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CLAUDIO DI LASCIO Da Verrua a Torino in guerra e in pace. Le imprese del cavaliere Giuseppe Amico di Castellalfero Estratto da UNA BARRIERA PER IL VENDÔME Atti del convegno storico sul terzo centenario dell’Assedio di Verrua 1705-2005 tenutosi a Verrua Savoia il 1° ottobre 2005 A cura di Mario Ogliaro

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CLAUDIO DI LASCIO

Da Verrua a Torino in guerra e in pace. Le imprese del cavaliere Giuseppe Amico di Castellalfero

Estratto da

UNA BARRIERA PER IL VENDÔME Atti del convegno storico sul terzo centenario dell’Assedio di Verrua

1705-2005

tenutosi a Verrua Savoia il 1° ottobre 2005

A cura di Mario Ogliaro

Verrua rappresenta sicuramente un giacimento, non ancora del tutto esplorato, per la storia piemontese da inizio millennio a metà del Settecento. Giacimento allocato per lo più in archivi fuori dal territorio verruese e, molto spesso, in sedi estere. Per questo risultano determinanti, per ricostruire i passaggi storici e sociali degli eventi avvenuti nella Rocca, i contributi di ricerca dei numerosi studiosi che hanno a cuore questo angolo di Piemonte.

Il compito dell’Amministrazione comunale sta proprio nel favorire queste iniziative, ma soprattutto nel renderle fruibili, attraverso la loro pubblicazione, ai cittadini attuali e a quanti verranno.

Negli ultimi lustri molti passi avanti sono stati fatti per rivalutare la nostra storia ed il nostro territorio. Considero questo volume un ulteriore tassello in questa direzione che credo possa continuare proficuamente.

Un ringraziamento va a tutti i relatori del convegno che con professionalità hanno dato il loro contributo e soprattutto a Mario Ogliaro che si è preso cura di dare dignità di stampa a questo lavoro.

Beppe Valesio

Sindaco di Verrua Savoia

Con il patrocinio e la collaborazione di

REGIONE PIEMONTE PROVINCIA DI TORINO ASSOCIAZIONE CULTURALE “LA ROCCA” FONDAZIONE EUGENIO PIAZZA VERRUA CELEBERRIMA, ONLUS

Disegno e stampa

Asti, Via Brofferio, 152/154 - anno 2010

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CLAUDIO DI LASCIO

Da Verrua a Torino in guerra e in pace . Le imprese de l caval ie re Giuseppe Amico di Caste l lal f e ro.

La ville de Turin, grand Dieu, qu’elle est jolie!

Elle est jolì, parfaite assurément! O vous, Français, entrez dedans.

(Da “Le siège de Turin”, canzone popolare savoiarda, XVIII sec.)

’assedio di Verrua, avviato con l’assenso di Luigi XIV in prossimità della cattiva stagione, cadde progressivamente nello scetticismo delle massime autorità politiche e militari francesi, in considerazione degli

scarsi risultati ottenuti, al punto da essere addirittura osteggiato da una fronda interna poi necessariamente ridotta al silenzio. Testimone per noi di questa ostilità è il conte di Bonneval - protagonista di tanti assedi francesi in terre sabaude - che definendo «le château de Verrue, la plus importante place de tous les états du duc de Savoie», ormai al termine della sua carriera ricorda come

«Il y avait dans l'armée d'Italie un très-grand nombre de faquins qui, quoique gens du premier ordre, étaient de ces espèces d'hommes qui craignent plus les fatigues et les incommodités de la guerre que ses dangers. La longueur du siège de Verrue les désespérait pendant un hiver très-dur: ils écrivaient à leurs amis, à leurs parens, et même à Chamillart que M. de Vendôme s'était témérairement engagé dans une entreprise dont la réussite était impossible, et qu'outre les sommes immenses qu'elle consumait, qui seraient la perte du royaume, il ruinait sans remède une armée de vieux soldats qui ne se pourrait plus rétablir».1

1 Lettera da Costantinopoli del conte di Bonneval alla moglie Judith Biron, il 28 novembre 1739, in Revue rétrospective, ou Bibliothèque historique. Tome I, Parigi, Fournier Ainé, 1833, pp. 337-341. Claude-Alexandre, conte di Bonneval (Coussac-Bonneval, Limousin, 1675 – Costantinopoli, 1747), chiamato anche il Pacha di Bonneval, ufficiale dell’esercito francese e celebre avventuriero, nella campagna d’Italia fu al servizio del duca di Vendôme al comando di un reggimento di fanteria ingaggiando duri scontri con il tenace marchese d’Andorno conclusi con l’occupazione del Biellese. Condannato a morte per insubordinazione, passò all’esercito Imperiale ove ottenne il grado di generale di artiglieria divenendo amico e confidente del Principe Eugenio e partecipando all’assedio di Belgrado. Sempre a causa del suo temperamento fu

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Nonostante le difficoltà, il duca di Vendôme fu infine padrone di Verrua, costato ai francesi una immensa quantità di materiali2 e più di 12.000 soldati e ufficiali tra i quali decine di ingegneri militari. Perdite incommensurabili rispetto ai calcoli preventivati, addirittura maggiori dei circa 10.000 austro-piemontesi sconfitti.3 Un’ecatombe, che insieme al conseguente slittamento dell’assedio di Torino, giustificherà più di ogni altro argomento la strategica rilevanza della fortezza monferrina nello scacchiere italiano. Pur non essendo stato il più devastante degli eventi bellici occorsi nelle guerre di successione spagnola, oggi non si è ancora reso sufficiente omaggio al sangue versato dalle diverse nazioni coinvolte.

Se tra gli innumerevoli protagonisti della resistenza di Verrua vi furono personaggi che non potranno mai avere una memoria adeguata alla loro presenza a causa del silenzio di lapidi e carte, nella scarsità della documentazione e tra le righe delle cronache dell’epoca si può tuttavia scorgere traccia di un ufficiale piemontese al servizio di Vittorio Amedeo II che lo stesso duca segnalò – come vedremo - tra gli artefici dell’eroica difesa della fortezza. Solo recentemente4 è venuta emergendo la sua figura che gli studi più remoti avevano trascurato o confuso con altri membri della sua famiglia.

Il nostro interesse per il cavaliere Giuseppe Amico di Castellalfero risiede dunque nel ruolo che questi ebbe nei lunghi mesi dell’opposizione di Verrua agli assalti franco-ispanici, nei consistenti frutti di questa drammatica esperienza che egli portò nel successivo assedio di Torino, nella sua veste di promotore di interventi artistici ed edilizi a memoria sua e della sua famiglia, nelle vicende che segnarono il suo fedele servizio rivolto a due sovrani in un contesto storico nel quale si andò strutturando e sempre più consolidando la vocazione italiana dei principi sabaudi.

nuovamente condannato e imprigionato. Alla sua liberazione si mise al servizio dell'Impero ottomano e convertito all'Islam con il nome di Osman Ahmet Pacha riorganizzò l’armata turca ottenendo eclatanti successi sugli austriaci. 2 Solo per la presa del Fort Royal di Carbignano impiegarono 3.600 libbre (quasi 1.800 kg.) di polvere accumulata nei fornelli. Cfr. P.A.J. Allent, Histoire du Corps impérial du génie, Parigi, Magimel, 1805, I, p. 448. 3 Cfr. M. Ogliaro, La fortezza di Verrua Savoia nella storia del Piemonte, Crescentino, Mongiano, 1999, pp. 255-256; e Le campagne di guerra in Piemonte (1703-1708) e l'assedio di Torino (1706). Studi, documenti, illustrazioni, Torino, Fratelli Bocca, 1908, IV, passim. 4 Un incarico conferito dal Comune di Castell’Alfero mi ha permesso di aggiornare la storiografia del piccolo borgo astigiano con particolare riferimento alla famiglia dei conti Amico. I parziali risultati di questa indagine sono stati presentati in un convegno del maggio 2002 (promosso dall’Amministrazione comunale di Castell’Alfero e curato dal Prof. Renato Bordone) confluiti nei recenti Atti Castell’Alfero, otto secoli di arte e storia, Castell’Alfero, Comune, 2008, ove il mio contributo Una dinastia tra Po e Versa, gli Amico di Castellalfero, pp. 45-77, potrà servire di integrazione alle notizie qui fornite.

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A ulteriore contributo di conoscenza dell’assedio di Verrua, al termine del presente articolo abbiamo inteso riportare alcuni documenti che si ritengono ancora scarsamente o del tutto sconosciuti. Sono costituiti da cronache e memorie provenienti dalle diverse parti in lotta (ove spiccano le Mémoires de la derniere guerre d’Italie) che potranno essere utili per leggere sotto nuove angolazioni avvenimenti e luoghi oggetto del conflitto. La famiglia dei conti Amico di Castellalfero

La famiglia Amico, la cui presenza è attestata localmente fin dalla metà del XV sec., raggiunse il patriziato nella cosiddetta “nobiltà di servizio” tenendo in feudo il paese astigiano dal 1643 al 1832. Inizialmente legati alle attività molitorie, gli Amico ebbero ruoli nelle finanze ducali con Alessandro (il primo conte, 1599-1648) che nel 1640 acquistò il feudo di Castellalfero da Gerolamo Germonio di Ceva venendo investito nel 1643 del comitato dalla reggente Madama Reale Cristina di Francia.

Trasferita a Torino e legata alla corte ducale, agli incarichi e alle onorificenze che questa poteva dispensare, la famiglia si distinse sempre per l’oculata gestione di attività protoindustriali e di un sempre più consistente patrimonio fondiario ubicato per la maggior parte nell’Astigiano e nel Torinese, tanto da risultare alla fine del XVIII sec. tra le più ricche famiglie del regno.5

Tra i personaggi che hanno improntato l’antico consortile si possono segnalare il quarto conte, l’architetto Bartolomeo Giuseppe Antonio (Torino, 1713 ca. – Asti, 1782), nipote del nostro cavaliere, nel 1749 rettore della Compagnia della Fede Cristiana di Torino (oggi Compagnia di San Paolo) e nel 1751 sindaco di Torino. Fu proprio questi che grazie alle donazioni dello zio restaurò il castello di Castell’Alfero trasformandolo in villa campestre (l’attuale palazzo comunale) ove costituì la biblioteca comitale tuttora presente. Il quinto e ultimo esponente, l’ambasciatore e ministro di Stato Carlo Luigi (Asti, 1758 - Firenze, 1832), fu figura di spicco della diplomazia sabauda tra Rivoluzione e Restaurazione. Di ampia cultura cosmopolita, viaggiatore e conoscitore di varie lingue, al servizio di cinque re (da Vittorio Amedeo III a Carlo Alberto) impegnato in numerose missioni nelle capitali italiane ed europee, rimasto senza eredi estinse la famiglia il cui titolo passò ai Mella Arborio dopo aspri confronti legali con gli Avogadro di Casanova, eredi designati.6

5 L. Bulferetti, I piemontesi più ricchi negli ultimi cento anni dell'assolutismo sabaudo, in Studi storici in onore di Gioachino Volpe, Firenze, Sansoni, 1958, I, pp. 77, 89. 6 Oltre al contributo Una dinastia tra Po e Versa (cit.) come al precedente Il destino di un cadetto. Giuseppe Amico di Castellalfero dall’arte della guerra a fautore delle arti, in Torino 1706. Memorie e attualità dell’assedio di Torino del 1706 tra spirito europeo e identità regionale, Atti del convegno, Torino 29-30 settembre 2006, a cura

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Carriera e fortuna del cavaliere di Castellalfero Il cavaliere Giuseppe Amico, quarto di sette figli di Bartolomeo e

Vittoria Solaro della Margarita, fu l’unico esponente della famiglia a seguire la carriera militare, obbligato in questo – come era prassi all’epoca – dallo stato di cadetto. Nato a Torino il 22 marzo 1672,7 escluso dal titolo e dal ricco patrimonio familiare e per sempre celibe, fu paggio del duca Vittorio Amedeo II uscendo dai ranghi dell’Accademia Reale di Torino quale ingegnere militare, subito collocandosi sotto la protezione dello zio, il generale Giuseppe Maria Solaro della Margarita8 che lo avrà al suo fianco nell’assedio di Torino.

Dapprima al riparo della corte, pur comparendo tra i ruoli di truppa solamente nel giugno 1705,9 Giuseppe Amico ebbe il battesimo del fuoco a Verrua impiegato nelle difese sotterranee, sfuggendo alla prigionia a seguito della resa della fortezza, probabilmente già riparato in Crescentino.10 Nelle fasi di ripiegamento da Verrua delle truppe alleate, il Castellalfero seguì il duca nell’assedio di Chivasso, ove i suoi cannonieri perdettero l’intero equipaggiamento a causa di un incendio,11 attestandosi infine a Torino come Luogotenente colonnello d’artiglieria12 sottoposto allo zio, il Luogotenente generale Solaro della Margarita comandante dell’artiglieria della Cittadella di Torino. A partire dal blocco di Torino, nei successivi teatri di guerra il cadetto ricoprì il ruolo di Colonnello d’artiglieria (patenti 1.1.1707) con il quale concorse alla decisiva presa del forte Mutin13 (ovvero la fortezza di Finestrelle)

di G. Mola di Nomaglio, R. Sandri Giachino, G. Melano e P. Menietti, Torino, Centro Studi Piemontesi, 2007, pp. 569-588, utile alla ricostruzione del profilo di una famiglia di ancien régime come gli Amico è l’intervento di M. Cassetti La famiglia Amico di Castellalfero e il suo archivio, in Castell’Alfero, otto secoli, cit., pp. 129-145. Si vedano inoltre i fondamentali A. Manno, Il patriziato subalpino. Notizie di fatto storiche, genealogiche, feudali ed araldiche desunte da documenti, Firenze, Civelli, 1895-1906, II, pp. 49-50, 493; e I consegnamenti d’arme piemontesi, a cura di E. Genta, Torino, Vivant, 2000, ad vocem. 7 Archivio Storico Arcivescovile di Torino (ASATO), Parrocchia San Gregorio, Liber Baptizatorum, 1664-1688 8 Cfr. la lettera del generale Solaro della Margarita al conte Rossignoli in A. Manno, Pietro Micca ed il Generale Conte Solaro della Margarita. Ricerche terze sull'assedio di Torino del 1706, in “Miscellanea di storia italiana”, T. XXI, VI/II s., Torino, 1883, p. 397. 9 Archivio di Stato di Torino, Sezioni riunite (ASTO s.r.), Ufficio generale del soldo, Ruolini di rivista, Ruolo del Corpo R.e d’Artiglieria. 1705-1706, m. 4; “Altro Luog. Col. Cavre Castelalfe”. 10 Archivio di Stato di Torino, Corte (ASTO c.), Materie militari, Imprese militari, m. 10, n. 1, 1704-1705, Stato Maggiore della Piazza di Verrua prigioniero di guerra. Inizialmente riportato tra i prigionieri il nome di “Castelalfero” appare cancellato, mentre compaiono invece “due forieri del Cav.re di Castelalfero” insieme a don Giorgio, cappellano della Piazza e don Eugenio, cappellano della guarnigione. 11 ASTO s.r., Guerra e marina, Ordini generali e misti, n. 150, 24 ottobre 1705, riportato da B. Signorelli, Tre anni di ferro, Torino, Provincia, 2003, p. 45n. 12 ASTO s.r., Ufficio generale del soldo, ibidem, Rolli Stato Maggiore d’Artiglieria da 25 giugno 1705. La paga annua risulta di circa 2.500 lire piemontesi. 13 ASTO c., Materie militari, Imprese militari, m. 11, n. 17, 1708, Giornali e Relazioni delle operazioni Militari pendente la campagna del 1708. Il forte di Fenestrelle, per i francesi Fort Mutin, fu eretto nel 1693 dal generale francese Catinat quale baluardo alle incursioni piemontesi. Da allora ridotto a rudere ebbe dunque breve vita.

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che liberò ai piemontesi la valle del Chisone negli ultimi sussulti della campagna alpina del 1708-1710.

La sua prestigiosa carriera è inoltre segnata da incarichi civili come l’Abito e Croce di giustizia dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro (patenti 11.9.1715), di Commendatore di San Marco di Chivasso dell’Ordine Mauriziano (bolla 15.9.1715, retta fino al 1749), di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro (patenti 23.1.1730); dalle cariche militari di Generale di battaglia (patenti 7.11.1719), di Governatore della Città e Provincia di Ivrea (fino al 1733, patenti 5.4.1727), infine di Tenente generale (patenti 17.2.1734)14.

Molte e significative sono le memorie che il cadetto ha lasciato nel lungo corso della sua vita.

Nell’assedio della capitale ben meritò l’apprezzamento del sovrano in vari scontri che segnarono carriera e popolarità, legando infine il suo nome a quello di Pietro Micca nel notissimo episodio dell’esplosione nella galleria alta della Mezzaluna del Soccorso la notte del 29 agosto 1706. Una supplica inviata sette mesi dopo la fine dell’assedio15 dal conte di Cavoretto al duca Vittorio Amedeo II per conto di Maria Catterina Bonino, vedova del Micca, delinea nell’immediato seguito degli eventi un episodio dai contorni oggi ancora oscuri. Tramite il Cavoretto, Maria chiese un sussidio resosi necessario a seguito della tragica scomparsa del marito ricordando al sovrano che il “[...] cav. Castel Alfieri le ha sempre fatto sperare che dalla clemenza di V.A.R. sarebbe stata ricompensata la morte generosa del suo marito [...]”. Maria premette alla supplica che “[...] ritrovandosi Pietro Micca al Servizio di V.A.R. e nella Compagnia de’ Minadori, si è presentata occasione che li nemici francesi già avevano guadagnato la porta d’una mina con gran disavvantaggio della Cittadella, fu comandato del cav. Castel Alfieri, colonnello del battaglione dell’Artiglieria, oppure invitato dalla generosità del suo animo a portarsi a dare il fuoco a detta mina, non ostante l’evidente pericolo di sua vita, [...]”. I fatti, così crudi nella loro esposizione, assegnano al Castellalfero responsabilità suggerite dal Cavoretto e da allora mai più riconosciute.

In proposito Carlo Botta pubblicò16 sull’episodio la prima di una fortunatissima serie di narrazioni che a partire dal De Conti17 diventarono col

14 Per le cariche mauriziane: Archivio Storico dell’Ordine Mauriziano (AOM), Patenti, vol. 2 (1715-1737). Per le cariche militari: Biblioteca Reale di Torino (BRT), Manoscritti, L-59 (1), Carte famigliari e investiture, f. 1, 2, 3, 4. 15 ASTO s.r., Ufficio Generale del Soldo, Ordini generali e misti, 1707, mz. 32, lettera del 26 febbraio 1707 del conte di Cavoretto. 16 C. Botta, Storia d’Italia, continuata da quella del Guicciardini, sino al 1789, Parigi, Baudry, 1832, VII, p. 353. 17 V. De Conti, Notizie storiche della città di Casale del Monferrato, Casale, Casuccio e Bagna, 1841, IX, pp. 112-114.

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tempo sempre più aggrovigliate, tanto da venire enfatizzate alla fine del secolo XIX da un orientamento storiografico tendente al recupero di un primato piemontese ormai venuto a mancare con il recente trasferimento della capitale. Eppure è proprio il Botta a suggerire un diverso svolgimento dei fatti fino ad allora conosciuti:

«Il pericolo era grave e imminente. Un ufficiale, ed un soldato minatore, per nome Pietro Micca della terra d’Andorno nel Biellese, intenti all’opere stavano nella galleria della mina nell’atto stesso, che i Francesi minacciavano la porta. Credettero perduta la piazza, se i nemici s’impadronivano di quell’entrata; […] ma non Pietro Micca si stette. In quell’estremo momento: Salvatevi, all’ufficiale, che gli era vicino, disse, salvatevi, e me solo qui lasciate, che questa mia vita alla patria consacro; […]. L’ufficiale l’eroica risoluzione ammirando, si allontanò. Poiché il devoto minatore in sicuro il vide, diede fuoco alla mina, ed in aria mandò il terreno soprapposto, e se stesso, e parecchie centinaia di granatieri Francesi che già l’avevano occupato.»

Non sappiamo da quali fonti il Botta trasse questi particolari, né siamo certi che siano esclusiva opera di ricamo sui fatti - come egli ben sapeva fare e come dimostra nel presunto dialogo - né tanto meno sappiamo se lo storico piemontese ebbe modo di leggere la supplica della vedova. Tuttavia, considerando il ruolo di comando del Castellalfero, la supplica della vedova Micca e la descrizione dello scrittore piemontese, questa del Botta parrebbe una ricostruzione attendibile, integrata dalla presenza di un altro minatore che ebbe il compito di assistere Micca nell’estremo tentativo. La temporanea presenza del Castellalfero ma soprattutto l’allontanamento di questi nel momento decisivo (giustificato dalla minore assunzione di rischi per l’ufficiale durante l’operazione), a confronto con l’ormai popolare sacrificio del Micca, avrebbe potuto nuocere alla buona fama che il colonnello d’artiglieria si era fino ad allora guadagnata, anziché – come affermato – affermarne i suoi meriti. Queste furono probabilmente le cause delle taciute indagini, delle successive omissioni e della coloritura dell’episodio - oggi la più conosciuta - che lo stesso Solaro riportò nel suo Journal.18

Un dettagliato resoconto dell’assedio torinese che si conserva manoscritto nel ricco archivio Solaro della Margarita19, purtroppo non chiarisce le circostanze inerenti alla notte del 29 agosto 1706 in quanto mutilo

18 Journal Historique du siege de la Ville et de la Citadelle de Turin l'annèe 1706, Amsterdam, Mortier, 1708. 19 Oggi nelle mani dei Lovera di Castiglione, eredi dei Solaro.

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delle carte riferite alle operazioni successive al 14 agosto. Il diario è stato attribuito al cavaliere Giuseppe Amico dal Manno e dal Vernier20 in quanto pare redatto a caldo durante le operazioni da un attento ed esperto conoscitore di balistica, di artiglieria e di ingegneria mineraria. I due studiosi aggiungono che il diario servì al generale Solaro per la redazione a stampa del citato Journal, comparso anonimo nel 1708 ma a questi concordemente attribuito. Le illustri opinioni, trascurate dagli studi successivi, sono state totalmente ignorate in una recente, fedele trascrizione del manoscritto.21

La cessazione delle ostilità con le truppe gallo-ispane portò al Castellalfero la promozione a colonnello di Artiglieria. Con l’acquisto della sovranità sulla Sicilia venne incaricato dal re Vittorio Amedeo II di sovrintendere al rilievo delle coste isolane per verificare lo stato delle fortificazioni, le condizioni delle località litoranee e le relative attività economiche. Il cadetto realizzò la campagna topografica nei primi mesi del 1714 con l’assistenza di un commesso d’artiglieria, eseguendo un periplo completo dell’isola a bordo di uno scafo costruito allo scopo. La conseguente, scrupolosa relazione è fortunatamente ancora disponibile,22 mentre il preziosissimo rilievo cartografico delle coste, un tempo considerato disperso, lo abbiamo parzialmente ricomposto in due sole carte, ascrivibili alla mano dello stesso cadetto, ritrovate nell’Archivio di Stato di Torino.23 Il Castellalfero redasse altri due inventari sulle fortificazioni dei litorali e sul loro contenuto, uno Stato generale di tutta l’artiglieria e addirittura una memoria “sugli abusi che si praticano nel Regno” oggi di stupefacente attualità.

La presenza del cadetto in Sicilia è documentata fino ai primi mesi del 1715; nel settembre dello stesso anno il sovrano gli assegnò il Mauriziano

20 A. Manno, Pietro Micca, cit., p. 334n; Jules-Joseph Vernier, Un épisode de la guerre de la succession d’Espagne: le siège de Turin de 1706, in “Mémoires de l’Académie des sciences, belles-lettres et arts de Savoie, VI (1897), n. 4, pp. 307-438. Riferisce il Manno «[...] potei scoprire che fu scritto dal conte Giuseppe Amico di Castelalfero, colonnello d’artiglieria, figlio di una Solaro della Margherita [...]». 21 G.M. Solaro conte della Margarita, Journal historique du siége de la ville et de la citadelle de Turin l'année 1706. Traduzione del manoscritto originale e confronto con l'edizione del 1708, a cura di C. Paoletti, Torino, Omega, 2006. 22 ASTO c., Sicilia, Inv. 1, cat. 1, m. 3, n. 63, Relazione istoriografica delle città, castelli, forti e torri esistenti ne’ littorali del Regno di Sicilia con le annotazioni delle cale, punte, grotte, porti e trafichi che attorno il medemo si fanno cavata dall’informazioni prese nel viaggio fatto dal sig. Cav.re Castelalfiere Colonnello dell’Artiglieria secondo gl’ordini dattili dalla Sagra Real Maestà di Vittorio Amedeo II Re di Sicilia, Gierusalemme e Cipri Duca di Savoia, Prencipe di Piemonte etc. Palermo li 14 aprile 1714. La relazione è integralmente riportata in Sicilia 1713. Relazioni per Vittorio Amedeo di Savoia, a cura di S. Di Matteo, Palermo, Fondazione Chiazzese, 1994, passim, segnalando che il curatore identifica erroneamente il Castellalfero nel conte Alessandro Ignazio Amico, in realtà fratello primogenito del nostro cavaliere. 23 Carta di Siracusa e Carta di Tauormina. Castello d’Augusta et Relationi de’ contorni d’Augusta Siracusa et Tauormina, in ASTO c., Carte topografiche e disegni, Carte topografiche segrete, Sicilia 23 D (V) Rosso. Un’ulteriore ricerca, operata solo indirettamente nello spagnolo Archivo de Simancas, non ha portato al ritrovamento - come preventivato - di ulteriori sezioni dello straordinario corpus cartografico.

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Abito e Croce di giustizia nominandolo successivamente Commendatore Mauriziano per la Commenda di San Marco di Chivasso. Nel 1719 venne promosso a Generale di battaglia e in quella veste diresse dal 1725 le operazioni di recupero e di approntamento delle artiglierie delle coste sarde (da poco passate sotto il controllo della corona sabauda) realizzando opere civili e militari con il concorso di un folto gruppo di ingegneri militari sabaudi.24 Nel 1727 e fino al 1733 fu Governatore della Città e Provincia di Ivrea. Nel 1730 la Gran Croce mauriziana fu l’ultimo omaggio di Vittorio Amedeo II prima dell’abdicazione, a compensare capacità e fedeltà di servizio esemplari. Ma il cambio della guardia non arrestò la sua carriera, il nuovo sovrano Carlo Emanuele III nel 1734 lo nominò Tenente generale, a suggello di una straordinaria carriera.

Giuseppe Amico morì il 29 gennaio 175125 in età molto avanzata, tumulato per sua volontà nella cappella torinese restaurata solo un anno prima.

Le opere del commendatore

Titoli e incarichi accumulati negli anni consentirono al commendatore di Castellalfero di dedicare l’ultima parte della sua vita al consolidamento dei rapporti familiari e a interventi di miglioramento del relativo patrimonio, pur ospite del palazzo del conte Armano di Grosso, posto al civico numero 4 della torinese via del Carmine. In due atti di donazione del 1737 e del 1750, vincolando gli atti al proprio mantenimento, elargì beni e immobili posseduti a vario titolo al nipote Bartolomeo Giuseppe, quarto conte di Castellalfero, in ragione «dell’affetto con cui lo ha sempre rimirato come carissimo nipote»26.

Tali generosi gesti innescarono a partire dal 1737 la riplasmazione del severo castello di Castell’Alfero nelle attuali forme barocche, la predisposizione di un personale alloggio nello stesso castello (testimoniata da due superstiti piastre da camino con decorazioni ispirate all’arma dell’artiglieria, la Gran Croce mauriziana e la data “1738”) e, in particolare, la sontuosa decorazione del salone principale, fulcro della nuova ampia residenza, finalmente degna di rappresentare un consortile ormai così ben affermato nella società piemontese come nella corte sabauda.

Il secondo intervento il commendatore lo riservò per sé. All’età di 80 anni richiese al nipote Bartolomeo Giuseppe l’ammodernamento della vecchia

24 G. Manno, Storia di Sardegna, Torino, Alliana & Paravia, 1825-27, IV, l. 13, n. 1641; M. Manconi De Palmas, La chiesa di S. Maria cattedrale di Oristano, Oristano, 1992. 25 La data è desunta dal registro dei confratelli della Compagnia di San Paolo: Archivio Storico San Paolo (ASSP), CSP, n. 27, 1707, c. 9, Repertori Ordinati, Elenchi degli Uffiziali e dei Confratelli, 1688-1783: «Comend.re D. Giuseppe Amico di Castelalfieri. Morto li 29 genn.o 1751». 26 ASTO s.r., Notai di Torino, Primo versamento, vol. 4593, cc. 190-193v; ibidem, vol. 2844, cc. 182-183r.

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cappella del SS. Crocifisso nella chiesa torinese di San Francesco d’Assisi, patronato di famiglia dal 1637, «con denaro a tal fine e per puro spirito di devozione somministrato».27 La ricomposizione fu affidata dal nipote all’architetto Bernardo Antonio Vittone che nel 1750 terminò i lavori, includendo gli elaborati progettuali nella seconda delle sue opere antologiche.28 Un’iscrizione sull’arco di ingresso della cappella, suggerita dal commendatore, svela tempi e artefici:

QUAM ARAM JESU CHRISTO CRUCIFIXO ALEX. AMICUS CASTRI ALPHERII PORTACOMARII ET QUARTI COMES.

REGIS CONSIL. ET PRI. REGII AERARII CENSOR DICAVERAT A. MDCXXXVII JOSEPH AMICUS DD. MAURITII ET LAZARI EQUES

MAJ. CRUCE INSIGNITUS. ET TIT. D. MARCI COMMEND. IN EXER. REGIS LEGATUS EPORED. CIVIT. ET PROVIN. GUBERNATOR

REPARANDAM ORNANDAMQUE CURABAT A. MDCCL

I cantieri del castello e della cappella torinese furono affidati a maestranze di tutto rispetto seppur eccentriche ai filoni artistici seguiti dalla massima parte delle committenze piemontesi, comunque operanti al servizio della corona. Solo recentemente abbiamo potuto scoprire che il progetto e l’esecuzione della villa campestre di Castell’Alfero, databili successivamente alla prima donazione del commendatore Giuseppe (1737), furono appannaggio del nipote Bartolomeo Giuseppe, architetto e paesaggista dilettante,29 e non già al mai provato incarico all’architetto regio Benedetto Alfieri, al quale sono sempre stati riferiti per le evidenti assonanze stilistiche.30

Gli interventi decorativi della cappella torinese del SS. Crocifisso, oggi coperti da un anonimo intonaco, sono stati ascritti a Girolamo Mengozzi,31 il più importante quadraturista del suo tempo, collaboratore di Giambattista e

27 M. Cassetti, La famiglia Amico di Castellalfero, cit. p. 140. 28 B.A. Vittone, Istruzioni diverse concernenti l’officio dell’architetto civile, ed inservienti d’elucidazione, ed aumento alle Istruzioni Elementari d’Architettura già al pubblico consegnate, Lugano, Agnelli, 1766, IV, tav. XC. 29 Sull’opera del conte Bartolomeo Amico «architetto per amore e piacere proprio» si vedano le Avvertenze intorno alle notizie date nel Dizionario Geografico Storico-Statistico-Commerciale, compilato dal Professore Casalis, in “L’Annotatore piemontese ossia giornale della lingua e letteratura italiana”, Torino, Tip. Favale, 1837, vol. VI, pp. 160-164; C. Lovera di Castiglione, Un giardino alla francese in un castello del cuneese, in “Bollettino della Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti” n.s., IV-V (1950-51), pp. 170-177; e C. Brayda-L. Coli-D. Sesia, Ingegneri e architetti dei Sei e Settecento in Piemonte, in “Atti e Rassegna tecnica della Società degli Ingegneri e Architetti in Torino, XVII, marzo 1963, p. 11. 30 Amedeo Bellini, Benedetto Alfieri, Milano, 1978; Benedetto Alfieri. L’opera astigiana, a cura di M. Macera, Torino, 1992. 31 F. Bartoli, Notizia delle pitture, sculture, ed architetture, che ornano le Chiese, e gli altri Luoghi Pubblici di tutte le più rinomate città d’Italia (…) contiene il Piemonte, il Monferrato, e parte del Ducato di Milano, Venezia, 1776, p. 23.

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Giandomenico Tiepolo. Proprio al Mengozzi assegniamo identiche responsabilità per il ciclo allegorico del cosiddetto salone rosso della villa di Castell’Alfero, eseguito intorno agli anni ’50 del Settecento congiuntamente ad altri lavori documentati per la corte di Torino.32

In questi ultimi, stupendi affreschi castellalferesi a tromp-l’oeil realizzati a totale copertura dell’aula, l’apparato decorativo di matrice architettonica risulta una palese celebrazione delle imprese del commendatore di Castellalfero grazie all’ampio dispiego di panoplie, riquadri con storie romane, ordigni d’artiglieria e fregi con figurazioni belliche, contrappuntati da colombe e anelli di fede, simboli della casata.

Se possiamo attualmente ammirare in tutta la sua bellezza il salone castellalferese, non ci è ancora stato possibile godere degli affreschi della cappella del SS. Crocifisso. Eppure, provvidenziali cadute di colore lasciano intravedere sinopie e coloriture originarie, facendo ritenere che le pitture siano ancora del tutto presenti e facilmente recuperabili. Riteniamo che la scopertura degli affreschi torinesi costituirebbe un cospicuo ritrovamento per la città di Torino in considerazione della singolarità dell’opera ascrivibile a un rilevante artista di scuola veneta pochissimo documentato nella nostra regione.

Oltre alle citate testimonianze, di Giuseppe Amico ci restano alcuni volumi della sua scelta biblioteca (inclusi con alcuni disegni di ordigni di artiglieria dal nipote Bartolomeo nel 1771 nel catalogo della sua raccolta, oggi Biblioteca storica del Comune di Castell’Alfero), ma soprattutto il suo grande ritratto a figura intera nella divisa blu di generale di artiglieria attribuito alla Clementina, ritrattista di corte al servizio di Vittorio Amedeo II e di Carlo Emanuele III.33 Nel dipinto, lo stesso cavaliere indica sul tavolo due carte militari ove risaltano le scritte: «Fort Mutin/Prise en l’année 1708» e «Difesa di Torino/1706»: i maggiori successi della sua carriera. Nelle gallerie di Verrua

La presenza del cavaliere di Castellalfero nell’assedio di Verrua è attestata da due soli documenti, due lettere del duca Vittorio Amedeo II datate

32 Per l’opera piemontese di Mengozzi si vedano: M. Viale Ferrero, Storia del Teatro Regio di Torino. La scenografia dalle origini al 1936, Torino, 1980, pp. 170-176; e L. Mallè, Stupinigi. Un capolavoro del Settecento europeo tra barocchetto e classicismo. Architettura, pittura, scultura, arredamento, Torino, 1981, passim; oltre alla fondamentale monografia di R. Domenichini, Girolamo Mengozzi Colonna, in “Saggi e memorie di storia dell’arte”, 28 (2006), pp. 169-291. 33 Il dipinto, attribuito a Giovanna Battista Clementi detta “La Clementina” e acquistato nel 1906 all’asta pubblica dei beni mobili dei conti Amico allestita dal Comune di Castell’Alfero, è oggi nel museo civico di Asti. Cfr. Le collezioni civiche di Asti. Materiali di studio per il riallestimento, a cura di E. Ragusa e A. Rocco, cat. della mostra Asti, Palazzo Mazzetti, 7 settembre-28 ottobre 2001, Asti, Comune-Fondazione Cassa di Risparmio di Asti, 2001.

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16 luglio 170634 riportanti istruzioni operative circa le misure che la capitale avrebbe dovuto adottare nei momenti cruciali di quella difficile estate.

Mancando addirittura il Castellalfero dai peraltro inconsistenti ruoli di truppa di Verrua, potremmo immaginare come gravemente insufficienti gli indizi necessari per ricostruire lo stato di servizio del cavaliere se non considerassimo che le missive, per quanto scarne nella loro esposizione, contengono indicazioni preziosissime, utili a evidenziare non solo il ruolo del cadetto nella difesa di Verrua e Torino ma anche l’effettivo andamento della guerra di mina nella piazzaforte monferrina, svelando inoltre le approfondite conoscenze in materia del sovrano. La prima lettera è indirizzata al maresciallo Philip Lorenz Wierich von Daun comandante della piazzaforte di Torino:

Luserne, le 16 julliet 1706 J’ai reçu votre lettre du 13 de ce mois. Il serait à souhaiter que nos mineurs eussent eu plus de soin à rencontrer ceux des ennemis qui ont fait sauter leurs mines à la lunette de l'ouvrage à corne. Il faut tâcher qu'il n'en soit pas de même aux autres. Castel-Alfer, le mineur Andorno et celui de l'Empereur qui a été blessé quand j'y étais, ont la-dessus l'expérience de Verrue, où ils ont fait dés merveilles. Les mines et les mortiers à pierre doivent être, à mon avis, la principale défense de la place, et cela peut suppléer en partie au défaut d'hommes que la désertion peut produire. […]

La seconda è indirizzata al marchese Carlo Maurizio Isnardi di Caraglio, governatore della città:

S.A.R. au Marquis de Carail le 16 juillet 1706. […] Le Comte Daun nous écrit qu'il a fait charger les mines avancées, pendant que l'ennemi n'en était pas éloigné de plus de deux trabucs [circa 6 metri, ndr]. Elles ont un double but, celui de donner le moyen d'aller au devant de l'ennemi et de le suffoquer, et celui de sauter à temps pour lui causer des dommages, lorsqu'il s'est établi au dessus. Le premier est le plus assuré, attendu qu'on voit maintenant que l'ennemi met tous ses soins à chercher les mines, ce qui lui est facile, lorsqu'elles sont chargées, tandis qu'il ne peut plus s'apercevoir de leur avancement; si l'on met le feu à la mine, l’effet qu'on s’en est promis est manqué, attendu que l’ennemi n'est pas placé au dessus, et d'un autre côté le trou est

34 Entrambe conservate nell’Archivio di Stato di Torino, sono state pubblicate in Journal historique du siége de la ville et de la Citadelle de Turin en 1706 avec le rapport officiel des opérations de l’artillerie par le Comte Solar de la Marguerite, Turin, Imprimerie Royale, 1838, p. 295-300.

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une place pour l'enn!mi même, de sorte qu’il convient de toute manière de tâcher de lui aller au devant, au moyen de simples fougasses et de bombes avec les quelles on peut renverser la galerie de l'ennemi, sans souffrir aucun dommage. Castel-Alfer, un mineur de l'Empereur qui se trouve à Turin et qui est connu de lui, et le mineur Andorno ont fait de semblables opérations à Verrue, et sont capables de donner un avis et de bien opérer. Tâcher de suggérer ce que dessus au Comte Daun comme de vous même, parlez-en aux personnes indiquées ci-dessus, et agissez dans le meilleur intérêt de notre service.

Non può tardare la replica del maresciallo Daun al duca:35

20 Juillet Je me sers de Castellalfieri et de tous ceux qui ont quelque connaissance des mines et il serait à souhaiter qu’ils eussent plus d’expérience qu’ils n’ont, et que nous eussions aussi plus de soldats que de milices. Que V.A.R. soit persuadée je ne néglige rien et que nous tâcherons de faire une défense aussi longue qu’il sera possible. […]

Appare evidente la considerazione del duca per i positivi risultati ottenuti a Verrua e per l’efficace strategia sviluppata dai suoi uomini circa la collocazione dei necessari ordigni in prossimità del fronte nemico, una strategia che adottata nell’assedio torinese dette formidabili risultati, come vedremo più avanti. Dalle lettere veniamo inoltre a conoscere altri due protagonisti del blocco di Verrua che insieme al Castellalfero dovettero – come si evince dai documenti 4 e 5 - seminare distruzione tra gli assedianti. Di questi il minatore Andorno altri non è che Giovanni Battista Billia “della Valle d’Andorno detto Andorn”,36 un soldato semplice che adottò il soprannome come era in uso all’epoca nell’esercito piemontese (ma non solo) in special modo nella compagnia dei minatori, tutti originari della Valle di Andorno, come Pietro Micca. Presente nella Compagnia dei minatori di stanza a Verrua, Billia-Andorn scompare però nei ruoli successivi a datare dal 28 luglio 1705. Per quanto riguarda il minatore Imperiale, se il duca avesse dimenticato di citare la sua condizione di ufficiale, questi potrebbe essere identificato nel luogotenente dei minatori Giacomo Spincker, distintosi a Verrua e onorato delle attenzioni

35 A. Manno, Relazioni e documenti sull'assedio di Torino nel 1706, in “Miscellanea di storia italiana”, T. XVII, II/II s., Torino, 1878, p. 555. 36 ASTO s.r., Ufficio generale del soldo, Ruolini di rivista, Ruolo del Corpo R.e d’Artiglieria, Rollo della Compagnia de Minatori di S.M. R.le, 1704-1705, m. 3.

Giovanna Battista Clementi detta “la Clementina”, attr., Il cavaliere Giuseppe Amico di Castellalfero, 1740 ca., olio su tela, cm 205x122, Asti, Musei Civici

Iscrizione posta sull’arco d’ingresso nella cappella del Crocifisso nella chiesa torinese di San Francesco d’Assisi

Autografo del cavaliere Giuseppe Amico di Castellalfero, commendatore dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro

Medaglia coniata da Luigi XIV in occasione della presa di Verrua, con Marte e la fortezza di Verrua personificati al verso che riporta l’iscrizione: CONSTANTIA EXERCITUS - VERRUCA CAPTA IX. Aprilis M. DCCV, diam. 41 mm.

Esercito austro-piemontese, divisa di artigliere savoiardo nel 1696, dis. di Quinto Cenni, New York Public Library, The Vinkhuijzen collection of military uniforms.

Esercito austro-piemontese, divisa del Reggimento Guardie nel 1690, dis. di Quinto Cenni, New York Public Library, The Vinkhuijzen collection of military uniforms.

Esercito austro-piemontese, divisa di moschettiere del Reggimento Starhemberg, 1704, dis., New York Public Library, The Vinkhuijzen collection of military uniforms

Esercito austro-piemontese, divise dei Reggimenti Chablais, Piemonte e Monferrato nel 1696, dis. di Quinto Cenni, New York Public Library, The Vinkhuijzen collection of military uniforms

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del Principe Eugenio grazie al suo prezioso operato.37 Infine, meravigliano non poco le puntuali attenzioni del duca per le operazioni di difesa sotterranea. Tuttavia, se scorriamo le testimonianze dell’epoca circa l’attitudine al comando e la preparazione bellica di Vittorio Amedeo II «dont personne n’ignore le genie superieur»38 non possiamo oltremodo stupircene.

Ma quali sono esattamente i compiti affidati al cavaliere di Castellalfero a Verrua? Mancando, come ricordato, indicazioni precise, anzi essendo il cavaliere totalmente sconosciuto alle principali fonti39, non avendo potuto esaminare straordinarie quanto non ancora sondate fonti primarie, come i parigini Archives nationales40 o come il Diario sopra l'assedio di Verrua. Discorso fatto a Filippo IV,41 non possiamo che ipotizzare, in analogia con altri eventi successivi, un ruolo di comando limitato a una batteria di cannoni o a un drappello di minatori, esplicato altresì in misurazioni, tracciamenti, scavi, riparazioni e demolizioni, il repertorio completo di un ingegnere militare dell’epoca. Sappiamo inoltre che il comandante la piazzaforte, Pierre-François Lucas conte di La Roche e d’Allery, ebbe il diretto comando dell’artiglieria ma ignoriamo purtroppo da chi fosse strettamente coadiuvato.

Molti episodi, degli innumerevoli occorsi nell’interminabile guerra di mina di Verrua, possono quindi essere letti come dettati dalle sperimentate capacità del Castellalfero. Uno dei più celebri eventi dell’assedio torinese può offrirci lo spunto per immaginare analoghi scenari nella piazzaforte monferrina:42

Il Cavaliere di Castel Alfieri, e l’Ingegniere Bussolino si segnalarono in un difficile cavamento, condotto con maestria del

37 M. Ogliaro, La fortezza di Verrua Savoia, cit. p. 238n. 38 Cfr. infra, Documento 5 39 Tra quelle consultate: Relazione dell’assedio ed Espugnazione fatta da Francesi del Forte di Verrua. Con diverse memorie relative alla med.ma circostanza in ASTO s.r., Materie militari, m. 10, n. 5. Presente in copia in Biblioteca Reale di Torino e in Biblioteca di Casale Monferrato la relazione è stata pubblicata da M.T. Bocca Ghiglione e M. Salamon, Diario dell'assedio della Fortezza di Verrua: 1704-1705, Torino, Daniela Piazza, 2002. 40 Archives nationales, Archives de l'Ancien Régime, Série E, Conseils du Roi, I. Minutes d’arrêts, E 1873. Italia, Savoie, Provence; siège et prise de Verrue, service des tranchées, citations, états des pertes, «totaux par régiment des officiers, sergents, soldats, tuez et blessez aux sièges de Guerbignan et de Verrue depuis le 22 e octobre 1704 jusqu’au 9 e avril 1705», état nominatif de l’«estat-major de la ville et donjon de Verrue pris à discrétion avec la garnison», état numérique des troupes de l’empereur et du duc de Savoie et du matériel d’artillerie trouvées à Verrue. 41 Il rapporto ancora inedito è collocato nell’Archivio romano Doria Pamphili, sommariamente descritto ne Il fondo detto l'Archiviolo dell'archivio Doria Landi Pamphilj in Roma, a cura di R. Vignodelli Rubrichi, Roma, Società romana di storia patria, 1972, p. 42. 42 A. Umicalia, Memorie istoriche della guerra tra l’Imperiale Casa d’Austria e la reale Casa di Borbone per gli Stati della Monarchia di Spagna dopo la morte di Carlo II re’ austriaco dall’anno 1701 fino all’anno 1713, Venezia, Recurti, 1732, p. 351.

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loro esperimentato ingegno. Con incessante e faticoso travaglio profondarono sotto le fosse della Fortezza, e inviscerandosi sotto tutte le gallerie, fin d’ora praticate, per più di duecento passi diramarono nella Campagna a dirittura delle batterie Francesi sullo spalto, e v’apprestarono quattro gran fornelli d’ottanta barili di polvere. Quello, che s’accese a’ venticinque d’Agosto, seppellì undeci Cannoni, dirizzati al Baluardo San Maurizio, e nella fossa, ed altri nel Rivellino. I due fornelli, scoppiati la mattina de’ ventisei, squarciarono la terra, e distrussero altre batterie in faccia al bastione B. Amedeo. Il quarto si riserbò ad altra migliore congiuntura.

Questo dovette essere in Verrua il principale dovere del Castellalfero: la distruzione di trincee, di gallerie e di qualunque altra opera il nemico approntasse per rendersi sempre più prossimo alla fortezza. Una snervante guerra sotterranea, cosiddetta di mina e contromina, che il generale Solaro della Margarita ebbe a commentare significativamente come «Ce qui donnait plus de crainte aux assiégeans de ne pas prendre la place, et plus d’espérance aux assiégés de la soutenir, c’étaient les mines».43 Fu dunque questa sordida, ma necessaria quanto vitale guerra di difesa, a segnare più di ogni altro strumento le possibilità di resistenza prima della piazzaforte di Verrua e poi della capitale, marcando con singolare efficacia la repulsione degli assedianti.

Nei mesi antecedenti il maggio 1706, nel corpo di Artiglieria della capitale del generale Solaro, confluirono eccellenti ufficiali e centinaia di artiglieri, bombardieri e minatori formati negli assedi precedenti e in particolare in quello di Verrua, ove quest’ultima prova mise forzatamente a disposizione un ancor più ampio lasso di tempo utile a perfezionare strumenti e modalità di risposta agli assedianti.

L’esperienza di Verrua dettò nella capitale le ragguardevoli misure atte a respingere i sempre più incalzanti franco-spagnoli riuscendo nell’intento di ritardare l’inevitabile presa della città fino all’arrivo delle truppe Imperiali. Giuseppe Amico di Castellalfero diede un apporto fondamentale sia nella resistenza di Verrua che in quella della capitale, forte delle conoscenze acquisite e di una tenacia che segneranno per sempre la sua vita e la sua condotta al servizio delle istituzioni sabaude.

Significativo riconoscimento della sua opera sarebbe, oggi, riportare integralmente alla luce la decorazione della sua cappella torinese, alla quale verrebbe così restituita - dopo oltre due secoli - autenticità e dignità.

43 Journal historique du siége de la ville et de la Citadelle de Turin en 1706 avec le rapport officiel des opérations de l’artillerie par le Comte Solar de la Marguerite, Turin Imprimerie Royale, 1838, p. 41.

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DOCUMENTI

DOCUMENTO N. 1 Lettera del duca di Vendôme dal campo francese di Verrua in Lettres Historiques. Contenant ce qui se passe de plus important en Europe. Tome XXVI. Mois de Decembre, 1704, La Haye, A. Moetjens, 1704, pp. 620-621.

Copie d'une Lettre du Duc de Vendôme écrite à un de ses Amis du Camp devant Verüe le 7. Novembre. Nous nous sommes rendus hier, Monsieur, Maître du Fort de Guerbignan, & les Ennemis n'en auroient pas été quittez à si bon marché, si les pluïes affreuses qu'il fait ici depuis 2. jours, n'avoient entierement derangé tous nos Projets. Sur l'avis certain que j'avois eû, qu’il n'y avoit dans le Camp de Crescentin que la seule Cavallerie des Ennemis, & que toute leur Infanterie étoit campée dans les retranchemens de Guerbignan, j'avois fait reconnoître les guês du Pô, & il s'en étoit trouvé un à un mille au dessus de Crescentin, où je pouvois faire passer un Escadron de front. Cela me détermina entiérement à passer cette Riviere, pour attaquer les Ennemis dans leur Camp ; Tout étoit prêt pour cette entreprise, & les Troupes qui devoient passer avec moi au nombre de 47 Escadrons & de 20. Bataillons, s'étoient déja renduës sur le bord du Pô ; Mais la pluye a redoublé avec tant de violence, que j'ai été' obligé de renvoyer nos Troupes dans leur Camp. Je devois en même tems faire attaquer le Fort de Guerbignan, afin de faire diversion, & me rendre Maître de ce Poste où il y avoit une breche considérable ; Mais dans le tems qu'on étoit prêt à l'attaquer, on s'est apperçû que toute l'Infanterie des Ennemis decampait avec précipitation, & repassoit le Pô pour s'en retourner dans le Camp de Crescentin. Cela m'a fait juger, que Mr. de Savoye avoit été averti de mon mouvement, & qu'il abandonnoit Guerbignan, pour aller secourir sa Cavallerie qu'il croyoit devoit être attaquée. J'ai depuis sceu qu'il avoit deserté un Cavalier & un Dragon, qui sans doute n'ont pas manqué à l'informer de ce qui se passoit dans nôtre Armée, & qui au lieu de nous nuire, nous ont servi très utilement, puis que les Ennemis nous ont abandonné leurs Retranchemens, sans tirer un seul coup de fuzil, & ont laissé dans leur Camp plus de 300. tentes, & une quantité infinie de Bagage, qu'ils n'ont pas eu le tems d'emporter. Nous allons ouvrir la Tranchée devant Verüe, dont nous nous rendrons certainement maîtres malgré le mauvais tems. Je Suis. […]

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DOCUMENTO N. 2 Lettera di un corrispondente apparentemente neutrale del Mercure in Mercure historique et politique, XXVII, Dicembre 1704, La Haye, van Bulderen, 1704, pp. 602-608

Les lettres du Camp devant Verruë du 31. d'Octobre confirmerent ce que nous avions dit, que l'on commençoit, depuis le 24. à battre le Fort de Guerbignan, ce que l'on faisoit avec vingt cinq à trente pièces de canon. On aprit par les mêmes lettres, que le Marquis de Wartegni, Maréchal de Camp fut tué le 28. dans la Tranchée; que le 29. le Duc de Vendôme, après avoir visité les Travaux, & reconnu qu'ils étoient en bon état, ordonna toutes choses pour attaquer la Contrescarpe de Guerbignan le jour d'après, ce qui fut exécuté à une heure après midi. Le Marquis de Grancey, qui commandoit à la droite, n'ayant pas trouvé grande resistance, attaqua une espece d'Ouvrage à corne, & l'ayant emporté il s'y logea nonobstant trois fourneaux que les Piemontois firent joüer pour le reprendre. M. de Chartogne, qui commandoit à la gauche, eut beaucoup plus de peine, puisqu'il fut repoussé deux fois par les troupes du Duc de Savoye, qui avoient leur Infanterie dans un fond entre Verruë & Guerbignan, & qui envoyoient à tous momens des troupes fraiches. Nonobstant cette resistance oppiniâtre il emporta un Angle à la troisiéme attaque, & y fit son logement. Le Marquis de Bouligneux, qui avoit eu ordre d'attaquer l'Angle du milieu, fut repoussé & ne pût s'y loger mais il fit en suite son logement par la Sappe, & la nuit du 31. on perfectionna les deux autres. Les François prétendent que dans ces actions, toutes vigoureuses qu'elles furent, ils ne perdirent que quatre vingts hommes, & que le Duc de Savoye y en perdit plus de quatre cens. Cependant les avis de Crescentin du 30. du même mois d'Octobre portoient, que les François avoient été repoussez avec la dernière vigueur, que les les Piemontois ayant fait joüer le Canon à cartouches, de mille d'Infanterie qui étoient allez à l'assaut il ne s'en étoit sauvé que deux cens. Le Duc de Savoye fut present à ces attaques, & il fut même exposé à un grand péril. Aujourd'hui, portoient ces avis, à deux heures aprés midi les ennemis ont attaqué les retranchemens sous Verruë, mais ils ont été repoussez & contraints de se retirer dans leurs tranchées après une heure & demie de combat. Nous avons abandonné une Redoute avancée, où il y avait quinze hommes & un Lieutenant, qui avoit ordre de se retirer dés qu'il verroit avancer l’ennemi pour y donner l’assaut, ce qu'il a exécuté' si à propos, que les fourneaux qu'on y avoit faits ont joué dans le tems que les François étoient dessus. Nous avons eu peu de morts à la

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défense des rentrachemens, mais la perte des ennemis est pour le moins de huit cens hommes. Quelques lettres des Frontières de Savoye font monter plus haut la perte des François, & nomment entre autres morts M. le Camus, Commissaire d'Artillerie & le Sr. Pichard Capitaine. Les François avoüent que leurs ennemis se défendirent avec un courage intrépide, qu'on en fut aux mains pendant trois heures, & que les poste qu'ils attaquerent étoient défendus par onze Bataillons. Les ennemis se rendirent maîtres peu de jours après du Fort de Guerbignan. Le Duc de Vendôme ayant vû que les Mines soient prêtes sur la nuit du 5. au 6. de Novembre, donna ses ordres pour attaquer le Fort le 6. au matin: & comme son Infanterie étoit de l'autre côté du Pô, il ordonna à vingt Bataillons & à toute sa Cavalerie de passer ce Fleuve à deux heures du matin dans un endroit, qui etoit guéable, chaque Cavalier ayant un Fantassin en croupe, & de préparer les chemins pour l'Artillerie: mais il survint alors une si grosse pluye qu'elle en retarda l'exécution. Pendant ce tems-là il déserta un Soldat qui avertit le Duc de Savoye du mouvement des ennemis. Le Duc qui aprehenda qu'on ne le fut attaquer dans son Camp retira d’abord les Troupes qu'il avoit dans les retranchemens du Fort, de sorte que les Troupes s'étant avancées trouvèrent Guerbignan abandonné, & y entrerent ; M. de Montgon, qui commandoit la Tranchée, & M. d'Aubeterre y furent blessez. La prise de ce Fort a coûté en tout aux Assiegeans deux mille hommes. Le Duc de Savoye voyant qu'il ne pouvoit avoir qu'avec peine les provisions dont il avoit besoin, les François lui ayant ôté la libre communication du Pô, décampa quelques jours après de Crescentin pour s'aprocher de sa Capitale, où il fait travailler à de grands retranchemens autour de la Ville & de la Citadelle. Le Duc de Vendôme ayant envoyé faire un compliment à Son Altesse Royale [Luigi XIV, ndr], lui fit savoir en même tems, à ce qu'on pablie, que nonobstant les progrès des Alliez, il avoit ordre exprès de la Cour de prendre des quartiers d'hiver dans le Piémont, & de poursuivre vigoureusement pour cet effet le Siège de Verruë. Quoi qu'il en soit, la nuit da 7. au 8. de Novembre on ouvrit la Tranchée devant cette Place, & nonobstant le mauvais tems on s'étoit avancé l'onzième jusqu'à une portée de Pistolet des Palissades. M. de Richevan, principal Ingenieur de l'Armée du Duc de Vendôme est mort de son trepan. Il y a quelque tems, ce fut lors qu'on commença le Siège de Verruë, qu'on conduisit à Turin un Officier François qui étoit Ajudant dans le Fort de cette Place: on dit qu'il étoit d'intelligence avec les Ennemis pour mettre le feu aux Magasins de poudre. Pour revenir au Siège, le

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16. au matin les Assiegeans commencerent à faire joüer trois Batteries qu'on avoit achevées, depuis la prise de Guerbignan. Il y en avoit une de douze pieces de Canon de vingt-quatre livres à deux cens toises [circa 400 metri] de la Ville, une autre de douze Mortiers, & la troisiéme de huit pieces de canon de vingt-quatre livres ; celle-là étoit à cent cinquante toises [quasi 300 metri]. La nuit du 18. au 19. on commença encore à élever une quatrième Batterie à quatre-vingts toises [circa 150 metri] des Palissades. Toutes ces Batteries devoient joüer sur les Ouvrages du côté d'Asti, où les Assiegez ont trois Redoutes, & une Batterie de vingt pieces de Canon, dont ils ont toujours fait un feu continuel. Le mauvais tems a empêché les progrès des Assiegeans, dont les Batteries & les Tranchées ont été sous l'eau pendant sept ou huit jours. Cependant le Siège se pousse, le Duc de Vendôme n'épargne rien de ce qui peut servir à encourager les Soldats, leur faisant distribuer de l'argent, des vivres, & particulièrement de l'eau de vie, afin qu'ils puissent resister à de si grandes fatigues. Ce Prince ayant fait publier qu'il donneroit cent écus pour chaque Canon qu'on meneroit sur une éminence, cela fut exécuté d'abord, & on en forma une Batterie qui fait du fracas. La Garnison du Fort de Verruë est commandée par M. la Roche de Lemeri, Savoyard.

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DOCUMENTO N. 3 Lettera da Torino dell’ambasciatore olandese van der Meer, di parte alleata44 in Lettres Historiques. Contenant ce qui se passe de plus important en Europe. Tome XXVII. Mois de Janvier, 1705, La Haye, A. Moetjens, 1705, pp. 144-147.

Lettre de Monsieur vander Meer, Envoyé Extraordinaire de Leurs Hautes Puissances les Etats Généraux des Provinces Unies à la Cour de Son Altesse Royale de Savoye. Ecrite à Leurs Hautes Puissances le 31. Décembre 1704. HAUTS & PUISSANS SEIGNEURS, MESSEIGNEURS, Son Altesse Royale étant pleinement informée de l'état de l'attaque des Ennemis, fit passer le Pô à la plus grande partie de son Infanterie, Vendredi après midi qui étoit le 26 de ce Mois, & commanda d'abord le Comte Maximilien de Staremberg General de Bataille de Sa Majesté Impériale, & le Colonel Baron de St. Rémi, avec 1000. Fantassins, pour escalader les hauteurs de Verüe par deux endroits differens, afin de fondre sur les Ennemis dans leurs Tranchées ; Et cela fût si bien concerté & executé, qu'ils furent attaqués en même tems par devant, par derrière & par les deux côtés, en sorte qu'après une vigoureuse resistance, ils se virent contraints d'abandonner leurs Tranchées & de prendre la fuite du mieux qu'il leur fût possible. Nos Gens se rendirent aussitôt Maîtres de toutes les Batteries des Ennemis, brulerent tout ce qu'il y avoit de combustible ; encloüerent tout le Canon qui étoit sur la Batterie de la Contrescharpe, ainsi que 4. Mortiers, mirent en pieces tours leurs afuts, ruinerent la Gallerie de la Grande Mine des Ennemis, comblerent touts les Puits de leurs Mines, & aplanirent aussi leurs Tranchées autant qu'il fût

44 Albrecht van der Meer, sconosciuto Commissario (1690-1696) e Ambasciatore straordinario degli Stati Generali delle Province Unite d’Olanda a Torino (1703-1713), giunto nel gennaio 1704 con sir Richard Hill (ambasciatore straordinario per l’Inghilterra) a seguito dell’iniziativa di Vittorio Amedeo II di stabilire formali rapporti diplomatici con le potenze marittime di Olanda e Inghilterra, fu promotore con Hill nei confronti del Duca di una mediazione con le popolazioni valdesi finalizzata alla loro protezione. ASTO, Negoziazioni, Olanda, m. 1-8. Su di lui si vedano: P. Merlin, Il Piemonte sabaudo. Stato e territori in età moderna, UTET, 1994, pp. 308, 342; E. Ferrero - F. Rondolino, C.P. de Magistris, Le campagne di guerra in Piemonte (1703-1708) e l'assedio di Torino (1706), R. Deputazione sovra gli studi di storia patria per le antiche provincie e la Lombardia, 1933, vol. 5, passim; R. Hill, The diplomatic correspondence of the right Hon. Richard Hill : envoy extraordinary from the court of St. James to the Duke of savoy, in the reign of Queen Anne, a cura di W. Blackley, London, John Murray, 2 v., passim; C. Storrs, War, Diplomacy and the Rise of Savoy. 1690-1720, Cambridge University Press, 1999, pp. 138, 307.

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possible, avec 350. Pionniers ; Mais les Matériaux n'étant pas à la main pour encloüer les Canons qui étoient sur la Batterie la plus éloignée, on se contenta de les endommager autrement autant qu'on pût, & de les rendre inutiles pour quelque tems. Cependant l'Allarme étant devenüe générale dans l'Armée des Ennemis, le Duc de Vendôme fit avancer le Piquet; Mais il fût repoussé & obligé de prendre la fuite, comme les autres troupes qui avoient été dans la Tranchées. Dans le même tems que nôtre Infanterie attaquoit ainsi les Tranchées des Ennemis, Son Alt. Royale fit passer le Pô à un Guay près de l'endroit où la Doria se jette dans ce Fleuve, à toute la Cavallerie qui étoit à Verolengo & aux environs ; Et le General Fels qui commandoit cette Cavallerie ayant d'abord detaché le Comte Brayner Lieutenant Collonel avec 200. Chevaux pour attaquer le Quartier du Duc de Vendôme, ce Comte sabra 40 Hommes des Gardes avancées des ennemis, & mit le reste en fuite ; Mais il ne pût pas les pousser plus loin, à cause d'un Retranchement qui étoit gardé par 1000. Hommes de pié.

Nôtre Garde ordinaire de Cavallerie, attaqua en même tems le Quartier des Troupes d'Espagne, pour faire diversion aux Ennemis de touts côtés ; Et le tout réussit si bien, que nos troupes, aprés avoir exécuté de cette manière les ordres qui leur avoient été donnés, se retirerent la nuit suivante à Verüe & dans leurs précédents Quartiers. On ne sçait pas encore combien de monde les Ennemis ont perdu dans cette Action ; Mais nos Gens ont fait Prisonniers Mr. de Chartogne Lieutenant General, qui mourut hier de ses blessures, un Lieutenant Colonel, 2. Majors, 2. Capitaines de Grenadiers, & 3. autres Officiers. D'ailleurs on sçait que M. d'Imecourt Marêchal de Camp, a été tué dans cette Action, ainsi qu'un des principaux Officiers de l'Artillerie.

De nôtre côté on a perdu, le Lieutenant Collonel du Regiment de Lorraine, le Major du Regiment de Staremberg, un Capitaine du Régiment de Tuan, & 2. Capitaines des troupes de Son Altesse Royale ; Et le Baron de Grotz ainsi que Mr. Hamilton, touts deux Aydes de Camp de celles de Sa Majesté Impériale, ont été blessés. On compte que nous avons en tout environ 2oo. Hommes, tant tués que blessés & faits Prisonniers. Cette Action qui est si glorieuse, a causé ici une joye inexprimable; Et l'on croit qu'elle va donner pour le moins 15. jours d'occupation aux Ennemis, pour reparer les Ouvrages que nos Gens leur ont ruiné. Avanthier, ils recommencerent pourtant à faire joüer quelques petites Pieces de Canon, de la Batterie qu'ils ont sur la Contrescharpe ; Son Altesse Royale a été dans Verüe pendant toute l'Action dont on vient de parler, pour donner les

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ordres necessaires. Mr. de Belcastel qui a été auprès de S. A. R. arriva hier ici ; Et selon toute aparence il donnera à Vos Hautes Puissances une Relation exacte de ce qui s'est passé. Je fuis Hauts & Puissans Seigneurs, & c. A. V. MEER. De Turin le 31. Decembre 1704.

Autografo del diplomatico olandese Albrecht van der Meer

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DOCUMENTO 4 Lettera di un corrispondente francese dal campo degli assedianti in Lettres Historiques. Contenant ce qui se passe de plus important en Europe. Tome XXVII. Mois de Janvier, 1705, La Haye, A. Moetjens, 1705, pp. 150-152.

Du Camp devant Verruë le 9. Janvier 1705. Le Siege se continuë toujours avec beaucoup de lenteur ; mais on espere qu'après l'arrivée de l'Artillerie qu'on attend du Milanez , on le poussera avec plus de vigueur & de succès. Mr. Marrignan Quartier-Mestre General, a été nommé par le Duc de Vendôme pour remplir la place de Mr. d'Immecourt. On asseure qu'en cas que la gelée continuë, on fera marcher dans quelques jours la Cavallerie de l'Armée, du côté des hauteurs des Capucins près de Turin, pour faire diversion au Duc de Savoye, & l'on dit à present que le dessein qu'on avoit d'attaquer S.A. Royale dans son Camp de Crescentin, est changé, à cause des difficultez qu'on y trouve.

Le 4. de ce mois il arriva deux Bataillons Ennemis de Turin. près de Crescentin, qui se posterent dans les retranchemens près du Pont de communication avec Verruë. La nuit les assiegez firent joüer une Mine dans le fossé, qui ne fit pas grand effet. Nos Mineurs continuerent leur travail à la droite de l'attaque ; & ils le pousserent jusqu'au retranchement de la Fausse-braye. Les Ennemis firent un si grand feu la nuit, de la Ville & du Donjon, qu'on eut beaucoup de peine à reparer le dommage.

La nuit du 5. on travailla à un logement, afin de faire une Mine dans le fossé, à la pointe de l'attaque gauche. Le Mineur qui étoit à la droite, dans le dessein de pousser son travail sous le Bastion, rapporta qu'il entendoit les Mineurs Ennemis, de sorte qu'on lui ordonna de se retirer vers la Fausse-braye, & d'y faire des chambres pour faire joüer le fourneau. Comme la premiere et la seconde envelope de la Ville sont déjà fort endommagées, on ordonna de tirer sur la troisiéme. Le feu du Donjon obligea les nôtres de suspendre les travaux qu'on faisoit à la gauche, pour y faire agir le Mineur.

Le 6. le Mineur de la gauche continua son travail, sans avoir été entendu des Ennemis. On perfectionna une nouvelle Batterie de deux pieces de canon sur le chemin couvert, & on conduisit quatre autres pieces de campagne du côté des Lignes de communication des Ennemis. Le Duc de Vendôme ordonna de faire un retranchement autour de son Quartier, à cause que les eaux du Pô sont si basses, qu'on peut le passer en plusieurs endroits : Le travail qu'on fait à la gauche pour soûtenir le

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Mineur, fut aprofondi, afin d'être plus à couvert contre le canon de la Ville. Mr. de Cossade Capitaine, & Mr. de Fromental Adjudant du Duc de Vendôme, furent blessez, le dernier à l'œil par l’éclat d'une Bombe. On eut outre cela trente à quarante morts ou blessez.

Le 7. on apperceut que les Ennemis avoient travaillé avec beaucoup de diligence à reparer le dommage que leurs Batteries avoient receu. Nos Mineurs avancerent leurs travaux sans aucun empêchement, & l'on espere de faire joüer dans peu un fourneau sous le Bastion. La nuit, quelques déserteurs rapporterent que les assiegez faisoient travailler à un profond fossé, pour découvrir nos Mines, & que les nuits ils travailloient avec diligence à raccommoder les brêches que nous-avions faites à la séconde Envelope. On commença à tirer des quatre pièces de Campagne sur les Troupes Ennemies qui sont dans leurs lignes de communication avec Verruë.

Le 8. le Mineur de la droite, raporta qu'il étoit avancé à 4. Toises [8 metri circa] au delà de la Fausse-braye, mais que les Ennemis l'ayant entendu, ils avoient fait joüer un petit fourneau, qui avait tué un de nos Mineurs & quelques Soldats, & comblé un boyau ; ensuite dequoi il avoit continue son travail par deux autres boyaux, en tâchant d'éviter les Ennemis. On fit grand feu sur la seconde & troisiéme enceinte de la Ville, & on continuë ce matin.

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DOCUMENTO 5 Estratto dall’opera di anonimo osservatore francese inerente l’intero corso della campagna di assedio della fortezza di Verrua. in Mémoires de la derniere guerre d’Italie. Avec des remarques critiques & militaires, par Monsieur D***, Cologne, aux dépens de l’auteur, 1728, pp. 78-90.

Il fut encore question de faire le Siege de Veruë. Mr. de Vendôme suivoit le projet de la Cour qui étoit de se mettre en situation de s’aprocher de Turin l’année suivante, avant que les Alliez de Mr. De Savoye pussent lui donner du secours, ce qui nous ramena sur les bords du Po que nous passàmes pour entrer dans les montagnes du Montferrat & nous aprocher de Veruë, où l’on demeura quelque tems tant pour laisser rafraichir les Troupes, que pour avoir les choses necessaires pour faire ce Siege qui à l’entrée de l’hiver dans un pais de montagnes, pouvoit nous faire de la peine. Mais toutes ces difficultez n’imposoient pas à notre General […] plus affectionné à tenir une longue table, qu’au travail indispensable dans des conjonctures ou les moindres negligences étoient de consequence. […] Veruë est une petite Ville bastie sur le Po, plus considerable par le Château qui est sur en Roc très-élevé, & fort escarpé du côté de la Riviere. La Ville par ell-méme est sur une hauteur de niveau éloignée de toutes les montagnes qui feroient croire le pouvoir dominer ayant d’une part pour aspect la plaine de Crescentin, & l’autre son regard sur le Montferat ; les Fortification bonnes, n’ayant pourtant que de mediocres dehors, un fossé sec & profond, le Poligonne que nous avons attaqué bien revetu, & la maçonnerie inébranlable, le chemin couvert en très bon état, un glacis sur un terrain pierreux qui domine sur le valon : l’on ne doit pas demander ce que Mr de Savoye faisoit pendant que nous prenions toutes ses places, il n’étoit pas assez fort pour s’y opposer, la plus grand partie de ses Troupes en notre pouvoir ne lui produisoient pas des Soldats, tout ce qu’il pouvoit faire étoit de couvrir Turin de l’insulte de nos partis, en conservant encore une ombre de Souveraineté. S’il étoit permis à un particulier d’hazarder son opinion sur les précautions qu’on devoit prendre pou ce Siege, je croirois que dans le dessein formé, pour l’entreprendre dans une Saison aussi avancée, on ne devoit rien négliger pou une prompte reüssite, qu’on pouvoit prevoir, que ne pouvant investir la Ville dans son entier, celle de Crescentin scituée à una mille de l’autre côté du Po, nous feroit un contretems par les secours qu’elle produiroit aux assiegez qui se serviroient du Pont de communication

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protegé par le feu du Chateu, que Mr. le Duc de Savoye dont personne n’ignore le genie superieur venant à occuper Crescentin, il rafraichiroit la Garnison de Veruë & y feroit porter des Vivres, la soutiendroit dans le fort de nos attaques, ce qu’il n’a pas manqué de faire : il me paroit qu’en partant d’Yvrée nous pouvions séjourner à Crescentin qui étoit sur notre chemin, que si le poste n’étoit pas en état qu’on put l’occuper il falloit du moins faire raser l’envelope qui n’est que de terre, combler les fossez, detruire les portes, peut-être que Crescentin dans det état, Mr. de Savoye n’auroit pas pensé à y venir, & qu’a la moindre demonstration que nous aurions faite de marcher à lui, il se seroit retiré, ce qui n’auroit pas été impossible en faisant construire un Pont de bateaux sur le Po audessus de Veruë, & s’il avoit voulu nous attendre e risquer un combat, & dont je doute, venant à le perdre, Turin nétoit pas en seureté. Mais Mr. de Vendôme avoit le défaut de mépriser trop son Ennemi, ce qui le rendoit indifferent pour de legeres précautions, qui deviennent quelquefois essentielles. Je reviens à faire le precis du Siege memorable par sa durée, & la patience du Soldat ; quoique dans se Siecle, il ait été en usage de prendre des Villes en trè-peu de tems, les unes par être mal deffenduës, les autres foudroyées par une Artillerie formidable à laquelle il étoit impossible de resister, ce qui rendoit l’Art inutile, & la conquête peu glorieuse, le Siege de Veruë a eu des circonstances curieuses, & celle de la rigueur de la Saison en est une honorable à la Nation. C’est ce que je me suis proposte d’écrire succintement dans les faits les plus interessans, laissant à l’Historien tous les petits détails dont il se charge volontiers, l’investiture étoit allée, n’occupant que la partie entre les montagnes & la Riviere, dans l’interval des preparatifs les Troupes furent repandués dans le pais, où la nourriture du Soldat fut abondante faisant même des provisions pour n’en point manquer dans la suite ; notre Artillerie étant arrivée tout se rassembla devant la Ville & le blocus se termina par un Siege dans les regles, & la Cavalerie n’ayant point de subsistance l’on ne garda que douze cens Chevaux campez dans un vallon au-dessous de la place proche de la Riviere, moitié faisant face à la Ville, & l’autre à une petite plaine ; le Camp de l’Infanterie étoit sur la hauteur de Guerbignan hors la portée du Canon, le front de notre attaque embrassoit deux Bastions, & une très-petite Courtine, le glacis est sur un terrain sablonneux aisé à remuer, par consequen peu propre pour la solidité des Travaux, notre tranchée fut ouverte la nuit du vingt un Decembre, les jours suivant les assiegez firent un grand feu de Canon, &

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particulierment du plate forme, du Donjon du Chateau, où il y avoit une piece de quarante huit trop élevée pour nous nuire, & si chargée de metail qu’il ne la purent faire plonger sur nous, sa pesanteur étant extrême, la pluie & la neige nous causoient souvent des nouveau dommages, la terre detrempée s’ébouloit & renversoit nos parapets, vuidoient nos Gabions par la neige qui tomboit dedans, pour conduire notre Canon aux Batteries, les Chevaux n’en ayant pas la force à cause du mauvais chemin, il fallut se servir des Soldats, & lorsque les pieces avoient tiré quelques heures la plate forme s’enfonçoit de sorte que c’étoit un travail journalier, une piece blessée celle de rechange n’étoit pas si-tòt mise en place, la maçonnerie ancienne étoit si bonne qu’elle resistoit aux boulets, la Cavallerie alloit du foin pour bourer notre Canon quoi qu’elle n’eut pour sa propre nourriture que du pain de munition & une jointée de grain, nonobstant toutes ces difficultez notre tranchée se poussoit, autant que la Saison & le terrain pouvoit le permettre, & à l’exception de deux sorties, dont l’une fut très vigoureuse, il n’y a point eu d’actions bien vives, ce détail doit faire connoitre les raisons que ont fait la longueur de ce Siege, peut-être moins meurtrier que bien d’autres, en y ajoutant la particularité d’une Garnison soutenue par un corps de Troupes considerables, son A.R. étant à Crescentin saisoit entrer dans la Ville tout ce qui convenoit à sa resistance. Mais le zele des Officiers & es Soldats étoit à toute épreuve, la solde exactement payée, le pain fourni regulierment, le Vin & la Vainde à très-bon prix, ne menageant pas le pasi, en sorte que le jour des Rois il y eut autant de joie à a tranchée & dans le Camp comme si le Soldat avoit été dans une taverne, peu des malades, & je ne crois pas qu’à l’exception des blessez il y eut vingt hommes à l’Hôpital : le vingt six Janvier à deux heures aprè midi la garde nouvelle qui étoit entrée dans la Ville jointe à celle qui devoit être relevée firent une sortie sur notre trenchée, & nous poussérent très-loin, ruinerent nos sapes, culbuterent une partie des parapets ; le grand feu mit bien-tôt l’alerte dans le camp, nos Soldats sand en être intimidez prirent leurs armes & marchérent dans commandement, & pou arriver plûtôt vinrent par le revers de la tranchée qui étoit à la verité le chemin le plus court, quelques Officiers les plus diligens eurent peine à les joindre, les Officiers Generaux les plus à portée y coururent, le Combat fut long & sanglant, sept Canons de nos Batteries furent enclouez. M. de Vendôme qui étoit logé dans un Village voisin s’y rendit à l’instant, sa presence augmenta l’ardeur du Soldat, l ‘Ennemi attaqué par le flanc, poussé très-vivement dans ses derrieres, eut recours à la suite, qui ne pouvant entrer tous à la fois dans le

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chemin couvert, ceux qui gardoient les barrieres craignant d’être emportez par les notres n’ouvrirent que lentement, & leur perte fut considerable ; la notre auroit été mediocre, si Messieurs de Bouligneux, de Chartogne, Douartigny, Dimecourt, tous les Officiers Generaux de merite & valeureux, n’y avoient pas été tuez : nous y aurions peut-être perdu notre General, si les Grenadiers qui l’aimoient infiniment lui avoient permis de s’exposer à son ordinaire ; mais quatre d’entr’eux ayant saisi la bride de son cheval, il n’eut que la liberté de donner ses ordres, dans la nuit l’on travailla à reparer la tranchée, ce qui me laissa pas de nous reculer de huit ou dix jours, deux cens Hussars ayant passez sur le Pont dans le tems de la sortie è dessein de marauder le quartier General trouvant notre Cavallerie à Cheval, à quoi ils ne s’attendoient pas, ils furent poussez si vivement, que leur frayeur en fit jetter une partie dans la Riviere, & les autres gagnerent la montagne. Notre tranchée poussée à la troisième parallele proche la palissade il nous auroit conté bien du monde pour attaquer le chemin couvert & y établir notre Logement, les reflexions un peu tardives firent connoitre la necessité de s’emparer de la communication, l’on fit courre le bruit qu’on avoit dessein de passer la Riviere à un gué à un quart de lieuë au dessus de la Ville, praticable pou les gens du pais, quand l’eau est basse, quoi que toujours difficile, parce qu’il falloit remonter contre la courant de l’eau qui est fort rapide : on azarda dix Cavalliers, qui le traverserent ayant de l’eau par dessus la selle, ils se firent voir dans la plaine puis retournerent par la même chemin, il n’en falut pas davantage pour prouver à l’Ennemi la certitude du projet ; le jour fixé en aparence pour l’execution, il fut dit la veille è l’ordre que chaque Cavallier porteroit in fantassin en croupe, que les Chevaux d’Artillerie & des Vivres y feroient employez, on fit conduire du Canon sur la Riviere, pou soutenir le passage. Mr. Le Duc de Savoye en fut averti, il n’eut nul soubçon du veritable dessein, & la garde du Pont de Communication dormoit tranquilement dans l’esperance de n’être que Spectateur de l’affaire qui devoit arriver : le second Avril deux heures avant le jour toutes les Troupes furent sous les armes, la Cavallerie marcha au gué suivie de quelques Bataillons. Le Marquis de Vaubecourt Lieutenant General qui avoit le secret de la direction de l’attaque fit couler pendant le tumulte, mais sans bruit de sa part, les Grenadiers que filerent le long de Riviere au pied du Château pour aprocher la barriere qui fermoit le Retranchement qui couvrit le Pont qui fut emporté en moins d’un demi quart d’heure ; la garde fut suivie jusques dans l’ouvrage qui en assuroit

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la tête, où il y eut beaucoup de tuez & de pris ; le Château étant fort élevé de ce côté, le fusil ne pouvoit nous incommoder, il n’y avoit que les pierres à craindre, pou s’en garentir on fit des blendages qui nous mirent tranquiles, & tout fut fini è deux haures de jour : il faut dire à l’honneur de la Memoire de Mr. De Vaubecourt, que ces sortes d’entrepris de vivacité lui convenoient par sa valeur ; le onziéme les assiegez n’ayant plus les même secours demanderent à capituler, leur longue resistance ne les put souttraire du fort imposé aux autres Garnisons, ils eurent de la peine à s’y soumettre, & après s’être consultez, ils se rendirent manquant de Vivres, n’ayant pas prevûs que la communication leur seroit si-tôt otée : le quinze avant midi, ils firent jouer une fougasse, ils brulerent beaucoup de pudre, qui vraisemblablement étoient des signaux qu’ils donnerent de leur reduction : à l’instant le Prince se ritira de Crescentin, & son arriere garde n’étoit pas loin. Quand Mr. de Vendôme y entra, le Curé à la tête de son Clergé avec la Croix & la Banniere, suivi des principaux Bourgeois, qui en demandant sa protection lui dirent qu’ils étoient ruinez & reduits depuis trente jours à manger de l’herbe faute de pain, qu’on avoit pris tous leurs grain, que leurs femmes & les enfans mouroient de peur & d’inanition : l’état où vous étes me touche, dit-il, je le prévoiois ; il vient du pain que je destinois aux Troupes que je veux mettre dans votre Ville. Il faut vous le distribuer & vous rendre la vie que votre Souverain n’a pas cru devoir menager : à l’instant que le pain fut arrivé, ils se jetterent dessus Femmes & enfans, avec un besoin qui attendrit les Spectateurs, & qui doit prouver que l’humanité à la Guerre dans de certaines occasions, ne diminue rien de l’Heroisme : la Ville de Veruë évacuée, l’Armée fut separée en different endroits, mais Mr. de Vendôme par trop d’indulgence pour de certains Colonels desireux d’aller dans les Villes, ne fit pas occuper les hauteurs de Castagnito qui dominoient sur Chivas necessaires dans la suite ; l’Infanterie d’ailleurs ne pouvant avoir à soufrir, cantonnée dans de bons Villages où rien ne leur auroit manqué dans une belle Saison, un air pur ; mais le Caprice de trois Colonels peu dignes d’être écoutez l’emporta sur les raisons aparentes.

INDICE

Mario Ogliaro La guerra di Successione spagnola

p.

1

Micaela Viglino Davico Da castello-ricetto a mitica fortezza, a rudere da valorizzare

13

Piero Garoglio De pretiis rerum venalium

27

Gregorio Paolo Motta Britannia rules the wave: il potere navale nella guerra di successione spagnola

57

Giovanni Cerino Badone Il mito della tradizione militare sabaudo e l’assedio di Verrua

103

Alice Merletti Economia e potere navale agli inizi del XVIII secolo

113

Fabrizio Spegis Evoluzione delle fortificazioni chivassesi dal Medioevo all’Età Moderna

129

Mario Ogliaro I secolari rapporti tra Verrua Savoia e Crescentino: dal periodo signorile all’assedio del 1704-1705

152

Silvano Ferro Le ripercussioni economiche e sociali dell’assedio: il caso di Marcorengo

168

Gianpaolo Fassino e Giovanni Rapelli La fortezza di Verrua Savoia e la prigionia degli ecclesiastici giacobini (1799-1800)

175

Claudio Di Lascio Da Verrua a Torino in guerra e in pace. Le imprese del cavaliere Giuseppe Amico di Castellalfero

223

Hippolyte Lecomte. Le château de Verrue au bord du Pô, 1802-14, lapis e acquerello, cm 12,6x22,9, Parigi, Museo del Louvre, Dipartimento delle Arti grafiche.