D. L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) c Vito ......anni fa, il testo di Cal-vino sulla...

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scoprendo pensando meditando dicembre 2009 anno V Bisogna che il fine sia onesto. Grande. Il fine giusto è dedicarsi al prossimo. E in questo secolo come lei vuole amare se non con la politica o col sindacato o con la scuola? Siamo sovrani. Non è più il tempo delle elemosine, ma delle scelte. www.cercasiunfine.it periodico di cultura e politica pesi e piume vite appesantite di Roberto Oliveri del Castillo uando lessi, diversi anni fa, il testo di Cal- vino sulla leggerezza – la prima delle Lezioni americane – mi affascinò molto: prima di tutto la sua prosa (una delle più alte della letteratura italiana) ma anche il suo contenuto. Tuttavia, ad essere onesto, lo ritenni un te- sto di grande stimolo intellettua- le, ma, all’epoca, forse per la mia giovane età, non riuscii a coglie- re il suo valore per la vita di ogni giorno. Il testo l’ho compreso con il passar degli anni, specie quando ho preso coscienza che la vita si può condurre solo se ab- biamo in tasca una moneta deci- siva: che ha, su una faccia, la leg- gerezza e, sull’altra, l’umorismo. “Come la melanconia – scrive Calvino – è la tristezza diventata leggera, così lo humour è il comi- co che ha perso la pesantezza corporea”. L’affermazione contie- ne implicitamente la convinzione che non può esistere vita senza tristezza e pesantezza. E chi lo negherebbe? Il problema è se è possibile alleggerire i pesi che la vita ci fa incontrare, sia quelli che ci procuriamo noi, sia quelli che ci provengono dagli altri. È pos- sibile portare i pesi gli uni degli altri, come dice Paolo (Gal 6)? O ci riferiamo ad un puro esercizio intellettuale che non intacca mi- nimante la vita interiore, familia- re, professionale, comunitaria, politica? Siamo condannati, an- che con il passare degli anni e l’aggravarsi di uno stato di crisi generale (pensiamo all’Italia, tan- to per non andar lontani), alla pe- santezza più triste? Per essere leggeri e alleggerire quanto è pesante attorno a noi, bisogna iniziare a credere che “la leggerezza è un valore anziché un difetto”, come scrive Calvino. Viviamo immersi spesso in conte- sti che nascondono le loro fragi- lità o carenze strutturali ed etiche ricoprendosi di stucchevoli gra- vosità. Siamo sommersi da paro- le, carte, progetti e analisi così pesanti che fanno un cattivo ser- vizio alla vita, alla cultura e all’or- ganizzazione della nostra vita. Essere leggeri vuol dire aver ben chiaro dove è il senso, la sostan- za, il cuore della nostra vita pro- fonda come delle nostre attività e avvicinarsi ad esso senza appe- santirsi o appesantire gli altri. Dedichiamo questo numero a Gianni Rodari, uno scrittore, un partigiano che ricercava, leggeva, amava la musica e aspirava ad una vita piena. Nella sua vita è stato capace di molte virate e for- se per questo è stato capace di parlare con leggerezza a tutti, piccoli e grandi. E chi scopre, come Rodari, la leg- gerezza di persone ed eventi vi- ve meglio ed è capace di guarda- re il tutto con un distacco sereno, con quell’umorismo che è forza per andare avanti. So bene che le obiezioni di colo- ro che sono pesanti, per natura o condizione, sarebbero tante e molto di esse miranti a sottolinia- re come non è popossibile esse- re leggeri quando si hanno grat- tacapi, problemi seri, in famiglia o sul lavoro, quando alcune rela- zioni sono in crisi e così via. Oserei dire che non solo che è possibile, ma, anzi, è proprio in quei momenti che diamo prova della nostra capacità di slancio intellettuale, emotivo, relaziona- le. Del resto sarebbe troppo faci- le essere leggeri quando tutto va bene. La leggerezza è un dono che si conquista anche con lacri- me e sudore; esige che rifaccia- mo l’elenco delle nostre priorità continuamente e impone che non ci sentiamo mai arrivati. Ha ragione Rodari: la leggerezza è saper mettere gli accenti al po- sto giusto. Una volta un accento per distrazione cascò sulla città di Como mutandola in comò. Figuratevi i cittadini Comaschi, poveretti: detto e fatto si trovarono rinchiusi nei cassetti. Per fortuna uno scolaro rilesse il componimento e liberò i prigionieri cancellando l'accento. Ora ai giardini pubblici han dedicato un busto "A colui che sa mettere gli accenti al posto giusto". q di Rocco D’Ambrosio ercasiun fine i ragazzi di don Lorenzo Milani Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale D. L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DRT BARI Gianni Rodari (1920-1980), docente, giornalista, educatore di piccoli, membro della Resistenza, testimone di pace, saggezza e serena leggerezza di vita. n. 45 sulla leggerezza di Antonietta Potente, Adelina Bartolomei, Federica Spinozzi Balducci Alejandro De Marzo Franco Ferrara Barbara Alberti Luigi Ancona senza pesi di Pasquale Bonasora Anna Cutrone Eugenio Scardaccione Emanuele Carrieri Gianluca Demilito Nunzio Lillo Vito Savino c

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  • scoprendopensandomeditandodicembre 2009 • anno V

    Bisogna che il fine sia onesto. Grande. Il fine giusto è dedicarsi al prossimo. E in questosecolo come lei vuole amare se non con la politica o col sindacato o con la scuola? Siamosovrani. Non è più il tempo delle elemosine, ma delle scelte.

    www.cercasiunfine.itperiodico di cultura e politica

    pesie piume

    viteappesantitedi Roberto Oliveri delCastillo

    uando lessi, diversianni fa, il testo di Cal-vino sulla leggerezza –

    la prima delle Lezioni americane– mi affascinò molto: prima ditutto la sua prosa (una delle piùalte della letteratura italiana) maanche il suo contenuto. Tuttavia,ad essere onesto, lo ritenni un te-sto di grande stimolo intellettua-le, ma, all’epoca, forse per la miagiovane età, non riuscii a coglie-re il suo valore per la vita di ognigiorno. Il testo l’ho compresocon il passar degli anni, speciequando ho preso coscienza chela vita si può condurre solo se ab-biamo in tasca una moneta deci-siva: che ha, su una faccia, la leg-gerezza e, sull’altra, l’umorismo.“Come la melanconia – scriveCalvino – è la tristezza diventataleggera, così lo humour è il comi-co che ha perso la pesantezzacorporea”. L’affermazione contie-ne implicitamente la convinzioneche non può esistere vita senzatristezza e pesantezza. E chi lonegherebbe? Il problema è se èpossibile alleggerire i pesi che lavita ci fa incontrare, sia quelli checi procuriamo noi, sia quelli checi provengono dagli altri. È pos-sibile portare i pesi gli uni deglialtri, come dice Paolo (Gal 6)? Oci riferiamo ad un puro eserciziointellettuale che non intacca mi-nimante la vita interiore, familia-re, professionale, comunitaria,politica? Siamo condannati, an-che con il passare degli anni e

    l’aggravarsi di uno stato di crisigenerale (pensiamo all’Italia, tan-to per non andar lontani), alla pe-santezza più triste?Per essere leggeri e alleggerirequanto è pesante attorno a noi,bisogna iniziare a credere che “laleggerezza è un valore anzichéun difetto”, come scrive Calvino.Viviamo immersi spesso in conte-sti che nascondono le loro fragi-lità o carenze strutturali ed etichericoprendosi di stucchevoli gra-vosità. Siamo sommersi da paro-le, carte, progetti e analisi cosìpesanti che fanno un cattivo ser-vizio alla vita, alla cultura e all’or-ganizzazione della nostra vita.Essere leggeri vuol dire aver benchiaro dove è il senso, la sostan-za, il cuore della nostra vita pro-fonda come delle nostre attività eavvicinarsi ad esso senza appe-santirsi o appesantire gli altri. Dedichiamo questo numero aGianni Rodari, uno scrittore, unpartigiano che ricercava, leggeva,amava la musica e aspirava aduna vita piena. Nella sua vita èstato capace di molte virate e for-se per questo è stato capace diparlare con leggerezza a tutti,piccoli e grandi.E chi scopre, come Rodari, la leg-gerezza di persone ed eventi vi-ve meglio ed è capace di guarda-re il tutto con un distacco sereno,con quell’umorismo che è forzaper andare avanti.So bene che le obiezioni di colo-ro che sono pesanti, per natura o

    condizione, sarebbero tante emolto di esse miranti a sottolinia-re come non è popossibile esse-re leggeri quando si hanno grat-tacapi, problemi seri, in famigliao sul lavoro, quando alcune rela-zioni sono in crisi e così via. Oserei dire che non solo che èpossibile, ma, anzi, è proprio inquei momenti che diamo provadella nostra capacità di slanciointellettuale, emotivo, relaziona-le. Del resto sarebbe troppo faci-le essere leggeri quando tutto vabene. La leggerezza è un donoche si conquista anche con lacri-me e sudore; esige che rifaccia-mo l’elenco delle nostre prioritàcontinuamente e impone chenon ci sentiamo mai arrivati.

    Ha ragione Rodari: la leggerezzaè saper mettere gli accenti al po-sto giusto.

    Una volta un accentoper distrazione cascòsulla città di Comomutandola in comò.Figuratevi i cittadiniComaschi, poveretti:detto e fatto si trovaronorinchiusi nei cassetti.Per fortuna uno scolarorilesse il componimentoe liberò i prigioniericancellando l'accento.Ora ai giardini pubblicihan dedicato un busto"A colui che sa mettere gli accenti al posto giusto".

    q ‘‘di Rocco D’Ambrosio‘‘ercasiunfine

    i ragazzi di don Lorenzo Milani

    Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postaleD. L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46)

    art. 1, comma 2, DRT BARI

    Gianni Rodari (1920-1980),docente, giornalista,educatore di piccoli,

    membro della Resistenza,testimone di pace, saggezza e

    serena leggerezza di vita.

    n. 45sullaleggerezzadi Antonietta Potente,Adelina Bartolomei,Federica Spinozzi BalducciAlejandro De MarzoFranco FerraraBarbara AlbertiLuigi Ancona

    senzapesidi Pasquale BonasoraAnna CutroneEugenio ScardaccioneEmanuele CarrieriGianluca DemilitoNunzio LilloVito Savino

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  • 2 meditando di Antonietta Potente

    on posso dimenticare cheparlare di leggerezza non è

    così semplice, soprattutto guar-dando la realtà quotidiana dimolti popoli e di molti individui.Ci sono persone che camminanosotto il peso della fatica e, di persé, quando si parla di qualcosa dimolto complesso e difficile da vi-vere, il termine che usiamo èl’esatto contrario della leggerez-za: parliamo infatti di peso, gra-vezza, afosità. Ad indicare preci-samente che anche il respiro,l’alito, cioè qualcosa di molto ae-reo, si fa pesante. Paragonandodunque, questo duplice aspettodella vita, la parola leggerezzapuò apparire davvero troppo su-perficiale e, valga la sottolineatu-ra, troppo leggera. Nella storiadella letteratura, così come nellastoria delle filosofie esistenziali odelle analisi sociali, l’immagineche ricorre di più non è quelladella leggerezza, ma piuttosto ilsuo antipodo: la pesantezza. Chista male normalmente si senteschiacciato. Nelle Scritture dellatradizione ebraico-cristiana, i po-veri, sono coloro che camminanocurvi, sotto il peso di qualcosache può essere la loro condizio-ne sociale, la legge, la ingiustaeconomia o la dottrina religiosa.Anche il dramma e la commedia,mostrano lo stesso quadro. Di

    per sé, non è necessario staremale, per soppesare la vita. Tuttisappiamo che vivere non ha unsapore di leggerezza, ma piutto-sto il contrario, è uno sforzo edunque pesa. La storia, da sem-pre, porta e si porta, soprattuttoda quando la ragione ha preso ilsopravvento sulla trascendenza.Cosa significa allora parlare dileggerezza? Come non ingannaree non ingannarci attorno a que-sto termine, sempre antico e nuo-vo, che fa parte non solo del-l’esperienza umana, ma anchecosmica? Cosa significa parlare dileggerezza, mentre leggiamo idati ufficiali dei precari equilibriumani e dell’ecosistema? Tremilamilioni di persone (la metà delpianeta) che soffrono di “povertàstrutturale”, o mille milioni dipersone che non ricoprono i lo-ro bisogni basici di alimentazio-ne e di sopravvivenza. Intrecciodi luce e ombra, tra “sviluppo”,economia iperliberale e cambioclimatico. Veri e propri parados-si: famiglie di contadini che sonoil potenziale di produzione ali-mentare più importante di questomondo ipermoderno e che inve-ce sono costretti a vivere con me-no di 1 o 2 dollari al giorno. La-bile gioco di elementi; alchemicarelazione tra l’essere umano, ilsenso della vita e delle cose che

    la abitano. Difficile rapporto cer-cato nelle più lontane archeolo-gie umane. Come parlare dunquedi leggerezza, senza tradire nes-suno, senza dimenticarci di que-ste trame segrete della vita realedei popoli e di noi stessi? Forsepuò sembrare retorico, ma loconsidero importante, ricordarele parole di Italo Calvino nel di-segno o bozzetto che fa della leg-gerezza, in una delle sue Lezioniamericane. Nella prima scrive:“Dedicherò la prima conferenzaall'opposizione leggerezza-peso,e sosterrò le ragioni della legge-rezza... la mia operazione è statail più delle volte una sottrazionedi peso; ho cercato di togliere pe-so ora alle figure umane, ora aicorpi celesti, ora alle città; soprat-tutto ho cercato di togliere pesoalla struttura del racconto e al lin-guaggio”. Ho cercato di toglierepeso… una restituzione etica; ungesto che supera la semplice er-meneutica e semantica delle pa-role. Togliere peso, gesto misti-co-politico di piccole e grandi li-berazioni; ma anche questo unparadosso. Chi vuole togliere ilpeso, infatti, sa anche che dovràcaricarsi con qualcosa, perché lapesantezza non si volatilizza. Lapesantezza, si fonde, come av-viene con i metalli, si auto-dise-gna in segrete o evidenti meta-

    n

    tra i libri di Gianni Rodari

    a una famiglia semplice,nacque il 23 ottobre 1920 aOmegna Giovanni France-

    sco Rodari; il padre, fornaio delpaese, morì ancora giovane acausa di una broncopolmonite eper questo la famiglia si trasferì aGavirate. Ragazzo sensibile e ri-servato, dopo aver frequentato iprimi tre anni in seminario, scel-se di iscriversi alle magistrali e,conseguito il diploma, cominciòad insegnare. Aveva una grandecuriosità intellettuale che lo avvi-cinò ad autori come Nietzsche,Schopenhauer, e Trotzkij. Con laguerra perse i suoi due più cariamici e un fratello,

    in-

    ternato in un campo nazista inGermania e, nonostante fossestato esonerato dal servizio mili-tare per la sua salute cagionevo-le, aderì alla Resistenza Lombar-da. È dopo la Liberazione del1945 che ebbe inizio la sua car-riera giornalistica. Prima con larubrica "La domenica dei piccoli"per l’Unità e poi con la direzionedel giornale per ragazzi "Pionie-re" cominciò a dedicare la sua at-tenzione alla scrittura per l’infan-zia. Dal 1954, per una quindicinadi anni, partecipò a numerosepubblicazioni, scrivendo articolisu quotidiani e periodici, curan-do libri e rubriche per ragazzi e

    perfino divenendo autore delprogramma televisivo "Gio-

    cagiò". Nel 1970 vinse ilPremio Andersen,

    il più importante concorso inter-nazionale per la letteratura del-l’infanzia, che accrebbe la suanotorietà in tutto il mondo. Roda-ri comprese subito che, per arri-vare ai bimbi, doveva innanzitut-to dialogare con i genitori e lo fe-ce attraverso scritti ironici e sim-patici, imbevuti di satira sociale epolitica, sempre dalla parte di co-loro che “hanno bisogno di unvestito nuovo, che può materia-lizzarsi, attraverso un gioco di re-altà fantastica e con una sapientemescolanza di colori, come quel-lo di Arlecchino”. Morì nel 1980dopo un intervento chirurgico.Lo stile di Rodari penetra effica-cemente nelle menti dei bambinie degli adulti, abbracciando unintero universo fatto di buon sen-so, democraticità, antirazzismo esimpatia, in cui si può memoriz-zare facilmente una regola gram-maticale associandola a una fila-strocca divertente.

    tra i suoi libri:

    Filastrocche in cielo e in terra, Ei-naudi Il libro degli errori, EinaudiFavole al telefono, Einaudi Il gioco dei quattro cantoni, Ei-naudiC'era due volte il barone Lamber-to, MondadoriLe avventure di cipollino, EinaudiIl Libro dei Perché, a cura di M.Argilli, Editori Riuniti

    d

    morfosi, ma non si volatilizza,non si disperde nel nulla. Forse èproprio questa la sfida dialogicaa cui ci chiamano queste duepossibilità: leggerezza e pesan-tezza. Mi piacerebbe dunquescomporre questa parola, per de-cifrare il suo senso e come sem-pre perché questo senso ci riveliqualcosa in più della vita. Mi pia-cerebbe scrivere questa parolaleggerezza, con l’abile arte del-l’alfabeto del popolo Tuareg econ i caratteri della loro scrittura,la scrittura tifinag. Una trama chesi presta ad essere letta in tutti isensi: dal basso verso l’alto, da si-nistra a destra e viceversa. Un lin-guaggio simbolico e tattile pertrasmettere segreti ed esprimererelazioni amorose, tracciandoideogrammi sul palmo della ma-no dell’ interlocutore, con cui sivuole comunicare. Sì, perché laleggerezza segue queste stranecoordinate della vita, perché laleggerezza più che pronunciarla,si percepisce nella tattilità dei ge-sti, un vero e proprio tatto etico.Mi piacerebbe davvero scriverecome scrive il popolo Tuareg,per non perdere nessun dettagliodi questo aggettivo della storiaumana e di quello biofisico e bio-chimico degli elementi, perchéciascuno, poi, possa percorrerele sue coordinate più segrete ecapire qualcosa di più di se stes-so e della vita. Se penso parten-do da una prospettiva filo-meta-fisica, direi che la leggerezza èciò che si avvicina di più al miste-ro. La parola infatti, contiene e ri-vela costantemente le dimensionisegrete e più nascoste del vivere;ma, allo stesso tempo, questa pa-rola evoca il silenzio (mistero dalgreco mis, chiudere le labbra).Una qualità, un modo, che non sirelaziona con ciò che è inconsi-stente, lieve, vaporoso, ma piut-tosto qualcosa che richiama l’in-contenibilità e la mobilità più as-soluta, chiamata anche gas. Ep-pure, il gas, nella storia di alcunipopoli, non è così “leggero”, “ae-reo” come pensiamo. Per il gas,in un paese come Bolivia, doveio vivo, nel 2006 c’è stata una lot-ta, una “guerra”, cosi come qual-che anno prima, nel 2000, ci fu laguerra dell’acqua. Perché dun-que, vogliamo ripercorrere la se-mantica della leggerezza? Perconsolarci? Per distrarci? Per so-gnare con una possibilità che diper sé si contrappone alla faticadel vivere quotidiano? Cos’è laleggerezza? Un attributo fisico-chimico? Una qualità umana? Ouna stoica aspirazione di qualcheasceta stanco e a disagio nei con-

    fronti del proprio corpo? Mentre imoralisti leggono sospettosi icontorni light della società e iborghesi figli della stessa moder-nità si vantano della loro capaci-tà di essere e di custodire la pro-pria leggerezza, noi cosa possia-mo dire? Noi, che non vorremmoessere né moralisti, né light? E,soprattutto perché dobbiamopensare la leggerezza? Da un la-to dunque mi sembra importantenon perdere le differenti sfaccet-tature di un elemento fisico-esi-stenziale come la leggerezza.Una qualità che ci insegna la na-tura con i suoi elementi. Ma d’al-tro canto, non vorrei nemmenoestrapolare questa parola dalladura realtà della vita. Per cui in-vito il lettore, a non distogliere losguardo dai particolari della real-tà che lo circonda. Invito il letto-re a la composizione o scompo-sizione di questo termine, comese si trattasse di un vero ana-gramma. Trasposizione di letteredi una parola, in modo da, comelo stesso termine anagramma di-ce - anà: sopra, contro, indietro,in senso inverso e gramma, lette-ra, grapho scrivere, disegnare -formare una nuova combinazio-ne. Questa nuova combinazionenon ci servirà per confonderci inun mero magico gusto di un gio-co grammaticale o letterale, ma cidarà la possibilità di intravederela vita e viverla in un altro modo.Un ermeneutica mistico-politicadella vita, componendo non soloversi o note, frasi o suoni, ma sto-ria. Storia con le sue ambiguestrutture socio-economiche, poli-tiche, religiose, tutt’altro che leg-gere. La leggerezza evoca di persé infiniti anagrammi; sottili gio-chi di vita; la leggerezza come at-tributo o proprietà di alcuni ele-menti nel mondo della natura, ri-corda le rivendicazioni quotidia-ne di gran parte dell’umanità. Sidice leggero qualcosa senza unvolume definito, capace di unmovimento entropico. Rivendica-zione di movimento dunque, co-me suona l’adagio della dichiara-zione universale dei diritti umaninell’articolo 13. Rivendicazionedi pensiero, capacità di creare unaltro modo di stare nella storia.La leggerezza evoca il diritto auna entropia creativa, per poterrecuperare il senso ancora inedi-to della vita e riscattare le tuttoraocculte possibilità umane. Infini-te variabili di pensiero, di azione,di fede, non ancora consideratein questa nostra storia ufficiale.

    [teologa domenicana, Cochaban-ba, Bolivia]

    un altro mododi stare nella storia

  • in un mondo autoreferenziale efasullo. Non c’è incontro conl’esterno, con l’altro, con la real-tà. Questi feticci, artefatti da noicostruiti , non sono ancora i “nuovi cieli e la nuova terra” diApocalisse 21. La terra in cui abi-tiamo e suoi prodotti non sono“puri”, bensì, per noi cristiani,sofferenti anch’essi sotto la schia-vitù; e non sarà il ritorno alla na-tura, ai cibi “naturali” che ci ren-derà “leggeri”, liberati dal pesodel corpo e dalla necessità, perlibrarci come dei immortali nellaindifferenza. E però dobbiamoanche ascoltare, porgere orec-chio a questa domanda che nonriceve risposta, se non un depi-staggio. Pesantissime “leggerez-ze” come certe farfalline d’oro di-stribuite in dono ad occhiute fan-ciulle, a premiare la loro lascivacondiscendenza ai capricci delsatrapo. Farfalle che non voleran-no mai più. Non abbiamo a chefare nemmeno con la leggerezzalibertina d’altri tempi, che po-tremmo giudicare un po’ vacua,ma in fondo abbastanza innocen-te: “S’ha ad esser lievi. Con lievecuore e lievi mani, tenere e pren-dere,tenere e rendere” scrive ne“Il Cavaliere della rosa” Hugovon Hofmannsthal, “riassuntoredi quei caratteri di leggerezza chesempre mascherano il senso del-la fine” In questo approccio non

    interessato,salverei la gratuità deldono, l’umile percezione dellaprecarietà della nostra condizio-ne; l’assenza di quella compra-vendita dell’anima,menzogna,contraffazione, corruzione, cheoggi svilisce ciò che era simbolodi bellezza, stabilità, nobiltà:”Fiorenza dentro de la cerchiaantica/ ond’ella toglie ancora eterza e nona / si stava in pace so-bria e pudica. / Non avea cate-nella, non corona / non gonnecontigiate, non cintura / che fos-sero a veder più che persona [...]Non avea case di famiglia vote /non era giunto ancor Sardanapa-lo / a mostrar ciò che in camerasi puote” (Dante, Par.XV). La cit-tà celeste e la città terrena, laica,accomunate dal rispetto per séstesse e per i patti stabiliti con al-tri (lo sposo, i cittadini); belle esicure,onorate, splendenti e pu-diche. “Chi vince erediterà questecose, ma per i codardi, gli incre-duli, gli abominevoli,gli omicidi,i fornicatori, gli stregoni, gli ido-latri e tutti i bugiardi, la loro par-te sarà nello stagno ardente difuoco e zolfo, che è la morte se-conda.” (Ap.21) Forse la legge-rezza è anche non- corruzione, euna casta trasparenza.

    [psicanalista, Roma]

    3meditando

    oi vidi un nuovo cielo enuova terra…E vidi la CittàSanta, la Nuova Gerusa-

    lemme scendere giù dal cielo dapresso Dio, pronta come unasposa adorna per il suo spo-so…La città era d’oro puro, simi-le a terso cristallo. I fondamentidelle mura erano costruiti conpietre preziose. Le dodici porteerano dodici perle e ogni portauna sola perla”…E una gran vo-ce diceva “questo sarà il taberna-colo di Dio con gli uomini..Egliabiterà con loro…Egli asciugheràogni lacrima dai loro occhi e nonci sarà più la morte, né cordoglio,né grido, né dolore…E a chi hasete io darò gratuitamente dellafonte dell’acqua della vita.” (Apo-calisse, 21). Una splendida visio-ne, questa sposa che scende dalcielo, come uno Chagall potreb-be dipingere; vola leggera, im-preziosita d’oro e perle e pietre,come cristallo trasparenti; e nellapiazza delle città santa scorre ilfiume dell’acqua della vita, limpi-do anch’esso come cristallo.Questo passo della Scrittura mi siè presentato alla mente mentre ri-flettevo sul nostro tema,la legge-rezza, e vi si associava in contra-sto con tutto ciò che oggi vieneproposto, o meglio spacciato co-me tale. Siamo assediati dalla“leggerezza”. Dai generi alimen-tari alle tariffe dei prodotti ener-getici, tutto è “light”. Assieme al-la parola “naturale” e “ puro” è unpassepartout che fa venderequalunque cosa: abbiamo for-maggi “light”, bollette telefoniche

    “light”, amari digestivi “veri, maleggeri”, bibite in versione“light”… persone “leggere” cioèanoressiche. Abbiamo anche laproposta di uno stato “leggero”,di una finanziaria “leggera”, dipatti matrimoniali meno “pesan-ti”, cioè a termine, e così via.Questa “leggerezza”, variamentecombinata con le altre paroled’ordine: ”senza limiti” e “ senzaconfini”, rinvia a realtà illusorie ,e ci seduce con la promessa chenon dovremo rinunciare a nulla,mangeremo senza aver mangia-to, spenderemo, inconsapevoli, inostri pochi soldi convinti che ilmutuo o il prestito o la rata saran-no “leggeri”; non stabiliremo le-gami troppo impegnativi, saremoliberi, non sentiremo alcun peso.Le giovani donne anoressiche, vi-vono di nulla e quel poco chemangiano è sicuramente “natura-le” e “leggero”; camminano lievisu calzature che mettono le ali aipiedi; bevono acque che la buo-na suora della pubblicità certifi-ca: ”bevo “acquetta” e mi depu-ro!” (la redenzione è ormai su-perflua). Apparteniamo ad unacomunità civile che respinge latassazione come un “peso” e coe-rentemente la contesta perché ciricondurrebbe alla realtà. I tessu-ti con cui ci vestiamo sono sem-pre più “leggeri”, anche le valigiesono “leggere”, ma di che cosa cisaremmo alleggeriti? Abbiamo at-traversato il deserto dei nostripeccati e compiuto un camminoevolutivo, liberandoci della za-vorra, del superfluo, della pac-

    cottiglia, del non necessario? No!Siamo in presenza di una gravecontraffazione, di cui pagano lespese soprattutto i più giovani.Perché non è vero che si puòavere tutto senza fatica e senzacosti; che si può crescere senzaimparare a rinunciare; che si puòandare oltre la realtà senza aver-ne mai fatto esperienza. La realtà“animale” della creatura umana èfatta di pesantezza, perché obbli-gata dalla necessità, che è il suostatuto di partenza; una prigione,determinata nei minimi dettaglida ciò che è inscritto e ereditato.Noi umani partecipiamo di que-sta prigione ma abbiamo unapossibilità di evadere, che gli ani-mali non hanno: è la nostra crea-tività, che si esprime nell’arte, tra-sfigura la materia e ci trasportaoltre la necessità, oltre le opacità,nel regno della gratuità e della lu-ce. Il richiamo martellante allapurezza, genuinità, leggerez-za,libertà ,è un terribile inganno ,perché è come indicare a un fug-giasco la via sbagliata che lo ri-porta in prigione. Siamo in pre-senza di una spiritualità senza loSpirito, di una pseudo evasione

    “p

    di Adelina Bartolomei

    come unasposa adorna

    ono la mamma di due bel-lissimi bimbi. Diventare

    genitori credo che sia la più bel-la e sconvolgente esperienza chenel corso della vita possa capita-re.È un’esperienza che spesso miporta, anche per un semplice sor-riso dei piccoli, alla commozioneed alla felicità.È un’esperienza, però, che pro-voca tante paure ed insicurezze,che so di non potere trasmettereai figli. Paure ed insicurezze do-vute alla fatica che si fa nell’indi-viduare il metodo educativo ca-pace di trasmettere quei valoriche sono alla base della mia edu-cazione e del mio modo di vive-

    re. Ho imparato che l’educazionedei figli non può essere appresada manuali od essere semplice-mente il frutto di studi pedagogi-ci.I figli non sono - come qualcunomi diceva tempo addietro - dellelavagne su cui puoi incidere oscrivere quello che ti pare sia giu-sto. Infatti, ognuno di loro, sindai primi giorni di vita, mostra unproprio temperamento e caratte-re. Pertanto, il modo di educare ifigli non può essere uguale pertutti.Quando mi è stato proposto discrivere questo articolo sulla leg-gerezza nell’educazione, ho pen-sato più che alla mia recente

    esperienza di madre, a quella difiglia.Ho pensato a come i miei genito-ri, nella loro semplicità, siano riu-sciti a trasmettere a ben quattrofigli, valori quali la famiglia,l’onestà, il sacrificio.Dunque, provenendo da una fa-miglia che ad oggi si direbbe nu-merosa, con madre casalinga epadre operaio, pensando e ricor-dando me stessa nel ruolo di fi-glia, ho capito che quei valori misono stati trasmessi con leggerez-za e nella quotidianità, ovverocon l’esempio e la testimonianza.

    [avvocato, Massafra, Taranto]

    di Emilia Putignano

    s

    pensando

    Dopo la pioggia

    Dopo la pioggia viene il sereno,brilla in cielo l'arcobaleno:

    è come un ponte imbandieratoe il sole vi passa, festeggiato.

    È bello guardare a naso in sule sue bandiere rosse e blu.

    Però lo si vede - questo è il male -soltanto dopo il temporale.

    Non sarebbe più convenienteil temporale non farlo per niente?

    Un arcobaleno senza tempesta,questa si che sarebbe una festa.

    Sarebbe una festa per tutta la terrafare la pace prima della guerra.

    da Filastrocche in cielo e in terra

    poetando di Gianni Rodari

  • 4 meditando Federica Spinozzi Balducci

    arole leggere che sfiorano,che accarezzano, che scen-

    dono nel cuore e danno sollievo;parole-ponte che creano legami,relazioni, che fanno sognare. Pa-role pesanti, che feriscono, paro-le urlate, gridate, che rimbomba-no, che creano fratture, che tol-gono la parola. La leggerezza,prima di tutto, nell’uomo si mani-festa proprio nella parola, nellaprincipale forma di comunicazio-ne, una delle più antiche, dellepiù creative, delle più sublimi. Laparola non trasmette solo un’in-formazione, un messaggio, unanotizia, ma nella parola l’uomorivela la sua essenza, il suo pro-fondo sentire, le sue emozioni; ècome se la parola neutra, prodot-ta dalla mente, scendesse nelcuore per colorarsi, per profu-marsi ed uscire dalle labbra ognivolta in modo nuovo, unico, irri-petibile. E così spesso ci capita diincontrare una persona dal-l’aspetto dolce, gentile, che, alproferir parola, rivela un voltoopposto e poco leggiadro. E’ laparola che ci rivela ciò che siamorealmente, ciò che abita il nostrointimo, che ci scopre nella nostraessenza più profonda. Prova ne èla fase dell’innamoramento gio-vanile: all’inizio, nella conoscen-za reciproca, è la parola a pren-dere il sopravvento, perché si ha

    l’impellente necessità di cono-scersi, di scoprirsi a vicenda, dicogliere l’altro nella sua interez-za. Osservando il nostro tempo esoprattutto ascoltando le parole,i discorsi della gente, da quellameno istruita a quella più colta, aquella che ci governa, un profon-do senso di pesantezza ci perva-de, sia per il contenuto volgare eviolento che per il tono maledu-cato e arrogante. Le parole scen-dono nel cuore per assumere co-lori tetri e sgradevoli, odori acrie disgustosi, e inevitabilmente siperde la leggerezza e la delica-tezza della comunicazione, fontedel dialogo tra gli uomini. E chinon sta al gioco, chi non si ade-gua, si isola, sceglie il silenzio,non come via di meditazione,bensì come premessa alla solitu-dine e alla emarginazione. La leg-gerezza, come ci ricorda Calvino,“si associa con la precisione e ladeterminazione, non con la va-ghezza e l'abbandono al caso”:pertanto la leggerezza della paro-la richiede un’attenzione e unapreparazione non solo tecnica,cioè di conoscenze linguistiche,bensì metafisica, ontologica, checoinvolga tutta la persona. Pre-stiamo tanta attenzione a molte-plici aspetti del nostro essere,esteriori ed interiori, ma pocosiamo abituati a riflettere sulla

    leggerezza del nostro parlare, sulvalore dei termini usati, sullascelta del nostro linguaggio. Adesempio nell’indicare quantigiungono in Italia da un paeselontano comunemente usiamotermini dalla connotazione nega-tiva come straniero, clandestino,extracomunitario, immigrato, ir-regolare. Oppure quante volte infila ad uno sportello, alla guidadell’auto, in attesa di essere ser-viti in un negozio ci capita di as-sistere o essere protagonisti didialoghi poco edificanti, per nondire violenti, offensivi e volgari,dai quali si esce profondamenteamareggiati e indignati. Le paro-le pesanti creano steccati, paliz-zate, muri nei quali ci ritroviamorinchiusi e incatenati senza nep-pure accorgerci che, nostro mal-grado, restano invalicabili. Alcontrario “la gentilezza delle pa-role crea fiducia” come scrissenel VI secolo a.C. il filosofo cine-se Lao Tze. E’ incredibile quan-to sia più facile e frequente esse-re uomini e donne dalla parola“pesante”! Forse Calvino, parten-do da questa osservazione, hascritto: “la leggerezza è qualcosache si crea nella scrittura”. Indub-biamente quando si scrive, quan-do si esprime un’idea o si descri-ve un’immagine con la scrittura,le parole vengono usate con

    p

    un’attenzione diversa, possonoessere modificate e spiegate,possono essere meditate e ri-guardate: portano inevitabilmen-te ad una maggior chiarezza cheoralmente a volte si perde ri-schiando l’incomprensione, ilfraintendimento, quindi la pesan-tezza. Scriveva Bacone nel 1600

    “Il parlare rende l’uomo pronto,lo scrivere lo rende preciso”.Epoche diverse, luoghi della ter-ra opposti, unico l’anelito allaleggerezza, alla precisione, allagentilezza della parola.

    [docente, Senigallia, Ancona]

    parole come carezze

    empo fa mi capitò di assi-stere ad una controversiadurante la quale uno degli

    interlocutori apostrofò l’altro, peravere ragione o forse solo comeespressione della sua sensibilità,dandogli dello sprovveduto. Lacosa mi interessò perché ritrova-vo nell’atteggiamento di quest’ul-timo, del quale pure non cono-scevo niente, elementi in comu-ne con la mia mentalità di cristia-no per cui, secondo una identifi-cazione con la logica di pensieroe azione che contraddistinguevail secondo, mi sentii anch’io giu-dicato a quel modo dal primo in-terlocutore. Riflettendo allora suiveri motivi alla base di quel giu-dizio mi resi conto con chiarezzache quanto ritenuto derivare dasuperficialità, disattenzione, irra-zionalità e poca responsabilità di-pendeva piuttosto da una positi-va “leggerezza” dell’essere e delfare assolutamente non comune,ed anzi alquanto auspicabile. Cisi può domandare, a questo pun-to, come può “la leggerezza” as-sumere valenza positiva, dal mo-mento che anche semanticamen-te si contrappone all’idea dellapesantezza, della consistenza piùmatura, della seriosità autorevo-le. L’errore che si fa spesso è con-fondere la leggerezza con l’irre-sponsabilità e l’inconsapevolezzaperché generalmente son quelleche più ci capita di verificare in

    chi si comporta appunto “conleggerezza”; ma a ben vedere laleggerezza “del saggio”, quellapositiva insomma, si differenziadall’altra perché si presenta comemanifestazione di una visione delmondo completa e libera (da pre-giudizii e condizionamenti di sor-ta), come controllo delle situazio-ni dovuto ad un sapere vasto edisinteressato, come progetto delSé ben direzionato e accurata-mente perseguito. Ciò che provo-ca il fraintendimento, pertanto,risiede nella inconsueta (e temu-ta) “gratuità del darsi” che si al-lontana dalla logica materialisticae opportunista di questo mondoe fa dunque gridare allo scanda-lo, alla pazzìa, alla leggerezza ap-punto: perchè non approfittared’una certa occasione per i pro-pri interessi? com’è possibile la-sciar passare un affronto subìtosenza replicare? chi mai riuscireb-be a conseguire ogni obiettivoprefissatosi se non mostrando identi e rispettando un codice im-plicito di auto-affermazione?Quando si attua con leggerezza(positiva), infatti, è facile speri-mentare negli altri uno spiazza-mento che può farsi perfino sgo-mento critico (di Gesù si diceva“chi è costui che parla come unoche ha autorità?” ma anche para-dossalmente agli antipodi “è unpazzo, un indemoniato!”). L’am-biguità che si registra non è che

    una prova del fatto che la veritàsi sta facendo strada nelle mentie nei cuori con la forza della suaautorità ed indispensabilità, maanche generando il rifiuto delleconseguenze (virtuose) che inne-sca automaticamente. Con un ul-teriore giro di vite, inoltre, arri-viamo a dire che tale ambiguitàdimostra il carattere mediano del-la leggerezza “alla Italo Calvino”.Dovendo definire con stabilità ivari processi cognitivi che locoinvolgono, l’uomo è portatoinfatti ad etichettare sempre tutto,attestando quindi la leggerezzaalla polarità negativa di un asseche si chiude all’altro estremocon la “pesantezza”. Lungi dalcorrispondere, però, a qualitàpositive pure tale estremo incar-na le altrettanto negative: ester-nazione di forza, ripetitività stuc-chevole, barocchismo dei modidi fare e delle forme del comuni-care, etc. Ne discende che il cam-mino della leggerezza virtuosa èuna “terza via” difficile da vivere,in quanto siamo esposti conti-nuamente al bivio di scelta tra ab-brutimento della pesantezza e va-cuità della incoscienza.

    [docente in comunicazione, Bari]

    meditando di Alejandro De Marzo

    t

    una via difficile

    na sera, mentre con alcuniamici parlavamo delle no-

    stre esperienze di vita, uno di es-si rivolse a noi tutti una doman-da: cosa è la leggerezza? silenzio!Tante volte usiamo con “legge-rezza” le parole, ma quante diqueste volte cogliamo l’essenzache è nell’interno di ciascuna diesse? Mi venne subito in mentequella bella canzone di Antonel-lo Venditti “L’insostenibile legge-rezza dell’essere” tratta libera-mente dall’omonimo romanzo diMilan Kundera e cominciai apensare cosa fosse per me la leg-gerezza: una piuma, un petalo difiore, una nuvola che danza nelcielo trascinata dal vento, un fioc-co di neve che si posa leggero sulbene e sul male, sul pulito o sul-lo sporco rendendo tutto cosìcandido e uguale. Leggero è ilvociare dei bambini che giocano,spensierati, non appesantiti daimille pensieri che attanagliano lavita di noi adulti. Guardo i mieifigli e scorgo nei loro occhi, spec-chio dell’anima, quella semplici-tà, quella purezza quella leggia-dria che mi dà il vero senso del-

    la vita. Ho ascoltato tante volteaccostare il termine leggerezza aquello di superficialità, ma perme non è così. Vivere con legge-rezza è vivere con amore, congioia, con fiducia e speranza inun mondo che continua a diven-tare pesante, ma che potrà e do-vrà cambiare se ciascuno di noicrederà in esso e nella sua bellez-za. Si dice che quando una per-sona muore, la sua anima vola incielo leggera, libera di raggiunge-re quello che per noi credenti èla meta finale, il premio di una vi-ta. Vola leggera, che bella imma-gine! Sarebbe ancor più bello segià su questa terra, nei nostri cor-pi quell’anima volasse leggeratrasportata dal vento dell’amore eandasse incontro a tutti per dona-re un pò della sua leggerezza cheè anche sinonimo di libertà. Uncuore leggero, infatti, è un cuorelibero che sceglie di dire si alla vi-ta, di sorridere, di non aver pau-ra e di essere il meglio di ciò cheè.

    [avvocato, Palo del Colle, Bari]

    di Anna Cutrone

    u

    pensando

  • 5leggendo di Barbara Alberti

    amabilità e fedeo conosciuto l’Autore diquesto libro perché era ve-nuto a benedire la casa.

    Apro la porta e mi trovo davantiun ragazzino in Lacoste che sem-brava Gregory Peck (un attoredei miei tempi). Ho pensato chefosse il chierichetto, e ho guarda-to alle sue spalle aspettandomi divedere il “vero” prete. Invece ilprete era proprio lui, GianlucaDe Candia, esausto (quella eral’ultima tappa del suo giro). Iopiù che una miscredente sonoun’eretica (ho anche scritto un li-bro, “Vangelo secondo Maria”,dove la Madonna si ribella aDio), e non ho mai perdonato lapunitiva educazione cattolica su-bita nell’infanzia, dove tutto erapeccato, anche mangiare un ge-lato. Ci parlavano di un Diod’amore che però sapeva solominacciare, e il fuoco dell’infernoci lambiva alla più innocentebambinata. E la rozza malizia deiconfessori, e l’idolatria delle suo-re dalle quali andavo a scuola, ei colpi di riga sui geloni (ma sol-tanto ai bambini poveri). Attual-mente, poi, esasperata da unaChiesa che chiede perdono perlo sterminio delle streghe e deglieretici, e poi non si fa scrupolo diindire una crociata contro gliomosessuali (per necessità stori-ca, la campagna mediatica al po-sto dei roghi). Così non ho resi-stito alla tentazione di provocar-lo, criticando la politica del Vati-cano. Immaginavo le solite rispo-ste scontate e bigotte. Ma don DeCandia mi lasciò sbalordita. Lastanchezza era sparita d’un tratto.Si buttò con slancio nell’esposi-zione del pensiero religioso più

    profondo e audace, libero, ario-so, che denunciava una culturastraordinaria (e non solo in rap-porto alla giovane età). Ne nac-que una discussione viva, dove sidiede a conoscere il teologo, e lafortissima personalità morale dichi aveva una vera vocazione.Tutto questo ho poi ritrovato nelsuo libro. L’audacia, la profondi-tà, l’allegria terribile di una federivoluzionaria -come rivoluziona-rio è il vangelo- fatta per liberare,non per imprigionare. E nessunaillusione. Ma tutta intera la spe-ranza. Il libro comincia con unafigura femminile che si spoglia: èla Teologia, che si toglie di dossogli orpelli delle solennità, del-l’oscurità, della vanità, gli ermel-lini, i riconoscimenti accademici,le ridicole medaglie, le gravi cin-ture, e finalmente si ritrova colsuo semplice (e quanto più ele-gante!) abito nero, che la rendepiù libera e agile. Pronta ad an-dare fra la gente. Senza il pesodelle onorificenze, delle catenedorate che l’hanno incurvata neisecoli. E’ forse difficile il Vange-lo? No, chiunque può compren-derlo, nella sua tremenda sfida. Eperché allora la Teologia dev’es-sere per gli iniziati? Già il titolo (eil sottotitolo): “La vera amabilitàdel Cristianesimo. Charme e stiledi una fede post-moderna”, av-verte che non ci troviamo nelchiuso di una sagrestia ma in unfresco giardino. Che ci sarà labrezza, che ci sarà la musica, chenessuno ci minaccerà dell’infer-no ma ci farà scoprire il divinoche abbiamo dentro. Che siamoinvitati ad una festa: la festa del-lo spirito, di noi uomini limitati

    h nel tempo, ma con la nostalgiadell’eterno. La vera amabilità delCristianesimo è questo testo, colsuo stile elegante e originale, chesorprende ad ogni riga conespressioni semplici ma incon-suete, modernissimo nel suo nonessere contaminato dai luoghicomuni del linguaggio moderno.Oltre a Pascal e Francesco di Sa-les vi troverete arie della musicabarocca, i miti pagani («la flessuo-sa edera del paganesimo»), Sha-kespeare, la pittura moderna, latragedia greca – e tutto questocon «sprezzatura» (altra parolachiave del libro), ovvero con gra-zia («non si può parlare della Gra-zia, senza grazia»). «E’ l’amore chetraccia il sentiero e l’intelletto èpresto lì dove è l’amore». Il libroè un discorso sull’amore nellesue tante forme, e tutte divine:anche l’amicizia, anche il rappor-to maestro-allievo. Lo “stil novo”che invoca Don Gianluca DeCandia è qui, in questo libro per-meato di un eroismo sorridente,mobile, cosmopolita - e fermissi-mo nella fede. Fede nella rivolu-zione permanente che dovrebbeessere il Cristianesimo, e che laChiesa nei secoli ha così spessoeluso. Gianluca De Candia hadetto: «molti oggi hanno un fortis-simo senso di colpa, ma nessundel peccato …». Il “peccato” è larigidità. In questo libro il pensie-ro si muove, (nuota, duella, dan-za, lotta, vola) con tutte le suecreazioni meravigliose, dall’arteall’amore alla religione.

    [scrittrice, sceneggiatrice, Roma]

    ccolgo volentieri la “ghiot-ta” opportunità di condivi-

    dere per i lettori di Cercasi un fi-ne una riflessione ancora in cor-so, a livello personale e di grup-po, sul tema intrigante della leg-gerezza. A tale proposito il GEP-Gruppo educhiamoci alla pace dicui faccio parte, l’anno scorso hapromosso un campo estivo for-mativo “Allegra…mente 12” daltitolo eloquente “Alla ricerca del-la leggerezza perduta”. Sì, perchénella società attuale frenetica,ubriaca talvolta di velocità e dipesantezza, si è bombardati dacomplicate e grigie elucubrazio-ni, che descrivono la leggerezzaquasi come una superficiale vi-sione della vita. Quando, invece,può rappresentare un antidotoalla superficialità e alla frenesiasenza scampo. Con una corsa ir-refrenabile verso la perfezione ela voglia meticolosa di imbriglia-re la matassa della nostra vita,che spesso ci presenta complica-zioni ed avvitamenti di vario ge-nere, compresi molteplici fronzo-li e bisogni indotti, non necessa-ri. Può essere benefico, perciò,andare alla ricerca della leggerez-za, nel senso di vivere con so-brietà, costruire relazioni umanesignificative, sbarazzarsi di tantazavorra, lasciarsi andare per vive-re emozioni intense, farsi guidaredal cuore e dalla ragione sapien-temente alleati. Vivere bene ilpresente, esserci appieno, senzala preoccupazione costante deirimpianti di un passato che nonpuò più ritornare, e soprattutto

    non farsi ossessionare pesante-mente dalla fissazione di proget-tare il futuro senza basi e reali-smo. E’ meglio vivere quello cheaccade con consapevolezza edaccogliere, osservare, condivide-re, non giudicare e spaccare il ca-pello in quattro. Come ci ha rife-rito un partecipante del campo“dopo un po’ impari che il solescotta, se non lo prendi troppo,perciò pianti e decori il tuo giar-dino invece di aspettare chequalcuno ti porti i fiori ed impariche puoi davvero sopportare chesei davvero forte e vali davvero”Allora, alla fine di quella splendi-da ed arricchente esperienza for-mativa, desidero prendere in pre-stito alcune parole scaturite dallaverifica finale che possono sinte-tizzare i multiformi significati, an-che di carattere provvisorio, per-

    ché la leggerezza è: sentire il pro-prio corpo ed ascoltare il cuore;accogliere ciò che avviene e cam-minare in un fiume che scorre;far parte dell’universo e parteci-pare ai diversi cieli dell’esistenza;cercare la presenza degli altri,senza dimenticare sé stessi; muo-versi armoniosamente e percepi-re il cielo e la terra dentro di sé;giocare con la vita e trovare oc-casioni per stupirsi; rotolarsi sul-l’erba soffice ed ammirare i rega-li del creato; perdersi tra certezzepresunte acquisite ed insicurez-ze; andare alla ricerca di una spi-ritualità piena e liberante; e ama-re, sorridere, sognare, vivere.

    [docente di scuola media, Bari]

    di Eugenio Scardaccione

    a

    pensando

    eggerezza: può sembraresoltanto un fine esercizio

    retorico parlare di leggerezzaquando intorno a noi incombonocrisi di ogni tipo: crisi finanziarie,crisi del modo del lavoro, crisi so-ciale, crisi politica… . Eppure èproprio in tempi come questi, gliunici che ci è dato vivere, èquando il peso della realtà diven-ta un fardello insopportabile cheha senso parlare di leggerezza ecioè di quella capacità di coglie-re nella vita quotidiana quelli ele-menti di delicatezza, sensibilità,profondità presenti nella vita diognuno. Allora scopriremo cheforse, soltanto attraverso una vitavissuta con il passo leggero, sare-mo in grado di affrontare i milleproblemi della nostra quotidiani-tà perché come ci insegna Calvi-no "La leggerezza...si associa conla precisione e la determinazio-ne, non con la vaghezza e l'ab-bandono al caso"

    Superficialità: è il contrario dileggerezza, caratterizzata soprat-tutto da indolenza e pigrizia. Lasuperficialità è di gran moda og-gi perché non è capace di anda-re al di là dell’apparenza e, quin-di, di valutare e valorizzare l’es-senza più profonda delle personee delle cose. È la superficialitàche, oggi, diviene quasi un valo-re quando costringe i più a vive-re in un infinito presente privo divalori, privo di riferimenti forti di-menticando che la nostra vita èsempre un qui ed ora il cui sen-so, però è dato da memoria esperanza.

    Umorismo: in un suo saggio Pi-randello definisce l’umorismo “ilsentimento del contrario” inquanto la situazione umoristica,partendo da un fatto o un perso-naggio apparentemente comicofa riflettere sulle ragioni che l’-hanno generata passando, così,dal riso puro e semplice alla rea-le comprensione di una vicenda.L’umorismo, dunque, ha la forzadi mostrare la verità pur serven-dosi di una maschera e così fa-cendo mostra a tutti le storturedella società e del potere.

    Danza: è la forma di espressio-ne artistica che si serve del movi-mento del corpo sulla base di unritmo ispirato o meno da fontimusicali. Può essere utilizzata co-me strumento di preghiera in al-cune religioni, come strumentodi aggregazione nelle feste popo-lari, come strumento di comuni-cazione e socializzazione. È, for-se, l’espressione visiva della leg-gerezza, danzare, allora, significaanche riappropriarsi del propriotempo e del proprio spazio attra-verso il movimento dimentican-do per un attimo i problemi e lefrenesie quotidiane.

    [presidentecooperativa sociale Teseo, Con-versano, Bari]

    in parola di Pasquale Bonasora

    l

    disegnando di Vito Savino

    ascoltare per vedere, volare per sognare,di Vito Savino, artista di Conversano (Ba);

    disegno eseguito con matita contè su carta burano

  • 6

    te il mio giogo sopra di voi e im-parate da me che sono mite eumile di cuore, e troverete risto-ro per il vostro spirito. Il mio gio-go infatti è dolce e il mio peso èlieve” (Mt.11,28; Lc10,21). Gesùnon esita a individuare nel pesodella Legge la schiavitù di un po-polo e propone se stesso comemodello di vita. Milan Kundera,citato da Calvino, scrittore con-temporaneo, nel suo L’Insosteni-bile leggerezza dell’essere, cipresenta interamente il peso divivere derivante da ogni forma di

    costrizione pubbliche o privateche finiscono per avvolgere ogniesistenza con pesi sempre piùgrevi. Chi dovrebbe rendere il vi-vere leggero è il politico ma que-sti ha incorporato nel suo privatola dimensione pubblica, ha toltocioè alla mongolfiera la spintaverso nuove ascensioni, e assistepietrificato alla sua discesa nel-l’abisso dell’inutilità.

    [presidente Centro Erasmo, Gioiadel Colle, Bari]

    enso alla coppia pe-so/leggerezza della politi-ca. Negli ultimi tempi la di-

    stanza tra i due termini è aumen-tata. Non sfugge a nessuno che lapolitica è vissuta come un pesoinsopportabile, sempre più inuti-le nel favorire la soluzione deiproblemi che affliggono l’umani-tà di oggi (la guerra, la fame, lasete, l’ambiente, le migrazioni deipopoli). La politica è vissuta co-me grande nemica dell’uomo.L’icona che può aiutarci a com-prendere il peso e la leggerezzadella politica è la mongolfiera. E’la prima esperienza del volo al-l’alba della modernità. La mon-golfiera per ascendere ha biso-gno di due manovre: la prima èquella di mantenere acceso ilfuoco per liberare l’elio che man-da in pressione il pallone e lospinge verso l’alto; la seconda èriferita allo stato di emergenza, ri-dotta la temperatura è necessariosganciare tutti i pesi che circon-dano la navicella. In questo mo-do la mongolfiera riprende quo-ta. E’ la condizione che viviamodal mese di maggio ai nostri gior-ni. La guerra mediatica innescataha avuto anche vittime illustri co-me il direttore di Avvenire. Gliepisodi che si sono succedutinon sono altro che il tentativo dimantenere in quota il Governo,nonostante il peso della sua gran-de maggioranza. Man mano cheil tempo passa assistiamo alle

    manovre di salvare il Governodel premier che per quanto si af-fanni a gridare che la colpa gravericade sui comunisti e post-co-munisti non si accorge che il fuo-co del consenso è in fase di spe-gnimento. La crisi finanziaria equella economica hanno richie-sto e richiedono operazioni chefavoriscono il decollo, capaci didare le ali a forme nuove dellaconvivenza umana. Purtroppo i“navigatori” (gli economisti e igoverni con i loro G8, G20) han-no sbagliato i calcoli delle previ-sioni, che sono compiute con cal-coli infinitesimali (il PIL crescedello 0,01%...) della crescita. Nonappartiene ai grandi l’elaborazio-ne e la pratica di un’altra econo-mia, dove la ricerca sia il cuoredel sistema, e le forme degli in-terventi siano diffusi e non con-centrati. L’industria pesante è im-proponibile. Nessuna economia,nessun sistema politico potrà da-re speranza di futuro senza la ri-cerca. Solo una politica della leg-gerezza permetterebbe di faredella ricerca la protagonista prin-cipale. Si rende necessaria perqueste ragioni la rilettura dellaprima “lezione americana” (1984)di Italo Calvino dedicata appuntoalla “leggerezza”, possiamo capi-re la grandezza della pesantezzae come la sua forza si sprigiona.Se facciamo questo ci accorgere-mo del “grande tramonto del ber-lusconismo”. La “leggerezza per

    Calvino è un “valore anziché undifetto”. Calvino paragona ilmondo post-moderno a una sor-ta di “pietrificazione” che lenta-mente attraversa tutti gli spazidella vita umana. Era come senessuno potesse sfuggire losguardo inesorabile della Medu-sa. L’unico eroe capace di “taglia-re la testa della Medusa è Perseo,che vola con i sandali alati, Per-seo rivolge il suo sguardo nel vol-to della Gorgone ma solo sullasua immagine riflessa sullo scudodi bronzo”. Calvino ci ha avver-tito della complessità del rappor-to tra Perseo e la Gorgone. Dalsangue della Medusa nasce uncavallo alato, Pegaso, questo na-to maledetto dal sangue dellaMedusa, fa scaturire la fonte do-ve bevono le Muse. La lettura deimiti che ci propone Calvino ci sfi-dano a ricercare nuovi percorsiper liberare la politica dal peso dise stessa. Nelle Scritture Ebrai-che Salomone chiede a Dio i do-ni leggeri della saggezza: “di par-lare secondo conoscenza e dipensare in modo degno dei doniricevuti, perché egli è guida del-la sapienza e i saggi ricevono dalui orientamento. In suo poteresiamo noi e le nostre parole, ogniintelligenza e ogni nostra abilità”(Sap.7,15). Nei Vangeli la chiama-ta dei discepoli avviene all’inse-gna della leggerezza: “venite ame, voi tutti, che siete affaticati eoppressi e io vi ristorerò. Prende-

    meditando di Franco Ferrara

    p

    la politica senza pesi

    eggerezza: sinonimo diamabilità, delicatezza, fi-

    nezza, gradevolezza, levità, mor-bidezza. Si coniuga con fede.Sembrerà un accostamento forza-to, un binomio bizzarro. Ma,chissà quante volte, durante il

    pontificato di Karol Wojtyła, ab-biamo sentito l’esortazione, rivol-ta soprattutto ai giovani, a volarealto. Ecco, la fede è come un ae-rostato a gas che, per salire diquota, esige di disfarsi delle za-vorre. La zavorra più pesante èquella dell’io e l’impresa più fati-cosa è quella di spogliarsi dell’ioe di rivestirsi di Dio. Nelle Fontifrancescane è scritto che “France-sco si toglie le vesti e le getta trale braccia di suo padre, restandonudo di fronte a tutti. Il vescovoimmediatamente si alza, lo ab-braccia e lo copre col suo stessomanto.” Un alleggerimento, unaspoliazione che, talvolta, signifi-cano martirio, morte per la fede,sacrificio della vita. Come quellodi Massimiliano Kolbe, che, pervolare alto verso Dio, rinunciò,pur amandola profondamente,alla zavorra della vita e si offrì dimorire al posto di un altro prigio-niero di Auschwitz. Non morte,allora, ma una rinascita in Cristo.Un criterio diverso, un parametrostrano. Un altro peso della legge-rezza.

    [dipendente dello Stato, Taranto]

    di Emanuele Carrieri

    l

    pensando

    i capita spesso quandoascolto musica, di sentirmi

    leggero, di dondolarmi di muo-vermi nello spazio in maniera ar-monica, di sentirmi libero daipensieri e il mio respiro si calma.Se chiudo gli occhi mi sembra divolare nello spartito, mi sembradi toccare con mano tutte le no-te, a volte mi capita di sentirmipiù vicino a Lui. La mia respira-zione inizia ad andare all’unisonocon la musica, ma è solo l’iniziodi un processo più profondo chesi propaga per tutto l’organismo.Dalla musica, l’anima razionalericeve chiarezza e distensione, ochiarezza e consolidamento, sel’anima è scordata o stonata.L’anima ci parla attraverso vibra-zioni che hanno senso, la musicamette in scena il nostro mondointeriore e ci insegna a dare signi-ficato ai vissuti e alle emozioni.Siamo suono, movimento, paro-la: nella ricerca del nostro paradi-so perduto. Quando sono tristeascolto sempre brani “tristi” inparticolare, adagi, requiem e mu-sica sacra. Perché faccio questo,cioè assecondo e non contrasto ilmio stato d’animo? Perché credo

    che se siamo tristi e perché la no-stra anima ha bisogno di esseretriste in quel momento, e nonserve a nulla forzare il nostro sta-to interiore. Se non lascio chequello stato d’animo si esauriscada solo, prima o poi me lo ritro-vo ancora più forte e violento. Epoi ho bisogno di sentirmi tristee malinconico ogni tanto; mi fatornare con i piedi per terra, è co-me il tasto reset nel computer

    (Goethe la definiva “mia necessa-ria malinconia”). La musica di-venta anche un mezzo per recu-perare la capacità di essere noistessi e non quelli che cerchiamodi essere. “La musica apre, nelcorpo dell’uomo, una fessura dacui l’anima esce per fraternizza-re.” (Milan Kundera).

    [musicoterapeuta, Taranto]

    di Gianluca Demilito

    m

    pensando

    La sala d’aspetto

    Chi non ha casa e non ha lettosi rifugia in sala d'aspetto.

    Di una panca si contenta,tra due fagotti s'addormenta.

    Il controllore pensa: "Chissàquel viaggiatore dove anderà?"

    Ma lui viaggia solo di giorno,sempre a piedi se ne va attorno:

    cammina, cammina, eh, sono guai,la sua stazione non la trova mai!

    Non trova lavoro, non ha tetto,di sera torna in sala d'aspetto:

    e aspetta, aspetta, ma sono guai,il suo treno non parte mai.

    Se un fischio echeggia di prima mattina,lui sogna d'essere all'officina.

    Controllore non lo svegliare:un poco ancora lascialo sognare.

    da Filastrocche in cielo e in terra

    poetando di Gianni Rodari

    arissima Lettrice, Carissimolettore,

    in questo numero troverai unbollettino postale: come ben sai ilnostro giornale è pubblicato gra-zie al contributo sei suoi lettori esostenitori. Le molteplici spese ciportano a non poter inviare ilgiornale a chi non ci sostiene an-che economicamente.Se ti è possibile ti preghiamo diinviarci il tuo contributo per l’edi-tore del giornale che è

    L’Associazione Cercasi un FineONLUS

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    Grazie per quello che farai per noi.

    La redazione

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    in dialogo

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    on posso dire ai miei ragaz-zi che l’unico modo diamare la legge è di obbe-

    dirla. Posso solo dir loro che essidovranno tenere in tale onore leleggi degli uomini da osservarlequando sono giuste (cioè quan-do sono la forza del debole).Quando invece vedranno chenon sono giuste (cioè quandosanzionano il sopruso del forte)essi dovranno battersi perché sia-no cambiate”, scrive don LorenzoMilani.Ultimamente sono stato coinvol-to in una recente campagna disensibilizzazione promossa daSIULP e CGIL svoltasi nel foggia-no, tesa a proporre l’introduzionedel reato di “caporalato”. In undibattito d’altri tempi in piazza, aZapponeta, affollata di contadinie curiosi, sotto il sole di un po-meriggio d’agosto, si è fatto ilpunto su questa eterna piaga edelle condizioni di vera e propriaschiavitù che affliggono coloro iquali, soprattutto migranti clan-destini, vengono assoldati, ovvia-mente in nero e con paghe da fa-me, per passare la giornata a rac-cogliere prima pomodori, poiuva e più tardi olive. Il contrastoad un fenomeno di proporzionisempre maggiori non è facile, inquanto per i braccianti in neroanche pochi euro sono sufficien-ti per sfamarsi e tirare avanti, e sesi rinuncia c’è un vero e proprioesercito di affamati che è prontoa subentrare. Affianco all’esercitodi braccianti clandestini sparsinelle campagne, soprattutto – manon solo – al sud, destinato asoddisfare a prezzi irrisori il biso-gno di manodopera di imprendi-tori senza scrupoli, vi è poi un al-tro esercito di schiavi-clandestini,destinato a soddisfare altri biso-gni, quello delle prostitute che incase, club o per strada sono co-strette a vendersi. Entrambi glieserciti non sono che diversiaspetti della tratta degli esseri

    umani, quel commercio transna-zionale di persone che diventanooggetti che ormai da oltre ven-t’anni costituisce forse il proble-ma sociale principale, insieme al-l’eterna piaga della criminalità or-ganizzata e alla disoccupazione.Siamo di fronte al lato oscuro del-la globalizzazione, quel fenome-no in nome del quale si abbatto-no le frontiere per le merci men-tre si creano luoghi detentivi e fi-gure criminose ad hoc per le per-sone migranti. Nell’iniziativa con-tro il caporalato si è affermatoche non esisterebbe una normain grado di colpire e contrastareadeguatamente il fenomeno. Etuttavia, pur essendo condivisi-bile lo spirito dell’iniziativa e lacreazione di una norma specificaper chi fa da intermediario tra da-tori di lavoro e lavoratori a gior-nata, non può dirsi che nel nostroordinamento non vi sia modo dipunire chi assolda e occupa “innero” lavoratori, specie clandesti-ni. La norma c’è - art. 12, c. V,d.lgs. n. 286/98 - secondo il qua-le costituisce reato il favoreggia-mento della permanenza dellostraniero clandestino mediante iltrarre profitto dalla sua condizio-ne di illegalità. Questa condottadi reato è a forma libera e puòesplicarsi in varie modalità, sia te-se a favorire l’ingresso, sia al finedi favorire più specificamente lapermanenza illegale nel territoriodello stato. Il favoreggiamentodella permanenza illegale non sirealizza ogni qualvolta qualcunodia lavoro ad immigrati clandesti-ni, ma occorre che il datore di la-voro persegua altresì la finalità di“ingiusto profitto”, riconoscibilesolo quando si esuli dall’ambitodel normale svolgimento del rap-porto sinallagmatico di prestazio-ne d’opera, come ad esempio nelcaso di impiego di clandestini inattività illecite, o in quello del-l’imposizione a loro carico dicondizioni gravose o discrimina-

    torie di orario e di retribuzione(Cass. sez. I, sent. 5360 del 25 ot-tobre 2000). Analogo principiopuò essere utilizzato con riferi-mento, ad esempio, alla locazio-ne di immobili a stranieri clande-stini a condizione economichesperequate sulla base della con-dizione di bisogno e di particola-re marginalità sociale dei locata-ri, che per la loro condizione diclandestinità e illegalità non so-no portati a invocare la protezio-ne della legge. Come è agevolenotare, la condotta di coloro iquali assoldano i braccianti o lioccupano in agricoltura con sala-ri da fame e con modalità da ser-vitù della gleba del XXI secolo, èpunibile proprio attraverso il giàcitato art. 12, se non addirittura,nei casi più gravi di privazionedella libertà del lavoratore o co-munque della persona sfruttata(si pensi alle prostitute) con l’art.600 c.p., in caso di condizioni direstrizione fisica del migrante eavvincimento dello stesso al luo-go di lavoro. Si badi bene che, aprescindere dalle tipologie direato realizzate, il migrante èsempre vittima delle condotte cri-minose delineate, atteso che sianei reati di favoreggiamento del-l’ingresso, sia nei reati di favoreg-giamento della permanenza, loscopo che si prefigge l’autore èsempre la realizzazione di unprofitto mediante lo sfruttamentodelle risorse fisiche ed economi-che dello straniero. E lo stranieroè vittima non solo dello sfrutta-mento degli aguzzini che incon-tra sul suo cammino, ma anchedello stato che lo indaga per es-sere entrato nel paese clandesti-namente o per non essersi allon-tanato dopo l’ordine di espulsio-ne del questore. In questo conte-sto generalizzato di sfruttamentodell’immigrato sin dal viaggioverso il nostro paese e durante lapermanenza, le nuove normesulla sicurezza invece di prender-

    scoprendo di Roberto Oliveri del Castillo

    “n

    dove la vita è greve

    ne atto e colpire chi approfittadella condizione di migrante perrealizzare affari sulla loro pelle,introducono il reato di clandesti-nità, ennesimo reato-specchiettodella nostra realtà penale, punitocon un’ammenda (per ora), chenon sarà mai pagata, ma serviràal solo scopo di accelerare ulte-riormente le procedure ammini-strative di espulsione. Eppure,paradossalmente, l’art. 18 deld.lgs. 286/98 prevede la conces-sione del permesso di soggiornoa chi denuncia i soggetti arteficidel traffico di migranti e dellosfruttamento del lavoro e dei cor-pi, ed è una norma che ha datobuoni frutti finora, consentendo acentinaia di migranti di denuncia-re i propri aguzzini e restare nelnostro paese, ma andrebbe ulte-riormente rafforzata e diffusa co-me applicazione. Come sianocompatibili norme così antiteti-che, da un lato mirate a proteg-gere, dall’altro a criminalizzare ilmigrante, è non solo un vero mi-stero, ma anche espressione divera schizofrenia legislativa. Ecome sia possibile concepirel’ampliamento fino a sei mesi deitempi di detenzione nei centri diidentificazione per i migranti sen-za capire la matrice criminogenadi una tale previsione, con l’isti-tuzionalizzazione di veri e proprilager a tempo, che determinano

    sistematicamente scontri e vio-lenze con le forze dell’ordine, èaltrettanto misterioso.Siamo così di fronte all’ennesimoesempio di legge ingiusta, reper-torio nel quale il nostro paese ne-gli ultimi anni ha dato prova diampia creatività, dalle depenaliz-zazioni del falso in bilancio alleleggi mirate a sospendere i pro-cessi alle alte cariche dello stato,al legittimo sospetto, per non ci-tare che quelle più note: leggi in-giuste che è nostro dovere, primadi applicarle, sottoporre a verifi-che di costituzionalità, e se delcaso sottoporle all’attenzionedella Corte Costituzionale per fa-re in modo che cessi la loro citta-dinanza nel nostro ordinamento.L’unico dato certo è che continual’opera mediatica e normativa dicriminalizzazione dei migranti daparte di chi ha responsabilità digoverno, mirata a sollevare edenfatizzare nell’opinione pubbli-ca la percezione dell’insicurezza,e a far considerare gli stranieri,senza distinzioni, come dei nemi-ci pubblici. “Ma - come sostienePrimo Levi - quando individui epopoli cominciano a consideraregli stranieri come nemici, alla fi-ne del percorso c’è sempre il la-ger”. E se questi sono ancora uo-mini.

    [giudice, Trani, Bt]

    bbiamo ricevuto dagli autori e dagli editorii seguenti volumi. Li ringraziamo per l’attenzione e il dono.

    A. CAPUTO, Io e tu. Una dialettica fragile e spezzata. Percorsi conPaul Ricoeur, Stilo Editrice, Bari 2009.

    R. NOGARO, Ero straniero e mi avete accolto. Il Vangelo a Caserta,Laterza, Roma 2009.

    DIOCESI DI ANDRIA, Giornata della Concordia e del Bene Comu-ne, Andria 2009.

    in dono

    a

    econdo uno studio condot-to da una rivista britannica,

    per sopravvivere in ufficio biso-gnerebbe prendere ad esempiole scimmie e gli scimpanzé. Inche modo? Prendendoli a model-lo in comportamenti quali: il nonprendersi meriti per lavori fatticollettivamente; l’essere nellegrazie del capo (utile per ottene-re aiuto nelle “battaglie”); nonserbare rancore (gli scimpanzé,anche dopo una lotta, fanno pa-ce a suon di baci e abbracci, eli-minando in tal modo lo stress);fare gioco di squadra. Talvoltaverrebbe, infatti, da chiedersi sel’apice nella linea evolutiva deiprimati sia stato davvero raggiun-to con l’uomo e non con la scim-mia, soprattutto quando ci si im-

    batte in ambienti difficili, la cuiquotidianità è fatta spesso di con-flitti e relazioni bloccate dall’invi-dia, dall’individualismo e da undiffuso opportunismo. Le tanteanalisi di clima aziendale – cosìdi moda negli ultimi tempi (vedila rivista New Scientist) – recita-no: “L’uomo è il fattore determi-nante del successo di un’azien-da”, ma nei fatti, anche quando irisultati sono poco lusinghieriper le aziende in cui sono effet-tuate, queste analisi servono aben poco, se le azioni adottatehanno essenzialmente un valore“cosmetico”. Si trascurano, forsevolutamente, quelle che sono leprincipali cause delle difficoltànell’ambiente di lavoro, vale a di-re: personale non sempre maturo

    e responsabile unito a capi an-ch’essi poco maturi, non adegua-tamente formati a svolgere il lorocompito e quindi con modestecapacità manageriali, talvolta in-clini ad assumere stili di gestioneindividualistici, o peggio autori-tari e dirigisti, ben lungi dal favo-rire un clima di cooperazionecon e tra i propri collaboratori. Aciò si aggiungano cattiva organiz-zazione, disparità nei trattamentie carenza di meritocrazia. Conqueste zavorre il proprio lavoroviene vissuto con insofferenza,inerzia e frustrazione, ed allora lagiornata di lavoro diventa un pe-sante fardello, altro che leggerez-za.

    [impiegato, Cassano, Bari]

    di Nunzio Lillo

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    ercasiunfineperiodico di cultura e politicaanno 5 n. 45 • reg. presso il Tribunale di Bari, n. 23/2005.

    direttore responsabile: Rocco D’AMBROSIOredazione: Franco FERRARA, Pasquale BONASORA, EmanueleCARRIERI, Carole CEOARA Massimo DICIOLLA, Vito DINOIA,

    Domingo ELEFANTE, Franco GRECO, Pino GRECO,

    Nunzio LILLO, Pina LIUNI, Antonella MIRIZZI, Paola NOCENT,

    Fabrizio QUARTO.

    sede dell’editore e della redazione:ASSOCIAZIONE CERCASI UN FINE ONLUS,

    via Carlo Chimienti, 60 70020 Cassano (BA)

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    grafica e impaginazione: MAGMA Grafic di Guerra Michele & C.,mail: [email protected]

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    web master: Vito Cataldo

    periodico promosso da

    SCUOLE DI FORMAZIONE ALL’IMPEGNO SOCIALE E POLITICO

    dell’Associazione Cercasi un fine presenti a

    Massafra (Ta) dal 2002; Cassano delle Murge (Ba) dal 2003;

    Bari (in due sedi), dal 2004;

    Minervino Murge (Bt) dal 2004; Gioia del Colle (Ba) dal 2005;

    Putignano (Ba) dal 2005; Taranto dal 2005;

    Conversano (Ba) dal 2005; Trani (Bt) dal 2006;

    Andria (Bt) dal 2007; Orta Nova (Fg) dal 2007;

    Gravina in Puglia (Ba) e Palo del Colle (Ba) dal 2008;

    Modugno (Ba), Acquaviva delle Fonti (Ba), Sammichele di Bari (Ba),

    Parrocchia S. Paolo (Ba) dal 2009.

    in collaborazione con

    ERASMO ONLUS - CENTRO DI RICERCA FORMAZIONE E

    DOCUMENTAZIONE SULL’EUROPA SOCIALE – Gioia del Colle (Ba)

    La citazione della testata Cercasi un fine è tratta da SCUOLA DI

    BARBIANA, Lettera ad una professoressa, LEF, Firenze, 1967

    I dati personali sono trattati ai sensi del d.lgs. n. 196/2003; i diritti ed

    il copyright © di foto e disegni sono dei rispettivi autori ed editori; la

    pubblicazione su questa testata non ne comporta l’uso commerciale.

    c

    artiamo dalla definizionedi immoralità, ovvero: “as-senza di principi morali e

    valori ”, bene ora proviamo a ri-condurre tale definizione nel-l’ambito della politica e ancora atutt’oggi non riesco a dargli unaidentificazione ben precisa. L’im-moralità politica personale e col-lettiva nell’interesse di pochi,non è caratterizzata solo dallosperpero del denaro pubblico onell’applicare sistemi fiscali in-giusti o vessatori, dal trasformarei luoghi istituzionali in lupanaried alcove, ma è anche immorali-tà; dare impieghi pubblici e pri-vati a persone incompetenti, èimmoralità abusare della propriainfluenza nell’amministrazionedella giustizia, o nell’assegnazio-ne degli appalti. Resta a questopunto il dubbio se secondo la do-minante cultura liberista ha piùvalore l’immoralità privata piutto-sto quella pubblica, è più gravel’immoralità di destra o quella disinistra? La corruzione, il meretri-cio, la facilitazione degli amicidegli amici, sono sempre storica-mente esistiti, per questo ogginon scopriamo nulla di nuovo,

    ma è pur vero che questi atteg-giamenti deviati sono sempre sta-ti oggetto di censura e di indigna-zione da parte del popolo sano.Oggi purtroppo affermiamo, conmolta leggerezza, che ognuno, acasa sua è libero di gestire la pro-pria vita morale come meglio ri-tiene purchè il politico di turno,è vero che ha pensato a se stes-so ma ha anche fatto un pò di be-ne alla collettività; gli errori del-l’uno sono diversi da quello del-l’altro schieramento solo edesclusivamente perché della fa-zione politica avversa. È il rischioculturale dell’insensibilità del po-polo di fronte al dilagare dell’im-moralità nel privato e nell’ammi-nistrazione dello Stato e degli En-ti Locali e che con la cultura delmuro contro muro fa solo “even-tualmente” guardare i difetti al-trui senza accorgersi, come spes-so accade, che corruzione e ma-laffare spesso risiedono in casapropria. Di fronte a tali situazioniil dibattito sull’immoralità rischiadi esaurirsi nell’ avvalorare sfu-mature di tolleranza che spessorappresentano il disarmo del po-polo di fronte alla cancrena stori-

    ca dell’immoralità impunita, onella migliore delle ipotesi diavere solo un’ottica parziale delproblema perché permeati daconcetti ideologici o falsi valoriculturali. Un popolo dominatodall’immoralità non è un popololibero. La questione morale nonè più il cavallo di battaglia di unoschieramento politico, in quantola storia odierna li smentisce tut-ti, alla immoralità di un gover-nante corrisponde con pari valo-re l’immoralità dell’amministrato-re locale di turno. E’ questo il ri-schio che porta all’incapacità dievolvere una vera democraziadell’alternanza, in quanto lacompetizione non è più sul cam-po dei valori o dei programmiper la crescita collettiva, ma èsempre più concorrenza tra unpotere liberale ed un potere so-cialdemocratico, intento esclusi-vamente ad accaparrarsi la posi-zione dominante, per meglio ge-stire il tornaconto personale odelle lobby collegate, masche-rando il tutto con la dottrina delbene comune, che in questo con-fronto è solo mera speculazioneelettorale piuttosto che dialettica

    meditando di Luigi Ancona

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    culturale, il tutto con il consensodel popolo tollerante, ben addo-mesticato dal potere mediatico.Non si tratta a questo punto di in-dire una nuova crociata o porre“aut aut”, ma è importante arriva-re ad una riflessione, perché seè vero che l’immoralità può esse-re sia bianca che nera è anche ve-ro che tra le due tinte esiste an-che il grigio e cioè quella parte diimmoralità tollerata, spesso silen-te e sommersa che fa comodo atutti, affrontata con la leggerezza

    e la complicità dei tanti. Ora piùche mai si avverte le necessità diinterrogarsi su cosa è morale ecosa non lo è, e chi meglio inter-preta l’impegno sociale con soli-de basi etiche, perché solo conl’affermazione del valore condi-viso del bene comune possiamorendere credibili democrazia li-berale e socialdemocrazia, cardi-ni politici della cultura occidenta-le.

    [bancario, Palo, Bari]

    Siamo grati a tutti coloro che ci sostengono con la loro amicizia, con i loro contributi

    intellettuali ed economici. In piena autonomia, in un clima di dialogo e nel rispetto

    delle posizioni di tutti e dei ruoli ricoperti, siamo ben lieti di poter fare tratti di strada

    in compagnia di...Luigi ADAMI, Luigi ANCONA, Adelina BARTOLOMEI, Rosina BASSO, Vittorio BEL-LAVITE, Eleonora BELLINI, Sergio BERNAL RESTREPO, Angela BILANZUOLI, GinaBONASORA, Vito BONASORA, Giancarlo BREGANTINI, Giuseppe CALEMMA, Lu-cia CAMPANALE, Liberato CANADA’, Adriano CARICATI, Vincenzo CARICATI,Raffaella CARLONE, Giuseppe CASALE, Arturo CASIERI, Emanuele CAVALLONE,Sario CHIARELLI, Luigi CIOTTI, Gherardo COLOMBO, † Imelda COWDREY, RoccoD'AMBROSIO, Raffaele D’AMBROSIO, Dominica DE LUCA, Nica DE PASCALE, An-namaria DI LEO, Saverio DI LISO, Monica DI SISTO, Ester FERRARA, Lilly FERRARA,Paola FERRARA, Ignazio FRACCALVIERI, Michele GUERRA, Mimmo GUIDO, Savi-no LATTANZIO, Raniero LA VALLE, Gaetana LIUNI, Gianni LIVIANO, Aldo LOBEL-LO, Alfredo LOBELLO, Mario LONARDI, Franca LONGHI, Maria Giulia LOPANE, Vin-cenzo LOPANO, Matteo MAGNISI, Antonio MIACOLA, Gianluca MIANO, Giovan-ni MORO, Giuseppe MORO, Walter NAPOLI, Mimmo NATALE, Nicola OCCHIOFI-NO, Cesare PARADISO, Salvatore PASSARI, Rosa PINTO, Luigi RENNA, GiovanniRICCHIUTI, Grazia ROSSI, Alda SALOMONE, Vincenzo SASSANELLI, Roberto SA-VINO, Francesco SEMERARO, Bartolomeo SORGE, Michele SORICE, Maria RosariaSTECCA, Laura TAFARO, Ennio TRIGGIANI, Pietro URCIOLI, Nichi VENDOLA, Do-menico VITI, Elvira ZACCAGNINO, Alex ZANOTELLI

    e di...Cittadinanza Attiva di Minervino (Bt), Suore dello Spirito Santo di Bari, Gruppo “Peril pluralismo e il dialogo” di Verona, Laboratorio Politico di Conversano (Ba), Asso-ciazione “La città che vogliamo” di Taranto, Biblioteca Diocesana di Andria (Bt), Uf-ficio Pastorale Sociale di Trani (Bt), Associazione Pensare Politicamente di Gravina inPuglia (Ba), Circolo ANSPI di Orta Nova (Fg), Fraternità Cappuccina di Bari-Fesca,Consulta Interparrocchiale di Palo del Colle (Ba), Fair, progetti e campagne per l’eco-nomia solidale, Genova-Roma, Associazione LiberAggiunta di Palo del Colle (Ba),Associazione I confini del vento di Acquaviva delle Fonti (Ba), @ssociazione Pluraledi Sammichele di bari (Ba), parrocchia S. Paolo (Ba).

    L’Associazione Cercasi un fine è promotrice anche di una Rete, di cui è capofila, perla realizzazione di alcuni progetti; essa è formata da Centro Studi Erasmo Onlus diGioia del Colle (Ba); Cooperativa sociale Explorando Onlus di Bari; Associazione Ita-liana Persone Down di Bari; Associazione Etnie Onlus di Bisceglie (Ba); CooperativaVerderame-WWF di Bari; Cooperativa sociale Teseo Onlus di Conversano (Ba); Coo-perativa sociale Il filo di Arianna di Massafra (Ta); Associazione Orizzonti Nuovi:“Evandro Lupidi” di Laterza (Ta); Nova Consorzio Nazionale per l’innovazione socia-le di Trani (Ba); Associazione Casa del Sorriso di Martina Franca (Ta); Caritas Dioce-sana di Trani-Barletta-Bisceglie.

    Per ulteriori informazioni si veda il nostro sito.

    insensibili e incivili

    di tangente in tangente?seminario di studi su corruzione e mondo politicoe amministrativo

    Sabato 5 dicembre 20099 - 13Hotel Svevo via Santeramo, 31970023 Gioia Del Colle (BA)el circuito diCercasi un finefinora programmateper il 2009-2010 sono:

    destinatari

    Il seminario è rivolto a Sindaci, Consi-glieri delle Autonomie Locali, Assessori,operatori della Pubblica Amministrazio-ne, adulti e giovani in formazione politi-ca. Il Seminario intende studiare gliaspetti antropologici, etici e giuridici deifenomeni di corruzione che interessanoil mondo politico e amministrativo, al fi-ne di comprendere meglio il fenomeno econtrastarlo più efficacemente.

    Programma

    9 arrivi9.15 La corruzione:aspetti antropologici ed eticirev. prof. Rocco D’Ambrosio, docente di etica politica, Pontificia Univer-sità Gregoriana di Roma e FTP di Bari

    10.15 coffee break

    10.45 La corruzione: aspetti giuridici enormatividott. Roberto Rossi, sostituto procuratore presso il Tribunale diBari

    - question time da parte dei partecipanti

    13 conclusioni

    Associazione Cercasi un fine ONLUSVia C. Chimienti, 6070020 Cassano delle Murge (BA)tel 080 3004808 - fax 080 776347 - cell. 3393959879 -339 [email protected]