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“curvismi” di Franco Krauss per

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“curvismi”di Franco Krauss

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“curvismi”

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Perché è così bello andare in moto? Forse perché sei semprein bilico fra la consapevolezza del controllo della situazionee quella dell’instabilità, pericolosa e affascinante insieme,del precario equilibrio del mezzo. Nelle forme estremesi passa dal delirio di onnipotenza alla paura: un’alternanzache assomiglia a una vita diversa e romantica, che peròci spaventa vivere. La condensiamo così, cercando le curveo facendoci ipnotizzare dallo scorrere della strada sottole ruote. Una sensazione che solo una motocicletta può dare.

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Sarebbe bello imparare a guida-re una motocicletta leggendoun manuale. Non è possibile.

D’altro canto, la sola pratica non sem-pre è sufficiente, soprattutto per quantisi avvicinano alla motocicletta da adul-ti. Le inibizioni, mi pare, crescono colpassare degli anni e diventa semprepiù difficile osare, sperimentare. Que-sto è un guaio, perché guidare una mo-tocicletta è soprattutto praticare unosport, è una capacità che migliora conl’esercizio, che si affina col tempo e lapratica, a patto di avere la voglia, ap-punto, di sperimentare.La maggior parte di quanti usano unmezzo a due ruote per spostarsi nonha un buon controllo sul veicolo. Ci staseduto sopra, spesso in balia del suopeso e delle condizioni della strada.Il problema è che si confonde abilità, equindi controllo, con velocità. La capa-cità di guida non costringe a teneremedie elevate, consente di interveniresu una situazione di rischio con mag-giori probabilità di successo. La veloci-tà, poi, è relativa; infatti bisognerebbeparlare di percezione della velocità.Quella che sembra a me una velocitàfolle, è la velocità di riscaldamento perun pilota. Quindi è meglio fare subitouna distinzione importante fra velocitàin pista e velocità in strada. Nei capitoliche seguono parleremo spesso di gui-da in circuito e, in questo caso, la velo-cità è quella massima in assoluto con-sentita dalla nostra abilità e dalla capa-cità del mezzo. Quando parleremo distrada, invece, la velocità si intendecondizionata e limitata da un elementofondamentale: la sicurezza.

In strada, per nessuna ragione, biso-gna superare la velocità che ci consen-te di fare fronte a qualsiasi situazionedi emergenza attingendo alle sole no-stre capacità di guida.I limiti che si incontrano sono moltospesso ridicoli e incongrui rispetto allastrada. Non intendo fare alcun fervori-no sul rispetto delle leggi e sulla pru-denza. Se tuttavia potessi dare un con-siglio, sarebbe solo questo: “Guidatestando in difesa”.Lo scopo che mi sono prefisso racco-gliendo queste note - oltre il puro pia-cere di farlo, ovviamente - è di mettereper iscritto una sorta di percorso for-mativo. Non credo, come detto, che siapossibile imparare a guidare leggendo,però si può cercare di seguire una trac-cia che metta a confronto con una se-rie di esperienze, alcune delle quali as-solutamente anti-istintive, accelerandoi tempi di conoscenza delle potenziali-tà della motocicletta e di crescita dellapropria abilità nel condurla.Ci sono alcuni aspetti della guida chesi imparano solo se si sperimenta mol-to o se qualcuno ce li insegna. Cono-sco un mucchio di motociclisti di lungocorso che non sono in grado di fareuna curva senza sbagliare almeno unadelle fasi di cui si compone la guida“non in rettilineo”. I motivi per cui ci siritrova con centinaia di migliaia di chi-lometri di esperienza e un controllo ap-prossimativo del mezzo sono tanti, cre-do però che l’indicazione dei modi cor-retti e un poco di buona volontà potreb-bero migliorare di molto la situazione.

f.k.

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Parte primacurvismi di base

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Tre principifondamentali

Ci sono alcune nozioni generali cheservono a capire come funziona unamotocicletta. Non mi riferisco al motoreo ai vari dispositivi, ma al perché acca-dono le cose in un modo anziché in unaltro. A tutta prima potrebbe sembrareuna digressione inutile, invece credosia di importanza fondamentale.Comincio chiedendo scusa ai tecniciperché intendo banalizzare il più pos-sibile alcuni concetti di notevole com-plessità. Leggendo le righe che seguo-no lagrimeranno sangue come la Ma-donnina di Civitavecchia.Allora, le prime cose da sapere sono itre perché fondamentali del motocicli-smo: perché una moto sta in equilibrioquando si muove, perché gira, perchéscivola.La motocicletta ha un equilibriodinamico che è generato princi-palmente dall’effetto delle ruoteche girano. Il peso delle ruote ela velocità di rotazione creanoun effetto giroscopico che tendenaturalmente a tenere la motodritta. Al decrescere della velo-cità di avanzamento tutte le al-tre forze che agiscono sulla mo-to, invece, finiscono col farla ca-dere. Il concetto sarà anche ov-vio, ma ci servirà in futuro per spiegarealcune cose.La capacità di girare inclinandosi è in-vece generata dal fatto che le gommesono approssimativamente due semi-coni uniti per la base. Se costruite uncono con un pezzetto di carta e lo col-

pite, percorrerà una traiettoria curva gi-rando dalla parte più stretta. Il minordiametro alle estremità della gomma falo stesso effetto; quindi, inclinando lamoto, si cammina su un semicono daldiametro decrescente e si gira. Da no-tare anche che, così facendo, è comese si utilizzasse una ruota di diametroinferiore a mano a mano che aumental’inclinazione della moto.L’argomento dell’aderenza è di grandecomplessità in quanto sulla moto agi-scono e interagiscono numerose forze.A quanti hanno un’autentica passioneper la fisica consiglio senz’altro il volu-me “Dinamica e tecnica della motoci-cletta” di Gaetano Cocco, edito daGiorgio Nada. È un mattone di propor-zioni bibliche, ma spiega nei dettaglipiù intimi tutta la fisica della moto emolto altro.

Quello che si deve tenere a mente inogni circostanza è che si dispone di uncapitale di attrito che ci arriva in dotedall’impronta a terra del pneumatico.Tanto per quantificare la cosa, si sap-pia che una moto con gomme da stra-da ha, rispetto all’asfalto, una superfi-

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cie d’appoggio poco più grande di unpacchetto di sigarette. Il nostro capita-le di attrito è tutto qui. A quanti si chie-dono come mai le gomme per le motosi consumano tanto più in fretta rispet-to a quelle delle auto, si può senz’altrorispondere che fanno un lavoro molto,ma molto più gravoso.Ora, saputo che il nostro patrimonio èquello, dobbiamo anche sapere chequesto patrimonio lo utilizziamo per di-verse cose. Marciando in rettilineo ciconsente di utilizzare la spinta peravanzare e basta; mentre in curva de-ve garantire l’avanzamento, ma anchecontenere la spinta laterale.Le gomme sportive, con il loro profiloappuntito, servono proprio a fornire ungrande appoggio in curva, anche a dis-capito della stabilità in rettilineo. Infatti,una volta inclinate, garantiscono unasuperficie d’appoggio maggiore rispet-to a quella che danno quando sonoperfettamente verticali.Accelerando e frenando utilizziamo ilnostro capitale di attrito per scaricareal suolo la spinta e avanzare, ovveroper trasformare l’energia dello sposta-

mento in calore frenando. Questo ca-pitale non è fisso, ma fluttua a secondadel contesto. Su fondo viscido il capita-le diminuisce e quindi abbiamo menopossibilità di avanzare e meno capaci-tà di inclinazione della moto.

Per quanto assurdo possa sembrare,data la loro banalità, queste tre nozionisono alla base della guida.

Nel sito delle motocicliste si trovanodelle note relative alla scelta della pri-ma moto. Prima ancora di parlare dellaprima moto, però, vorrei descriverequello che, secondo me, è il percorsoformativo ideale per chi si avvicina allamotocicletta da adulto. Anzi, mi spinge-rei a dire che è il percorso formativoideale e basta.

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In rosso,il profilo più appuntitodel pneumatico sportivo

Nel percorrere una curvaun pneumatico subisce

diverse sollecitazioni:oltre alla spinta prodotta

dal motore, diventanoassai significative le

accelerazioni laterali.I limiti dei moderni

pneumatici sono davveroelevati e anche una

sport-tourer può garantireuna guida di grande

soddisfazione

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Cominciarecon il fuoristrada

Per imparare a guidare una motociclet-ta è assolutamente opportuna una cer-ta frequentazione del fuoristrada. Ladimestichezza che regala la guida sul-le superfici incoerenti (sabbia, pietri-sco, fango, erba, terra) è insostituibilee si rivela preziosa anche nella guidacittadina di tutti i giorni, quando tombi-ni, rotaie, pavè e strisce pedonali nonfanno rimpiangere la Parigi-Dakar.Sulla moto da fuoristrada vigono lestesse leggi che regolano l’esistenzadelle moto stradali, la differenza è chetutto è amplificato.Il trasferimento di carico è già abba-stanza evidente in una moto guidata suasfalto: accelerando il peso si spostaindietro; frenando va avanti.Nella guida sportiva si sta rannicchiatiin rettilineo, eretti in staccata e poi siavanza verso il serbatoio, il tutto con

movimenti dall’ampiezza contenuta.Nella guida fuoristrada si sta in piedi inrettilineo, accucciati sulla parte poste-riore della sella in staccata e seduti inprossimità del manubrio in percorren-za e uscita di curva.Questo perché i movimenti sono gli

stessi, ma l’ampiezza èmolto maggiore in quanto,nella guida su terreni in-coerenti, buona parte dellatrazione è garantita dallacapacità del pilota di fargravare il peso esattamen-te dove serve, caricando ilretrotreno in staccata perevitare che il trasferimentodi carico eccessivo facciaperdere aderenza alla ruo-ta anteriore, ma poi seden-dosi a pochi centimetri daltappo del serbatoio per au-mentare la direzionalitàdell’avantreno.

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A influire sulla quantità di peso da tra-sferire è poi il tipo di terreno, cui sonocollegati anche la velocità e il tipo digomma. Insomma, ogni curva è diver-sa dalle altre e questo spiega perché lacapacità di reazione sviluppata nel fuo-ristrada sia così utile anche per chi vain pista.Quasi tutti i piloti GP e SBK, praticanole discipline del fuoristrada proprio co-me forma di allenamento.Il massimo sarebbe poter cominciarecon una Honda XR100, quasi introva-bile in Italia, ma è adatta anche una125 quattro tempi, tipo Honda XL, tan-to per fare un esempio, si trova a pochisoldi e consente di cominciare a farepratica di fuoristrada.Al limite può andare bene anche unoscooter da fuoristrada; basta, insom-ma, che sia leggero, maneggevole eabbia le gomme tassellate.Si dovrebbe cominciare provando par-tenze sul terreno smosso, frenate de-cise fino al bloccaggio della ruota po-steriore e poi cerchi e “otto”. Gli otto sulterreno sono un esercizio utilissimo.Servono soprattutto per imparare a ri-conoscere le reazionidella moto in percorren-za di curva. Si imparasubito, ad esempio, cheil sostegno del gas è irri-nunciabile.Proprio perché fuoristra-da le reazioni della motosono esasperate è pos-sibile sperimentare a ve-locità molto bassa tuttigli effetti dei comandi im-partiti alla moto. E non si

tratta, ovviamente, solo di freno e ac-celeratore, ma anche di spostamentodel peso, di pressione sulle pedane edaltro: tutte componenti della guida cheanalizzeremo in corso d’opera.Con una moto da fuoristrada si puòguidare facilmente stando in piedi sullepedane, si impara anche a “staccare”in piedi per poi cercare la posizione insella più conveniente per percorrere lacurva.Ancora, si impara a dirigere la moto ca-ricando il peso sulle pedane, tecnicaindispensabile per governare il mezzosu terreni particolarmente insidiosi co-me le pietraie, ma di fondamentale im-portanza su tutti i tipi di fondo, asfaltocompreso.Il fuoristrada consente di giocare conla motocicletta ed è un gioco da farespesso, per conservare la dimesti-chezza col mezzo e affinare la sensibi-lità nel comprenderne le reazioni.Insomma, la guida sui tasselli è moltopiù che una disciplina motociclistica, èuna palestra quasi irrinunciabile, qua-lunque tipo di moto si possieda e qua-lunque uso si faccia della motocicletta.

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E subito dopo...la pista

Altro suggerimento è quello di farequalche puntatina in pista appena si èraggiunto un buon livello di fluidità nel-la guida.Una volta sufficientemente padroni delmezzo, è assai opportuno frequentareun corso di guida in pista oapprofittare dei turni di pro-ve libere che sempre piùspesso vengono proposti davarie organizzazioni. Megliose i turni sono organizzati ri-spettando la capacità deipartecipanti (principianti,esperti e piloti).C’è da dire che la sola paro-la “pista” spaventa molti pervia del fatto che c’è troppamitologia relativa alla “guidaal limite”.È assai triste sentire quei motociclistiche si esprimono utilizzando le frasiimparate leggendo i vari periodici spe-cializzati. È una pratica comune per-ché assai comoda quella di sceglieredi far pensare e giudicare gli altri, cui sidelega questo compito senza esercita-re nemmeno una funzione di controllo.“Una staccata al limite”, “In sesta pie-na” sono frasi sentite pronunciare cen-tinaia di volte, soprattutto da personeche non sanno guidare. Quindi, mai la-sciarsi intimorire, ma affrontare ogniesperienza di guida con grinta e diver-timento, senza la pretesa di dimostrareniente, ma con la voglia di sperimenta-re e migliorare. Abbigliamento adegua-to, un poco di umiltà e via.

La cosa migliore da fare è percorrere iprimi giri in assoluta scioltezza, se-guendo delle traiettorie pulite e non cu-randosi degli altri. Infatti, i problemi ar-rivano sempre quando si cerca di farequalcosa per agevolare il passaggio diqualcuno più veloce.L’errore più comune è quello di cam-biare traiettoria per lasciare spazio.

Niente di più sbagliato perché chi so-praggiunge tende a fidarsi della lineaimpostata da chi lo precede e quindi sicomporta di conseguenza: si mettedietro, aspetta il momento giusto e poipassa.L’esibizionista imbecille che supera “acannone” lo si può trovare e non popo-la solo le piste - anzi, è più facile trovar-lo in strada - quindi non bisogna farse-ne un cruccio.Si sappia che gli incidenti nei turni diprove libere, soprattutto in quelli riser-vati ai principianti, sono rari e quasisempre di minima entità. La cosa checapita più di frequente è il “dritto” in in-gresso di curva per i più intraprendenti,che arrivano veloci, ma poi non sanno

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gestire il trasferimento di carico e l’in-serimento della moto.Una volta comprese le traiettorie si puòpensare di aumentare il ritmo. Arrivia-mo quindi al punto essenziale dellaguida della motocicletta: la curva.Attraversare un paesaggio incontami-nato in sella alla propria affidabile ca-valcatura, inebriati dai profumi e rapiti

dai colori della primavera in Scandina-via è senz’altro un’esperienza sugge-stiva. Tuttavia percorrere la doppia deiCimini a Vallelunga in un’unica soluzio-ne con la moto quasi parallela al suoloè esaltante. Anche se si gira con tempida calendario più che da cronometro, ilgusto che dà la “piega” è impagabile.In pista ci si diverte parecchio, l’impor-tante è superare il timore iniziale perscoprire che anche gli altri sono lì perdivertirsi e non riusciranno mai a ritoc-care il record del tracciato, ma sono so-lo un poco più esperti e col tempo (il piùdelle volte poco tempo) si potrà rag-giungere il loro livello di abilità.Oltre a garantire divertimento, la pistaconsente di tenere medie ben più ele-

vate rispetto alla strada. Si comincia afrenare e ad accelerare sul serio, a cur-vare veloci, a capire di cosa è capaceuna motocicletta, ma soprattutto si im-para a gestire il peso della moto quan-do l’inerzia diventa significativa.Superata una certa velocità, la mototende ad andare dritta e quindi i cam-biamenti di traiettoria richiedono inter-

venti più decisi. Esperire que-sto significa anche compren-dere una cosa importante ai fi-ni della sicurezza: in autostra-da cambiare traiettoria all’im-provviso è quasi impossibile,quindi è assai bene tenereuna buona distanza di sicu-rezza perché si avrà bisognodi più spazio (e più tempo) perportare la moto anche di unsolo metro fuori traiettoria; iltutto diventa ancora più diffici-le se bisogna farlo frenando.

In pista tutto questo si fa in sicurezza,con le adeguate vie di fuga e con unastruttura in grado di porre rimedio aipotetici errori. A cosa serve riuscire aentrare in curva dopo una violenta fre-nata in pista? Per esempio a evitare diarrivare contromano in curva quandosi guida in strada. A chi non è mai capi-tato di valutare male il raggio di unacurva e di frenare istintivamente in in-gresso, allargando fino (e oltre) la lineadi mezzeria? E se fosse sopraggiuntauna macchina?Lo stesso effetto giroscopico che tienela moto in piedi quando guidiamo, inquesto caso, è il responsabile dell’iner-zia crescente con la velocità. Anche leautomobili soggiacciono alle stesse

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leggi fisiche, ma hanno quattro ruote,le cui masse sono assai meno signifi-cative rispetto al totale. Bisogna sem-pre tenere presente che quella piace-vole sensazione di stabilità offerta so-prattutto dalle potenti sport tourer che“percorrono senza una sbavatura i ve-loci curvoni autostradali” giocherà con-tro di noi appena cercheremo di scar-tare un ostacolo.Soprattutto all’inizio, quindi, bisogne-rebbe cercare la fluidità, la guida pulitafatta di traiettorie impeccabili e di co-mandi impartiti al veicolo con leggerez-za e precisione. Solo dopo si potrà for-zare un poco alla ricerca della migliorevelocità.La tecnica per affrontareuna curva è sempre la stes-sa, in qualunque circostan-za, però fuoristrada e in cir-cuito le sollecitazioni sonomolto più avvertibili.

La curva

Ed eccoci giunti al punto del-la faccenda: come si fa unacurva. È quasi impossibilesfuggire alla poesia dellaguida in piega, ma piegarenon è tutto e non basta. Di fatto è solouno dei momenti di cui si compone unacurva. Schematicamente possiamodescrivere le varie fasi come avvicina-mento, inserimento, percorrenza euscita. Le prime due fasi, soprattutto inpista, tendono ad unirsi perché il ritmoè frenetico e quindi l’abilità consiste nelfare le cose giuste molto velocementee con eccellente coordinazione.

AvvicinamentoIn generale, la fase di avvicinamentoserve a mettere la moto in assetto,quindi sollevandosi se si era percorsoun tratto accucciati e spostando il se-dere più indietro, quindi frenando condecisione e scalando per raggiungerela velocità adatta a percorrere il primotratto di curva.

InserimentoL’inserimento è di fatto il momento criti-co perché bisogna lasciare i freni e, ap-punto, “inserire” la moto nella traietto-ria. Anche in questa fase si avverte inmaniera decisa il trasferimerimento dicarico. Diciamo che, se si arriva alla

curva da un rettilineo, abbiamo la motoin assetto stabile, con il peso che pog-gia equamente su entrambe le ruote(in realtà non è mai così, ma non ren-diamola più complicata di quanto nonsia già). Alla staccata (chiusura delgas, frenata e cambio di marcia) tutto ilpeso tende ad andare verso ruota an-teriore. Spostando indietro il peso delcorpo si compensa in parte il trasferi-

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Le quattro fasi di una curva:l’avvicinamento, in verde;l’inserimento, in rosso;la percorrenza, in giallo;l’uscita, in blu

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mento di carico e si mantiene più equi-librata la moto, ma soprattutto si evitadi gravare troppo sui manubri, che de-vono restare leggeri. Nel momento delrilascio dei freni il peso torna verso ilretrotreno e la sospensione anteriorecomincia a distendersi.Ci sono dei vantaggi in questo. Entrarein curva con la sospensione anterioreancora compressa riduce l’avancorsadella moto e la rende più agile. I pilotisfruttano questa condizione e l’aderen-za offerta dalle gomme per entrare incurva molto forte svoltando stretti perpoi avere più spazio per assecondarela forza centrifuga dell’accelerazione.La successiva distensione della so-spensione anteriore e il trasferimentodel carico verso il retrotreno consento-no di dare aderenza alla ruota poste-riore, che deve scaricare a terra la po-tenza evitando pattinamenti. Quindi idue trasferimenti di carico sono utili,anche se trasmettono una sensazionestrana le prime volte.

PercorrenzaLa percorrenza prevede il passaggiodal gas chiuso al gas aperto ed è unafase delicata se si vuole andare forteperché bisogna cercare il giusto equili-brio fra aderenza e spinta. A moto mol-to inclinata l’aderenza offerta da unagomma serve ad avanzare ma, soprat-tutto, a non scivolare di lato. La sensi-bilità cresce con l’esperienza e diventasempre più facile capire fin dove ci sipuò spingere nell’anticipare l’aperturadel gas.Quello che va detto, soprattutto a chicomincia, è che non bisogna lasciare

troppo a lungo la moto senza il soste-gno della ruota motrice, quindi gaschiuso in entrata, poi apertura gradua-le fino all’uscita, quando si acceleracon decisione.A gas chiuso è bene stare il meno pos-sibile, perché così facendo non si tra-sferisce il carico alla ruota posteriore ela moto sembra instabile, come se do-vesse “prendere sotto” da un momentoall’altro.È una sgradevole sensazione di insta-bilità dell’avantreno e - alle velocità allequali percorre una curva un principian-te - è dovuta soprattutto al fatto che “ilpeso è rimasto sulla ruota anteriore”.La conseguenza è che quasi tutti fini-scono col ritardare ulteriormente l’a-pertura del gas oppure cominciano a“mungere”, aprendo e chiudendo il gascon movimenti quasi impercettibili, mache scompongono ulteriormente l’as-setto.

UscitaL’uscita è il momento in cui la moto sirimette dritta e quindi la spinta lateralediminuisce consentendo di investiretutto il capitale d’aderenza nell’accele-razione.In tutte le fasi della curva è utile e red-ditizio usare le pedane per amplificare icomandi impartiti alla moto.Va premesso che la pressione su unasola pedana è sufficiente a far deviarela moto verso la parte dalla quale sispinge. Quindi la pressione sulla peda-na interna alla curva contribuisce a di-rigere la moto in quella direzione. Nonsolo, ma poiché si preme la pedana in-terna mentre si frena e ci si sposta col

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corpo in avanti e verso l’interno dellacurva, la pressione contribuisce a por-tare il peso verso il basso e la partefrontale della moto, a tutto vantaggiodella velocità e della precisione dell’in-serimento in curva.Nel passaggio fra l’avvicinamento el’inserimento, infatti, il corpo preceden-temente spostato indietro, va spostatolateralmente e in avanti. Diciamo che,percorrendo una curva a destra, biso-gnerebbe avanzare un poco verso ilserbatoio e spostarsi di lato abbastan-za da poggiare sulla sella la sola natica(o addirittura la coscia) sinistra e vice-versa.Questa manovra serve a dirigere il ba-ricentro del complesso moto-pilota nelpunto ideale, che nell’inserimento incurva è in basso, di lato e un pocoavanzatoIl vantaggio che ne deriva è che a pari-tà di velocità di percorrenza, se il corpoè molto in basso, si dovrà inclinare dimeno la moto. Oppure, a parità di incli-nazione della moto, se il peso è in bas-so si potrà andare più veloci.Questa manovra comporta e facilita ilcarico della pedana interna ed haun’altra conseguenza interessanteperché, spostandosi di lato, si praticauna spinta leggerissima al manubriodalla parte interna alla curva, inne-scando un accenno di controsterzoche rende più agevole la svolta.Con il peso già sulla pedana interna sipercorre la prima parte della curva, mapoi arriva il momento di accelerare eraddrizzare la moto. Ecco che avven-gono altre cose interessanti. Accele-rando la moto tende a mettersi dritta da

sola per l’effetto giroscopico di cui ab-biamo già parlato. Rimettendoci al cen-tro della sella tenderemo naturalmentea poggiare il peso sulla pedana ester-na ed è bene perché questo movimen-to contribuisce a raddrizzare la moto ea tenere il peso in basso. Poiché que-sta spinta sulla pedana arriva nel mo-mento in cui l’accelerazione tende na-turalmente a spostare il peso all’indie-tro ecco che l’appoggio sulla pedanaesterna facilita il lavoro della gommaposteriore.Più sono elevate le potenze in gioco,più importante diventa il lavoro sullepedane per avere sempre la massimatrazione.La necessità di esporre i singoli detta-gli ha reso un’immagine frammentata,in realtà la curva deve essere percepi-ta come una manovra unica, quantopiù scorrevole e fluida possibile. Si de-ve pensare a un movimento armonio-so della motocicletta in cui ogni ele-mento si diluisce in quello successivosenza soluzione di continuità. C’è dellabellezza in una serie di curve affronta-te con un numero ridotto di movimenti.

Traiettorie

Come detto, la traiettoria è molto im-portante. Una guida pulita è semprepiacevole da vedere, gratificante da fa-re e tendenzialmente più efficace diuna guida spigolosa.In linea generale la traiettoria più reddi-tizia è quella che ci consente di entrareabbastanza larghi in curva, per poi cer-care la corda e quindi riallargare inuscita. Anche in questo caso, un dise-

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gno spiega meglio di mille parole. Visono tracciate tre traiettorie, una gialla,una blu e una verde. Sono un pocoestremizzate, ma credo rendano l’idea.Quella blu è molto fluida e facile, con-sente di uscire abbondantemente den-tro lo spazio della carreggiata ed è dapreferire per strada, poiché la si puòpercorrere anche ad andatura brillantesenza correre il rischio di trovarsi trop-po all’esterno, anzi, conservando unmargine tale per cui anche un eventua-le errore di chi dovesse sopraggiunge-re in senso opposto non creerebbeproblemi.Quella gialla è più indicata in pista, laparte che immette alla curva vera epropria è più dritta e consente di frena-re più tardi, poi richiede un inserimentoassai deciso in curva, praticamente afilo di cordoli, e un’uscita in piena acce-lerazione, occupando tutto lo spaziodisponibile.Come si vede, sono traiettorie simili,tuttavia le differenze fra le due lineeconsentono di tenere velocità di per-correnza e di uscita molto diverse. Unacosa brutta da vedere e dannosa per la

fluidità è l’abitudine di allar-gare la traiettoria poco primadella curva per poi chiuder-la. Nel disegno è evidenzia-ta in verde. È inutile, nocivae, soprattutto in pista, estre-mamente pericolosa. Dabocciare senza pietà. La do-manda che mi sono sentitofare più spesso relativamen-te alla traiettoria è “come faia sapere qual è la traiettoriagiusta?”. Non lo so. O me-

glio, non so se esiste una sola traietto-ria giusta, ho la sensazione che ce nesiano sempre diverse.Anche guardando i piloti più bravi, notosempre delle diversità, segno che nonc’è una sorta di determinismo tecnicoper cui la linea, da un certo livello in su,è obbligata. Di sicuro, più ci si avvicinaal limite tecnico del mezzo, più le diffe-renze diventano sottili, ma persistono,il che mi fa pensare che ci siano più li-nee “buone”.Mi conforta in questa sensazione an-che la teoria per cui la traiettoria la fa ilgas. Nel senso che la traiettoria giustaè quella che consente di tenere il gaschiuso il meno possibile e di eseguireuna percorrenza quasi tutta in leggera,ma costante accelerazione.Tutte le linee che non consentono diutilizzare correttamente l’acceleratoredevono essere considerate sbagliate.È evidente, quindi, che ci sarannosempre delle piccole differenze gene-rate da messa a punto, stile di guida,profilo dei pneumatici eccetera.Più ci si avvicina alla perfezione, più sinoterà una omogeneizzazione delle

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La linea gialla va benein pista; quella blu in strada,ad andatura tranquilla;quella verde, invece,è da dimenticare

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traiettorie, ma non credo che si possaarrivare all’obbligatorietà di una sola li-nea.Vale la pena di aggiungere che la tec-nica dell’accelerazione costante nonpuò essere considerata universale, cisono almeno un paio di occasioni in cuinon è possibile accelerare sempre, mabisogna parzializzare rinunciando allafluidità e alla velocità di percorrenza.

Si tratta delle curve a doppio apice edelle curve con raggio particolarmentetormentato.La curva a doppio apice necessita diessere percorsa su una linea quantopiù possibile omogenea. Nella realtà,capita di dover parzializzare a metà frai due apici per tenere la moto in traiet-toria.L’altra occasione in cui la tecnica nonvale è data dal cambiamento di raggiodi una curva.Può capitare, infatti, che la curva che sista percorrendo abbia un raggio taleper cui la linea vada stretta con deci-sione trattandosi di una curva che va “achiudere”.

Scegliere il giustopunto di svolta

Osservando i piloti si imparano moltecose, ma bisogna imparare anche a ru-bare con gli occhi. Soprattutto i princi-pianti tendono a entrare in curva il piùpresto possibile, scegliendo un puntodi svolta che li tolga quanto prima dal-l’imbarazzo di dover inclinare la moto e

girare. Può andare bene instrada a bassa velocità, maè - manco a dirlo - un errorea velocità sostenuta. Nel di-segno delle due traiettorie(pagina seguente) ci sonoindicati i punti di svolta.Quella blu è la traiettoria chesi sceglie per paura di entra-re troppo larghi o troppo for-te o chissà cos’altro. La dif-ferenza fra il pilota e il princi-piante è che il pilota sceglie-rà un punto di svolta ben più

avanzato, inclinerà velocemente lamoto, la inserirà in traiettoria e la rimet-terà dritta più in fretta possibile. Passe-rà quindi assai meno tempo con la mo-to inclinata e farà tutto più velocemen-te. Nel caso della traiettoria gialla i se-greti sono due: inserimento rapido e in-clinazione breve. Entrando da un pun-to avanzato e svoltando in maniera de-cisa si ottengono due effetti importanti:si perde meno tempo e ci si trova conpiù spazio all’esterno per assecondarela forza centrifuga dell’accelerazione.La traiettoria blu, al contrario, se affron-tata in velocità, spinge subito verso l’e-sterno della curva. Si potrebbe porre ri-medio correggendo la linea e inclinan-

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La linea da sceglierepercorrendo una curvaa doppio apice deveconsentire un uso accortodell’acceleratore per evitarescompensi alla moto

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do di più la moto, ma sarebbe comun-que un intervento di notevole comples-sità, di sicuro fuori portata per un prin-cipiante.La conseguenza tipica del contempo-raneo verificarsi di velocità elevata epunto di svolta precoce è il dritto inuscita, oppure un clamoroso ritardo al-l’apertura del gas in percorrenza.Scegliendo un punto di svolta precoce

ci si concede la possibilità di svoltare inmaniera più dolce e lenta, ma ci si co-stringe anche a percorrere molta piùstrada con la moto inclinata, con le so-lite conseguenze: timore nell’accelera-re, sensazione di instabilità della moto.Quindi il punto della questione è impa-rare a far svoltare la moto con un gestodeciso e quanto più rapido è possibile,scegliendo il punto di svolta più avan-zato in maniera da dover restare a mo-to inclinata per poco tempo.

Aderenza

Mi spingo ancora più lontano introdu-cendo alcuni concetti relativi alla perdi-

ta di aderenza utilizzata in ingresso ein uscita di curva. Qualche anno fa siinaugurò la stagione dei “mostri” ame-ricani. Si trattava della generazione deiLawson, Spencer, Schwanz, Roberts ecompagnia bellissima. Questi pilotiavevano in comune la formazione,che, negli Stati Uniti, prevede grandiquantità di fuoristrada e dirt track. Que-st’ultima disciplina, che in Europa non

ha mai preso piede, si pra-tica su tracciati derivati da-gli ippodromi, quindi quasiovali. La superficie è di ter-ra battuta e le curve si per-corrono quasi interamentein derapata. Ebbene, que-sti piloti, abituati a guidaredi traverso, introdusseroanche nella guida su asfal-to la derapata in inserimen-to e in uscita. Pur senzaraggiungere le vette dispettacolarità attualmente

patrimonio del supermotard, gli ameri-cani utilizzavano la perdita d’aderenzaper entrare più forte in curva, far girarela moto in una leggera scivolata latera-le e poi indirizzarsi verso il successivorettilineo con una ripresa di aderenzagraduale per evitare l’effetto catapultache tante volte si vede in televisionesbalzare di sella i piloti.La tecnica richiede sensibilità e praticae diventa più difficile al crescere dellavelocità e del peso della moto, però,utilizzata con oculatezza, è davvero ef-ficace. Attenzione perché si tende aconfondere la guida in derapata con lescodate fatte bloccando la ruota poste-riore. Non è la stessa cosa.

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Il crocino nero indica il punto di svoltadelle due traiettorie. Quella blu è piùlenta e porta ad allargare moltoin uscita. Quella gialla è da preferirein ogni occasione poiché ad andaturaturistica consente di “restare stretti” inuscita, mentre in pista fa guadagnaretempo prezioso

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Ebbene, la digressione serve a direche perdere aderenza può essere unvantaggio, se si è in grado di gestire lasituazione.Come dicevo, praticare fuoristradaconsente di sperimentare la derapatapoiché non sono necessarie velocitàtroppo elevate per ottenerla. Una voltafatta l’abitudine alla sensazione della

ruota posteriore che scivola di lato, di-venta assai meno problematico gestirel’improvvisa scodata sulle strisce pe-donali, ma diventa possibile ancheconsiderare l’eventualità di far cresce-re ulteriormente la propria abilità di gui-da imparando a indurre una leggeraperdita di aderenza in ingresso e inuscita di curva guidando in pista.Il sistema più facile per passare dallaterra battuta all’asfalto è la pratica delsupermotard.“Derapare” con una supermotard è piùdifficile e meno istintivo rispetto aquanto accade con una fuoristrada, mameno che con una supersportiva.La tecnica prevede una base già moltobuona, quindi vi consiglio caldamente

di considerare la guida di traverso co-me un punto d’arrivo e non di partenza.Quando riuscirete a guidare abbastan-za bene in circuito, vi potrete cimenta-re nella derapata.Si tratta di arrivare in curva ben più ve-loci di quanto si farebbe se si dovessegirare con la tecnica prevista dalla gui-da in aderenza.

Con la moto ancora dritta sitira una gran staccata trasfe-rendo quanto più peso èpossibile davanti, quindi sipreme leggermente il frenoposteriore senza mai bloc-care la ruota e si inclina inmaniera assai decisa la mo-to. La moto perde aderenzaal posteriore e tende a met-tersi di traverso, pur conti-nuando a ricevere una spin-ta in avanti perché la ruotaposteriore, come detto, non

è ferma. Questa parte è quella menoistintiva, ma non è quella tecnicamentepiù difficile. La parte complicata, che ri-chiede sensibilità, viene adesso: sitratta di percorrere e uscire dalla curvasenza innescare il già citato effetto ca-tapulta.Nel momento in cui la moto si inseriscein traiettoria bisogna lasciare i freni ecominciare a dare gas evitando che lagomma posteriore “attacchi” di colpo,ma cercando di restituirle l’aderenza inmaniera graduale. La pedana esternadeve essere ben carica e la gamba in-terna tesa in avanti, come nel fuoristra-da quando si affrontano le curve conappoggio.Guidando una stradale in pista la cosa

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è molto meno spettacolare, tuttaviapuò capitare di sentire la ruota poste-riore che scivola, soprattutto in uscitadi curva. Ebbene, se possibile, nervisaldi, evitare di chiudere il gas, ma li-mitarsi - se proprio serve - a smetteredi accelerare per qualche istante e pi-giare sulle pedane (in uscita di curva sidovrebbe fare sempre e comunque).Se la perdita di aderenza è leggera eprogressiva non è spaventosa nem-meno le prime volte e quindi, se si èfortunati, può capitare di non essernetraumatizzati e di cercarla volontaria-mente fino a farla diventare un buonausilio per chiudere la traiettoria in pi-sta. Se ci prende alla sprovvista e simanifesta in maniera violenta, invece,è normale esserne spaventati e quindisarà ben più difficile decidere di impa-rare la tecnica della derapata. Tuttavia,è bene sapere che una leggera e pro-gressiva perdita di aderenza, soprat-tutto in uscita di curva, è un elementopositivo che bisognerebbe addiritturacercare e imparare a usare per sfrutta-re al massimo la velocità di percorren-za. Stiamo parlando, però, del perfe-zionamento del pilota sportivo, di unelemento della guida, cioè, che diven-ta bagaglio necessario se si vuole faredell’agonismo.

Dieci minuti di pioggia

Torno alla guida su strada con una pic-cola digressione sui primi dieci minutidi pioggia.A pochissimi motociclisti piace guidaresotto la pioggia. La sensazione di in-stabilità della moto genera sempre un

irrigidimento che complica ulteriormen-te le cose in caso di improvvisa perditad’aderenza.In generale, la cosa migliore da fare èadottare una guida molto fluida e “diprevenzione”: anticipare le manovre erenderle più dolci, non sollecitare frenie sospensioni e percorrere linee quan-to più rotonde e pulite possibile.Da evitare accuratamente la segnaleti-ca orizzontale, cioè le vernici con cuisono realizzati i limiti di corsia e le stri-sce pedonali. Purtroppo, negli ultimianni, questo tipo di segnaletica vieneimpiegata con crescente diffusione,senza considerare minimamante i pro-blemi che comporta trovarsi all’improv-viso sotto le ruote una superficie dalcoefficiente d’attrito assai basso qualepuò essere una striscia pedonale ba-gnata dalla pioggia. Nella maggior par-te dei casi sarà sufficiente allentare unpoco l’azione frenante all’avantreno efingere di ignorare la leggera scodataperché la moto recuperi direzionalità inmaniera autonoma. Al contrario, un in-tervento sconsiderato può facilmentetrasformarsi in una scivolata.Asfalti drenanti e battistrada dalla scol-pitura appositamente realizzata posso-no rendere la guida sul bagnato co-munque soddisfacente, di contro pavi-mentazioni stradali vecchie e gommeusurate trasformano una passeggiatasotto una pioggerella primaverile inqualcosa di simile a una gara di speed-way.La situazione peggiore - in termini discivolosità - è rappresentata dai primidieci minuti di acquazzone estivo.Questa è la condizione che ogni moto-

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ciclista deve temere più di ogni altra. Acausa del caldo estivo l’asfalto cedeparte del bitume di cui è composto informa di una leggera umidità oleosa.Quest’ultima, tuttavia, si mescola allapolvere che si accumula per via dellasiccità e, di norma, non crea problemi.Il rischio si concretizza in caso di piog-gia; infatti l’acqua piovana trasportaverso l’alto questa sostanza oleosarendendo la superficie stradale estre-mamente scivolosa. Bastano però unadecina di minuti perché la pioggia lavila strada restituendo all’asfalto la suacapacità di tenuta. Quindi, se cominciaa piovere, massima attenzione soprat-tutto all’inizio.Per quanti amano la guida sportiva e sitrovassero in circuito con un pacco diturni già comprati e la pista bagnata, siaggiunga che, in caso di pioggia, le so-spensioni vanno regolate riducendonela rigidità e le frenature. Difficilissimoindicare l’entità dell’ammorbidimento,si può dire che se si possiedono dueregolazioni, una da strada e una da pi-sta, in caso di pioggia è consigliabileutilizzare anche in circuito la regolazio-ne stradale.

Le cose non vannosempre comedovrebberoFin qui si è parlato di quanto è belloguidare e di quanto gratifichi la guida inpiega. Affrontiamo l’inedito capitolo delperché le cose non sempre vanno co-me dovrebbero.Apro una parentesi per innalzare uncanto di ringraziamento al signor Keith

Code, direttore della California Super-bike School, dove vanno a fare dei cor-si di perfezionamento anche piloti di li-vello mondiale. Costui ha scritto alcunivolumi, tra i quali segnalo “A twist of thewrist” 1 e 2. Molte sensazioni che fati-cavo a decifrare sono state abilmentetradotte in parole e concetti, con il con-forto delle testimonianze dei molti pilotiche hanno avuto modo di migliorare ilproprio stile di guida grazie ai consiglidi Code. Avendo tempo e una buonaconoscenza dell’inglese, potrete trarresicuramente giovamento dalla letturadei due volumi.Quante volte avete sentito dire lasbruffonata “Nel dubbio tieni aperto”?È la traduzione (errata) di una di quelleforme sintetiche che gli americani ado-rano: “When in doubt, gas it”. Alla lette-ra andrebbe tradotto “Nel dubbio, ac-celera”. La differenza non è da poco,vedrete.Altra frase storica: “Per chiudere la cur-va dai gas”. Quanti la dicono, ma quan-ti sanno cosa stanno dicendo? Mi sonotormentato per molto tempo cercandodi spiegarmi la ragione per cui dandogas la mia moto allargava invece dichiudere. Ho capito solo dopo che en-trambe le frasi sono ulteriori manifesta-zioni della delega dell’attività di pensie-ro. E torniamo al dunque: per qualemotivo capita che non si riesca a faretutto alla perfezione?

Centauri e scimmieLa maggior parte dei problemi, nel per-correre una curva, derivano dalle no-stre reazioni all’imprevisto. Tipicamen-te, ci pare di essere troppo veloci e ral-

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lentiamo, scoprendo dopo che non cene era affatto bisogno. Questa è la si-tuazione classica, che nella maggio-ranza dei casi non genera altro se nonuna certa inquietudine e una flessionedell’autostima. Tuttavia, è la manife-stazione evidente di un collegamentodiretto fra la sensazione di pericolo e lareazione istintiva di sopravvivenza,

che ci spinge a ridurre la velocità. Sefossimo a piedi, nella foresta, forsequesta reazione sarebbe perfetta. Ral-lentando abbiamo modo di sfruttare lemodifiche che la paura apporta al fun-zionamento del nostro organismo: imuscoli si preparano a una contrazio-ne violenta, lo sguardo diventa freneti-co alla ricerca della fonte del pericolo, isensi scattano analizzando a tutta ve-locità gli stimoli; inoltre, facendo menorumore, si è meno individuabili e piùsensibili al rumore di un eventuale ag-gressore.In sella a una motocicletta, invece,questa reazione istintiva è deleteria evediamo perché.Staccata, inserimento e panico: “sono

troppo veloce, chiudo il gas”. Cosa ac-cade? Il peso si trasferisce di colpoverso la ruota anteriore, la forcella sicomprime, la moto si abbassa legger-mente.La ruota anteriore ha una impronta aterra inferiore rispetto alla ruota poste-riore, è fatta per sopportare un certocarico a una certa velocità. La curva

ideale si deve percorrere inleggera, morbida e costanteaccelerazione per consenti-re alla moto di conservare ilsuo equilibrio e la sua trazio-ne ideale; se invece si tra-sferisce il carico all’anteriorese ne altera l’equilibrio, fa-cendo fare alla gomma ante-riore più lavoro di quanto lasua stessa struttura possareggere. Il rischio è quindiuna perdita di aderenza (laclassica chiusura di sterzo).

Ma questa è la conseguenza più gravementre, di solito, la sollecitazione vie-ne digerita dalla gomma, che tiene bot-ta. In ogni caso, però, il peso si scaricasull’avantreno comprimendo la forcel-la. Diminuisce l’avancorsa, l’anteriorediventa più sensibile mentre il peso delcorpo grava sui manubri rendendo piùpesante lo sterzo e difficili le piccolecorrezioni. A questo aggiungiamo chela paura ci ha fatto contrarre i muscolie quindi siamo anche meno elastici esoffriamo di più le eventuali vibrazioniindotte dal fondo stradale, amplifican-dole per via della forza con cui siamoaggrappati alle manopole.Insomma, per paura di perdere il con-trollo, di fatto mettiamo in crisi la stabi-

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lità della moto, perdendo tempo, velo-cità di percorrenza, fluidità, ma soprat-tutto correndo seriamente il rischio disbattere al suolo.Non solo, ma decelerando ci mettiamoin un’altra situazione a rischio poiché,superata la paura, tendiamo a fare co-me i pivelli in pista: gas chiuso in per-correnza e grossa accelerazione in

uscita. In queste condizioni le probabi-lità di perdita di aderenza della ruotaposteriore raggiungono il massimo.Dicevo che una conseguenza interes-sante della forma delle gomme è che,all’aumentare dell’inclinazione dellamoto, è come se usassimo dei pneu-matici di sezione decrescente.Cosa accade se la ruota diventa piùpiccola? Che deve fare più giri per per-correre la stessa quantità di strada,cioè fa aumentare il regime del motore.Se teniamo il gas costante in curva de-celeriamo comunque perché avremol’effetto del freno motore indotto dallasezione decrescente della gomma afar rallentare la moto. E noi non voglia-

mo assolutamente frenare in curvaperché abbiamo visto che è male, mol-to male, addirittura pericoloso.Quindi la cosa migliore da fare, percor-rendo una curva, è staccare, inserire eda qui in poi accelerare in maniera leg-gera, morbida e costante fino al mo-mento in cui vediamo l’uscita della cur-va, quando l’accelerazione potrà di-

ventare più robusta in quan-to la moto si starà rimetten-do dritta e quindi l’aumentodel regime del motore verràin minima parte compensatodal crescere del diametrodella gomma e l’aderenzaverrà spesa solo per avan-zare e non più per contene-re la spinta laterale.Bisogna lavorare molto e fa-re molta esperienza primache l’istinto di sopravviven-za generi delle reazioni con-sone a un centauro e non

più a una scimmia appiedata.E se l’intuizione iniziale era corretta?Allora, se lo spavento col quale abbia-mo cominciato la curva era giustificato,la tecnica illustrata qui sopra è valida lostesso poiché se la caduta fosse inevi-tabile, ad esempio per via di una gran-de macchia d’olio, la differenza fra ledue situazioni è che se la moto è in per-fetto equilibrio tenderà a scivolare inmaniera abbastanza composta, “sfi-landosi da sotto” e facendoci cadere difianco.Se invece chiude davanti di colpo, co-me avviene quando la moto “prendesotto” per una improvvida frenata ochiusura del gas su fondo sdrucciole-

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vole, la caduta sarà più pericolosa inquanto il corpo verrà proiettato in avan-ti, sulla spalla interna alla curva.

E se cado?

Già che parliamo di disgrazie, aprirei ilcapitolo cadute così ci leviamo il pen-siero. Ogni tanto si sente l’altra banali-tà: “Bisogna imparare a cadere”. Spe-ro e vi auguro con tutto il cuore di nonabituarvi mai alle cadute. Chi va in mo-to sa che può cadere e sa che può far-si male, ma non è praticando arti mar-ziali che si impara a cadere dalla moto.Ogni caduta è una storia a sé e sareb-be impossibile fare pratica delle millesfumature dell’impatto con l’asfalto.Senza contare l’evidente follia in tuttoquesto.La scivolata in pista è una cosa, la ca-duta per impatto su strada è un altropaio di maniche. Se si scivola in pista,la cosa migliore da fare è non fare. Lareazione istintiva è quella di protegger-si portando le mani avanti. Anche que-sto è il retaggio della scimmia appieda-ta. È ovvio che se inciampiamo in unprato e siamo in buone condizioni fisi-che, le braccia possono reggere losforzo di sostenere il corpo. Se cadia-mo dallo moto a una certa velocità leforze in gioco si moltiplicano e non c’èpolso in grado di sopportare lo sforzo.Quindi bisognerebbe riuscire a domi-nare l’istinto di puntellarsi e rilassare imuscoli, lasciandosi scivolare sullamaggiore superficie corporea possibi-le. Una tuta in pelle può proteggeredalle abrasioni anche sfregando sull’a-sfalto per molti metri, quindi corpo ri-

lassato, braccia e gambe distese manon contratte e via a strofinare la tuta.Una cosa che ho sperimentato è l’inca-pacità di capire quando ci si ferma do-po che si è scivolato per un poco. Avre-te visto in televisione i piloti che cado-no, in scivolata si rimettono in piedi perpoi inciampare e cadere nuovamente.Questo accade perché l’organo depu-tato alla gestione dell’equilibrio stadentro l’orecchio in una situazione dipressione controllata. Quando il corposbatte la pressione dentro l’orecchiocambia repentinamente e il sensoredell’equilibrio si “stara” per qualcheistante. Per recuperare funzionalità im-piega qualche secondo e capita di nonrendersi conto di essere ancora in rapi-do movimento. Quindi, regola vuoleche, dopo una caduta, si fissi un punto(una tribuna, un albero) e ci si chiedase sta fermo o si muove.

Un esercizio utile

Detto della caduta, torniamo all’analisidelle motivazioni dell’insuccesso nel-l’eseguire le manovre corrette. Abbia-mo detto che bisogna accelerare il piùpresto possibile, ma che questo è anti-istintivo. Per imparare a percorrere lecurve con un’accelerazione costantebisogna evitare la staccata. Cioè, biso-gna fare pratica senza subire il traumadei violenti trasferimenti di carico.Quindi, si arriva all’inserimento a unavelocità più bassa del solito, si inseri-sce la moto dopo una frenata modestae si accelera con delicatezza, ma inmaniera costante e progressiva. Conla pratica sarà sempre più facile e si

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potrà cominciare a impostare le curvecon più decisione.Un altro elemento critico è la posizionein sella. Quasi tutti tendono a guidarepoggiando tutto il peso sulla sella. Vabenissimo finché si passeggia, maquando si guida in maniera sportiva, sifa sport e non relax: il peso lo devono

sostenere le gambe. Se si riesce a farlavorare le gambe la guida miglioramoltissimo. Il primo vantaggio è il fattodi non avere gli avanbracci contratti.Un manubrio tenuto delicatamenteconsente una guida molto più precisapoiché qualunque sollecitazione arrividalla ruota anteriore, se le braccia so-no rigide, viene trasferita al resto dellamoto.Non solo, ma se “ci si tiene di braccia”si commettono errori gravi soprattuttoentrando e uscendo dalle curve. In in-gresso di curva, infatti, il peso si spostain avanti per effetto della staccata. Bi-sogna lavorare di gambe e cercare di

evitare si poggiare troppo sui manubri.A questo punto ci si deve spostare al-l’interno e spesso ci si appende lette-ralmente ai manubri.Errore, si innescano delle oscillazioniche fanno scattare il panico il quale, asua volta, impedisce di cominciare adaccelerare con le conseguenze che

abbiamo visto prima.In percorrenza, stare appesi almanubrio fa allargare la traiet-toria e invita a correggere la li-nea impostata, altro errore daevitare.In uscita si deve tornare alcentro della sella spingendosulle gambe il più possibile. Ti-rarsi su facendo forza sul solomanubrio interno porta la mo-to inesorabilmente fuori linea.Un contributo essenziale arri-va dalla forma e dalla posizio-ne delle pedane e del serba-toio delle moto sportive, fattiapposta per consentire appigli

e appoggi alternativi ai manubri.Il primo corollario di tutto questo è cheper andare forte in moto bisogna esse-re in buona forma fisica.Nuoto e bicicletta sono il compendioideale perché sollecitano poco le arti-colazioni e consentono di sviluppareforza e resistenza.

Ci sono molte altre cose che vale la pe-na di sapere e con il tempo e la praticasi possono imparare. La più importan-te è che la motocicletta è una grandio-sa fonte di passione e di vitalità, mi pia-ce pensare che queste note contribui-scano a farla scoprire.

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Note

Finito di stampare nel mese di maggio 2003Printed in Italy

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