I PERSONAGGI DELLA PASSIONEI PERSONAGGI DELLA PASSIONE · le vocabulaire des écrivans latins...

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1 S. LEONE I._I_PERSONAGGI_DELLA_PASSIONE PONTIFICIO ISTITUTO SUPERIORE DI SCIENZE E LETTERE “SANTA CHIARA” FACOLTA’ DI LETTERE CLASSICHE P. GIACINTO DE SANTIS C. P. TESI DI LAUREA: I PERSONAGGI DELLA PASSIONE I PERSONAGGI DELLA PASSIONE I PERSONAGGI DELLA PASSIONE I PERSONAGGI DELLA PASSIONE NEI “SERMONES IN PASSIONE D SERMONES IN PASSIONE D SERMONES IN PASSIONE D SERMONES IN PASSIONE DOMINI” OMINI” OMINI” OMINI” DI SAN LEONE I, MAGNO, PAPA . RELATORE P. E. PROF. LIOI O. F. M. N A P O L I 1 9 6 6

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S. LEONE I._I_PERSONAGGI_DELLA_PASSIONE

PONTIFICIO ISTITUTO SUPERIORE DI SCIENZE E LETTERE

“SANTA CHIARA”

FACOLTA’ DI LETTERE CLASSICHE

P. GIACINTO DE SANTIS C. P.

T E S I D I L A U R E A :

I PERSONAGGI DELLA PASSIONEI PERSONAGGI DELLA PASSIONEI PERSONAGGI DELLA PASSIONEI PERSONAGGI DELLA PASSIONE

NEI ““““SERMONES IN PASSIONE DSERMONES IN PASSIONE DSERMONES IN PASSIONE DSERMONES IN PASSIONE DOMINI”OMINI”OMINI”OMINI”

DI SAN LEONE I, MAGNO, PAPA .

RELATORE P. E. PROF. LIOI O. F. M.

N A P O L I 1 9 6 6

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I N D I C E

Scheda biografica di San Leone Magno pag. 3

Premessa 4

Schema della Tesi 9

PARTE PRIMA: L'AUTORE E L'OPERA 11

Capo primo: l'Autore: servitium 13 sollicitudo 16 officium 19 Capo secondo: l'Opera : A) I “sermones in Passione Domini" 22

B) Analisi dei 'sermones' LIV e LIX 28

C) Appendice: Testi dei 'sermones' LIV-LIX 39

PARTE SECONDA: I PERSONAGGI

Sezione Prima: I Protagonisti: GESÙ' 49

Capo primo: Gesù e Dio 49

Capo secondo: Gesù e l'Uomo 53

a) Incarnazione 55 b) Passione 58 c ) Morte 59

Capo terzo: Gesù e il Diavolo: a ) Innocenza 61 b) Libertà 63

IL DIAVOLO 74

Capo primo: il Diavolo e l’omo 74

Capo secondo: il Diavolo e Gesù 80

Capo terzo: il Diavolo e Dio 88

Sezione Seconda: Gli Strumenti 91

Capo primo: GIUDA 92

Capo secondo: AUTORITAI RELIGIOSE 97

Capo terzo: PILATO 100

Sezione Terza: I Personaggi Secondari:

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Capo primo: GLI APOSTOLI 102

Capo secondo: PIETRO 104

C O N C L U S I O N E 106

SCHEDA BIOGRFAFICA DI SAN LEONE MAGNO.

Si ignora il luogo e l’anno della sua nascita.

Queste gli avvenimenti più importanti del suo pontificato:

eletto papa mentre è in missione in Gallia nel 440.

Durante il suo pontificato vi sono il cosiddetto Latrocinio di Efeso, nel 449

(da lui non approvato),

e poi il Concilio Ecumenico di Calcedonia,

di cui però non approva il Can. 28, riguardante i privilegi della sede

di Costantinopoli, perché a danno delle altre sedi patriarcali di

Alessandria e Antiochia.

È il primo ad affermare esplicitamente l’Autorità del Papa, in quanto

Successore, e quindi “Erede” di Pietro, il Primo degli Apostoli.

Durante il suo pontificato vi sono avvenimenti tragici per Roma e per

L’Impero: nel 45° muore tragicamente l’imperatore Teodosio II,

nel 451 Attila invade la Gallia

nel 452 è in Italia - incontro con il Papa Leone?

Nel 455 Genserico saccheggia Roma.

Il papa Sergio I nell’iscrizione che ornava il suo sepolcro nel portico di S: Pietro

così lo ricorda, tra l’atro: alludendo al suo nome, Leone:

“SED DUDUM UT PASTOR MAGNUS LEO SEPTA GREGEMQUE

CHRISTICOLAM SERVANS IANITOR ARCIS ERAT…”

SEDIT IN EPISCOPATU ANNOS XXI, MENSEM I, DIES XIII. DEPOSITUS EST III

IDUS APRIL, ET ITERUM TRANSLATUS HUC A BEATO SERGIO III I KAL. IUL.

INDICTIONIS I.

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(SC. 2OO, pag. 302-4)

P R E M E S S A

Nel 1961 ricorreva il XV Centenario della morte di S. Leone Magno. La ricorrenza offrì

l'occasione favorevole per numerose iniziative a carattere culturale, tendenti ad illustrare la figura e

l'opera del santo Pontefice.

Fra le tante merita particolare ricordo quella del PONTIFICIO ISTITUTO SUPERIORE DI

SCIENZE E LETTERE «S. CHIARA» di NAPOLI, che in un ciclo di conferenze tenute da insigni

professori e docenti tendeva a mettere in luce alcuni degli aspetti principali della vita e dell'opera

del Nostro.

Questo ciclo di conferenze, per fortunata coincidenza, aveva inizio l’ 11 novembre, cioè nel

giorno in cui il Papa Giovanni XXIII firmava l'Enciclica commemorativa “AETERNA DEI SAPIEN-

TIA”, pubblicata poi nel n. 285 dell'Osservatore Romano (9- 10 dicembre 1961).

L'Enciclica vuole mettere in risalto soprattutto l'attività di S. Leone e la sua attualità anche per i

nostri tempi. Infatti, dopo aver parlato nella prima parte di 'S. Leone Magno, Pontefice, Pastore, e

Dottore della Chiesa universale', nella seconda tratta 'Il XV Centenario Leoniano e il Concilio

Vaticano II' e rileva l'attualità dell'opera e dell'insegnamento del S. Pontefice. Così “i suoi tempi ed i

nostri, per molti aspetti, si richiamano e trovano "la Chiesa Cattolica in dolorose condizioni simili in

parte a quelle che essa conobbe nel secolo V”.

Altro motivo d'attualità è nella predicazione. S. Leone considera il Mistero Pasquale come il

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compendio, la ricapitolazione di tutti i misteri che nelle varie festività dell'anno liturgico vengono

singolarmente celebrati. Per cui giustamente esso occupa nei suoi “sermones” il primo posto.

Questa preminenza del Mistero Pasquale su ogni altra cosa si ritrova anche nella

Costituzione Liturgica del Concilio Vaticano II “SACROSANCTUM CONCILIUM”, che nel

comandare la revisione delle varie festività dell'anno liturgico, ordina che questa sia fatta in modo

da mantenere “il loro carattere originale per alimentare debitamente la pietà dei fedeli nelle cele-

brazioni dei misteri della Redenzione cristiana, ma soprattutto nella celebrazione del Mistero

Pasqua”'.

Conseguenza di ciò deve essere il nuovo orientamento nella predicazione e nella catechesi,

come vuole il Concilio stesso. S. Leone può essere, anzi deve essere un modello che i predicatori

devono riscoprire e ristudiare. Opportunamente, quindi, le Edizioni Paoline hanno ripubblicato in

una nuova traduzione, nella nuova collana Patristica, i “sermones” di S. Leone, iniziando proprio da

quelli che riguardano il Mistero Pasquale, dando questo titolo al Secondo volume.

Questa tesi vuole inserirsi nel clima di rinnovato interesse di questo momento per l'opera di S.

leone, nell'intento di apportare un suo contributo, anche se modesto.

Finora l'interesse degli studiosi per l'opera di S. Leone è stato attratto da una

grande varietà di argomenti. Così la bibliografia che ne risulta è molto varia. Comprende infatti

opere di carattere generale, studi monografici su argomenti particolari e sul significato di alcune

parole. Anche se questa bibliografia, tanto varia, non interessa particolarmente la Tesi, credo, però,

sia utile darne un saggio, se non altro per mettere in evidenza che l'argomento, per quanto mi

risulta, non è stato trattato, almeno con questo titolo.

Finora manca un'edizione critica delle opere di S. Leone, tuttavia è in preparazione, a

cura del Prof. A. CHAVASSE . Il “textus receptus” anche degli ultimi studi è quello del MIGNE in

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Patrologia Latina, vol. 54. Parigi 1881, che riproduce il testo del BALLERINI, Venezia 1755. Così è

per l’ edizione-traduzione francese dei “sermones”, a cura di D.R. ROLLE, Léon le Grand sermons,

introduction de D.J. Leclercq, Sources Chrétiennes, volumi 22bis, 49bis, 74, e 200, Les Editions du

Cerf, Paris 1961-64 (=SC).

L'opera comprende quattro volumi. Da notare in questa edizione la differente numerazio-

ne dei “sermones” rispetto alla PL, dovuta al diverso criterio adottato. La PL segue quello

dell'ordine di assunzione al Pontificato, collette, ecc. SC . segue quello dell'anno liturgico. Per cui il

I volume comprende i “sermones” del periodo natalizio (Vol. 22bis), quindi la Quaresima (Volume

49bis), la Pasqua (Volume 74) e gli altri discorsi (Volume 200) della Collezione.

Questo stesso ordine è seguito dalla traduzione delle Edizioni Paoline; ma i volumi sono tre

e non quattro. Anche questa traduzione accetta il testo della PL. Fino ad ora è stato pubblicato solo

il secondo volume, con questo titolo: S. LEONE MAGNO, Il Mistero Pasquale (sermoni). Versione,

introduzione e note a cura di Andrea Valeriani O.S.B. Edizioni Paoline 1965 (=EP). Essa è migliore

dell'Edizione del Cantagalli di Siena nel 1941.

Vi sono ancora opere di carattere generale riguardanti la figura e l'opera del Papa, ma non

interessano la Tesi. Preferisco mettere in evidenza alcuni studi di carattere più particolare, tendenti

a mettere in luce alcuni aspetti dell'opera del Nostro. Essi vanno dall'aspetto puramente linguistico,

come in BAGGI (Card.) LE Latin de Saint Leon le Grand, in Osserv. Remano 5/1/62; DI CAPUA, S.

Leone letterato e artista, in Osserv. Romano, 4/11/51. W. HALLIWEL, The style of Pope St. Leo the

Great, Patrist. Studies. Wshington, 1939; MUELLER, The vocabulary of Pope St. Leo the Great, in

Patrist. Studies, Washington 1943.

Oppure studi approfonditi e tesi su alcune parole, come in J.P. BRISSON, 'Auctoritas' dans

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le vocabulaire des écrivans latins chrétiens et ses applications au siège apostolique de l'avè-

nement de Damase à la mort de Leon le Grand, tesi di lettere, Parigi. 1955; Ign. CARTON, Note

sur l'emploi du mot “observantia” dans l'homilies de St. Leon, in Vigiliae Christianae 1954. 104 -

114; Y. DUVAL, Sacramentum et Mysterium chez St. Léon le Grand. Diploma di studi superiori,

Parigi 1948.

0 ancora studi su la sua dipendenza da autori antecedenti, o contemporanei; e l'influsso che

essi hanno potuto esercitare, più o meno direttamente, su di lui, come in P. GALTIER, St. Cyrille

d'Alexandrie et St. Léon le Grand a Chalcédonie, in GRILLMEIER A. et BACHT H;. Das Konzil von

Chalkedon I. Wurtzburg. a. 1951 .345-367; C. R. NOR- COCK, St. Gaudentius de Brescia and the

Tome of St. Leo, in Journal of Theological Studies, 1914; M. PELLEGRINO, L'influsso di S.

Agostino su S. Leone Magno nei Sermoni sul Natale e sull'Epifania, in Annali del Pontificio Istituto

Superiore di Scienze e lettere “S. Chiara”, Napoli 1961, ed altri ancora, come risulta dalla

bibliografia del primo volume di SC.

Ora tutto questo non interessa direttamente la presente TESI. Infatti mi sono proposto di

studiare i Personaggi della Passione, così come risultano principalmente dai “sermones in

Passione Domini” e, per completezza, anche dagli altri “sermones” di S. Leone. E questo

argomento, almeno con questo titolo, mi pare che non sia stato ancora studiato.

Non mi occuperò né dello stile, né della lingua e neppure della originalità o dell'in-flusso che

in S. Leone possano aver esercitato altri autori antecedenti o contemporanei, prenderò il testo così

come ci è stato tramandato e su di esso lavorerò cercando di ricavarne il profilo dei personaggi.

Quindi non creazione di personaggi, ma raccolta e coordinamento dei dati che l'Autore ci offre.

A scanso di equivoci, per evitare inesatte interpretazioni, mi sembra necessario chiarire,

prima di tutto, che l'indole di questo lavoro è esclusivamente letteraria: è analisi letteraria di un

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testo anche letterario. Bisogna però tener presente che il testo non è esclusivamente letterario.

Anzi, nell'intenzione dell'Autore, il fine letterario doveva essere l'ultimo di quelli propostisi nello

stendere i suoi “sermones”. Il principale doveva essere quello pastorale, teologico e didattico, a

carattere, almeno prevalentemente, espositivo.

Pastorale, cioè dovevano servire prevalentemente all'istruzione dei fedeli ed alla loro eificazione:

istruirli nelle verità della fede, in cui credevano; edificarli, cioè spingerli ad imitare ciò che loro era

proposto come modello.. Ciò spiega come non sia sufficiente, per l'esatta comprensione del testo e

del pensiero in essi espressi, una trattazione solo letteraria, escludente a priori quelle premesse di

ordine teologico necessarie alla esatta comprensione del testo.

Tali premesse, beninteso, possono e devono essere fatte in modo da prescindere dal

metodo teologico. Esse sono necessarie anche perché il Protagonista del dramma non rientra pie-

namente nei nostri schemi umani, ma li supera e li trascende. Occorre quindi sapere esattamente

Chi egli sia, riferendo per quanto sarà possibile l'autentico pensiero dell'Autore.

Come base dello studio e dell'analisi dei testi -dal momento che manca una edizione

critica-, prenderò come base la SC, tenendo conto tuttavia di qualche possibile divergenza nel

testo fra PL e SC. Per la traduzione italiana mi servirò di quella delle Edizioni Paoline (=EP).

Il sistema delle citazioni sarà il seguente: il numero del Sermone secondo SC in numeri

romani, con il volume e la pagina; se ci sarà pure la traduzione italiana del Valeriani essa sarà

indicata con EP e la pagina. Per non interrompere troppo frequentemente la lettura, i testi latini li

metterò in nota.

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S C H E M A D E L L A T E S I .

Per evitare inutili ripetizioni preferisco mettere ora, all'inizio, l'ordine di trattazione della

Tesi. Essa si articolerà in due parti, delle quali la prima servirà da introduzione generale e tratterà

dell'AUTORE e dell'OPERA, con speciale riguardo ai discorsi sulla Passione; la secon-da sarà lo

svolgimento del tema Centrale della tesi: I PERSONAGGI.

Parte Prima: L'AUTORE E L'OPERA.

Questa prima parte comprenderà due capitoli che saranno lo svolgimento del titolo: il

primo riguar-derà l'Autore, e in esso ne darò un ritratto morale quale risulta dall'esame di alcune

parole usate frequentemente e caratteristiche, come “servitium -sollicitudo - officium”.

Il secondo capitolo riguarderà l'opera e in modo speciale i “sermones in Passione Domini”

analizzati nelle loro caratteristiche, sia interne che esterne per le quali essi occupano un posto

speciale fra tutti gli altri discorsi del Nostro. Seguirà un'analisi di due discorsi: LIV e LIX, nella quale

metterò in evidenza queste caratteristiche.

Parte Seconda: I PERSONAGGI. Sarà lo svolgimento della Tesi.

In essa tenterò di fare uno studio accurato, in base ai dati offerti dall'Autore, dei sin-goli

Personaggi. Che questi Personaggi esistano deriva dal fatto che la Passione è presentata dal

nostro come un Dramma, un conflitto avente come Protagonisti due personaggi rappre-sentanti

tutto il BENE e tutto il MALE: GESU’ e il DIAVOLO.

Per Personaggi intendo tutti quelli che hanno una parte, non interessa quale, nello svolgimen-

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to di questo dramma. Questa seconda parte sarà divisa nelle seguenti sezioni

:

Sez.I: PROTAGONISTI;

Sez.II: STRUMENTI;

Sez. IlI: PERSONAGGI SECONDARI.

Sezione I: PROTAGONISTI: GESÙ' - DIAVOLO.

In questi Personaggi si incentra tutta la lotta. Essi hanno però delle caratteristiche singolari. Il

Diavolo non rientra come attore nel Dramma -cioè non agisce visibilmente-, e per agire si serve di

altre persone che sono al suo servizio. Gesù non è solo un uomo, ma anche Dio; tuttavia nella lotta

non parte da una posizione di privilegio.

Essa infatti si svolge secondo tutte le regole della giustizia. Scopo della lotta è ridimensionare il

dominio acquisito dal Diavolo sull'uomo, perché esso è un 'usurpazione dei diritti di Dio.

Questa lotta, inoltre, nei disegni di Gesù deve servire anche a ristabilire l'uomo nella giustizia

primitiva, da cui era decaduto per l'inganno del Diavolo. La contrapposizione dei due Protagonisti è

netta e totale

Sezione II: GLI STRUMENTI ; GIUDA – AUTORITÀ RELIGIOSE - PILATO.

Per strumenti intendo i Personaggi che nel dramma della Passione non hanno un ruolo di pri-mo

piano, e dei quali il Diavolo si serve come di strumenti per portare a termine i suoi disegni contro

Gesù. Essi sono qualche cosa di più che semplici personaggi di secondo piano, sono coloro che

fanno le veci del Diavolo.

Ora lo strumento non va studiato tanto in ragione di sé stesso, quanto in ragione di colui

che se ne serve. Non si deve, quindi, vedere la motivazione personale nell'agire degli Strumenti,

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bensì la loro strumentalità. Per questo motivo nel Nostro non si trovano elementi sufficienti per

delineare un profilo dei singoli strumenti, fatta eccezione di Giuda.

Sezione III: PERSONAGGI SECONDARI : APOSTOLI - PIETRO.

Questi ultimi -seguaci di Gesù- non fanno bella figura nella lotta: si lasciano vincere dal

timore e fuggono o rinnegano il loro Maestro, anche se alla fine di nuovo si stringeranno attorno

alla sua persona intrepidi. Quanto è stato detto fin qui può essere così riassunto Parte Prima:

L'AUTORE E L'OPERA:

Capo Primo: L'AUTORE: “servitium - sollicitudo- officium”

Capo Secondo: L'OPERA: A) I 'Sermones in Passione Domini';

B) Analisi dei 'Sermones' LIV e LIX.

Parte Seconda: I PERSONAGGI:

Sezione I: I P r o t a g o n i s t i :

Capo Primo: GESU': A) Gesù e Dio: suoi rapporti con Dio: è Dio;

B) Gesù e l'Uomo; suoi rapporti con l'uomo: è Uomo, Redentore;

C) Gesù e il Diavolo: suoi rapporti con il Diavolo: non gli è soggetto -

lotta;

Capo Secondo: IL DIAVOLO: A) Il Diavolo e l'uomo:

suoi rapporti con l'uomo: inganno, dominio;

B) Il Diavolo e Gesù: suoi rapporti con Gesù:

vuole assoggettarlo al suo potere – lotta;

C) Il Diavolo e Dio: suoi rapporti con Dio: anti-Dio.

Sezione III : Gli S t r u m e n t i : Capo Primo; GIUDA Capo Secondo; AUTORITA’ RELIGIOSE Capo Terzo : PILATO.

Sezione III: P e r s o n a g g i s e c o n d a r i ; Capo Primo; GLI APOSTOLI Capo Secondo: PIETRO.

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CONCLUSIONE.

PARTE PRIMA:

L ' A U T O R E E L ’ O P E R A

sommario

capo primo L' AUTORE:

servitium - sollicitudo - officium

capo secondo L'OPERA:

A) i “sermones in Passione Domini”

B). analisi dei “sermones1 LIV e LIX.

C) il terso latino

Capo primo L'AUTORE

“servitium - sollicitudo – officium”

Leggendo i “sermones” di S. Leone notiamo che alcune parole ed alcune espres-sioni

ricorrono con una certa frequenza. Potrebbero sembrare frasi fatte, di maniera e perciò senza

particolare significato. Ma se le leggiamo più attentamente ci accorgiamo che esse sono elementi

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preziosi per comprendere molte cose della vita e dell'anima dell' Autore. Questi termini

continuamente ricorrenti sono: servitium, sollicitudo, officium.

SERVITIUM

con il suo correlativo 'servitus' derivano da 'servus' e indicano in genere l'ufficio che

si deve prestare. Con la letteratura cristiana hanno assunto un significato speciale ed indicano un

nuovo rapporto tra Autorità e Sudditi, che deve essere rapporto non già di dominio, ma di ufficio a

vantaggio dei sottoposti. E' la nuova concezione cristiana dell'Autorità. E quanto essa sarà

maggiore, altrettanto grande dovrà essere il servizio.

Per il Nostro l'Ufficio cui è stato chiamato da Dio, per rendere manifesta la ricchezza della

sua gloria, di essere a capo della sua Chiesa (1) non è una splendida occasione per esercitare e

far pesare la propria autorità sui sottoposti, ma occasione per mettersi al loro servizio, dimostrando

di aver fatto tesoro dell'ammonimento del suo primo Predecessore:

“Pascete il gregge di Dio che è tra voi, fungendo da ispettori non per forza, ma volentieri per amor di Dio, non per sporco interesse, ma per entusiasmo e zelo; non facendola quasi da padroni sui fedeli toccatevi in sorte, ma piuttosto diventando modelli del gregge”

(2).

E già nel discorso “DE NATALI SEU DE ORDINATIONE IPSIUS” vi è un richiamo alla parte po-

sitiva degli avvertimenti di S. Pietro: servire volentieri, per amor di Dio allo stesso modo di Pietro,

perché suo “haeres”, anche se indegno (3).

In questo primo discorso la parola servitium è accompagnata anche da “sollicitudo” (4).

Ma il suo servizio non avrà come campo d'azione esclusivo quello religioso -pastorale.

Rivolgendosi ai fedeli infatti, li esorta a pregare Dio perché oltre a proteggere e fortificare la loro fede, li difenda anche dai nemici esterni e conceda la prosperità temporale (5). -----------------------------

1) Cfr. serm. II, 22; SC. 200, 252: W meque servulum suum, quem ad ostendendas divitias ghloriae suae guberrnsaculis Ecclesiae voluit praesidereW

2)I Petr. 5,2-3. Per le citazione bibliche mi servirò della tra duzione a cura di M. Garofalo, Ed. Marietti, Torino 1960. 3) Cfr. Sermo II,2, SC. 200, 250...De vestro itaque et ipse (Petrus) gaudet affectu et in consortibus honoris sui observantiam

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dominicae institutionis amplectimur, probans ordinatissimam totius Ecclesiae caritatem, quae in Petri sede Petrus suscipit, et a tanti amore Pastoris nec in persona tam imparis tepescit haeredis. 4)Cfr. Sermo I, 11,iib.246: ...animarum vestrarum salutem pastorali sollicitudine cupienti... cfr. Ibidem 3,

5) Cfr. Sermo II.2. ib. 252 .ut in diebus nostris expugnet impugnantes nos, muniat fidem vestram, multiplicet devotionem, Questo

è il punto fondamentale di tutta l'azione di Papa Leone: difesa dei fedeli dall'insidia dell'eresia e

dell'errore. E non solo dall'eresia antica, come quella manichea, o ariana, od anche nestoriana,

errori ed eresie condannate negli antichi Concili, ma anche gli errori moderni “diffusi nell'Urbe da

alcuni egiziani, in gran parte commercianti... che asseriscono essere stata in Cristo solo la divinità,

e che la carne umana da lui assunta da Maria Vergine non sia stata vera; empietà che afferma una

falsa umanità e rende Dio passibile” (1).

Compito suo è di additare gli errori da ripudiare e da evitare, essendo stato affidato a lui il

difficile compito di “gubernaculis Ecclesiae praesidere” (2). Contro tutti questi errori egli svolgerà una

azione tendente a smascherarli, che porterà alla loro condanna definitiva nel Concilio di Calcedonia

del 451..

San Leone quindi, conosce e condanna non solo gli errori che potremmo definire passati,

in quanto già condannati dalla Chiesa, ma è attento agli errori dei suoi tempi: conosce quelli di

Eutiche, e contro di essi tiene un “SERMO SIVE TRACTATUS CONTRA HAERESIM EU TYCHIS

HABITUS ROMAE IN BASILICA SANCTAE ANASTASIAE” (3). In esso ricorda ai presenti la lode ri-

cevuta dall'Apostolo Paolo per la fede loro, e conclude:

“Nemo vestrum efficiatur huius laudis alienus, ut quos per tot saecula docente Spiritu sancto hae-

resis nulla violavit, ne Eutychianae quidem impietatis possint maculare contagia” (4).

Anche in questa sua azione a tutela della genuinità e dell'integrità della fede è fedele all’ammoni-

mento dell'Apostolo: “Ripudia i miti triti e decadenti”' (5).

Anche tu studiati di presentarti a Dio bene accetto, come un operaio che non ha niente da vergo- --------------------- augeat acem. 1) Sollicitudinem itaque nostram, quam dilectioni vestrae impendimus, latere non potuit, quosdam Aegyptios, praecipue negotia-tores ad Urbem venisse, ea quae Alexandriae sceleste ab haereticis sunt admissa, defendere, asserentes solam deitatis in Christo fuisse naturam, nec carnis humanae, quam sumpsit ex beata Maria Virgine, habuisse penitus veritatem: quae impietas, et falsum

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hominem, et Deum dicit esse passibilem, Sermo XCVI,1, SC.22bis. 203-4. 2) Cfr. Ibidem: Sicut peritorum, dilectissimi, prudentiumque medicorum est, passiones infirmitatis humanae remediis pravenire, et quemadmo-dum saluti contraria declinentur ostendere, ita pastorali officii est...providere 3)Titolo premesso della PL al Sermo XCVI. 4) SC.21 bis,.208 5) I Tim. 4,7.

gnarsi, retto dispensatore della parola di verità” (1)La sua azione pastorale sarà diretta alla salva-

guardia della fede, perché gli errori che egli condanna riguardano l'essenza di essa. I fedeli do-

vranno prestare fede alle sue parole, perché suggerite solo dall'amore che sente per loro, e rifletto-

no l'insegnamento del loro primo Vescovo (2). Dovranno fuggire l'errore ed anche gli erranti, se si

mostreranno incorreggibili, perché ormai separati dalla comunione della Chiesa e non per arbitrio, o

capriccio, ma perché sono loro stessi ad essersi allontanati da essa (3).

Dovranno custodire integra la fede ricevuta e che fu il titolo più prestigioso della loro gloria:

Quoniam fides vestra annuntiatur in universo mundo, custodite in vobis quod tantum paredicatorem

agnoscitis sensisse de vobis” (4).

Questa difesa dell'integrità della fede ha come campo d'azione sia la comunità di Roma, sia la

Chiesa Universale. Per l'intera Chiesa si esplica nelle Epistole -famosa quella a Flaviano di Antio-

chia contro gli errori di Eutiche e che sarà la base di discussione del Concilio Calcedonese (5)- per

Roma nei “sermones”.Concludendo un suo discorso esorta ancora i fedeli a pregare perché egli,

posto da Dio -anche se indegno- al governo di tutta la Chiesa, sia reso idoneo ad espletare questo

ufficio e utile alla loro santificazione e al loro progresso nella via di Dio:

“et ad hoc tempora nostrae servitutis extendere...”(6).

SERVITUS.: E' la prima volta che appare questa parola nei discorsi, ma non giunge inattesa: tutto il

tono umile ma fermo del discorso ce la fa quasi desiderare, e opportunamente giunge a co-

ronamento dell'inno di lode che aveva come motivo iniziale le parole del Salmo 144, 2:

1) II Tim. 2,15. 2) Cfr. Sermo III,4, SC:200,260-62: Cum ergo cohortationes nostras auribus vestrae sanctitatis adhibemus, ipsum vobis, cuius vi-ces fungimur, loqui credite, quia et illius affectu vos monemus, et non aliud quam quod docuit praedicamus. 3) Cfr. Sermo 96,3,SC. 74, 208: Hos ergo, dilectissimi...tamquam venenum mortiferum fugite, execramini, declinate, et ab eorum colloquiis, si increpati a vobis corrigi noluerint, abstinete:quo niam.... lusto enim iudicio ab Ec-clesiae unitate reiectis nulla est : tribuenda communio, quam non nostris odiis, sed suis sceleribus perdiderunt 4) Ibidem

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5) Ep. XXVII 6) cfr. Sermo II, SC. 200., 252 W ut meque servulum sduum. Quem gubernaculis Ecclesiae voluit praesidere, sufficientem tanto operi, et utilem vestrae aedificationi dignetur efficere, et ad hoc tempora nostrae servitutis extendere, ut proficiat devotioni quod fuerit largitus aetati

“Laudem Domini loquatur os meum”

e che il Nostro continua parafrasando:

“et nomen sanctum eius anima mea, ac spiritus, caro et lingua benedicat”.

Queste parole, così messe, hanno un significato speciale e danno la loro impronta a tutta la sua vi-

ta.. A ragione, quindi, poteva reclamare come suo unico titolo d'onore quello di “SERVUS SERVO-

RUM DEI”. E perché al servizio dei “servorum Dei”, poteva esigere che il suo servizio non fosse

disprezzato. Può quindi legittimamente esortare i figli, sia recentemente acquistati alla Chiesa, sia

gli anziani nella fede:

ignoranti disprezzino il servizio della nostra lingua:i primi perché mostrino di amare quel che sanno,

i secondi perché manifestino il desiderio di quel che ignorano” (1).

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1)Fiat ergo per corda omnium dispensatio munerum divinorum, et servitutem oris nostri docti indoctique non spernant: illi ut probent amare quod norunt, isti ut ostendant se desiderare quod nesciunt. Sermo LXXVI,1,SC.74, 149;

SOLLICITUDO

Questo ritornare sul concetto di “servitium” ci indica che il Nostro era pienamente cosciente della

sua dignità e degli obblighi ad essa inerenti e da essa derivanti. Nutre un profondo amore per

coloro che gli sono stati affidati, e lo dice fin dal suo primo sermone. Il suo amore è un riflesso di

quello di Pietro perché “nec a tanti amore Pastoris nec in persona tam imparis tepescit haeredis” (1).

Ed ancora: “ilius (Petri) affectu vos monemus” (2). Questo amore è un motivo valido per superare la

propria riluttanza a consacrarsi tutto ai fedeli; è un incentivo ad avere fiducia nellfadempimento del

suo servizio, anche se ci si deve riconoscere insufficienti (3). Questa coscienza dei propri limiti,

della propria insuffi-cienza ritorna spessissimo nei “sermones”. Non sono pure frasi convenzionali,

ma co-scienza della limitatezza propria e della grandezza delle opere di Dio, dell1importanza del

proprio ministero. Esso impone di parlare anche quando si riconosce impari a tanto compito e

preferirebbe tacere e ripetere con il Profeta: “Domine, audivi auditum tuum, et timui;

consideravi opera tua, et expavi” (4).

E nonostante la debolezza e le infermità della natura umana, la coscienza dei propri limiti, di non

poter fare tutto con quella perfezione che realtà tanto sublimi richiederebbero, non gli vien meno la

fiducia. Infatti la promessa divina, sulla quale si fonda mai potrà venir meno, come non viene meno

l’autorità dal Signore affidata a Pietro, e da lui ereditata (5)-

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1) Sermo II,2, SC: 200, 252. 2) Sermo III,4, SC. 200,260-62. 3) Cfr. Sermo LVIII,1; SC. 74, 49-50: Scio quidem...paschale festum tam sublimis esse mysterii, ut non solum humilitatis meae tenui-ssimum sensum, sed etiam magnorum ingeniorum superet facultatem. Sed non ita mihi divini operis consideranda est ma-gnitudo, ut vel diffidam, vel erubescam de servitute quam debeo.

4) Cfr. Sermo III,1,SC. 200: 254...qui respiciens ad exiguitatis meae ternuitatem, et ad suscepti muneris magnitudinem, etiam ego il-

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lud propheticum debeo proclamare: DomineW quid enim tam insolitum, tam pavendum quam labor fragili, sub-limitas humili, dignitas non merenti? , 5) Cfr.Sermo III,2, SC. 200, 256- Ut firmitas fundamenti, cui totius Ecclesiae superstruitur altitudo, nulla incumbentis sibi templi mole lacessit; soliditas enim illius fidei, quae in apostolorum Principe est laudata, perpetua est, et sicut permanet quod in Christo Petrus credidit, ita permanet quod in Petro Christus instituit.. Ciò lo rende capace di superare tutte le difficoltà così da poter convenientemente parlare delle meraviglie divine. Queste difficoltà prima insormontabili, si trasformano in un rinnovato atto di

fiducia in Dio e di amore ai suoi fedeli, ai quali parla unicamente mosso dal desiderio del loro

bene, dalla sollecitudine per la loro salvezza (1). Così rende efficace il primo impe-gno solenne

preso di fronte ai fedeli, esultanti per la sua consacrazione, come corrispettivo della benevolen-

za e della stima che avevano dimostrato a lui eleggendolo Vescovo e Pasto-re delle loro anime.

Tutto ciò gli aveva suggerito il solenne impegno di adoperarsi per la loro salvezza (2). E su que-

sto concetto della “pastoralis sollicitudo” ritorna molte altre volte nei “sermones”. In essi si studia

di liberare i fedeli dalle insidie dell'errore, esortando tutti paternamente a guardarsi da esso, per-

ché nessuno, incautamente, cada nella sua rete (3). E non solo insegna la via per poter evitare

l'errore, ma anche quali siano le sante pratiche che, secondo la consuetudine dei Padri, si devo-

no osservare dal popolo cristiano: digiuno (4) e preghiera.

La sollecitudine, dunque, è coscienza del proprio ufficio, dell'amore che sente di nutrire per

coloro che sono stati affidati alle sue cure.

---------------------------------- 1) Cfr. Sermo LVIII,2; SC. 74, 50: Ut linguae pastoralis officio, quae sancti gregis auribus sunt utilia proferantur. Dicente enim Domino honorum omnium largitore: 'Aperi os tuum et adimplebo illud' audemus eidem verbis propheticis dicere: 'Domine, labia mea aperies, et os meum annuntiabit laudem tuam. 2) Cfr. Sermo 1,1, SC. 200 246: ... quantum mihi possint reverentiae, amoris, et fidei studia vestrae dilectionis impendere, ani-marum vestrarum salutem pastorali sollicitudine cupienti, qui tam sanctum de me, nullis admodum praecedentibus meritis, iudi-cium protulistis. Obsecro igitur per misericordiam Domini, iuvate votis quem desideriis expetistis, ut et spiritus gra- tiae maneat in me, et iudicia vestra non fluctuent. Praestet in commune nobis omnibus pacis bonum, qui vobis unanimitatis studia infudit : ut in omnibus diebus vitae meae in Omnipotenti Dei servitium, et ad vestra paratus obsequia...semperque proficientibus vobis ad

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salutem, magnificet anima mea Dominum. 3) Cfr. Sermo XXV, 3, SC. 22bis 209.: In iis insidiis... pastorali sollicitudine, in quantum Dominus auxiliabitur, occurrimus. Et ne quid de sancto grege pereat, praecaventes paternis vos denuntiationi bus admonemus. 4) Cfr. Sermo XIII,1, SC. 200, 160: ...pastorali vobis.. .sollicitudine praedicamus decimi mensis celebrandum esse ieiunium.

OPFICIUM

Il posto che occupa, la coscienza che ne ha, la sollecitudine per la salvezza dei fedeli

genera la necessità di agire: il dovere, che si esplica nella predicazione, dovendo egli rendere

conto a Dio non solo della propria anima, ma anche di quelle di tutti i suoi fedeli. Per questo si

augura che nel giudizio davanti a Dio possano essere veramente il suo gaudio e la sua corona,

avendo nelle vita presente reso testimonianza a Cristo con la loro vita cristiana prestando orecchio

alle sue esortazioni (1).

La predicazione del Vangelo per il Vescovo è una necessità, e non vi è motivo per cui il

Sacerdote in tanto grande mistero della divina misericordia possa privare il popolo della parola

divina (2). La predicazione è un dovere, un “officium”, inerente allo stesso ministero sacerdotale.

Qualunque sia la difficoltà e di qualsiasi genere, essa va superata; tutto deve essere posposto al la

gloria di Dio e al bene dei fedeli.

“Perciò non pretenda di reggere il confronto della gloria di Dio la debole natura umana e si riconosca sempre insufficiente a spiegare le opere della misericordia di Lui. Affatichiamoci con l'intelletto, applichiamoci con il nostro ingegno, e lasciamo pure che manchino le parole per esprimerci; è bene che stimiamo poca cosa quello che, pur secondo verità, conosciamo della maestà del Signore” (3).

E su queste espressioni di assoluto, imprescindibile dovere di predicare, ma anche di fiducia nel

Signore, ritorna molte altre volte. Sembra che desideri essere sicuro che i fedeli ai quali parla siano

ben convinti che lo fa non per esibizionismo, ma per un’intima necessità derivante dalla piena

coscienza delle responsabilità inerenti all’altissimo

-------------------------- 1) Cfr. Sermo 1,1, SC. 200 , 246-48 : In futuri retributione iudicii ita mihi apud iustum iudicem Sacerdotii mei ratio subsistat, ut vos mihi per bona opera vestra sitis gaudium, vos corona, qui bona voluntate sincerum praesentis vitae testimonium praestitistis.

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2) Cfr. Sermo LXII,1; SC. 74;73. :Non est liberum sacerdoti, in tanto divinae misericordiae sacramento, fidelis populi auribus subtrahere sermonis officium. 3) Succumbat ergo humana infirmitas gloriae Dei, et in explicandfis operi bus eius, imparem se semper inveniat. Laboremus sensu, haereamus ingenio, deficiamus eloquio; bopnum est ut nobis parum sit quod etiam rrecte de Domini maiestate sentimus. Ibidem SC. 70, 146-47.

posto che occupa, e per amore dei fedeli. Riecheggia nel suo animo l'ammonimento dell'Apostolo;

“Ti scongiuro davanti a Dio e a Cristo Gesù che deve giudicare i vivi e i morti, per la sua venuta e il suo regno; proclama la parola, intervieni opportunamente e im-portunamente, confuta, rimprovera, esorta, con tutta longanimità ed ogni genere d'insegnamento” (1).

A rileggere i “sermones” si ha l'impressione che abbia preso alla lettera l'esortazione, e l'abbia

voluta mettere in pratica esattamente . “Confuta”; e i suoi discorsi sono confutazione continua

dell'errore; ma non sterile, perché preceduta dall'esposizione di tutta la dottrina; “proclama la

parola”. “Rimprovera”, ma i suoi rimproveri sono pieni di bontà, perché l'Apostolo aveva

ammonito: “'con tutta longanimità'”.

Ogni occasione è buona per parlare al suo popolo: sia che intervenga in massa e

partecipi alla gioia del suo Vescovo, perché “sicut honor est filiorum...dignitas patrum, ita laeti-tia

est plebis gaudium sacerdotis' (2); sia che si tratti delle massime solennità liturgiche che richiamano

grandi folle nelle basiliche romane. Ed anche in ciò è fedele esecutore del precetto: “intervieni

opportunamente e importunamente”.

Tutto, quindi, si converte in una nuova occasione per dare rinnovata gloria a Dio per il

bene di tutti, mentre il tutto si conclude in una rinnovata affermazione del suo servizio nel la sede di

Pietro (3). Servizio che trova il suo più alto vertice nei “sermones” che sono l'esercizio dell'Ufficio

pastorale a vantaggio dei fedeli (4).

Possiamo quindi concludere con le parole di J. Leclercq: “Dette exigence de la vie chrétienne, alimentée par les sacrements et la foi, fait du sermon une function sacerdotale: c’est un devoir qui incombe au pa pasteur et les fidèles ont le droit d'attendre qu'il s'en acquitte pour leur bien. C'est un service qu'il leur doit.

Aussi n'est-il pas libre de ne pas prècher, bienqu' il soit difficile de parler souvent

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----------------------------- 1) II Tim. 4,1-2. 2) Sermo V,1,PL.54,153. 3)Cfr. Et ideo quidquid in nobis hodie sive dignitas fratrum sive pietate filiorum detulistis officii, illi (Petro) vos mecum religiosius et verius impendisse cognoscite, cuius Sedi non tam praesidere, quam servire gaudemus. Sermo V, 5, SC. 200, 284. 4) Cfr. Sermo LVIII, 1,SC. 74, 50: ...ut linguae pastoralis officio quae sancti gregis auribus utilia sunt, proferantur.

sur les mèmes sujets, surtout s'ils sont mysterieux et si la verité qu'il faudrait dire est ineffable” (1).

In queste parole, dunque, si racchiudono gli aspetti più caratteristici della personalità di S. Leone

il Grande quale risulta dai suoi “sermones”:

SERVITIUM - SOLLICITUDO - OFFICIUM.

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----------------------- 1) SC. 22bis pag., 21: Introduction.

Capo secondo L'OPERA

A) I 'sermones in Passione Domini'

Suggeriti dalla stessa necessità interiore e dalla coscienza del suo ufficio, come tutti gli

altri, i “sermones in Passione Domini” occupano un posto speciale. Costituiscono un gruppo a

sé, un'unità inscindibile e spiccatamente diversa dagli altri. E non tanto in ragione del contenuto,

ma per l'indole. Essi si discostano dagli altri, che hanno un andamento calmo, più di catechesi,

mentre in essi tutto sembra cambiare.

Prima di tutto cambia l'atmosfera: non siamo più in qualche cosa di ordinario e senza

rilievo -quantunque questa definizione non convenga pienamente ai discorsi di S. Leone-; anzi i

rilievi sono tanti che ci fanno dubitare perfino della loro spontaneità ed unità, e sembrano cadere

nell'eccesso contrario: artificio e frammentarietà.

Si nota in primo luogo una viva partecipazione personale e passionale a quanto è

oggetto del discorso: perciò non esposizione calma e solenne di verità cui bisogna credere, ma

partecipazione viva al Soggetto. E neppure esposizione della Passione, bensì dialogo con i fedeli

e i personaggi del dramma che i fedeli vedono e sentono vivere sotto i propri occhi.

Quali i mezzi di cui si serve per avere questa attualità per un fatto verificatosi in un

tempo ormai remoto?

Prima di tutto il Nostro concepisce la lettura della Parola di Dio, e in modo speciale del

racconto della Passione del Signore, non come fatto anodino e incolore, ma vivo e drammatico:

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cioè essa è capace di rendere presente ora, ciò che si verificò in tempi remoti. Infatti dice:

“Tutto quello che il Piglio di Dio fece e insegnò per operare la riconciliazione del mondo non lo conoscia mo solo dalle narrazioni storiche come avvenimenti pas sati, ma anche ne comprendiamo la virtù nelle presen ti azioni sacre” (1).

--------------------------------- 1) Omnia igitur quae Dei Filius ad conciliationem mundi et fecit, et docuit, non in historiam tantum praeteritam novimus, sed etiam in praesentium operum virtute sentimus. Sermo LXIII,6, SC. 74, 82; EP.160

Con questo il Pastore vuole affermare -come spesso fa con insistenza nei suoi discorsi- la funzione

non solo commemorativa, ma anche dimostrativa dei riti sacri e delle letture che li accompagnano,

per cui i misteri di Cristo vengono rivelati e resi attuali ogni volta che si celebrano.

"Ogni festa liturgica e ogni sacro rito ha in sé l'efficacia di segno commemorativo della vita di Gesù; di segno dimostrativo della santificazione operata nei fedeli in forza della virtù santificatrice proveniente dal mistero celebrato e presente a modo di attuazione in Cristo; di segno prognostico e preannunziativo del la futura gloria” (1).

Per questo il Natale rinnova per noi l'infanzia di Gesù Bambino (2). Tutti i fedeli quindi dovranno

cercare di comprendere il mistero celebrato, che è ordinato “alla santificazione delle menti e dei

corpi” (3).

Assodato questo primo punto ci possiamo domandare quale sia la funzione del

Sacerdote. Rendere chiaro ed accettabile all'intelligenza ciò che sul piano passionale e irrazionale

è stato reso efficace ed operante con la rappresentazione mediante la lettura (4). Perciò aderenza

al testo evangelico prima di tutto, ma non esposizione del tema non esposizione del testo; non

lavoro di ambientamento, perché è stato già rivissuto il dramma, ma semplice riferimento

riassuntivo con grande sviluppo della parte affettivo - passionale.

Questo sviluppo nell'economia dei “Sermones” ha la funzione di ottenere più facilmente

lo scopo: l'edificazione dei fedeli e quindi la determinazione ad imitare quanto verrà loro proposto

come modello.

---------------------------- 1) EP.160 nota 24. 2) Cfr. Sermo XXVI, 2, SC.22bis,138; EP.160 nota 24: ... illa infantia quam Filii Dei non est dedignata maiestas...renovat... nobis hodierna festivitas nati Iesu ex Maria Virgine sacra primordia; et dum Salvatoris nostri adoramus ortum, invenimur nos nostrum celebrare principium. Generatio enim Christi origo est populi christiani, et natalis capitis natalis est corporis... universa... sumrna

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fidelium, fonte orta baptismatis, sicut cum Christo in passione crucifixi, in resurrectione resuscitati, in ascensione ad dexteram Patris collocati, ita cum ipso sunt in hac nativitate congeniti. 3) Cfr. Sermo 18,1, SC. 200, 200: Praesidia militiae Christianae dilectissimi, sanctificandis mentibus corporibusque divinitus instituta, ideo cum dierum temporumque curriculis sine cessatione reparantur, ut infirmitatum nostrarum ipsa nos medicina com- moneat, 4) Cfr.Sermo LXIV, 1; SC. 74, 84-85: ...sed nunc universam Ecclesiam maior intellligentia instrui, et spe ferventiori oportet accendi, quando ipsa rerum dignitas, ita sacratorum dierum recursu, et paginis evangelicae veritatis exprimitur, ut in Pascha Domini non tam praeteritum recoli quam praesens debeat honorariW ut pie atque constanter possimus dicere quoniam in illis et nos eruditi sumus, et quod viderunt vidimus, et quod docuerunt didicimus, et quod contrectaverunt palpavimus. N : B . Il brano tra /.../ manca nella PL, ma si trova in SC e in EP 165 che traduce: ...e sia infiam ata da speranza più ardente ora che persino la nobile eleganza dei fatti viene espressadal ricorso Cfr. ancora Sermo LII,1; SC. 74, 22.

Abbiamo l'esposizione piana della dottrina: essa muove l'intelletto e per suo mezzo la volontà

perché la determinazione ad agire sia razionale, ferma e duratura e non una vampata di entu-

siasmo senza sufficiente motivo razionale. Intelletto e volontà devono cooperare al raggiungimento

dello scopo finale dei “sermones” espresso con queste parole: “quod festo honotatur, moribus

celebretur” (1).

Prima conseguenza è che l'esposizione del testo evangelico risulta frammentaria, es-

sendo intramezzata da dilucidazioni, chiarimenti, esposizioni a carattere prevalentemente dottrinale

perché i fedeli abbiano costantemente di mira Chi è colui che tutto soffre, e il motivo per cui soffre.

Inoltre questa frammentarietà risulta accentuata dalle parti passionali: invettive, lodi,

confuta-zioni, giustificazioni ecc. Tuttavia, se abbiamo presente il fine dei “sermones”, la

concezione particolare che l'Autore ha della lettura-rappresentazione e vediamo i discorsi nel loro

insieme, l'unità esiste. Essa è data dal testo evangelico che è il punto di partenza, e non ha

bisogno di essere spiegato o dilucidato ma solo rivissuto. I personaggi del dramma sono altrettanto

reali e presenti all'Autore, quanto ai suoi ascolta tori: con essi intreccia dialoghi, li accusa, li

difende, li condanna, li scusa e con un discorso altrettanto diretto, quanto lo può essere quello con

il quale si rivolge ai suoi uditori. Quale è dunque il fine dei “sermones in Passione Domini”?

Non dipingere la Passione, ma riviverla. Può quindi dire legittimamente di se stesso:

“Non senza proprietà, nell'ultimo discorso, per quanto posso giudicare, vi abbiamo suggerito di partecipare alla croce di Cristo, perché la stessa vita dei credenti realizzi in sé il mistero della Pasqua” (2).

Non solo partecipazione alla sofferenza di Cristo, ma qualche cosa in più se così comincia un suo

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1) Sermo LXXI, 1; SC. 74,123; EP.224 che nel tradurre inverte l'ordine dei modi: così si onori con la solennità, ciò che si divulga con i costumi' 2) Sermone proximo, dilectissimi, non incongrue vobis, quantum arbitror, participationem crucis Christi insinuavimus, ut paschale sacramentum ipsa in se habeat vita credentium, et quod festo honoratur moribus celebretur. Sermo LXXI, 1; SC. 74, 123; EP.224 discorso:

“Dilettissimi, è stata letta, come è d'uso, la storia della Passione del Signore secondo il racconto del vangelo e credo che abbia penetrato nel cuore di tutti, sì da trasformarsi la lettura stessa per ognuno degli uditori in una visione.

La vera fede ha una tale potenza che non vien meno nella mente di coloro che non poterono con presenza corporale assistere ai fatti. La fede non prova alcuna difficoltà da parte del tempo nella conoscenza della verità sia che la mente del credente si rivolga al passato sia che si protenda verso il futuro.

Dunque è presente ai nostri sensi l'immagine dei fatti, compiuti per la nostra salvezza; e quel che allora penetrò gli animi dei discepoli, commuove anche i nostri affetti, ma non perché noi dobbiamo essere depressi dalla tristezza o spaventati dalla violenta crudeltà dei Giudei” (1).

In questo brano è esposta chiaramente tutta la concezione che il Nostro ha dei discorsi che

rendono attuale, come la lettura, ciò che è stato annunziato nella celebrazione liturgica.

Ancora l'unità è data dal riferimento costante al brano evangelico letto preceden-temente. Questo

riferirsi al testo evangelico non è un legame puramente esterno, o un artificio per conservare una

certa unità al discorso. Esso ha già di per sé una sua unità, che è data dal ritmo della passione,

come vedremo in seguito.

Ancora sulle passioni va notato che esse per lo più, a bella posta, sono poste in

contrapposizione. Questo non per artificio letterario, ma per conseguire più facilmente lo scopo dei

“sermones”: l'edificazione dei fedeli. Cosi se parla di Giuda, in seguito parlerà di San Pietro, quasi

a far notare la differenza che passa tra le due facce della stessa medagliai Giuda tradisce il

Signore e non si pente; S. Pietro, invece, pur avendolo rinnegato, si pente. Giuda finisce

giustiziere di sé stesso, Pietro principe degli Apostoli.

------------------------ 1) Sacram, dilectissimi, dominicae Passionis historiam evangelica, ut moris est, narratione decursam, ita omnium vestrum

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arbitror inhaesisse pectoribus, ut unicuique audientium ipsa lectio quaedam facta sit visio. Habet enim hanc potentiam fides vera, ut ab iis mente non desit, quibus corporalis praesentia interesse non potuit; et sive in praeteritum redeat, sive in futurum se cor credentis estendat, nullas sentiat moras temporis cognitio veritatis. Adest ergo sensibus nostris imago rerum pro nostra salute gestarum, et quidquid tunc discipulorum perstrinxit animos, nostros quoque tangit affectus; non quod aut tristitia deprimamur, aut saevitia furentium iudaeorum terreamur. Sermo LXX, 1; SC. 74, 116-17; EP. 214 -15.

CONCLUSIONE

realmente i “sermones in Passione Domini” hanno dei caratteri particolari per cui

si distinguono dagli altri “sermones”:

concezione drammatica della lettura, per cui vengono presentati come attuali fatti

avvenuti in tempi lontani;

svolgimento drammatico espresso dal gioco delle passioni, dal dialogo con i i

personaggi del dramma;

richiamo continuo alla lettura evangelica, che è il sostrato di tutti i“sermones”(1);

struttura ciclica. Non sempre, infatti, l'argomento viene esaurito in un solo discorso, data

la lunghezza della lettura della Passione, fatta durante l'azione liturgica. Esso viene lasciato

sospeso per essere ripreso alla prossima occasione, in genere il Mercoledì successivo e si

riallaccia al discorso precedente o al seguente con una formula di transizione, che è quasi sempre

la stessa.

Sappiamo che ogni ciclo è composto di due discorsi, e dalle formule di transizione

sapiamo anche in quale giorno furono pronunciati: seconda Domenica di Passione o delle Palme e

Mercoledì successivo, giorni nei quali veniva letto il racconto della Passione. Così nei discorsi LIV-

LV, che formano il secondo ciclo, abbiamo questa formula di transizione:

“Ma perché, dilettissimi, al discorso di oggi manca ancora molto perché tutto sia esposto, il rimanente lo rimandiamo a mercoledì, nel qual giorno si ha di nuovo la lettura della Passione del Signore.- Dio, a cui le vostre preghiere si eleveranno, concederà di poter adempiere per sua grazia quel che promettiamo: per Gesù Cristo, nostro Signore, il quale vive e regna nei secoli dei secoli. Amen” (2).

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1) Cfr. Sermo LII, 1; SC. 74, 22; Sermo LV, 1; SC. 74, 36; Sermo LVI, 1; SC. 74, 41; Sermo LVIII, 1; SC. 74, 50 etcW

2) Sed quia multum est, dilectissimi, ut omnia hodiernus sermo percorra, in quartam feriam, qua Doinicae Passionis iterabitur,

residua differantur. Praestabit enim Dominus, orantibus vobis, ut ipsius dono, quod promittimus impleamus: per Dominum nostrum

Iesum Christum, qui vivit et regnat in saecula saeculorum. Amen. Sermo LIV, 5; SC. 74, 35-46

Nella quale formula si possono riscontrare tre elementi:

interruzione del discorso con promessa di riprenderlo al la prossima occasione;

richiesta di preghiere perché possa mantenere la promessa fatta;

dossologia finale.

La formula di inizio del “sermo LV” richiama puntualmente i primi due motivi della conclusione del

precedente;

attuazione della promessa;

resa possibile dalle loro preghiere;

“Alla vostra attesa, dilettissimi, deve essere pagato, con l'aiuto di Dio, il debito che le spetta; le vostre preghiere intercedano per noi, da colui che rende voi attenti ad esigerlo, la grazia dell'idoneità a soddisfarvi “ (1).

Quindi prosegue riallacciandosi subito al discorso precedente e conclude veramente nella seconda

parte.

Infine non tutti i “sermones” hanno questa struttura ciclica.

I cicli riscontrabili sono sei; gli altri discorsi sono autonomi e completi in se stessi.

Altra caratteristica la brevità, dovuta non solo alla lunghezza delle funzioni liturgiche o della lettura

della Passione, poiché si riscontra anche in sermoni di altri periodi liturgici. Bisogna notare anche

che i discorsi sulla Passione non ciclici, tenuti cioè in un solo giorno e completi in sé, sono

leggermente più lunghi dei ciclici.

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-------------------- . 2) Expectationi vestrae, dilectissimi, quod debetur, Domino largiente reddendum est, promerentibus orationibus vestris, ut nos ad solvendum faciat idoneos, qui vos ad exigendum fecit intentos. Sermo LV, 1; SC. 74, 36

B) Analisi dei “sermones” LIV e LIX

Affinché quanto è stato detto fin qui non sembri solo una serie di asserzioni più o me-no

gratuite e arbitrarie, analizzerò due dei discorsi ciclici per vedere se sia o meno riscontrabile in essi

la teoria fin qui esposta. I “sermones” sottoposti ad esame sono il LIV, del secondo ciclo e il LIX del

quarto i quali mi sembrano più rappresentativi sotto questo punto di vistai (1).

DE PASSIONE DOMINI SERMO III HABITUS DOMINICQ DIE (LIV)

Consta di cinque capitoli così suddivisi;

1-2; fede nell'Unione Ipostatica;

3; castigo di Giuda;

4: infermità di Gesù;

5: caduta di Pietro - condanna di Gesù.

I primi due capitoli fanno da introduzione, in cui l'Autore mette in risalto il carattere

sublime della morte di Cristo, cui erano ordinati tutti i riti della Vecchia Alleanza e della quale erano

figura. Ora le figure sono cessate, perché è presente la realtà prefigurata in essi . Avverte che nel Cristo sofferente bisogna riconoscere le due nature che in Lui si sono

unite: la divina e l'umana;

“quello che (la fede cattolica) impone a credere è proprio questo: sapere che due nature si sono unite nel costituire il nostro Redentore, sapere che, pur restando integre nelle loro proprietà, è intervenuta tra l'una e l'altra sostanza unione perfetta, sicché dal momento in cui, come lo esigeva il bisogno del genere umano, il Verbo divenne carne nel seno della Beata Vergine, non è lecito crederlo Dio senza

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riconoscerlo come uomo, né uomo separato dalla natura divina”.

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1) Al termine, come appendice, metterò il testo latino dei due discorsi. Cfr. PL.54, 318-22; SC. 74, 30-36; EP.83 -91 per il LIV e PL.54, 337-43; SC. 74, 56-63; EP.120-30 per LIX

Pertanto le azioni distinte manifestano nature distinte, ma non separate. Difatti:

“In Cristo nulla è fuori della comunicabilità: l'umiltà è tutta nella maestà, la maestà è tutta nell'umiltà; tuttavia l'unità non provoca confusione, né la proprietà delle nature spezza l'unità. Delle due nature è passibile l'una e inviolabile l'altra; tuttavia si attribuisce il vituperio a quella stessa persona cui si attribuisce la gloria”.

Questo perché la nostra salvezza "non doveva essere compiuta senza la debolezza umana e la

potenza divina". E di nuovo torna ad esprimere meglio il concetto già espresso, perché fon-

damentale e essenziale per la comprensione di tutta l'economia dell'opera redentrice di Cristo:

“per questo ciascuna natura opera, in comunanza con l’altra, ciò che le è proprio: il Verbo opera ciò che è proprio del Verbo e la carne eseguisce ciò che è proprio della carne. Una delle nature rifulge per miracoli, l'altra soc-combe alle ingiurie. Quella non perde l'uguaglianza con la gloria paterna, questa non si distingue dalla natura della nostra razza”,

Da ciò consegue forse la necessità della Passione? No, perché :"non de necessitate tolera-tum,

sed de voluntate susceptum est". Per questo in virtù dei suoi meriti e della sua reden-zione tutti

potevano essere salvati, anche i suoi uccisori, anche il suo traditore, Giuda. Questa possibilità

universale di perdono richiama alla mente colui che non ne volle sapere approfittare, e per

disperazione fu giustiziere di sé stesso: Giuda.

“Con ragione fu affidata a te l'esecuzione della tua pena, perché nel supplizio, da te scelto, nessuno si sarebbe potuto trovare di te più crudele”.

Con dolore quindi esclama:

“Certamente tu, Giuda, sei stato di tutti il più scellerato e infelice, perché la penitenza non t'invitò a tornare al Signore, ma ti incitò la disperazione ad appenderti al capestro. Magari avessi aspettato il compiuto risultato del tuo delitto e avessi dilazionato l'orrida morte per appiccagione fino a che il sangue di Cristo non fosse stato sparso per tutti i peccatori. Magari, o Giuda, mentre tanti miracoli e tanti favori ricevuti dal Signore tormentavano la tua coscienza, ti avessero sottratto al precipizio quei sacramenti che nella cena pasquale avevi ricevuto, quando ormai la tua perfidia, per un segno della scienza divina, era fatta manifesta Perché diffidi della bontà di chi non ti respinge dalla comunione del corpo e del sangue suo: di chi non ti negò il bacio della pace, mentre accorrevi con turbe e con schiere di

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armati per catturarlo? Invece quale uomo refrattario alla conversione, 'spirito che va e non torna', hai seguito

l'impeto procelloso del tuo cuore: mentre avevi il diavolo alla tua destra; ritorcesti sulla tua testa quella iniquità che avevi addensato contro il capo di tutti i santi.

Avvenne così perché, essendo il tuo delitto superiore a qualunque pena, la tua empietà avesse te stesso per giudice e tu fossi l'esecutore della tua pena”.

In realtà il discorso non è graduale nei suoi passaggi, e quindi alquanto difficile a com-prendersi

Sembra che il suo modo di procedere sia per associazione di idee o per richiamo di

immagini: l'idea del perdono gli richiama alla mente chi non ne ha approfittato -Giuda- e subito,

senza preoccuparsi di preparare l'animo degli uditori prorompe in un grido di dolore e di compas-

sione, che, a ben riflettere, è nello stesso ordine di idee di quanto ha detto precedentemente:

“In tal modo la malvagità dei persecutori era per lui un mezzo per la redenzione di tutti, tanto che persino i suoi uccisori, avendo fede, potevano ottenere salvezza nel mistero della sua morte e della sua risurrezione”.

Se tutti, anche Giuda. Egli però non ha approfittato di questa universale possibilità di salvezza. A

che cosa si deve? alla incredulità sua. Per questo esclama: “scelestior omnibus, Iuda, et infelicior

extitisti”.

La passione cambia aspetto. Si ferma a dire cosa avrebbe dovuto fare: aspettare l'esito

del suo crimine; ricordarsi della bontà di Gesù... Ma tutto è inutile...

Nuovo aspetto della passione, anzi nuova passione: ira – sdegno. Perché perdere tempo

in queste fantasticherie? Per te non vi era possibilità di salvezza data la grandezza non del delitto,

ma della “rabies” del tuo cuore, per cui sei diventato uno strumento del diavolo. Ed allora fu giusta la

pena che da te stesso t'infliggesti!

La scena cambia improvvisamente, ed anche il ritmo del discorso. Riprende la narra-

zione, che assume un carattere tutto particolare. Ha infatti della narrazione e dell'esposizione

dottrinale, ma senza il carattere freddo e distaccato. Inizia con calma, poco alla volta prende un

movimento più passionale fino alla conclusione che assume un aspetto particolarmente commosso:

31

Nella consapevolezza che l'ora della glorioso passione era imminente, esclamò: "L'anima mia è triste da morire" e poi: "Padre, se è possibile passi da me questo calice".

La descrizione è breve ed espressiva. In essa si può vedere lo stato d'animo di Gesù che è

cosciente di sé e di ciò che sta per compiere: quindi responsabilità. Ma non ha timore. Se nelle sue

parole c'è un senso di timore esse nascondono una realtà diversa:

“Con queste frasi, espressione di una certa paura, egli portava rimedio, col prendervi parte, alle nostre inferme proclività e respingeva, col soggiacere ad esso, il timore del tormento che doveva subire. Il Signore trepidava in nostra vece della nostra stessa paura per mostrarsi davvero rivestito della nostra debolezza che egli aveva assunto, e così rivestire la nostra incostanza con la robustezza della sua potenza”.

L'espressione non è arida. Si sente in essa vibrare un fuoco di passione,che è partecipazione e

compassione, che va sempre più aumentando d'intensità. Ricorda ciò che Gesù è, lo scopo della

sua venuta.

Ma questo non lo fa esponendo freddamente. Infatti l'uso dell'immagine ci dice che il mondo in cui

ci moviamo è diverso:

“Il commerciante ricco e misericordioso era venuto in questo mondo dal cielo e con mirabile scambio aveva stipulato un commercio apportatore di salvezza. Egli accettò ciò che è nostro e diede in cambio i suo beni: ricambiò le ingiurie dando onore, le sofferenze operando salvezza, la morte offrendo la vita.

Egli poteva servirsi di più di dodici legioni di Angeli per mettere in fuga i suoi persecutori, eppure preferì accogliere in sé la paura che e propria della nostra natura, anziché esercitare la sua potestà”.

Una parola 'paura' è la chiave di volta del discorso. Egli ha accettato anche la paura per poter dare

ad essa rimedio. Pietro l'ha sperimentata, ed ha rinnegato il Maestro. Potrà compatire quindi il suo

apostolo, potrà dare il rimedio necessario:

“Pietro non avrebbe mai superato la paura dell'umana fragilità, se prima il vincitore della morte non si fosse egli stesso sottoposto alla morte”.

Dà quindi a Pietro il rimedio che sarà tanto efficace da rendere per sempre l'Apostolo senza paura,

intrepido nel rendere testimonianza al suo Maestro:

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“Entrò la Verità a indagare in quell'animo ove era necessaria la riforma del cuore; la voce del Signore quasi vi sussurrò così: Dove vai, Pietro? Perché ritorni indietro a rioccupare di nuovo le tue cose? Convertiti a me; abbi in me confidenza; seguimi: questo è il tempo della mia passione, l'ora del tuo supplizio non e ancora arrivata. Perché ora temi quello di cui sarai anche tu vincitore? Non lasciarti confondere dalla debolezza che io ho assunto. Io paventavo a motivo della tua natura umana che spetta a te, tu non temere a motivo della natura divina che appartiene a me”.

Particolare efficacia assume l'esempio di Pietro contrapposto a quello di Giuda: l'uno fiducioso,

l'altro disperato.

Dopo l'esempio di Giuda impenitente, dopo la scena di Gesù che prega nell'Orto per

ottenere ai suoi fermezza nell'ora della prova, dopo il rinnegamento di Pietro (di cui non parla

esplicitamente, ma che suppone) e la sua conversione, ecco un altro quadro. Riuniti in consiglio i

Giudei cercano un motivo per mandare a morte Gesù con qualche parvenza di legalità. La

descrizione è quella scarna ed essenziale del- l'Evangelista:

“Venuta la mattina, tutti i gran sacerdoti e gli anziani del popolo tennero consiglio contro Gesù, per farlo morire'”.

Questa descrizione fa da catalizzatore di tutte le passioni fin qui espresse. È difficile poter defi-

nire esattamente a quale categoria appartengano quelle qui sintetizzate. Anche l'andamento

ritmico rende bene l'animo dell'Autore.

Da notare la ripetizione, per due volte consecutive, all'inizio dei due periodi, delle parole

“Hoc mane” che richiamano spontaneamente il “Mane facto” del testo evangelico. “Quell’alba, o Giudei, la luce anziché sorgere per voi tramontò; non si fece giorno, secondo il solito, per i vostri occhi, ma sulle empie menti cadde la notte di nera cecità. Quell'alba vi distrusse il tempio e l'altare, vi sottrasse la legge e i profeti, portò via il regno e il sacerdozio, cambiò in perpetuo lutto tutte le vostre festeE”

Segue la descrizione dei giudei:

“Voi, simili a tori ingrassati, pari a vitelli senza numero, "bestie feroci, cani rabbiosi'.

Essi, e non Pilato, hanno ucciso l'Autore della vita e il Signore della gloria. Pilato è stato solo uno

33

strumento di cui si sono serviti, ed hanno potuto indurlo ad agire secondo il loro perverso disegno

“clamoribus improbis trepido cognitore superato”.

Il discorso prende un andamento più calmo. Stigmatizza la ignavia di Pilato che “lotis

manibus et ore polluto, iisdem labiis lesum misit ad crucem, quibus eum pronunciaverat inno-

centem'”.

Ancora una pennellata: l'atteggiamento della folla, in antitesi a quello di Gesù:

“Allora la licenza popolare, in ossequio e adulazione dei sacerdoti, ricoprì il Signore di molte villanie; contro la di lui mansuetudine, che spontaneamente tutto sopportava, incrudelì la turba furente”.

E qui il discorso improvvisamente si interrompe. Sembra un improvviso risveglio dopo un sonno

che attira ancora la nostra attenzione. La necessità di non abusare della pazienza degli ascoltatori

prevale su tutto. Il discorso verrà ripreso il prossimo mercoledì in cui verrà ripetuto il racconto della

Passione di Gesù.

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DE PASSIONE DOMINI SERMO VIII FERIA QUARTA HABITUS (LIX)

Si compone di otto capitoli:

1: formula di passaggio per riallacciarsi al sermone precedente - cattura di Gesù;

2-3: Giudizio di Gesù;

4-7: Regalità della croce;

8: vivere il Cristo crocifisso,,

Il discorso inizia con una formula di transizione per riallacciarsi al precedente e

riprendere l'argomento lasciato sospeso. Si riferisce alla promessa fatta precedentemente di

riprendere il discorso:

“Nell'ultimo nostro discorso abbiamo percorso, dilettissimi, quei fatti che precedettero la cattura del Signore; ora, con l'aiuto della grazia di Dio, ci intratteniamo, come abbia-mo promesso, sul corso della Passione”.

Si nota una certa difficoltà a proseguire il discorso sul medesimo tono del precedente, perché

manca il clima spirituale adatto e la passione. Si sforza di crearli con un’esposizione dottrinale su

Gesù: vuole che gli ascoltatori ricordino bene chi sia a soffrire e il motivo della sua sofferenza:

“Per difendere la causa di tutti, colui, in cui unicamente la natura, a tutti comune, era senza colpa, offrì sé stesso”.

E la stessa narrazione della cattura conserva ancora un pò il carattere espositivo dottrinale, segno

della fatica che occorre per creare il clima adatto alla passione.

“Ecco dunque che i figli delle tenebre fecero violenza alla vera luce; e, pur usando fiaccole e lanterne, non sfuggirono alla notte della loro incredulità, perché non conobbero l'autore della luce”.

La contrapposizione “lumen verum'” e “filii fienebrarum”, “faculis atque lanternis” di cui si

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servono quelli che si trovano in “infidelitatis suae noctem” da una parte e “lucis auctorem”

dall'altra non è solo un espediente letterario, ma una prima scintilla di passione che comincia a

riscaldare l'animo dell'Autore e degli ascoltatori. Scintilla che alla fine del discorso diventerà un

incendio maestoso. Dopo questo accenno di passione, il discorso continua nella sua forma calma e

discorsiva:

“Si impadroniscono di lui, disposto a lasciarsi catturare; trascinano chi si lascia volon-

tariamente trascinare. Certamente, se egli avesse voluto resistere, quelle mani

sacrileghe non avrebbero potuto fargli nessuna violenza”.

E l'essere trasportato davanti ai Pontefici, ad Erode, a Pilato anche questo è dovuto alla sua libera

volontà con la quale ha voluto subire tutte le ingiurie cui i nemici vollero sottoporlo. Pilato per i

Giudei non è che uno strumento di cui essi vogliono servirsi per ottenere i loro fini, conservando

un'apparenza di legalità all'uccisione del Giusto. Infatti

“chiedono con prepotenza un esecutore della violenza ordita, anziché un arbitro della causa. Ebbero l'astuzia di presentare Gesù legato da dure catene, frequentemente percosso con pugni e con schiaffi, ricoperto dagli sputi e già in anticipo condannato dalle grida, affinché Pilato, tra tante pregiudiziali, non osasse assolvere colui che tutti volevano giustiziato”

Questo spiega l’atteggiamento di Pilato che tenta di tergiversare non volendo dispiacere ai giudei

e, nello stesso tempo, liberare l'Innocente. A questo punto comincia ad accendersi la passione.

Pilato per dimostrare la sua innocenza nella condanna di quel Giusto, si lava le mani. L'Autore

interviene come accusatore:

“la lavanda delle mani non purifica l'animo macchiato, né l'acqua che gocciola dalle sue dita espia il misfatto commesso per la variabilità della sua mente spietata'”.

E' un atteggiamento,questo, caratteristico del Nostro. Ad un certo punto non sappiamo se fa

dell'ironia, se rimprovera, se ammonisce semplicemente i fedeli, o se fa tutto questo insieme.

Riprende con calma la narrazione della Passione, e in essa già si comincia ad av-vertire

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qualche movimento di passione,e ciò in modo speciale quando fa osservare, nel parlare dei sommi

sacerdoti:

“Inutilmente trattenevano le proprie mani dal crocifiggere il Signore della maestà costoro

che lanciavano contro di lui la mortifera semente delle grida e gli avve-lenati dardi delle

parole”.

E finalmente erompe:

“A voi! A voi, o Giudei bugiardi e principi sacrileghi del popolo, è imputato tutto il reato di questo delitto. Pur concedendo che la particolare ferocia del misfatto ricada anche sul Preside e sui soldati, il complesso di quell’affare grida accusa contro di voi. Persino tutto il peccato di Pilato con la sua sentenza o la soldataglia con i suoi dileggi ha commesso nel suppliziare Cristo, rende voi ancor più degni dell'odio del genere umano, perché l'istigazione della vostra stoltezza non permise che rimanessero innocenti neppure quelli a cui la vostra iniquità non piacque”.

Una pausa, quasi a calmare l'animo. Quindi cambia tono. Non più ira o sdegno, ma la compassio-

ne muove l'animo:

“Il Signore fu pertanto esposto ali'indiscrezione di quei malvagi e, perché si ponesse in ridicolo la sua dignità regale, fu obbligato a portare lo strumento del suo supplizio”.

Cambia scena. Agli occhi dello spettatore non appare più la figura del Cristo sofferente, che

incede a fatica, portando sulle sue spalle lo strumento del supplizio, ma il Cristo trasfigurato, il vero

Trionfatore che porta le gloriose insegne del trionfo:

“Quando il Signore portava il legno della croce che si sarebbe cambiato per lui in scettro di potestà, agli occhi degli empi era oggetto di grande ludibrio, ai fedeli invece veniva rivelato un grande mistero. Il gloriosissimo vincitore del diavolo e il potentissimo de-bellatore delle potenze ostili portava un bel simbolo del suo trionfo e con invitta pazienza presentava sulle spalle il segno della salvezza all'adorazione di tut ti i regni”.

Segue una sezione espositivo - dottrinale in cui narra l'incontro di Gesù con Simone di Cirene. Ma

anche questo ha una funzione particolare nell'economia del discorso, la passione non è solo uno

scoppio irrazionale, ma anche frutto di sapiente preparazione.

Essa è fatta in questa sezione del discorso con sapiente ed accurato lavoro di preparazione psico-

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logica. Quando questa sarà completa basterà una minima scintilla per provocare l'incendio. La

scintilla è il ricordo delle parole del Signore: “Et Ego, si exaltatus fuero a terra, omnia traham ad

meipsum” (Jo.12,32).

Queste parole riecheggeranno per tutto il brano, specialmente la parola “TRAHAM “ che è ripetuta

per quattro volte all'inizio di quattro stupendi periodi, non più come speranza, ma come fatto

compiuto. E quando la passione assumerà un aspetto più controllato, più riposato, quasi

accennasse a spegnersi, colpisce ancora una correlazione: “NUNC” in contrapposi-zione al futuro

“traham”.

All'inizio erompe, prepotente, un grido ed una costatazione:

“0 potenza mirabile della Croce! 0 gloria ineffabile della Passione! Ivi è il tribunale del Signore,

il giudizio del mondo,

e la potestà del Crocifisso”.

Ed ecco la contrapposizione dal fatto compiuto alla promessa. La ripetizione del verbo “traho” non

più al futuro “Traham”, ma al perfetto “TRAXISTI”, vuole indicare che il desiderio, la predizione del

Signore si è avverata ed ora è per tutto il creato un fatto compiuto: Il Signore ha attirato a sé ogni

cosa dal momento in cui è stato innalzato sulla Croce.

“Hai attirato, o Signore, ogni cosa a te. Mentre stendevi le mani per tutto il giorno a un popolo ribelle e ricalcitrante, il mondo tutto avvertì di dovere confessare la tua maestà.

Hai attirato, o Signore, tutto a te, quando per maledire il delitto dei Giudei

tutte le cose create emanarono unanime sentenza:

si oscurò la luce del cielo e il giorno si cambiò in notte; anche la terra fu squassata da insoliti terremoti

e tutta la creazione rifiutò di prestare agli empi il servizio.

Hai attirato tutto a te, o Signore, perché il crollo del velo del tempio sottrasse il Santo dei Santi

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agli indegni Pontefici; così la figura terminò nella realtà,

la profezia si manifestò nella sua realizzazione,

la legge si perfezionò nel Vangelo,

Hai attirato, o Signore, tutto a te, affinché ora con perfetto e manifesto sacramento

la pietà religiosa di tutte le nazioni celebrasse quel rito che si svolgeva soltanto nel tempio della Giudea

come ombra e figura”.

E questi sono i frutti della morte del Signore:

“Ora più illustre è l'ordine dei leviti,

più magnifica la dignità dei presbiteri,

più sacra l'unzione dei vescovi.

La tua croce è fonte di benedizioni;

è causa di tutte le grazie;

per essa è donata ai credenti la forza invece della debolezza,

la gloria invece dell'obbrobrio,

la vita in cambio della morte.

Ora è finita la varietà dei sacrifici carnali,

la sola oblazione del corpo e del sangue tuo sostituisce

con molta più perfezione tutte le vittime,

prescritte nelle loro differenti qualità,

perché tu sei il vero “Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo”.

Così contieni e perfezioni in te tutti i misteri

perché ci sia un sol regno,

costituito da tutte le genti,

come uno solo è il sacrificio che sostituisce tutte le vittime”.

Nel suo aspetto passionale il discorso è completo. Ma l'oratoria cristiana non è solo mozione di

affetti e di passioni.

Essa tende al miglioramento dell'individuo. E questo si ottiene solo sfruttando adeguata- mente

la passione, che è il mezzo per muovere la volontà e determinarla al bene. La vera conclusione,

perciò, del discorso è praticare ed imitare ciò che viene additato come esempio. Con questo non si

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vuol dire che la conclusione parenetica non sia ancora illuminata e riscaldata dalla passione.

Questa è sempre presente, anche se attenuata e diretta a un fine pratico:

“Dilettissimi, uniamoci alla confessione che un glorioso testimone delle genti, l'apostolo san Paolo, fece : "E' parola sicura e del tutto degna di fede, che Cristo Gesù venne nel mondo per salvare i peccatori”.

E dopo aver ricordato che il Signore ha operato tutto questo affrontando la sofferenza e vincendo

con la sua morte la nostra morte, conclude:

“Dunque, dilettissimi, mettiamo in pratica l'ammonimento che dava l'Apostolo Paolo: "Coloro che vivono, non vivano più per sé stessi, ma per colui che morì e risuscitò per essi".

Siccome ciò che era antico è passato, il nuovo è sorto, nessuno rimanga nella vetustà

della vita carnale, ma progredendo di giorno in giorno, rinnviamoci mediante l'incremento della pietà. Quantunque si sia giustificati, vi è possibilità, finché si è in questa vita , di divenire più puri e migliori. Chi infatti non progredisce, è in difetto; e chi non acquista nulla, perde qualcosa.

Dobbiamo dunque correre con i passi della fede, con le opere di miseri-cordia, con

l'amore alla giustizia, perché, mentre ora da persone spirituali celebriamo il giorno della nostra redenzione, "non con il vecchio lievito, ne con il lievito della malizia e della perversità, ma con i pani azzimi, cioè in purezza e verità", meritiamo di essere partecipi della risurrezione di Cristo che con il Padre e lo Spirito Santo vive e regna nei secoli dei secoli. Amen”.

CONCLUDENDO

mi sembra di poter affermare che queste siano le caratteristiche più importanti di questo ciclo di

discorsi, sia di carattere esterno, che di carattere interno:

concezione drammatica della lettura;

svolgimento drammatico dei discorsi:

loro struttura ciclica;

contrapposizione di passioni nella composizione;

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lettura evangelica sostrato di tutto. A P P E N D I C E

Testo Latino dei “sermones” LIV e LIX„

SERMO LIV.

1. Inter omnia, dilectissimi, opera misericordiae Dei quae ab initio saluti sunt impensa mortalium,

nihil est mirabilius, nihilque sublimius, quam quod pro mundo crucifixus est Christus. Huic enim

sacramento universa praecedentium saeculorum mysteria servierunt, et quidquid in hostiarum.

differentiis, in propheticis signis et legalibus institutis sacra dispensatione variatum est hoc

praenuntiavit dispositum, hoc promisit implendum: ut nunc imaginibus figurisque cessantibus hoc

prosit credere iam effectum quod antea profuit credidisse faciendum.

In omnibus igitur, dilectissimi, quae ad Domini nostri lesu Christi pertinet passionem, hoc

catholica fides tradit, hoc esigit, ut in Redemptorem nostrum duas noverimus convenisse

naturas, et manentibus proprietatibus suis, tantam factam unitatem utriusque substantiae, ut

ab ilio tempore quo sicut humani generis causa poscebat, in beatae Virginis utero 'Verbum caro

factum est', nec Deum illum sine hoc quod homo est, nec hominem sine hoc liceat cogitare

quod Deus est. Exprimit quidem sub distinctis actionibus veritatem sua utraque natura, sed

neutra se ab alterius connexione disiungit. Nihil ibi ab invicem vacat, tota est in maiestatè

humilitas, tota in humilitate maiestas; nec infert unitas confusionem, nec dirimit proprietas

unitatem. Aliud est passibile, aliud inviolabile; et tamen eiusdem est contumelia, cuius et gloria.

Ipsa est in infirmitate qui et in virtut, idem mortis capax, et idem Victor est mortis. Suscepit ergo

totum hominem Deus, et ita se illi, atque illum sibi misericordiae et potestate ratione conseruit,

ut utraque alteri natura inesset, et neutra in alteram a sua proprietate transieret.

2. Sed quia dispensatio sacramenti, ad reparationem nostram ante saecula aeterna dispositi,

nec sine humana infirmitate, nec sine divina erat consummanda virtute: agit utraque forma cum

alterius communione quod proprium est, Verbo scilicet operante quod Verbi est, et carne

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exequente quod carnis est. Unum horum coruscat miraculis, aliud succumbit iniuriis. Illud ab

aequalitate paternae gloriae non recedit, hoc naturam nostri generis non reliquit. Verumtamen

ipsa receptio passionum non ita est affectioni nostrae humilitatis exposita, ut a potentia sit

Divinitatis abiuncta. Quidquid Domino illusionis et contumeliae, quidquid vexationis et paenae

furor intulit impiorum, non de necessitate toleratum, sed de voluntate susceptum est: 'Venit

enim Filius hominis quaerere et salvare quod perierat' (1); et sic ad omnium redemptionem

utebatur malitia persequentium ut in mortis eius resurrectionisque sacramenta, etiam interfect-

ores sui possent salvi esse, si crederent.

3. Unde scelestior omnibus, luda, et infelicior extitisti, quem non paenitentia revocavit ad

Dominum, sed desperatio traxit ad laqueum. Expectasses consummationem. criminis tui, et

donec sanguis Christi pro omnibus peccatoribus funderetur, informis lethi suspendium

distulisses. Cumque conscientiam tuam tot Domini miracula, tot dona torquerent, illa saltem te a

praecipitio tuo revocassent, quae in paschali caena iam de perfidia tua signo divinae scientiae

detectus, acceperas. Cur de eius bonitate diffidis, qui te a corporis et sanguinis sui communione

non repulit, qui tibi ad comprehendendum sde cum turbis et armatorum cohorte venienti pacis

osculum non negavit? Sed homo inconvertibilis, 'spiritus vadens et non revertens' (2), cordis tui

secutus es rabiem, et stante diabolo a dextris tuis, iniquitatem, quam in sanctorum omnium

armaveras caput, in tuum verticem retorsisti: et quia facinus tuum omnem mensuram ultionis

excesserat, te haberet impietas tua iudicem, te pateretur tua paena carnificem.

Cum igitur esset 'Deus in Christo mundum reconcilians sibi ( 3 ) , et creaturam ad conditoris sui

imaginem reformandam, Creator ipse gestaret; peractis miraculis operum divinorum, quae

propheticus olim spiritus gerenda praedixerat: “Tunc aperientur oculi caecorum, et aures

surdorum audient: tunc saliet claudus ut cervus, et plana erit lingua mutorum” (4); sciens Iesus

adesse iam tempus gloriosae Passionis implendae, 'Tristis est ', inquit, 'anima mea usque ad

mortem' (5): et iterum: 'Pater, si fieri potest, transeat a me calix iste” (6). Quibus verbis quamdam

formidinem profitentibus, nostrae infirmitatis affectus participando curabat, et paenalis

experientiae metum subeundo pellebat. In nobis ergo Dominus nostro pavore trepidabat, ut

susceptionem nostrae infirmitatis indueret, et nostram inconstantiam sauae virtutis soliditate

vestiret. Venerat enim in hunc mundum dives atque misericors negotiator e caelis, et commuta-

-------------------

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1) Le.19,10 ; 2)Ps.77,39; 3) II Cor.5,19; 4) Is.35,5-6; 5) Matth. 26,38.; 6) Mt26,.38.

tione mirabili inierat commercium salutare, nostra accipiens, et sua tribuens, pro contumeliis

honorem, pro doloribus salutem, pro morte dans vitam; et cui ad exterminationem

persequentium poterant plusquam duodecim millia angelicarum servire legionum, malebat

nostram recipere formidinem quam suam exercere potestatem.

5. Quantum autem universis fidelibus hac humilitate collatum sit primus beatissimus apostolus

Petrus expertus est, qui, cum illum instantis saevitiae vehementior procella turbasset, ad

reparationem vigoris celeri mutatione conversus est, sumens de exemplo remedium, ut

tremefactum repente membrum rediret ad sui capitis firmitatem. Non enim aliud posset domino

servus, et magistro maior esse discipulus, qui humanae fragilitatis trepidationem non vinceret,

nisi Victor mortis ante timuisset. Respexit ergo Dominus Petrum, et inter calumnias sacerdotum,

inter falsitates testium, inter caedentium et conspuentium iniurias constitutus, illis turbatum

discipulum convenit oculis, quibus eum praeviderat esse turbandum: et in illum ingressa est

veritatis inspectio, ubi erat cordis facienda correctio; quasi quaedam illic vox Domini insonaret ac

diceret: Quo abis, Petre? quid in tua recedis? ad me convertere, in me confide, me sequere;

meae passionis hoc tempus est, nondum tui venit hora supplicii. Quid metuis, quod etiam ipse

superabis? Non te confundat infirmitas quam recepì. Ego de tuo fui trepidus, tu de meo esto

securus.

“Mane autem facto, consilium inierunt omnes principes sacerdo tum et seniores populi

adversum lesum, ut eum morti traderent” (1). Hoc mane, Iudaei, non ortus vobis lucis con- tigit,

sed occasus, nec vestris oculis solitus dies prodiit, sed impiis mentibus nox tetrae caecitatis

incubuit. Hoc mane vobis templum et altaria diruit, legem et prophetas ademit, regnum et

sacerdotium sustulit, in luctum aeternum omnia vobis festa convertit. Inistis e- nim insanum

cruentumque consilium, tauri pingues, vituli multi, frementes bestiae, canes rabidi, ut morti

auctorem vitae et Dominum gloriae traderetis: et tamquam extenuanda esset furoris vestri

immanitas, si eius sententia qui provinciae vestrae praesidebat ute- remini, vinctum lesum ad

Pilati iudicium deduxistis; ut clamoribus improbis trepido cogni- tore superato, interfectorem

hominum eligeretis ad veniam, et Salvatorem mundi peteretis ad paenam. Post hanc

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damnationem Christi, quam exsecuta et Pilati praesidis magis ignavia quam potestas, qui lotis

manibus et ore polluto, iisdem labiis lesum misit ad crucem, quibus eum pronuntiaverat immo-

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1) Matth. 27,1

centem, multas illusionem Domino, sacerdotalibus servi- ens oculis, licentia popularis ingessit:

et in mansuetudinem eius qui haec sponte tolerabat, furens turba saevivit.

Sed quia multum est, dilectissimi, ut omnia hodiernus sermo percurrat, in quartam feri-am,

qua lectio Dominicae Passionis iterabitur, residua differantur. Praestabit enim Dominus,

orantibus vobis, ut ipsius dono, quod promittimus impleamus: per Dominum nostrum lesum

Christum, qui vivit et regnat in saecula saeculorum. Amen,

SERMO LIX.

1, Decursis, dilectissimi, sermone proximo iis quae comprehensionem Domini praecesserunt,

superest nunc ut auxiliante Dei gratia, de ipso iam passionis ordine, sicut promisimus,

disseramus. Nam cum verbis sacrae orationis suae Dominus declarasset verissime sibi atque

pienissime et humanam et divinam inesse naturarm, ostendens unde esset quod pati nollet, et

unde quod vellet; depulsa trepidatione infirmitatis, et confirmata magnanimitate virtutis, rediit in

sententiam suae dispositionis aeternae, et saevienti diabolo per ministeria Iudaeorum, formam

servi nihil peccati habentis obiecit: ut per eum ageretur omnium causa, in quo solo erat omnium

natura sine culpa. Irruerunt ergo in lumen verum filii tenebrarum, et utentes faculis atque lanternis

non evaserunt infidelitatis suae noctem, quia non intellexerunt lucis auctorem. Occupant paratum

teneri, et trahunt volentem trahi: qui si vellet obniti, nihil quidem in iniuriam eius impiae manus

possent, sed mundi redemptio tardaretur, et nullum salvaret illaesus, qui pro omnium salute erat

moriturus.

2. Sinens igitur inferri sibi quidquid sacerdotum incitamentis furor popularis audebat, ad

Annam Caiphae socerum, ac deinde ad Caipham ex Annae transmissione perducitur: et post

insanas calumniantium obiectiones, post commentitias subornatorum testium falsitates, ad

audientiam Pilati pontificum delegatione transfertur. Qui, divino iure neglecto, clamantes 'se

regem non habere nisi Caesarem' (1), tamquam Romanis devoti legibus, ormne iudicium potestati

praesidis reservassent, expetierunt exsecutorem magis saevitiae quam arbitrum causae.

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Offerebant enim lesum duris nexibus vinctum, sputis oblitum, colaphis et alapis frequentibus cae-

------------------ 1) Cfr. Jo.19,15

sum, clamoribus predamnatum, ut inter tot praeiudicia quem omnes vellent perire, non auderet

Pilatus absolvere. Denique nec in accusato eum reperisse culpam, nec in sententia sua tenuisse

constantiam, docet ipsa cognitio: in qua iudex, quem innocentem pronuntiat, damnat, addicens

iniquo populo sanguinem iusti, a quo abstinendum sibi, et intellectu proprio senserat, et somnio

uxoris noverat. Non purgant contaminatum animum manus lotae, nec in aspersis aqua digitis

expiatur quod famulante impia mente committitur. Excessit quidem Pilati cuipam facinus

ludaeorum, qui illum nomine Caesaris territum et invidiosis vocibus increpatum, ad effectum sui

sceleris impulerunt. Sed nec ipse evasit reatum, qui cooperatus seditiosis, reliquit iudicium pro-

prium, et in crimen transivit alienum.

3 Quod ergo Pilatus, dilectissimi, implacabilis populi victus insania, multis lesum dehonestari

ludibriis, et immodicis vexari permisit iniuriis, quodque eum flagellis caesum, spinis coronatum, et

amictu irrisoriae vestis indutum, scribarum et sacerdotum ostentavit aspectui, mitigandos

proculdubio inimicorum animos existimavit: ut exsaturatis invidiae odiis, non ultra iam crederent

persequendum, quem tot modis intuebantur afflictum. Sed cum inardesceret ira clamantium, ut

Barabbam indulgentia relaxaret, et lesum crucis poena susciperet; cum consono fremitu diceretur

a turbis: “Sanguis eius super nos et super filios nostros” (1); obti-nuerunt iniqui in damnationem

suam quod pertinaciter exigebant: quorum dentes, sicut propheta testatus est, “arma erant et

sagittae, et linguae eorum gladius acutus” (2). frustra enim a crucifigendo maiestatis Domino

manus propria continebant, et in quem lethalia vocura spicula, et venenata verborum tela iace-

bant. Vobis, vobis, falsi ludaei, et sacrilegi principes populi, totum facinoris istius pondus incumbit:

et licet immanitas sceleris et praesidem obligarit, et milites, omnis tamen facti summa vos arguit.

Et quidquid in supplicio Christi vel Pilati peccavit iudicium, vel cohortis obsequium, hoc vos facit

humani generis odio digniores: quia vestri furoris impulsu nec illis innocentes esse licuit, quibus

iniquitas vestra non pilacuit.

4. Traditus itaque Dominus saevientium voluntati, ad irrisionem regiae dignitatis, supplicii sui

iussus est esse gestatori ut impleretur quod Isaias propheta praeviderat, dicens dicens: “Ecce na-

45

-------------------------- 1) Mt.27,25.;

2) Ps. 56. 5; 3) Is. 1,9.

tus est puer, et datus est nobis filius, cuius imperium super humeros eius” (3). Cum ergo Dominus

lignum portaret crucis, quod in sceptrum sibi converteret potestatis, erat quidem hoc apud

impiorum oculos grande ludibrium, sed manifestabatur fidelibus grande mysterium: quia

gloriosissimus diaboli Victor, et inimicarum virtutum potentissimus debellator, pulchra specie

triumphi sui portabat trophaeum; et inimicae pati-entiae humeris, signum salutis, adorandum

regnis omnibus inferebat; tamquam et tunc ipsa operis sui imagine omnes imitatores suos

confirmaret et diceret: “Qui non accipit crucem suam, et sequitur me, non est me dignus” (1).

5. Euntibus autem cum Iesu turbis ad locum poenae, Simon quidam Cyrenaeus inventus est, in

quem lignum crucis transferretur a Domino: ut etiam tali facto praesignaretur gentium fides,

quibus crux Christi non confusio erat futura, sed gloria, Non ergo fortuitum, sed figuratum et

mysticum fuit, ut Iudaeis in Christum saevientibus, ad compatiendum ei peregrinus occurreret,

dicente Apostolo: “Si compatimur, et conregrabimur” (2): ut sacra-tissimo Salvatoris opprobrio, non

Hebraeus quisquam, nec Israelita, sed alienigena sub-deretur. Per hanc enim translationem, a

circumcisione ad praeputium, a filiis carnalibus ad filios spirituales, immaculati agni propitiatio, et

omnium sacramentorum plenitudo transibat. Siquidem “Pascha nostrum, ut ait Apostolus, immo-

latus est Christum” (3): qui se novum et verum reconciliationis sacrificium offerens Patri, non in

templo, cuius era finita reverentia, nec intra septa civitatis ob meritum sui sceleris diruendae, sed

foris et extra castra crucifixus est, ut veterum victimarum cessante mysterio, nova hostia, novo

imponeretur altari , et crux Christi non templi esset ara, sed mundi.

6.Exaltatus igitur, dilectissimi, per Crucem Christo, non illa tantum epecies aspectui mentis

occurrat, quae fuit in oculis impiorum, quibus per Mosen dictum est: “Et erit pen- dens vita tua

ante oculos tuos et timebis die ac nocte, et non credes vitae tuae” (4). Isti enim nihil in crucifixo

Domino praeter facinus suum cogitare potuerunt, habentes timorem, non quo fides vera

iustificatur, sed quo conscientia iniqua torquetur. Noster vero intellectus, quem Spiritus veritatis

illuminat, gloriam Crucis caelo terraque radiantem puro ac libero corde suscipiat, et interiore acie

videat, quale sit, quod Dominus cum de passionis suae loqueretur in stantia, dixit “Venit hora ut-

46

--------------------- 1) Mt. 10,38 2) Rom.8,17 .3) I Cor.5,7.

4) Deut.28,66. 5)Jo.12,23.

clarificetur Filius hominis” (5); et infra: “Nunc, inquit turbata est anima mea, et quid dicam? Pater,

salva me ex hac hora. Sed propterea veni in hanc horam. Pater, clarifica Filium tuum”; et cum vox

Patris venisse ecaelo dicens: "Et clarificavi, et iterum clarificabo”. R'espondens Iesus cir-

cumstantibus, dixit: “Non propter me vox haec facta est, sed proporr vos. Nune iudicium mundi

est, nunc princeps huius mundi eiicietur foras. Et ego si exaltatus fuero a terra, omnia traham ad

me ipsum” (1).

7. 0 admirabilis potentia Crucis! o ineffabilis gloria Passionis: in qua tribunal Domini et iudicium

mundi, et potestas est crucifixi. Traxisti enim, Domine, omnia ad te, et cum expandisses tota die

manus tuas ad populum non credentem et contradicen tem tibi, con- fitendae maiestatis tuae

sensum totum mundum aceepit. Traxisti, Domine, omnia ad te, cum in exsecrationem Iudaici

sceleris, unam protulerunt omnia elementa sententiam, cum obscuratis luminaribus caeli, et

converso in noctem die, terra quoque motibus quateretur insolitis, universaque creatura impiorum

usui se negaret. Traxisti, Domine, omnia ad te, quoniam scisso templi velo, sancta sanctorum ab

indignis pontificibus recesserunt: ut figura in veritatem, prophetia in manifestationem, et lex in

evangelium verteretur. Traxisti, Domine, omnia ad te, ut quod in uno Iudaeae templo obumbratis

significationibus agebatur, pieno apertoque sacramento, universarum ubique nationum devotio

celebraret. Nunc etenim et ordo clarior levitarum, et dignitas amplior seniorum, et sacratior est

unctio sacerdotum: quia crux tua omnium fons benedictionum, omnium est causa gratiarurn: per

quam credentibus datur virtus de infimitate, gloria de oppobrio, vita de morte. Nunc etiam

carnalium sacrificiorum varietate cessante, omnes differentias hostiarum, una corporis et

sanguinis tui implet oblatio: quoniam tu es verus “Agnus Dei, qui tollis peccata mundi” (2); et ita in

te universa perficis mysteria, ut sicut unus est pro ormi victima sacrificium, ita unum de omni gente

sit regnum.

8. Confiteamur igitur, dilectissimi, quod beatus magister gentium Paulus apostolus gloriosa voce

confessus est, dicens: “Fidelis sermo et omni acceptione dignus, quia Christus Iesus venit in

47

---------------------- 1) Ibid. 27 ss;

2) Jo.1,29.

3) I Tim. 1,15.

hunc mundum peccatores salvos facere” (3). Hinc enim mirabilior est erga nos mise-ricordia Dei,

quod non pro iustis, neque pro sanctis, sed pro iniquis et impiis Christus est mortuus: et cum

mortis aculeum recipere non posset natura deitatis, suscepit tamen, nascendo ex nobis, quod

posset offerre pro nobis, Olim enim morti nostrae mortis suae potentia minabatur, dicens per

Oseam prophetam: “0 mors, ero mors tua, et ero morsus tuus, inferne” (1). Leges enim inferni

moriendo subìit, sed resurgendo dissolviti et ita perpetuitatem mortis incidit, ut eam de aeterna

faceret temporalem. “Sicut enim omnes in Adam moriuntur, ita et in Christo omnes vivificabuntur”

(2). Fiat itaque, dilectissimi, quod apostolus Paulus ait: “Ut qui vivunt, iam non sibi vivant, sed ei

qui pro omnibus mortuus est et resurrexit” (3); et quia vetera transierunt, et facta sunt omnia nova,

nemo in carnalis vitae vetustate remaneat, sed omnes de die in diem proficiendo, per pietatis

augmenta renovemur. Quantumlibet enim quisque iustificatus sit, habet tamen, dum in hac vita

est, quo probatior esse non possit et melior. Qui autem non proficit, deficit; et qui nihil acquirit,

nonnihil perdit. Currendum ergo nobis est fidei gressibus, misericordiae operibus, amore iustitiae,

ut diem redemptionis nostrae spiritualiter celebrantes, “non in fermento veteri malitiae et

nequitiae, sed in azymis sinceritatis et veritatis” (4), resurrectionis Christi mereamur esse

participes, qui cum Patre et Spiritu Sancto vivit et regnat in saecula saeculorum. Amen.

---------------------------------

48

1) Osea 13,14.

2) I Cor.15, 22.

3) II Cor. 5,15.

4) I Cor.5,8.

PARTE SECONDA I P E R S O N A G G I

Sommario

sezione prima I PROTAGONISTI Gesù il Diavolo

sezione seconda GLI STRUMENTI Giuda Autorità religiose Pilato

sezione terza PERSONAGGI SECONDARI Apostoli Pietro

49

PARTE SECONDA

sezione prima I PROTAGONISTI

G E S Ù ' sommario Gesù e Dio

Gesù e l'Uomo

Gesù e il Diavolo

Dei namque Filius secundum plenitudinem temporis,

quam divini consilii inscrutabiils altitudo disposuit,

reconciliandam auctori suo naturam generis assumpsit humani,

ut inventor mortis diabolus,

per ipsam quam vicerat vinceretur.

In quo conflictu pro nobis inito,

magno et mirabili aequitatis iure certatum est:

dum Omnipotens Dominus cum saevissimo hoste,

non in sua maiestate,

sed in nostra congreditur humilitate,

obiiciens ei eamdem formam,

eamdemque naturam,

50

mortalitatis quidem nostrae participem

sed peccati totius expertem.

(Sermo XXI,2; SC. 22bis ,68.) Capo primo

GESU’ E DIO

Nell'economia del dramma della Passione il personaggio Gesù ha un ruolo tutto

speciale: sembra essere la vittima, ed è l'attore principale; sembra essere lo sconfitto, ed è il

trionfatore; sembra che subisca l'azione altrui, ma egli tutto dispone e preordina al conseguimento

del fine che si è proposto: tutto serve a lui. Queste apparenti antinomie si spiegano guardando alla

sua Persona. Appare uomo, ma non è solo uomo, pur essendo perfettamente uomo e uomo

perfettissimo nella completezza della sua natura umana.

Ma non è solo uomo. La totalità del suo essere non si esaurisce nella sua umanità: vi è

qualche cosa che la trascende: la Divinità. Non si tratta di un uomo che agisce, e neppure solo di

un Dio, ma di un Dio-Uomo.

E' necessario, quindi, credere che in Lui vi è vera Divinità e vera Umanità; che ha in

comune con in Padre la natura divina, e con la Madre quella umana; che come Dio non è soggetto

alla sofferenza, e come uomo soffre e muore; infine che le due nature, l'umana e la divina, sono

una sola Persona (1).

Queste antinomie sono il risultato a la conseguenza dell'Unione vera e reale della Divinità con la

nostra natura corruttibile e passibile verificatasi nella persona del Verbo (2). ---------------------------------------------- 1) Cfr. Sermo LXIX,3; SC. 74, 112 : Vera in Christo deitas et vera credatur humanitas. ipse est caro qui Verbum, et sicut unius cum Patre substantiae, ita unius cum matre naturae. Non geminatus persona, non confusus essentia; potestate impassibilis, humilitate mortalis; sed utraque sic utens, ut et virtus glo-ificaree posset infirmitatem, et infirmitas non valeret obscurare virtutem; e Sermo LXII, 2; SC. 74, 75: Christianae igitur fidei certitudo... unum Dominum lesum Christum, et verum Deum, et verum hominem confitetur; eumdem credens filium Virginis, qui auctor est matris; eumdem natum in fine saeculorum, qui creator est temporum; eumdem Dominum omnium virtutum, et unum de stirpe mortalium... e ancora:

51

Sermo LXX,3; SC. 74, 118 e Sermo LXV,4; SC. 74, 88: ...in uno Domino nostro Iesu Christo.. .confitemur divinam de Patre naturam, humanam de matre substantiam, licet Dei Verbi et carnis una persona sit, et utraque essentia communes habeat actiones, intelligendae tamen sunt ipsorum operum qualitates... 2) Cfr. Sermo LXIII, 3; SC. 74,80: Non ergo est dubium, dilectissimi, naturare, humanam in tantam connexionem a Filio Dei esse susceptam ut non solum in ilio homine qui est primogenitus totius creaturae, sed etiam in omnibus sanctis, unus idemque sit Christus... e Sermo LIV,1;SC. 74, 32.

Essa non è il risultato di una mescolanza per la quale la sostanza divina e la natura umana

perdono delle loro proprietà per assumerne altre nuove. Le due nature perseverano inconfuse,

ma unite. Questa unione è perpetua e mai è venuta meno: Dio non abbandona la natura umana

nella Passione; la natura umana non rende Dio passibile. Dio è presente nell'umanità che soffre,

ma Dio non soffre (1).

Conseguentemente le azioni di Gesù sono azioni di Dio e dell'uomo, cioè dello stesso essere

umano-divino che è inconfuso, ma anche indiviso (2). Quali azioni siano proprie di Dio e quali

proprie dell'uomo si arguisce dalle azioni stesse, dal momento che la natura umana non pregiudica

in nulla la Divinità, e viceversa, ma e l'una e l'altra concorrono allo stesso scopo; la redenzione del

genere umano (3).

Conseguentemente la natura umana del Cristo soffre e muore. E questa sofferenza e questa

morte può redimere l'uomo perché quella natura umana è unita alla persona del Verbo, La

sofferenza di Cristo è vera e reale: soffre e muore realmente Gesù e non un fantasma al suo

posto; ma non è la persona del Verbo - la Divinità - a soffrire e a morire, come volevano fra gli altri

eretici i Manichei, e che il Nostro definisce pittorescamente: “phantastici Cristiani”'(4). -----------------------------------

1) Cfr. Sermo LXVIII, 1; SC. 74, 116: Manente enim in sua proprietate utraque substantia, nec Deus dereliquit sui corporis passionem, nec Deum fecit caro passibilem; quia Divinitas quae erat in dolente non erat in dolore. Unde secundum Verbi hominis que personam, idem est qui factus est inter omnia, et per quem facta sunt omnia. Idem est qui impiorum minibus comprehenditur, et qui nullo fine concluditur. Idem est qui clavis transfigitur et qui nullo vulnere sauciatur. Idem postremo est qui mortem subiit, et sempiternus esse non desiit, ut utrumque signis non dubiis manifestetur quod vera sit in Christo humilitas, et vera maiestas... 2) Qfr. Sermo LXV,1; SC. 74, 90: Quamvis ergo ab illo initio, quo in utero Virginis “Verbum caro factum es”', nihil umquam inter divinam humanamque substantiam divisionis extiterit, et per omnia incrementa corporea unius personae fuerint totius temporis actiones, ea ipsa tamen quae inseparabiliter facta sunt nulla permixtione confundimus.

3) Cfr. Ibidem.: ...sed cuius naturae sit ex operum qualitate sentimus; nec divina enim humanis praeiudi- icant, nec humana divinis, cum ita in idipsum utraque concurrant, ut in ea nec proprietas absumatur, nec persona geminetur. Cfr. inoltre la nota n.2 della pagina precedente: Idem est qui clavis transigitur, et qui nullo vulnere sauciatur... ut utrumque signis

52

non dubiis manifestetur quod vera sit in Christo humilitas et vera maiestas: quia ideo suae humanae infirmitati virtus divina conseruit, ut, dum Deus sua facit esse quae nostra sunt, nostra faceret esse quae sua sunt... 4) Cfr. Sermo LLXV, 1; SC. 74, 90: Qui enim Dei Filium veram nostrae carnis negant suscepisse naturam, inimici sunt fidei christianae, et evangelicam praedicationem nimis imprudenter impugnant: ut secundum ipsos crux Christi aut simulatio fuerit phantasmatis, aut supplicium Deitatis.

Quale è dunque il risultato dell'Incarnazione per la natura umana? Un' elevazione

dell'umanità fino alla Divinità senza però che essa diventi Dio. Per la Divinità è un abbassamento

fino all'uomo, senza che per altro essa ne soffra detrimento (1).

Bisogna perciò confessare che Gesù è vero Dio e nello stesso tempo è vero Uo-mo,

figlio di Dio e di una Donna, eterno e nel tempo, senza peccato e ne subisce le conseguenze,

perché le ha liberamente accettate (2).

La debolezza dell'uomo non deve farci dimenticare la potenza di Dio, ma neanche farci dubi-tare

della realtà della sofferenza del l'Uomo-Dio le quali, perché non convenienti alla Divinità, sarebbero

quasi meno vere. Proprio perché la Divinità non poteva subire diminuzione alcuna fu accettata

l'umiliazione.

Tutto ciò che l'umanità avrebbe dovuto sopportare non poteva recare pregiudizio alla

Divinità (3). E' quindi possibile a Dio intraprendere la sua opera di misericordia a favore dell'uomo.

Questa sarà insieme opera di Dio e dell'Uomo (4).

--------------------- 1) Cfr. Sermo LXIV, 4; SC. 74, 88: ...licet Dei Verbi et carnis una persona sit, et utraque essentia communes habeat actiones intellegendae tamen sunt ipsorum operum qualitates, et sincerae fidei contemplatione cernendum est ad quae provehatur humilitas infirmitatis, et ad quae inclinetur altitudo virtutis; quid sit quod caro sine Verbo non agit, et quid sit quod Verbum sine carne non efficit. Cfr. àncora Sermo LII, 2; SC. 74, 25.

2) Cfr.Sermo LXII, 2; SC. 74, 74: ...per auctoritatem apostolicaam institutionis accepimus, Dominum nostrum lesum Christum quem Filium Dei Patris omnipotentis unicum dicimus, eumdem quoque de Spiritu Sancto natum ex Maria Virgine confitemur; nec ab eiusedm maiestate dicedimus, cum ipsum crucifixum et mortuum, et die tertio credimus suscitatum. Omnia enim quae Dei sunt, et quae hominis, simul et humanitas explevit et Deitas: ut dum passibili impassibilis inest, nec virtus in infimitate affici, nec infirmitas possit in virtute superari. Cfr. ancora Sermo L X I V , 2; SC. 74, 86.

3) Cfr. Semo LII, 2; SC. 74, 23: ...in toto ordine dominicae Passionis, non ita infirmitatem consideremus humanam, ut arbitremus illic potentiam defuisse divinam: neque illam ita coaeternam et aequalem Patri formam Unigeniti cogitemus, ut putemus non fuisse

53

vera quae Deo videntur indigna. Prorsus utraque natura unus est Christus: nec Verbum ibi ab homine disiunctum, nec homo est dissociatus a Verbo. Non est fastidita humilitas, quia nec imminuta maiestas.

4) Cfr. Ibidem: Nihil nocuit naturae inviolabili, quod passibili oportebat inferri: totumque illud sacramentum,quod simul et humanitas consummavit et Deitas, dispensatio fuit misericordiae, et actio pietatis.

Capo secondo GESÙ' E L'UOMO

Stabilite le relazioni intercorrenti tra Gesù e Dio -unità di natura con Dio- abbiamo di

conseguenza affermato anche la comunanza di natura tra Gesù e l'uomo.

È Dio per la persona del Verbo che assume la natura umana, è uomo per la natura umana

assunta dal Verbo.

Abbiamo quindi un primo rapporto tra Gesù e l'uomo, fondato sulla comunanza di

natura. Da ciò si può trarre una prima conclusione: il Verbo assumendo quella determinata natura

umana in potenza ha unito a sé tutta l'umanità. E in modo speciale ha unito a sé tutti quelli che

partecipano effettivamente della redenzione da lui operata, e sono uniti a lui con il vincolo della

carità (1). In forza di questa unione il cristiano è colui il quale diventa partecipe, mediante il

battesimo, della natura di Dio (2).

Questa comunanza di natura non è postulata per ovvie ragioni né da Dio, né dal-

l'uomo. Non da Dio, altrimenti egli sarebbe risultato incompleto, non avendo in sé tutte le perfe-

zioni. D'altra parte non poteva essere postulata necessariamente dall’uomo, perché Dio lo

trascende infinitamente.

Dal fatto che c'è stata, e che non poteva essere postulata, si deve dedurre solo che essa è un

dono di Dio. Se dono, è opera di misericordia e non di giustizia, altrimenti non sarebbe più un

dono. Se opera di misericordia, non poteva procedere che da Dio, dal momento che è il superiore

a far doni all'inferiore, il creditore a usare misericordia al debitore. Solo per misericordia, quindi,

Dio si è fatto Uomo (3).

54

-------------

1) Cfr. Sermo L X I I I , 3 ; SC. 74, 80: testo a pag.67 nota 1.

2) Cfr. Sermo XXI,3; SC 22bis, 72: Adepti participationem generationis Christi...et divinae consors factus naturae... 3) Cfr. Sermo LIV,1; SC. 74, 41: .summum hoc et potentissimum divinae misericordiae sacramentum; e Sermo LXIX,4; SC. 74, 113; Sermo LXVI, 1; SC. 74, 94.

Essa, nei disegni divini, non ha limiti. Tutti, volendo, possono approfittarne. Anche chi

sembrerebbe meritarla di meno, anche i carnefici (1), anche Giuda. E se questi non ne approfit-

tarono fu solo perché non vollero, avendo preferito restare nel loro peccato anziché umiliarsi

davanti a Dio, preferirono servire al Diavolo anziché a Dio.

Ciò vale in modo speciale per Giuda (2) che, avendo avuto fretta nell'essere a sé stesso

giudice della sua empietà, divenne esecutore della sua stessa sentenza (3).

Neppure i carnefici di Gesù avrebbero potuto sfuggire alla Misericordia che pregava il Padre in

loro favore, scusandoli per la loro ignoranza (4).

Questa misericordia è il presupposto di un efficace, segreto disegno di dio tendente a

redimere l'uomo dal peccato e dalla schiavitù del diavolo. E' quindi conseguenza della benignità di

Dio, e sarà portato a termine mediante la sofferenza di Gesù Uomo-Dio.

I modi prescelti per metterlo in atto possono essere così schematizzati;

a) INCARNAZIONE, come condizione di Redenzione;

b) PASSIONE, come mezzo di Redenzione;

c) MORTE, come sorgente di nuova vita.

----------------------- 1 Cfr. Sermo LII, 5; SC. 74, 25.

2) Cfr. Sermo LXII, 4; SC. 74, 76: Ad hanc indulgentiam traditor Iudas pervenire non potuit; quotiamo perditionis filius cui diabolus stabat a dextris, prius in desperationem transiit, quam sacramentum ge- neralis redemptionis Christus impleret. Nam, mortuo pro omnibus impiis Domino, potuisset etiam forte hic consequi remedium, si non festinasset ad laqueum. e Sermo LII, 5,; SC.74, 25; Sermo LX, 3; SC. 74, 66: impius ludas maluit minister esse diaboli, quam apostolus Christi..

3) Cfr. Sermo L X I I , 3; SC. 74, 76-77: ... impius traditor, insurrexit in semetipsum, non iudicio paenitentis, sed furore pereuntis; ut qui vitae auctorem interfectoribus vendidisset, in augmentum damnationis suae etiam moriendo peccaret, Sermo LIV,3; SC. 74, 33: ...iniquitatem...in tuum verticem retorsisti: ut quia facinus tuum omnem mensuram ultionis excesserat, te haberet impietas tua iudicem, te pateretur tua paena carnificem.

4) Cfr. Sermo LXII, 3; SC. 74, 75-76: Cuius etiam circa interfectores suos tanta erat pietatis affectio, ut de cruce supplicans Patri, non se vindicari, sed illis postularet ignosci.

55

a) Incarnazione - condizione di redenzione:

Il fine dell'Incarnazione è l'abolizione della macchia di origine in forza della quale tutti

gli uomini sono costituiti sotto la potestà del Diavolo. Essa, commessa da un solo uomo, Adamo,

è passata a tutta la sua discendenza. La riconciliazione dell’umanità con Dio ha come presup-

posto, ammesso il piano divino di redimere l'umanità mediante la morte di Gesù, l'Incarnazione (1).

Il conseguimento di questo fine non è immediato, cioè l'Incarnazione per sé stessa non

opera la riconciliazione dell'uomo con Dio, tuttavia non va considerata isolata da tutto il contesto

suo che è la totalità del divino disegno di Redenzione.

E' vero che la riconciliazione è operata mediante la morte di Gesù, ma l'Incarnazione resta la con-

dizione mediante la quale è reso possibile l'effettuarsi del disegno divino in tutta la sua totalità (2).

Vista, quindi, nella totalità dèi piano divino l'Incarnazione contiene già realmente ed opera la

redenzione, perché è l'alba della salvezza (3), e come tale agisce non solo nel tempo presente, ma

in ogni tempo (4)

Spirito eminentemente pratico il Nostro non esamina i vari possibili, come faranno in

seguito tanti altri teologi, ma parte dal dato di fatto e cerca di darne i motivi. Dato di fatto è che c'è

stato il peccato, e che il Verbo si è fatto carne,e si è fatto carne per redimere l'uomo. Su questi

dati certi egli insiste.

-------------------------- 1) Cfr. Sermo XXI,1; SC.22bis, 8: Dei namque Filius secundum pienitudinem temporis... reconciliandam auctori suo naturam gene-ris assumpsit humani... cfr. ibidem 2, 70:... et ad dependendum nostrae conditionis debitum, natura inviolabilis naturae est unita passibili...

2) Cfr. Sermo LII,1; SC. 74, 22-23 : Post illam namque humanae praevaricationis primam et universalem ruinam... nemo tetram diaboli dominationem... evaderet... nisi coaeternus et coaequalis Patri Deo Filius Dei etiam filius hominis esse dignaretur... Sermo XXXVII,1; SC.22bis, 276: ...nisi in unum tanta diversitas conveniret, reconciliari Deo humana natura non posset.

56

3) Cfr. Sermo XXII,1; SC.2bis, 75: ...illuxit nobi dies redempitionis novae, praeparationis antiquae, felicitatis aeternae.

4)Cfr. Sermo LII, 1; SC. 74t 23 : Non enim quia secundum inscrutabile propositum sapientiae Dei novissimis temporibus "Verbum

caro factum est", ideo salutiferae Virginis partus,ex tremi tantum temporis generationibus profuit, et non se etiam in praeteritas refudit aetates

Né occorre una lunga analisi di testi per convincersi di ciò:

“E' certo che dopo la prima e universale caduta della umanità prevaricatrice con la quale "per opera di un solo uomo il peccato entrò nel mondo e attraverso il peccato la morte; così la morte passò su tutti gli uomini, perché tutti peccarono" (Rom.5,12), nessuno avrebbe sfuggito le tenebre della dominazione diabolica e i ceppi crudeli della schiavitù; né ad alcuno sarebbe stato accordato il perdono della riconciliazione, né aperto il ritorno alla vita, se il Figlio di Dio, coeterno e uguale a Dio Padre, non si fosse degna di essere anche figlio dell'uomo, affinché venendo, ricercasse e conducesse a salvezza la creatura che si era smarrita. Come per Adamo si ebbe la morte, così per Gesù Cristo, nostro Signore, doveva aversi la risurrezione dei morti” (1).

Ed ancora:

“Se il Verbo non si fosse fatto carne e non fosse intervenuta una stretta unione tra le due nature, per cui neppure nel breve tempo della morte la natura umana assunta si

separò dall'assumente, gli uomini mortali non avrebbero mai potuto far ritorno

all'eternità” (2).

Il pensiero dell'Autore sembra abbastanza chiaro. Tanto più se si confrontano i testi citati con i

discorsi sulla Natività in cui ritorna esplicitamente su questo problema, ed altrettanto

esplicitamente dice che l'Incarnazione ha avuto come unico motivo la redenzione dell'uomo dal

peccato (3) .La redenzione non deve essere solo un atto di benignità da parte dell'onnipotenza

divina, ma deve soddisfare anche la divina giustizia. Infatti se la redenzione fosse stata solo un

atto di benignità, la Incarnazione non sarebbe stata necessaria,essendo sufficiente il solo atto di

benignità per cui non veniva imputata all’uomo la sua colpa

Ciò, anche se fosse stato conveniente per la bontà di Dio, non lo sarebbe stato per la sua

------------------

2) Ibidem 22-23; EP.72: Post illam namque humanae praevaricationis primam iet universalem ruinam, ex qua 'per unum hominem peccatum introivit in hunc mundum, et per peccatum mors, et ita in omnes homines pertransiit, in quo omnes peccaverunt'; nemo tetram diaboli dominationem, nemo vincula dirae captivitatis evaderet; nec cuiquam aut reconciliatio ad veniam, aut reditus pateret ad vitam, nisi coaeternus et co aequalis Patri Deo Filius Dei etiam hominis filius esse dignaretur, veniens quaerere et salvare quod perierat: ut sicut per Adam mors, ita per Dominum nostrum lesum Christum esset resurrectio mortuorum. 3) Sermo LXX, 3; SC. 74, 118; EP. 217-18: Nisi enim Verbum caro fieret, et tam solida consisteret unitas in utraque natura, ut a

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suscipiente susceptam, nec ipsum breve mortis tempus abiungeret, numqqam valeret ad aeternitatem redire mortalitas*.3)Cfr. Sermo XXI, 1; SC. 21bis, 68: Dei namque Filius secundum plenitudinem temporis reconciliandam auctori suo naturam generis assuppsit humani... e Ibidem 2, 70.

giustizia, e neanche l'uomo sarebbe stato veramente redento. Era necessario quindi che l'uomo,

come liberamente aveva voluto e accettato il peccato, altrettanto liberamente accettasse la sua

redenzione dal peccato.

“D'altra parte se la sola natura dei mortali avesse promosso la causa dell,umanità errante, essa non si sarebbe potuta spogliare in precedenza della condizione, che gli era propria di peccatrice, non essendo aliena dalla comune stirpe. Perciò fu necessario che nell'unica persona di Gesù Cristo, nostro Signore, si unissero la natura divina e quella umana, cosicché l'uomo nuovo, mediante l'Incarnazione del Verbo, sia a motivo della sua costitu- zione, sia in grazia della sua passione, portas-se soccorso alla nostra mortalità” (1).

----------------------------------

1) Sermo LVI, 1; SC. 74, 42; 3P. 99-100: lustus enim et miserieors Deus, non sic iure suae voluntatis est usus, ut ad reparationem nostram, solam potentiam benignitatis exereret; sed quia consequens fuerat ut homo faciens peccatum servus esset peccati, sic medicina aegris, sic reconciliatio reis, sic redemptio est impensa captivis, ut condemnationis iusta sententia iusto liberatoris opere solveretur. Nam si pro peccatoribus sola se opponeret Deitas, non tam ratio diabolum vinceret quam p o t estas. Et rursum, si causa lapsorum sola ageret natura mortalium, non exueretur a conditione, quae libera non esset a genere. Unde oportuit in unum Dominum nostrum Iesum Christum et divinam et humanam convenire substantiam, ut mortalitati nostrae per Verbum camera factum

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et origo novi hominis subveniret et passio.

b) Passione - mezzo di redenzione:

La redenzione dell'uomo è operata efficacemente e totalmente nella Passione. In essa

trova la sua piena giustificazione l'Incarnazione, perché solo mediante essa viene ope-rata la re-

denzione come liberazione dell'uomo dal dominio del peccato (1).

Perché la Passione fosse veramente efficace era necessario però che

1) Colui che doveva liberare gli altri dal potere del peccato e del diavolo, per nessun mo-

tivo potesse essergli soggetto: cioè e s e n t e d a l p e c c a t o ;

2) liberamente accettasse le conseguenze del peccato.

1) Esente dal peccato:

L'Autore riafferma continuamente questa necessità. Nessuno altrimenti avrebbe potuto sottrarsi al

potere del diavolo, e non si sarebbe avuto la distruzione del 'diritto' che il diavolo vantava ull'uomo

(1) . Di fatto Gesù non è soggetto a questo dominio perché Dio, e come tale non può ammettere in

sé il peccato (2).

2) Ne accetta le conseguenze:

Esente dal dominio dèi peccato, di esso accetta liberamente tutte le conseguenze, non costitu-

endo esse il peccato e quindi non sono in contraddizione con la sua divinità. Le accetta per

servirsene nella sua opera di distruzione del peccato (3),

-------------------------------------- 1) Oltre la nota precedente cfr.Sermo LV,1; SC. 74, 37: Passio...Christi salutis nostrae continet sacramentum... Sermo LII, 2;SC. 74, 24: ...nisi per hanc opem non possemus absolvi... Nos tanto redimimur praetio, nos tanto curamur impendio... Sermo LXIII, 4; SC. 74, 80: ... nemo posset laqueis mortalitatis absolvi, nisi ille, in quo solo innocens erat natura omnium, sineret se interfici manibus impiorum...Sermo LXVI, 3; SC. 74, 96. 2) Oltre alla nota precedente cfr.Sermo LXIV,2; SC. 74, 86 e Sermo LII,1; SC. 74, 22-23.

3) Sermo LXV, 2; SC. 74, 91: Cuius utique inanis fuisset species, et nulli profutura imago tolerantiae, nisi vera Divinitas veris se humanis sensibus induisset: ut unus Dei atque hominis Filius, aliunde intemerabilis, aliunde passibilis, mortale nostrum per suum immortale renovaret. cfr. Sermo LXII, 2; SC. 74, 75.

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3) Cfr. Sermo LXIII, 4; SC. 74, 80: Omnes enim infirmitates nostras, quae veniunt de peccato, absque peccati

communione suscepit...

Ed in tanto potevano giovare alla redenzione umana queste sofferenze, in quanto quella umanità

che le sopportava era libera totalmente dal peccato (1)

Inoltre in tanto può estendere la sua vittoria sul peccato, conseguita attraverso la sofferenza

ingiustamente patita, alla natura umana nella sua totalità, in quanto, l’ha assunta come strumento

della sua vittoria. Perciò Egli estende anche allo strumento la stessa vittoria, in quanto è un ito

intimi mante a sé. E per esso l'estende a tutti quelli che partecipano della stessa natura umana (2).

c) Morte - fonte di vita:

Sia l'Incarnazione, sia la Passione sono ordinate, nei piani di Dio, alla Morte redentrice di

Gesù. Perché solo attraverso questa la restaurazione della primitiva giustizia, la vittoria sulla

morte e sul peccato, potevano essere totali. E solo attraverso quest'unica morte tutti gli altri uomini

avrebbero avuto il potere di essere sciolti dalla necessità della morte (3).

Dalla morte, quindi, la vita. La morte del Giusto, avvenuta per mano degli ingiusti, è il

prezzo dovuto perché essi fossero riconciliati conla Giustizia ( 4 ) . La sua morte dovrà necessa-

riamente cambiarsi in trionfo.

-------------------

1) Cfr. Sermo LVI, 3; SC. 74, 44: ...quia natura, quae in nobis rea semper fuerat atque captiva, in ilio innocens patiebatur et libera... cfr. Sermo LXIII ,4; SC. 74, 80

2) Cfr. Sermo LXIV, 3; SC. 74, 87-88: ...et quia unus est mediator Dei et hominum homo Christus lesus, per communio-nem sui generis, ad pacem pervenit Deitatis, liberum habens de eius potentia gloriar!, qui contra hostem superbum in carnis nostrae infimitate congressus, iis victoriam suam tribuit, in quorum corpore triumphavit.

3) Cfr. Sermo LXIII, 4; SC. 74, 80: .. nemo posset laqueis mortalitatis absolvi, nisi ille, in quo solo innonocens erat natura

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omnium, sineret se interfici manibus impiorum.

4) Cfr. Sermo LXII, 3; SC. 74 ,75: Fudit sanguinem iustum, qui reconciliando mundo et pretium esset et poculum.

La giustizia violata postula la restaurazione dell'ordine. Chi ha patito ingiustamente la morte ha

diritto alla Vita. Ad una vita che non dovrà sottostare alle leggi della morte e della corruzione,

eterna quindi. E vita eterna non solo per sé, ma anche per tutti quelli nella natura dei quali ha

ingiustamente subito la morte e l'ha vinta. Anche per essi, infatti, ha vinto la morte, avendola vinta

nella loro carne.

Inizia così una nuova vita per tutta l’umanità (1) .

------------------------------

1) Cfr. Sermo LXIX, 4; SC. 74, 114: Victi sunt errores, subactae sunt potestates, accepit novum mundus exordium: ut

damnata generatio non obesset, quibus salvandis regéneratio subveni ret. Transierunt vetera, et ecce facta sunt

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omnia nova; univer- sorum enim in Christo credentium et in sancto Spiritu renatorum per ipsum et cum ipso una est

passionis societas et resurrectionis aeternitas...

Capo terzo

GESÙ’ E IL DIAVOLO

Dopo aver affermato che Gesù è Dio e quindi che è uguale a Dio e che nello stesso

tempo è anche uomo con il quale ha in comune tutto ciò che è compatibile con la sua Divinità:

esente dal peccato, pur accettandone le conseguenze per redimere mediante esse l'uomo, si

afferma anche ciò che viene a stabilire un rapporto tra lui e il Diavolo:

a) Innocenza, come esenzione dal dominio del diavolo su tutti gli altri uomini;

b) Libertà, intesa sia come non soggezione al diavolo, e ha la sua radice nel-

l'Innocenza; sia come atto spontaneo della sua volontà per il

quale fa sue le conseguenze del peccato e le subisce per liberare

l'uomo.

a) Innocenza :

L'innocenza, cioè l'esenzione da ogni peccato, e prima di tutto da quello originale è

conseguenza del fatto che è Dio. Il Verbo, incarnandosi, prende tutto ciò che è umano, ma non il

peccato. Per questo Egli è al di fuori di tutti gli altri discendenti del primo trasgressore, pur

essendo suo discen-dente per la natura umana assunta (1).

Questo fatto che un discendente di Adamo sia esente dalle conseguenze della sua trasgres-sione

è unico nel suo genere (1). Tale innocenza, nei confronti del Diavolo significa "non dominio", cioè

mancanza di soggezione. Questa, infatti, è conseguenza del peccato: primo tutta l'umanità,

peccati personali per i singoli discendenti.

----------------------

1) Cfr. Sermo LXIX, 3; SC. 74, 113: Adam enim primus et Adam secundus, unum erant carne, non opere: et in illo omnes motiuntur,

in isto omnes vivificabuntur.

2) Cfr.Sermo LXIV ,2; SC. 74, 86; Solus enim beatae Virginis natus est filius absque delicto, non extraneus ab hominum genere,

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sed alienus a crimine

Affermare, quindi, l'innocenza di Gesù e, nello stesso momento dire che si è assog-

gettato alla sofferenza, come conseguenza del peccato, è di fondamentale importanza. Questa

duplice affermazione comporta di per sé contraddizione, essendo la sofferenza pena del peccato,

e quindi sua conseguenza.

L'ingiustizia - ed è ingiustizia il fatto che Gesù soffra innocentemente - comporta il ri-

stabilimento dell'ordine. Queste le linee fondamentali del piano divino della Redenzione: un Giusto

soffre ingiustamente per gli ingiusti; perciò essi saranno giustificati e liberati dal potere del peccato

(1) ad opera di quel Giusto.

Questa la ragione per cui si insiste tanto nell'affermare l'innocenza di Gesù: unico nato

senza traccia di ingiustizia (2); senza ombra di peccato (3); su di lui il diavolo non può vantare diritti,

né trovare cosa alcuna che possa, in qualsiasi modo dire sua (4); esente da ogni debito verso il

Diavolo e quindi pienamente libero di sé e delle sue azioni .

---------------------

.

1) Cfr.Sermo LVI, 3; SC. 74, 44: In omnibus autem quae illi popularis et sacerdotalis insania contumelio- se et procaciter inferebat, nostrae diluebantur maculae, nostrae expiabantur offensae: quia natura, quae in nobis rea semper fuerat atque cap tiva, in illo innocens patiebatur et libera; ut ad auferendum peccatum mundi, ille hostiam se Agnus offerret, quem et omnibus corporalis substantia iungeret, et ab omnibus spiri- italis origodiscerneret

2) Cfr. nota 1 pag.83.

3) Cfr. Sermo XXi,1; SC. 22bis, 68: peccati totius expertem,e Sermo LXII, 2; SC. 74, 75: peccati nescium. 4) Cfr. Sermo LXIX, 4; SC. 74, 114: in quo nihil suum poterat invenire

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b) Libertà:

La seconda prerogativa di Gesù è la libertà, intesa sia come non soggezione al peccato

-e di questo ho parlato nel paragrafo precedente-, sia come atteggiamento di Gesù riguardo alle

conseguenze del peccato: infermità, sofferenze, morte (1) dietro le quali ha voluto nascondere la

sua divinità (2).

Nella Passione si manifesta con piena evidenza la libertà d'azione che Gesù si è

riservato. Basta fare una breve analisi di alcuni dei testi più significativi, dai quali risulta evidente

l'affermazione della libertà di Gesù, conseguente al "propositum voluntatis suae" (3), che è la

salvezza dell'umanità intera.

Il punto di partenza è l'analisi del testo evangelico. L'Evangelista già si era preoccupa-

to di porre in risalto, fino dall'inizio del racconto della Passione, che Gesù è pienamente cosciente

di ciò che sta per compiere e delle conseguenze cui va incontro:

“Sapendo che era venuta per lui l'ora di passare da questo mondo al Padre... sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani, e che egli era uscito da Dio e a Dio ritornava...” (4).

Da questo brano risulta chiaramente che Gesù sa (il testo greco ha “eidòs”, che è ripetuto ancora

al momento della cattura; “Allora Gesù che sapeva tutto ciò che stava per accadergli...' e ancora al

momento dell'AGONIA sulla Croce: 'Dopo ciò, sapendo che tutto era compiuto..! (5) , è cosciente,

vede chiaramente tutto ciò cui va incontro e l'esatto svolgersi degli avvenimenti. Sa anche ciò che

può fare, sa chi è, sa l'esito della sua azione

- - - - - - - - - - - - - - - - - - - -

1 Cfr. Sermo LXII,3; SC. 74,75.

2) Cfrt. LXIX, 3; SC. 774, 113.

3) Cfr. Sermo LXIII, 4; SC.74, 86: Omnes enim infirmitates nostras, quae veniunt de peccato, absque peccati communione suscepit, ut famis et sitis, somni et lassitudines, maeroris ac fletus affectionibus non careret, doloresque saevissimos usque ad mortis extrema pateretur.

4) Io. 13, 1.3

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5) Cfr. Sermo LXII, 3; SC. 74, 75.

affrontata liberamente: il suo ritorno al Padre, da una parte, e la redenzione dell'uomo, dall'altra.

E il Nostro non può essere di diverso avviso che il Vangelo. Per questo cerca di

mettere in risalto, ad ogni occasione questi dati fondamentali e indiscussi circa la coscienza e la

liberta di Gesù nell’affrontare la Passione, per dare compimento alla sua opera redentrice, iniziata

con l'Incarnazione, proseguita nella vita pubblica, completata nella Passione e Morte, resa

perfetta nella Risurrezione.

Perciò nell'iniziare il racconto della Passione premette:

“Gesù, deciso a dare esecuzione al suo disegno, intrepido nel porre in opera l'economia stabilita dal Padre, metteva termine all'Antico Testamento e istituiva la

Nuova Pasqua” (1).

Gesù ha un disegno che vuole eseguire; ha pure un’ economia “stabilita dal Padre” che deve

attuare. All'una e all'altra dà esecuzione 'mettendo termine all'Antico Testamento e istituendo la

“Nuova Pasqua”. Tutto ciò sta ad indicare, senza alcun dubbio, che

“in realtà una sola è la volontà del Padre e del Figlio come una sola è la divinità (2).

L'Agonia nell'Orto è il punto culminante -anche se a prima vista può sembrare diversamente-

dell'esecuzione del piano divino: in essa questo è accettato ed eseguito già intenzionalmente nella

sua totalità. Essa costituisce l'accettazione da parte di Gesù Uomo, di tutto il piano divino.

Accettazione di Gesù - Uomo, perché Gesù Dio non poteva accettare ciò che aveva voluto per la

salvezza del genere umano.

Ma questa accettazione non è senza lotta, come appare da quello che scrive S.uca:

“...inginocchiatosi, pregava dicendo: Padre, se vuoi, allontana da me questo calice; però non la mia volontà sia fatta, ma la tua... In preda all'angoscia, più intensamente lo pregava; e il suo sudore diventò come gocce di sangue che scorrevano in terra” (2).

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1) Sermo LVIII, 3; SC. 74, 51;EP. 114: At Iesus consilii sui certus, et in opere paternae dispositionis intrepidus, vetus Testamentum consumiabat et novum Pascha condebat.

2) Sermo LII, 5; SC. 74, 26; EP. 77: Una est Patris et Pili i isroluntas, ut est una divinitas.

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3) Lc. 22, 41.

Due elementi, oltre la preghiera, ci danno la misura di questa lotta che si svolge nel- l'intimo di

Gesù: lotta tra le aspirazioni umane e la volontà divina che esige da Gesù la libera offerta di sé

stesso per la redenzione del genere umano:

“La prima domanda proviene dalla sua debolezza, la seconda dalla sua forza: con la

prima manifesta un desiderio proprio della nostra condizione, con la se-conda fa una

scelta che conviene alla condizione sua propria

Il Figlio, uguale al Padre, non ignorava che a Dio tutto è possibile; d'altra parte egli

non era disceso in questo mondo per morirvi in croce senza il suo beneplacito, quasi patisse questo conflitto di opposti affetti per un offuscamento della sua ragione.

Avvenne invece che, per manifestare la distinzione tra la natura assumente e quella

assunta, la parte propria dello uomo desiderò la potenza divina e ciò che era di Dio

riguardò benignamente ai bisogni umani. Dunque la volontà inferiore cedette a quella superiore...” (1).

La lotta interiore che portò a questo conformarsi della volontà umana (inferiore) a quella divi-na

(superiore), dovette essere tanto drammatica e intensa che per poter essere superata fu ne-

cessario un soccorso straordinario: "Allora un angelo del cielo apparve e lo confortava”.

Questo conforto doveva essere uno stimolo per aderire pienamente alla volontà divina. E ciò

produce una lotta e una sofferenza ancora più intensa, tanto che "in preda all'angoscia... il suo

sudore diventò come gocce di sangue che scorrevano in terra" (2). Da queste parole possiamo

arguire che in questo momento la sofferenza raggiunse il suo punto più alto. Ormai il disegno divi-

no era accettato in tutta la sua pienezza, e già eseguito intenzionalmente. L'azione esterna sarà

l'esecuzione del piano divino già accettato in precedenza. D'ora in poi Gesù sarà di nuovo tran-

quillo e sereno per l'adesione completa alla divina volontà che gli è nota ed ha accettato in tutti i

particolari. Tutta la lotta interiore non è il frutto di due volontà contrastanti,delle quali l’una impone -----------------------------

1) SermoLVI, 2; SC. 74, 43; EP. 100-101 : Prima petitio infirmitatis est, seconda virtutis: illud optavit ex nostro, hoc elegit ex

proprio; nec enim aequalis Patri Filius omnia esse Deo possibilia nesciebat, aut ad suscipiendam crucem sine sua in hunc

mundum voluntate descenderat, ut hanc diversarum affectionum compugnantiam perturbata quodammodo ratione pateretur. Sed

ut suscipientis smsceptaeque naturae esset manifesta distinctio, quod erat hominis, divinam desideravit potentiam; quod erat Dei

ad causam respexit humanam. superiori igitur voluntati voluntas cessit inferior.

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2) ibidem

la sofferenza e l'altra s i a r i l u t t a n t e ad accettarla, ma rende manifesto quanto costi alla

volontà umana adeguarsi a quella divina. Del resto questo contrasto non sarebbe stato possibile

nella persona di Gesù.

Perciò l'Autore rifugge dall'idea di mettere in risalto questo aspetto che avrebbe potuto

ingenerare difficoltà nei fedeli, anche se poteva offrirgli un ottimo spunto per un'acuta indagine

psicologica, o per un "pezzo" altamente drammatico. Egli ne parla in tre soli discorsi, ma in essi

preferisce insistere sul valore redentivo dell'Agonia; nel discorso citato prospetta la soluzione, per

tornare subito dopo al valore rendentivo. Esclude che Gesù nella preghiera voglia sottrarsi alla

morte, ma “usa il linguaggio della nostra natura e parla in favore della fragilità e trepidazione umana, perché nelle sofferenze che si devono tollerare, si rafforzi la pazienza e si scacci la paura” (1).

Perciò l'accettazione e l'adempimento del piano divino da parte di Gesù non fu solo esecuzione di

un ordine, ma questo disegno divino Egli lo fece suo a tal punto che si può legittima-mente dire:

“Il fatto che il Signore fu consegnato al supplizio, non fu tanto volere del Padre, quanto suo proprio. Si può dire che non solo il Padre l'abbandonò, ma persino egli, sotto qualche aspetto, abbandonò sé stesso, non mediante una separazione che sia stata come di tristezza, ma per volontaria rinunzia” (2).

Questo modo di dire, che quasi la divinità durante la Passione abbia abbandonato l'umanità di

Gesù, non deve indurre in errore. E’ un modo improprio di dire per mettere in risalto la verità e la

realtà della sofferenza di Gesù.

Sorge il problema: come mai in Cristo –Dio – Uomo - e quindi dotato di visione beatifica (fruizione,

in termine teologico) vi sia potuto essere luogo alla sofferenza. Il proble-ma esiste, e nel corso dei

secoli ebbe varie soluzioni, delle quali quella di S. Tommaso sembra la più convincente:

-------------------------- 1) Sermo LVIII, 5; SC. 74, 55; EP. 118: ...nostrae utitutur voce naturae, et causam agit fragilitatis et trepidationis humanae ut in iis quae toleranda sunt, et patientia roboretur, et formido pellatur. 2) Sermo LXVIII, 2; SC, 74,107; EP. 200: Unde tradi Dominum Passioni, tara fuit paternae quam ipsius voluntatis: ut eum non

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solum Pater relinqueret, sed etiam ipse se quadam ratione desereret, non trepida discessione, sed voluntaria cessione “Il gaudio della fruizione non si oppone direttamente al dolore della Passione, perché non hanno un unico oggetto. Nulla vieta che cose contrarie ineriscano ad uno stesso oggetto sotto aspetti diversi. Così il gaudio della fruizione può spettare alla parte su-periore, come atto proprio; invece il dolore della Passione solo secondo il soggetto” (1).

San Leone avverte questo problema e, pur non dandocene una spiegazione razionale (non era

uno speculativo), si rifà costantemente alla verità di fede ed avverte i suoi fedeli di con-siderare il

Cristo nella sua totalità di Uomo-Dio, e non “la sola debolezza umana, così da credere che vi sia

mancata la potenza divina”.

Come pure devono evitare con la massima diligenza l'errore contrario, così che non “pensino

soltanto alla natura uguale e coeterna al Padre, nell'Unigenito, così da ritenere non veri quei fatti

che sembrano indegni di Dio; poiché 1'una e la altra natura è un solo Cristo, in cui il Verbo non è

separato dall'uomo, né l'uomo diviso dal Verbo” (2).

Tuttavia avverte di non aver risolto il problema, anche se ne ha chiarito i termini.

Perciò insiste ancora sul suo pensiero, facendo notare che l'umiliazione non reca danno

alla Divinità, dal momento che insieme all'umiliazione è presente in Gesù anche la Maestà divina;

la sofferenza non reca pregiudizio alla divinità perché non è la divinità che soffre, ma

“l'una e l'altra natura manifesta con differenti azioni la propria realtà, ma nessuna si disgiunge dall'altra. In Cristo nulla e fuori della comunicabilità:la umiltà è tutta nella maestà, la maestà tutta nell'umiltà; tuttavia non provoca confusione, né la proprietà delle due nature spezza l'unità”

A che cosa si è ridotta, dunque, la Passione?

“Operata simultaneamente dalla divinità e dalla umanità, fu ima disposizione di misericordia e un rendimento di grazie, culto di pietà' (3).

------------------

1) Cfr. EP.200-201, nota 24; S. Th. III, Q. 8 ad 1.

2) Sermo LII, 2; SC. 74, 23; EP.73; Unde nunc, dilectissimi, in toto ordine dominicae passionis non ita infirmitatem consideremus humanam, ut arbitremur illic potentiam defuisse divinala: neque illam ita coaeternam et aequalem Patri formam Unigeniti cogitemus, ut putemus non fuisse vera quae Deo videntur indigna. Prorsus utraque natura unus est Christus: nec Verbum ibi ab homine disiunctum, nec homo est dissociatus a Verbo...

3) Ibidem : Non est fastidita humiitas, quia nec imminuta maiestas. Nihil nocuit naturae inviolabili, quod passibili oportebat inferri:

totumque illud sacramentum, quod simul et humanitas consummavit et Deitas, dispensatio fuit misericordiae et actio pietatis

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Il problema è risolto svuotandolo del suo contenuto tragico e mettendo, invece, in risalto gli

elementi più veri del dramma della croce: gli aspetti rituali e sacramentali. Questi sono gli aspetti

della Passione liberamente accettati da Gesù.

La consapevolezza, da parte di Gesù,della propria libertà è messa particolar-mente

in risalto da S. Leone.

Prima di iniziare il racconto della Passione, annunzia con tono solenne: "Nella consapevolezza che l'ora della gloriosa passione era imminente, esclamò: "L'anima mia è triste da morire", e poi: "Padre mio, se è possibile passi da me questo calice"' (1),

dandoci un altro elemento di riflessione: Gesù non soffre per il piacere di soffrire, né per necessità:

accetta liberamente la sofferenza, come liberamente aveva stabilità di redimere l'umanità (2). La

sofferenza è il mezzo per conseguire questo fine.

Si lascia catturare, non perché fosse ineluttabile, ma per riaffermare ancora una volta la

sua libera misericordia (4).

: Siamo alle fasi preliminari, che preludono al trionfo della gloriosa Passione, vista e voluta da Gesù

nella sua totalità

“Ecco dunque che i figli delle tenebre fecero violenza alla vera luce; e pur usando fiaccole e lanterne, non sfuggirono alla notte della loro incredulità, perché non cono-bbero l'Autore della luce. Si impadroniscono di lui, disposto a lasciarsi volon-tariamente catturare; trascinano chi si lascia volontariamente trascinare” (4).

---------------------- . 1) Sermo LIV, 40; SC. 74, 33; EP. 87-88: ..sciens Iesus iam tempus gloriosae Passionis implendae, 'Tristis est, inquit, anima mea

usque ad mortem': et iterum: 'Pater, si fieri po- test, transeat a me calix iste”.

2) Cfr. Sermo LXVIII, 2; SC. 74, 107: Ideo ergo Iesus voce magna clamabat, dicens: 'Quare me dereliquisti?' ut notum omni-bus faceret quam oportuerit eum non erui, non defendi, sed saevientium manibus derelinqui, hoc est Salvatorem mundi fieri, et omnium hominum Redemptorem; non per miseriam, sed per misericordiam; nec amissione auxilii, sed definitione moriendi...

3) Cfr. Sermo LXIX, 2; SC. 112: comprehendi se a persecutoribus patitur, qui continet mundum, et eorum manibus nectitur quorum corda non capitur. Iustitia non resistit ingiusti, et icedit veritas testimoniis falsitatis: ut manens in forma Dei, formam impleret servi...

4) Sermo LIX,1; SC. 74, 56; EP. 121 : Irruerunt ergo in lumen verum filii tenebrarum, et utentes faculis atque lanternis non evase-runt infedelìtatis suae noctem, quia non intellexerunt lucis auctorem. Occupant paratura teneri, et trahunt volentem trahiW

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Se i nemici riescono a impadronirsi dì Lui è solo perché egli così ha voluto (1) . Se riescono a

trascinarlo davanti ai vari tribunali si deve al fatto che egli così ha stabilito. Essi sono gli strumenti

di cui ha deciso servirsi per raggiungere i suoi altissimi fini.

“Certamente, se Egli avesse voluto resistere, quelle mani sacrileghe non avrebbero potuto fargli nessuna violenza; però sarebbe stata dilazionata la redenzione del mondo: chi doveva morire per la salvezza di tutti, non avrebbe salvato alcuno finché restava libero” (2).

Non permette ai discepoli di intervenire in suo favore, perché tutte quelle sofferenze dovevano

servire alla redenzione della umanità ( 3 ) . Impedisce in qualche modo che la sua divinità pre-valga,

per non compromettere l'esito della sua azione.

Tutto invece permette ai nemici (4), non senza aver prima dato segni certi della sua divinità,

atterrando i nemici e guarendo l'orecchio del servo del pontefice (5).

Con ciò non si afferma che essi abbiano qualche merito nella redenzione dell’u-

manità, né che debbano essere ringraziati per le conseguenze non previste, né volute, del loro

agire. Anche se, fuori di ogni dubbio, sono stati strumenti nelle mani di Dio, e strumenti protide

ziali (6).

“Il Figlio di Dio lascia che empie mani infieriscano contro di lui e quel che la folla degli infuriati opera, egli, che tutto soffre, conduce con il suo potere ad effetto, cioè a quel mistero di grande misericordia che Cristo intendeva operare col patire le ingiurie” (7).

---------------------

1) Cfr. Sermo LVI,3; SC. 74, 44: Admittit ergo in se Filius Dei impias manus, et quod saevientium furore agitur, patientis potestate implevit.

2) Sermo LIX, 1; SC. 74, 50-57; EP.121 : ...qui si vellet obniti, nihil quidem in iniuriam eius impiae manus possent, sed mundi redemptio tardaretur, et nullum salvaret illaesus, qui pro omnium salute erat moritumis.

3) Cfr. Sermo LII, 4; SC. 74, 25 : Verumtamen Dominus sciens quid magis mysterio suscepto conveniret, in hac potestate non per-stitit; sed persecutores suos in facultatem dispositi sceleris redire permisit. Nam si teneri nollet, non utique teneretur. Sed quis hominum posset salvari, si ille non se sineret comprehendi?

4) Ibidem: Dat ergo in se furentibus licentiam saeviendi, nec tamen etiam talibus dedignatur se indicare Divinitas.

5) Ibidem,3. 24: Dominus...quem quaerantnedum inventus interrogat: illisque dicentibus, quod lesum quaererent, 'Ego sum, inquit, Quod verburn ita illam manum ex ferocissimis congregatam, quasi quodam fulmineo ictu stravit et perculit, ut omnes illi atroces, minaces atque terribiles, retroacti corruerunt. Cfr. ancora ibidem 4, 25: Aurem servi iam ipsa sectione demortuam, et a compage dehonestati capitis revocat manus Christi . 6) Cfr.Sermo LX, 3;SC. 744, 66: Quamvis igitur furentes Iudaei fecerunt in Dominum lesum quaecumque voluerunt...patlentia tamen Domini consilii sui munus implevit.. . 7) Sermo LI, 3;SC. 74, 44; EP. 102: Admittit ergo in se Filius Dei impias manus, et quod saevientìium furore agitur, patientis potestate complevit. Hoc enim erat illud magnae pietatis sacramentum, quod Christus consectabatur iniuriis.

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Questa strumentalità dei nemici non deve trarre in inganno. Non perché strumenti di Dio, essi

sono innocenti. Difatti intendevano dare esecuzione ai loro perfidi disegni e non a quelli di Dio.

Altra cosa poi è che Dio, nella sua sapienza, abbia saputo servirsi anche dei loro perversi disegni

contro il Giusto, per mettere in atto il suo piano mirabile di misericordia.

Per questo l'Autore precisa ripetutamente i concetti:

“Forse l'iniquità dei persecutori di Cristo ha avuto origine dal consiglio di Dio? Quel delitto, il più grande di qualunque misfatto, è stato fornito di armi dallamano di Dio che tutto ordina?

Assolutamente non deve pensarsi così di colui che è somma giustizia... La crocifis-sione e la morte non provennero da una comune volontà, ne dal medesimo spirito si ebbe la crudeltà del misfatto e la pazienza del Salvatore. Il Signore non scagliò contro sé stesso le mani sacrileghe, ma le lasciò fare; con la sua prescienza di ciò che doveva avvenire non le costrinse a compiere il delitto, pur ammettendo che egli abbia preso carne con il preciso scopo di permetterne la realizzazione” (1).

Prima di tutto quindi chiarezza di concetti da cui, ancora una volta, risalta l’assoluta libertà di Gesù

nel compiere i divini disegni. I nemici sono strumenti nella mani di Dio; strumenti inconsci dei suoi

disegni, anche se ben coscienti dei propri.

Libertà di Gesù nell'accettare la sofferenza, e quindi vera sofferenza di Gesù. Dal

momento che liberamente sceglie di soffrire, la sofferenza non può essere che reale e non

fantastica: la realtà di questa divina sofferenza è la prova suprema che veramente Dio si è

rivestito della nostra carne.

Libertà nella sofferenza. Verità della natura umana di Gesù. Non necessità della sua

sofferenza.

Gesù quindi dà corso allo svolgimento della sua opera di salvezza: ------------------------

1) Sermo LXVII, 2; SC. 74, 101-02; EP.190: Numquid iniquitas persequentium Christum ex Dei orta est Consilio, et illud faci nus quod omni maius est crimine manus divinae praeparationis armavit? Non hoc plane de summa iustitia sentiendum est, quia multum diversum multumque contrarium est id quod in malignitate Iudaeorum est praecognitum, et quod in Christi est passione dispositum. Non inde processit voluntas interficiendi, unde moriendi; nec de uno extitit spiritu atrocitas sceleris, et tolerantia Redemptoris. Impias furentium manus non immisit in se Dominus,sed admisit; nec praesciendo quod faciendum esset, coegit ut fìeret, cum tamen ad hoc carnem sucepisset ut fieret.

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“Ma perché nella salvezza del genere umano doveva concorrere opera di diversa natura e il sangue di Cristo non sarebbe diventato prezzo dei credenti se il Redentore non si fosse lasciato catturare, concesse libero adito in sé stesso a quelle mani sacri-leghe; trattenne la potenza della divinità per conseguire la gloria della Passione” (1).

Permette quindi di essere catturato, schiaffeggiato, condotto davanti ai tribunali, prima quello

giudaico, “un complotto stolto e sanguinoso per condannare a morte l'autore della vita e il Signore

della gloria” (2), servendosi del furore e dell'empietà dei nemici per i suoi fini (3).

Quindi, quasi per sminuire l'enormità del loro delitto, conducono Gesù a Pilato, per dare una

parvenza di legalità al loro complotto. Si servono di ogni mezzo per ottenere il riconoscimento del

Preside alle loto trame e rendere esecutiva la sentenza di morte già pronunciata. Riescono a

rendere vana la buona volontà del preside e i suoi tentativi di liberare Gesù facendo leva sulla sua

debolezza (4).

Così, condannato a morte, Gesù inizia la fase finale di tutta la sua vita terrena, quella del

trionfo. E' visto incedere non più sotto il peso della croce –segno d’ignominia e strumento di morte-

ma avanzare da trionfatore verso il luogo del suo trionfo, ornato delle insegne gloriose del trionfo e

delle spoglie del nemico (5).

Così Gesù ascende sul trono di gloria per dominare tutto il mondo, finalmente riconciliato con

Dio, mentre il peccato –sconfitto una volta per sempre- è inchiodato per l'eternità alla croce:

--------------------------

1) Sermo LXV, 2 ;SC. 74, 91; SP.75 : Quia vero salvando humano generi alterius operis ratio congrue- bat, nec posset sanguis Christi pretium credentium fieri, si Redemptor non se sine ret comprehendi, admisit in se impias manus, et cohibita est potentia Deitatis, ut perveniret ad gloriam Passionis.

2) Cfr. Sermo LIV, 5; SC. 74,35; EP.90: inistis enim insanum cruentumque consilium ut morti auctorem vitae et Dominum glorlae traderetis... 3) 3) Cfr. Sermo LIX,3; SC. 74, 57: admisit in se impias manus furentium, quae dum proprio incumbunt sceleri, famulatae sunt Redemptori.

4) Cfr. Sermo LVII, 3; SC. 74, 46:...inter multiplicatas illusiones nocte transacta, vinctum lesum Pilato praesidi tradideruntW ut ab actione sceleris sui viderentur immunes, subtrahentes opera manuum, et exerentes tela linguarum, nolentes interficere, et clamantes, 'crucifige, cricifige'. Sermo LIX, 2; SC. 74, 57: ..ut inter tot praeiudicia, quem omnes vellent perire, non auderet Pilatus absolvere...

5) Cfr. Sermo LIX, 4; SC. 74, 58-59: Cum ergo Dominus lignum portaret crucis, quod in sceptrum sibi converteret potestatis, erat

quidem hoc apud impiorum oculos grande ludibrium, sed manifestabatur fidelibus grande mysterium: quia gloriosissimus victor

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“Gesù Cristo con la sua esaltazione sul legno ritorse la morte nell'autore della morte e infranse le opposte dominazione e potenze con l’abbandonare alla loro crudeltà una carne passibile... Quei chiodi che trapassarono le mani e i piedi del Signore, trafissero il Diavolo con ferite che non hanno fine e la sofferenza di quelle sante membra fu sterminio delle potenze ostili” (1).

I suoi nemici dai piedi della croce non si stancavano di insultarlo crudelmente, non potendo fargli

altro (2). Ed anche la folla -per la stolta persuasione di fare cosa gradita a coloro che l’opprime

l'opprimevano- non risparmiava al suo vero benefattore gli scherni (3).

Ma Gesù tutto sopporta sino alla fine, quando, vedendo ormai compiuta la sua opera,

anche la morte ubbidisce al suo volere,

“e chinato il capo, rese lo spirito', lasciando che la calma come di un tranquillo riposo,

si impadronisse del corpo, destinato a risorgere il terzo giorno” (4).

L'opera redentrice, che avrebbe dovuto essere di giovamento per tutti, era giunta al termine.

Poteva sembrare la sconfitta, ed era solo l'inizio del trionfo. Ora poteva avverarsi quanto già

ave-va predetto“Quanto a me, allorché sarò innalzato da terra, tutti attirerò a me” (5).

“Uno dei due ladroni...improvvisamente diventa confessore di Cristo. In quelle crudelissime sofferenze del corpo e dell'anima, che l'imminenza e insieme la lentezza della morte accrescevano, per miracolosa conversione viene trasformato ed esclama: 'Ricordati di me quando verrai nella tua regale maestà'” (6).

.

---------------------------------

diaboli, et inimicarum virtutum potentissimus debellator; pulchra specie triumphi sui portabat trophaeum; et invictae potentiae

humeris, signum salutis, adorandum regnis omnibus inferebat 1) Sermo LXI, 4; SC. 74, 71; EP. 142-43 : Exaltatus ergo Christus Iesus in ligno retorsit mortem in mortis auctorem, et omnes principatus, adversasque virtutes, per obiectionem passibilis carnis elisit, admittens in se antiqui hostis audaciam... Clavi illi, qui manus pedesque transfoderant, perpetuis diabolum fixere vulneribus, et sanctorum paena membrorum inimicarum fuit interfectio potestatum.

2) Cfr. Sermo LV, 1; SC. 74, 37: Principes autem sacerdotum, quibus indulgentiam Salvator petebat, supplicium crucis irrisionum aculeis exasperabant; et in quem manibus amplius saevire non poterant, linguarum tela iacebant . 3 ) Cfr. Sermo LIV, 5; SC. 74, 35 : ...multas illusiones Domino, sacerdotalibus serviens oculis, licentia popularis ingessit: et in mansuetudinem eius qui haec sponte tolerabat, furens turba saevivitW W 4 ) Sermo LV, 4; SC. 74, 38-39; EP. 95-96 :'Inclinato' itaque'capite, emisit spiritum*, et in corpus die tertio suscitandum, quietem placidi soporis immisit.

5 ) I o . 1 2 , 3 2 .

6) Sermo LIII, 1; SC. 74, 27-28;EP.79-80: ...crucifixi sunt:...latrones duo, quorum unus...fit repente confessor; et inter illos acerrimos corporis animique cruciatus, quos simul et : instantia et difficultas mortis augebat, mira conversione mutatus “Memento', inquit, 'mei, Domine, dum veneris in regnum tuum'.

73

E non solo il ladrone fu attirato, ma tutta la natura si mostrò sensibile a quella morte, mentre i morti

risorgevano e si facevano vedere in Gerusalemme (1).

Crollava così il regno del peccato e della morte (2). Infatti, puntualmente, al terzo giorno

il Crocifisso si dimostrò di nuovo vivo, di una vita che mai avrebbe avuto termine e che non avreb-

be conservato per sé solo, come tesoro da custodire gelosamente, ma che avrebbe partecipato a

tutti coloro nella carne dei quali ha vinto la morte (3).

Essa per il Giusto perseguitato non è qualcosa di più, ma il coronamento necessario

della sua opera redentrice.

“Furono sconfitti gli errori, sottomessi tutti i poteri, il mondo ebbe un nuovo esordio” (4).

- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -

1) Cfr. Mt. 27,52-53.

2) Cfr. Sermo LV, 3; SC. 74, 38: Crux ergo Christi sacramentum veri et praenuntiati habet altaris, ubi per hostiam salutarem, naturae humanae celebratur oblatio. Ibi sanguis immaculati agni antiquae praevaricationis pacta delebat; ibi tota diabolicae dominationis conterebatur adversitas, et de elatione superbiae victrix hummlitas triumphabat.

3) Cfr. Sermo LXI, 4; SC. 74, 71: ...in ipso et cum ipso omnes, qui in eum crederent, triumpharent.

4) Cfr. serrmo LXIX, 4; SC. 74, 114; EP.210: Vieti sunt errores, subactae sunt potestates, accepit novum mundus exordium.

74

P A R T E S E C O N D A

sezione prima: I PROTAGONISTI I L D I A V O L O

Sommario : II Diavolo e l'uomo

Il Diavolo e Gesù

Il Diavolo e Dio.

Post illam namque humanae praevaricationis

primam et universalem ruinam,

ex qua 'per unum hominem peccatum introivit in hunc mundum,

et per peccatum mors,

et ita in omnes homines pertsansiit,

in quo omnes peccaverunt';

nemo tetram diaboli dominationem,

nemo vincula dirae captivitatis evaderet;

nec cuiquam aut reconciliatio ad veniam,

aut reditus pateret ad vitam,

nisi coaeternus et coaequalis Patri Deo

Filius Dei

etiam hominis filius esse dignaretur,

veniens 'quaerere et salvare quod perierat'...

(Sermo LII,1; SC. 74, 22-23).

75

Capo primo: IL DIAVOLO E L'UOMO

Prima di entrare nel tema centrale della trattazione è necessario premettere con quali

N o m i il Nostro suole chiamare il Diavolo, perché ciò ci darà la chiave per compren-dere tutta

la trattazione.

DIABOLUS: oltre che con questo termine, ormai di uso universale (1) è indicato anche con altri

nomi, alcuni dei quali sono ora in funzione di sostantivi, e ora di aggettivi: essi ne definiscono

l'essenza o semplicemente i rapporti con l'uomo, oppure soltanto l'azione.

FORTIS -altre volte in funzione di aggettivo- indica soprattutto il potere derivante a lui

dalla sua natura che, in quanto spirituale, è di per sé superiore alla natura umana (2). San Leone

mutua questo concetto dalla tradizione evangelica:

“Finché il forte custodisce armato la sua casa.. .nessuno può entrare in casa del forte e rapire le sue cose, se prima non lega il forte”.

E Gesù vuole indicare il Diavolo, infatti conclude:

“Se nel dito di Dio caccio i demoni...” (3).

Tuttavia egli è più forte del Diavolo perché lo caccia dalla su a casa.

Mettendo a confronto il passo evangelico e quello leonino non è difficile notare la

dipendenza.

Inimicus è termine analogo al precedente». E' usato da solo o accompagnato da aggettivi. Indica

l’atteggiamento del Diavolo riguardo all'uomo (4). Anche questo concetto è di derivazione evangel- ------------------

1) Significa: calunniatore, maledico, denigratore, avversario: nomi tutti che indicano i vari aspetti della natura o dell'azione sua riguardo all'uomo.

2) Cfr. Sermo XXII, 4; SC. 22bis, 1, 86: fortis ille nectitur vinculis suis; Sermo LXX, 4; SC. 74, 119: forti et crudeli tyranno per potentiam crucis Christi vasa antiquae captivitatis erepta sint...

3) Le. 11 ,21 ss . 4) Cfro Sermo LXIX, 3; SC. 74, 113 : inimicus...humani generis...; Sermo LXII, 3; SC. 74, 75;crudelis et superbus inimicus

76

ca:

“il nemico poi che seminò (zizzania) è il Diavolo” (1).

Hostis indica di per sé uno straniero. E* analogo al precedente. Il Diavolo per il genere

umano è uno straniero (2).

Praedo indica una qualità derivante dai suoi rapporti don l'umanità. Il Diavolo ha acqui-

stato dei diritti sull'uomo, ma non legittimamente, essendosi servito solo della forza e del l'astuzia

per trarre in inganno l'uomo e dominalo (3).

Qualche volta è accompagnato anche da aggettivi che servono a qualificarne l'azione.

Questo concetto non ha riscontro nella Scrittura, è tuttavia un corollario degli altri già

considerati. Un nemico, se forte, e si serve della propria forza per recar danno a chi odia, non si

può dire che agisca secondo tutte le norme della giustizia. Lo stesso ha fatto il Diavolo con il

genere umano.

Princeps mundi è un altro concetto derivante da quanto detto fin qui. Anche se come

un ladro, il Diavolo ha acquistato dei diritti sull'umanità e la domina. Il titolo che legitti-mamente gli

compete è di capo (4).

Questo concetto si riscontra già nel Vangelo, dove, almeno in tre luoghi, il Dia-volo è

chiamato in questo modo (5).

L'esercizio di questo potere è chiamata Dominatio o anche Impia dominatio, tenu-to

conto del modo come egli esercita il proprio potere (6).

-------------------------------. 1) Mt. 13,39. 2) Cfr. Sermo XXII, 3; SC. 22bis, 82: superbia hostis antiqui; e Ibid.4, 84: securi hostis; Sermo LXIX,4; SC. 74, 113 hostem humani generis; Sermo LXI, 4; SC. 74, 71: antiqui hostis.

3) Cfr. Sermo XXII,4,84: perstitit ergo improbus praedo .. 4) Cfr. Sermo LXX, 4; SC. 74, 119 : dominatio principis mundi; Sermo XXII, 4 ;SC. 22bis , 86: ligato principe mundi . . . 5) Cfr. Io.13,31;14,30;ló,11... 6) Cfr. Sermo LII, 1; SC. 74, 22: tetram dominationem...; Sermo LXIV,2; SC. 74. 86: : ius impiae dominationis amisit.

77

Exactor: il Diavolo ha un diritto sull'uomo, esercita un potere su di lui; se questo diritto non

vuole essere riconosciuto, ha il potere di imporlo.

Da esso deriva il nome “exactor” colui che esige. Come esige è detto dagli aggettivi “crudelis” e

“avarus” (1).

Tyrannus insieme con l'aggettivo “crudelis” indica il modo come egli esercita il suo po-

tere (2).

Volendo riassumere gli elementi fin qui emersi dall'analisi dei vari nomi con cui è

designato il Diavolo, potremmo riassumerli in una definizione del Diavolo stesso; nemico o avver-

sario che nei confronto dell'uomo è dotato di poteri superiori, e quindi si trova in una situazione di

privilegio della quale si serve per recare danno all'uomo, sottometterlo al suo potere che fa pesare,

perché esigente fino ad essere crudele.

Il Diavolo così definito ovviamente non e tutto il Diavolo, ma solo l'aspetto che riguarda

le sue relazioni con l'uomo, che per ora ci sembra il più importante. Infatti la lotta tra Gesù e lui, si

verificherà perché Dio vuol ridare la libertà all'uomo, mentre lui lo vuol conser-vare nello stato di

schiavitù in cui è stato ridotto. Questo stato di schiavitù il Diavolo ha imposto all'uomo con

l’inganno. Resta da vedere ora in che consista e da che cosa sia stata originata questa situazione

di schiavitù dell'uomo. Il Diavolo avrebbe potuto esercitare un dominio sull'uomo in forza della

superiorità della sua natura nei confronti di quel la umana. Ma non l'ha esercitato che in modo

indiretto, in quanto si è servito della sua superiorità solo per imporre il suo dominio, per esercitare il

quale aveva bisogno di un titolo o di un diritto. Questo diritto lo ha acquistato. Il Nostro ne parla

spesso, e lo considera sia nell'origine che nell'esistenza reale. Visto nella suaesistenza reale è una

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1) Cfr. Sermo XXII. 4; SC.22bis, 84: avarus exactor; Sermo LXI, 4;SC, 74, 71.

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2) Cfr. Sermo LXX, 4; SC. 74, 119: forti et crudeli tyran no per potentiam crucis...

schiavitù (1) e le sue conseguenze sono legami di schiavitù (2).

L'uno e l'altro sono conseguenti al fatto che il Diavolo esercita il suo potere in modo tirannico.

Considerato nella sua origine questo diritto deriva da un patto di servitù, oppure da

una vendita che l'uomo ha fatto liberamente di sé al Diavolo, mediante la quale si impegnava a

servirlo (3). Il Nostro insiste molto su questa volontarietà. È un patto che l'uomo ha sottoscritto colle

proprie mani (4), e in questo si ricollega al testo di S. Paolo:

“Cancellò (Cristo) il nostro certificato di debito(CHKROGRAPHON) che in tutti i suoi punti era contro di noi, e lo tolse di mezzo inchiodandolo alla croce” ( 5 ) .

E' stato inoltre come un gettarsi spontaneamente nelle mani del nemico, senza possibilità di

scampo. Per questo l'Autore definisce il genere umano “dedititii seminis captiva progenies”, per

aver contratto un “pactum captivitatis” che avrà vigore finché l'uomo non troverà tanta forza da

potersi sottrarre ad esso.

Ciò sarà impossibile perché chi lo tiene schiavo è più forte, se non troverà l'aiuto in

uno più forte del dominatore.

Finché quest' altro Forte non verrà, l'uomo dovrà sottostare al Diavolo, sopportare le

conseguenze della sua credulità, subire il suo dominio ferreo che peserà su tutti, anche se non

----------------------

1) Cfr. Sermo XXII, 3; SC.22bis, 82: ...non immerito sibi in omnes homines ius tyrannicum vindicabat nec indebito dominatu premebat...

2) Cfr Sermo LII,1; SC. 74, 22 : vincula dirae captivitatis; e Sermo LXII, 3; SC. 74, 75.

3) Cfr. Sermo LXIII, 3; SC. 74, 113; ius ferreum dedititii seminis captiva progenies...

4) Cfr. XXII, 4; SC.22bis, 84-85: ...chirographum quo niteba tur excedit...Solvitur itaque lethiferae pactionis malesuasa consriptio, et,..totius debiti summa vacuatur. 5) Col. 2,14; Cfr. oltre nota precedente anche Sermo LXI, 4; SC„ 74, 71 : .evacuatum est igitur generale illud venditionis nostrae et

79

lethale chirographum, et pactum captivitatis in ius transiit Redemptoris.

nella stessa misura, perché vi sono stati sempre degli esseri particolarmente fedeli à Dio i quali,

nonostante il veleno con cui egli aveva contaminato il genere umano (1), avevano resi-stito al le

sue lusinghe. :

Anche per costoro egli poteva vantare un diritto e gloriarsi di aver esercitato un potere su di loro

(1), perché

“E’ vero, per opera di un solo uomo il peccato entrò nel mondo e attraverso il peccato la morte; così la morte passò su tutti gli uomini, perché tutti peccarono” (2).

Il suo dominio sull'uomo, quindi è pacifico. Ed è pacifico anche che nessuno può sottrarsi a lui con

le sole sue forze (3).

Ciò fino al momento in cui entra in scena il nuovo personaggio, comune e singolare

nello stesso tempo, che ha la natura umana -come ogni altro uomo- e non è solo uomo:

“scese dal cielo un medico singolare che da molti tipi era stato frequentemente annunciato e promesso lungo tempo dalle garanzie dei profeti.

Costui perseverando nella sua condizione di Dio, senza perdere nulla della sua maestà, nacque nella nostra natura formata di corpo e di anima senza essere contagiato dall'antica prevaricazione (4).

Scopo della sua venuta: liberare l'uomo dal dominio del Diavolo.

---------------------------- 1) Cfr. Sermo LII, 1; SC. 74, 22-23 : ...nemo tetram diaboli dominationem... evaderet... nisi... Filius Dei etiam hominis filius esse dignaretur. 2) Cfr.Sermo XXII, 4; SC.22bis, 84: sciens quo humanam naturam infecisset veneno.. 3) Cfr. Sermo LXIX, 3; SC. 74, 113 : Unde cum in tot generationibus mortali sibi lege subiectis, unum videret... cuius virtutes super omnes totius temporis sanctos miraretur eccellere,.. 4) Rom.5,1 2. 5) Cfr. Sermo LII. 1; SC. 74, 22-23: pag. prec. nota 2. 6) Sermo LXIV, 2; SC. 74, 86; EP. 167: ...venit e caelo medicus singularis, multis saepe significationibus nuntiatus, et prophetica diu pollicitatione promissus, qui manens in forma Dei et nihil propriae maiestatis amittens, in carnis nostrae animaeque natura, sine contagione antiquae praevarieationi oriretur.

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Capo secondo: IL DIAVOLO E GESÙ’

Se il Diavolo avesse conosciuto o solo sospettato quali sarebbero state le conse-

guenze del suo modo d'agire contro di Gesù, non avrebbe agito come agì, non avrebbe af-frontato

la lotta, e tanto meno l'avrebbe provocata ma l'avrebbe evitata (1).

Ciò non ci autorizza a dire che il Diavolo ignorava ogni cosa nei riguardi di Gesù. Ma

che cosa conosceva? Sa prima di tutto di avere pendente sul capo una condanna alla sconfitta

finale, comminatagli da Dio stesso dopo che aveva indotto l'uomo a farsi suo schiavo: “Un'ostilità io porrò tra te e la donna e tra il tuo seme e il seme di lei; esso ti schiaccerà la testa e tu lo assalirai al tallone” (2).

La sconfitta, quindi, perché sentenza la conosce certamente. Ed egli in ogni uomo teme il possi-

bile vincitore, anche se questi non sarà un uomo ma qujell’Uomo della condanna, il seme; e

riuscirà a vincerlo perché più potente (3).

Da che cosa avrebbe potuto distinguere il vincitore dagli altri uomini? Non ha alcun

segno: ne ignora la nascita singolare, frutto di un secretissimo disegno divino tenuto gelosamente

nascosto (4).

Che Dio avesse tenuto nascosto al Diavolo la natività e la vera identità del Signore già lo

aveva affermato Ignazio di Antiochia (5). C'è perfetto accordo e continuità nella tradizione.

------------------------------

1) Cfr. Sermo LXIUX, 4; SC. 74, 113 : hoc magnum pietatis sacramentum, dilectissimi, sicut iudaica impietas, ita diabolica superbia nesciebat...; e Sermo LXII, 3; SC.74, 75 : si enim crudelis et superbus inimicus consilium miserieordiae Dei nosse potuisset, Iudaeorum animos mansuetudine potius temperare, quam iniustis odiis studuisset accendere; ne omnium captivorum amitteret servitutem, dum nihil sibi debentis persequituir libertatem. 2) Gen. 3,15. 3) Cfr. Sermo XXII, 1; SC. 22bis, 76: ...praeparata renovandis mortalibus suae pietatis remedia inter ipsa mundi primordia praesignavit, denuntians serpenti futurum semen mulieris quod noxii capitis elationem sua virtute contereret, Christum scilicet in carne venturum. 4) Cfr. ibidem: ...opus fuit... secreti dispensatione consilii, ut incommutabilis Deus... primam pietatis suae dispositionem sacramento occultiore compleret... 5) Cfr. Ign. ad Eph.19,1,PG.5,660.

81

. E il fatto che il Nostro lo riaffermi più volte non è dovuto ad una sua teoria parti-

colare, essendo questa la dottrina ricevuta dai primi Padri. Non solo, ma egli in questa dottrina fa

dei progressi: Gesù occulta la sua divinità al Diavolo; gli occulta il modo come egli avrebbe portato

al suo termine il disegno di Dio di redimere l'umanità (1). Perciò il Diavolo non si avvede che Gesù non gli è soggetto ( 2 ) .

Praticamente egli ignora tutto di Gesù. Perché?

Motivo principale: se l'avesse conosciuto chiaramente, mai avrebbe scatenato contro di lui la furia

sua per ridurlo in suo potere o annientarlo, sapendo fin da principio l'esito della lotta: la sconfitta.

Per cui non solo non avrebbe accettato la lotta, ma avrebbe evitato di prendere qualsiasi iniziativa

che in qualsiasi modo si fosse potuta cambiare per lui in sconfitta (3).

Se ignora tutto, perché scatena una lotta senza quartiere contro di Gesù? Se non lo

crede esente dal suo dominio, perché lo vuole assoggettare? se lo crede un comune mortale,

perché vuole provocare da lui una dichiarazione sulla sua persona con le parole: “se sei il Figlio di

Dio...”?

Egli ha solo dei forti dubbi: vede che in santità è superiore a tutti gli altri uomini mai

esistiti prima (4). La sua santità superiore indica molto probabilmente che deve essere un uomo

straordinario. E poi se gli è soggetto, come tutti gli alti uomini, può vantare dei diritti su di lui, an-

------------------ 1) Cfr. Sermo LX, 3; SC. 74, 66: Nec ipse itaque diabolus intellexit, quod saeviendo in Christum, suum destrueret principatum; quia antiquae fraudis iura non perderet, si se a Domini lesu sanguine contineret. 2) Cfr. Sermo LXIX, 3; SC. 74, 113 : Unde cum in tot generationibus mortali sibi lege subiectis, unum videret inter hominum filios, cuius virtutes super omnes totius temporis sanctos miraretur excellere,secu- rum se fore credidit de perpetuitate sui iu-ris, si nulla iustitiae merita mortis iura superare potuissent..in praeiudicium suum saevit, et dum putat aliquid sibi debere quem potuisset occidere, non vidit libertatem singularis innocentiae...; Sermo XXII, 4; SC.22bis, 8 4 :...nativitatem pueri in salutem humani generis pro- creati, non aliter sibi quam omnium nascentium putavit obnoxiam.. .nequaquam credidit primae transgressionis exortem, quem tot documentis didicit esse mortalem... cfr. Senno LXIX, 4; SC.74, 114: perstitit in eum furere, in quo nihil suum poterat invenire...

3) Cfr. nota precedente. 4) Cfr. Mt. 4,1-12;K6. 1,12 ss; Le.4,1-13.

82

che di accertarsi chi veramente sia.

E' necessario uscire da ogni incertezza. Ha tentato di toglierlo di mezzo fin da

bambino, ma invano. Dunque la via della violenza per ora non sembra la più adatta; forse con

l'astuzia sarà più facile conseguire il fine. Se anche questa dovesse fallire, l'unica via aperta sarà

quella di annientarlo, anche a rischio di restare annientato: bisogna giocare il tutto per tutto. Per

ora si tenti la via dell'astuzia, sperando di ottenere presto e facilmente lo scopo. Per essa si

ripromette di venire a sapere se Gesù è Dio, cioè Colui che doveva distruggere il suo dominio. In

caso contrario bisogna ottenere da lui piena sottomissione. La prova ci è narrata dai Vangeli (1):

“Allora Gesù fu condotto nel deserto dallo Spirito, per essere tentato dal Diavolo. E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame”..

L'occasione è propizia per metterlo alla prova. E dalla fame il Diavolo prende lo spunto:

“E il tentatore, appressandosi, gli disse: "Se sei il Figlio di Dio ordina che questi sassi di ventino pani"'.

Al Diavolo non interessa il miracolo in sé, ma il miracolo come segno che Gesù non è un uomo

qualsiasi, ma Dio fatto uomo, quel Dio-Uomo che gli era stato preannunciato (1). Il miracolo non

si verifica:

«Egli, però, rispose: "Sta scritto: non di solo pane vive l'uomo, ma di ogni paro-l la che esce dalla bocca di Dio”>>.

Non solo non ha avuto la conferma di quanto sospettava, ma in un certo senso il dubbio si fa più

forte: il tentato non si vuole manifestare, oppure non può fare il segno richiesto?

Tenta di mascherare con motivi... pietistici la sconfitta? ---------------------------------- 1) Cfr. Sermo XLII, 3; SC. 49bis,106-08: Esplorare callide voluit utrum hanc continentiam donantam haberet, an propriam: ut non metueret deceptionum suarum opera resolvenda, si Christus eius esset conditionis cuius est corporis. Primo itaque dolo scrutatus est an ipse esset substantiarum creator qui rerum corporearum posset, in quas vellet, mutare naturas. cfr. Sermo XXII, 1; SC.22bis, 76: denuntians... futurum semen mulieris...Christum scilicet in carne venturum, Deum hominemque significansW

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Bisogna togliere ogni dubbio, mostrasi più esperti, precludergli ogni via di un'ono-

revole ritirata: far ricorso alla Sacra Scrittura. E la prova sarà più forte e sottile: forse quel primo

argomento era stato un po’ troppo banale: avrebbe dovuto immaginare che se era riuscito a stare

senza mangiare per quaranta giorni, lo avrebbe potuto ancora per quel poco tempo necessario a

procurarsi il cibo senza ricorrere a miracoli.

Quel digiuno era stato una bella prova che gli avrebbe procurato grande gloria; ma anche altri

l'avevano sopportato. Bisognava offrirgli un'occasione propizia per acquistare quella gloria che

nessuno aveva conseguito. Allora non avrebbe saputo resistere e si sarebbe manifestato:

“Allora il Diavolo lo prende con sé nella Città Santa e lo pone sul pinnacolo del Tempio e gli dice:

Se sei Figlio di Dio, gettati giù; sta scritto infatti: "agli angeli suoi darà ordine per te,

e ti sorreggeranno sulle mani, perché non abbia a inciampare in qualche sasso il tuo piede"'.

Ora la tanto attesa dichiarazione si sarebbe dovuta avere. L'insidia era troppo sottile per non

cadervi. Ma il tentato non accetta la sfida, non si getta giù. E con abilità consumata vuol ma-

scherare la sconfitta ricorrendo di nuovo di nuovo alla Scrittura:

“Gli disse Gesù: sta scritto anche: Non tenterai il Signore Dio tuo.

In tal modo rigettava l'insinuazione del Diavolo per cui se veramente fosse stato Figlio di Dio, non

gli sarebbe stato difficile, anche se rivestito di carne umana, volare (1).

Da ciò il Diavolo dovette concludere che quello non era il Piglio di Dio, ma un uomo

ordinario, uguali, a tutti nella nascita, nella sofferenza, nella sottomissione alla Legge.

--------------------- 1) Cfr. Ibidem Sermo XLII, 3, ib. 108:: Secundo, an sub humanae carnis divinitas obumbrata tegeretur, cui facile esset pervium sibi aerem, et terrena per vacuum membra librare.

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lCome tutti gli altri era stato sottoposto alle leggi naturali della nascita e della crescita (1).

Quindi doveva essere come gli altri anche nella schiavitù (2).

La prova finale: capitolazione di fronte alla sua potenza: doveva riconoscerlo come

Padrone. Certo chiedéva molto; ma lo avrebbe ricompensato generosamente. Del resto tutto era

suo, poteva darlo a chi credeva meglio. E poi non era da buon politico di- mostrarsi fin dall'inizio

troppo avaro (3).

“Di nuovo il Diavolo lo prende con sé su di un monte molto alto e gli fa vedere tutti i regni del mondo e la loro magnificenza e gli dice: Tutto questo ti darò se, prostrato, mi adorerai'.

Ma il risultato non è quello che aveva immaginato:

“Gli dice, allora, Gesù: vattene, Satana, perché sta scritto: Il Signore tuo Dio adorerai, e a lui solo renderai culto”

I dubbi persistono: è o non è il Figlio di Dio?

Occorre prendere tempo, Riflettere sullo svolgimento degli avvenimenti, osservare, maturare con

calma le decisioni opportune.

“Allora il Diavolo lo lasciò, e si allontanò da lui fino al tempo stabilito”.

In sostanza tutta l'azione del Diavolo è motivata dal desiderio di veder chiaro nei riguardi di Gesù.

I mezzi contano poco.

Una volta assicuratosi che è un comune mortale, vuole riaffermare i propri diritti su di lui, non

tenendo conto dell’avversario e dei suoi disegni (4). ---------------

1) Cfr. Sermo XXII, 4; SC.22bis, 84: Vidit eum vagientem atque lacrymantem, vidit pannis involutum, circuncisioni subditum, et legalis sacrifici! oblatione perfunctum. Agnovit deinceps solita pueritiae incrementa, et usque in viriles annos de natu-ralibus non dubitavit augmentis. 2) Cfr. Ibidem:...nequaquam credidit primae transgressionis exsortem, quem tot documentis didicit esse mortalem. 3) Cfr. Sermo XLII,3,; SC. 49bis, 108: Sed cum illi Dominus iustitiam maluisset oppanere veri hominis, quam potentiam manifestare Deitatis, ad hoc convertit tertiae fraudis ingenium, ut eum, in quo divinae potestatis signa cessaverant, dominandi cupiditate tentaret,

et ad venerationem sui regna mundi pollicendo traduceret. 4) Cfr. Ibidem: Sed prudentiam diaboli stultam fecit sapientia Dei: ut superbus hostis de eo quod quondam ligaverat lègaretur, nec eum metueret persequi quem pro mundo opertebat occidi.

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Quali i mezzi di cui disporrà per riaffermare questi diritti? A questo ha pensato nel periodo in cui si

è tenuto lontano. Ha preparato i suoi piani, ben dissimulate le insidie, calcolato i rischi. Ha trovato

che le forze di cui può disporre per condurre la lotta con assoluta certezza di riuscita sono senza

limiti e insospettate: perfino in uno di coloro di cui il Nemico maggiormente si fida ha trovato un

potente alleato, e fedele ministro (2). Il risultato perciò non potrà essere favorevole che a lui, il più

potente, il più accorto.

Si scateni pure la lotta più implacabile contro l'indomabile ribelle, fino ad ottenere piena vit-toria

della sua ostinazione, o la sua totale distruzione; la vittoria però non sarà che sua. Il suo dominio

ne uscirà definitivamente consolidato e nessuno più oserà sottrarsi ad esso.

Che importa se, per riaffermare il suo dominio, non dovrà tener conto della giustizia? E poi va proprio contro giustizia se fa valere un suo indiscusso diritto? Non è forse quello che egli perseguita un uomo? Quindi ha diritto su di lui (2).

Ed anche se colui che perseguita non fosse soggetto al suo potere, ebbene sarebbe

questo un motivo sufficiente per perseguitarlo perché, pur essendo uomo come gli al-tri, non ha

nulla che gli appartenga; e dovrebbe averlo. Quindi deve essere ridotto all'ob-bedienza o distrutto.

Eccolo agire: trama, infuria, perseguita chi non gli appartiene, per riaffermare il suo

diritto (3).

Questa persecuzione si concretizza gradatamente: prima nelle ingiurie e nei disprezzi cui sottopo ne il Nemico e, risultati vani anche questi, nella distruzione e nella morte (4).

- ------------------------------------- 1) Cfr. Sermo LX, 3; SC. 74, 66: Invenit sane in illo molimine imprudentis audaciae dignum cooperatorem, dignumque consortem, cum impius Iudas maluit minister esse diaboli quam apostolus Christi. 2) Cfr. Sermo LXIX, 3 ;SC. 74, 113 : ...securum se fore credidit de perpetuitate sui iuris, si nulla iustiitiae merita mortis iura superare potuissent... non autem errabat in genere, sed fallebatur in crimine. Adam enim primus et Adam secundus, unum erant carne, non opere... 3) Cfr. Sermo XXII, 4; SC. 22bis 83, l.cit.; Sermo LXIX, 4; SC. 74,114: perstitit in eum furere, in quo nihil suum poterat invenire; Sermo LXII, 3; SC. 74, 75: ne omnium captivo- rum amitteret servitutem, dum nihil sibi debentis persequitur libertatem. 4) Cfr. ib. 4 ,84: intulit contumelias, multi plicavit iniurias, adhibuit maledicta, opprobria, blasphemia, convicia, omnem postremo

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tentamentorum genera percurrit

Al termine dei vari tentativi fatti per sottomettere Gesù, il Diavolo sembra sempre più

sfiduciato sulla possibilità di poter alla fine riportare completa vittoria su di lui, quella vittoria che

avrebbe potuto appagare il suo orgoglio e consolidare il suo dominio sull'umanità. Alla lotta

motivata dalla sicurezza del dominio segue quella motivata dall'odio (1).

Moltiplica i suoi tentativi per giungere, in qualsiasi modo, ad un risultato positivo, e

giunge alla determinazione di distruggere l'avversario, pensando che in tal modo, alla fine,

avrebbe potuto riportare una completa vittoria e consolidare il suo dominio.

Ma potrà essere veramente sicuro della vittoria? Essa, infatti, sembra sfuggigli proprio quanto si

riteneva sicuro.

Il Nemico aveva trionfato proprio nella morte, avendo vinto non solo per sé stesso, ma anche

per tutti gli altri uomini, che venivano sottratti così definitivamente al suo dominio. Aveva sop-

presso chi minacciava il suo potere; ed esso crollava proprio per quella soppressione. Aveva

voluto riaffermare, contro ogni giustizia il diritto di dominare sull'uomo, anche su chi non gli era

soggetto, e proprio per questo voler chiedere troppo si vedeva spogliato di ogni dominio (2).

Adesso, finalmente, riusciva a scoprire tutto il piano dell'Avversario, che l'aveva giocato vinto proprio in ciò in cui si poteva credere più forte, insuperabile: l'astuzia (3).

Gli aveva lasciato piena libertà d'iniziativa, ma di essa si era servito per consegui-re la

vittoria finale. Aveva disprezzato ogni giustizia per conservare il dominio; e questa ingiustizia era

stata, nelle mani del Nemico. l'arma per spogliarlo, con giustizia, di ogni potere (4).

Finalmente si accorgeva che tutto quello che ha tramato contro Gesù si è ritorto infallibilmente

contro di lui: ha infierito, volendo annientarlo, e il risultato è stato il suo annientamento:

----------------------- 1) Cfr. Sermo LX, 3; SC. 74, 66: ...sed malitia avida.. 2 )Cfr. Sermo XXII, ibidem: Solvitur itaque lethiferae pactionis malesuasa conscriptio, et per iniustitiam plus petendi, totius debiti summa vacuatur.. 3) Cfr. Ibidem, SC. 22bis, 84: .. illusa est securi hostis astutia. 4) Cfr. nota 1 e Semo LXIX, 3; SC. 74, 112-13 : Sed hanc Unigenito Dei subire et perpeti, non conditio necessitatis, sed

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misericordiae fuit ratio; 'ut de peccato damnaret peccatum', et diaboli opus de opere diaboli solveretur.

“Neppure il Diavolo capì che facendo violenza a Cristo distruggeva la propria dominazione. Certamente egli non avrebbe perduto i diritti che gli provenivano dall'insidia tesa in tempi antichi, se si fosse astenuto dal versare il sangue di Gesù, il Signore.Ma la malizia, avida di recar danno, nell'irrompere si ruppe; mentre voleva prendere, fu presa; perseguitando un mortale, incappò nel Salvatore” ( 1 ) .

Gli ha inflitto la morte; ma è stato lui ad essere messo a morte (2). Gli stessi strumenti che ha usato

per rendere più crudele la morte del Nemico, si sono ritorti puntualmente contro di lui: i chiodi lo

hanno inchiodato alla croce di lui con piaghe eterne:

“Quei chiodi che trapassarono le mani e i piedi del Signore, trafissero il diavolo con ferite che non hanno fine e la sofferenza di quelle sante membra fu terminio delle potenze ostili” (3).

Le pene a lui inflitte segnano ormai la fine del suo dominio sull'umanità (4); il suo scagliarsi

furibondo contro l'innocente è causa della sua rovina; la persecuzione mossa a colui che credeva

un semplice mortale lo fa trovare di fronte a Chi gli ha sottratto il dominio del genere umano.

Risultato finale: la sconfitta e la perdita di ogni dominio.

“Gesù Cristo con la sua esaltazione sul legno ritorse la morte nell'autore stesso della morte e infranse le opposte dominazioni e potenze con l'abbandonare alla loro crudeltà una carne passibile. Così permise all'antico nemico di esercitare la sua audacia infuriando in quella natura che gli era soggetta; costui, da esoso esattore, osò richiedere il debito anche ove non potè trovare alcuna traccia di peccato. Fu perciò annullato il ch-irografo che con-trattava la nostra vendita e ci dava in balia della morte. Il contratto che ci rendeva schiavi, passò in dominio del Redentore

Quei chiodi che trapassarono le mani e i piedi del Signore, trafissero il diavolo con ferite che non hanno fine e la sofferenza di quelle sante membra fu sterminio delle potenze ostili. La vittoria, portata da Cristo a compmento, fu tale che in lui e con lui tutti quelli che in esso credono, han trionfato” (5).

----------------- 1) Sermo LX, 3; SC. 74 , 66; EP. 135 : Nec ipse itaque dia bolus intellexit, quod saeviendo in Christum, suum destrueret principatum, quia antiquae fraudis iura non perderet, si se a Domini Iesu sanguine contineret. Sed malitia nocendi avida,dum irruit, ruit; dum capit, capta est; cum persequitur mortalem, incidit in Salvatorem. Cfr. Sermo LXIV, 2; SC. 74, 86. 3) Cfr. Sermo LXI, 4; SC. 74, 71: Exaltatus ergo Christus Iesus in ligno retorsit mortem in mortis auctorem. 4) Ibidem, EP.143: Clavi illi, qui manus Domini pedesque transfoderant, perpetuis diabolum fixere vulneribus, et sanctorum paena mambrorum inimicarum fuit interfectio potestatum. 5) Sermo L X I , 4; SC. 74, 71; EP. 142-43: Exaltatus ergo Christus Iesus in ligno retorsit mortem in mortis auctorem, et omnes principatus, adversasque virtutes, per obiectionem passibilis carnis elisit, admittens in se antiqui hostis audaciam, qui in obnoxiam sibi saeviendo naturam, etiam ibi exactor ausus est esse debiti, ubi nallum potuit vestigium invenire peccati. Evacuatum est igitur generale illud venditionis nostrae et lethale chirographum, et pactum captivitatis in ius transiit Redemptoris. Clavi illi, qui manus Domini pedesque transfoderant, perpetuis diabolum fixere vulneribus, et sanctorum poena mambrorum inimicarum interfectio fuit

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potestatum: sic suan Christo consummante victoriam, ut in ipso et cum ipso omnes, qui in eum crederent, triumpharent. Capo terzo:

IL DIAVOLO E DIO

Risultato di tutta la lotta voluta dal Diavolo per poter riaffermare suo completo dominio

sull'umanità è stato la perdita totale di esso. Inoltre tutto ciò di cui egli si è servito nella lotta,

infallibilmente si ritorto contro di lui.

Possiamo quindi domandarci come mai sia stato possibile ciò e se egli non aveva -

almeno confusamente- potuto prevedere il risultato della sua lotta contro Gesù.

Noi ora possiamo conoscere quale fosse il disegno di Dio: è sceso in campo contro il Diavolo, si è

servito dei mezzi da lui usati e voluti per condurre l'uomo alla rovina, ha accettato la lotta alle

condizioni volute dallo sfidante, perché la sconfitta fosse giusta e non vi fosse possibilità di

recriminazioni da parte del Diavolo una volta vinto.

Tutto ciò Dio ha operato perché punto di partenza dei suoi disegni era che l'uomo

non perisse. Questo disegno doveva compiersi assolutamente, perché Egli non cambia, e ciò che

stabilisce necessariamente si effettua (1).

Questo disegno o “consilium” di Dio non ha altra causa che Dio stesso, perché in nessun altro es-

sere, al di fuori di sé, Dio può trovare motivo per agire, o per aver misericordia (2)

E’ la sua "bontà”, la sua misericordia che trova riscontro nella nostra miseria. Questo disegno da

S. Leone è chiamato sempre: '”consilium miserieordiae” (3), oppure “potentissimus divinae mise-

ricordiae sacramentum” (4).

La disposizione di misericordia da parte di Dio nei riguardi della umanità non è conosciuta dal Dia-

volo, perché gliela tiene secreta, coperta da un “occultiore sacramento”Gli cela la natività umano-

--------------------------------

1) Cfr. Sermo XXII, 2; SC.22bis, 76-78: ...opus fuit... secreti dispensatione consilii, ut incommutabilis Deus, cuius voluntas non potest sua benignitate privari, primam pietatis suae dispo-sitionem sacramento occultioue compleret, et homo diabolicae iniquitatis versutia actus in culpam, contra Dei propositum non periret. 2) Cfr. Sermo LXVI, 1; SC. 74, 94: miserendi enim nostri causa Deus nisi in sua bonitate non habuit. 3) Sermo LXII, 3; SC. 74, 75.

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4) Sermo LVI, 1; SC. 74, 41

divina del Signore, la sua reale identità di Uomo-Dio, lo scopo della sua Incarnazione,

Passione e Morte. Perché se il Diavolo avesse potuto conoscere il piano di Dio, non solo non

avrebbe preso l'iniziativa della lotta, non solo non avrebbe aizzato contro di Lui i Giudei fino ad im-

porre la sua morte a Pilato, ma li avrebbe spinti alla mansuetudine, a riconoscerlo Re-Messia pro-

messo, ad ascoltare il suo insegnamento, “ne omnium captivorum amitteret servitutem”

(1). Ignora i disegni divini riguardanti la persona e la missione di Gesù, lo scopo dell'Incarnazione e

della Passione e morte, la funzione dell'umanità di Gesù; ignora che secondo questi disegni non vi

sarebbe stata Redenzione senza la Incarnazione (2), cioè senza la partecipazione piena della

divinità ai destini di tutta l'umanità. Per essa Dio ha fatta sua la lotta ingaggiata contro l'umanità dal

Diavolo; ha fatta sua l'opera di salvezza che l'uomo da solo non avrebbe potuto portare a termine.

Gesù, celando al Diavolo la sua natura divina, gli mette davanti solo la sua natura

umana perchér ingannato da essa, non avesse timore di muovergli guerra, per ridurlo in suo

potere. Quale è la funzione dell'umanità di Gesù? Un'esca che attiri il Diavolo: deve celargli la

verità sulla persona di Gesù. Questa funzione è indicata nei brani seguenti:

“Formam servi nihil peccati habentis obiecit : ut per eum ageretur omnium causa, in quo solo erat omnium natura sine culpa” (3).

...ut humanuìft genus vinculis mortiferae praevarica tionis absolveret, et saevi- enti diabolo potentiam suae maiestatis occulti, et i nfirmitatem nostrae humilitatis

obiecit (3).

“In quo conflictu pro nobis inito, magno et mirabili aequitatis iure certatum estE

----------------------------------- 1) Cfr. Sermo LXII, ibidem: Si enim crudelis et superbus inimicus consilium misericordiae Dei nosse potuis- set, Iudaeorum animos mansuetudine potius temperare, quam iniustis odiis studuisset accendere; ne omnium captivorum amitteret servitutem. 2 ) Cfr. Sermo XXXVII,1; SC. 2bis, 276;...nisi in unum tanta diversitas conveniret, reconciliari Deo humana natura non sset. Vedi ancora su questo argomento quanto è stato esposto nelle pagine 74-77 e le note corrispondenti.

3) Sermo LIX,1; SC.74, 56

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4) Cfr. Sermo LXII, 3; C. 74, 56.

obiiciens ei eamdem formam eamdemque naturamE(1),

in essi si trova usato lo sesso verbo, anche se in varie forme, obicio.

Quale significato dargli? Il prmo potrebbe essere quello di contrapporre, oppure di pre-

sentare. Ma risalendo al significato etimologico del verbo, compostop da OB - davanti, e IACIO –

getto, mi sembra che questo debba essere il significato vero da dare al verbo. Gesù avrebbe

gettato davanti al Diavolo la sua natura umana, perché in essa il Diavolo sfogasse il suo odio.

Ma dal momento che questa non gli era soggetta, perché esente dal peccato, si sarebbe

venuto a trovare nell’ingiustizia e quindi, giustamente, sarebbe stato spogliato del ppotere che

vantava sugli uomini. Insomma, Dio avrebbe agito con il Diavolo come Virgilio con Cerbero:

“Lo duca mio disatese le sue panne, prese la terra, e con peine le pugna la gittò dentro alla bramose canne” (2). Così Dio, mediante l’ingiusta umiliazione di Gesù, ha distrutto il regno del Diavolo (3). ---------------------------- 1) Cfrf. Sermo XXI, 1; SC. 22bis, 68. 2) Dante, Div. Com. Inf. VI, 25-27. 3) Cfr. Sermo LXI, 4; SC. 74, 71, testo a pagina 122, nota 1.

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P A R T E S E C O N D A Sezione seconda: GLI STRUMENTI. Sommario: Giuda

Autorità Religiose Pilato

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Capo Primo: GIUDA

“E’ vero, ebbe in quell'apparato di imprudente audacia un degno coope-ratore, un degno complice nell'empio Giuda, che preferì esse ministro del diavolo, anziché apostolo di Cristo, da cui si allontanò non per sentimento di paura, ma per cupidigia di denaro” (1).

Con queste parole ponderate è definita l'azione del Diavolo, la lotta contro Gesù come “apparato

di imprudente audacia”. E! definito anche Giuda: “degno cooperatore, degno complice”; ne motiva

la definizione: “preferì essere ministro del Diavolo, anziché apostolo di Cristo”', Sono definiti i

mezzi usati dal Diavoli per attirare Giuda dalla sua parte: “cupidigia di denaro”'.

La terminologia sembra un pò forte, definendolo “impius” o anche '”mpiissimus” (2),

“infelix” o “infelicio”', “scelestior” ( 3 ) ,

Queste definizioni non indicano malanimo da parte dell'Autore, ma denotano e carat-

terizzano l'azione di Giuda nei vari aspetti e nelle conseguenze. L'azione è compendiata in un solo

termine: “traditor” (4).

Questo ha reso Giuda”'minister diaboli” non per forza estranea, ma di sua spontanea volontà. Egli,

infatti, non aveva nessun motivo per giustificare il suo modo di agire. Era uno degli intimi, essendo

stato scelto nel numero degli apostoli, che dovevano stare sempre con lui; e tra questi era diven-

tato l'uomo di fiducia, avendo avuto in custodia la cassa della comunità apostolica.

Aveva assistito agli insegnamenti ed ai miracoli del Maestro; al pari degli altri intimi aveva

partecipato ai suoi secreti (5).

--------------------------------- 1) Cfr. Sermo LX, 3; SC. 74, 66; EP. 135-36: Invenit sane in illo molimine imprudentis audaciae dignum cooperaturem, dignumque consortem, cum impius ludas maluit minister esse diaboli quam apostolus Christi, quem non timoris perturbatione deseruit, sed pecuniae cupiditate distraxit. 2) Cfr. nota prec. e Sermo LXVII, 4; SC. 74, 103. 3) Cfr. Sermo LVII, 3; SC. 74, 52; Sermo LXII, 4; SC, 74, 76; Sermo LXVII, 3; SC. 74, 102. 4) Ibidem 5) Cfr. Sermo LXVII ibidem: ...sic usus est obcaecatae plebis insania, quomodo et perfidia traditoris, quem ab immanitate con-cepti sceleris, et beneficiis revocare est dignatus et verbis assumendo in discipulum, provehendo in apostolum, onendo signis

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Ma il Diavolo sceglie in lui il ministro più importante come a sfidare apertamente il suo

Avversario. Prende occasione dal suo ufficio e lo istiga ad appropriarsi del denaro omune, prima di

piccole somme, e poi sempre di maggiori, "ben sapendo che l'avarizia è la radice di ogni male, e

tutto vine sacrificato all'amore del denaro” ( 1 ) .

L'abitudine di impossessarsi delle somme depositate presso di lui fa esasperare la sua

brama di denaro, e cerca ogni occasione per poterla soddisfare, non rifuggendo neppure dall'idea

di tradire il Maestro:

“Per questo il perfido Giuda, inebriato da questa sorte di veleno, nel ricercare la soddisfazione alla sete di guadagno è arrivato fino al capestro” (2).

E intanto tutte le meraviglie operato intorno a lui non possono conservare traccia nel suo animo:

“Aveva ascoltato con orecchie sacrileghe le parole del Signore: "non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatorì' e "il Figlio dell'uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che è perduto". Neppure aveva compreso la clemenza di Cristo... (3).

La sua preoccupazione ora era di portare a termine la determinazione di tradire il Maestro per rea-

lizzare un buon guadagno, E non si accorgeva che stava perdendo tutto (4).

Tuttavia il Maestro continuava a dimostrarsi benevolo con Lui fino all'ultimo momento

quando, in segno di affetto, e come ultimo tentativo per richiamarlo al bene

“Intinto, allora, il boccone, lo prende e lo dà a Giuda, figlio di Simone Iscariota. E, dopo il boccone, allora entro in Giuda Satana” .

E alzatosi fuggì precipitosamente da quel luogo, mentre martellavano ancora nella sua mente le

parole del Maestro:

“Quello che fai, fallo al più presto” Ed era notte (5)

----------------------- consecrando mysteriis... 1) Cfr. Sermo LX, 4; SC. 74, 66-67: ...nullum peccatum sine cupiditate committitur, et omnis illicitus appetitus, istius viditatis est morbus... 2) ibidem; EP;136: Hoc perfidus Iudas inebriatus veneno, dum sitit lucrum, pervenit ad laqueumW 3) Sermo LXII, 4; SC.74, 76; EP.151: Sed maligno cordi, et nunc furti fraudibus dedito, nunc parricidialibus commerciis

occupato, nihil umquam documentorum misericordiae Salvatoris insederat, Impiis acceptaverat auribus Domini verba dicentis: "non veni vocare iustos, sed peccatores”...nec intellexerat clementiam Christi 4) Cfr. Sermo LXVII, 4; SC, 74, 103 : ...ut facibus inflammatus avaritiae, ad triginta argenteorum lucrum inardesceres,et quid divitiarum amitteres non videres.

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5) Io.13,26.

Ultimo gesto di delicatezza e di misericordia che cadeva nelle tenebre di quell'anima ormai pos-

seduta dall'odio e dal Diavolo.

Sarebbe andato fino in fondo, dal momento che ogni possibilità di ripensamento era

preclusa. Avrebbe guidato lui i nemici; l'avrebbe dato lui il segnale dimostrando così apertamente,

senza bisogni di sotterfugi, che egli era...

Consumato il delitto si accorse che i benefici da esso sperati erano molto inferiori alle

sue aspettative, i mali, invece, le superavano abbondantemente.

In fondo, tranne quel momento di aberrazione, mai aveva desiderato la morte del

Maestro. Aveva pensato che si sarebbe servito della sua potenza per liberarsi dai nemici. E

quando, al momento della cattura questi, al suono della sua voce, caddero a terra, come fulminati,

dovette rallegrarsi, perché non si era ingannato... Ma fu solo un vana speranza... Gesù si lasciava

incatenare e, stroncando ogni velleità di resistenza di Pietro e degli altri apostoli, seguiva

mansueto i nemici.

Da allora dovette seguire con ansia gli avvenimenti per vedere quale sarebbe stata la piega

definitiva che stavano prendendo, illudendosi ad ogni minimo segno, di una possibile salvezza. E

quanto più, col procedere degli avvenimenti questa possibilità si faceva meno consistente, tanto

più aumentava in lui il rimorso, fino al punto di maturare l’ultimo passo che avrebbe dovuto

condurre alla liberazione di Gesù: facendosi coraggio volle restituire i trenta denari e confessando

la propria colpevolezza, attestare l'innocenza di Gesù:

“Allora Giuda, il traditore, vedendo Gesù condannato, preso da rimorso, restituì

ai gran Sacerdoti e agli anziani i trenta pezzi d'argento, dicendo:

---------------

2) Io. 13,27.30.

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"Ho peccato tradendo il sangue innocente" (1).

Ma la sua confessione è incompleta, perché è a Gesù che deve domandare perdono, e non deve

crederlo solo un uomo straordinario ma un Uomo-Dio (2).

Avrebbe dovuto ricordare i segni di bontà verso di lui, anche quando il Tradito lo sapeva già

occupato nelle ultime trattative; avrebbe dovuto ricordare la bontà e la misericordia che il Maestro

amava dimostrare verso i peccatori (3); avrebbe dovuto attendere l'esito della sua opera, per poter

anche egli usufruire della redenzione umana operata attraverso la Croce (4).

Invece pensò solo alla grandezza del proprio peccato, e i segni della misericordia del

Maestro non avevano potuto lasciare traccia duratura in lui, perché troppo occupato nei suoi

piccoli furti e dall'attrattiva del tradimento (5).

Vistosi quindi incompreso anche dai suoi complici, che alle sue dichiarazioni, con

cinismo, avevano risposto: “Che c'importa? è affar tuo”, scagliati i trenta pezzi d'argento nel

Santuario, andò ad impiccarsi (6)

Certamente tu, Giuda, sei stato di tutti il più scellerato e infelice, perché la peniten-za non ti invitò a tuo delitto e avessi dilazionato l’orrida morte per impiccagione tornare al Signore, ma ti incitò la disperazione ad appenderti al capestro. Magari avessi aspettato il compiuto risultato del tuo delitto fino a che il sangue di Cristo non fosse stato sparso per tutti i peccatori invece, quale uomo refrattario alla conversine, spirito che va e non torna, hai seguito l’impeto procelloso del tuo cuore:

----------------------

1) Mt.27,3-4. 2) Cfr. Sermo LII ,5; SC. 74, 26-27 : Quod remedium nec te Iuda, transiret, si ad eam paenitentiam confugisses quae te revocaret ad Christum, non quae istigaret ad laqueum. Dicendo enim 'peccavi, tradens sanguinem iustum', in impietatis tuae perfidia perstitisti: quia lesum non Deum Dei Filium, sed nostrae tantummodo conditionis hominem inter extrema rnortis tuae pericula credidisti, cuius flexisses misericordiam, si eius non negasses omnipotentiam. 3) Cfr. Sermo LIV, 3; SC, 74. 22-23 : Cumque conscientiam tuam tot Domini miracula, tot dona torquerent, illa saltem te a praecìpitio tuo sacramenta revocassent, quae in paschali caena iam de perfidia tua signo divinae scientiae detectus, acceperas. Cur de eius bon itate diffidis, qui te a corporis et sanguinis sui communione non repulit, qui tibi ad comprehendendum se cum turbis et armatorum cohorte venienti pacis osculum non negavit? 4) Cfr. ibidem: Expectasses consumationem criminis tui, et donec sanguis Christi pro omnibus pec- catoribus funderetur... Cfr. Sermo LXII, 4; SC. 74,76: Nam mortuo pro omnibus Domino, potuisset etiam forte hic consequi remedium, si non festinasset ad laqueum. 5) Cfr. Ibidem: Sed maligno cordi, et nunc furti fraudibus dedit o , nunc psrrìcidialibus commerciis occupato, numquam documen-torum midericordiae Salvatoris insederat. Impiis acceptaverat auribus Domini verba dicentis: 'non veni vocare iustos, sed peccato-

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6) Mt. 27,4-5.

mentre avevi il diavolo alla tua destra ritorcesti sulla tua testa quella iniquità che a- vevi addensato contro il capo di tutti i santi.

Avvenne così perché, essendo il tuo delitto superiore a qualunque Pena, la tua empietà avesse te stesso per giudice e tu fossi l’esecutore della tua pena (1).

“E con ragione fu affidata a te l’esecuzione della tua pena, perché nel supplizio da te scelto, nessuno si sarebbe potuto trovare di te più crudele” (2).

Perché colui che aveva consegnato “Vitae auctorem interfectoribus.

etiam moriendo peccaret” (3).

--------------------------------- res'... nec intellexerat clementiam Christi.... 1) Cfr. Sermo LIV, 3; SC. 74, 32-33. testo as pag. 54-55. 2) Cfr. Sermo LXVII, 44; SC. 74, 103; EP. 193: et merito tua poena tibi commisa est, quia in supplicium tuum nemo te savior potuit inveniri.

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3) Sermo LXII, 4. SC. /O, 77. Capo secondo : AUTORITÀ' RELIGIOSE

A differenza di Giuda e degli altri possibili strumenti del Diavolo, le Autorità Religiose non hanno

una loro caratterizzazione, ma sono definite in base a due soli elementi: ignoranza e malizia, che

sono caratteristiche proprie del Diavolo e si adattano a questi strumenti.

L'ignoranza non deriva loro da mancanza di opportunità o di possibilità di conoscere esat-tamente

ciò che riguarda la persona di Gesù, ma solo da mancanza di volontà. Esse non hanno ignorate

semplicemente chi è Gesù, ma, scandalizzate delle sue apparenze umili, hanno rifiutato di

riconoscere in quelle la Potenza di Dio che pure da essa emanava. Si fermarono ad esse e

negarono in lui ogni potestà divina (1).

Al pari del Diavolo ignorano chi è Gesù riconoscendo in lui la sola natura umana, ma

non la divina. Per questo lo condannarono e lo fecero giustiziare da Pilato.

Con cura meticolosa cercano di prevedere tutte le possibilità. I maggiorenti della nazione si

radunano per consultarsi sui migliori e più idonei provvedimenti da prendere qualora si offra la

possibilità di averlo nelle mani.

Tutto questo non è frutto di disinteressata tutela della Legge, ma sfogo di odio in-

veterato contro chi comprometteva il loro prestigio davanti al popolo (2).

Prima cura sarà di non turbare l'ordine pubblico per non compromettere l'esito dell'impresa, urtan-

do la suscèttibilità del rappresentante di Roma. Il popolo non doveva essere messo nelle condizio- ---------------------------- 1) Cfr. Sermo LXV, 3; SC.74, 92: Obcaecati enim Iudaei malitia sua in quod prorupissent facinus nesciebant...Nec intellectu enim cordis, nec auditu auris, nec oculorum intuitu sentiebant quem falsis testimoniis appetissent, quem affici patibulo coegissent, dum in corpore hominis non agnoscunt substantiam Deitatis. Viderunt humilem, et non adoraverunt universitatis auctorem, nec intellexerunt potestatem iudicaturi, despicientes mansuetudinem iudicati: ut et persecutores veri Dei, et negatores veri hominis una impietas sociaret. Sermo LX, 3; SC. 74, 66: quod non scribae, non pharisaei, nec summi intellexere pontificesW. 2) Cfr. Sermo LIV, 6; SC. 74, 35: ...et tamquam extenuanda esset furoris vestri immanitas, si eius sententia qui provinciae vestrae praesidebat uteremini, vinctum lesum ad Pilati iudicium deduxistis; ut clamoribus improbis trepido cognitore superato, interfectorem

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hominum eligeretis ad veniam.

Ni di poter intervenire a favore del Cristo e di liberarlo dalle loro mani (1).

Tanto meglio poi se si poteva approfittare di una possibilità insperata, come il tradi-

mento di uno degli intimi della vittima. Inoltre avrebbero avuto a portata di mano un docile

strumento del loro odio nel Governatore della Provincia.

Non gli avrebbero mai permesso di pensare e di agire liberamente: avrebbero sopraffatto le sue

velleità di libera decisione e di un nuovo esame della causa deferita al suo tribunale, gridando,

minacciando tumulti e, se fosse stato necessario, sobillando il popolo. Lui doveva solo confermare

la sentenza da loro emessa e farla eseguire, trattandosi di questione religiosa in cui lui non aveva

nessun diritto di intromettersi (2).

E per fargli maggiore impressione gli avrebbero presentato l'imputato già condannato

e ben legato, in mezzo alla folla che lo beffeggiava e lo derideva perché non avesse la possibilità

di pensare che loro si fossero lasciati vincere da risentimento o da odio e non dalla ferrea legge

della giustizia, applicata imparzialmente (3).

E se anche questo fosse riuscito vano, avrebbero avuto un ultimo argomento: appellarsi al-

la sua lealtà verso l'imperatore, contro il quale l'accusato aveva istigato il popolo a ribellione.Quello

che devono ottenere ad ogni costo non è un castigo, ma una condanna a morte in piena regola.

Ma Pilato non si arrese così facilmente alla loro volontà. E solo dopo aver cer-cato di riget-tare su

di loro ogni responsabilità, perché non gli avevano per messo di regolarsi come meglio credeva

secondo la propria coscienza, cedette alla loro richiesta

------------------------------- . 1) Cfr. Sermo LVII, 2;SC. 74, 50: Undecum scribae et seniores populi ad impium consilium pontifices congregarent, omniumque ani-mos sacerdotum cura admittendi in lesum sceleris occupasset... parricidialis odii furore concepto, ad unum opus vacant, et in unum facinus simili crudelitate coniurant, nil assecuturi supplicio innocentiae et condemnatione iustitiae, nisi ut et nova non apprehende-rent.,. 2) Cfr. Ibidem: Providentibus ergo principibus, ne in die sancto tumultus oriretur, non festivitati, sed facinori studebatur; nec religioni serviebat haec cura, sed crimini. Diligentes enim pontifices et solliciti sacerdotes, seditiones turbarum fieri in praecipua solemnitate studebantWne Christus evaderet.

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3) Cfr. LIX, 2; SC. 744, 57: offerebant enim lesum duribus nexibus vinctum... ut inter tot praeiudicia, quem omnes vellent perire non auderet Pilatus absolvere

Condannando a morte l’innocente Gesù (1). Quindi è su di loro che ricade tutta la colpa della

condanna e morte di Gesù anche se non scusa del tutto gli esecutori (2).

Ma anche loro, a causa della ignoranza, potranno ottenere il perdono quando si

decideranno a recedere dal loro odio ingiustificato. Finché non si verificherà ciò penderà sempre

su di loro la condanna, frutto della condotta ingiusta e della violenza usata verso chi voleva essere

giusto, e non poté esserlo per la loro malvagità (3).

---------------------------------------- Non auderet Pilatus ab solvere 1) Cfr. Sermo LVII, 2; SC.74, 47: Si non tantum facinus vestra impietas peragit, permittite praesidem iudicare quod sentit. 2) Ibidem: Peccaverit Pilatus faciendo quod noluit, in vestram conscientiam confluit quidquid furor vester extorsit. Sermo LIX, 3; SC. 74, 58: vobis, vobis, falsi Iudaei, et sacrilegi principes populi, totum facinoris istius pondus incumbit; et licet immanitas sceleris et Praesidem obligarit, et milites, omnis tamen facti summa vos arguìt... 3) Cfr. Sermo LXI, 5; SC. 74, 72: Repudiatos itaque vos debuistis agnoscere, et omne ius sacerdotii perdidisse, quia verum erat

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quod Veritas vobis dixerat: 'Si crederetis Mosi, crederetis et mihi'. Merito ergo vos Testamentum utrumque condemnat. Capo terzo: PILATO

In verità Pilato più che uno strumento del Diavolo, è uno strumento delle Autorità

Giudaiche, che si servono di lui solo per dare una parvenza di legalità alla morte di Gesù. Essi

avevano previsto freddamente tutto, e a tutto avevano provveduto con accuratezza; tuttavia non si

aspettavano in quella occasione un colpo di testa da parte di Pilato: un riesame totale della causa

che gli era stata presentata, e un giudizio il più possibile imparziale e fondato su un'accurata

istruttoria, e non una cosa da sbrigarsi al più presto, come volevano essi.

A questa presa di posizione di Pilato non doveva essere del tutto estraneo il motivo di fare un bel

dispetto ai Giudei. Dichiara il risultato di una sua prima sommaria inchiesta: a suo giudizio

quell'uomo è innocente (1). Ma per non rimandare i Giudei a mani vuote, pur non condannando

l'innocente, ordina che sia punito (2) e non si accorge che già sta cedendo alle loro richieste. E

non si avvide che quel compromesso non solo non avrebbe giovato all'innocente, ma avrebbe

scontentato anche i nemici. Questi, infatti, pur di ottenere il loro intento non esitano a farsi più

legalisti del tutore della legalità, e dipingono Gesù come un pericoloso concorrente di Cesare e un

sobillatore.

Pilato comincia a sentirsi insicuro. Crede di trovare una via di uscita proponendo da

lasciare al popolo la libertà di scegliere tra Barabba, reo di delitti comuni, allora in prigione e Gesù,

pensando che il popolo non sarebbe stato tanto insensato da preferire un omicida ad un illuso (3).

--------------------------- 1) Cfr. Sermo LIX, 2; SC. 74, 57: Denique nec in accusato eum reperisse culpam, nec in sententia sua tenuisse constantiam docet ipsa cognitio. 2) Cfr. Ibidem 74, 57-58: Quod ergo Pilatus... implacabili populi victus insania, multis lesum dehonestari ludibriis, et immodicis vexari permisit iniuriis, quodque eum flagellis caesum, spinis coronatum, et amictu irrisoriae vestis indutum, scribarum et sacerdotum ostentavit aspectui, mitigandos proculdubio inimicorum animos existimavit.... 3) Cfr. Sermo LXI, 1; SC. 74, 69: Stultam insimulationem imprudenter, Pilate, timuisti, Sed formidabile fuerit nomen regium, ut pro imperio Caesaris opprimi debuerit novae molitio potestatis, si dominandi consilium tyrannicus tibi prodiit apparatus, si provisio

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armorum, si congregatio divitiarum, si praesidia detecta sunt militum I

Giudei, però, vedendo che il sogno sta per avverarsi, raddoppiano gli sforzi e i clamori. Vedono

Pilato già pronto a cedere. Si tratta di salvare la faccia: una rinnovata protesta di fedeltà al Cesare

di Roma, un addossare a sé stessi ogni responsabilità nella morte del Giusto, una prova generale

di tumulto perché Pilato non li vuole accontentare... e il Giusto è consegnato al carnefice (1). .

Sia pero chiaro a tutti che non sarà lui a rispondere, davanti ad alcuno, del sangue dell'Innocente.

E con gesto teatrale si lava le mani davanti al popolo (2).

Ma “non purgant contaminatum anirnum manus lotae”'!

Così, ancora una volta, l'odio cieco si serve dell'ignavia per condannare alla morte il Giusto.

“STULTAM INSIMULATIONEM IMPRUDENTER PILATE TIMUISTI”!

--------------------------- 1) Ibidem 2 ;SC„ 74, 69-70: Sed pertinax malitia propriis crescebat augmentis, et in quem obtinuerat ius Illusionis exigehat et mortis. Unde cum et summi sacerdotes, et principes Iudaeorum, omnisque multitudo crebris vocibus acclamaret: 'Crucfige, crucifige', tradidit lesum persequentium voluntati, Barabba illis latrone dimisso... cfr. Sermo LIX, 3; SC. 74, 58:.. cum consono fremitu diceretur a turbis: 'Sanguis eius super nos et super filios nostros'; obtinuerunt iniqui in damnationem suam quod pertinaciter exigebant. 2) Effr. Ibidem: non purgant contaminatum animimi manus lotae,nec in aspersis digitis expiatur quod famulante impia mente

committitur.

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PARTE SAECONDA Sezione terza I PERSONAGGI SECONDARI Sommario I: gli Apostoli

II: Pietro Capo primo GLI APOSTOLI

In tutto lo svolgimento della Passione gli Apostoli in tutto fanno due sole apparizioni:

l'entrata in scena e l'esodo: la fuga.

Entrano in scena con Gesù nella Cena d'addio.

In essi il Nostro non trova degno di particolare rilievo se non il loro comportamento trepido in

confronto a quello di Giuda al momento della rivelazione del traditore. Nota la reazione dei

discepoli: inorridiscono e, pur sapendosi innocenti, ognuno teme per sé e di sé, non perché sa di

dover tradire il Maestro, ma perché sa che tanta è la debolezza umana. E poi certamente sarebbe

accaduto se il Maestro l'affermava con tanta sicurezza (1).

Si affrettano quindi a rassicurarsi, chiedendo spiegazioni al Maestro:

“Ed essi profondamente rattristati, si misero a dirgli uno dopo l'altro: “sono forse io, Signore?” Ma Egli rispose: “mi tradirà colui che ha intinto con me la mano nel piatto” (2)

Dopo di che essi tornano nell'ombra, fino al momento in cui, vinti dal timore, abbandoneranno

Gesù. ------------------------ 1) Cfr. Sermo LVIII, 3;SC. 74, 52: Ecce immaculati et innocentes condiscipuli tui ad significationem facinoris expavescunt et omnes sibi, non edito impietatis auctore, formidant. Contristati enim sunt, non de conscientiae reatu, sed de humanae mutabilitatis incerto, timentes ne minus verum esset quod in se quisque noverat, quam quod ipsa Veritas praevidebat. 2) Mt. 26,22-23.

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In fondo sembra che il timore sia ora la caratteristica dominante un poco in tutti, come

prima lo era stata la spavalderia, ma l'una e l'altra non sono che due facce della stessa medaglia:

se il pericolo si vede imminente reale, si perde il controllo delle proprie azioni e si trova scampo

nella fuga; se non si vede, o si prevede solo remoto, per prendere coraggio si fa la voce grossa.

Sia l'uno che l'altro sono segno di pusillanimità. E gli Apostoli in genere si mostrarono pusillanimi.

Nel vedere compromesso il Maestro, con il quale si erano dichiarati pronti ad affron-

tare anche la morte, non trovarono di meglio che la fuga, “e non furono immuni dal sentire lo

scandalo della croce” (1). Non è il caso però di mostrarsi troppo esigenti con gli Apostoli: non

erano preparati a simili avvenimenti. Mai avevano veduto tanti nemici andare concordi contro il

loro Maestro, pieni di collera come tori, protervi per petulanza come giovenchi, chiedere sangue

come belve furenti... e infine vedere anche lui gemere e pregare: “la mia anima è triste fino alla

morte” (2 ) . E in ultimo consegnarsi nelle mani dei ne dei nemici. Possiamo quindi scusare

quell'attimo di debolezza che determinò la fuga disordinata, mentre l'abbandono del maestro non

fu mancanza di fiducia

------------------------------------ 1) Cfr. Sermo LX, 1; SC. 74, 64: ...ipsique discipuli voluntaria Domini passione turbati, non evaserunt scandalum crucis sine tentatione formidinisW 2) Cfr. Ibidem: Puerit tunc disciptilorum excusabilis pavor, nec diffidentiae cuipam apostolicus maeror inciderit, quando concurrrentibus ad unum scelus Iudaeis Iudaeromque principi bus, superbus taurorum tumor, et proterva vitulorum petulantia saeviebat; quando sub oculis ovium, pastoris iusti sanguinem frementium bestiarum rabies expetebat; quando denique etiam ipse, qui pati venerat, de nostrae naturae communione dicebat: “Tristis est anima mea usque ad morterm” (Mt.26,38).

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Capo secondo:

PIETRO

Pietro non lo pensava allo stesso modo. Lui che si era dimo-

strato il più focoso e più ardente nel suo amore verso il Maestro,fremette di santo

sdegno el vederlo così maltrattato, mentre gli alti suoi compagni restavano indecisi.

Usò la spada, che con tanta cura aveva preparato e custodito, e un orecchio di

Malco, servo del Gran Sacerdote, ne provò i l taglio. Qualche altro nel frattempo si

attar-dava a chiedere: “Signore, dobbiamo colpire di spada?” (1) .

Gesù capisce e accetta l ’ intenzione, ma il non metodo e fa cessare l ’ iniziata

carneficina (2) , risana l ’orecchio di Malco, forse con disappunto di Pietro. In lui i l

t imore, che era stato dominato per poco dalla temerità, prese il sopravvento e fuggì.

Quando , poi , si accorse che quelli non cercavano lui, e che,forse nean-

che si erano accorti della sua prodezza, si mise a seguire Gesù da lontano.

Doveva pensare alle sue spavalde affermazioni di sentirsi pronto a patire con il Maestro (2), alla

sua responsabilità di Capo, alla fiducia che il Maestro aveva riposto in lui.

Riesce, con la raccomandazione di Giovanni, ad entrare nel palazzo del sommo

Sacerdote,ed ancora una volta, vinto dal timore, si mostra infedele al Maestro e lo rinnega per tre

volte (3). Questo però fu permesso perché non contasse troppo sulle sue forze, e potesse

comprendere e perdonare la debolezza altrui (4). ------------------

1) Mt. 25, 51, 2) Cfr. Sermo LI I , 4 ; Sc. 74, 25: Nam et beatus Petrus qui an imos iore constant ia Domino cohaerebat, e t contra v io lentorum impetus , fervore sanctae car itat is exarserat , in servum pr inc ip is sacerdotum usus est g lad io, e t aurem v ir i feroc ius ins tant is absc id it . Sed hunc zelant is apostol i p ium motum progred i Dominus u lt ra non pat itur: recond i g lad ium iubet , nec s in i t se adversus impios u lt ra dfend i. Cfr. Sermo LVII, 1 ; SC. 74, 45. 2) Cfr. Sermo LX, 4; SC. 74, 67: ...ea devotione fervebat, ut et Domino compati paratus esset. 3) Ibidem: ...ancilla sacerdotis calumniante perterritus, ex infirmitatis periculum negationis incurrit... 4) Ibidem: ...ob hoc, sicut apparet, haesitare permissus, ut in Ecclesiae principe remedium paenitentiae conderetur; et nemo auderet de sua virtute confidere, quando mutabilitatis periculum nec beatus Petrus potuisset evadere.

105

.

“Ma Gesù, il Signore, trattenuto col solo corpo in mezzo al consiglio del pontefice, con divino intuito osservò il vacillamento del discepolo che era fuori; e appena lo riguardò lo sollevò e l'invitò al pianto e alla penitenza” (1).

“Dove vai, Pietro? Perché ritorni indietro a rioccupare di nuovo le tue cose? Convertiti a me; abbi in me confidenza; seguimi” ( 2 ) .

E uscito fuori pianse amaramente (3).

“O apostolo santo, fortunate le tue lacrime che ebbero'efficacia di un sacro battesimo per lavare la colpa del rinnegamento. Mentre eri per cadere, la mano del Signore Gesù Cristo intervenne per sostenerti prima che fossi prostrato: così ricevesti la necessaria fermezza per stare eretto, proprio in mezzo al pericolo di cadere” (4).

--------------------

1) Ibidem, EP.137: Dominus autem lesus, qui intra pontificali concilium solo corpore tenebatur, trepidationem di-scipuli fóris positi

divino vidit intuitu; et paventis animus, mox ut respexit, erexit, et in fletus paenitudinis incitavit.

2) Sermo LIV, 5; SC. 74, 34; EP. 90: Quo abis,Petre? quid in tua recedis? ad me convertere, in me confide, me sequere: meae

passionis hoc tempus est...

3) Lc. 22, 62 .

4) Sermo 60 , 4 ; SC. 70 , 67 .658 : Fel i cews, san c te apostole, l acrymae tuae, quae ad d iluendam culpam negat ionis ,

v i r tu tem Sacri Havbuere bapt ism at i s; a ffui en im dextera Domini Iesu Chr ist i , quae labentem te, p r iusq uam dei ice-

r i s , exciperet et f irmi tatem s tandi in ipso cadendi pericolo recep is t i .

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C O N C L U S I O N E

Al termine di questo lavoro credo di poter affermare -senza presunzione- che nei “sermones”

analizzati vi è un profilo, o meglio degli elementi per un profilo dei PERSONAGGI DELLA

PASSIONE.

Questi elementi ho cercato di renderli e armonizzarli senza falsare il pensiero dell'Autore.

Con questo non voglio dire che tutto sia riuscito perfetto e senza difetti. Essi sa-ranno

scusati tenuto conto anche del fatto che questo è il primo passo su questa via, e che le difficoltà

sono state moltiplicate per la mancanza di una esposizione sistematica del pensiero di S. Leone.

Ciò d'altra parte è logico, altrimenti avrebbe scritto dei trattati sui Personaggi, e non dei

“sermones”.

Mai avrà pensato che dopo quindici secoli qualche curioso avrebbe preso i suoi

“sermones”, li avrebbe sezionati e analizzati per ricavarne un profilo logico di alcuni personaggi.

Ad ogni modo, anche se gli elementi risultano sparsi in molte parti, come si potrà

vedere leggendo le note, tuttavia è stato possibile riscontrare una sufficiente organicità, la quale

ha permesso lo svolgimento del presente lavoro.

Questo si articola in due parti, delle quali la prima svolge la funzione di introduzione

generale alla seconda, che tratta l'argomento centrale della Tesi.

Nella Prima ho trattato dell'Autore e dell'Opera, sotto un aspetto -credo- nuovo. Ho

cercato di studiare l'Autore come risulta nei “sermones”, analizzando tre parole, che ci danno la

possibilità di comprenderne l'anima.

L'Opera è stata analizzata nel suo aspetto passionale, che è poi quello artistico-

oratorio. Ho cercato non solo di fare delle affermazioni, ma di farle risultare anche dall'analisi di

due “sermones”.

107

Nella Seconda Parte ho trattato dei Personaggi nelle tre sezioni di Protagonisti,

Strumenti , e Personaggi Secondari.

Questa divisione, oltre che logica, mi sembra che scaturisca anche dai “sermones”

stessi, sia per la frequenza con cui tratta dei vari personaggi, sia per altri accenni che ho cercato

di mettere in evidenza nel corso della Tesi.

Nello studio dei Protagonisti ho seguito l'identico schema, oltre tutto per dare risalto

alla netta contrapposizione che caratterizza Gesù e il Diavolo; Bene e Male. Per il Diavolo e Giuda

-suo principale strumento- l'ordine di trattazione è simile: si parte dall'analisi dei nomi per

concludere alla persona e all'opera.

Ho dato minore caratterizzazione agli Strumenti -come del resto fa l'Autore stesso- oltre che per

mancanza di dati sufficienti, anche per mettere in risalto la loro funzione di Strumenti di un

Protagonista: il Diavolo.

Potrebbe sembrare inesatta la terminologia usata per gli Apostoli e Pietro -

Personaggi Secondari-, ma non ne ho trovata una che meglio rendesse l'idea. Essi non sono Stru-

menti, e neppure sono Protagonisti, non sono comparse, ma hanno una loro funzione in tutto il

dramma, anche se non principale.

Si sarebbe potuto trattare della Polla, ma l'Autore vi accenna solo qualche volta, e

quando si è presentata l'occasione ne ho parlato; credo però che non era il caso di farne un

capitolo a parte. Così per altri personaggi appena nominati dall'Autore: Buon Ladrone, Barabba

ecc.

CONCLUDENDO

credo di aver dimostrato quanto mi ero prefisso, anche non negando limiti e

difetti. Qualche altro potrà fare molto meglio ovviando a limiti e correggendo difetti.

108

A me sarà sufficiente aver aperto la via.

P. GIACINTO DE SANTIS C.P. CALVI RISORTA 18 MAGGIO 1966 -Vigilia dell'Ascensione-

RUGIIT ET PAVIDA STUPUERUNT CORDA FERARUM

PASTORISQUE SUI IUSSA SEQUUNTUR OVES”

Finito di rividere nel mese di SETTEMBRE 2011. FALVATERRA FR. Ritiro dei pp. Passionisti “S. Sosio Martire” Il lavoro è stato potuto rivedere grazie all’opera del Confr. Daniele, che ha fotocopiato con lo scanner la tesi.