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Dossier 15 p. 356 Dossier 6 p. 338 Dossier 3 p. 332 Dossier 2 p. 330 Lisbona Mare Mediterraneo Mar Nero Mare del Nord M a r B a l t i c o Tirolo Oceano Atlantico I M P E R O O T T O M A N O Ankara Costantinopoli Caffa Kiev Mosca IMPERO RUSSO Pietroburgo Riga Stoccolma REGNO DI SVEZIA REGNO DI NORVEGIA Cristiania Edimburgo REGNO DI GRAN BRETAGNA PRUSSIA Varsavia REGNO DI POLONIA Budapest Regno di Ungheria Belgrado Bucarest REGNO DI SPAGNA REGNO DI PORTOGALLO Madrid Siviglia Baleari Londra Barcellona Avignone Bordeaux Lione REGNO DI FRANCIA Parigi Tunisi Regno di Sicilia Atene Antiochia STATO DELLA CHIESA Regno di Napoli Grand. di Toscana R E G N O D I S A R D E G N A Copenaghen REGNO DI DANIMARCA Amburgo Hannover Brandeburgo Berlino Sassonia Slesia Boemia Moravia PAESI BASSI Colonia Assia Baviera Monaco CONF. ELVETICA Vienna Austria REP. DI VENEZIA Milano Paesi Bassi Austriaci L’Europa nel 1748 il rischio di grandi epidemie. La peste, in particolare, si affacciò solo in poche cit- tà e per brevi periodi, per poi scomparire del tutto verso la metà del Settecento. Di conseguenza diminuì il tasso di morta- lità, mentre aumentava il numero delle nascite, favorite dalla maggiore disponi- bilità di cibo, e diminuiva anche la mor- talità infantile; nonostante le frequenti guerre, gli eserciti delle potenze europee in lotta si mostra- rono più disciplinati e ricorsero meno che in passato a saccheggi e devastazioni; aumentò la circolazione di nuovi prodot- ti agricoli provenienti da altri continenti (soprattutto dalle Americhe) e le classi 2.1 L’Europa al centro del mondo La crescita della popolazione europea Nel corso della seconda metà del Seicento e per tutto il secolo successivo la popolazione europea riprese gradualmente ad aumen- tare. Infatti, le condizioni di vita delle po- polazioni migliorarono grazie a una serie di fattori contingenti: il clima si fece meno rigido e i raccolti agricoli furono più regolari e abbondanti; le condizioni igieniche delle città miglio- rarono e si fecero più adatte a respingere Il Settecento in Europa e l’Illuminismo sociali più agiate beneficiarono di un in- cremento della propria ricchezza dovuto ai commerci e alla produzione industria- le dei beni; D3 infine, ma solo a partire dalla fine del Set- tecento, e con molta lentezza, vi furono anche alcuni progressi della medicina, favoriti dalla diffusione dei metodi scien- tifici di ricerca. Nel 1796, per esempio, l’inglese Edward Jenner sperimentò con successo un vaccino contro il vaiolo, che fu comunque usato per le popolazioni solo nel corso dell’Ottocento. D15 Tuttavia, l’incremento demografico ebbe dimensioni e stabilità tali da non poter es- sere spiegato solo con queste cause. Già dal Seicento, e per tutti i due secoli successivi, in aree molto vaste del continente la produzio- ne agricola aumentò continuamente non solo e non tanto per le migliori condizioni climatiche e altri eventi occasionali che ab- biamo segnalato, ma soprattutto per la rior- ganizzazione, modernizzazione e diversifi- cazione delle colture. Nei Paesi più avanzati – Inghilterra, Olanda, Francia, Italia centro- settentrionale, Austria e Germania – le col- tivazioni raggiunsero rese senza precedenti. La tradizionale rotazione triennale fu sosti- tuita dalla rotazione pluriennale, basata su un ciclo di quattro anni che non lasciava a riposo alcuna superficie coltivabile e preve- deva la successione di frumento, rape, ave- na/orzo e trifoglio per il bestiame. Si trattò di una vera e propria «Rivoluzione agricola». Analoghi progressi – anche in questo caso già cominciati nel corso del Seicento – furo- no compiuti dalla produzione manifatturie- ra: le «industrie a domicilio» diedero lavoro a famiglie di contadini impoveriti dalla dif- fusione del sistema delle enclosures e permi- se loro di integrare i propri guadagni. La «Rivoluzione dei consumi» La scoperta del Nuovo Mondo comportò una vera e propria «Rivoluzione dei consu- mi» che cambiò definitivamente le abitudi- ni alimentari degli europei. D2 I prodotti agricoli di importazione che si diffusero per primi (intorno alla metà del Seicento) furo- no quelli destinati al piacere delle classi più ricche: il caffè, importato prima dall’Arabia e poi coltivato in America meridionale e centrale in sempre maggiori quantità; il , introdotto dagli olandesi, che lo facevano arrivare dall’Indonesia; lo zucchero, che a poco a poco sostituì il miele e veniva rica- vato dalla canna da zucchero coltivata nelle piantagioni americane; il cacao, che diede origine alla cioccolata, un’altra bevanda alla moda; il tabacco, che al principio non veni- va fumato ma fiutato o masticato. Solo nel corso del Settecento e del secolo successivo divennero di uso comune gli altri prodotti provenienti soprattutto dall’Ameri- ca: il mais e la patata, piante più resisten- ti dei cereali europei alle gelate invernali e alla siccità estiva, e il pomodoro, ricco di sali minerali e vitamine, aiutarono milioni di contadini e di poveri europei a diversifi- care la propria dieta alimentare e a meglio affrontare i periodi di carestie. D6 Furono proprio i poveri e le classi disa- giate a utilizzare per primi questi prodotti alimentari, che solo verso la fine dell’Otto- cento comparvero regolarmente anche sul- le mense dei più ricchi. Il contributo di questi nuovi prodotti alla diversificazione, alla stabilità e all’arricchi- L’andamento della popolazione europea tra 1500 e 1700 1600 1500 1700 0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 Francia Germania Isole britanniche Italia Spagna Russia Scandinavia La prima coffee-house a Londra, 1700 circa, London, British Museum. 34 1600 XVI-XVII sec. Galileo è il «primo scienziato moderno» 1609 Prima Borsa valori ad Amsterdam © Loescher Editore – Torino 35 1789 XVII-XVIII sec. Si affermano le politiche mercantilistiche 1751-1772 Pubblicazione dell’Encyclopédie © Loescher Editore – Torino

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Dossier 15 p. 356

Dossier 6 p. 338

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Dossier 2 p. 330

Lisbona

M a r e M e d i t e r r a n e o

M a r N e r o

Maredel

Nord

Ma r B

al t

ic

oTirolo

O c e a n o

A t l a n t i c o

I M P E R O O T T O M A N O

AnkaraCostantinopoli

Caffa

Kiev

Mosca

I M P E R O

R U S S O

Pietroburgo

Riga

Stoccolma

R EG NO DI SVE ZIA

REGNO

DI NORVEGIACristiania

Edimburgo

R EG NO DIG RAN BRETAG NA

PRUSSIA

Varsavia

R E G N O D I P O LO N I A

Budapest

Regno di Ungheria

BelgradoBucarest

R EG NO DISPAG NA

REGNO DIPORTOGALLO Madrid

SivigliaBaleari

Londra

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Avignone

BordeauxLione

R EG NO DIF RANCIA

Parigi

Tunisi

Regno diSicilia Atene Antiochia

STATODELLA

CHIESA

Regno di

Napoli

Grand. diToscana

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CopenaghenREGNO

DI DANIMARCA

AmburgoHannover Brandeburgo

Berlino

Sassonia SlesiaBoemia

Moravia

PAESIBASSI

ColoniaAssia

BavieraMonaco

CONF.ELVETICA

ViennaAustria

REP. DIVENEZIA

Milano

PaesiBassi

Austriaci

L’Europa nel 1748

il rischio di grandi epidemie. La peste, in particolare, si affacciò solo in poche cit-tà e per brevi periodi, per poi scomparire del tutto verso la metà del Settecento. Di conseguenza diminuì il tasso di morta-lità, mentre aumentava il numero delle nascite, favorite dalla maggiore disponi-bilità di cibo, e diminuiva anche la mor-talità infantile;

• nonostantelefrequentiguerre, gli eserciti delle potenze europee in lotta si mostra-rono più disciplinati e ricorsero meno che in passato a saccheggi e devastazioni;

• aumentòlacircolazionedinuovi prodot-ti agricoli provenienti da altri continenti (soprattutto dalle Americhe) e le classi

2.1 L’Europa al centro del mondo

La crescita della popolazione europea

Nel corso della seconda metà del Seicento e per tutto il secolo successivo la popolazione europea riprese gradualmente ad aumen-tare. Infatti, le condizioni di vita delle po-polazioni migliorarono grazie a una serie di fattori contingenti:

• il clima si fece meno rigido e i raccolti agricoli furono più regolari e abbondanti;

• lecondizioni igieniche delle città miglio-rarono e si fecero più adatte a respingere

Il Settecento in Europa e l’Illuminismo

sociali più agiate beneficiarono di un in-cremento della propria ricchezza dovuto ai commerci e alla produzione industria-le dei beni; D3

• infine,masoloapartiredallafinedelSet-tecento, e con molta lentezza, vi furono anche alcuni progressi della medicina, favoriti dalla diffusione dei metodi scien-tifici di ricerca. Nel 1796, per esempio, l’inglese Edward Jenner sperimentò con successo un vaccino contro il vaiolo, che fu comunque usato per le popolazionisolo nel corso dell’Ottocento. D15

Tuttavia, l’incremento demografico ebbe dimensioni e stabilità tali da non poter es-serespiegatosoloconquestecause.GiàdalSeicento, e per tutti i due secoli successivi, in aree molto vaste del continente la produzio-ne agricola aumentò continuamente non solo e non tanto per le migliori condizioni climatiche e altri eventi occasionali che ab-biamo segnalato, ma soprattutto per la rior-ganizzazione, modernizzazione e diversifi-cazione delle colture. Nei Paesi più avanzati – Inghilterra, Olanda, Francia, Italia centro-settentrionale,AustriaeGermania– lecol-tivazioni raggiunsero rese senza precedenti. La tradizionale rotazione triennale fu sosti-tuita dalla rotazione pluriennale, basata su unciclodiquattroannichenon lasciavaariposo alcuna superficie coltivabile e preve-deva la successione di frumento, rape, ave-na/orzo e trifoglio per il bestiame. Si trattò di una vera e propria «Rivoluzione agricola».Analoghiprogressi–ancheinquestocaso

già cominciati nel corso del Seicento – furo-no compiuti dalla produzione manifatturie-ra: le «industrie a domicilio» diedero lavoro a famiglie di contadini impoveriti dalla dif-fusione del sistema delle enclosures e permi-se loro di integrare i propri guadagni.

La «Rivoluzione dei consumi»

La scoperta del Nuovo Mondo comportò una vera e propria «Rivoluzione dei consu-mi» che cambiò definitivamente le abitudi-ni alimentari degli europei. D2 I prodotti agricoli di importazione che si diffusero per primi (intorno alla metà del Seicento) furo-noquellidestinatialpiaceredelleclassipiùricche: il caffè, importato prima dall’Arabia e poi coltivato in America meridionale e centraleinsempremaggioriquantità; iltè,

introdotto dagli olandesi, che lo facevano arrivare dall’Indonesia; lo zucchero, che a poco a poco sostituì il miele e veniva rica-vato dalla canna da zucchero coltivata nelle piantagioni americane; il cacao, che diede origine alla cioccolata, un’altra bevanda alla moda; il tabacco, che al principio non veni-va fumato ma fiutato o masticato.

Solo nel corso del Settecento e del secolo successivo divennero di uso comune gli altri prodotti provenienti soprattutto dall’Ameri-ca: il mais e la patata, piante più resisten-ti dei cereali europei alle gelate invernali e alla siccità estiva, e il pomodoro, ricco di sali minerali e vitamine, aiutarono milioni di contadini e di poveri europei a diversifi-care la propria dieta alimentare e a meglio affrontare i periodi di carestie. D6

Furono proprio i poveri e le classi disa-giate a utilizzare per primi questi prodottialimentari, che solo verso la fine dell’Otto-cento comparvero regolarmente anche sul-le mense dei più ricchi.Ilcontributodiquestinuoviprodottialla

diversificazione, alla stabilità e all’arricchi-

L’andamento della popolazione europea tra 1500 e 1700

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Francia Germania Isole britanniche

Italia Spagna Russia Scandinavia

La prima coffee-house a Londra, 1700 circa, London, British Museum.

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1 L’Europa tra Seicento e Settecento

mento della dieta delle popolazioni fu un al-trofattoredecisivotraquellicheincremen-tarono fortemente la crescita demografica europea.

L’evoluzione degli imperi coloniali

A partire dalla fine del Quattrocento gli eu-ropei avevano effettuato una serie di viaggi di esplorazione e cominciato a occupare vasti territori in altri continenti. Iniziava l’espansione europea nel mondo.

Durante la prima fasediquestoprocesso(secoli XV e XVI), che ebbe per protagonisti Portogallo e Spagna, l’iniziativa era stata assunta dai sovrani; essi erano desidero-si principalmente di trovare nuove vie di comunicazione con l’Asia tramite le qualicommerciare prodotti pregiati (spezie, seta, metalli preziosi). In seguito alle esplorazio-ni erano state impiantate basi commerciali e di navigazione in Africa e Asia. Solo suc-cessivamente, con la scoperta delle poten-zialità economiche del Nuovo Mondo, e per impulso della piccola nobiltà terriera, erano nate in America meridionale e centrale le colonie, sfruttate per le loro miniere e per le piantagioni estensive.

Tra XVII e XVIII secolo si ebbe una se-conda fase della colonizzazione. Spagna e Portogallo non furono in grado di consoli-dare i propri imperi coloniali, e si rivelarono incapaci di difendersi dalla concorrenza e dalla pirateria delle nazioni emergenti: l’In-ghilterra, l’Olanda, la Francia. Protagoniste dell’espansione furono le compagnie com-merciali, che univano gli interessi della bor-ghesiamercantileeimprenditorialeaquellidello Stato. D3

Le colonie in Asia e Australia

NelCinquecentoiportoghesieranostatiabi-li a organizzare un intenso commercio con l’Estremo Oriente e, in mancanza di merci provenienti dall’Europa, lo avevano sostenu-to con una fitta rete di scambi interasiatici. Tuttavia, le borghesie imprenditoriali ingle-se e olandese godevano di maggiore libertà d’azione ed erano le più attive nel produrre ricchezza e nell’investire in nuove imprese industriali e commerciali. A partire dal Sei-cento,dunque,laCompagnia olandese delle Indie Orientali e la Compagnia inglese del-le Indie Orientali seguirono prima la stessa strada aperta dai portoghesi (portando sete indiane inGiappone, zucchero del Sud-estasiatico in India, cotone indiano in Cina, chiodi di garofano e noci moscate dall’Indo-nesia al resto del mondo, cotone indiano e tutti gli altri prodotti in Europa) poi li estro-misero facendo leva su una schiacciante superiorità navale e militare, e stipulando accordi reciprocamente vantaggiosi con i governanti locali. Le Compagnie evitarono infatti anzi di mettersi in conflitto con i go-verni locali, preferendo assicurare ai prin-cipi e alle classi dirigenti indigene generosi vantaggi. Sia per gli olandesi, presto padroni dell’Indonesia, sia per gli inglesi, sempre più presentiinIndiaeinBirmania,nonfuquin-dinecessarioricorrereaguerrediconquista.

Una certa concorrenza agli inglesi fu in-vece condotta in India dalla Francia. Nel 1673 la Compagnia francese delle Indie Orientali si assicurò la base di Pondichéry, sulla costa occidentale del subcontinente. Ma la fortuna dei mercanti francesi terminò quando la Francia fu sconfitta dall’Inghil-terra nella guerra di successione austriaca (1740-1748) e soprattutto nella Guerra deiSette Anni (1756-1763), durante la qualePondichéry fu conquistata dall’Inghilterrae i francesi dovettero anche abbandonare le basi stabilite nel Bengala.

L’Inghilterra era lo Stato più attivo anche nel condurre nuove esplorazioni. Per esem-pio James Cook tra 1768 e 1775 esplorò le coste dell’Australia e ne prese possesso in nome del proprio paese. Gli inglesi utiliz-zarono a lungo l’Australia come luogo di confino degli indesiderati (per lo più delin-quenticomuni): tra1788e1853ne furonodeportati in Australia oltre 160.000.

Le colonie in America e l’inevitabile conflitto tra Inghilterra e Francia

I domini spagnoli e portoghesi nelle Ame-riche continuarono a essere guidati diretta-mente dalle autorità nazionali (come il «Con-siglio delle Indie», che in Spagna rispondeva direttamente ai sovrani), amministrati come vicereami e divisi in grandi proprietà sul modello feudale. La classe dirigente locale era costituita quasi interamente da grandiproprietari terrieri discendenti dei conqui-stadores e dei primi emigranti e le relazioni con le autorità della madrepatria erano ca-ratterizzate da forte diffidenza reciproca. I governi spagnolo e portoghese infatti non solo si riservavano il diritto di nominare funzionari, giudici e esattori delle tasse tutti provenienti dall’Europa, ma pretendevano anche di esercitare un assoluto controllo sulle produzioni e sui commerci con l’Ame-rica coloniale e imponendo forti tasse.

Nel corso del XVI e XVII secolo gli Stati iberici persero progressivamente la capacità di proteggere le proprie navi in navigazione nell’Atlanticoequindiicommercidaeperlecolonie. Nel Settecento era ormai compiuta una evoluzione decisiva: le colonie spagno-le e portoghesi erano estese e ricche di risor-se, ma chi davvero ne sfruttava le ricchezze, controllando i commerci, erano gli inglesi e gli olandesi. Non solo, erano molto au-mentati gli insediamenti olandesi, inglesi e francesi sulle isole dell’America centrale (in particolare le Antille), sulle coste dell’Ame-rica settentrionale, in Canada e nelle grandi pianure centrali.Gli stanziamenti inglesi inNordamerica

attirarono ben presto numerosi emigranti dalla madrepatria (ma anche da altri paesi europei,comelaSveziaelaGermania)esistrutturarono a poco a poco come colonie dotate di una certa autonomia amministra-tiva, guidate da un governatore nominato daLondra al quale si affiancavano assem-blee di rappresentanti degli stessi coloni. I francesi, invece, fondarono colonie guida-te più direttamente dal governo di Parigi e molto meno popolate da emigranti europei. Essi riuscirono a espandersi dalle basi in Canada (Québec e Montréal) nella regione dei Grandi Laghi e lungo il corso e il bacino del Mississippi: un’area che, in onore di Lu-igi XIV, fu chiamata Louisiana.

Gli interessi degli inglesi e dei francesi in America settentrionale erano evidentemen-te in netto contrasto: i primi, partendo dalle coste, miravano a espandersi a ovest, i se-conditentavanopropriodiimpedirequestaevoluzione. Inoltre, sostenendo i propri di-ritti alla successione sul trono di Spagna, i re di Francia tentarono di saldare i propri do-mini americani con l’impero coloniale spa-gnolo. Accadde così che i conflitti dinastici che si combattevano in Europa e il maggio-re dinamismo commerciale ed economico dell’Inghilterra decisero in favore degli in-glesilasortediquestoscontroinAmerica.

L’Inghilterra alla guida del commercio mondiale

A partire dal 1651 gli inglesi cercarono di im-porre la propria supremazia commerciale e marittima: con una serie di Atti di Naviga-zione stabilirono che tutte le merci che sbar-cavano sull’isola dovevano essere trasporta-te da navi inglesi o dei paesi che le avevano prodotte. Queste leggi avevano l’evidente scopo di danneggiare gli olandesi, grandi intermediari commerciali tra i paesi nordici e tra l’Europa e l’Asia. Olanda e Inghilterra entrarono così in conflitto, combattendo al-cune guerre che si conclusero con la vittoria degli inglesi; le due potenze mercantili, ren-dendosi conto che proseguire nello scontro le avrebbe indebolite entrambe, stipularono successivamente accordi commerciali che assegnarono a Londra un ruolo di suprema-zia, senza tuttavia soffocare l’economia dei rivali,coniquali,anzi,cominciòunalungatradizione di alleanza.Conflitti di questa natura contrapposero

anche la Francia all’Olanda e all’Inghilterra, perché tutte le potenze economiche emergenti perseguivano, già dal Seicento e lungo il corso del Settecento, politiche mercantilistiche :

Veliero che si avvicina al porto di Bombay.

La cattura del galeone spagnolo Nuestra Señora de Covadonga da parte della nave britannica Centurion, 1743.

Ritratto di James Cook.

politiche mercantilistiche: politiche economiche ispirate al cosiddetto mercantilismo, ossia quella dottrina che dà importanza preminente allo sviluppo del commercio con l’estero e, in particolare, tende a favorire le esportazioni.

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1 L’Europa tra Seicento e Settecento 2 Il Settecento in Europa e l’Illuminismo

massimo sostegno ai prodotti dell’agricol-tura e delle industrie interne, massimo svi-luppodelleattivitàcommerciali(dallequali,si pensava, derivava la vera ricchezza delle nazioni) e conseguente incremento delle entrate dello Stato tramite l’arricchimento delle proprie borghesie e tramite i dazi im-posti alle merci straniere. D3

Nel corso del Settecento divenne eviden-te che l’Inghilterra era l’indiscussa vincitrice del conflitto globale per imporre la propria supremazia sul commercio mondiale.

Il commercio degli schiavi e l’asiento de negros

Nella seconda metà del Settecento, l’Europa era al centro dell’economia mondiale e l’In-ghilterra era la principale – ma non l’unica – potenza commerciale. Gli scambi segui-vano un andamento che è stato definito « commercio triangolare  ». D4 Le navi inglesi, olandesi e francesi partivano dai porti europei cariche di manufatti prodot-ti nelle industrie europee (tessuti, armi, at-trezzi, beni di lusso) verso le colonie, dove venivano acquistati dai coloni europei, oscambiati con altre merci di produzione extraeuropea: cotone, zucchero, caffè, ca-cao, tabacco, legname pregiato, essenze per tinture e altre materie prime indispensabili per l’alimentazione e le industrie europee.

Una delle «merci» più richieste nelle vaste colonie spagnole e portoghesi dell’America meridionale e centrale – ma dalla seconda metà del Settecento in misura crescente an-che nelle colonie inglesi e francesi del Nor-

damerica – erano gli schiavi di origine afri-cana. Questo commercio era stato avviato nel corso del Cinquecento dai portoghesi,che si erano trovati a dover affrontare la scarsa disponibilità ed efficienza della ma-nodopera indigena nelle colonie del Nuovo Mondo. Infatti, già nei primi decenni del Cinquecento, la violenza dei conquistato-ri, le terribili epidemie di malattie di origi-ne europea e la durezza dei turni di lavoro massacranti avevano ridotto drasticamente il numero di nativi abili al lavoro.

Per risolvere il problema, i mercanti por-toghesi, che potevano contare sul possesso di basi commerciali lungo le coste africane, co-minciarono a sfruttare una particolare con-dizionedellapopolazionedelluogo.Gliafri-cani, infatti, erano divisi in popoli e tribù in costante conflitto e praticavano la riduzione in schiavitù dei prigionieri di guerra.Giàneisecoli precedenti, mercanti arabi in contatto con l’Africa centrale dalle coste del Mediter-raneo avevano importato schiavi nei princi-pati islamici, ma l’esplosione della domanda di manodopera per le Americhe trasformò una lucrosa attività in una vera e propria industria. In cambio di schiavi, i portoghesi offrivanoprodottidiscarsaqualitàmamoltoapprezzati dai capi tribù africani: tessuti co-lorati, chincaglierie, armi. Poi li portavano in America, dove la percentuale di popolazione di origine africana crebbe rapidamente pri-ma nelle Antille e nelle isole caraibiche e poi inBrasileeneivicereamispagnoli.Glischia-vi africani resero di fatto possibile lo sfrut-tamento completo delle colonie americane e dunque diedero un contributo decisivoall’arricchimento degli europei.FindalCinquecentoleautoritàspagnole

proibirono ai propri mercanti di praticare direttamentequestocommercio,maaccor-darono «a fornitori di fiducia» licenze esclu-sive sull’importazione di schiavi nelle loro colonie. Tramite un «accordo sul commer-cio degli schiavi neri» (in spagnolo asiento de negros  )ilpredominioinquestosetto-re fu appannaggio prima dei mercanti por-toghesi (che si impegnavano a fornire ogni anno un numero definito di schiavi), poi quelligenovesietedeschieinfine,all’iniziodel Settecento, dei francesi. A coronamento della loro supremazia sui mari e sul com-mercio triangolare, gli inglesi si aggiudicaro-no l’asiento con la pace di Utrecht del 1713 e lo mantennero in esclusiva fino al 1750. A

2.2 La società europea nel Settecento

La divisione sociale in «ordini» o «Stati»: l’Ancien régime

Mentre l’Europa del Settecento si avviava a diventare il centro dell’economia mondiale e il volume dei suoi commerci in tutti i mari era in costante aumento, all’interno della popolazione europea le differenze sociali erano molto forti e le barriere tra i diversi «ordini» consolidate. Si trattava di una ere-dità vecchia di secoli: la società medievale era infatti suddivisa in oratores, bellatores e laboratores («uomini della preghiera», «uo-mini della spada» e «uomini del lavoro»), e poneva ai vertici della società i nobili e il cle-ro. Solo nel Basso Medioevo si era gradual-mente affermata la borghesia, classe so-ciale legata alla rinascita delle città e degli scambi commerciali, che aveva animato le isti-tuzioni dei liberi Comuni in Italia e in Germaniae poi sostenuto l’affer-marsi delle monarchie nazionali in Inghilter-ra, Francia, Spagna (e di quelleregionali inItaliaeGermania)incambiodipolitiche espansionistiche e protezionistiche in grado di sostenere i commerci. Tra XV e XVII secolo la borghesia si era arricchita ed era cresciuta in numero e influenza, ma questi progressi non le avevano permessodisuperarequellebarriere tra«ordini»chepersino nell’Inghilterra delle rivoluzioni parlamentari continuavano ad essere ben rappresentate dall’esistenza di due diverse camere: i Lords e i Comuni.

Al principio del Settecento, in Inghilter-ra ma soprattutto nelle nazioni in cui si era affermato il modello della monarchia asso-luta e accentratrice, l’alleanza tra i sovrani e i due ordini dominanti (clero e nobiltà) sembrava non potesse essere messa in di-scussione dalle crescenti aspirazioni della borghesia. In Francia, per esempio, la divi-sione in ordini (o «Stati») era ben eviden-ziata dalla struttura dell’assemblea dei rap-presentanti dei sudditi, gli «Stati generali», in cui ciascun ordine sedeva separato dagli

Colonie inglesi

INGHILTERRA

Oceano Indiano

OceanoPacifico

O c e a n o

P a c i f i c o

New York

TerranovaC a n a d a

BermudaBahamas

Mosquito Coast Barbados NingoAccra

Coast CastleFt. James

St. Louis

GibilterraMinorca

Calcutta

BombayBassein

Madras

Batang Kapas

SilebarBenkulen

O c e a n o

A t l a n t i c o

I possedimenti e le colonie inglesi nel tardo Settecento

Nazionalità della nave

N. schiavi trasportati

Inglese 2.532.300

Portoghese 1.796.300

Francese 1.180.300

Olandese 350.900

Americana 194.200

Danese 73.900

Altre (svedese, brandeburghese) 5.000

TOTALE 6.132.900

Schiavi deportati dall’Africa nelle Americhe nel periodo 1701-1800

garantire la regolare fornitura di schiavi per l’America furono la South Seas Company («Compagnia dei Mari del Sud») e la Royal African Company, due associazioni costi-tuiteegestitecomequalsiasialtra impresacommerciale privata che agiva con la pro-tezione dello Stato. Nella seconda metà del Settecento, l’asiento non era invece più ne-cessario:anchequestosettoredegliscambientro il commercio triangolare rimase di fatto in prevalenza nelle mani degli inglesi a causa della loro ormai indiscussa superiori-tà sui mari, sancita dagli accordi che fecero seguitoallaGuerradei SetteAnni (trattatodi Parigi del 1763). Erano gli inglesi, e in mi-sura minore olandesi e francesi, a trarre il maggiore vantaggio dagli scambi con tutte le colonie in America meridionale, centrale e settentrionale. Questo virtuale monopolio delle materie prime fu una delle condizioni per il balzo in avanti dell’economia inglese tra Settecento e Ottocento.

Si calcola che tra il 1500 e i primi anni dell’Ottocento il numero complessivo di africani deportati in America sia stato di al-meno dodici milioni di individui, e nel solo Settecento circa sei. Si trattò di una delle pagine più ripugnanti della storia dell’uo-mo: uomini e donne africani furono ven-duti come bestie o strumenti da lavoro e sottoposti a uno sfruttamento più brutale. Privi di ogni personalità giuridica, gli schia-vi potevano essere comprati e venduti, non potevano detenere proprietà, la loro parola non valeva in nessun tribunale e potevano essere sottoposti a punizioni corporali per la sola volontà dei loro padroni.

Incisione raffigurante un gruppo di bambini africani destinati alla tratta degli schiavi.

I tre ordini in una stampa popolare dell’epoca. Al posto d’onore il nobile e il sacerdote; alla guida della carrozza il povero borghese.

38 1600 XVI-XVII sec. Galileo è il «primo scienziato moderno»1609 Prima Borsa valori ad Amsterdam

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391789XVII-XVIII sec. Si affermano le politiche mercantilistiche 1751-1772 Pubblicazione dell’Encyclopédie

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1 L’Europa tra Seicento e Settecento 2 Il Settecento in Europa e l’Illuminismo

abituati a vivere di rendita, i nobili spesso si impoverivano, anche se continuavano ad es-sere circondati di onori. Un’importante ec-cezione era costituita dai nobili inglesi. Essi sedevano in Parlamento, nella Camera dei Lords, equindipartecipavanoattivamentealla vita politica. Inoltre, già a partire dal XVI secolo molti di essi impegnarono le proprie risorse (terre e altre ricchezze di famiglia) in imprese industriali e commerciali.

Il clero occupava una posizione autore-vole negli Stati cattolici, dove si distingueva in «alto clero» (vescovi e abati) e «basso cle-ro» (i comuni sacerdoti delle parrocchie e i semplici religiosi). I membri dell’alto clero provenivano dalle grandi famiglie nobili e, inqualchepiùrarocaso,dallepiùricchefa-miglie borghesi. Essi condividevano, quin-di, le abitudini di vita e la mentalità dei ceti privilegiati. Negli Stati protestanti, invece, il clero era costituito da semplici «pastori» e aveva meno privilegi. Diversa, anche in questocaso,eralasituazionedell’Inghilter-ra, dove l’alto clero era costituito da vescovi nominati dai re, che sedevano, rispettati e ascoltati, nella Camera dei Lords.Parzialinovità,inquestoquadro,sierano

verificate in diversi paesi (Francia, Inghilter-ra, Austria) nel corso del Seicento. Allo sco-po di contrastare il crescente impoverimen-to delle casse dello Stato, i sovrani avevano posto in vendita nuovi titoli nobiliari   : alla tradizionale «nobiltà di spada» si era

così affiancata una «nobiltà di toga» (legata all’acquistodi carichepubblicheallequaliera connesso un titolo nobiliare ereditario). In questomodounaparte della borghesiapiù ricca aveva potuto salire un gradino del-la scala sociale. Veniva così introdotta una prima forma di mobilità proprio all’inter-no del ceto più chiuso e tradizionalmente schierato a difesa dei propri privilegi. Ma il prestigio dei «nuovi nobili» era comunqueinferiore a quello della tradizionale aristo-crazia ed essi non godevano completamen-te dei privilegi tipici della nobiltà.

In società caratterizzate da sistemi eco-nomici sempre più dinamici e fondati sull’intraprendenzadellaborghesia(laqualesostenevaquasiinteramenteilcrescenteca-rico fiscale), il permanere dei privilegi aristo-cratici diveniva sempre meno giustificabile.

La parte ricca del «Terzo Stato»: la borghesia

Esclusi clero e nobili, il resto della popola-zione, cioè la grande maggioranza, costi-tuiva il Terzo Stato. Al suo interno il Terzo Stato era tuttavia molto disomogeneo: ne facevano parte, infatti, sia la ricca o sempli-cemente benestante borghesia, sia la massa dei contadini e degli operai (questi ultiminel corso del Settecento non ancora molto numerosi).

Fin dal Basso Medioevo la borghesia vi-veva preferibilmente nelle città, dove aveva maggiori interessi economici e da dove po-teva controllare la produzione delle merci e le attività commerciali. In città operavano i potenti mercanti che facevano affari in tutto il mondo e i primi proprietari di ma-nifatture, ma anche semplici commercian-ti, banchieri, avvocati, medici, insegnanti, funzionari dello Stato, apprendisti e garzoni nelle botteghe artigiane. La borghesia era il motore delle economie europee: laddove godeva di maggior libertà e diritti, come in Olanda e Inghilterra, incrementava conti-nuamentelapropriaricchezzaequelladelproprio Stato.

Anche in Paesi come Spagna, Francia, Au-stria, Prussia e Russia la borghesia era ope-rosa e cercava di sviluppare sempre nuovi affari, ma soffriva di molti vincoli statali e sostenevadasola laquasi totalitàdelpesofiscale.

Contadini

Per tutto il corso del Settecento e del secolo successivo, la maggior parte della popola-zione europea era costituita da contadini: la terra costituiva infatti ancora la principale fonte di sostentamento per la popolazione e la prima forma di reddito. Tra i contadini europei, tuttavia, vi erano profonde diffe-renze.

In Inghilterra, Francia, Austria e Italia settentrionale erano attivi nel mondo rurale sia piccoli e medi proprietari che gestivano le proprie terre con criteri che si potevano considerareinqualchemisuracontiguicongli interessi della borghesia cittadina), sia affittuari e mezzadri, sia contadini salaria-ti, che vivevano in condizioni economiche spesso difficili e condizionate dalle varia-zioni della produzione e dei prezzi, e dalle carestie.

In Italia meridionale, in Spagna e in Eu-ropa orientale, invece, erano ben più diffu-si i braccianti, che offrivano la loro opera a giornata o per brevi periodi nei grandi lati-fondi, e i servi della gleba che vivevano in condizionisimiliaquelledeiservidiepocamedievale.

La vita nel mondo rurale era molto dura (erano diffuse le malattie, l’analfabetismo, e frequenti erano i soprusideinobili edeigrandiproprietari)egliappartenentiaque-sto mondo venivano considerati la base più trascurabile della scala sociale. Inoltre la gran parte degli eserciti era costituita da contadini spesso costretti all’arruolamento

G. Tiepolo, Il minuetto, 1756, Barcellona, Museo de Arte de Catalunja. J.F. de Troy, La lettura di Molière, 1728 circa, collezione privata.

Fra’ Galgario, Ritratto di gentiluomo, 1740 circa, Milano, Museo Poldi Pezzoli.

Rappresentazione satirica dei tre Stati: il contadino al centro è oppresso dal fardello che il clero e la nobiltà gli caricano sulle spalle, XVIII secolo.

altri: il «Primo Stato» comprendeva il clero, il Secondo la nobiltà e il Terzo la borghesia e tutti gli altri gruppi. Significativamente, in questa triparti-

zione il «Terzo Stato» non aveva dunqueun’identità ben definita: esso comprendeva gli appartenenti alla borghesia mercantile e imprenditoriale e i professionisti, ma anche i lavoratori salariati, i contadini e i sudditi più poveri.

La dignità personale stabilita dalla na-scita, la sostanziale staticità del sistema e la forte disuguaglianza giuridica caratterizza-vanoquindi quasi tutte le società europee(con la significativa eccezione dell’Olanda). E mentre in Inghilterra, nel Seicento, la bor-ghesiaerastataprotagonistadellaconqui-sta di alcuni fondamentali principi di par-tecipazione politica, la grande maggioranza dei paesi europei era basata su un sistema che dopo la Rivoluzione francese verrà de-finito Ancien régime («antico regime», «regi-me superato»).

Il clero e la nobiltà

Isovraniassoluti,comequellidiFrancia,diSpagna, d’Austria e di Russia, avevano gra-dualmente privato i nobili di ogni potere politico. In cambio, tuttavia, avevano ga-rantito loro l’esenzione dal pagamento del-le tasse, la formazione di tribunali riservati (un nobile poteva essere giudicato solo da propri pari) e leggi che si applicavano solo al loro ordine, e la possibilità di vivere inopero-samente nel lusso delle proprie ricche corti. Completamente dipendenti dai sovrani e

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411789XVII-XVIII sec. Si affermano le politiche mercantilistiche 1751-1772 Pubblicazione dell’Encyclopédie

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1 L’Europa tra Seicento e Settecento 2 Il Settecento in Europa e l’Illuminismo

dalla povertà o dalla violenza. I proprietari terrieri più intraprendenti, infine, miravano a far fruttare al massimo i loro investimenti, ilcheportavainalcunicasiaqualchegua-dagno aggiuntivo per alcuni contadini (per esempio quelli coinvolti nelle attività ma-nifatturiere delle «industrie a domicilio») e a condizioni di sfruttamento e di perdita di alcuni tradizionali diritti sulle terre comuni per la maggioranza (in particolare a seguito della diffusione delle enclosures).

Poveri e vagabondi

Secondo le testimonianze dell’epoca, tra Seicento e Settecento nelle città europee trovavano rifugio e cercavano di arrangiarsi chiedendo la carità o con piccoli furti mol-tissimi poveri e vagabondi: erano migliaia, tanto che spesso le autorità cercavano di ridurre il loro numero cacciandoli o costrin-gendoli a vivere ai margini del centro abitato e, in alcuni casi, in luoghi dove venivano re-clusi.Siformaronocosìinteriquartieridovesi viveva in condizioni precarie, con scarsa igiene, diffuse malattie e poca sicurezza.

La mentalità della classe borghese, che attribuiva il benessere economico non alla fortuna ma all’impegno nel lavoro e negli affari, faceva guardare ai poveri non come a sfortunati da aiutare, ma come colpevoli di pigrizia, vittime prima di tutto dei pro-pri vizi e della propria ignoranza. Un trat-tamento molto duro era riservato anche ai malati di mente, rinchiusi in appositi istituti che, di fatto, erano delle carceri.

2.3 La politica dell’equilibrio e le guerre dinastiche

La «Guerra di successione spagnola»

Durante il lungo regno (1643-1715) di Luigi XIV, la Francia si era notevolmente raffor-zata al suo interno, era divenuta la princi-pale potenza europea nella guerra di terra, e aveva cercato di espandersi verso est, ai danni dei Paesi Bassi e dell’Austria, e verso ovest, ai danni della Spagna.

A partire dal 1701, Luigi XIV combat-té contro l’Austria una lunga guerra, che è ricordata come la «Guerra di successione spagnola». Nel 1700 moriva infatti il re di Spagna Carlo II (ultimo Asburgo di Spagna) e l’erede designato altri non fu che il duca Filippo d’Angiò, nipote del re di Francia, che ovviamente ne caldeggiava l’elezione al trono spagnolo. Il rafforzamento della di-nastia borbonica (cui appartenevano i re di Francia) era però temuto anche dall’Olan-da, dall’Inghilterra, dalla Prussia e dal du-catodiSavoia,chesicoalizzaronodunquecontrolaFrancia.Gliinglesi,inparticolare,temevano che l’unione di fatto di Francia e Spagna nelle mani di una sola famiglia re-gnante portasse all’unione, in America, tra i dominifrancesi(Canada,Louisiana)equellispagnoli in America meridionale e centrale, fino al Messico e alla Florida.

La guerra durò per tredici anni e si conclu-se con il fallimento dei piani francesi: con gli accordi di Utrecht (1713) e di Rastadt (1714) il trono di Spagna fu affidato a Filippo V (l’ere-de appoggiato dalla Francia), ma con l’impe-gno a mantenere separate Francia e Spagna. Ma soprattutto si rafforzarono l’Inghilterra

e l’Austria.LaprimaottenneGibilterraeMi-norca in Europa e Terranova (fino ad allora colonia francese) in America settentrionale; inoltre le fu concesso il monopolio dei com-merci con le colonie spagnole.GliAsburgo d’Austria, invece, ottennero di sostituire la Spagna nel suo ruolo di potenza continen-tale perché furono loro affidati i Paesi Bassi meridionali (oggi Belgio) e, in Italia, Milano, Napoli, la Sardegna e lo Stato dei Presidi in Toscana. Era l’inizio della lunga dominazio-ne e supremazia austriaca sul nostro paese.

Altre guerre di successione

Nei decenni successivi vi furono altri con-flitti tra famiglie regnanti europee, ciascuna delle quali considerava un proprio dirittointervenirenellequestionidinastichedifa-miglie al potere in altri regni. Infatti, se una di queste non aveva eredimaschi, le altrefamiglie cercavano di imporre un proprio candidato alla successione.

Questa impostazione della politica estera univa in sé argomenti giuridici di carattere medievale e spinte verso una visione mo-derna del ruolo internazionale di ciascun paese. Per i principi regnanti d’Europa era

infatti normale trattare i loro regni come «possesso» ricevuto in eredità dalle loro fa-miglie. Il legame tra il re e il suo regno era considerato il perno indiscutibile della po-litica internazionale, e le volontà dei popoli non erano tenute in minima considerazio-ne. Allo stesso tempo, i sovrani di Francia, Austria, Prussia e Russia (ma anche il Parla-mento inglese, che esercitava la vera sovra-nitàinquelpaese)nonpotevanorinunciaread affermare anche con la forza gli interessi della propria nazione non solo in Europa, ma nel mondo intero. E questa politica estera a dimensione globale era l’aspetto modernodelladifficilericercadiunequili-brio europeo tra le diverse dinastie.

Tra 1733 e 1738, la Francia, appoggiata da Spagna e dai Savoia, combatté contro Austria e Prussia la «Guerra di successione polacca». La vittoria, sancita dalla pace di Vienna, andò alla Russia, che si impadronì di una parte di Polonia. Questa guerra por-tò altri importanti cambiamenti in Italia: a Napoli si insediò la dinastia dei Borbone, imparentata con i sovrani francesi e in rap-porto di alleanza e parziale dipendenza con l’Austria. Il granducato di Toscana, invece, passò alla famiglia dei Lorena, imparentati

O c e a n o

A t l a n t i c o

Londra

R EG NO DIG RAN BRETAG NA

Domini degli Asburgo

Maredel

Nord

Stoccolma

R EG NO DI SVE ZIA

REGNO

DI DANIMARCA

E NORVEGIAM a r B

al t

i co

I M P E R O

R U S S O

Kijev

Varsavia

PRUSSIA

REGNO DI POLONIA

Brandeburgo

SlesiaColonia

PAESIBASSI

PaesiBassi

Austriaci IMPERO GERMANICOBoemia

Moravia

ViennaAustria Budapest

Ungheria

Parigi

Avignone

R EG NO DIF RANCIA

Lisbona

REGNO DIPORTOGALLO Madrid

R EG NO DISPAG NA

Baleari

M a r e M e d i t e r r a n e o

Sardegna

Sicilia

Regno diNapoli

STATODELLA

CHIESA

Grand. diToscana

DUC. DISAVOIA

Milano REP. DIVENEZIA

CONF.ELVETICA Tirolo

Costantinopoli

Atene

I M P E R O O T T O M A N O

L’Europa dopo i trattati di Utrecht (1713) e di Rastadt (1714)

Guerra di successione spagnola (1701-1714)

Riconoscimento del trono di Spagna a Filippo V di Borbone

FranciaOlanda, Austria,

Inghilterra, Prussia, ducato di Savoia

L. Le Nain, Il pasto dei contadini, 1642, Parigi, Museo del Louvre.

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431789XVII-XVIII sec. Si affermano le politiche mercantilistiche 1751-1772 Pubblicazione dell’Encyclopédie

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1 L’Europa tra Seicento e Settecento

passi avanti furono compiuti anche dalla Prussia e dai Savoia, avviati a diventare un forte regno autonomo nel Nord dell’Italia.

I lunghi conflitti avevano portato, com’era nell’interesse di tutti, a un certo equilibrio tra le potenze: nessuno degli Stati più forti si era indebolito, ma nello stesso tempo nes-suno poteva imporre sugli altri la propria egemonia. Questa situazione era considera-ta l’unica possibile garanzia per assicurare la pace.

A essersi particolarmente rafforzati era-no il regno di Prussia e l’Austria. La Prussia era stata guidata nel corso del Settecento da due grandi sovrani, Federico Guglielmo I e Federico II. Entrambi erano stati abili gene-rali e avevano rafforzato l’esercito e garanti-to alla Prussia un ruolo di prestigio.

L’Austria, guidata a lungo da Maria Tere-sa (sul trono austriaco dal 1745 al 1780), era la potenza dominante in Europa centrale e in Italia, dove controllava la Lombardia e, tramite la dinastia alleata dei Lorena, la Toscana. La Francia era ancora lo Stato più forte del continente ed era legato da solide alleanze ai Borbone di Spagna e ai Borbone di Napoli.

La Spagna era autonoma e aveva conser-vato i propri domini coloniali in America, ma era ormai avviata al declino. In Italia, per esempio, era stata sostituita dall’Austria come potenza egemone.

Tra gli Stati italiani l’unico a essersi raf-forzatoeraquelloguidatodaiduchi di Sa-voia, divenuti nel 1720 anche sovrani di Sardegna.

La «Guerra dei Sette Anni»

L’equilibrioeuropeononpotevacomunqueevitare lo scontro tra la Francia e l’Inghilter-ra, potenze contrapposte sul fronte colonia-le. Tra 1650 e 1750, infatti, i francesi avevano cercato di espandere i propri domini in Ca-nada, nel resto dell’America settentrionale e in India ed erano concorrenti con gli inglesi nei commerci in tutto il mondo.

Quando, nel 1756, scoppiò una rivalità territoriale tra Austria e Prussia, l’Inghilter-ra si schierò con la Prussia e la Francia ne approfittò per combattere il nemico scen-dendo in guerra a fianco dell’Austria.

La guerra per la sua durata fu detta «dei Sette Anni» e alcuni storici ne parlano come della prima guerra «mondiale» perché combattuta anche in America e Asia (tra le colonie inglesi e francesi).

Al termine del conflitto, con il trattato di Parigi (1763) Prussia e Austria rimasero nel-le condizioni in cui erano mentre l’unica na-zione che ne uscì fortemente indebolita fu la Francia, che dovette cedere all’Inghilterra i propri domini coloniali in India e in Canada. Inoltre, la Louisiana andò alla Spagna, che cedette a sua volta la Florida all’Inghilterra. SedunqueinEuropavieraunacondizionedisostanzialeequilibriotraleprincipalipo-tenze europee, l’Inghilterra era ormai dive-nuta la principale potenza coloniale a livello mondiale e l’incontrastata dominatrice di tutte le rotte marittime oceaniche.

La crisi dell’Impero ottomano e l’inizio della «questione orientale»

Ai motivi di tensione tra le potenze europee si aggiunse, tra la fine del Seicento e l’inizio del Settecento, la crisi dell’Impero ottoma-no, ormai incapace di espandersi ulterior-mente a ovest e di difendere efficacemente i propri domini nei Balcani e lungo le coste del Mar Nero. Questa crescente debolezza fece sorgere una «questione orientale» i cui principali protagonisti erano Austria e Rus-sia, ma che interessava anche l’Inghilterra, dominatrice anche del Mar Mediterraneo.

Nel 1683 i turchi erano stati definitiva-mente cacciati da Vienna e avevano ben pre-sto perduto l’Ungheria, che fu fatta propria dagli Asburgo. Nei decenni successivi, im-portantiacquisizionifuronocompiutedalla

Russia,chenelcorsodelSettecentoconqui-stò il Caucaso, le coste settentrionali del Mar Nero e la Crimea.Inquestomodo,AustriaeRus-

sia si ponevano di fatto come con-correnti nella sempre più probabile spartizione dei domini turchi in Europa: una situazione che, come vedremo, nel corso dell’Otto-cento e fino agli inizi del Novecento doveva porta-re a gravi conseguenze per la pace nel nostro continente.

M a r e

A d r i a t i c o

M a r

I o n i o

M a r e

T i r r e n o

Venezia

R E P U B B L I C A D I V E N E Z I A

Rep. diS. Marino

Pontecorvo(alla Chiesa)

Benevento(alla Chiesa)

Napoli R E G N O D I

N A P O L I

Palermo

REGNO DI SICILIA

Cagliari

Sardegna

Roma

Principatodi Piombino

Corsica(a Genova)

Principatodi Monaco

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A C O N F E D .E L V E T I C A

Principatodi Masserano

Torino

Ducato diMilano

MilanoDucato diGuastalla

ParmaModenaGenova

Rep. diGenova

Ducato di Massa

Rep. di LuccaLucca

Firenze

Granducatodi Toscana

STATODELLA

CHIESAStato deiPresidi

IM PE RO GE RMAN ICOAustr ia

Regnod’Ungheria

IMPERO

OTTOMANO

Ducato diModena

Ducato diParma e

Piacenza

Possedimenti degli Asburgo

Stati controllati dagli Asburgo

Possedimenti dei Borboni

L’Italia dopo la pace di Aquisgrana L’espansione della Prussia nel corso del Settecento

Lubecca

AmburgoBrema

Magdeburgo

ColoniaReno

REGNO DI DANIMARCA

REGNO DI SVEZIA

Meclemburgo

Berlino

Brandeburgo

Lauenburg

Bitów

DanzicaKönigsberg

Ducatodi

PrussiaPrussiaOccidentale

Pomerania

Varsavia

REGNO DI POLONIABreslavia

S l e s i aCracovia

IM PE RO A SBURG ICO

Praga

Vienna

Francoforte

WittembergSassonia

Maredel Nord

Mar Balt ico

Vistola

OderElba

La Prussia nel 1713

Nuove acquisizioni sotto Federico II

La guerra dei Sette Anni (1756-1763)

L’Inghilterra diventa la principale potenza coloniale

Inghilterra Prussia

Francia Austria

con gli Asburgo d’Austria. L’Austria si impa-dronì anche di Parma e Piacenza, essendosi estinta la famiglia dei Farnese.

Tra 1740 e 1748 si svolse la «Guerra di successione austriaca»: Russia, Danimar-ca e Polonia si opposero a Francia, Prussia, Spagna e Baviera. Con la pace di Aquisgra-na, sul trono d’Austria fu confermata Maria Teresa d’Asburgo, che ottenne anche un rafforzamento del suo impero. Importanti

2 Il Settecento in Europa: l’inizio del dominio coloniale e l’Illuminismo

A. Joli, La flotta di re Carlo III di Borbone davanti alla città di Napoli, 6 ottobre 1759, Madrid, Prado. Vittorio Amedeo II di Savoia, Torino, Basilica di Superga.

Maria Teresa d’Austria, 1762, Ginevra, Musée d’Art et d’Histoire.

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Dossier 1 p. 328

Album p. 56

1 L’Europa tra Seicento e Settecento 2 Il Settecento in Europa e l’Illuminismo

2.4 L’Illuminismo

La fiducia nella «luce della ragione»

L’Europa del Settecento non fu solo il conti-nente dei grandi commerci mondiali e del-lecontinueguerreperrafforzarel’equilibriotra le potenze. Mentre la società continua-va a essere divisa in classi (Primo, Secondo e Terzo Stato) e la maggior parte dei paesi era guidata da sovrani assoluti, un’impor-tante novità stava per imporsi nel mondo della cultura. Nel corso del secolo, infatti, la borghesia, cioè la parte più attiva della po-polazione, cominciò a proporre una nuova visione dell’umanità e della società e coin-volseinquestosforzoanchemoltiesponen-ti della nobiltà. A questo movimento di idee fu dato il

nome di «Illuminismo». Secondo una cele-bre definizione del grande filosofo tedesco Immanuel Kant l’Illuminismo è «l’uscita dell’uomo da uno stato di minorità di cui egli stesso è colpevole. Minorità è l’inca-pacità di usare il proprio intelletto senza la guida di un altro. Una minorità che l’uomo deve imputare a se stesso, se la causa di essa non dipende da un difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del co-raggio di far uso del proprio intelletto senza essere guidati da un altro. Sapere aude! (Osa conoscere!) Abbi il coraggio di servirti della tuaintelligenza!Èquestoilmottodell’Illu-minismo».Troviamoinquestefrasi(eanchenel tono che le caratterizza), alcuni elemen-ti fondamentali dell’atteggiamento degli intellettuali illuministi. Gli «illuministi»,

infatti, non erano solo filosofi, ma anche scienziati, giornalisti, teorici della politica e studiosi dell’economia che credevano nella capacità dell’uomo di comprendere e tra-sformare tutta la realtà con l’uso della «luce della ragione» che è identica in ogni uomo. Erano dunque ottimisti: avevano fiducia nel futuro dell’umanità perché sostenevano che gli uomini possono costruire un mondo migliore riconoscendo razionalmente le so-luzioni più vantaggiose in ogni campo, dif-fondendoquestescopertenonconilricorsoalla forza, ma con il confronto e il ragiona-mento, e infine unendo le forze dell’umani-tà nella condivisione degli stessi ideali.Iprincipaliidealiilluministieranodunque:

• ilprogresso delle conoscenze e della tec-nica,dalqualel’uomopuòaspettarsiuncontinuo e concreto miglioramento delle proprie condizioni di vita;

• lacritica della ragione a idee e abitudini di vita considerate immutabili e giuste solo perché antiche: il potere di origine divina dei sovrani, i privilegi dei nobili e della Chiesa, il diverso criterio di giudizio dei tribunali nei confronti di imputati po-veri o ricchi, le pene eccessive e le torture inflitte ai prigionieri, la pena di morte;

• l’uguaglianza fra tutti i membri dell’uma-nità, che hanno uguale dignità essendo tutti dotati di ragione;

• lagiustizia nei rapporti tra le diverse par-ti della società;

• ilbuon governo dello Stato, ispirato non dalla sete di potere, ma dalla ricerca del benessere di tutti i cittadini;

• latolleranza nei confronti di ogni fede re-ligiosa;

• lapace universale, ottenuta non con la forzadellearmi,maconquelladelleideee del confronto.

Nuove idee, divulgate nell’Encyclopédie, sui giornali, nei salotti

All’origine della diffusione delle idee illu-ministe c’era il crescente successo dell’ap-plicazione del nuovo metodo scientifico, introdotto nel Seicento da uomini come Galileo Galilei e Isaac Newton. D1 Nello stesso tempo, l’Illuminismo portava a pie-no compimento l’esaltazione dell’uomo e

delle sue facoltà avviata fin dal Trecento con l’Umanesimo e poi approfondita nel Rina-scimento.FinoalSettecento,tuttavia,que-sti grandi movimenti di idee avevano sì por-tato a grandi scoperte e alla realizzazione di opere artistiche innovative, ma avevano comunquecoinvoltounaminoranza di fi-losofi, scienziati e artisti attivi nelle corti dei principi, nelle università e nelle accademie.Gliilluministicompironoinveceungran-

de passo avanti nella concezione del rap-porto tra mondo della cultura e società. Essi, infatti, non solo sostenevano che la scienza doveva ormai essere considerata come la vera fonte di conoscenza e di giudizio sulla realtà, ma erano anche convinti che proprio perquesto la scienza, le tecniche, learti, leidee dei filosofi, dei teorici della politica e degli economisti dovevano essere fatte co-noscere a un pubblico sempre più vasto. Per questoessifuronoconvintisostenitoridellafondamentale importanza dell’istruzione scolastica per tutti gli uomini e poi dello svi-luppo di ogni mezzo (libri, giornali, dibattiti pubblici, conferenze) che rendesse possibile formare e usare il proprio intelletto. Secon-do gli illuministi, il progresso dell’umanità dipendeva proprio dal progresso delle co-noscenze e delle facoltà intellettuali di ogni uomo.

In Francia, paese in cui gli illuministi fu-rono particolarmente attivi, Denis Diderot e Jean D’Alembert decisero di contribuire al progresso della società proprio attraver-soladiffusionedelsapere.Perfarequesto,tra 1751 e 1772, con l’aiuto di molti autori competenti, pubblicarono l’Encyclopédie («Enciclopedia») o Dizionario ragionato

delle scienze delle arti e dei mestieri. Com-posta da 35 volumi (17 volumi di testo, 11 di illustrazioni, 5 di materiali supplemen-tari più 2 di indici). Quest’opera raccoglie-va tutto il più avanzato sapere scientifico e praticodell’epoca.Loscopononeraquellodi soddisfare la curiosità dei lettori: l’obiet-tivoeraquellodidiffondere la conoscenza delle nuove tecniche di lavorazione dei di-versi tipi di materiali, in modo da miglio-rare la produzione di beni dell’artigianato e dell’industria, ma soprattutto creare una nuova visione della vita basata non sulla fede ma sulla ragione.

Riflessione teorica, ricerca scientifica, miglioramento della tecnica e conseguente incremento del benessere dell’umanità: la concezione illuminista del progresso coin-volgeva ogni dimensione della vita perso-nale e sociale, dalla religione alla politica, dall’arte alla produzione industriale dei beni di consumo.Gli illuministi non trascurarono nessu-

no strumento di comunicazione e di divul-gazione. Essi crearono giornali e riviste, animarono con conferenze e dibattiti (ma anche con la semplice arte della conversa-zione) numerosi salotti sia di nobili che di borghesi (che divennero veri e propri circoli culturali), si ritrovarono nei caffè a discute-re e a incontrare altri pensatori in viaggio da una capitale europea all’altra, scrissero e pubblicarono non solo saggi, ma anche opere teatrali e romanzi. Alcuni tra i pensa-tori illuministi, per esempio Voltaire, furono anzi tra gli inventori del romanzo moderno. Le idee illuministe furono diffuse, quindi,anche nei teatri e nella musica. A

A. Lemonnier, Nel salotto di Madame Geoffrin nel 1755, 1812, Rueil-Malmaison, Musée National du Château de Malmaison.

Riunione attorno ad un tavolo di filosofi e illustri illuministi fra cui Voltaire, Diderot, l’abate Maury, il marchese di Condorcet, XVIII secolo.

P. Pelagi, Newton scopre la rifrazione della luce, 1824-1827, Brescia, Pinacoteca Tosio Martinengo.

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p. 62

1 L’Europa tra Seicento e Settecento 2 Il Settecento in Europa e l’Illuminismo

Le nuove idee sulla religione

Per conoscere la cultura illuminista possia-mo citare alcuni uomini che con le loro idee parteciparono a questa stagione culturaleeuropea.

Tra gli autori dell’Encyclopédie vi fu il fi-losofo francese Voltaire, autore di molte opere che ebbero una grande diffusione, tra le quali citiamo ilTrattato sulla tolleranza (1763) e il Dizionario filosofico (1764). Attra-verso i suoi scritti egli cercò di combattere contro ogni forma di fanatismo religioso, che aveva causato in Europa numerose e terribili guerre di religione. Sosteneva, infat-ti, il valore della tolleranza: con la propria ragione, affermava, l’uomo può accettare l’idea che esista un Dio, ma non può impor-re a nessuno l’una o l’altra religione. Voltaire fuquindiunsostenitoredella«religione na-turale»: senza far ricorso all’autorità di una Chiesa o obbedendo alle Sacre Scritture, l’uomo può riconoscere come ragionevole l’idea che esista un Dio, supremo ordinatore di tutte lecose.EquestoDio, riconosciutocon la ragione – che è uguale in tutti gli uo-mini –, sarà un Dio veramente universale, non il Dio dei cristiani che si contrappone a quellodegliislamiciecosìvia.

Le nuove idee sulla società e sulla politica

Un altro pensatore francese, Montesquieu, diede un contributo decisivo alla moderna concezione della politica. Nella sua opera intitolata Lo spirito delle leggi (1748) egli sostenne la necessità della divisione dei poteri all’interno dello Stato: potere legi-slativo (cioè il potere di fare le leggi), potere esecutivo (il potere di applicare le leggi) e

potere giudiziario (il potere di giudicare e punire chi infrange le leggi) non potevano, a suo avviso, essere funzioni concentrate nelle mani di un singolo uomo, ma doveva-no essere esercitate da persone diverse. In questomodo,ciascun potere era in grado di controllare e limitare l’altro ottenendo cosìmaggioregiustiziaedequilibrio.Era ilmodello che si era imposto in Inghilterra, le cui istituzioni non a caso furono indicate come modello da imitare a partire dai filo-sofi illuministi.

Un contributo fondamentale alla conce-zione dei rapporti sociali fu offerto da Jean- Jacques Rousseau   , anch’egli francese, che scrisse un’opera intitolata Il contratto socia-le (1762). Rousseau affermava che l’umanità era decaduta nel corso dei secoli da uno sta-to originario di innocenza e di uguaglian-za.Aquestacondizioneprimitivaeraormaiimpossibile ritornare, ma era necessario e possibile riformare la società attraverso un «contratto» che concedesse ai cittadini la massimapartecipazionepolitica.Suquestalinea egli giungeva a teorizzare la necessità di arrivare a una piena democrazia, cioè a un sistema in cui la volontà dei cittadini (la «volontà generale») costituisse il vero prin-cipioregolatoredelloStato.InquestomodoRousseau metteva a fuoco il concetto di so-vranità popolare , su cui si basano tutte le moderne democrazie. [Testimonianze documento 3, p. 65]

L’Illuminismo e lo sviluppo dell’economia politica

Tra i nuovi orizzonti della ricerca aperti dai pensatori illuministi, di particolare impor-tanza furono gli studi dedicati al funziona-mento dell’economiaequindideisistemidiproduzione e distribuzione della ricchezza. Questo campo di ricerca ebbe anzi le sue prime definizioni e le prime descrizioni te-oriche complete, facendo così nascere una disciplina scientifica autonoma: l’economia politica.

Una posizione condivisa da una serie di autori che la storia dell’economia poli-tica definisce «fisiocratici» fu chiaramen-te espressa da uno studioso della natura, Francois Quesnay. Egli considerava la ter-ra, e quindi laproduzione agricola messa a disposizione degli uomini dalla natura, come la fonte assolutamente primaria della

ricchezza,benpiùimportante,quindi,del-la produzione manifatturiera e soprattutto più importante dei commerci. Per garantire, quindi,ilbenesseredell’umanità,occorrevafavorire l’agricoltura e permettere la libera circolazione dei suoi prodotti. I fisiocratici, quindi, eranoper l’eliminazionedellebar-riere doganali e fiscali al commercio dei gra-ni, per la diffusione della proprietà agricola e per la libera concorrenza sul mercato dei produttori. Una concorrenza che da sola avrebbegarantito:lagiustaquantitàdibenialimentari, l’equilibrio naturale del loroprezzo, il conseguente arricchimento dei produttori e il maggior benessere possibile di tutti i cittadini.Perifisiocratici,quindi,loStatonon dove-

va intervenire nell’economia, ma solo garan-tire il suo naturale svolgimento, basato ap-punto sulla circolazione della vera ricchezza, quella prodotta dalla terra. Lo stesso Stato,del resto, avrebbe potuto imporre sulle terre una bassa tassazione su tutte le rendite fon-diarie (senza alcun privilegio per i nobili), ga-rantendosi così, con il minimo peso sull’an-damento dell’economia, sicure entrate per lesuenecessità.Si trattava,dunque,diunavisione del buon funzionamento dell’econo-mia che verrà definita «liberismo».

Un passo avanti nel fondare scientifi-camente il pensiero liberista fu compiuto dall’inglese Adam Smith, che nella sua ope-ra principale, Ricerche sopra la natura e la causa della ricchezza delle nazioni (1776), propose una visione della società in cui cia-scuno dei membri doveva essere lasciato libero di perseguire i propri interessi pri-vati. Infatti, sosteneva Smith, nell’ordine naturale delle cose, è proprio cercando di arricchire se stesso che ciascuno contribu-isce all’aumento della ricchezza della so-cietà in cui vive equindi al bene comune.La società e lo Stato non devono temere l’egoismo individuale, che è anzi il vero mo-tore del massimo impegno di ciascuno: una «mano invisibile» fa poi in modo che la re-alizzazione dei singoli finisca a vantaggio di tutti. Come già dicevano i fisiocratici, anche Adam Smith era a favore del libero mercato, del libero scambio e della libera concorren-za e riteneva che lo Stato non dovesse inter-venire per regolare i rapporti economici. Il liberismodiSmithsifondavadunquesullavalorizzazione della ricerca del proprio uti-le da parte dei singoli.

Sarà Jeremy Bentham a porre, nell’ope-ra Introduzione ai principi della morale e della legislazione (1789), l’utilità come nuo-va visione della morale. Per la sua visione, detta appunto «utilitarismo», il piacere e il dolore che l’individuo si aspetta da una de-terminata scelta è l’unico criterio razionale del giudizio tra il bene e il male. E lo stesso valeperleleggi:essesarannogiustequandoassicureranno «la massima felicità del mag-gior numero possibile di persone». [ I NODI DELLA STORIA p. 54]

L’Illuminismo in Italia

Abbiamofinquicitatofilosofi,economisti,teorici della politica francesi, inglesi e te-deschi. All’Illuminismo, tuttavia, diedero un importante contributo anche un certo numero di autori italiani, il che testimonia la vivacità del dibattito culturale nella pe-nisola, pur divisa politicamente e costretta ai margini del grande sviluppo economi-co europeo. Si potrebbe anzi pensare che diversi intellettuali italiani reagirono, nel corso del Settecento, proprio agli eviden-ti limiti della vita sociale e politica che si svolgeva intorno a loro, offrendo uno sti-molo per incoraggiare i governi e le classi dirigenti al cambiamento.

Tra i personaggi che devono essere citati in questo contesto vi sono filosofi, storici,giuristi, economisti. Molto attivi, e autori di opere lette in tutta Europa, furono gli illu-ministi lombardi animatori del periodico «Il Caffè»(fondatonel1764),sulqualescrissero,tra gli altri Pietro Verri e Cesare Beccaria   . Quest’ultimo, economista, giurista e mem-

N. de Largillière, Voltaire, Ginevra, Institut et Musée Voltaire.

Charles de Secondat, barone di Montesquieu, 1728, Versailles, Musée National du Chateau. Dei delitti e delle pene (frontespizio) di

Cesare Beccaria, nell’edizione del 1781.

Cesare Beccaria.

Discorso sull’origine e i fondamenti dell’ineguaglianza fra gli uomini (frontespizio) di J.-J. Rousseau.

sovranità popolare: nella visione di Rousseau il popolo non delega a nessuno la propria sovranità. I deputati del popolo non sono dunque rappresentanti ma semplici portavoce sempre revocabili; inoltre le decisioni dei deputati non hanno valore se non sono confermate dal popolo.

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  Tweet Storia p. 358

p. 314

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bro dell’amministrazione austriaca, otten-ne grande fama e suscitò ampi dibattiti, non solo in Italia, con la sua opera Dei delitti e delle pene (1764). Beccaria sostenne validi argomenti razionali contro l’uso della tor-tura nei procedimenti penali e soprattutto contro la pena di morte. Con ben altri mez-zi, egli pensava, le autorità pubbliche si de-vono preoccupare più della prevenzione dei delitti che della loro inumana punizione.

Il filosofo Giambattista Vico elaborò una nuova visione del susseguirsi delle epoche storiche tentando una loro interpretazio-ne scientifica. Lo storico Ludovico Antonio

Muratori fu un intellettuale cattolico aperto a moderne riforme sociali. A Napoli svolse-ro un’intensa attività didattica e divennero noti in tutta Europa come divulgatori delle loro analisi dell’economia moderna e della circolazione della moneta Antonio Genove-si e Ferdinando Galiani. Sempre a Napoli, il giurista Gaetano Filangieri scrisse la Scien-za della legislazione, volume in cui sostene-va la necessità di passare da un sistema di leggi basate sui tradizionali privilegi feudali a un vero codice giuridico stabilito dall’au-toritàdelloStatoealquale tutti i cittadinisiano tenuti a prestare obbedienza.

A U S T R I A(Asburgo)

R U S S I A(Romanov)

P R U S S I A(Hohenzollern)

DUCATO DI PARMA(Borbone)

REGNO DI NAPOLI(Borbone)GRANDUCATO DI TOSCANA

(Asburgo-Lorena)

REGNO DI SARDEGNA(Savoia)

Gli Stati assoluti illuminati nel secondo Settecento 2.5 Il «dispotismo illuminato»

Il concetto di «dispotismo illuminato»

Nel corso del Settecento alcuni sovrani eu-ropei intuirono che l’intenso movimento di idee e di proposte degli intellettuali illu-ministi esprimeva l’aspirazione delle classi sociali più intraprendenti (la borghesia, ma anche parte della nobiltà) a importanti ri-forme dello Stato, dei sistemi giuridici, dei diritti in campo economico.Agendo quindi con prudenza e con un

certo paternalismo, ma tuttavia consape-voli del valore delle nuove proposte e cer-cando di aumentare il consenso nei loro confronti della borghesia e della nobiltà più aperta, alcuni «sovrani illuminati» seguiro-noquindiunapoliticachepuòesseredefi-nita «dispotismo illuminato». Essi, infatti, non rinunciarono alle loro prerogative e alla conduzione dei loro Stati rigidamente im-posta e controllata dalle loro corti. Al con-trario, usarono proprio i loro poteri assoluti per imporre alcune riforme dalle quali siattendevano un vantaggio per i loro paesi (per esempio incentivando le classi sociali più intraprendenti) e un rafforzamento del loro stesso potere.

Alcuni sovrani accolsero intellettuali illu-ministi nelle proprie corti, diedero fiducia a ministri attenti alle nuove idee e imposero nei loro regni alcune leggi ispirate alla nuo-va cultura. La maggior parte degli illumi-nisti, infatti, non si proponeva di cambiare completamente la società, ma mirava a trasformarla a poco a poco con riforme. E queste,appunto,potevanoessereintrodot-te «dall’alto», cioè per volontà dei legittimi governanti. I monarchi che si convinsero a cambiare alcuni aspetti della vita sociale dei loro paesi furono detti «sovrani illuminati», perché, pur con i precisi limiti che abbiamo segnalato, mostrarono l’intenzione di la-sciarsi guidare dalla ragione.

La Prussia di Federico II

Erede della ferrea politica di accentramento dello Stato e di rafforzamento dell’esercito voluta dai suoi predecessori, Federico II di Prussia volle introdurre alcune riforme che rendessero più moderno e dinamico il suo

paese. Egli accolse alla sua corte l’illumini-sta Voltaire e poi mantenne con lui una fitta corrispondenza. Il suo interesse per lo sviluppo della cultura, dell’arte e delle scienze (tutte attività che dovevano dare al giovane regno prestigio e conoscenze tecni-che indispensabili alla sua affermazione) lo spinsero a incentivare l’opera dell’Accade-mia delle Scienze di Berlino e a introdurre, nel 1763 (primo caso in Europa) l’istruzione elementare obbligatoria, assicurata da ma-estridipendentidalloStato(equindideditialla formazione di buoni cittadini).

Altre riforme fondamentali furono intro-dotte in campo giuridico. Il sistema giudizia-rio fu interamente riformato con la stesura e applicazione di un «Codice civile » e di un «Codice di procedura penale ». Queste leg-gi costituirono il cosiddetto Corpus frideri-cianum, un insieme di norme che assicura-va a tutti i cittadini una maggiore semplicità epiùequilibrionelleprocedureeprevede-va, tra l’altro, l’abolizione della tortura e un ricorso più limitato alla pena di morte.

Infine, il sovrano volle una politica di tol-leranza nei confronti delle minoranze reli-giose, i cattolici in particolare, e persino delle comunità ebraiche. Federico II divenne così il modello del «sovrano illuminato». Egli stes-so coltivava studi filosofici ed era autore di opere di storia e di riflessioni politiche.

F. Solimena, Giambattista Vico, Roma, Museo di Roma.

A. Perego, L’Accademia dei Pugni (riunione accademica con importanti personaggi dell’illuminismo milanese e italiano, fra cui Cesare Beccaria e i fratelli Pietro e Alessandro Verri), 1766, Milano, collezione privata.

A. von Menzel, Re Federico II di Prussia all’interno del palazzo di Sanssouci con Voltaire e i rappresentanti dell’Accademia berlinese, 1850, Berlino, Nationalgalerie.

Codice civile: è la raccolta di tutte le leggi che regolano i rapporti di natura civilistica (ad esempio, contratti, donazioni, matrimoni, ecc.).

Codice di procedura penale: è la raccolta delle norme che regolano il processo penale.

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511789XVII-XVIII sec. Si affermano le politiche mercantilistiche 1751-1772 Pubblicazione dell’Encyclopédie

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Giuseppe II.

1 L’Europa tra Seicento e Settecento 2 Il Settecento in Europa e l’Illuminismo

Tuttavia, il suo regno non andava tra-sformandosi sul modello della monarchia costituzionale inglese: il potere rimaneva saldamente nelle mani della monarchia, alleata anzitutto con la nobiltà terriera. Questa mantenne intatti i suoi privilegi, ebbe un ruolo predominante nelle gerar-chie dell’esercito (l’organo nel quale gliinteressi della nobiltà e le aspirazioni alla potenza della monarchia di saldavano per-fettamente) e continuò ad amministrare i suoi feudi sottoponendo a dure condizioni e a ferrea disciplina i contadini, che resta-vano di fatto dei veri e propri servi della gleba.

L’Austria di Maria Teresa e di Giuseppe II

L’interesse degli Asburgo d’Austria per al-cune riforme era legato da una parte alla volontà di rafforzare l’autorità dello Stato anche nei confronti della Chiesa e dall’al-tra alla consapevolezza che le aspirazioni della borghesia (per esempio in campo giuridico) dovevano essere almeno in par-te accolte per garantire all’Impero coesio-ne e stabilità.Perquestimotivi,l’imperatriceMaria Te-

resa e il figlio Giuseppe II razionalizzarono l’azione di governo investendo del potere esecutivo un forte Consiglio di Stato, guida-to da un cancelliere che rispondeva ai sovra-ni del suo operato. Fu inoltre riorganizzata l’amministrazione dell’Impero con una classe di funzionari preparati e fedeli, men-tre la razionalizzazione del prelievo fisca-le – chedivennepiù equoanzitutto graziealla redazione di un catasto dei beni terrieri e delle proprietà immobiliari – aumentò le entrate dello Stato.Giuseppe II si spinse particolarmente

avanti nell’opera riformatrice. Nel 1788 an-che l’Austria ebbe un suo moderno Codice penale, con la proibizione della tortura e la limitazione della pena di morte. Importan-ti cambiamenti si ebbero nei rapporti tra lo Stato e la Chiesa. Qui il sovrano applicò con convinzione una politica ispirata al co-siddetto «giurisdizionalismo ». Si trattava della concezione per cui lo Stato, abban-donando secoli di tradizioni medievali, im-poneva la propria autorità (cioè la propria «giurisdizione») su tutti i sudditi, compresi i membri del clero e i loro beni e si attribuiva

il diritto di agire in piena autonomia dalle indicazioni della Chiesa anche in campo religioso.GiuseppeIIintrodusse,peresem-pio, il matrimonio civile, fece chiudere un grande numero di conventi appartenenti a ordini religiosi contemplativi – a causa della loro scarsa utilità sociale –, riorganiz-zò il clero trasformando parroci e vescovi in funzionari che ricevevano uno stipen-dio dallo Stato e dovevano contribuire alla pace sociale e all’assistenza dei più poveri. L’imperatore si distinse, inoltre, per la tolle-ranza religiosa nei confronti dei non catto-lici e per l’abolizione, nel 1781, dell’obbligo per gli ebrei di risiedere nei ghetti e con il riconoscimento del loro diritto di praticare senza limitazioni attività economiche e di frequentareleuniversità.

Mentre lo Stato diventava protagonista di ogni dimensione della vita pubblica, l’impe-ratore volle che anche nel suo impero fosse introdotta l’istruzione elementare e già du-rante il suo regno un terzo dei bambini fre-quentavalescuole.

Più difficili, ma ugualmente persegui-te con convinzione, le riforme nel mondo agricolo, in particolare l’abolizione della servitù della glebaequindidelleprestazio-ni d’opera obbligatorie, la soppressione del-le decime e, come abbiamo già ricordato, la stesura di precisi catasti delle proprietà terriere, che così cadevano sotto il controllo fiscale dello Stato.

La Russia da Pietro I il Grande a Caterina II

ApartiredaPietroIIlGrandeglizaraveva-no imposto alla Russia una vigorosa opera di modernizzazione. Tra i suoi successori, l’opera di riforma fu proseguita con partico-lare energia da Caterina II. Tuttavia, la Rus-sia si rivelò particolarmente impermeabile alle riforme ispirate all’Illuminismo, che incontrarono anzi fortissime resistenze nel ceto dominante, l’aristocrazia terriera.

Caterina riuscì a imporsi con un certo successo sulla potente Chiesa ortodossa: una parte dei suoi beni fu incamerata dal-lo Stato e fu posto un limite all’autonomia giuridica dei vescovi e al grande numero di monasteri. La limitazione dei privilegi nobi-liari e l’abolizione della servitù della gleba (discussa in una commissione per le riforme voluta dalla sovrana) rimasero invece obiet-

tivi solo auspicati. Anche l’introduzione di una maggiore libertà di stampa fu sostenuta con scarsa energia.

Così, pur rafforzandosi sulla scena politi-caeuropeatramitelaconquistadellaCrimea(1783) e il consolidamento dell’amministra-zione centralizzata del suo vasto impero, la Russia non conobbe le riforme che ne-gli stessi anni permettevano alla Prussia e all’Austria di mantenere la propria struttura di governo e contemporaneamente stimola-re lo sviluppo delle classi emergenti.

La stagione del dispotismo illuminato in Italia

Anche alcuni dei sovrani regnanti nei piccoli Stati regionali in cui si divideva la nostra peni-sola introdussero nei loro ordinamenti caute riforme, con caratteristiche, motivazioni e limitideltuttoanaloghiaquellichecaratte-rizzavano i maggiori Stati dell’Europa.

Nel regno di Napoli, dove erano attivi alcuni illustri illuministi, tra 1759 e 1776 il primo ministro Bernardo Tanucci tentò di ammodernare l’amministrazione e la legi-slazione del regno. Egli dispose la stesura di un catasto, ma non riuscì a superare una condizione imposta dai nobili proprietari delle terre, e cioè che la registrazione avve-nisse sulla base di dichiarazioni fornite dagli stessi proprietari e non in base a misurazio-ni compiute dai funzionari dipendenti dallo Stato. Analoghi dubbi risultati furono conse-guiti con il tentativo di aumentare il numero

dei medi proprietari terrieri e con alcune norme che colpivano i privilegi del clero.

Riforme più efficaci furono invece realiz-zate nel granducato di Toscana sotto il go-verno del granduca Pietro Leopoldo. Egli si circondò di ministri efficienti e intenzionati a dare una svolta all’amministrazione del loro piccolo Stato. Sul modello austriaco fu introdotta in materia ecclesiastica una le-gislazione giurisdizionalista che chiudeva alcuni conventi contemplativi e confiscava una parte dei beni della Chiesa mantenuti improduttivi (la cosiddetta «manomorta», termine che indicava appunto terre e beni che la Chiesa non sapeva o voleva utiliz-zare al meglio). Nel 1786 anche la Toscana ebbe un suo Codice penale, che prevedeva importanti diritti nella difesa degli imputati e dove per la prima volta la pena di morte fu abolita in uno Stato europeo. Infine, in campo economico, la Toscana seguì una po-litica liberista, con l’abolizione delle corpo-razioni e la liberalizzazione del commercio dei grani. Ampio impulso fu dato alla mo-dernizzazione dell’agricoltura e la picco-la e media proprietà agricola fu sostenuta efficacemente con la distribuzione in affitto diterrediproprietàdelloStatoorequisiteaconventisoppressiproprioinqueglianni.[Testimonianze documento 4, p. 65]

Pietro Leopoldo ebbe anche idee politi-che innovativenelquadrodell’assolutismoeuropeo. Egli, infatti, rafforzò le autorità lo-cali dei municipi – dove volle che avessero un peso determinante i rappresentanti dei

Caterina II di Russia.

Un esempio di catasto delle proprietà terriere voluto da Maria Teresa d’Austria.

giurisdizionalismo: termine che indica la tendenza degli Stati ad allargare la propria giurisdizione su materie tradizionalmente di competenza ecclesiastica.

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1 L’Europa tra Seicento e Settecento

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2 Il Settecento in Europa e l’Illuminismo

piccoli proprietari e della borghesia, per controbilanciare il potere dei

nobili – e concepì un progetto per concedere ai suoi suddi-

ti una Costituzione dove i poteri del sovrano fossero regolati e limitati con un chiaro contratto tra lui e i suoi sudditi. Quest’ultima volontà non giunse tutta-via a piena esecuzione, per l’ostilità dei ceti nobiliari e soprattuttoperquelladella

corte di Vienna, cui la debole Toscana era legata da vincoli

dinastici e influenza politica.Anche il ducato di Milano, sot-

toposto all’amministrazione austria-ca, partecipò in parte all’ammodernamen-to dell’Impero degli Asburgo. Anche quifu curato un catasto – che rendeva certo e costante il prelievo fiscale sulle terre – e rinnovata la classe degli amministratori

pubblici, nella quale entrarono un buonnumero di nobili e borghesi illuminati. Fu inoltre liberalizzato il commercio del gra-no e la libera concorrenza diede un forte impulso alla produzione agricola. Mentre la borghesia cittadina si rafforzava anche grazie all’introduzione di più razionali dazi sui commerci e dello stesso sistema pena-le in vigore in Austria, al Senato della città, dove prevalevano i nobili, furono ridotti i poteri esecutivi.

Nel regno di Sardegna, il re Carlo Ema-nuele III ridusse alcuni privilegi della nobil-tà, volle la stesura di un catasto e abolì una parte delle consuetudini feudali. Altre rifor-me furono introdotte nei ducati di Modena e Parma, sempre sul modello austriaco.

Il dispotismo illuminato faceva compiere importanti progressi alle società europee. Ma le idee degli illuministi dovevano im-porsi con ben maggiore rapidità ed efficacia grazieaduegrandirivoluzioni:quellaame-ricanaequellafrancese.

I NODI DELLA STORIAChe cos’è l’Illuminismo?

Il termine «Illuminismo», nella lingua italiana, è relativamente recente. Per molto tempo si è preferito utilizzare l’esatta tra-duzione dell’espressione francese Âge de Lumières, «Età dei Lumi». In inglese si usa Enlightenment; in tedesco Aufklärung; in spagnolo Ilustración. In tutte queste parole ricorre, come è evidente, la metafora della luce in contrapposizione polemica con l’oscurità dell’epoca precedente. Per gli illuministi era ne-cessario fare luce nella mente degli uomini ottenebrata da secoli di superstizione e di ignoranza accettando come unica guida la ragione e il metodo scientifico. L’essenza stessa dell’Illuminismo starebbe, secondo il suo massimo interprete filosofico, il tede-sco Immanuel Kant, nella rinuncia a essere intellettualmente «bambini», incapaci di non farsi guidare se non dall’autorità e dal pregiudizio. E tutto questo, non in assenza di difetto d’in-telligenza, ma per mancanza di coraggio, per non volere osare conoscere (sapere aude, secondo il motto latino del poeta Ora-zio). Non ci sarebbe stata la stagione dei Lumi, nel XVIII secolo, se questa non fosse stata preparata dalla Rivoluzione scientifica del secolo e mezzo precedente, quel rivolgimento generale dei metodi e dei contenuti della scienza moderna iniziato con le in-tuizioni matematiche di Copernico e proseguito con le scoperte di Galileo e le nuove teorie di Newton basate sul metodo spe-rimentale. Ma l’ambizione degli illuministi fu maggiore di quella, pur rilevante, di divulgare il nuovo metodo scientifico e i principi della nuova fisica empirista. Anche il mondo dei fatti umani, del-

le credenze religiose, delle scelte morali, dei rapporti sociali e delle istituzioni politiche andava ripensato. I saperi non potevano continuare ad essere gerarchizzati secondo le vecchie e pigre abitudini. L’opera più rappresentativa dell’illuminismo francese, l’Encyclopédie, metteva sullo stesso piano, utilizzando come unica tassonomia l’ordine alfabetico, principi filosofici, riflessioni giuridiche, teorie matematiche e descrizioni tecniche delle nuo-ve macchine che, da lì a poco, sarebbero state le protagoniste della Rivoluzione industriale. Per i pensatori del Settecento, co-stantemente in equilibrio tra tensione utopista e pratica rifor-matrice, il mondo presente andava cambiato non solo sul piano culturale ma anche su quello politico, economico e sociale. Il diritto di ogni singolo uomo, uguale per nascita e differente solo per i suoi talenti e meriti, a inseguire la propria personale felicità (principio che, come vedremo, sarà codificato nella Dichiarazio-ne d’indipendenza americana) aveva senso solo se, nell’ambito della società, si univa a quello degli altri nell’aspirazione a una «pubblica felicità». Convinti assertori del cosmopolitismo, dif-fidavano di ogni sapere dogmatico, specie se religioso o sopran-naturale. Elogiavano la tolleranza e detestavano il dispotismo. Però sapevano essere pragmatici: erano disposti a collaborare con il potere costituito dell’Ancien régime pur di strappare rifor-me e modernizzazioni. L’essenza dell’Illuminismo, per certi versi, sta tanto nella riforma dei catasti e nei progetti di riforma fiscale, quanto nell’opera di Voltaire, Montesquieu e Rousseau.

Carlo Emanuele III, 1725, Torino, Palazzo di Città.

1701-1714Guerra di successione spagnola; inizia il dominio austriaco in Italia

1740-1786 Federico II re di Prussia, simbolo del dispotismo illuminato

1713-1750 Il Regno Unito ha il monopolio del commercio degli schiavi

1748 Montesquieu pubblica Lo spirito delle leggi

1720 I duchi di Savoia diventano re di Sardegna

1751-1772 Diderot e D’Alembert pubblicano l’Encyclopédie

1733-1738 Guerra di successione polacca: la Russia ottiene parte della Polonia, i Borboni a Napoli, i Lorena in Toscana

1756-1763 Guerra dei Sette Anni: il Regno Unito sconfigge la Francia

1764 Beccaria pubblica Dei delitti e delle pene

1768-1775 Cook esplora le coste di Australia e Nuova Zelanda

1 Sotto la guida dell’Inghilterra e del suo impero coloniale, nel Settecento l’Europa conosce uno sviluppo demografico ed economico impetuoso e

diviene il centro del commercio mondiale. Nel corso del Settecento l’Europa co-nobbe un forte incremento demografico, divenne il centro del commercio mondiale e cominciò a creare nuovi imperi coloniali in America, Asia e Africa. I vasti possedi-menti spagnoli e portoghesi nel Nuovo Mondo furono affiancati da quelli delle nuove potenze: la Francia si stabilì in Canada, in Louisiana e in India, l’Inghilterra in America settentrionale e in India, l’Olanda in Indonesia e nel Sud-est asiatico. Il Settecento fu anche il secolo della supremazia inglese. Dopo aver battuto la Spagna e l’Olanda, la flotta militare e commerciale britannica ottenne il predominio assoluto sui mari. Inoltre, gli inglesi sconfissero la Francia nella Guerra dei Sette Anni (1756-1763) e le strapparono le colonie in Canada e in India.

2 Nell’Atlantico si sviluppa il «commercio triangolare» e in Europa si af-ferma la «Rivoluzione dei consumi». Il commercio dei mercanti europei si

organizzò secondo uno schema «triangolare»: manufatti prodotti nelle industrie del nostro continente venivano esportati in tutto il mondo, ma in Africa essi erano scambiati con prodotti locali e soprattutto con schiavi. Costoro venivano deportati in America dove erano scambiati con materie prime, le quali poi giungevano in Europa per essere distribuite sul mercato o usate nelle industrie. Grazie a questi commerci l’Europa divenne sempre più ricca e cambiarono le abitudini dei suoi abitanti: crebbe, infatti, il consumo di nuovi prodotti, alcuni dei quali (la patata, il mais, il pomodoro) migliorarono la qualità della vita dei più poveri.

3 La costante tensione tra potenze europee per la supremazia sull’Europa e sul mondo scatena una serie di conflitti dinastici. L’Italia passa sotto il

controllo dell’Austria. Tra le potenze europee una serie di lunghe guerre stabilì un equilibrio grazie al quale nessuna era in grado di imporre al continente la propria supremazia. Francia, Olanda, Austria, Prussia, Russia e Inghilterra si affermarono come gli Stati più forti. L’Italia, invece, continuò a subire il controllo straniero, ma a causa della decadenza della Spagna il predominio nella penisola passò all’Austria con le paci di Utrecht (1713) e Rastadt (1714).

4 La rigida divisione in ordini delle società europee di Ancien régime. Le società europee erano per lo più divise in «Stati»: nobiltà e clero (i cosiddetti

«Primo e Secondo Stato»), che godevano di grandi privilegi, e borghesia (il «Terzo Stato», che comprendeva dai ricchi mercanti ai membri del popolo più umile). La maggioranza della popolazione era costituita da contadini, che in Europa occidentale erano spesso affittuari o piccoli proprietari, mentre in Europa orientale e nel meridio-ne d’Italia erano per lo più lavoratori senza diritti o servi della gleba.

5 In campo culturale si afferma l’Illuminismo, che si basa sulla fiducia nella ragione e nel progresso. Molti sovrani assoluti accolgono alcune proposte

illuministe: nasce il «dispotismo illuminato». Nel Settecento, la cultura europea visse un periodo di profonda trasformazione: cominciarono infatti a diffondersi le idee dell’Illuminismo, un movimento di pensiero basato sulla fiducia nella luce della ragio-ne, espressione della classe più dinamica, ossia della borghesia. Gli illuministi erano ottimisti: credevano nel progresso dell’umanità grazie alla diffusione delle scoperte scientifiche e tecnologiche. Essi sostennero gli ideali di uguaglianza, giustizia, tolle-ranza e attribuirono un grande valore all’istruzione dei giovani. Questi pensatori voleva-no rinnovare la società e la politica. Alcuni sovrani assoluti – ispirandosi alle idee degli illuministi – riformarono nei loro Stati l’istruzione, i rapporti con la Chiesa e l’ammini-strazione della giustizia: questa politica fu detta «dispotismo illuminato».

54 © Loescher Editore – Torino© Loescher Editore – Torino

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Due pagine dell’Encyclopédie.

Un’edizione della «London Gazette», il più antico giornale britannico.

1 L’Europa tra Seicento e Settecento 2 Il Settecento in Europa e l’Illuminismo

L’Illuminismo si caratterizzò, tra gli altri aspetti, per la fiducia nell’eguaglianza tra gli individui, nella libertà di pensiero ed espressione, nel libero confronto fra le opinioni e nella libera circolazione delle idee. Uno degli strumenti essenziali che garantì dibattito e scambio culturale fra gli studiosi fu senza dubbio la stampa. Proprio nel corso del XVIII secolo il setto-re dell’editoria visse una fase di grande sviluppo attraverso la pubblicazione di collane, libri, giornali e fogli volanti. Si trattava di opere destinate non solo a un ristretto pubblico di esperti, ma anche a una più ampia platea di lettori che, appartenendo ai ceti sociali medio-alti, disponeva del livello di istruzione e di reddito necessari. Questo nuovo e più am-pio gruppo di lettori, principale destinatario delle idee e dei principi dell’Illuminismo, costituì la prima forma di quella che oggi viene denominata la pubblica opinione.

L’EncyclopédieL’opera editoriale maggiormente rappresentativa dello spirito dell’Illumini-smo fu senza dubbio l’Encyclopédie. Essa costituì il tentativo di catalo-gare e raccogliere l’insieme di tutte le conoscenze e dell’intero sapere umano sviluppatosi fino alla metà del XVIII secolo. Si trattò di un progetto editoriale molto ambizioso che in pochi anni fu tradotto dal francese in tutte le principali lingue europee assolvendo così allo scopo principale dell’ope-ra, ossia garantire una diffusione il più ampia possibile nell’opinione pubblica d’Europa.

La nascita della pubblica opinione e la circolazione delle informazioni

Il frontespizio dell’Encyclopédie.

Giornali e fogli volantiLe informazioni, le curiosità e le notizie di vario tipo, dalla cronaca alla politica, iniziarono a circolare con maggiore forza, fra XVII e XVIII secolo, grazie alla diffusione di giornali pe-riodici, pubblicati con continu-ità, e di fogli volanti, stampati in occasioni particolari. Circo-lavano tanto pubblicazioni di carattere letterario, destinate agli ambienti culturali più ele-vati, quanto prodotti più gior-nalistici e divulgativi che erano destinati al mondo commer-ciale e finanziario o a quello più propriamente popolare.

Caffè, accademie e circoli letterariLa circolazione delle notizie di cronaca o delle maggiori novità scientifiche e culturali era assi-curata non solo attraverso i prodotti dell’edito-ria, ma anche dalla nascita di nuovi spazi fina-lizzati all’incontro, al dibattito e allo scambio di idee. A metà Settecento trovarono ampia diffu-sione in tutte le principali città europee i caffè, i circoli letterari e le accademie. Si trattava di ambienti ancora molto ristretti ed elitari, ma che per la prima volta non si rivolgevano solo ai tradizionali studiosi del mondo universitario e cortigiano e si aprivano a un vero dibattito di idee e opinioni.J. Zoffany, Gli accademici della Royal Academy, 1771-1772, Londra, The Royal Collection.

Il primo numero del «Caffè», rivista di cultura stampata a Brescia-Milano dal 1764 al 1766.

G.B. Bison, Caffé dei servi a Milano, 1835, Roma, collezione Praz.

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ATTI

VITÀ

1 L’Europa tra Seicento e Settecento 2 Il Settecento in Europa e l’Illuminismo

Mostra quello che sai

7 Osserva l’immagine a p. 50 (a destra) e, dopo averne individuato il soggetto, analizza abbigliamento, postura e atteggiamento dei personaggi. Qual è il significato simbolico della raffigurazione?

Ragiona sul tempo e sullo spazio Impara il significato

Osserva, rifletti e rispondi alle domande

Gli ideali dell’Illuminismo

6 Osserva la mappa concettuale relativa all’Illuminismo. Poi rispondi alle domande.

1 Qual è il ruolo della scienza?2 Quali sono le teorizzazioni politiche?3 Qual è la visione religiosa?

1 Osserva le cartine alle pp. 34 e 43 relative all’Europa dopo la Guerra di successione spagnola e la Guerra di successione austriaca: quali differenze si rilevano tra le due situazioni?

2 Completa le frasi scrivendo l’anno esatto in cui accade l’evento.

1 Tra il e il gli illuministi Diderot e D’Alambert pubblicano l’Encyclopédie2 Nel Beccaria scrive Dei delitti e delle pene, un’opera in cui argomenta contro la tortura e la pena di morte3 Tra il e il viene combattuta la Guerra di successione polacca, dalla quale esce vincitrice

la Russia4 Nel Federico II di Prussia introduce l’istruzione elementare obbligatoria5 Nel Rousseau scrive Il contratto sociale, in cui mette a fuoco il concetto di sovranità popolare6 Nel Giuseppe II d’Austria abolisce l’obbligo per gli ebrei di risiedere nei ghetti e riconosce loro il diritto

di praticare senza limitazioni attività economiche e di frequentare le università7 Dal al si svolge la Guerra dei Sette anni, che si può definire la prima guerra «mondiale»

poiché è combattuta sia in Europa che nelle aree coloniali8 Nel l’inglese Edward Jenner sperimenta con successo un vaccino contro il vaiolo9 Tra il e il si svolge la Guerra di successione austriaca, che vede confermata al trono d’Austria

Maria Teresa d’Asburgo10 Nel Montesquieu scrive Lo spirito delle leggi, in cui sostiene la necessità della separazione

dei poteri all’interno dello Stato11 Nel e nel vengono firmati i trattati di Utrecht e di Rastadt, che pongono fine alla Guerra

di successione spagnola riconoscendo a Filippo V la corona di Spagna12 Nel i duchi di Savoia diventano anche sovrani di Sardegna

Esplora il macrotema

3 Completa il testo.

Nel Settecento, l’Europa costituisce il centro dell’economia mondiale e l’Inghilterra diventa la principale

potenza commerciale, grazie alla supremazia (1) sancita nel secolo precedente da una

serie di Atti di Navigazione.Nel corsodelXVI eXVII secolo,dunque,benché le (2)

spagnole e portoghesi siano estese e ricche di risorse, chi davvero ne sfrutta le ricchezze, controllando

i (3) ,sonogli inglesie, inmisuraminore,gliolandesi.Gli inglesi, inoltre,siavviano

a diventare una grande potenza coloniale, incrementando i loro insediamenti sulle isole dell’America

centrale (in particolare le Antille) e nell’America (4) .

Nella seconda metà del Settecento gli scambi commerciali seguono un andamento che è stato definito

«commercio (5) »: le navi inglesi, olandesi e francesi partono dai porti europei cariche

dimanufattiprodottinelle industrie verso le colonie,dovevengonoacquistatidai coloni europei,o

barattati con altre merci di produzione extraeuropea. Una delle «merci» più richieste nelle vaste colonie

americane sono gli schiavi di origine (6) ,iqualivengonoscambiatidaicapitribùcon

prodottidiscarsaqualità,cometessuticolorati,chincaglierieearmi.Glischiaviafricani,considerati

alla stregua di bestie o strumenti da lavoro, rendono possibile lo sfruttamento completo delle colonie

americane e daranno un contributo decisivo all’arricchimento degli (7) .

Tramite un «accordo sul commercio degli schiavi neri» (in spagnolo «asiento de negros») il predominio

inquesto settoreèappannaggioprimadeimercanti (8) , che per primi avviato tale

commercionelcorsodelCinquecento,poidigenovesi,tedeschiefrancesi.Infine,acoronamentodella

loro supremazia sui mari e sul commercio triangolare, gli inglesi si aggiudicarono l’asiento con la pace

di (9) del 1713 e lo mantengono in esclusiva fino al 1750.

4 Scrivi quale significato assumono i seguenti concetti nel Settecento.

1 Vaccino 2 Licenza esclusiva 3 Personalità giuridica 4 Disuguaglianza giuridica 5 Critica della ragione 6 Salotto 7 Fisiocratici 8 Catasto

5 Prova a riflettere sul significato di «progresso» e, alla luce di quello che hai letto nel capitolo, spiega in che cosa consiste. Tale concetto ha sempre avuto una connotazione positiva?

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1 Spiega l’importanza del concetto di Parlamento rappresentativo.2 Perché anche oggi è fondamentale l’esigenza di limiti costituzionali al potere esecutivo?

L’origine dei Parlamenti (detti anche Stati Generali, Stände, Curie, Corts, Cortes, Stamenti) risale al Medioe-vo. In origine erano assemblee che raccoglievano rappresentanti dei ceti nobiliari ed ecclesiastici, cui si aggiun-sero in un secondo tempo gli esponenti della borghesia cittadina. Non erano organi permanenti, ma assemblee che si riunivano periodicamente, anche con intervalli assai lunghi: per esempio gli Stati Generali in Francia, prima della convocazione del 1788 da cui ebbe origine la Rivoluzione, erano stati riuniti solo nel 1614. La funzione dei Parlamenti consisteva nella difesa di interessi e privilegi dalle tendenze assolutiste del potere sovrano. E, in effetti, ne condizionarono l’agire, dato che progressivamente furono investiti delle questioni inerenti le tassazioni e le spese.Il Parlamento apparve in Inghilterra per la prima volta nel corso del XIII secolo, sebbene quello siciliano sia stato uno dei primi ad assumere i caratteri di una vera e propria istituzione, dato che sia la periodicità delle riunioni sia i temi di competenza erano regolati.Il caso inglese è stato alla base dell’evoluzione del Parlamento da istituzioni di rappresentanza dei ceti ai contemporanei organi rappresentativi democratici, a partire dalle vicende che infiammarono il XVII secolo. Dopo la «Gloriosa rivoluzione», nel 1689 Guglielmo d’Orange ne riconobbe la funzione di rappresentante dei diritti dei cittadini, dotato di peculiari prerogative in campo finanziario e militare. Il sovrano si impegnò inoltre a escludere ogni eccezione al rispetto delle deliberazioni del Parlamento. Nel XVIII secolo, con l’emergere della figura del premier, si affermò in Inghilterra anche il principio della dipendenza del governo dalla maggioranza parlamentare.Fu l’Inghilterra, inoltre, a fornire il modello del bicameralismo fondato sulla Camera dei Lords, in cui confluiva-no nobili ed ecclesiastici, e la Camera dei Comuni, costituita dai rappresentanti delle città. All’esperienza della madrepatria inglese si ispirarono i padri costituenti degli Stati Uniti dopo la Rivoluzione del 1776, perfezionando la separazione dei poteri: il bicameralismo fu incentrato sul Congresso e sul Senato, nel quale, secondo la logica di uno Stato federale, confluirono i rappresentanti degli Stati; mentre del potere del sovrano fu rivestito il Presi-dente direttamente eletto. Nel continente europeo fu invece decisiva l’esperienza della Rivoluzione francese con l’abbattimento degli Stati Generali e con l’affermazione del potere costituente dell’Assemblea nazionale. Nulla fu più come prima: se con la Restaurazione seguita a Napoleone la Francia rimase l’unico paese dotato di un’Assemblea rappresentativa, nel corso del XIX secolo i Parlamenti si affermarono progressivamente in tutto il continente come istituzioni rap-presentative sia pure, per un lungo tratto, fondate sul suffragio ristretto ai possidenti.In Italia le istituzioni rappresentative si affermarono con lo Statuto Albertino, il solo sopravvissuto all’ondata rivo-luzionaria del 1848, ed esteso dopo l’unificazione all’intero Stato unitario. Sopravvisse fino alla dittatura fascista.A conclusione della Seconda guerra mondiale, infatti, venne convocata un’Assemblea costituente nella quale i rappresentanti eletti dalle donne e dagli uomini che avevano compiuto i 21 anni stesero la carta costituzionale della Repubblica.

Il termine «Parlamento» deriva dal verbo convocare, chiamare a raccolta e indica una pubblica adunanza: per la prima volta comparve nella Chanson de Roland (XI secolo). Intorno all’anno Mille esistevano Parlamenti nel Nord Europa e nella Sicilia normanna, ma si trattava di assemblee consultive, senza il potere di fare le leggi. Nell’età moderna, a partire dalla «Glorio-sa rivoluzione» inglese e dalla Rivoluzione francese l’istituzione del Parlamento si è modificata sino a diventare il «cuore» dello Stato contemporaneo: oggi con Parlamento si indica l’assemblea (a una o due camere) di carattere rappresentativo e politico mediante la quale il popolo, attraverso i suoi rappresentanti eletti, partecipa all’esercizio del potere per la creazione delle leggi e il controllo del governo.

1. La Gloriosa rivoluzione e il Parlamento

Alberto Tenenti, uno dei maggiori storici dell’età moderna, così sintetizza i risultati conseguiti con la «Gloriosa rivoluzione» del 1688-1689: non solo un’articolazione dei poteri che stabilizzava e rafforzava le prerogative del Parlamento, ma anche i primi vagiti della libertà religiosa, destinata in Inghilterra ad affermarsi pienamente soltanto nel corso del XIX secolo.

2. Il Bill of Rights

Il Bill of Rights del 1689 è un elenco di norme, stabilite dal Parlamento, che Guglielmo D’Orange e sua moglie Maria Stuart giurarono di rispettare prima di ricevere la corona dei regni di Inghilterra e Scozia. Tale documento rappresenta un simbolo di svolta nella mentalità giuridica occidentale. Infatti con esso prese avvio la trasformazione della monarchia inglese da assoluta a costituzionale, che nel corso del Settecento e dell’Ottocento divenne il modello per altri paesi, a cominciare dalla Francia. Durante la cerimonia di incoronazione, che si tenne l’11 aprile 1689, il re e la regina dichiararono di «accettare, ringraziando» quanto gli era stato offerto e così facendo riconobbero il primato del Parlamento.

Essa [la rivoluzione] approdò a due essenziali tappe costituzionali: quel-la della Declaration of Rights, nel febbraio del 1689, e quella del Bill of Rights nell’autunno successivo. La prima creò una monarchia limi-tata, offrendo la corona a Maria e a Guglielmo d’Orange in quanto suo consorte (23 febbraio). Il secondo proclamò l’illegalità del manteni-mento di un esercito stanziale nel regno in tempo di pace senza il con-senso del Parlamento. Contempora-neamente abolì il diritto del sovrano a dispensare dall’applicazione delle leggi senza il consenso delle Camere.

Il Bill of Rights segnò il passaggio ad una monarchia costituzionale (nel senso appropriato all’epoca), facen-do propria la teoria del contratto di John Locke. Esso sancì ufficialmente il diritto alla libertà d’espressione per i membri del Parlamento e costituì un testo enunciante con prudenza idee molto avanzate che lasciavano spazio alla giurisprudenza succes-siva. L’annosa rivalità fra la Corona e gli altri due estates fece posto alla collaborazione dei poteri, riservando al Parlamento la funzione di elemen-to dirigente. Il problema divenne al-lora quello di mantenere la «perfetta

bilancia» che si era voluta instaurare. La teoria del governo «misto» si era imposta a quella della separazione – e del conflitto – dei poteri.Tutta l’operazione si basò su due premesse: che l’autorità legislativa era spartita sempre fra il re, i Lord ed i Comuni, […] il diritto regio di veto venne pure drasticamente circo-scritto. Sempre nel 1689 – il 24 mag-gio – intervenne d’altronde un Atto di Tolleranza. Esso liberò dalle pe-nalità imposte chi non faceva parte della Chiesa anglicana, purché pre-stasse i dovuti giuramenti di fedeltà alla Corona.

I Lords Spirituali e Temporali e i Co-muni […] dichiarano:Che il preteso potere di sospendere le leggi, o l’esecuzione delle leggi, per autorità regia, senza il consenso del Parlamento, è illegale.Che il preteso potere di dispensare dalle leggi, o dall’esecuzione delle leggi, per autorità regia, come è sta-to affermato ed esercitato recente-mente, è illegale […].Che imporre tributi in favore o ad uso della corona, per pretese pre-rogative, senza l’approvazione del Parlamento, per un periodo più lun-go o in altra maniera che lo stesso Parlamento non ha e non avrà con-

cesso, è illegale.Che i sudditi hanno il diritto di pe-tizione al Re ed ogni incriminazio-ne o persecuzione per tali petizioni sono illegali.Che riunire e mantenere nel Regno in tempo di pace un esercito stabi-le, se non vi è il consenso del Parla-mento, è contro la legge […].Che l’elezione dei membri del Par-lamento deve essere libera.Che la libertà di parola e di discus-sione o di stampa in Parlamento non deve essere impedita o conte-stata in nessuna corte o luogo fuori del Parlamento.Ed essi chiedono e domandano con

insistenza l’osservanza di tutti e cia-scuno dei predetti punti come loro indubbi diritti e libertà […]. Piena-mente fiduciosi che Sua Altezza il Principe d’Orange vorrà perfezio-nare l’opera di liberazione da lui ini-ziata e li vorrà preservare dalla vio-lazione dei diritti che essi hanno qui affermato e da ogni altro attentato alla loro religione, ai loro diritti e li-bertà, i detti Lords Spirituali e Tem-porali e i Comuni riuniti a Westmin-ster stabiliscono che Guglielmo e Maria, Principe e Principessa di Orange, sono dichiarati Re e Regina di Inghilterra, Scozia e Irlanda e dei domini ad esse appartenenti.

A. Tenenti, Dalle rivolte alle rivoluzioni, Bologna, Il Mulino, 1997

in F. Gaeta, P. Villani, Documenti e testimonianze, Milano, Principato, 1967

Parlamento

60 © Loescher Editore – Torino 61© Loescher Editore – Torino

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1. La separazione dei poteri secondo Locke

Il filosofo inglese John Locke è considerato uno dei «padri» del pensiero liberale. In particolare nei suoi trattati egli ha analizzato le for-me del potere, criticando l’assolutismo e sostenendo, tra i primi, la necessità della separazione dei poteri. Egli sosteneva che il potere non è e non può essere concentrato nelle mani di un’unica entità, né tanto meno può essere irrevocabile, assoluto e indivisibile.

2. Lo spirito delle leggi

Nel 1748 apparve Lo spirito delle leggi di Montesquieu. È un libro fondamentale della costruzione della modernità. Nell’XI capitolo egli elabora la teoria della separazione dei poteri sulla quale sono costruiti gli ordinamenti delle moderne Costituzioni democratiche.

In che cosa consiste per Locke il po-tere civile o politico, che talvolta egli chiama anche «potere supremo»? Esso è in primo luogo ed essenzial-mente il potere legislativo, il quale è «supremo», non, beninteso, perché illimitato, ma perché superiore al potere esecutivo, detenuto dal re. E infatti i rapporti tra legislativo ed esecutivo completano e concludo-no l’immagine lockiana dello Stato costituzionale. Che, per Locke, legi-slativo ed esecutivo debbano essere separati, non c’è dubbio, poiché al primo spetta il compito di fare le leggi, al secondo di farle eseguire:

si tratta dunque di funzioni netta-mente distinte. Così come non c’è dubbio sul fatto che il potere ese-cutivo deve essere subordinato al potere legislativo. A questo tema Locke dedica un intero capitolo del Secondo Trattato, il XIII, intitolato appunto Della subordinazione dei poteri alla società politica. «In ogni caso – egli dice – sin che il governo sussiste, il potere supremo è il legi-slativo, perché ciò che può dar leggi ad altri deve necessariamente esser-gli superiore». E ancora, a proposito dell’inferiorità dell’esecutivo rispet-to al legislativo: «il potere esecutivo,

quando non sia collocato in una persona che abbia anche parte nel legislativo, è evidentemente subor-dinato e responsabile verso di que-sto, e può essere mutato e trasferito a piacimento». Con queste poche proposizioni, semplici e chiare, Lo-cke ha posto i fondamenti di quella dottrina che costituirà la base di tut-ti i moderni Stati costituzionali. […] Da questa costruzione si ricava che i poteri fondamentali della società politica sono essenzialmente due, il legislativo-giudiziario e l’esecutivo, e che il secondo è nettamente su-bordinato al primo.

Esistono, in ogni Stato, tre sorti di poteri: il potere legislativo, il potere esecutivo delle cose che dipendono dal diritto delle genti, e il potere ese-cutivo di quelle che dipendono dal diritto civile. In base al primo di questi poteri, il principe o il magistrato fa delle leggi per sempre o per qualche tempo, e corregge o abroga quelle esistenti. In base al secondo, fa la pace o la guerra, invia o riceve delle amba-scerie, stabilisce la sicurezza, pre-viene le invasioni. In base, al terzo, punisce i delitti o giudica le liti dei privati. Quest’ultimo potere sarà chiamato il potere giudiziario, e l’al-

tro, semplicemente, potere esecuti-vo dello Stato. La libertà politica, in un cittadino, consiste in quella tran-quillità di spirito che proviene dalla convinzione, che ciascuno ha, della propria sicurezza; e, perché questa libertà esista, bisogna che il gover-no sia organizzato in modo da im-pedire che un cittadino […] possa temere un altro cittadino. Quando nella stessa persona o nello stesso corpo di magistratura il potere le-gislativo è unito al potere esecutivo, non vi è libertà, perché si può teme-re che lo stesso monarca o lo stesso senato facciano leggi tiranniche per attuarle tirannicamente. Non vi è li-

bertà se il potere giudiziario non è separato dal potere legislativo e da quello esecutivo. Se esso fosse unito al potere legislativo, il potere sulla vita e la libertà dei cittadini sarebbe arbitrario, poiché il giudice sarebbe al tempo stesso legislatore. Se fosse unito con il potere esecutivo, il giu-dice potrebbe avere la forza di un oppressore. Tutto sarebbe perduto se la stessa persona, o lo stesso cor-po di grandi, o di nobili, o di popolo, esercitasse questi tre poteri: quello di fare le leggi, quello di eseguire le pubbliche risoluzioni, e quello di giudicare i delitti o le liti dei privati.

A. Andreatta, A.E. Baldini, Il pensiero politico dell’età moderna. Da Machiavelli a Kant, Torino, UTET, 1999

Montesquieu, Lo spirito delle leggi, a cura di S. Cotta, I, Torino, UTET, 1965

Le forme di governo contemporanee hanno origine dalla lotta contro l’assolutismo monarchico. La prima manife-stazione furono i Parlamenti, che si fondavano su un’investitura diversa rispetto a quella del sovrano e avevano il compito di limitarne i poteri. Le realizzazioni della seconda Rivoluzione inglese (1688-1689) furono alla base delle prime teorizzazioni sulla separazione dei poteri: il filosofo inglese John Locke nei Due trattati sul governo (1690) distinse tre poteri: il legislativo, l’esecutivo, il federativo, che riguardava le relazioni internazionali. Nel continente europeo la ripartizione dei poteri, che vedeva affidato alle assemblee rappresentative il compito di elaborare le leggi (potere legislativo), al sovrano e ai suoi ministri la loro esecuzione, e cioè la guida politica dello Stato (potere esecutivo), e a un corpo autonomo di giudici la risoluzione delle controversie sorgenti dalla violazione dell’ordine dettato dalle leggi (potere giudiziario), fu elaborata da Montesquieu. Egli proponeva sia una visione minima, secondo cui le principali funzioni dello Stato non debbono essere assoggettate a un me-desimo organo, sia una visione forte, per la quale ciascuna funzione deve essere esercitata da specifici organi reciprocamente indipendenti. L’attribuzione dei compiti a tre organi distinti dava vita a un bilanciamento dei poteri derivante dalla duplice facoltà di ciascun potere «di statuire e di impedire».La prima compiuta realizzazione della separazione dei poteri si ebbe con la Costituzione degli Stati Uniti d’Ame-rica: sia all’interno dello Stato federale tra legislativo, esecutivo e giudiziario, ma anche tra potere federale e singoli Stati. Anche per la Rivoluzione francese la separazione dei poteri costituiva una rottura con il passato. L’articolo 16 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino (1789) affermava: «Ogni società nella quale non siano garantiti i diritti e non sia stabilita la separazione dei poteri non ha Costituzione». Il costituzionalismo rivoluzionario intese la separazione secondo la visione forte, adottando l’esclusività di ciascun organo nell’esercizio delle funzioni.Nel mondo contemporaneo si è indebolita la visione forte che assolutizza la tripartizione in organi distinti. Si sono affermati nuovi poteri e nuove competenze (il «potere neutro» legato all’attività di controllo del presidente della Repubblica; la possibilità del potere esecutivo di svolgere funzioni legislative con i decreti legge o le leggi delega). Non si è però sopito il principio, o se si vuole, la visione debole della separazione dei poteri, sicché ogni tentativo di concentrazione del potere è vista come un rischio assoluto, anche se, con il moltiplicarsi dei conflitti di interesse, appare un rischio incombente sulle attuali società democratiche.La Costituzione italiana del 1948 si è data un ordinamento parlamentare. La pluralità di organi che concorrono alla formazione dell’indirizzo politico generale era per i costituenti lo strumento con cui realizzare la separazione dei poteri. La costituzione materiale, cioè il quadro effettivo di svolgimento della vita collettiva, ha però condotto negli ultimi decenni a un indebolimento del Parlamento sia per il ricorso sempre più massiccio dei governi, a partire dagli anni Ottanta, all’istituto dei decreti legge, sia in seguito al disfacimento del sistema dei partiti così come si era configurato dopo la Seconda guerra mondiale sia, infine, per il mutamento della legge elettorale. In questo quadro, per contro, si è rafforzato il ruolo e il prestigio del «potere neutro» del presidente della Repubbli-ca, a partire dalla presidenza di Sandro Pertini (1978-1985), proseguito con quelle di Oscar Luigi Scalfaro (1992-1999), di Carlo Azeglio Ciampi (1999-2006) e di Giorgio Napolitano, in carica dal 2006.

L’idea che la divisione del potere tra più soggetti sia un modo efficace per prevenire abusi è presente sin dall’antichità nella cultura occidentale: risale infatti alla Grecia classica, dove il cosiddetto «governo misto» era visto come antidoto alla possibile degenerazione del potere, soprattutto se concentrato nelle mani di una sola persona. Di divisione dei poteri parlano sia Platone nella Repubblica, che Aristotele nella Politica. Nell’età moderna il principio di separazione dei poteri è divenuto uno dei capisaldi dello Stato di diritto, grazie alle riflessioni di Locke e di Montesquieu. Nell’età contemporanea non sono mancate esperienze statali che lo hanno rifiutato, come le dittature totalitarie del fascismo in Italia e del nazismo in Germania e il regime staliniano in Unione Sovietica.

1 Perché è necessaria la separazione dei poteri secondo Montesquieu?2 In democrazia su quali poteri il popolo esercita un controllo?

Separazione dei poteri

62 © Loescher Editore – Torino 63© Loescher Editore – Torino

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Testimonianze Testimonianze

Documento 1 Nei «dibattiti di Putney» si giunge a sostenere il diritto al suffragio universale per garantire a tutti la piena partecipazione politica (capitolo 1)

Tra l’ottobre e il novembre 1647 l’esercito di Cromwell era sul punto di piegare definitivamente la resistenza dei monarchici. Nei dibattiti di Putney (un sobborgo di Londra) si discuteva dunque il futuro assetto dello Stato inglese. Tra i sostenitori del suffragio universale spicca il contributo di uomini come Rainborough; esponenti più moderati, come Ireton, volevano invece limitare i diritti politici a chi possedeva delle proprietà e quindi partecipava agli «interessi» del paese.

Documento 4 Il giudizio paternalistico del granduca Pietro Leopoldo sui fiorentini (capitolo 2)

Leopoldo II d’Asburgo-Lorena fu granduca di Toscana con il nome di Pietro Leopoldo dal 1765 al 1790. In questa pagina il granduca presenta le classi della società fiorentina dandone giudizi sintetici ed efficaci. Appare chiara la sua diffidenza verso la nobiltà e la propensione ad appoggiarsi ai ceti produttivi per l’applicazione delle riforme che anche la Toscana conobbe al tempo del dispotismo illuminato. Assai evidenti sono pure gli intenti paternalistici di Pietro Leopoldo, viennese, proiettato in Italia dagli accordi dinastici: sapeva e sentiva che il suo compito era migliorare le condizioni del regno affidatogli da Dio.

Documento 2 Di fronte all’ostilità delle autorità della Chiesa alle sue ricerche, Galileo afferma che scienza e religione sono fonti di verità su due piani distinti (capitolo 1)

In una lettera a un discepolo del 1613, Galileo afferma e difende l’autonomia della scienza dalle ingerenze delle autorità religiose. Galileo sostiene l’esistenza di due fonti della verità: la Rivelazione di Dio e «il gran libro della Natura». Un eventuale contrasto non potrebbe che essere apparente, e per rimuoverlo sarebbe sufficiente interpretare meglio la Scrittura, per scoprire che essa, in realtà, non contraddice le scoperte scientifiche. La Scrittura, infatti, per far comprendere le verità di Dio usa linguaggi diversi, metafore, paragoni mai precisi come devono invece essere le leggi della natura.

V. Gabrieli (a cura di), I dibattiti di Putney, in Puritanesimo e libertà. Dibattiti e libelli, Torino, Einaudi, 1956

RAINBOROUGH: Io penso veramen-te che l’essere più povero che vi sia in Inghilterra ha una vita da vivere quanto il più grande e perciò, signo-re, credo sia chiaro che ogni uomo il quale ha da vivere sotto un governo debba prima col suo consenso ac-cettare quel governo; e ritengo che l’uomo più povero in Inghilterra non sia affatto tenuto a rigore a obbedire a quel governo che egli non ha avuto alcuna voce nel creare […].

IRETON: […] Parliamo di diritto inna-to, ma in base a esso possiamo recla-mare solo queste cose: gli uomini che sono nati in Inghilterra godono dalla nascita il giusto diritto di non essere

allontanati dall’Inghilterra, di non vedersi negata l’aria o la residenza, e il libero uso delle strade o altre cose, di vivere fra noi […]. Ma che per il fatto di essere nato qui un uomo debba partecipare a quel potere che dispone delle terre e d’ogni cosa in questo paese, non mi sembra vi sia motivo sufficiente per affermarlo. […] coloro che scelgono i rappresen-tanti per fare le leggi da cui hanno da essere governati questo stato e questo paese, son le persone che, nel loro insieme, comprendono gli in-teressi propri di questo regno; cioè, le persone nelle cui mani è tutta la terra, e i membri delle corporazioni,

che hanno nelle loro mani tutto il commercio. […]

RAINBOROUGH: […] Non trovo nessun passo della Legge di Dio che affermi che un Lord debba scegliere venti deputati e un gentiluomo sol-tanto due, e un povero nessuno; non trovo nulla di simile nella Legge di Natura né nella Legge delle Nazioni. Ma trovo che tutti gli inglesi devono essere soggetti alle leggi inglesi, e cre-do sinceramente non vi sia persona che neghi che il fondamento di ogni legge risiede nel popolo e, se risiede nel popolo, bisogna che qualcuno sia responsabile della sua esclusione dal voto […].

In Firenze la nobiltà è estremamente ignorante […], unicamente occupata dell’ozio, senza cultura né istruzione e generalmente con poco o punto di onore […]. Disuniti fra loro in appa-renza, fanno corpo assieme per di-sprezzare ed opprimere gli altri ceti […]. È dunque massima essenziale […] di non impiegare mai in impie-ghi, specialmente superiori ed in Fi-renze, gentiluomini fiorentini, perché troppo facili a farsi dei partiti […].Il secondo ceto, che comprende i cittadini, dottori e procuratori, è il più coltivato, il più istruito e meglio educato. Da questa classe si ricava la maggiore e più utile parte degl’im-

piegati […]. Non fanno mai corpo fra di loro come la nobiltà, non hanno alcun disprezzo del governo e sono nemici giurati della nobiltà a causa delle sue prepotenze […].Il ceto dei così detti mercanti è com-posto di pochi banchieri, i quali sono tutti gente di garbo ed esattissimi […] ma unicamente occupati del loro pri-vato e particolare interesse […].I preti in Firenze sono […] per la mag-gior parte preti ignorantissimi, por-tati all’interesse, di cattivi costumi, maldicenti per professione […], dedi-ti all’ozio ed al giuoco, poco religiosi e di cattivo esempio ai secolari […].In genere il popolo è poco dedito alle

ubriachezze, al giuoco ed alle risse, è piuttosto devoto, obbedientissimo a qualunque intenzione ed ordine del governo, docilissimo, di talento naturale e vivo, mai portato a far del rumore quando non vi è con malizia eccitato. I difetti maggiori del mede-simo sono di esser portato a lavorar poco, ad essere poco industrioso ed amante dei divertimenti e dell’ozio, di non essere economo […].Il popolo in campagna generalmente è dolce di carattere, rispettosissimo ed obbedientissimo verso il governo ed i superiori […], devoto, molto in-dustrioso e laborioso.

G. Galilei, Opere, Torino, UTET, 2005

Stante, dunque, che la Scrittura in molti luoghi è non solamente capa-ce [adatta, disposta], ma necessa-riamente bisognosa d’esposizioni [spiegazioni, interpretazioni] diverse dall’apparente significato delle paro-le, mi par che nelle dispute naturali ella dovrebbe esser riserbata nell’ulti-mo luogo [in ultima istanza]; perché, procedendo di pari dal Verbo divino la Scrittura Sacra e la natura, quella come dettatura dello Spirito Santo, e questa come osservantissima esecu-trice degli ordini di Dio; ed essendo, di più, convenuto nelle Scritture, per ac-comodarsi all’intendimento dell’uni-

versale [per far conoscere verità pro-fonde e riguardanti la natura di Dio], dir molte cose diverse, in aspetto e quanto al significato delle parole, dal vero assoluto; ma, all’incontro [vice-versa], essendo la natura inesorabile e immutabile e nulla curante che le sue recondite ragioni e modi d’operare sieno o non sieno esposti alla capacità degli uomini, per lo che ella non tra-sgredisce mai i termini delle leggi im-postegli; pare che quello de gli effetti naturali che o la sensata esperienza ci pone innanzi a li occhi o le necessa-rie dimostrazioni ci concludono, non debba in conto alcuno esser revoca-

to in dubbio per luoghi [passi] della Scrittura ch’avesser nelle parole diver-so sembiante, poi che non ogni detto della Scrittura è legato a obblighi così severi com’ogni effetto di natura.[…] Stante questo, ed essendo di più manifesto che due verità non posso-no mai contrariarsi, è ofizio [compito] de’ saggi espositori affaticarsi per tro-vare i veri sensi de’ luoghi sacri [delle pagine della Scrittura], concordanti con quelle conclusioni naturali delle quali prima il senso manifesto o le di-mostrazioni necessarie ci avesser resi certi e sicuri.

Documento 3 Rousseau e la sua analisi della nascita della disuguaglianza tra gli uomini (capitolo 2)

Jean-Jacques Rousseau ispirò le proprie opere a una costante critica della società in cui viveva e contrappose alle tradizioni e alle istituzioni la natura, esaltando la spontaneità e l’istinto dell’uomo. Un approccio chiaro anche in questo brano: alla radice delle ingiu-stizie sociali sarebbe stata l’introduzione della proprietà privata, proprio uno di quei diritti naturali su cui molti dei suoi contemporanei fondavano la libertà individuale e l’avanzamento della civiltà umana.

Il primo che, avendo cintato un terre-no, pensò di dire «questo è mio» e tro-vò delle persone abbastanza stupide da credergli fu il vero fondatore della società civile. Quanti delitti, quan-te guerre, quanti assassinii, quante miserie ed errori avrebbe risparmia-to al genere umano chi, strappando i pioli o colmando il fossato, avesse gridato ai suoi simili: «Guardatevi dal dare ascolto a questo impostore! Se dimenticate che i frutti sono di tutti e la terra non è di nessuno, siete per-duti!» […]Finché gli uomini si accontentarono delle loro rustiche capanne, finché si limitarono a cucire i loro abiti di pelli

con spine […] ad adornarsi con piu-me o conchiglie, a dipingersi il corpo con diversi colori, a perfezionare o ad abbellire i loro archi e le loro frecce, a tagliare con pietre affilate qualche canotto da pescatore o qualche gros-solano strumento musicale – insom-ma, finché non si applicarono che ad opere che uno solo poteva compiere e ad arti che non avevano bisogno del concorso di parecchie mani – essi vissero liberi, sani, buoni e felici quanto potevano esserlo per natura, e continuarono a godere fra loro del-le dolcezze di rapporti indipendenti: ma dal momento che un uomo ebbe bisogno dell’aiuto di un altro, dal

momento che era utile ad uno solo di avere provviste per due, da quel momento l’uguaglianza disparve, s’introdusse la proprietà, il lavoro di-venne necessario e le vaste foreste si cambiarono in ridenti campagne che bisognò innaffiare col sudore degli uomini e nelle quali presto si videro germogliare e crescere con le messi la schiavitù e la miseria.La metallurgia e l’agricoltura furono le due arti la cui invenzione produs-se questa grande rivoluzione. Per il poeta sono l’oro e l’argento, ma per il filosofo sono il ferro e il grano che hanno incivilito gli uomini e perduto il genere umano.

J.-J. Rousseau, Discorso sull’origine e i fondamenti dell’ineguaglianza tra gli uomini, Torino, Einaudi, 2006

G. Turi, Recensione a: Pietro Leopoldo d’Asburgo Lorena, Relazioni sul governo della Toscana, Firenze, Olschki, 1969

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Interpretazioni Interpretazioni

La crescente consapevolezza del ruolo del Parlamento inglese (capitolo 1)

Secondo lo storico inglese Lawrence Stone, fin dalle prime fasi dello scontro con la monarchia il Parlamento assunse un ruolo centra-le nella vita politica dell’Inghilterra. Da quel periodo in poi l’Assemblea, e in particolare la Camera dei Comuni, continuò a far crescere il proprio senso di responsabilità e a chiedere di poter intervenire nella conduzione politica del regno.

Gli intellettuali illuministi di Milano sperano nel rinnovamento dell’economia e dell’amministrazione austriaca (capitolo 2)

In un’opera dedicata ai rapporti tra Milano e il potere centrale dell’Impero, lo storico Ugo Petronio sottolinea la vivacità dei sostenitori milanesi del riformismo illuminato austriaco. La stagione voluta da Maria Teresa e da Giuseppe II faceva intravedere a uomini come Pietro Verri e Cesare Beccaria la possibilità di una migliore amministrazione anche dei domini italiani e l’apertura alle richieste della borghesia più intraprendente.

Un mondo in movimento cerca di trasformare a sua immagine le istituzioni politiche che lo devono guidare (capitolo 1)

Gli elementi in gioco nella Rivoluzione inglese furono molteplici: tensioni sociali, contrasti religiosi frammisti alla volontà di afferma-zione delle nuove classi, progresso del capitalismo e aspirazione alla modernizzazione dello Stato. L’analisi di Christopher Hill tocca i diversi aspetti di un evento storico di tale portata e individua comunque nel dinamismo della classe borghese il movente centrale della Rivoluzione.

La Rivoluzione inglese del 1640-1660 fu un grande movimento sociale […]. La guerra civile fu una guerra di clas-se […]. Il Parlamento sconfisse il re perché poté fare appello all’entusia-stico appoggio delle classi mercantili e industriali delle città e delle cam-pagne, ai piccoli proprietari coltiva-tori diretti (yeomen), alla borghesia agricola progressista ed alle più lar-ghe masse popolari […].La spiegazione più comune della Rivoluzione del XVII secolo è an-cora quella avanzata nel 1640 […]. Secondo questa interpretazione, gli eserciti del Parlamento avrebbero lottato per la libertà individuale dei

cittadini e per i loro diritti garantiti dalla legge, contro un governo tiran-nico che li cacciava in prigione senza regolare processo, li tassava senza il suo consenso, acquartierava soldati nelle loro case, li derubava delle loro proprietà e tentava di distruggere le loro venerate istituzioni parlamen-tari. […]Un’altra scuola storica […] sostiene che la politica del re non fu affatto tirannica […]. Ora è vero che la Rivo-luzione inglese […] fu una lotta per il potere […] intrapresa dalla classe media inglese, la borghesia, che cre-sceva in ricchezza e in forza con lo sviluppo del capitalismo, ma non è

vero che il governo […] contrappo-nendosi ad essa, si battesse per gli interessi del popolo. […]Una terza […] teoria [sostiene] che il conflitto tendeva a decidere quale delle due religioni, il Puritanesimo o l’Anglicanesimo, avrebbe dovuto do-minare in Inghilterra. […] Certamen-te le controversie religiose riempio-no molte pagine dei libelli del XVII secolo […] ma il termine «religione» era allora molto più vasto di quanto non lo sia oggi. […]. La Chiesa, allo-ra, difendeva l’ordine costituito […], chi voleva rovesciare lo Stato feudale doveva attaccare la Chiesa e cercare di impadronirsene. […]

Da una situazione in cui chiedeva-no di poter parlare francamente dei problemi che venivano loro proposti senza paura di un castigo, si passò alla richiesta del diritto di iniziare da sé le discussioni e di influenzare le scelte politiche su qualunque que-stione loro piacesse. […]Concedendo che l’ascolto delle pro-prie lagnanze precedesse l’approva-zione degli stanziamenti si sarebbe data in mano al Parlamento una leva di pressione decisiva su ogni governo che non potesse vivere delle proprie rendite ereditarie. Il governo era co-stretto, proprio per questo motivo, a cambiare la sua politica o a ricorrere

ad altri metodi non parlamentari per raccogliere denaro. […]A partire dal 1620 circa le dispute tra la Corona e la Camera dei Comuni erano passate dai problemi concre-ti della successione al trono o della modifica del libro di preghiera su cui vertevano tra il 1560 e il 1570, alla di-scussione di problemi fondamentali sul diritto di veto ai ministri regi, la libertà di parola, il consenso alle im-poste e l’abolizione dell’arresto arbi-trario. […]La trasformazione vera e propria del-la crisi politica in crisi costituziona-le non iniziò che nel 1621, ma negli otto anni successivi i Comuni agi-

rono con straordinaria rapidità per mutare l’equilibrio costituzionale. Erano esasperati dalla politica estera filospagnola, da una politica militare disperatamente inetta, dal caos delle finanze pubbliche, dalla corruzione e dal nepotismo senza limiti e dal-lo strapotente monopolio dei favori esercitato dal duca di Buckingham. Di conseguenza l’opposizione parla-mentare fu indotta ad avanzare pre-tese senza precedenti su una fetta del potere esecutivo. Giacomo e Carlo avevano ben ragione a essere allar-mati per la rapida erosione della loro autorità […].

Per la gran parte, queste idee [cioè i progetti di riforma in senso liberista dell’economia austriaca] erano con-divise anche dai giovani patrizi lom-bardi, che si avviavano alla carriera politica e che cominciavano ad affol-lare le nuove magistrature […]. Questi giovani, imbevuti di idee nuove e in polemica costante e spesso aspra con tutte le istituzioni tradizionali che tro-vavano sul loro cammino […], cerca-vano una indipendenza dalle pastoie del vecchio […] attraverso ribellioni che assumevano aspetti diversi secon-do l’indole di ciascuno – sentimentali per Beccaria, culturali e politiche per

Pietro Verri, di comoda evasione per il fratello Alessandro […].Questi giovani impegnati, sotto lo stimolo di Pietro Verri che era il più dotato e il più impegnato di tutti, si erano raccolti in un gruppo e avevano realizzato un periodico, il «Caffè», che era nato fin dall’inizio come un «gior-nale di lotta» […], ma combattendo contemporaneamente un assetto eco-nomico incentrato sul protezionismo e – quel che è peggio – sulla conserva-zione dei patrimoni a discapito della circolazione dei beni […]; enuncian-do il loro credo politico, divulgando le conquiste o i principi della scienza

e dileggiando i pedanti e i cultori del passato.Critici moderati del dispotismo, sia perché «non avevano l’impressione di vivere essi stessi sotto un regime di-spotico», sia perché intimamente con-vinti, almeno alcuni, che le «unioni di più uomini non sono e non saranno mai un mezzo per formare una riforma ragionevole e lodevole» […] i giovani patrizi avevano sposato decisamente la causa delle riforme e si davano d’in-torno con l’arma a loro più congeniale della saggistica ma talvolta anche con l’azione politica di ogni giorno, a trac-ciare la strada da seguire in futuro.

L. Stone, Le cause della rivoluzione inglese, 1529-1642, Torino, Einaudi, 2001U. Petronio, Il Senato di Milano. Istituzioni politiche ed esercizio del potere nel ducato di Milano da Carlo V a Giuseppe II, Milano, Giuffré, 1972

Ch. Hill, La rivoluzione inglese, in Saggi sulla rivoluzione inglese del 1640, Feltrinelli, Milano, 1977

L’Italia del Settecento e gli impulsi che le provengono dalle pratiche politiche che si vanno diffondendo in Europa e dai contatti con l’economia del continente (capitolo 2)

La ripresa dei contatti tra l’economia italiana e il generale sviluppo europeo, dopo la lunga stagnazione del Seicento, è uno degli elementi del quadro della situazione della nostra penisola messi in rilievo da Giuliano Procacci. Finiva un’epoca di isolamento e ripre-sero i commerci, ai quali l’Italia poteva partecipare con quanto aveva: i prodotti della sua agricoltura in costante ammodernamento. Questo processo fu favorito dall’opera di alcuni dei nuovi sovrani italiani, imposti dall’estero ma proprio per questo intenzionati a riformare per quanto possibile le amministrazioni e le istituzioni economiche.

Le nuove dinastie che si insediaro-no sui troni di Firenze, di Napoli e di Parma erano sì straniere ai paesi loro assegnati, ma proprio per questo assai più europee e meno provinciali delle vecchie casate indigene […]. E non è un caso che gli Stati italiani che pre-sentano nel corso del secolo un qua-dro di maggiore animazione e vitalità furono proprio quelli […] governati dalle nuove dinastie straniere […].Ma non si trattava soltanto per l’Italia settecentesca di un maggior inseri-mento politico nell’Europa […], ma anche di un’integrazione economica in un mercato percorso dalle grandi correnti del commercio dell’epoca

[…].Il settore dell’economia e della società italiane che si trovò più direttamente investito dalle conseguenze dell’inse-rimento dell’Italia nel mercato euro-peo fu senza dubbio quello dell’agri-coltura […]. Ciò che l’Europa del secolo XVIII chiedeva all’Italia erano prodotti agricoli necessari per nutrire la sua popolazione sempre crescente e le materie prime necessarie per ali-mentare le proprie manifatture.L’Italia fornì gli uni e le altre. La seta greggia innanzitutto: buona parte della materia prima impiegata nelle fiorenti tessiture di Lione proveniva dal Piemonte e dalla Lombardia. […]

Un notevolissimo incremento […] co-nobbe invece l’esportazione dell’olio. […] Altre voci del commercio di espor-tazione degli Stati italiani erano, negli anni in cui il raccolto era stato abbon-dante, il grano e il vino. […]Come nel resto d’Europa, anche in Ita-lia il movimento della popolazione è nel corso del secolo XVIII nettamente ascendente […]. Le campagne benefi-ciarono nel complesso in misura mag-giore che le città di questo incremento e […] nella storia demografica di un paese fortemente urbanizzato come l’Italia ciò rappresentava una sinto-matica inversione di tendenza.

G. Procacci, Storia degli italiani, Bari, Laterza, 2003

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1 Partendo dalla seguente lista «disordinata» di idee, scrivi un breve testo sulla Rivoluzione scientifica avvenuta nel Seicento (capitolo 1).

• studio delle opere antiche

• autorità della Bibbia

• metodo scientifico sperimentale

• relazione di causa-effetto

• nuove scoperte tecniche e scientifiche

• nascita delle Accademie scientifiche

• reazione della Chiesa

• verità della fede e verità della scienza

• il «caso Galileo»

• razionalismo cartesiano

3 Costruisci una mappa concettuale sulla divisione sociale tipica dell’Ancien régime in Francia e in Inghilterra (capitolo 2).

4 Facendo riferimento alla traccia fornita qui di seguito, prepara una breve esposizione sugli ideali dell’Illuminismo (capitolo 2), che potrai poi esporre oralmente.

Umanesimo e Rinascimento à Esaltazione delle facoltà umane

Metodo scientifico di Galileo Galilei e Isaac Newton à Esperienza e razionalità à Fonte di conoscenza e di giudizio sulla realtà

Fede à Centralità della ragione à Criterio per lo studio della natura e dell’uomo

Critica autoritarismo dei sovraniTeoria contrattualista di John Locke à Volontà divina à Accordo tra le parti

Critica autoritarismo della Chiesa Fanatismo religioso à Religione naturale à Tolleranza à Voltaire

Dogmatismo à Idee e confronto

Minoranza di studiosi à Divulgazione delle conoscenze à Importanza dell’istruzione scolastica, Encyclopédie, libri, giornali, dibattiti pubblici, conferenze

Condivisione delle conoscenze

Riflessione teorica à Ricerca scientifica à Miglioramento della tecnica à Incremento del benessere dell’umanità

Riflessione politicaBuon governo à Benessere di tutti i cittadini à Gerarchie e privilegi à Uguaglianza tra tutti i membri dell’umanità à Partecipazione politica à Nuove forme di governo:

• Montesquieu à Divisione dei poteri à Stato costituzionale

• Rousseau à Volontà generale e sovranità popolare à Democrazia diretta

Riflessione economicaFisiocratici à Produzione agricola come fonte di ricchezza à Libera circolazione à Liberismo à «Mano invisibile»

Progresso e ottimismo à Nuova visione di società e politica à Felicità e pace universale

2 Segna con una crocetta le risposte corrette.

1 Durante il suo regno (1603-1625), che cosa fece Giacomo I Stuart? a Ottenne l’appoggio della Camera dei Comuni.b Limitò le convocazioni del Parlamento.c Assunse posizioni favorevoli alla Spagna.d Intraprese una politica di espansione coloniale.e Impose l’obbligo dell’obbedienza alla Chiesa anglicana.f Pose fine alle persecuzioni religiose.

2 Durante la guerra civile inglese del 1642, chi si schierò a fianco del re?a La gerarchia anglicana.b I cattolici ostili al partito puritano.c I puritani.d I cavalieri.e La media e alta borghesia cittadina.f Una piccola minoranza dei grandi nobili.

3 Che cosa accadde dopo la morte di Carlo I Stuart?a Venne abolita la Camera dei Lords.b Fu proclamato il Commonwealth.c Cromwell assunse la carica di «Lord Protettore».d L’Irlanda e la Scozia furono dichiarate indipendenti. e L’Olanda fu posta sotto il dominio inglese.f Fu abolito l’«Atto di navigazione».

4 Che cosa accadde dopo l’incoronazione di Guglielmo III nel 1689? a Venne abolito il Bill of Rights.b I poteri del re furono limitati dal Parlamento.c Il re poteva soltanto approvare le leggi, non formularle.d Le amministrazioni locali furono poste sotto il controllo

del re.e Lo Stato divenne una monarchia costituzionale.f Lo Stato divenne una monarchia parlamentare.

5 Quali erano le caratteristiche della Repubblica d’Olanda nel XVII secolo? a Era una monarchia parlamentare su modello inglese.b Era suddivisa in diverse province autonome. c In ciascuna provincia vigeva un regime assolutista.d Era una società tollerante al pluralismo religioso.e L’industria tessile conobbe un periodo di sviluppo

fiorente. f L’agricoltura rimase arretrata.

6 Quali furono le potenze europee protagoniste della seconda fase della colonizzazione? a La Spagna.b Il Portogallo. c La Francia.d L’Olanda.e La Germania. f L’Inghilterra.

7 Quali di questi territori erano colonie francesi?a Québec e Montréal.b Antille.c Regione dei Grandi Laghi.d Bacino del Mississippi.e India.f Birmania.

8 Che cosa prevedevano le politiche mercantilistiche adottate dalle potenze economiche emergenti?a Massimo sostegno ai prodotti dell’agricoltura e delle

industrie.b Massimo sviluppo delle attività commerciali.c Imposizione di dazi alle merci straniere.d Blocco delle esportazioni.e Blocco delle importazioni.f Libero scambio delle merci da un paese all’altro.

Unità 1 • L’Europa tra Seicento e Settecento

Verso la Prima prova: tema di argomento storico

Verso la Terza prova: quesiti a risposta multipla

Verso il Colloquio orale: preparazione dell’argomento a scelta

Verso il Colloquio orale: guida all’esposizione orale

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