce – grazie all’impegno diuna schiera di autori chehanno accettato di contri-buire ciascuno col proprio

tassello alla realizzazione diun grande mosaico – testi-monia non tutto (non sareb-be umanamente possibile!)di quell’inestricabile intrec-cio di vicende personali epubbliche che la scuola insé ha condensato, ma com-pendia buona parte dell’iti-nerario in un sapere che,proiettandosi fuori dal suopiccolo mondo, si è svilup-pato non solo in esperienzeprivate ma s’è continua-mente riversato in quellecollettive perché buona par-te dello Stellini si è trasferi-ta nell’esperienza del socia-le e s’è compiuta nella storiadella città e del Friuli tutto.Un vero e proprio Bildungsro-man, che lievita ben oltre lequasi 700 pagine che lo rias-sumono. Manet et manebit. Eriguardo agli anni: per orasono solo duecento, ma nonci si ferma di certo qui! Au-gurando lunga vita alloStellini, possiamo già legge-re in questo libro – che vie-ne di per se stesso a costi-tuire una parte importantedella sua vicenda – i capito-li fondativi per compren-derne meglio i caratteri eimmaginare la sua evolu-zione nel domani.

Francesca Venuto

me dice la prof.ssa Elettra Patti nella sua presenta-zione, ma lo Stellini va anche oltre il passato dellasua identità raccontata. Infatti esso ha un voltocon due profili che ognuno di noi guarda da luo-ghi diversi della sua anima: da un lato c’è il nostropassato di studio e lavoro come trascendenza eforza che ci auto-fonda, dall’altro c’è l’immanen-za-vicinanza del suo volto e del suo nome: Stelli-ni, che ci aiuta a sperare nella sua durata, e con es-sa al futuro di una parte di noi. Il Liceo è dunqueun volto, il nostro volto come identità, non “millefacce che diventano una maschera che indica l’al-tra faccia della verità come insensatezza del vive-re” (Garimberti).

Ecco, proprio questo è il vero problema, qualesenso e quale futuro dare a tale libro e al Liceo cheesso racconta. I miti del mondo postmoderno, incui siamo, distruggono il futuro, perché come unadroga tranquillizzano le nostre coscienze, affossa-no la capacità di giudizio e di crisi e perciò scam-biamo la vivacità di facili adesioni con la profon-dità di nobili intenzioni. I miti moderni sono det-tati ipnotici che svuotano il passato, portano alcollasso del futuro e minano la autorevolezza delpresente. Essi portano i giovani in un Altrove, do-minato dal dissentire come non sentire nulla e daun divergere come togliere lo sguardo per distrar-si, e scambiano lo sguardo sul tutto con la miopiadei propri desideri. Così crolla anche quella spe-ranza di futuro che crea sempre due figli: lo sde-gno per la nostra decadenza e il coraggio che èsempre quel prestito di speranza da cui è nato il li-bro sullo Stellini.

Questo libro vuole il tempo, prende tempo e siproietta verso il tempo contro la banalità dei mitidi ieri e di oggi rincorsi sempre dalla ovvietà dimassa e dalla impotenza dello spirito. Il libro com-batte contro la teatralizzazione della fine di unpassato di scienza e vita come è stato quello del Li-ceo e, proiettandosi anche verso il domani, apparecome un buon risarcimento per un passato che èormai trascorso. Questo passato viene ricordatodal prof. Vicario nella sua presentazione con i no-mi di alcuni ex allievi come Andrea Romano, Mat-teo Venier, Giovanni Gardenal e Andrea Purinanche ancora oggi vivono in modi diversi in questastoria antica. Certo, tutto diventa storia, che è talesolo se resiste al tempo e diventa antica; la storia,come una zattera da lontano, ci regala il sublimeconfronto tra il nostro trascorrere e il permanere diciò che è “un Valore”, cioè il nostro vecchio Liceo,che è stato un incontro mai dimenticato tra il no-stro sogno di appartenenza e di affetti e la caldatensione delle nostre intelligenze curiose e avidedi sapere.

Daniele Picierno

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TERZA PAGINA

Che cos’è il senso diappartenenza? In unepoca così farragino-

sa e desolata ad un tempo,farcita di quantità nella co-municazione, tutta a scapitodella qualità, vi sono argo-menti importanti che, curio-samente, sono trascurati, senon annullati. Fra questi iltema del senso di apparte-nenza sembra essere o spro-fondato nelle nebbie di unpassato accusato, più o me-no esplicitamente, di retori-ca (ma chi ha detto che èsempre un fatto negativo?)oppure relegato a consessiumani di violenza inaccet-tabile (tifo sportivo estre-mo, fra le varie) o, ancora,di lobbismo di derivazionepartitica finalizzato nonsempre a scopi virtuosi. Nelmondo anglosassone le cosesono un po’ diverse e, para-dossalmente, è il mondoche maggiormente ha eredi-tato dalla classicità greco-la-tina il nobile piacere di vi-vere una appartenenza diformazione come un fattodistintivo e qualificante.Una cultura “codina e fari-saica”, talvolta venata di,appunto, ipocrisie masche-rate per idealità, ha visto evede il senso di appartenen-za come un elemento diesclusione di altri. Lo fa di-menticando la storia stessadell’uomo che è storia di

Riflessioni sul senso di un’appartenenza culturale

Logòcrati o logòfili?

Un grande libro, una grande storia

gruppi e di comunità.Gruppi e comunità con ov-vie consapevolezze identi-tarie. La lingua tedesca facapire bene la differenza fra“società” e “comunità” coni termini carichi di significa-ti estesi ed estendibili comeaccade spesso nella bellissi-ma lingua di Goethe: Gesel-leschaft e Gemeinschaft.

Anche nella lingua diDante, magari con menoimplicazioni, si percepiscel’algida strutturalità di “so-cietà” che non solo e nontanto diventa soggetto eco-nomico e giuridico, ma chesi connota per vastità ecomplessità con implicitacrisi dell’individuo annulla-to nell’uomo-massa e perdi-ta identitaria di sé e del suogruppo di provenienza, cuiun tempo apparteneva e nelquale si identificava. “Co-munità” conserva in sé, in-vece, tutto il calore delgruppo che accoglie l’indi-viduo e ne magnifica gliaspetti personali e solidaliad un tempo, erede direttadi quella tribù che, in tempiremoti e in molti luoghi delmondo, senza bisogno dileggi scritte, rispettava e tu-telava i diversamente abili, idifformi, quelli che ora ven-gono chiamati “pazientipsichiatrici” come, invece,“toccati dagli Déi” e, dun-que, degni della massima

attenzione per la loro miste-riosa capacità. Capacità dicomunicare con altri modi,altre – e non meno raffinatee preziose – sensibilità. Po-chi ricordano che il termine“Liceo” viene da una vicen-da affascinante quanto bru-tale, misteriosa e sanguino-lenta. Gli studi di WalterBurkert ci insegnano moltosull’Homo necans e i suoi sa-crifici cruenti. Ma quella delRe Lykeon che regnava sul-l’omonimo monte Liceo, nei

cui boschi i giovani andava-no a trascorrere un anno dalupi per essere iniziati e di-ventare invincibile stirpeguerriera, è una vicenda cheinsegna molto (lì nasce ilmito del lupo mannaro).Ancora più catartico, dun-que, è vedere come ciò cheera così estremo e cupo, sirovescia nella progressivaconfigurazione della “scho-la” per eccellenza. Ancheperché la catarsi è già nellaparola stessa, laddove lyke

sta per luce e la stessa paro-la lykeon, superata la mito-logia oscura del re lupo, si-gnifica “lucente, splenden-te”, presidiato dal culto diApollo e Febo. Una perfettaassonanza con il mito di Sa-turno del quale si raccontararamente la parte aerea, li-berata: dopo il buio dell’a-bisso, il divorare i figli, Sa-turno è destinato a diventa-re Padre Celeste. Dunque,l’appartenenza forte e indo-mita di guerrieri e loro uffi-

ciali (istruttori prima e gui-de poi) diventa l’apparte-nenza di studenti e docenti,di apprendisti e maestri inuna mitopoiesi reale, desti-nata a costruire, per quantopossibile, dei modelli di so-cietà, non dimentichi dellaumana gentilezza e del pro-fondo senso civile della co-munità. Un Liceo, dunque,che si dica tale, non puònon avere una forte spintaidentitaria e una conse-guente consapevolezza diappartenenza. Quest’ultimanon solo non esclude alcun-ché ma diviene motore emodello di apertura al qua-le guardare secondo unprincipio di emulazione e dicompetizione che mai haspaventato quel mondo cosìleggendario, eppure reale estorico, a cui il Liceo-Ginna-sio si ispira. Anche etimolo-gicamente ginnasio, invece,si lega al verbo “gymnà-zein” che significa “adde-strare il corpo e/o lo spiri-to” indicando la palestra co-me luogo di formazione fi-sica e spirituale, di esercizioe di studio. Pensare a stu-denti, dunque, che diventa-no non logocrati ma logofili.

Marco Maria TosoliniDocente di Storia ed Estetica musicaleal Conservatorio "G. Tartini" di Trieste

Ora esiste uno straor-dinario documento– curato da Federico

Vicario con la stretta colla-borazione di Elettra Patti econ il contributo di moltiautori – che testimonia que-sta inesausta, per certiaspetti sorprendente, logofi-lia. Un amore del sapere cheviene celebrato in un’operamonumentale, memoria ar-ticolata, profonda e talvoltacommovente di 200 anni divita. Anche come formato,il corposo volume titolato“Il Liceo classico JacopoStellini. Duecento anni nelcuore del Friuli” di 672 pa-gine, diviso in 5 sezioni, ric-co di oltre 70 contributi re-datti da 60 autori, la mag-gior parte dei quali (ex)stelliniani, arricchito da 394fotografie e con l’elenco dicirca 8.500 diplomati dal1919, è un tributo allo stu-dium nel segno della ponde-rosità. Viene da pensare al

lungo periodo, durato seco-li, durante il quale all’Uni-versità di Bologna, fondatanel 1088 e prima nel mondooccidentale, gli studenti,per accedervi, dovevano di-mostrare di poter disporrealmeno di due aiutanti perportare i giganteschi volu-mi. Non è una battuta. È laconvinzione che la dimen-sione di questo grande libronon sia solo un fatto di ne-cessità di contenimento diuna mole ampia di docu-menti irrinunciabili, ma an-che la serena volontà di nonabdicare, nell’era del Perso-nal Computer, dell’I-Pad,dell’I-book, della puerilitàdelle mail e degli sms, al te-stimone simbolo della no-stra civiltà che è il libro, ungrande libro. Da soppesare,sfogliare, gustare, vedere,osservare, indagare primaancora che leggere, colle-gando, tra le altre, le illu-strazioni ai soggetti trattati.

Vi sono molti numeri inquesto libro. Numeri daleggersi come traccia e cuo-re di una scuola che, senzanulla togliere ad altri im-portanti istituti della città edel territorio, si configuracome una “creatura” spe-ciale.

Emergono molti nomi diex studenti che, in molti ca-si, hanno traguardatoobiettivi significativi nonsolo in senso professionale,culturale, artistico ma an-che e soprattutto civile edetico, se è vero che il Liceoginnasio “J. Stellini” è sta-to, è e sarà palestra di civil-tà. Molte immagini dellevarie epoche e che hannovisto protagonisti stellinia-ni impreziosiscono il testo.Le immagini costituisconouna sorta di “iconografiaminima” carica, però, diforte suggestione. Un librocon diverse anime ma conun filo rosso che lo sotten-

de e lo si può descrivere co-me una specie di “filologiadell’anima”. Questo poi-ché, che si tratti di accuratadisamina storica (sezione“La storia”), che si insistasull’analisi di aspetti istitu-zionali nel corso del tempo(sezione “L’istituzione”),che si indaghi su “Uomini evicende” o che si riaccenda-no umane curiosità con “Iricordi”, per nutrire di tuttociò con l’articolata sezionecentrale de “La scuola dioggi”, ciò che emerge, purnella ovvia diversità dei re-gistri, è che tutti gli autori,nessuno escluso, tendono amantenere un bilanciamen-to – che è il caso di dire“classico” – fra un malcela-to senso di affetto profondoper la propria e altrui espe-rienza e quella misura d’e-spressione, quella ricerca di“Harmonia” sublimine che èvero risultato di una eccel-lente educazione classica. È

un libro, questo, che neces-sita, dopo il dovuto entu-siasmo e la sorpresa che hacolpito anche gli stessiestensori per la straordina-ria ricchezza del costruttofinale, di sedimentazione.Non solo di ritmica letturaaccurata, ma di stratifica-zione e interiorizzazionecome è proprio di unagrande Opera. Convivononel testo alchimie straordi-narie che permettono certodi guardare all’indietro –come non rimanere colpitidal contributo di GaetanoCola “Dai banchi dello Stel-lini ai campi di battaglia: ilsupremo sacrificio in nomedella Patria”, laddove il sa-pere non solo non tuteladalla tragedia della storiama in essa porta i suoi figlipiù inesorabilmente consa-pevoli – ma anche avanti, aldi là della mestizia a cui ilpanorama attuale potrebbeportarci. In tal senso lo sce-

nario, vivo, attuale e proiet-tivo contenuto in Oltre ilPalio teatrale dello Stellini(1972-1999) di Betuel ArciBiffoni parla da solo.

In sintesi ci vorrebbe unpiccolo libro per parlare diquesto grande libro. Ciòche però rimane da segna-lare è il modus con il qualequi si ricordano delle per-sonalità straordinarie chenon sono più fra noi in sen-so fisico e che questo testo,invece, ricolloca con affet-tuosa discrezione fra coloroche hanno reso possibiletutto ciò: Lino Comand,stelliniano storico, e AnnaMaria Veneroso Zuccato,mia insegnante di latino,greco e molte altre cose, cuidevo molto se oggi, in que-sta Italia desolata, trovo an-cora l’energia e le motiva-zioni per operare, trasfe-rendole ai miei allievi.

M. M. T.

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SPECIALE PRESENTAZIONE

Il sindaco di Udine, Furio Honsell

Honsell“Ma Jacopo Stellini è più famoso come filosofo ocome colui che ha dato il nome al Liceo Stellini?(...) Lo Stellini e altre scuole di Udine, come lo Za-non e il Malignani, sono davvero della grandes éco-les che hanno dato un contributo fondamentale al-lo sviluppo del Friuli e rappresentano ancora unpunto di riferimento nel mondo in cui viviamo”.

Patti 1“È uno dei giorni piùbelli della mia vita! Èstata una fatica straor-dinaria e il mio rin-graziamento va nonsolo agli autori, maanche a tutti coloroche si sono prodigatiper la riuscita di unprogetto che ha rap-presentato la summadei quindici anni divita degli Stelliniani”.

Patti 2“... anch’io ho un pec-cato originale: non so-no nata a Udine, mavivo qui dal 1963 econfesso che, se nonfossi siciliana, vorreiessere friulana”.

Patti 3“... mi sento stellinia-na dalla testa ai piedi.E scusate, se è poco!”.

Marsoni“Sento di dovere unaparticolare gratitudi-ne alla professoressaElettra Patti, alla pro-fessoressa Betuel ArciBiffoni e alla professo-ressa Francesca Noac-co, vera innamoratadella nostra biblioteca,che con il loro lavoropaziente e scrupolosohanno permesso lacompilazione deglielenchi dei presidi, deidocenti e degli allievi,leggendo i quali ci sirende conto di quantistelliniani abbianoavuto un ruolo di pri-mo piano nella storiadi questa Regione”.

La presidente degli Stelliniani, Elettra Patti, con il conduttore, Davide Vicedomini

Il curatore del volume, Federico Vicario, con accanto il sindaco e l’assessore comunale alla cultura, Luigi Reitani

L’assessore provinciale alla cultura, Elena Lizzi, con il conduttore

Il presidente della Fondazione CRUP, Lionello D’Agostini, con Davide Vicedomini

La preside dello Stellini, Giovanna Marsoni

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SPECIALE PRESENTAZIONE

Il presidente onorario degli Stelliniani, Daniele Picierno

Vicario“Dopo una presentazione così sontuosa non ho più niente da aggiungere senon rinnovare il mio ringraziamento a tutti coloro che hanno collaborato neiquattro anni durante i quali abbiamo costruito insieme questa impegnativa emeravigliosa impresa”.

Picierno“Questa è un’opera che unisce il passato al futuroe per la quale dobbiamo essere riconoscenti a duepersone che non sono qui con noi, stasera, ma sen-za le quali non sarebbe mai nata: la prof.ssa Anna-maria Veneroso Zuccato e l’avv. Lino Comand”.

Il curatore del volume, Federico Vicario

La cantante solista, Chiara Spizzo, accompagnata da Alessio Venier

Persic“Un’impiegata del Comune, suonandomi al cam-panello, si è chiesta se il mio cognome non avessea che fare con quello di un suo professore allo Stel-lini; ne abbiamo ricercato nel volume la foto, quin-di il nome di lei stessa e fra reciproci sorrisi la suacontentezza si è resa palpabile... Ed è probabil-mente in circostanze simili che la ragione e la na-tura di questo volume si manifestano nella loroprima verità”.

Il presentatore del volume, Alessio Persic

I lettori dei brani tratti dal libro: Franco Romanelli, Stefania Pontecorvo e Gianni Cianchi

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La prof.ssa Betuel Arci Biffoni assieme ad una sua classe, davanti al Tempio della Concordia di Agrigento

CRONACHE STELLINIANE

Noterelle a margine di un curriculum didattico

Oggi 19 novembre andiamo in gita a San Daniele. È piovuto tutta la notte, ma lamattinata sembra promettere un po’ di tregua. Siamo in attesa del prof. Nun-ziata che alle 8 ci ha dato appuntamento in piazza I Maggio a Udine, proprio

davanti alla Madonna delle Grazie. Siamo in otto e altri due amici ci aspettano a SanDaniele. Si parte con qualche minuto di ritardo con un furgone da nove posti guidatodallo stesso professore e messo a disposizione dal Parroco della Madonna delle Gra-

zie, usciamo da Udine e ci dirigiamo verso la cittadina collinare, che raggiungiamo dopo un viaggio tranquillo versole 8.45.

Il prof. parcheggia nei pressi dell’Ospedale non senza qualche difficoltà, il mezzo è grande e i posti sono pensati perle normali auto. Lì incontriamo gli amici del posto che ci fanno da guida. Verso mezzogiorno tutti insieme andiamo amangiare una bella fetta di prosciutto e a bere un buon bicchiere… d’acqua! Il prof. Nunziata dice che non si devonobere alcolici….. Verso la mezza siamo già sulla strada di ritorno verso Udine un po’ stanchi ma contenti.

A proposito! Nel frattempo abbiamo donato per la prima volta il sangue presso il Centro trasfusionale, assistiti dal-la dott.ssa Franzon, un tipo proprio simpatico, abbiamo donato tutti e dieci… non sarà stata la gita più bella della no-stra vita ma sicuramente da oggi ci sentiamo tutti un po’ più grandi.

Firmato…………. 10 studenti del Liceo Stellini

Ufficialmente sono stata insegnante per poco più di 31anni, e dal 2000 continuo ad esserlo soprattutto in unstruttura di volontariato, ove ho allargato i miei in-

terventi culturali rispetto ai campi operativi consentiti dallascuola. Sono cresciuta in una famiglia in cui c’erano maestri,docenti e persino presidi; una famiglia dove il mio destinoera praticamente, per così dire, segnato in partenza, tant’èche, arrivata a La Sapienza, seguii il corso di Pedagogia delprof. Visalberghi, sostenendo con lui e con la prof.ssa CordaCosta il mio primo (memorabile!) esame universitario. Ap-partengo alla generazione che sosteneva a Roma esami na-zionali sia di abilitazione che di concorso a cattedre, in cui(purtroppo!) non mi veniva mai richiesto, ad esempio, comeavrei presentato un autore o un testo: mi si chiedevano puree semplici nozioni. L’unico corso abilitante da me frequenta-to, nel 1972 a Udine, fu per lettere latine e greche nei licei, se-guendo i corsi (finalmente formativi!) dei professori Bros,Brussich e Passone. Questo solo per dire che forse l’abitudi-ne a riflettere sull’operatività docente l’ho acquisita da cosìtanto tempo, da risultarmi da ultimo istintiva …..

Tuttavia non vorrei che questa mia premessa suoni comeun’arrogante dichiarazione di unicità del mio sapere: anzi,credo veramente che molti miei colleghi si riconoscano facil-mente nelle mie parole, trovandole persino scontate. Ma nonè vero che qualche volta le cose che sappiamo restino nelprofondo del nostro cuore (o mente) e stentino a venir fuori,oppressi come siamo da altri pensieri, da altre angustie? Lenoterelle che qui scrivo nascono da tale convinzione, suffra-gata dall’approccio con diversi allievi degli istituti superiori(e non solo) della città, spesso intimoriti, talora sfiduciati neiconfronti della scuola, che pare talvolta non rispondere alleloro esigenze.

Tutti sappiamo che le scelte ministeriali degli ultimi annihanno ingenerato sconcerto e disorientamento sia tra i discen-ti che tra i docenti. Soprattutto questi ultimi stanno vivendoda tempo un disagio che li sta lentamente disamorando neiconfronti del loro lavoro, e che rischia di far perdere, gradual-mente, il gusto della ricerca di procedure operative più idoneeai propri obiettivi didattici. Questo è, a mio avviso, l’aspettopiù inquietante della questione; e lo affermo non già in rap-porto al sentire dell’insegnante, che in ogni caso è una perso-na adulta, in grado quindi (presumo) di elaborare il propriodisagio e di tentarne pragmaticamente soluzioni operative.

Personalmente io penso (forse a causa, o in virtù, del mioruolo di nonna) a tutti quei giovani che stanno formando laloro personalità e che, se pure mostrano una certa baldanzae sicurezza, talora spavalderia e persino sfrontatezza, sonoin realtà in una fase molto critica della loro crescita. Hannobisogno di certezze, in un mondo che non sa più darne; han-no bisogno di interagire non solo coi loro amici e compagni,ma anche con gli adulti. E se non sempre i genitori trovanospazi adeguati per ascoltarli, anche gli insegnanti (qualcunopotrebbe dire: a maggior ragione!) non sempre sono disposti -me lo consentite? - a capirli.

Soprattutto, a mio avviso, i professori non hanno semprechiara, dentro di loro, la nozione del ruolo autorevole che ri-vestono agli occhi dei loro allievi, che proprio per questo sifidano di loro. Ma il docente sagace sa bene che, se non de-ve necessariamente guadagnarsi tale ruolo sul campo, devetuttavia saperlo mantenere sul campo (per esempio, sappiamotutti quanto sia importante fornire sempre precise ed inequi-vocabili istruzioni di lavoro). E qui mi fermerei, suggerendo,a chi non vuole continuare a leggermi, di farlo, senza pro-blemi: lo potrei capire.

Ma forse qualcuno vorrebbe capire in concreto che cosa iovoglia dire. A questi vorrei innanzitutto chiarire un aspettodella questione.

Come voi ho frequentato numerosi corsi di aggiornamento.Come voi ho letto testi di didattica e di formazione per moltianni. Come voi mi sono confrontata con colleghi coi quali hoanche seguito corsi di aggiornamento, talora un po’ partico-lari (per esempio uno di tanti anni fa in cui dovevamo pre-sentarci ad uno ad uno di fronte all’assemblea, e un collegadichiarò, con una spudorata ma simpaticissima frottola, dichiamarsi Mario e di avere venticinque anni; o come quellomolto interessante sulla produttività poetica, in cui eravamoinvitati a confrontare le nostre produzioni istantanee).

Come voi, infine, le ho sentite dai genitori. Poche volte, in ve-rità, ma buone.

La mia reazione (forse anche la vostra, se ne avete avutoesperienza), nel dispormi all’ascolto, è stata di garbata, masostanziale sufficienza atta a mascherare (mi auguravo) lamia inevitabile irritazione. Ma poi il rovello del mio insuc-cesso e soprattutto della mia arroganza nel trattare con suffi-cienza un genitore sostanzialmente preoccupato per suo fi-glio (al di là di possibili fraintendimenti), non mi dava tre-gua. Era comunque un segnale che dovevo alla fine cogliere.

E finivo per costringermi a prestare maggiore attenzione, aspendere più tempo per capire meglio le persone che avevo

davanti, riassestando la mia operatività su un uditorio che,se era anche composto da ragazzi dai 16 anni in su (ho inse-gnato per 28 anni nel triennio superiore), non era comunqueformato, come ero portata istintivamente a ritenere, da per-sone propriamente adulte, cioè sempre capaci di rielaborarein termini auto-correttivi e non già sanzionativi (come non èmai nella nostra intenzione, non è vero?) il giudizio sul lororendimento. E a questo proposito ho imparato presto chefornire griglie di valutazione per ogni tipo di verifica, so-prattutto se scritta, aiuta molto sia l’allievo che il docente,consentendo ad entrambi la necessaria obiettività (nell’ac-cettare e nel valutare) che una prova scolastica esige.

In sostanza vorrei dire che, se devo pensare alla mia cresci-ta come docente, devo ammettere che hanno contato di piùgli interventi personali di genitori e di alunni che non l’ac-quisizione, attraverso letture o corsi di aggiornamento, ditecniche operative efficaci (ma talora un po’ bizantineggianti).

Certamente non si può prescindere da queste esperienze;ma talora il rischio dei corsi sta proprio nell’assunzione in-condizionata delle soluzioni operative proposte, che nellaprassi non sempre sono adeguate a risolvere i casi singoli. Oc-correrebbe nella pratica mediare ed ascoltare proposte diver-se, riassestando continuamente la propria operatività. A que-sto servivano e servono (o dovrebbero servire) appunto i con-sigli di classe o gli incontri fra docenti delle stesse discipline.

Tuttavia ritengo che, nel mio caso, la sollecitazione più si-gnificativa mi sia venuta da un allievo dei miei primi anni diinsegnamento. Carlo aveva un coraggio da leoni (direbbe oggiqualche allievo), perché non gliene importava nulla di appa-rire un po’ molesto e magari poco sveglio (come invece sicu-ramente non era: è da tempo un valente professionista).Quando non capiva, mi chiedeva; ed insisteva a che rispie-gassi e arricchissi la comunicazione; e poi insisteva a che iocontrollassi, mentre ripeteva con parole sue il concetto, seavesse compreso bene o meno. I compagni sorridevano, nongià per sbeffeggiarlo (era una classe molto unita), ma per far-

mi capire che lui era fatto così: finché non aveva capito benenon mollava!

Ebbene, pensate quanto sia stato importante Carlo per mee per i suoi compagni! Il suo bisogno di interazione consen-tiva a me di riassestare il mio livello comunicativo; agli altridi capire meglio o di recuperare un passaggio, qualora si fos-sero distratti (capita, se si hanno delle angustie: ce l’hannoanche i ragazzi!). Ho capito da allora quanto sia importanteprestare molta attenzione a che il proprio messaggio non siacapito male; ed ho imparato presto che la costante interazio-ne coi ragazzi è uno strumento utile non solo a superare ilsuddetto problema, ma anche a raccogliere più dati per unavalutazione finale meno approssimativa. Aiuta soprattutto iragazzi a capire che cosa non vada nella loro comunicazione,e che forse dovrebbero studiare di più, ma senza che si sen-tano semplicemente vittime di una sanzione, che spesso ap-pare a loro senza appello.

Non solo. Carlo aveva capito esattamente qual era il suoruolo e quale il mio: lui un discente che era a scuola per im-parare; io la sua insegnante che ero lì per insegnargli, appun-to, e non solo per giudicarlo. Carlo mi ha consentito di fareassolutamente chiarezza relativamente alla mia funzione do-cente, costringendomi, per mia fortuna, a coltivare un inte-resse gradualmente maggiore per il mio livello operativo.

Che dire? Nonostante i tempi bui, che potrebbero indurregli educatori ad essere più sbrigativi e meno coinvolti, au-guro anche ai miei giovani colleghi (se non hanno già avutola fortuna di farlo) di incontrare lungo il loro cammino unCarlo che li costringa a ripensare al proprio ruolo e a riasse-stare il loro livello operativo. E in tale caso non penso solo al-la ricaduta positiva sui ragazzi; penso soprattutto ai docen-ti, perché possano trarre dal loro lavoro (perdonatemi l’ardi-re!) tutta la saviezza, diciamolo pur francamente, tutte le gioie chela vocazione d’insegnante può (ne sono certa) riservare loro.

Betuel Arci Biffoni

Il giorno della prima donazione

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STORIE E PERSONAGGI DI OGGI E DI IERI

Il professor Andrea Bergnach, presidente degli Stelliniani dal 2006 al 2008

Ritratto di Andrea BergnachUno stelliniano di spicco nella comunità carnica

Le testimonianze

La mattina del 27 di ottobre il duomo di Tolmezzo eragremito per la liturgia funebre in suffragio di AndreaBergnach. Mentre mons. Angelo Zanello ufficiava il ri-

to, una folla variegata di persone era lì commossa e parteci-pe a testimoniare tutta la stima, il rispetto e l’affetto che l’exprimario di chirurgia nonché direttore sanitario del localeospedale aveva saputo guadagnarsi durante la sua lungapermanenza nel capoluogo carnico. Pur non essendo nato inCarnia, Andrea Bergnach era infatti divenuto parte inte-grante, se non addirittura un protagonista, della comunitàtolmezzina, non solo per la competenza e le qualità rivelatenell’esercizio della sua professione, ma anche per le dotiumane che il celebrante ha elencato, sottolineando in parti-colare la sua disponibilità nei confronti del prossimo, l’im-pegno nel volontariato e nelle istituzioni, il senso profondodell’amicizia, che considerava un vincolo sacro e inviolabile,e l’amore per la cultura, tutti valori da lui vissuti strenua-mente. Ricordando infine il patrimonio di affetto donato aifamiliari, agli amici, ai discepoli e ai conoscenti, mons. Za-nello, certo di interpretare il pensiero dell’intera comunità,ha concluso: “Tutti noi gli dobbiamo molto”.

Tanti dei presenti, come chi scrive, erano venuti apposita-mente da Udine per dargli un ultimo affettuoso saluto, per-ché anche nel capoluogo friulano – dove si recava spessonon solo per incontrare i familiari e gli amici, ma anche persbrigare le incombenze legate alle sue molte responsabilità –era conosciuto e apprezzato.

Dopo l’omelia sono intervenuti in diversi a commemorarela figura di Andrea Bergnach, soffermandosi commossi chisu un aspetto chi su un altro della sua personalità, ma da tut-ti gli interventi, qualunque fosse il punto di vista e l’ambitodi relazione, è emerso il carattere di una persona coerentenei valori e nella concezione della vita, di un uomo di gran-de altruismo, ma anche molto esigente nel pretendere daglialtri, come da se stesso, il rispetto degli impegni assunti.

L’uomo…Andrea Bergnach era nato nel 1924 ad Azzida, una frazio-

ne di San Pietro al Natisone posta sopra uno sperone roccio-so a strapiombo sulla valle dell’Aborna e dell’Erbezzo, unpaese di origine antichissima (1175) alla mercé dei venti chescendono dal Matajur e dal Kolovrat. Da questa esposizionela località mutua la sua denominazione di “algida”, ossia“fredda”, come amava chiarire Andrea Bergnach quandoparlava del suo luogo di origine, contesto cui attribuiva ilgrande amore per la montagna. Il desiderio di giustificarequesta passione lo portava a far risalire l’etimologia del pro-prio cognome al sintagma tedesco “nach Berg” (verso la mon-tagna), con la precisazione però, quasi a scusarsi della forza-tura, che molto più probabilmente esso deriva da modifica-zioni slave del nome Bernardo.

Condotti gli studi classici presso il Liceo “Stellini” di Udi-ne e quelli di medicina nell’ateneo patavino, Bergnach ave-va iniziato la sua attività di chirurgo all’ospedale di Udinesotto la guida del prof. Ventura. Nel 1969, dopo aver presta-to opera per un quinquennio come aiuto primario nel noso-comio goriziano, era divenuto primario della Chirurgia di

Porretta Terme-Vergato. In Friuli aveva fatto ritorno solo suc-cessivamente al terremoto del 1976 per assumere il primariatodi chirurgia e la direzione sanitaria dell’ospedale di Tolmezzo.Qui scelse di passare il resto della sua vita. Attaccato alla suaterra, appassionato sostenitore dell’autonomismo friulano e at-tento alle problematiche locali, non si sottrasse nemmeno quan-do era assorbito dai doveri della sua professione all’impegnopolitico che lo portò a militare per il Movimento Friuli rivesten-do per ben quindici anni (dal 1980 al 1995) la carica di consi-gliere comunale nella sua Tolmezzo.

Dopo il pensionamento nel 1989, sfruttando le proprie com-petenze professionali, prestò opera di volontariato sia all’inter-no della Sezione carnica del Soccorso Alpino sia negli ospedalida campo allestiti dalla protezione civile dell’ANA in Armenia(1989) e in Umbria (1997). Inoltre, grazie alla nuova disponibili-tà di tempo, si dedicò con l’entusiasmo e l’energia di cui era na-turalmente dotato a migliorare l’organizzazione dell’Universitàdella Terza Età della Carnia, accettandone la presidenza e im-pegnandosi per aumentare quantitativamente e migliorare qua-litativamente i corsi, i laboratori e le varie altre attività. Graziealle conoscenze acquisite e alle relazioni strette nell’eserciziodella sua professione, riuscì a reclutare molti medici affinché te-nessero assieme a lui dei corsi di cultura medica a Tolmezzo, aPaularo e a Paluzza. Ricco di interessi culturali che trovavanomotivazione nei suoi studi liceali classici, incrementò le attivitàlegate alla letteratura, al coro e al teatro, partecipando come at-tore a molti degli spettacoli allestiti dalla Filodrammatica.

Usò la sua capacità organizzativa anche all’interno del RotaryClub di Tolmezzo, di cui fu membro e più volte autorevole pre-sidente.

Infine spese non poche energie per l’associazione “Gli Stelli-niani”, del cui direttivo entrò a far parte nel 2003, ricoprendopure la carica di presidente nel triennio 2006/2008 e facendosiapprezzare per il rigore, la generosità e il tratto signorile.

Pur così impegnato su vari fronti, fino a quando le condizio-ni fisiche glielo permisero, mantenne la consuetudine di farecamminate spesso faticose lungo i sentieri dei monti carnici incompagnia del fedele Argo, un pastore italiano (incrocio tra pa-store tedesco e lupo abruzzese) che aveva avuto in affidamentoe a cui era molto affezionato. Era un modo per appagare la suapassione per la montagna, quella passione che in gioventù loaveva portato ad affrontare persino la scalata del monte McKin-ley in Alaska, la vetta più elevata dell’America settentrionale.

… e il chirurgoAndrea Bergnach ricoprì per tredici anni (dal 1976 al 1989) la

funzione di primario nel reparto di Chirurgia dell’ospedale diTolmezzo, dirigendolo in modo eccellente. In effetti il reparto dichirurgia divenne in quegli anni un punto di riferimento, tantoche l’attività svolta nell’ospedale di Tolmezzo era considerataesemplare non soltanto in Friuli Venezia Giulia ma in tutta Ita-lia. A lui si deve inoltre la costituzione della Scuola Infermieriprofessionali, i cui diplomati costituiscono ancora oggi la strut-tura portante del nosocomio tolmezzino. Durante il suo prima-riato formò eccellenti chirurghi che oggi rappresentano punte didiamante in prestigiosi ospedali non solo della nostra regione.Per fare qualche esempio, citiamo: Roberto Petri e Carlo DellaBianca, attuali capi dipartimento rispettivamente a Udine e nel-

l’Alto Friuli; Pietro De Antoni, responsabile di Urologia aGemona; Gianfranco Francioni, primario di Chirurgia a Ri-mini; Piergiuseppe Avanzato, che ha promosso l’endoscopiadell’Alto Friuli; Andrea Risaliti, che dirige l’equipe dei Tra-pianti di fegato, rene e pancreas ad Ancona; e ancora ValdiPezzetta, Roberto Santarelli, Valter Zucchiatti e Marco Zuc-colo. Così l’ex allievo Carlo Della Bianca ricorda l’opera diAndrea Bergnach:

«Nel 1976 l’Ospedale di Tolmezzo era un piccolo ospeda-le zonale; chirurgia ed ostetricia erano un unico reparto, percui il chirurgo di fatto era chirurgo ed ostetrico allo stessotempo. Pertanto il dottor Bergnach era primario sia di Chi-rurgia che di Ostetricia/Ginecologia; ciò non solo di nome,ma anche di fatto, in quanto possedeva le specialità in chi-rurgia generale, ostetricia e ginecologia, urologia. Ha spintomolto perché l’ospedale di Tolmezzo crescesse, infatti nel1977, dopo un anno dal suo arrivo, è “decollata” l’endosco-pia digestiva, a metà degli anni ’80 è partita l’attività dell’A-rea di Emergenza […] questo anche grazie al fatto che per di-versi anni Bergnach è stato pure Direttore Sanitario dell’O-spedale, quindi ha spinto sul pedale della crescita non solodel reparto da lui diretto, ma dell’intero nosocomio tolmez-zino. Grazie al suo pungolo continuo tutta la squadra haconseguito specialità diverse: urologia, chirurgia vascolare,chirurgia plastica, in modo da creare un pool di professioni-sti capace di rispondere a 360 gradi ai bisogni di pertinenzachirurgica della popolazione».

Elettra Patti

Dario Zearo, sindaco di Tolmez-zo, ha messo in rilievo tra l’altrol’intelligenza limpida e acuta di An-drea Bergnach e la sua scelta di soc-correre i deboli, uomini, donne,bambini e anziani che fossero, nellaloro realtà territoriale e nella loroquotidiana sofferenza. Tra tante be-nemerenze, ha ricordato anche la co-stituzione da parte sua della sezionedi Tolmezzo dell’A.N.D.O.S (un’as-sociazione di volontariato che opera

a favore delle donne che hanno subi-to un intervento per tumore al se-no), realizzata nel 1986 con la colla-borazione di medici e infermieri econ il sostegno della U.S.L. Carni-ca, del Comune e della ComunitàMontana.

Glorietta Iseppi Pillinini, at-tuale presidente dell’UTE, ha sotto-lineato come il prof. Bergnach nefosse stato l’anima e l’alfiere, ri-uscendo a espandere, grazie all’ope-

ra instancabile, alla lucida passionee alla competenza nel seguire le vi-cende sociali e culturali del territo-rio, le attività dell’UTE della Car-nia non solo nella sede di Tolmezzo,ma anche in quelle di tante altre lo-calità, quali Ampezzo, Canal delFerro/Resia, Paluzza, Paularo, ValDegano/Val Pesarina. Ha ricordatoinoltre come, passatole il testimonenella direzione, egli abbia continua-to a collaborare materialmente conlei, sempre disponibile e prodigo diconsigli e proposte per la buona ri-uscita delle varie attività.

Roberto Petri si è rivolto al suoantico maestro con queste parole:

«Grazie professore, grazie diquanto ha insegnato e trasmesso aisuoi allievi. Quello che ci ha datoera così tanto che ciascuno di noi sa-peva di far parte, negli anni Ottan-ta, d’uno dei gruppi di chirurghipiù stimati e invidiati in Italia. Mase il progresso scientifico ha fatto inmodo che quasi nulla delle tecnichein cui ci ha istruito sia rimasto ogginelle cose che facciamo, certamentenulla potremmo ora senza il metodoe l’entusiasmo che lei ci ha trasmes-so, insegnandoci anzitutto la pervi-

cacia a concentrare costantementela nostra attenzione sul malato.

Ci ha in qualche modo scelti. Ciha seguiti nella formazione. Ci hadiretti, anche duramente, come devetalvolta saper fare un padre con isuoi figli. Ci ha accompagnati nellaprofessione. Ha continuato a essercivicini anche quando, arrivati a ma-turità, ci siamo in qualche modo re-si autonomi. Ma anche dopo ha con-tinuato a vivere del nostro entusia-smo, in maniera così attenta e since-ra da ritrasmettercelo, quando ave-vamo la possibilità di incontrarci. EDio solo sa quanto lei ci tenesse.

Grazie della “compagnia” che harappresentato per me e per molti dinoi. Abbiamo condiviso con lei ladedizione di tanta parte, qualchevolta forse ‘troppa’ parte, della no-stra vita a questa professione senti-ta come una vocazione. Ma tantosacrificio ci ha ampiamente e in va-ri modi ripagato. A dimostrazionedi questo stanno l’amicizia e la sti-ma che rimane tra noi, suoi allievidi un tempo: la stessa amicizia e sti-ma che avevamo tra noi e con lei inquegli anni.

Grazie a nome dei suoi chirurghi

e del suo personale infermieristico,cui lei voleva un bene dell’anima.Grazie anche a nome dei tantissimimalati cui lei ha dedicato la miglio-re parte della sua vita. Mandi pro-fessore!».

Beppino Colle ha ricordato: «Hoconosciuto il prof. Andrea Bergnachquando da direttore sanitario del-l’Azienda per i Servizi Sanitari n° 3Alto Friuli ho dovuto occuparmidella Chirurgia dell’Azienda mede-sima. Il suo nome non mi era pro-prio sconosciuto al tempo, perché aTolmezzo anche i muri parlavano dilui, quantunque fosse in pensioneda almeno un decennio. Aveva rag-giunto, nei suoi quindici anni diservizio nell’Ospedale di Tolmezzo,due obiettivi molto importanti: mo-dernizzare l’ospedale e creare una“scuola” di chirurghi. Infatti du-rante la sua permanenza in servizio,l’Ospedale di Tolmezzo cambiò voltoe organizzazione passando da un in-sieme di medici polifunzionali a uninsieme di reparti e di medici specia-listi. Ai suoi chirurghi ha anche in-segnato a occuparsi di varie branchedi chirurgia specialistica – chirurgiavascolare, urologia, chirurgia plasti-

ca, endoscopia digestiva – tanto darendere il suo reparto multidiscipli-nare e bene prezioso per l’ospedale ela popolazione di riferimento.

La conoscenza personale avvennenel momento in cui l’Azienda dove-va scegliere un primario chirurgoper occupare il posto da lui ricoper-to in precedenza. Fu chiamato in di-rezione e non fece l’elogio del passa-to, del suo operato e neppure deisuoi allievi, ma i suoi consigli disin-teressati portarono la Direzione ascegliere proprio uno dei suoi disce-poli. Ne fu molto felice, tanto che ri-portò in ospedale un quadro che peranni era stato nel suo studio. Mag-giore soddisfazione deve aver prova-to in seguito, quando quell’allievofu chiamato a dirigere la Chirurgiadell’Ospedale di Udine. Era una ri-vincita della periferia sul centro, erail segnale che aveva fatto un buonlavoro. Ed ebbe modo di gioire anco-ra quando l’Azienda scelse un altrodei suoi allievi per succedere al col-lega trasferito a Udine. Era la con-ferma della continuità della suascuola e del suo gruppo».

Andrea Bergnach in una foto di qualche anno fa. Alla sua destra Lino Not e Ser-gio Cuzzi, allora rispettivamente presidente della Comunità Montana e sindacodi Tolmezzo; alla sua sinistra Giancarlo Michellone, presidente di AREA Scien-ce Park di Trieste.

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COME DIVENTARE SOCI

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LA PAGINA DELLA SCRITTURA

Periodico di informazione culturale

Anno IX, N. 2 – Dicembre 2010

Direttore editorialeAndrea Purinan

[email protected]

Direttore responsabileDavide Vicedomini

Comitato di redazioneElettra Patti, Andrea Purinan

Direzione e redazioneAssociazione “Gli Stelliniani”

c/o Liceo Ginnasio “Jacopo Stellini”

Piazza I Maggio, 2633100 Udine

Hanno collaborato a questo numeroBetuel Arci BiffoniLucio Costantini

Elettra PattiDaniele PiciernoAndrea Purinan

Marco Maria TosoliniFrancesca Venuto

Consiglio direttivoPresidente onorario:

Daniele PiciernoPresidente: Elettra Patti

Vice Presidente: Gabriele DamianiSegretaria: Albarosa Passone

Consiglieri: Giovanna Marsoni (Dirigente Scol.)

Ettore Giulio BarbaGaetano Cola

Pier Eliseo De LucaAndrea NunziataAndrea Purinan

Gabriele Ragogna Daniele Tonutti

Francesca VenutoFrancesco Zorgno

Collegio ProbiviriPaolo Alberto Amodio

Carlo AppiottiMarco MarpilleroFlavio Pressacco

Collegio Revisori dei ContiGino Colla

Paolo Gandolfo Federico Vicario

Stampa e spedizioneCartostampa Chiandetti

Reana del Rojale

Iscrizione al Tribunale di UdineN° 27/2000 del 30/11/2000

degli Stelliniani

Quote associative per l’anno sociale 2011socio sostenitore: .......................................................................€ 40socio ordinario: ..........................................................................€ 20socio simpatizzante:..................................................................€ 20socio studente universitario: ...................................................€ 10Possono iscriversi – in qualità di soci sostenitori o ordinari – gliex allievi, i docenti ed il personale amministrativo e tecnico del-l’Istituto, anche se non più in servizio. Possono aderire, come so-ci simpatizzanti, tutti coloro che condividono le finalità dell’as-sociazione.La durata dell’iscrizione è annuale. Lo statuto dell’associazione e lealtre notizie che la riguardano sono reperibili sul sito internet.L’iscrizione avviene:– compilando il modulo che si può scaricare dal sito internet

dell’associazione (www.stelliniani.it) ed inviandolo a mezzoposta alla prof.ssa Elettra Patti, in Udine via Brazzacco n. 3,corredato dalla ricevuta di versamento sul c.c.b. n°740/4341669 P, presso la Cassa di Risparmio del Friuli VeneziaGiulia - Codice IBAN IT80 V063 4012 3000 7404 3416 69

– previo appuntamento telefonico presso la segreteria dell’asso-ciazione: cell 347/9241345 dal lunedì al venerdì, ore18.00/19.30.L’indirizzo di posta elettronica e l’indirizzo del sito internet

dell’associazione sono:

[email protected] – www.stelliniani.it

Mi chino, passo la ma-no sul loro dorso. Neaccarezzo uno, poi

l’altro. Inarcano la schiena. Lacoda si solleva. Socchiudonogli occhi, estatici. Il mio gestoripetuto sembra procurare lo-ro un godimento profondo.Voluttà. Tre splendidi esem-plari, uno dal pelo nero, gliocchi gialli, luminosissimi;l’altro quasi totalmente bian-co, eccettuata una leggerastriatura di grigio lungo unazampa anteriore, il pelo foltis-simo del persiano; il terzo unmagnifico esemplare di certo-sino, il mantello totalmentegrigio. Iniziano a fare le fusa,quasi simultaneamente, pernulla intimoriti dall’odore edalla presenza di uno scono-sciuto.

“Che bel pelo liscio!...neanche fossero nutriti ognigiorno a bistecche...”.

“Filetto”.La voce del mio interlocuto-

re è bassa, piena, sembra tra-smettere certezze. Gli chiedoconferma, con voce che sem-bra mi stia uscendo esitante edesprima incredulità.

“Fi...letto?”.“Sì. Filetto”. Di nuovo quel

timbro di voce. Certezze sa-cerdotali, mi dico... Sono de-gli animali splendidi, nonipernutriti come capita di ve-derne sempre più di frequen-te. Il loro pelo è lucentissimo;è un piacere farvi scorrerepiù e più volte la mano. Pia-cere che i gatti mi restituisco-no cominciando, a turno, astrofinarsi sulle mie gambe,le code erette, appena arcuatealla sommità

“Amelita, Topazia, Felix...lasciate in pace il signore!”.

La voce si è fatta dolce“Li lasci fare, non mi danno

fastidio...”.Mi interrompe. Lo sguardo

interrogativo.“Cerca qualcosa di partico-

lare?”.“No... non so bene nemme-

no io, o forse sì... cercavo...posso dare un’occhiata?”.

“Non c’è problema. Vadadove vuole. Solo veda di nonperdersi qua – ride – è moltogrande, sa?...”.

Si, lo so. Sono entrato anco-ra sotto la volta alta, ampia,di quello che fu un capanno-ne di una vecchia ferriera daalcuni anni diventato unenorme deposito di mobiliusati e delle mercanzie piùsvariate, polverosissime, cheun tempo rendevano vive unsacco di case, ora oggetti inu-tili che forse nessuno com-prerà. Questo genere di de-positi – perché negozi pro-prio non sono – in cui stagnaun odore caratteristico e in-definibile, solo al varcarne lasoglia mi mette addosso unaforte dose di malinconia e,quasi subito, il desiderio diuscirne in fretta; eppure hasempre esercitato su di me,strano contrasto, una sorta diattrazione marcata. Vi entro avolte senza un perché e neesco con qualche piccolo og-getto dall’uso improbabile,ma alla cui forma, colore,funzione, o supposta storiapregressa, non ho saputo re-sistere. Ogni volta mi dicoche dovrei smettere, che nonposso continuare a riempirelo studio di orpelli di dan-nunziano richiamo – quasi ilmio buen retiro fosse un Vitto-riale in miniatura – eppure...eccomi di nuovo qua. Mi ag-giro senza fretta tra mobilipiuttosto male in arnese cheportano addosso i segni deltempo e là dove mani si po-sarono per aprire chiuderesocchiudere sbattere far scor-rere mostrano senza pudorele tracce dell’usura figlia delcontatto quotidiano. I gesti diuna vita, irrimediabilmenteperduti, eppure presenti do-

ve il legno è più consunto.Specchi graffiati su armadiche azzardano slanci – in-compiuti – déco o liberty, ri-mandano la mia immagine dicercatore di cose perdute, di-menticate, passate di moda.Lampadari dalle fogge biz-zarre, a decine, penzolanosenza emanare luce sulla miatesta, relegati in una penom-bra umidiccia da cui forsenessuno li sottrarrà.

Cammino adagio tra centi-naia e centinaia di sopram-mobili, piatti posate bicchiericiotole servizi spaiati di caffèo di the, cuccume zuccherieremestoli posate, vecchi appa-recchi telefonici maniglie ser-rature posacenere... e raspe elime consunte, borracce mili-tari, libri gualciti, tenaglierugginose...

Cosa potrò mai fare del cu-rioso piatto ovale di terracot-ta smaltata che sto rigirandotra le mani? Probabilmentenulla, ma la sua forma è buf-fa, singolare, mi diverte: unriccio. Il musetto appena ac-cennato con gli angoli dellabocca all’insù sembra sorri-

dere. Gli occhietti sono am-miccanti, furbi. Su un lato so-no tracciati gli aculei, ispidi;su quello opposto tracce del-le minuscole zampe. Sentodilatarsi dentro di me unagioia infantile, la stessa cheprovavo da bambino quandoqualcuno mi regalava un gio-cattolo o, divenuto più gran-de, un romanzo di avventureche avrei divorato in una se-ra.

L’uomo gira e rigira il piat-to tra le mani. È infagottato inun logoro cappotto di pellescamosciata. Si intuisce chesotto debba essere vestito astrati, abbondantemente, persopportare la bassa tempera-tura: nel capannone infattinon c’è riscaldamento.

“Tre euro” – una pausa,un’occhiata – ma per lei fac-ciamo due”.

I gatti sembrano irrequieti.Miagolano. Con insistenza.

“Hanno fame”, azzardo.“Sì” mi conferma la voce

bassa dell’uomo. Estrae dalcassetto di una scrivania sul-la quale poggia un enorme,inservibile registratore di cas-

sa tutto arabeschi metallici,un coltello di generose di-mensioni, la lama consunta,affilatissimo. Da un sacchettodi plastica cava un involucro.Libera dalla pellicola traspa-rente una corposa bisteccaspessa due dita e pian pianola riduce in pezzi minuscoli. Igatti l’hanno fiutata. Il loro èun concerto.

“Amelita!... no, non tu Fe-lix... ho detto Amelita! Dai...da bravi... rispettate l’ordi-ne...”.

Gli animali non sembranosentir ragione: sono agitatis-simi, saltano su e giù da unasedia, da un tavolo, girandosipiù volte su se stessi. L’uomo,con calma quasi studiata,porge un boccone ad un gat-to, poi all’altro, all’altro anco-ra. I suoi gesti tradiscono af-fetto.

“Così va bene! Ora di nuo-vo a te Topazia. Tu, Felix, co-me sempre, l’ultimo, perchései davvero ingordo”.

“Ogni giorno li alimentacosì?” chiedo, incredulo.

“Sì, vede?” e mi mostra l’e-tichetta che aderisce alla con-fezione da cui ha tratto la car-ne. Leggo: “Filetto di maia-le”. La data di scadenza con-ferma che la bistecca è fre-schissima.

“Sa, non sopporto quelliche dicono di voler bene aglianimali e poi li alimentanomale o magari li abbandona-no per strada. Così, ognigiorno, compro per loro unabella bistecca. Vede come lagradiscono?...”.

L’uomo ripone il coltello nelcassetto dopo averlo pulitoaccuratamente con uno strac-cio che deve aver conosciutotempi migliori. I nostri sguar-di si incrociano. I suoi occhisono caldi, luminosi.

Esco tenendo stretto il piat-to-riccio ben avvolto in spes-si strati di giornale. Fa fred-do. Il cielo pare un’enormepentola di alluminio capovol-ta. I gatti, pasciuti, in cerca diuna lama di sole si sdraianouno accanto all’altro su unapanchina sgangherata che dàsul cortile ingombro di rotta-mi ferrosi, gli occhi socchiusi.

Lucio Costantini

Spessa due dita

Rosalba Cuttini, tecnica mista.

A Bene(...)Assumono pensosi le nobili attitudinidelle sfingi sdraiate nelle remote solitudiniche paiono addormentarsi in un sogno senza fine;(…)

Charles Baudelaire, I gatti, da I fiori del male.

Alla Voce sono arrivate due lettere, alle quali rispon-diamo volentieri, anche se abbiamo dovuto conce-dere ai loro autori (che ce l’hanno chiesto) il bene-

ficio di non citarli. La novità ci ha sorpresi, perchè noneravamo abituati a ricevere corrispondenza, ma ci ha so-prattutto incoraggiati, perché una lettera è sempre un se-gno di attenzione, anche quando sottintende una critica.Inauguriamo con piacere, allora, questa rubrica, che vor-remmo diventasse un passaggio ricorrente della nostra ri-vista. Il nostro telefono e le nostre caselle di posta sono adisposizione di quanti ci leggono. Come sono a loro dispo-sizione, ovviamente, le pagine di questo giornale.

Egregio Direttore, non sono uno stelliniano ma leggo con pia-cere il vostro giornale e trovo che sia una pubblicazione interes-sante. Mi consenta, però, di fare un appunto: l’impressione è chenon vengano approfonditi i molti problemi della scuola di oggi,le questioni delle quali si dibatte ogni giorno (…) Vi suggerirei,quindi, di trovare lo spazio per affrontare anche i temi dalla cuisoluzione dipende, in buona misura, il futuro stesso della scuo-la italiana.

Lei dice bene. Questa è una rivista nata dalla scuola edè naturale che della scuola si occupi. Consideri però che,probabilmente, ad animare il dibattito non potranno esse-re quanti operano all’interno di essa, i quali hanno rispet-tabili motivi per scegliere un prudente riserbo. Eppure, di

un confronto pacato nella forma, anche se deciso nella so-stanza, tutti avvertiamo il bisogno. L’importante è chenessuno ritenga di avere ragione e tutti siano disposti avalutare le ragioni degli altri. A queste condizioni, l’attua-lità è benvenuta.

Ho acquistato il volume dedicato allo Stellini e ho avuto il pia-cere di ritrovare il ritratto di personaggi che hanno fatto la sto-ria della scuola e sono stati presenze fondamentali per la forma-zione di ciascuno di noi. Purtroppo, l’elenco delle persone da ri-cordare era troppo lungo e nel libro non ha potuto essere ospita-ta che una parte di loro. Vi sarei grato se la Voce vi ponesse ri-medio.

Che il libro del bicentenario non potesse fare che una ri-visitazione parziale della memoria collettiva era inevita-bile. È bastato leggere, comunque, i ritratti di alcuni deipersonaggi in esso ricordati per convincerci dell’oppor-tunità che questa collezione debba avere un seguito. Tut-ti – e soprattutto i ragazzi che cercano il loro percorso divita – hanno bisogno di figure esemplari a cui richiamar-si. Per questo stiamo già elaborando alcune idee, che po-trebbero trovare spazio sulle colonne della “Voce” ma an-che risolversi in pubblicazioni di maggiore respiro. Certo,la scommessa è ambiziosa; ma quella del volume, a benvedere, lo era ancora di più.

LA RUBRICA DELLE LETTERE

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