Cultura Patrimonio Comune...La Chiesa di Santa Lucia è frutto di quella commistione di saperi che...
Transcript of Cultura Patrimonio Comune...La Chiesa di Santa Lucia è frutto di quella commistione di saperi che...
Il patrimonio artistico cittadino in occasione di Monumenti Aperti viene raccontato da centinaia di studenti in una due giorni di aperture gratuite dei monumenti. Quest’anno sono stati individuati un monumento simbolo per ogni comune dentro il circuito della XXII edizione, tenendo conto del tema che caratterizzerà la manifestazione nel 2018.
Cultura Patrimonio Comune L’Unione Europea ha designato il 2018 Anno Europeo del Patrimonio Culturale. Nella riflessione sul Patrimonio, assume un valore centrale il concetto di diversità, che determina il panorama ricco e
variato dei nostri paesi, delle nostre città, dei nostri paesaggi naturali e antropizzati; rappresenta il portato storico di tradizioni che si sono sedimentate, incontrate e mescolate nel tempo; determina il principio sul quale costruire nuovi modi di abitare il pianeta e una più ampia cittadinanza, quella europea, al tempo stesso memoria delle proprie origini e consapevolezza di essere protagonisti del mondo. Diversità come valore, che annulla e colma le distanze, ridiscute le periferie, affronta con
atteggiamento positivo i fenomeni migratori e l'innata tendenza dell'essere umano al cambiamento. All’interno di questo orizzonte, Monumenti Aperti, manifestazione partita 22 anni fa dalla Sardegna, costituisce oggi un valore aggiunto con una prospettiva che nella storia del nostro
paese, nel suo patrimonio materiale e immateriale mette l'accento sull’identità come luogo di intersezione di civiltà, come mescolanza di lingue e tradizioni. Patrimonio e identità, dunque,
concepiti come continuamente aperti nel passato, nel presente e nel futuro alle contaminazioni da cui derivano opportunità e possibilità di sviluppo. Nella valorizzazione del patrimonio italiano,
Monumenti Aperti ha adottato questo sguardo, questa specifica narrazione per mettere in evidenza gli incroci, gli incontri e gli scontri leggibili nei "monumenti". Quel patrimonio, dunque, materiale e immateriale che grazie a Monumenti Aperti anche a Bitonto da quest’anno verrà ri-
raccontato dagli studenti delle scuole in prospettiva rinnovata per contribuire a cambiare il modo in cui le persone guardano a sé stesse e agli altri, per rafforzare l'idea di inclusione e rendere
esplicita la diversità nella storia passata, educando alla convivenza pacifica come risultato di un impegno all'accoglienza e alla comprensione reciproca.
(Simona Campus)
ALGHERO
Nel 1102 la famiglia genovese dei Doria fortificò la città e da allora tutti i
conquistatori arrivati in Sardegna ne bramarono il possesso. È però la dominazione
aragonese a lasciare il segno più profondo. Nel 1354 il Re Pietro IV assediò Alghero,
la conquistò e sostituì letteralmente gli autoctoni con coloni catalani.
Archivio storico Comunale
L’unicità di Alghero sta nel mix di cultura sardo-iberica che abbraccia ogni aspetto
della vita quotidiana. L’utilizzo della lingua catalana nella sua “variante sarda” è
ancora oggi il tratto più caratteristico della sua popolazione. Questo dialetto è
sopravvissuto nonostante già nel 1600 la Corona di Spagna impose il castigliano
come lingua dominante della cultura scritta. L’Archivio storico Comunale custodisce
una ricca documentazione che va dalla conquista aragonese del 1354 agli ultimi
quarant’anni. Il settore più importante è il fondo antico con documenti della Corona
di Spagna prodotti tra il 1260 e il 1739. L’Archivio chiarisce bene il profondo legame
tra la cultura spagnola e la società algherese, raccontando attraverso i documenti i
fatti che hanno reso la città una “piccola Barcellona”.
ARBUS-GUSPINI
In questi territori l’uomo ha lasciato tracce antichissime. È stato infatti rinvenuto ad
Arbus lo scheletro più antico della Sardegna, databile tra i 10.000 e gli 8.200 anni fa.
All’epoca medievale si deve la nascita dell’odierna Guspini che conserva ancora oggi
nel centro storico il suo assetto originario.
S’Arburesa e Sa Guspinesa
I paesi di Arbus e Guspini sono molto noti per la loro lunga tradizione nell’arte della
coltelleria. Sono celebri l’Arburesa e la Guspinesa, due tipologie di lame diffusissime
in Sardegna. La prima ha una lama a forma di foglia larga, mentre la seconda
possiede una variante a lama tronca dovuta a una legge del 1908 che proibì l’uso di
coltelli appuntiti senza giustificato motivo. L’artigianato legato alle armi da taglio ha
una storia antichissima nell’Isola. L’ossidiana del Monte Arci ebbe a tal proposito
una commercializzazione ampissima in tutto il Mediterraneo. Con le prime fornaci
nuragiche ebbe inizio la specializzazione sarda nella forgiatura. In seguito furono i
cavalieri di ritorno dalle Crociate in Oriente a portare nuove tecniche per la
produzione di lame. Ancora oggi infatti molti coltelli sardi ricordano le sciabole
tipiche della civiltà orientale.
Guspini – Chiesa di Santa Maria di Malta
La Chiesa di Santa Maria è un edificio romanico situato nel centro storico di Guspini.
L’edificio risale all’XI-XII secolo, anche se la data 985 incisa su un muro maestro fa
pensare a un primo impianto anteriore. Sull’architrave del portale laterale è invece
scolpita la croce a otto punte dei Cavalieri di Malta, un ordine di frati guerrieri che
per un breve periodo ospitò tra le sue file anche Caravaggio. I Cavalieri di Malta
ebbero qui la loro fondazione grazie al sostegno del Giudice Guglielmo, il quale fece
aggiungere nella facciata una piccola protome caprina simbolo del proprio casato.
L’edificio fu parte integrante di un monastero molto importante per lo sviluppo di
Guspini. I monaci di fede greco-bizantina coltivarono e fecero coltivare le terre
circostanti al monastero, difendendole dall'abbandono e spingendo sempre più
persone ad unirsi alla vita del villaggio.
Arbus – Foresteria Dirigenti di Montevecchio
La Foresteria era il luogo dove alloggiavano ingegneri e dirigenti della miniera di
Montevecchio. Fu costruita nel 1930 insieme all’alloggio per gli impiegati e inserita
all’interno di un complesso che divenne una vera e propria cittadina dotata di tutti i
servizi. Gli apparati decorativi dell’edificio sono quelli tipici delle eleganti residenze
urbane di fine Ottocento. I gusti delle grandi capitali europee dell’epoca
riecheggiano negli ambienti e certificano la caratura internazionale dell’azienda di
Montevecchio. Nel 1900 la Società si presentò all’Esposizione Universale di Parigi e
ottenne significativi riconoscimenti come una delle maggiori produttrici al mondo di
piombo e zinco. Oggi la Foresteria ospita la collezione Dellacà con i plastici che
riproducono la vita mineraria in diverse epoche. Presente anche un’esposizione di
campioni di minerale provenienti da tutto il mondo.
BASSO CAMPIDANO
Il Campidano è un territorio fertile e particolarmente votato allo sfruttamento
agricolo. Non è un caso se dagli storici del periodo romano la Sardegna è considerata
“il granaio di Roma”. I romani tenevano in grande considerazione l’intera zona, tanto
che a Ussana furono edificate le terme. In Età Giudicale l’odierna Unione faceva
parte del Giudicato di Cagliari e successivamente fu assoggettata alle varie
dominazioni: dai pisani agli aragonesi, poi ai Savoia fino all’Unità d’Italia.
Monastir- Chiesa di Santa Lucia
La Chiesa di Santa Lucia è frutto di quella commistione di saperi che è il romanico in
Sardegna. L’edificio risale al XIII secolo, con un rifacimento subito nel XVII secolo
quando gli furono aggiunti due portici laterali sorretti da pilastri in arenaria e tegole.
Si rese poi necessaria anche la costruzione di un piccolo vano con funzione di
sacrestia, mentre l’abside semicircolare che doveva completare la chiesa è
scomparso. La facciata invece ha mantenuto l’aspetto originario, culminante con un
campanile a vela in asse con la bifora sottostante. Si tratta di una costruzione tardo-
romanica sulla scia di Santa Maria di Bonarcado e di San Pantaleo di Dolianova,
chiese dove sono ben visibili i segni di maestranze iberiche con motivi di derivazione
araba. La varietà di contaminazioni che caratterizza il romanico nostrano è dovuta in
particolare all’opera dei Monaci Camaldolesi dalla Toscana e Vittorini da Marsiglia,
giunti sull’isola nel corso di quel processo che intorno all’anno Mille ha portato la
Sardegna fuori dall’isolamento, inserendola in una dimensione culturale
internazionale. Oggi Santa Lucia è il fulcro dell’omonima festa, un appuntamento
che si rinnova ogni anno l’ultima domenica di agosto e rappresenta l’evento più
significativo per tutta la comunità.
Samatzai – Chiesa di San Giovanni Battista
Tra tutte le testimonianze storiche pervenute fine alla nostra epoca sono senza
dubbio gli edifici di culto quelli che descrivono meglio il quadro delle contaminazioni
culturali. La Chiesa Parrocchiale di Samatzai dedicata a San Giovanni Battista è un
segno inequivocabile dell’influenza aragonese sul territorio sardo. La tipologia
costruttiva gotico-catalana si sviluppò in Catalogna e venne successivamente
introdotta in Sardegna nel XIV secolo durante la conquista militare degli Aragonesi.
La fabbrica della Parrocchiale di Samatzai risale al XV-XVI secolo, con diversi
rifacimenti approntati in epoche successive. Possiede un’eccezionale campana del
1579 innestata su un campanile del secolo precedente. La bellezza degli edifici
gotico-catalani in Sardegna è data dall’originalità creatasi dalla reinterpretazione
locale delle tendenze internazionali. Prima in terra di Spagna è stato rielaborato il
gotico francese, poi in Sardegna è stato a sua volta riadattato quel gotico franco-
catalano al gusto e alla maestria del posto. Ecco perché parlare di gotico appare
quasi improprio, anche se ormai convenzionalmente questi edifici di impronta
aragonese vengono riconosciuti unanimemente con quell’appellativo.
Villasor – Castello Siviller
Il castello di Villasor è uno dei rari esempi sardi di casa signorile fortificata. La sua
struttura rimanda alla tipologia della “masia”, una sorta di dimora baronale
fortificata sviluppata dagli spagnoli sulla base delle ville di epoca romana. La fortezza
ha origine nel primo ventennio del Quattrocento e fu costruita per volontà di
Giovanni Siviller, feudatario catalano del territorio di Villasor dal 1414. La scelta di
edificare una dimora fortificata fu dovuta alla pessima accoglienza che i pastori della
zona riservarono al nuovo signore del feudo, poiché contrari al ripopolamento
dell’antico villaggio di Sorres, come invece era nei piani di Siviller. I pastori volevano
quei terreni per il pascolo e un insediamento cittadino avrebbe sancito la perdita
degli spazi per le loro greggi. Con lo stabilizzarsi del dominio aragonese in Sardegna
il castello privilegiò sempre di più gli aspetti da dimora signorile piuttosto che quelli
da baluardo difensivo, subendo alcune trasformazioni nel corso degli anni sia nelle
caratteristiche strutturali che nelle destinazioni d’uso. Oggi il castello di Villasor non
solo è una straordinaria testimonianza monumentale, ma è anche un centro
culturale importantissimo per il paese. Una fortezza di matrice spagnola che la
comunità è riuscita a riqualificare, consegnando così uno strumento di
consapevolezza sociale alle generazioni future.
Nuraminis – La frazione di Villagreca
Il territorio del Basso Campidano ha conosciuto una grande varietà di influenze
culturali anche grazie alla vicinanza con Cagliari, città che da sempre è stata un
crocevia fondamentale nel Mediterraneo. Nuraminis in particolare reca alcune delle
più importanti testimonianze della cultura bizantina in Sardegna. Di grande rilevanza
storica sono i frammenti marmorei conservati nella Chiesa Parrocchiale di San Pietro
recanti rarissime iscrizioni in greco, probabilmente appartenenti alla chiesa
scomparsa di San Costantino, un tempo situata nella campagna tra Nuraminis e
l’odierna frazione di Villagreca. Notevole è la dedica all’imperatore perché scritta in
lingua greca ma con caratteri latini, a dimostrazione di come le élite locali del tempo
avessero padronanza di entrambe le lingue. Villagreca è stata un centro abitato
autonomo per molti secoli e ancora oggi porta nel toponimo il segno inequivocabile
della sua origine orientale. La chiesa di San Vito è una delle rare costruzioni
bizantine rimaste nell’isola. Nonostante ad oggi risulti quasi completamente rifatta
con stilemi catalano-aragonesi la sua edificazione risale al IX secolo ad opera dei
bizantini. La piccola frazione di Nuraminis resta attualmente un frammento vivente
di cultura greca nell’isola.
Ussana – Terme romane
Il Campidano è stato un territorio di grande rilevanza in epoca romana. Nel 238 a.C.
l’isola entrò a far parte dei territori sotto il dominio di Roma e vi rimase per quasi
otto secoli. Tutta la Sardegna subì un processo di romanizzazione che investì sia
l’ambito amministrativo che quello culturale. A questa evoluzione degli usi e dei
costumi appartengono anche le terme, uno dei principali luoghi di ritrovo della
società romana. Gli impianti termali erano eccezionali centri di aggregazione dove
l’accesso era consentito a tutti, senza eccezioni riguardanti la classe sociale o la
disponibilità economica. Le terme di Ussana sono costituite da un grande vano
centrale, probabilmente con funzione di tiepidarium e cioè di sala a temperatura
media, attorno al quale si dispongono diversi ambienti. Si possono ancora scorgere i
vani dei calidaria, stanze con temperatura maggiore, e quelli dei frigidaria dotati di
vasche per il bagno freddo. Presenti anche dei forni utilizzati per il riscaldamento
che prendono il nome di praefurnia. La struttura termale fu scoperta da Giovanni
Lilliu nel 1949 e viene datata al IV secolo d.C. Da ciò che rimane ancora oggi si può
intuire che doveva essere un impianto completo e all’avanguardia per l’epoca, segno
di come per i romani il territorio di Ussana ricoprisse una funzione molto rilevante in
ambito sociale.
San Sperate – Pinuccio Sciola
Il centro abitato di San Sperate è un’autentica fabbrica di cultura a cielo aperto. Il
paese ha suscitato l’interesse di artisti locali, nazionali e internazionali, diventando
un punto di riferimento assoluto per l’arte contemporanea in Sardegna. Tutto
questo non sarebbe stato possibile senza l’iniziativa di Pinuccio Sciola. Nella sua
formazione artistica sono stati fondamentali i viaggi e le esperienze di studio
all’estero che gli hanno consentito di entrare in contatto con una dimensione
culturale internazionale. Prima il liceo Artistico a Cagliari, poi l’istituto d’Arte di
Firenze, l’Accademia di Salisburgo e l’Università di Madrid. Quando Sciola tornò nel
suo paese natale si portò dietro un grandissimo bagaglio di nuove conoscenze che
subito mise in pratica nella sua terra. Nel 1968 diede il via alla “rivoluzione dei muri
bianchi”, imbiancando gli intonaci delle case di San Sperate e preparandole ad
accogliere i murales. Grazie a questa sua intuizione il piccolo centro del cagliaritano
è oggi conosciuto come il “paese museo”. Le opere di Sciola sono state volute e
accolte in tantissimi Comuni dell’isola, così come nella penisola e all’estero. L’artista
campidanese non ha però lasciato solamente dei segni nell’ambito di quel che viene
definito cultura materiale. La sua storia e ciò che la sua figura rappresenta per il
popolo sardo fanno parte di quel gigantesco patrimonio intangibile che fa
dell’identità sarda un punto d’incontro di varie civiltà e tradizioni.
BOSA
Bosa è da sempre uno dei centri culturalmente più fervidi dell’intera isola. Nel
Medioevo la sua storia ha visto intrecciarsi le vicende della famiglia Toscana dei
Malaspina con quelle del Giudicato d’Arborea e della Corona d’Aragona. Diversi
artisti e intellettuali hanno legato il proprio nome a Bosa, come Pietro Delitala,
Gerolamo Araolla, Melkiorre Melis e Antonio Atza.
Pinacoteca Antonio Atza
La Pinacoteca civica è dedicata ad Antonio Atza, artista nativo di Bauladu ma con il
cuore immerso nel Temo. Si trasferì a Bosa insieme a sua madre nel 1931, all’età di
sei anni. Qui trascorse l’infanzia prima di avventurarsi a Sassari per completare gli
studi all’Istituto Statale d’Arte diretto da Filippo Figari. Durante la maturità, a cavallo
tra gli anni Cinquanta e Sessanta, Atza cominciò a viaggiare spesso fuori dalla
Sardegna. Barcellona, Madrid, San Pietroburgo, Vienna, Parigi e Venezia sono
soltanto alcune delle tappe di un percorso che lo portò a toccare con mano l’arte
internazionale. Nella Pinacoteca di Bosa è possibile ammirare le opere che
compongono un’importante parte del suo percorso creativo e quelle di alcuni pittori
che con Atza hanno condiviso la scena artistica novecentesca sarda.
BUGGERRU
Anche se la nascita del Comune è relativamente recente e risale al 1864, il territorio
di Buggerru fu oggetto di interesse già per i romani che vi impiantarono
un’importante attività mineraria. Il nome di Buggerru risale al 1206 quando fu
istituito il confine tra il Giudicato di Cagliari e il Giudicato di Arborea che passava
proprio vicino all’attuale abitato.
Centro direzionale minerario-palazzina ospiti La Palazzina della Direzione fu il primo edificio costruito per ospitare le personalità più importanti della fiorente attività mineraria. La costruzione risale al 1884. Al piano terra ospitava gli uffici mentre il primo piano era tutto per il direttore in carica. Dopo una quindicina d’anni dall’inaugurazione si rese necessario costruire un altro edificio per ospitare gli amministratori che periodicamente giungevano da Parigi. Venne messa in piedi una villa sontuosa come nessun altro fabbricato del villaggio di minatori. Tutto l’arredo era in stile Luigi XV e ogni oggetto proveniva dalla Francia. I tecnici transalpini portarono nel paese il loro modo di vivere tipico delle grandi città e ben presto contagiarono tutti con i loro usi e costumi. Proprio per questo in quegli anni Buggerru veniva chiamata la “piccola Parigi”.
CAGLIARI
Cittadella dei Musei
La denominazione di Cittadella non è casuale. All’interno dell’ex Arsenale Regio sono
racchiuse diverse tipologie di museo, ognuna con le sue storie da raccontare. Il
Museo Archeologico ospita importantissimi reperti che testimoniano la vivacità della
Sardegna all’interno del contesto Mediterraneo, con i suoi scambi commerciali e
culturali. La Pinacoteca ripercorre le tappe fondamentali della pittura in terra sarda,
descrivendoci un’isola attenta ai gusti europei ma capace di creare anche un proprio
repertorio originale. La tradizione isolana è inoltre rappresentata dall’Etnografico,
con gli abiti e i gioielli tipici del folclore. Nella Cittadella c’è spazio anche per la
scienza con il Museo delle Cere Anatomiche. Infine è presente anche un piccolo
angolo d’Asia con il Museo d’Arte Siamese, contenente preziosi oggetti di tante
culture asiatiche differenti portati a Cagliari alla fine dell’Ottocento dal collezionista
Stefano Cardu.
Ghetto
Il cosiddetto Ghetto è attualmente un importante centro culturale che ospita
mostre, convegni e concerti. I cagliaritani sono soliti chiamarlo “ghetto degli ebrei”
per una reminiscenza medievale, in quanto fino al 1492 nella zona di Santa Croce
risiedeva la comunità ebraica cacciata poi da un editto aragonese. L’attuale edificio
venne costruito nel 1738 come caserma militare intitolata a San Carlo, in onore del
regnante sabaudo Carlo Emanuele III, per ospitare il reparto dei “Dragoni”. Una
volta cessato l’uso militare l’edificio fu ceduto a privati e trasformato in piccole
abitazioni, fino a che, dopo un complesso restauro, fu restituito alla comunità come
centro culturale durante l’edizione di Monumenti Aperti del 2000. Oggi il Ghetto si
propone come un luogo di aggregazione dov’è possibile venire a contatto diretto
con artisti di fama internazionale, rinomati scrittori e musicisti provenienti da tutto il
mondo.
Cimitero di Bonaria
Il Cimitero di Bonaria è una vera e propria galleria d’arte a cielo aperto. Fu
progettato da Luigi Damiano e inaugurato il primo gennaio del 1829. Presenta
un’originale varietà di stili che spaziano dal Neoclassicismo al Liberty, dal Realismo al
Simbolismo. Il tutto riflette i gusti della città tra l’Ottocento e il Novecento,
mostrando una Cagliari culturalmente frizzante e aperta alle novità. Erano quelli gli
anni in cui nell’isola sbarcavano imprenditori dal nord Italia e dall’estero, con la
disponibilità economica per poter commissionare opere monumentali per le tombe
di famiglia. Fu così che tantissimi artisti sardi o della penisola, noti e meno noti,
diedero prova di grande maestria arricchendo questo foscoliano cimitero. Nel
campo santo è presente anche un’area destinata ai non cattolici, a inglesi, francesi e
tedeschi di religione protestante e anglicana. Dal 1968 non è più possibile seppellirvi
i defunti, eccezion fatta per cappelle private e loculi acquistati prima del ‘68.
CUGLIERI
L’odierno Comune di Cuglieri comprende i territori della città punico-romana di
Cornus. Nel II secolo a.C. nacque anche il centro di Gurullus Nova, risultato dello
spostamento degli abitanti di Gurullus Vetus, l’attuale Padria. Oggi il paese raccoglie
l’eredità di questi antichissimi agglomerati urbani.
Museo dell’Olio Zampa
Con la dominazione spagnola l’olivicoltura sarda divenne una vera e propria filiera.
Tra le aree che a partire dal Seicento conobbero il maggior sviluppo olivicolo c’è
sicuramente Cuglieri. Il vicerè Giovanni Vivas fece arrivare in Sardegna dei maestri
dell’innesto dalla Spagna, i quali importarono numerose varietà tra cui la
maiorchina, la palma e la sivigliana. Grazie all’esperienza iberica e al
perfezionamento locale nei secoli successivi oggi Cuglieri può vantare una
produzione d’olio di eccezionale qualità. Un grande racconto della storia olivicola del
paese si trova nel Museo Zampa, nel Corso Umberto I, organizzato su due piani che
espongono una raccolta di macchinari e oggetti vari che ricostruiscono vari aspetti
della tradizione contadina di un tempo. È un’importante testimonianza di come la
coltura dell’olivo distingua da secoli questo territorio.
GONNOSFANADIGA
Il territorio di Gonnosfanadiga ha una storia antichissima e già dal secondo millennio
a.C. risulta essere un importante centro della civiltà nuragica, come testimoniato
dalla Tomba dei Giganti di San Cosimo. In tempi più recenti l’attività mineraria e la
produzione di olio pregiatissimo sono stati i motori trainanti dell’economia del
paese.
Frantoio Bardi
La notorietà di Gonnosfanadiga è legata soprattutto alla produzione di olio. Famosa
a livello internazionale per la sua pregevole qualità è l’Oliva Nera di Gonnos, da cui
deriva un olio d’eccellenza, motivo d’orgoglio per tutti gli olivicultori locali. Nel corso
degli anni nel paese sono nati diversi frantoi, come quello messo in piedi da Antonio
Bardi, immigrato toscano che nel 1890 realizzò il primo vero laboratorio per la
lavorazione delle olive e la produzione di olio. Questo pioniere del settore olivicolo
gonnese perfezionò un vecchio impianto composto da una mola con pareti in
acciaio, base e macina in granito e un torchio manuale con la funzione di pressa. Le
olive venivano spremute dalle macine in granito mosse dal movimento circolare di
un cavallo. Il frantoio Bardi operò fino al 1971 e oggi rimane un importante simbolo
del cosiddetto “paese dell’olio”.
IGLESIAS
Con l’arrivo degli aragonesi nel 1324 per Iglesias iniziò un periodo florido in cui la
città si affermò come uno dei centri più importanti dell’isola. Una nuova età dell’oro
arrivò a metà dell’Ottocento grazie all’attività mineraria che portò l’iglesiente a un
rinnovamento industriale e culturale.
Cimitero Monumentale
Il Cimitero Monumentale di Iglesias ospitò il primo defunto nel 1835. Fu subito
chiaro che l’area sarebbe stata insufficiente a soddisfare i bisogni di una città in
crescita. Le miniere attirarono molti lavoratori da tutta la Sardegna, dalla penisola e
dall’estero. L’aumento della popolazione rese necessari frequenti ampliamenti del
campo santo. Questo Cimitero è ornato da sculture di pregevole fattura che
raccolgono gli stili tipici di una società culturalmente florida. Sessantacinque di
queste opere nacquero dalle mani di Giuseppe Sartorio, un artista che operò tra la
seconda metà dell’Ottocento e il 1922. Ironia della sorte Sartorio morì senza una
tomba, svanito nel nulla durante una traversata col piroscafo da Olbia a
Civitavecchia. Il cosiddetto “Michelangelo dei morti” fu dichiarato deceduto
vent’anni dopo lasciandosi dietro un fitto alone di mistero.
LUNAMATR-VILL.FRANCA
I territori di Lunamatrona e Villanovafranca sono oggi rinomati centri agricoli.
Vissero un’importante stagione storica in epoca giudicale, per poi finire sotto il
controllo di importanti famiglie spagnole fino all’indipendenza nel 1839 con
l’abolizione del sistema feudale.
Lunamatrona - Museo D.E.A. Luna Il museo demoetnoantropologico ospita la mostra permanente dal titolo “C’era una svolta”, un interessante racconto di come il passaggio di un piccolo paese alla modernità abbia stravolto lo stile di vita della comunità. In particolare dagli anni sessanta in poi sono mutati i mestieri, gli usi e i costumi, sempre più improntati ai modi di vivere della società globalizzata che oggi si è del tutto affermata. Il percorso è diviso in quattro sale contraddistinte da alcune attività segnate profondamente dalla transizione alla modernità. C’è la sala del calzolaio, un mestiere quasi del tutto scomparso, quella della parruccheria, la sala cinema e quella dell’emigrato. Il museo sorge in un edificio che un tempo ospitava il Municipio e che risale ai primi anni del XX secolo.
Villanovafranca - Chiesa di San Lorenzo Il primo impianto della chiesa risale al 1591 come attesta il concio centrale della volta gotico-aragonese in cui è riportata anche l’effige del santo. Un importante
ampliamento venne effettuato nel 1773, mentre del 1789 sono i meravigliosi arredi marmorei opera dell’artista lombardo Giovanni Battista Spazzi e comprendenti l’altare, la balaustra, il pulpito e il fonte battesimale. L’altare presenta un paliotto trapezoidale con gradini, un tabernacolo ed un’edicola che accoglie una statua di San Lorenzo. Accanto all’edicola sono collocate altre due statue dei Santi Pietro e Paolo. Di grande pregio è poi l’organo monumentale datato 1740 e realizzato dal lombardo Giuseppe Lazzari. L’interno è in stile tardo rinascimentale, mentre l’esterno costituisce un organismo complesso di non facile interpretazione stilistica essendo frutto di corpi di fabbrica aggiunti in epoche diverse.
Milis-Tramatza-Bauladu
I paesi di Milis, Tramatza e Bauladu messi insieme superano di poco i tremila
abitanti. Eppure queste terre hanno dato i natali a grandi personalità come l’artista
Antonio Atza, l’intellettuale Cicito Vacca e consegnato ai sardi alcuni degli edifici
ecclesiastici più suggestivi dell’isola.
Le chiese romaniche del territorio
Gli edifici ecclesiastici sono autentiche perle del nostro patrimonio culturale. I paesi
di Milis, Tramatza e Bauladu possiedono alcune importanti testimonianze del
romanico in Sardegna. La manifestazione di questo stile nell’isola ha assunto varie
forme, grazie soprattutto alla contaminazione tra le tradizioni costruttive locali e le
conoscenze portate dai numerosi ordini religiosi provenienti dalla penisola e dalla
Francia. A rappresentare questa molteplicità di varianti sono soprattutto la Chiesa di
San Paolo a Milis, quella di San Giovanni Battista a Tramatza e San Gregorio Magno a
Bauladu. Tre chiese vicinissime geograficamente ma differenti per caratteristiche.
Sono la perfetta testimonianza della ricchezza culturale che ha permeato quei
territori in quei secoli.
MONSERRATO
Un iniziale nucleo abitativo si formò in epoca romana, ma le prime notizie sul paese
di Pauli risalgono al Medioevo. In seguito cambierà denominazione in Pauli Pirri, per
poi diventare Pauli Monserrato nel 1881 e adottare il definitivo toponimo di
Monserrato nel 1888.
Casa Foddis
La palazzina è un elegante costruzione dei primi del Novecento ed è stata progettata
in pieno stile Liberty. Questo movimento artistico conosciuto anche come Art
Nouveau o Modernismo interessò l’architettura e le arti decorative tra la fine
dell’Ottocento e gli inizi del Novecento. L’Europa e gli Stati Uniti furono pervase da
questa nuova tendenza che si diffuse rapidamente grazie soprattutto all’estendersi
dell’industrializzazione e all’affermazione socio-culturale della borghesia. Casa
Foddis rappresenta bene la configurazione dello stile Liberty a partire dalla sua
facciata, con gli elegantissimi parapetto nei balconcini del primo piano e le
decorazioni floreali sopra le porte-finestre. Il Liberty ha lasciato il segno anche in
Sardegna, riuscendo perfettamente nell’intento di portare il bello nella vita di tutti i
giorni.
OLBIA
La storia di Olbia è legata soprattutto al mare. Il suo porto in epoca romana fu un
importante base commerciale e militare, ridimensionato dopo la caduta della città
per mano dei Vandali. A partire dal medioevo la città si spopolò gradualmente, fino
alla rinascita avvenuta tra la fine del 1800 e gli inizi del Novecento.
Il porto
Il porto rappresenta da sempre il motore economico e sociale di Olbia. Nel V secolo i
Vandali devastarono la città e i segni di questa aggressione sono arrivati fino a noi
grazie a una campagna di scavo avviata nel 1999 proprio nell’area del porto. Sono
stati rinvenuti dei relitti di navi riconducibili a quell’avvenimento, alcuni dei quali
conservati al Museo Archeologico. A partire dal medioevo la città andò verso un
graduale spopolamento soprattutto a causa del crollo dell’attività portuale. La
resurrezione avvenne nella prima metà del XX secolo, grazie soprattutto alle folte
comunità di pescatori che dall’isola di Ponza si trasferirono nella costa nord-
orientale della Sardegna. Dopo la Prima Guerra Mondiale fu importante anche
l’arrivo di mitilicultori da Taranto che portarono le loro tradizioni millenarie
nell’allevamento di mitili e ostriche.
ORISTANO
Oristano è la città che ha raccolto l’eredità dell’antica Tharros. Intorno al 1070 il
Giudice arborense Orozco portò nell’attuale capoluogo di provincia la popolazione
tarrese per proteggerla meglio dalle incursioni saracene. Da allora la storia di
Oristano si è sempre di più arricchita di storia e tradizioni, su tutte la Sartiglia.
Centro di Documentazione sulla Sartiglia
La Sartiglia fa parte di quella fetta di cultura inquantificabile e intangibile che è parte
integrante dell’identità del popolo sardo. Questa giostra equestre affonda le sue
radici negli antichi tornei cavallereschi militari diffusi nell’Europa medievale. All’età
spagnola risalgono le prime testimonianze della Sartiglia, un evento che da
cinquecento anni non ha mai mancato un appuntamento. Il Centro di
Documentazione raccoglie testimonianze preziosissime sulla tradizionale
competizione oristanese. La Sartiglia è stata anche occasione di due gemellaggi con
località estere che organizzano tradizionali giostre equestri: la croata Sinj per l’Alka e
la spagnola Ciutadella de Minorca per l’Ensortilla. Attualmente è in corso la
candidatura della Sartiglia all’UNESCO quale bene del Patrimonio Culturale
Immateriale dell’Umanità.
OSILO
In epoca romana nel territorio di Osilo sono noti due insediamenti chiamati Ad
Herculem e Ericum. In età Giudicale il paese fece parte del Giudicato di Torres, per
poi passare sotto il controllo dei Malaspina che in seguito a screzi con la Corona
d’Aragona furono costretti a cedere il borgo agli iberici.
La Chiesa di San Lorenzo e la poesia Badde Lontana
La chiesa di San Lorenzo nacque all’incirca nel XVII secolo ma ciò che vediamo oggi è
frutto di numerosi rifacimenti. La cultura però non è fatta solo dalla bellezza dei
monumenti. Anche le emozioni trasmesse dalla storia di un luogo sono cultura.
Queste possono essere metabolizzate e poi raccontate sotto varie forme artistiche,
come nel caso di Badde Lontana, che significa valle lontana. È uno struggente canto
scritto dall’osilese Antonio Strinna e messo in musica dal compositore Antonio Costa
nel 1972. Narra della morte di un bambino per la frana che colpì la frazione di San
Lorenzo nel 1957, quando un costone di roccia si staccò poco sotto l’omonima
chiesa e cadde su un’abitazione uccidendo un bimbo di dieci mesi. Questo triste
avvenimento è stato d’ispirazione per uno dei canti sardi più famosi dell’isola e ha
reso la tragedia osilese indelebile nella memoria del popolo.
OZIERI
Ozieri è stato uno dei centri più all’avanguardia dell’isola tra il XIX e il XX secolo. Qui
ad esempio fu costruita la prima centrale elettrica della Sardegna. Questo territorio
fu importante già nel periodo prenuragico quando da qui si sviluppò la famosa
Cultura di Ozieri.
Pinacoteca Altana
Ozieri ha da sempre avuto una vocazione alla novità. Nel XX secolo è stato il primo
Comune della Sardegna a dotarsi di energia elettrica costruendo la prima Centrale
dell’isola nel 1914. Quello stabile così importante per il progresso sociale del paese
oggi è sede della Pinacoteca Cittadina dedicata a Giuseppe Altana, pittore di origine
ozierese e grande interprete della scuola paesaggistica piemontese. L’allestimento è
studiato per valorizzare al meglio i più importanti pittori ozieresi. Si possono
ammirare la Sala Giuseppe Altana, le Sale Pietro Tinu, le Sale Vincenzo Marras e le
sale d’arte contemporanea. Sono presenti artisti noti a livello nazionale, compresi
molti grandi esponenti dell’arte otto-novecentesca sarda, toscana e umbra. La
Pinacoteca racconta il percorso della pittura locale tra novità e tradizione
contestualizzandola all’interno dei fermenti artistici nazionali.
PABILLONIS
Il paese è compreso tra i due corsi d’acqua naturali: il Flumini Malu e il Flumini Bellu.
Questa sua collocazione rende il territorio ricco di argilla, una materia prima che ha
reso famosa Pabillonis sin dal XVII secolo.
Monumento de Is Pingiadas
In via Sardegna è collocato il Monumento de Is Pingiadas dell’artista Antonio Ledda,
un tributo alle tradizionali pentole locali in terracotta. La lavorazione dell’argilla è
caratteristica del paese. I fabbricanti di mattoni, i maestri pentolai e tegolai hanno
costituito in passato una grande risorsa economica per il territorio. Oggi l’attività si è
molto ridotta, ma rimane un know-how che si tramanda nel tempo. La produzione di
ceramiche a Pabillonis si è da sempre concentrata su oggetti d’uso quotidiano, tanto
che l’abitato è ancora conosciuto come "sa bidda de is pingiadas", il paese delle
pentole. Al giorno d’oggi diamo per scontati alcuni oggetti, considerandoli quasi usa
e getta. Per i nostri antenati però Sa Pingiada aveva un valore enorme: serviva a
conservare il cibo, doveva durare nel tempo, era un emblema dello stare in famiglia.
PADRIA
L’odierno centro abitato insiste sull’antica città romana di Gurulis Vetus. Nel
territorio sono ancora presenti i resti di tre ponti romani e un’antica miniera
d’argento risalente alla stessa epoca.
Museo Civico Archeologico
Il Museo Archeologico di Padria è stato allestito nell’ex montegranatico
fiancheggiante la chiesa aragonese di Santa Giulia. Contiene al suo interno
importanti testimonianze del passato del territorio. Di particolare interesse è il
deposito votivo rinvenuto nel sito di San Giuseppe riferibile al centro romano di
Gurulis Vetus. Questo deposito comprende terrecotte anatomiche, animali, frutti e
statuine umane di un discreto valore artistico ed è databile tra il I secolo a.C. e il III
secolo d.C. Alcuni pannelli poi illustrano i resti della città romana di Gurulis Vetus, un
centro che raccordava la parte nord-occidentale dell’Isola alla strada che da Porto
Torres portava a Cagliari. Il Museo racconta l’evoluzione degli insediamenti
attraverso i secoli, con tutto ciò che ha fatto di Padria una delle aree privilegiate
per lo stanziamento umano dalla Preistoria sino all’età altomedievale.
PLOAGHE
In epoca medievale Ploaghe è stata sede vescovile e capoluogo di curatoria nel
Giudicato di Torres. In seguito passo di mano diverse volte, prima ai Malaspina, poi
agli Aragonesi, al Giudicato di Arborea e ancora agli Aragonesi.
Giovanni Spano
Il canonico Giovanni Spano è sicuramente la personalità più importante legata a
Ploaghe. Nato nel 1803 è stato uno dei più grandi intellettuali della storia sarda e il
suo nome è legato in maniera indissolubile alla storia degli studi umanistici nell’isola.
I suoi interessi spaziarono dalle lingue all’archeologia, dall’etnologia alla teologia. Fu
in costante contatto con studiosi di ogni parte d'Europa e fu precursore di diverse
discipline ben oltre i confini della sua isola. A Ploaghe resta la sua eredità materiale
e intellettuale. Nella Biblioteca antica è presente un fondo da lui donato con testi
del 1400 e 1500, libri di teologia, storia, filosofia, esegesi biblica e studio delle lingue
antiche. L’Oratorio del Rosario è invece sede della Quadreria Spano, con i dipinti
raccolti dallo studioso nelle sue innumerevoli escursioni nelle chiese e nei conventi
di tutta la Sardegna.
PORTO TORRES
In epoca romana la città di Turris Libisonis divenne una colonia importantissima, il
secondo centro più grande della Sardegna dopo Caralis. Più avanti, con la
formazione dei quattro Giudicati, la città divenne capitale del Giudicato di Torres.
Palazzo del Marchese-Museo Andrea Parodi
Lungo il Corso Vittorio Emanuele II, tra negozi e luoghi di ristorazione, c’è il Palazzo
del Marchese. Si tratta di un edificio costruito nella prima metà dell’Ottocento per
volontà del Marchese di San Saturnino Don Raimondo de Quesada. È in stile
neoclassico, con una facciata molto sobria ed elegante. Al suo interno dal 15 aprile
2017 è ospitato il museo dedicato ad Andrea Parodi, storica voce dei Tazenda. Il
cantante di Porto Torres, originario ligure, ha sempre trasferito nella musica la sua
anima di navigatore. Parodi ha sperimentato nella sua arte le contaminazioni
etniche di terre lontane e le ha amalgamate con le sonorità tipiche della sua isola.
Nel Palazzo del Marchese della città turritana è oggi possibile rivivere la carriera e la
genialità del grande cantautore sardo.
QUARTUCCIU
L’abitato di Quartucciu sorge nell’antica Quarto Suso o Quartutxo, come ancora
richiama il nome odierno. Altri villaggi di nome Quarto, a indicare il quarto miglio di
distanza da Carales, si fusero a inizio XIV secolo col villaggio di Cepola andando a
formare l’attuale centro adiacente di Quartu Sant’Elena.
Necropoli di Pill’e Mata
Nel 2000 durante i lavori per la realizzazione di una strada nell’area industriale di
Quartucciu è stata scoperta una necropoli di grande rilevanza storica e archeologica.
Sono state portate alla luce ben 272 sepolture che coprono un arco temporale che
va dal V secolo a.C. al V secolo d.C. Durante i mille anni di attività funeraria le
tipologie di sepolture hanno subito variazioni a seconda delle delle società che si
sono succedute nel tempo. L’intera area e i materiali rinvenuti al suo interno
raccontano dieci secoli di storia della civiltà umana nell’hinterland di Cagliari. La
necropoli è stata tra le altre cose oggetto di studio da parte dell’antropologo forense
Don Brothwell, luminare inglese scomparso nel 2016 e famoso in tutto il mondo per
i suoi studi, tra cui quello sulla mummia di Nefertiti.
SANLURI-SAN GAVINO
I territori di San Gavino e Sanluri acquisirono una certa importanza nel Medievo,
tanto che nel 1300 la stessa Sanluri divenne capoluogo della curatoria di Nuraminis.
A San Gavino vi è la più grande produzione di zafferano in Italia.
Sanluri – Castello Giudicale
Il Castello di Sanluri è una delle fortezze meglio conservate dell’isola. L’attuale
impianto nacque alla metà del 1300 sulla base di una fortificazione più antica. Nel
1409 il Castello fu teatro di una sanguinosa battaglia tra le truppe catalane e quelle
arborensi, con le prime che ebbero la meglio e consentirono agli iberici di dominare
incontrastati la città per molti secoli. Oggi entrare al Castello è come mettere piede
in un gigantesco libro di storia, poiché grazie alla continuità abitativa ha attraversato
tutte le epoche senza perdere mai d’importanza. All’interno sono contenute diverse
collezioni: il museo Duca D’Aosta, le ceroplastiche, lo studio del Generale Nino Villa
Santa e la sua corrispondenza con Gabriele D'Annunzio, i ricordi legati alla famiglia di
Napoleone, gli arredi che vanno dal XVII al XIX secolo, la sala Gondi, la Stanza della
caccia e la stanza delle regine.
San Gavino – Museo Due Fonderie.
Croce e delizia del territorio la Fonderia Portovesme è ancora in funzione tra alterne
fortune che ne hanno spesso messo a rischio il prosieguo dell’attività. Questo
stabilimento è un importante pezzo di storia della Sardegna, tanto che oggi ci si
interroga sempre di più sul suo futuro anche in ottica culturale. Ha segnato il
passaggio dalla vocazione agricola a quella industriale, dando lavoro a ben quattro
generazioni di sangavinesi. Il Museo Due Fonderie è allestito all’interno degli
ex magazzini ferroviari dove un tempo arrivava il minerale che dalla miniera di
Montevecchio era condotto nello stabilimento per la lavorazione. L’esposizione è
strutturata in tre aree: allestimenti, proiezioni audiovisive e laboratorio didattico. Il
Museo serve a trasmettere alle nuove generazioni la ricca eredità culturale,
materiale e immateriale, degli stabilimenti di San Gavino e di Villacidro.
San Gavino – Il paese dello zafferano
Lo zafferano era già conosciuto in Sardegna ai tempi dei fenici, ma è in epoca
altomedievale che avviene la riscoperta. Un’ipotesi la riconduce ai monaci orientali
in fuga dall’avanzata araba, un’altra possibilità è che siano stati proprio gli arabi a
riproporre questa pianta nel Mediterraneo. Lo stesso nome “zafferano” deriva dalla
parola araba “za῾farān”. A San Gavino la prima attestazione di questa spezia risale ad
un atto notarile del XVI secolo e da allora il paese si è sempre più specializzato nella
sua coltivazione. Oggi lo zafferano di San Gavino è tra i più rinomati d’Italia. Il
cosiddetto Oro Rosso di Sardegna è diventato un ingrediente indispensabile nella
cucina sarda e molte delle prelibatezze più caratteristiche dell’isola prevedono
l’utilizzo della famosa spezia.
SANTADI
Santadi sorge in una vallata a ridosso del parco di Gutturu Mannu. Le testimonianze
insediative risalgono alla preistoria, mentre all’epoca aragonese si verifica un totale
spopolamento. Grazie all’attività mineraria e all’agricoltura il paese torno a fiorire
dal XIX secolo sino ad oggi.
Museo civico Archeologico
Il territorio di Santadi fu sempre agevolato ad ospitare insediamenti umani.
Trattandosi di una zona fertile, pianeggiante e ricca di acqua è stato un habitat
ideale per l’uomo sin dalla preistoria. L’essere difeso dai monti ma non lontano dal
mare lo ha reso anche un centro adatto agli scambi commerciali. Il Museo
Archeologico di Santadi racconta la storia delle civiltà che hanno abitato il basso
Sulcis e di uomini capaci di produrre oggetti con grande perizia sin dal Neolitico.
L'esposizione segue un criterio cronologico e tra i reperti più significativi troviamo le
ceramiche e l'industria litica della cultura di Ozieri, i pugnali in rame e bronzo di
Montessu, i vasi del deposito votivo di Su Benatzu e i corredi funerari della necropoli
punica di Pani Loriga. Un percorso che mette in luce l’evoluzione della civiltà sarda
all’interno dei popoli del Mediterraneo.
SANT’ANNA ARRESI
Caratterizzata dalla bellissima spiaggia di Porto Pino il paese di Sant’Anna Arresi fu
ripopolato nel 1700 dopo che le incursioni dei pirati barbareschi causarono lo
spopolamento.
Nuraghe Arresi
A Sant’Anna Arresi si può ammirare lo strano caso di un onumento preistorico che
convive con il paesaggio urbano moderno. Il nuraghe Arresi si trova in Piazza Martiri
ed è affiancato da due chiese dedicate alla patrona locale, un po’ come un nonno
con i nipotini. Il colore dei suoi blocchi di calcare dolomitico risaltano nella
luminosità della piazza e l’irregolarità della sua tessitura muraria ben si bilancia con
l’ordinata geometria circostante. L'edificio è del tipo "a tancato", con una torre
principale dal diametro di circa tredici metri e un’altezza residua di sette. Questa è
saldata a una torre secondaria più piccola attraverso due bracci murari che
racchiudono un cortile interno. La costruzione è datata all’età del Bronzo medio,
ovvero intorno al XV-XIV secolo a.C. La convivenza di linguaggi nuragici e moderni
rende questo pezzo di paese unico e affascinante.
Sant’Antioco
L’isola di Sant’Antioco possiede una storia fatta di alterne fortune. Ha conosciuto
una posizione dominante nella civiltà sarda con l’arrivo dei fenici, attestandosi come
uno dei centri urbani più antichi d’Italia. In epoca romana l’antica Sulci conobbe un
vero e proprio boom grazie al porto e all’attività estrattiva di ferro, piombo e
argento che le valse la denominazione di “plumbaria insula”. Nel Medioevo l’isola si
spopolò rapidamente e solo con l’età sabauda, nel XVIII secolo, cominciò il lento
ripopolamento grazie all’arrivo di coloni tunisini, piemontesi, genovesi e greco-corsi.
Archivio storico Comunale
Gli archivi sono dei grandi contenitori di memoria. Ci raccontano fatti e personalità
che nel passato hanno contribuito a creare il nostro presente e fanno si che il nostro
tempo possa essere letto dalle generazioni future. L’Archivio storico di Sant’Antioco
raccoglie una documentazione che va dal 1793 al 1987 e racconta proprio quel
periodo di rinascita che dal 1700 in poi vide il ripopolamento dell’antica Sulci. La
documentazione presenta delle carenze fino al 1850, dovute principalmente alle
incursioni dei pirati barbareschi e alla mancanza di una sede comunale. I pirati
razziavano tutto ciò che poteva essere portato via e distruggevano il resto, mentre la
mancanza della sede comunale aveva l’aggravante di una norma che obbligava la
rotazione annuale della carica di Sindaco, comportando il trasporto della
documentazione nella casa del nuovo capo dell'amministrazione. Tutto questo è
stato causa di gravi perdite archivistiche, ma rende la documentazione rimasta
ancora più preziosa. Di notevole importanza è il “Registro de entrada y salida de los
dineros de esta comunidad de San Antiogo ut intus”, dove sono descritti alcuni
momenti salienti della comunità antiochense. Da questi documenti è possibile
rivivere le origini della devozione al Santo Patrono, l’epoca della pirateria, l’ordinaria
amministrazione e molto altro. Nel 2010 l’Archivio Storico Comunale ha realizzato
un lavoro di ricerca presso l’Archivio della Corona d’Aragona di Barcellona
contenente importantissime testimonianze riguardanti l’isola di Sant’Antioco che gli
aragonesi ribattezzarono “Illa de Sols”.
SARDARA
La storia di Sardara è legata alle sorgenti termali. In età nuragica l’acqua è stata
oggetto di culto nel territorio, come testimonia Sa Funtana de is dolus. In epoca
romana le Aquae Neapolitanae generarono un importante centro inglobato soltanto
nel 1800 nelle moderne terme.
Area archeologica di Sant'Anastasia
L’acqua è ciò che più identifica Sardara. Il rapporto che il paese ha con questo
elemento naturale supera da sempre il semplice utilizzo biologico. L’area
archeologica di Sant’Anastasia con il suo suggestivo pozzo sacro testimonia un
antichissimo culto nuragico delle acque. Tale pozzo è conosciuto anche come
“Funtana de is dolus” poiché in passato l’acqua che vi sgorgava era ritenuta salutare
e capace di curare i malanni. Il complesso è stato eretto circa 1300 anni prima della
nascita di Cristo e in epoche successive non ha perso le sue funzioni religiose. Di
fianco a Sa Funtana c’è la chiesa di Sant’Anastasia, di origine bizantina ma ricostruita
nel XV secolo. Molti dei reperti rinvenuti nel sito si trovano nel museo di Villa Abbas
non lontano da Sant’Anastasia. A due passi dalla chiesa vi è infine casa Pilloni,
dimora Seicentesca adibita a centro servizi per il sito archeologico.
SASSARI
Sassari è da sempre fucina di intellettuali, nonché un’importante crocevia di culture.
Non è un caso se proprio in questa città sia nata la prima Università della Sardegna,
voluta fortemente dalla popolazione locale e sostenuta dalla Corona di Spagna nel
XVII secolo. A Sassari appartiene anche la più antica scuola d’arte della Sardegna
dove hanno studiato e insegnato grandi personalità del calibro di Filippo Figari,
Stanis Dessy, Eugenio Tavolara e tanti altri. Il costante fermento culturale ha reso
questa città particolarmente ricettiva anche alle novità di costume, basti pensare
che sempre qui è nata la società calcistica più antica della Sardegna.
Palazzo dell’Università
Il luogo per eccellenza dove le culture si confrontano e si mescolano è senza dubbio
l’università. Gli atenei hanno la capacità di azzerare le distanze, favorendo
l’atteggiamento positivo verso le novità e il progresso. Così è oggi e così era già nel
1543, quando per la prima volta Sassari avanzò alla Corona d’Aragona la richiesta di
istituire un’università in Sardegna. Tra i sassaresi era opinione diffusa che
l’istruzione fosse l’unico strumento per garantire il miglioramento e il ricambio della
classe dirigente di tutto il Regno. Da quella petizione la città dovette attendere il
1617 per vedere ufficialmente riconosciuta dal sovrano Filippo III la prima vera
università della Sardegna. L’investitura del Re fu la conclusione di un lungo processo
evolutivo che trasformò il vecchio Collegio Gesuitico, già attivo nella seconda metà
del 1500, nell’ateneo locale. Grazie alla donazione del Vescovo di Oristano, il
sassarese Antonio Canopolo, nel 1611 si iniziò a costruire il primo corpo del nuovo
Collegio. La struttura fu impostata su un cortile centrale intorno al quale gravitavano
le aule di studio. Nel 1625 furono aggiunte le abitazioni dei religiosi e la chiesa di San
Giuseppe, ultimata nel 1651. Il corpo della fabbrica subì diverse trasformazioni con
la demolizione della chiesa e nel 1927 vennero modificati il prospetto ed il porticato
interno. La fronte posteriore sui giardini pubblici segue un modello ispirato al
complesso dell’Escorial di Madrid. Già nei primi anni di vita del vecchio Collegio era
presente un’ampia comunità di studenti provenienti da diverse nazionalità. Vi erano
ad esempio castigliani, catalani, aragonesi, portoghesi e persino austriaci, a
testimonianza della varietà culturale su cui ha messo le basi un’università che oggi
può vantare ben due Presidenti della Repubblica graduati presso l’ateneo sassarese.
SELARGIUS
L’abitato è probabilmente di origine romana, mentre nel medioevo lo si trova nei
documenti col nome di Kellarios, dal latino “cellarium” e cioè deposito agricolo. In
epoca aragonese fu invece un baluardo fortificato a difesa di Carali.
Sito di Santa Rosa
Santa Rosa ha una storia molto particolare. La prima pietra della chiesa venne posta
nel 1946 con una pergamena dedicata a Santa Rosa da Lima, suora vissuta in Perù
tra il 1586 e il 1617. La fabbrica si arenò poco dopo e l’opera rimase incompiuta per
moltissimo tempo. Fu terminata solo tra il 2012 e il 2014, quando ad accompagnare
la conclusione dell’edificio ci fu uno scavo archeologico che mise in luce un
complesso del V-VI secolo. Venne ritrovata una sepoltura contenente numerosi
individui, con un corredo costituito da semplici vaghi di collana in pasta vitrea.
Inoltre furono rinvenute due monete che oscillano tra il V e il VI secolo. Di
particolare interesse è poi una cisterna che ha restituito frammenti ceramici di
produzione pisana e islamica. Santa Rosa è un sito che abbonda di ricchezza
culturale, moderno ma allo stesso tempo capace di raccontare una storia
antichissima.
SENEGHE
Il paese si sviluppa sul versante orientale del Montiferru, immerso nei boschi di lecci
e sugheri. Sono tantissime le testimonianze nuragiche e anche in epoca romana il
territorio mantenne una certa rilevanza.
Casa Aragonese
Nascosta in mezzo alle strette vie del centro abitato c’è la Casa Aragonese, uno degli
edifici più intriganti di tutto il paese. Si tratta di un’abitazione risalente alla fine del
Seicento e costruita in stile aragonese, come sottolineato dalle decorazioni di gusto
puramente gotico-catalano che incorniciano le finestre. Fu proprietà del canonico
Pietro Spano e divenne anche la residenza estiva degli arcivescovi della diocesi di
Arborea. Attualmente è ospitata la Biblioteca Comunale, con il piano terra che
custodisce la raccolta libraria mentre nel primo e nel secondo piano dello stabile si
trovano la sala convegni e la sala consiliare. La Casa Aragonese mostra come le
maestranze operanti in Sardegna rimasero molto legate alla tradizione iberica, tanto
da estendere l’estensione temporale del gotico in epoche dove già nel resto
d’Europa si diffondeva il Barocco.
SERDIANA
L’abitato sorse in epoca romana, ma già dal neolitico si segnalano alcune
testimonianze di civiltà. Nel Medioevo fu parte del Giudicato di Cagliari e tra il 1120
e il 1130 sorse la bellissima chiesa romanica di Santa Maria.
Chiesa di Santa Maria
La Chiesa di Santa Maria fu edificata secondo i canoni del romanico tra il 1120 e il
1130 a Sibiola, un antico villaggio medievale esistente fino alla fine del XVI secolo. La
più antica attestazione della chiesa in un documento appare nel 1338, in un
inventario riguardante i beni posseduti in Sardegna dai Vittorini di Marsiglia.
L’edificio presenta due navate coperte da volte a botte scandite da sottarchi. Questi
ultimi aiutano a datare l’edificio sulla base della somiglianza con la Chiesa di San
Saturnino a Cagliari, consacrata nel 1119 e che fu un modello per diverse chiese
sarde edificate dalle maestranze al servizio dei Vittorini. L’arrivo di questi monaci
dalla Francia intorno all’anno mille aiutò la Sardegna a uscire fuori dall’isolamento
culturale e a inserirsi in una dimensione internazionale.
SERRAMANNA
In anni recenti il paese di Serramanna si è fatto conoscere soprattutto per la Cantina
Sociale produttrice di ottimi vini e per l’industria conserviera. Nel Medioevo
Serramanna era divisa in ville, poi con l’avvento del feudalesimo passò attraverso
varie famiglie nobili.
Santuario di Santa Maria di Montserrat
Santa Maria di Montserrat è una chiesa campestre situata in un territorio che
presenta testimonianze antichissime di insediamenti umani. L’edificio è stato
costruito attorno all’anno mille secondo i canoni del romanico. Il corpo di fabbrica
principale ha una sola navata e non presenta abside. Il loggiato che lo circonda è
frutto di un intervento del XIX secolo, di natura più pratica che estetica, forse dovuto
alla necessità di riparo dal sole o dalla pioggia dei tantissimi fedeli che a settembre
accorrevano per Sa Festa Manna in onore di Santa Maria. Il culto per la Madonna di
Montserrat si diffuse in Sardegna per opera dei catalano-aragonesi. Questa
venerazione si ricollega al famoso Monastero di Montserrat in Catalogna dove viene
venerata la “Moreneta”, una particolarissima statua della Madonna dalla carnagione
scura la cui leggenda si allaccia alla Reconquista dopo l’invasione araba.
SESTU
Il toponimo deriva dalla posizione lungo la strada che in epoca romana portava da
Caralis a Turris Libisonis, l’attuale Porto Torres. Sestu era infatti la sesta colonna
miliare. In età feudale passò di mano a diverse famiglie spagnole per poi diventare
Comune libero nel 1840.
Chiesa di San Gemiliano
La Chiesa di San Gemiliano è unica nel suo genere. Risale alla seconda metà del XIII
secolo e dalle tecniche costruttive è inquadrabile nel romanico di derivazione
francese. La diffusione di questi stilemi d’oltralpe è avvenuta per merito dei monaci
Vittorini di Marsiglia, arrivati in Sardegna dalla Francia intorno all’anno mille. La
particolarità principale della chiesa è data dall'inversione dei rapporti di larghezza
delle navate e di ampiezza delle rispettive absidi. A differenza delle altre chiese
vittorine, dove la navata più ampia è quella meridionale, qui è la navata
settentrionale ad essere maggiore. La vivacità dell’ornato di San Gemiliano ha fatto
ipotizzare che si debba l’edificazione a delle maestranze arabe. È risaputo che nel
medioevo i rapporti tra la Sardegna e il mondo islamico furono costanti e
compresero un arco cronologico molto ampio.
SETTIMO-DOLIANOVA
Il nome di Settimo San Pietro è un riferimento alle sette miglia che separavano
l’antico abitato da Cagliari. Più incerta l’origine del toponimo Dolianova, forse
derivante da Pars Olea, nome con cui i romani avrebbero chiamato il Parteolla.
Settimo - Centro di sperimentazione didattica e divulgativa Arca del tempo Nell’area archeologica di Cuccuru Nuraxi è nata l’Arca del tempo, un centro di attività espositive, didattiche, formative e laboratorio di scavo. Al suo interno il visitatore ha l’opportunità di viaggiare nel tempo attraverso quattromila anni di storia grazie a un percorso multimediale che permette di immergersi nelle ricostruzioni virtuali di sette diverse epoche. Si potrà ammirare l’evoluzione del paesaggio dal Neolotico all'Età del Bronzo, il periodo punico, quello romano, l’Età Giudicale, le dominazioni pisane e aragonesi fino all’epoca sabauda. Trentacinque paesaggi grafici tridimesionali mostrano alcuni dei più significativi monumenti del territorio in tutti i loro passaggi nel tempo. La mostra è stata presentata per la prima
volta a Tokio nel settembre 2011, in occasione del congresso annuale dell’Union Internationale des Architectes.
Dolianova – San Pantaleo La cattedrale di San Pantaleo è uno dei monumenti in assoluto più importanti della Sardegna, nonché un eccezionale esempio del romanico isolano. È frutto di varie fasi costruttive e venne consacrata l’8 dicembre 1289, come riporta un’iscrizione absidale. La chiesa è impostata su un’area di culto paleocristiana già in uso nel VI secolo, di cui ancora si conserva una vasca battesimale sotto il presbiterio. Internamente sono custoditi alcuni tra i più alti esempi di pittura medievale in Sardegna come gli affreschi e il Retablo di San Pantaleo, pregevole opera realizzata tra il Quattrocento e il Cinquecento. L’imponenza dell’edificio e la ricchezza di dettagli nelle decorazioni lasciano intuire il valore di questa chiesa per la società medievale, nonché un alto livello della committenza. La varietà di tecniche costruttive e decorative rendono San Pantaleo un monumento unico in Sardegna.
TERRALBA-URAS
Uras è un paese alle pendici del monte Arci famoso sin dall’antichità per
l’importante attività estrattiva. Terralba ha invece beneficiato di una notevole
espansione in epoca fascista.
Terralba – Concattedrale di San Pietro
La storia della concattedrale di San Pietro mostra come sia cambiata la sensibilità
verso il patrimonio culturale nel corso dei secoli. L’edificio che vediamo oggi risale
agli inizi dell’Ottocento ed è costruito secondo i canoni del tardo-barocco. Nacque
per volontà dell’allora vescovo della diocesi di Ales-Terralba mons. Paradiso, il quale
decise di far demolire la fatiscente chiesa romanica del 1114 per far spazio al nuovo
impianto. La fabbrica andò a rilento e ci volle più di un secolo per vederla consacrata
nel 1933. Attualmente all’interno sono conservati i capitelli provenienti dall’antica
città di Neapolis, un grosso centro che andò a spopolarsi verso l’anno mille e di cui
Terralba raccoglie parte dell’eredità. Sono inoltre presenti pregevoli arredi come il
pulpito ligneo di bottega sardo-napoletana, un fonte battesimale datato 1626 e una
preziosa croce d’argento spagnola.
Uras – Chiesa Parrocchiale Santa Maria Maddalena
La chiesa fu eretta nel 1664 seguendo il modello della Cattedrale di Cagliari. Nel
1752 fu terminato il campanile a canna quadra, realizzato con pietre provenienti
dalle cave di Sardara e Villanovaforru. In seguito il soffitto voltato a botte fu
innalzato di qualche metro risultando così sproporzionata nei confronti del
campanile, costruito per un prospetto più basso. Di particolare valore artistico sono
l’altare maggiore, il battistero e la balaustra in marmo del 1700. È inoltre presente
un maestoso organo a canne restaurato dall’Arte Organaria Sarda Palmas di Segariu,
composto da 20 registri, due manuali, pedaliera e 1467 canne. Santa Maria
Maddalena si presenta come un edificio sobriamente barocco che risente ancora
della lezione romanica. Un buon esempio della rielaborazione sarda di stilemi
internazionali.
THIESI
Secondo alcune fonti Thiesi sarebbe stata fondata da degli ebrei deportati dai
romani. Questi coloni avrebbero dato vita a quello che oggi appare come un
affascinante paese circondato da colline, noto soprattutto per la produzione
casearia.
Museo Aligi Sassu
Il Museo Aligi Sassu è il tributo che Thiesi dedica al grande artista originario del
paese. Sassu nacque a Milano nel 1912 da madre emiliana e padre thiesino. A Thiesi
l’artista frequentò le scuole elementari e qui conobbe per la prima volta i suoi
soggetti preferiti: i cavalli. In seguito rientrò a Milano e nella città meneghina venne
a contatto con tutti i più importanti movimenti artistici del Novecento, compresi
numerosi artisti di fama internazionale. La collezione del Museo di Thiesi raccoglie
120 opere realizzate fra il 1929 e il 1995, con un grande affresco dei primi anni
sessanta ad impreziosire l’edificio in cui è ospitata. La grandiosità della produzione
di Sassu sta nell’aver sempre saputo coniugare il quotidiano con il mito e la
tradizione con la modernità, dimostrando non solo di essere un artista di elevata
caratura ma anche uno straordinario uomo di cultura.
TORRALBA-COSSOINE
In età nuragica questi territori ebbero una grandissima rilevanza e ancora oggi
presentano importanti testimonianze di quell’antica civiltà, alcune delle quali tra le
meglio conservate in Sardegna.
Torralba – Nuraghe Santu Antine
Il nuraghe Santu Antine è un orgoglio per tutta la Sardegna. È il segno di una civiltà
avanzata, dotata di maestranze all’avanguardia e custode di saperi che ancora oggi
lasciano senza fiato. Si tratta del più maestoso complesso megalitico presente
sull’isola dopo Su Nuraxi di Barumini. Santu Antine è una fortezza in blocchi basaltici
sagomati, con un mastio centrale di circa 17 metri che in passato doveva essere
persino più alto. Un autentico “grattacielo” per l’epoca. Risale al XVI-IX secolo a.C. e
all’esterno presenta i resti di un villaggio frequentato sino in epoca romana. I popoli
nuragici hanno avuto continui scambi culturali e commerciali con le più importanti
civiltà mediterranee coeve. Santu Antine dimostra come la cultura sarda dell’epoca
fosse di gran lunga al passo coi tempi, capace di produrre opere che sbalordiscono
anche dopo migliaia di anni.
Cossoine – Chiesa di Santa Maria Iscalas
La chiesa di Santa Maria Iscalas è uno degli edifici religiosi più antichi dell’isola e
rappresenta l’unico esempio superstite di chiesa bizantina cruciforme nel nord
dell’Isola. Una caratteristica peculiare si nota all’esterno, con la cupola totalmente
nascosta alla vista da un tiburio cubico sormontato da un tetto piramidale su cui è
innestata una croce in pietra. All’interno sono presenti alcuni frammenti di pittura
murale risalenti al Medioevo in cui è possibile distinguere la scena del battesimo di
Cristo. La chiesa è stata oggetto di numerosi studi che ne hanno spesso spostato la
cronologia, oscillando tra il VI-VII e il X-XI secolo. Sulla base del confronto con Santa
Maria Formosa di Pola in Croazia e con alcune chiese greche la datazione più
attendibile sembra quella del VII secolo, il che la rende una delle più antiche di tutta
la Sardegna.
TORTOLI
Nel Medioevo Tortolì divenne un importante punto di riferimento per tutti i
navigatori del Mar Tirreno. Nel XX secolo l’arrivo di una folta comunità di pescatori
ponzani portò saperi e tradizioni che oggi sono parte dell’identità locale.
Museo Su logu de s'iscultura
In occasione della mostra antologica dedicata a Mauro Staccioli nel 1995 nacque a
Tortolì il Museo “Su logu de s'iscultura”, un parco di scultura a cielo aperto. L’intento
è quello di conciliare la scultura contemporanea con la natura, risolvendo
armonicamente il rapporto spesso conflittuale tra la modernità e il paesaggio.
Questo ambizioso progetto non sarebbe stato possibile senza il contributo di artisti
di fama internazionale del calibro di Mauro Staccioli, Maria Lai, Hidetoshi Nagasawa,
Gianfranco Pardi, Igino Panzino, Giovanni Campus, Massimo Kaufmann, Maurizio
Bertinetti, Alfredo Pirri, Corrado Bonomi, Antonio Levolela, Pietro Coletta, Ascanio
Renda, Umberto Mariani, Alex Pinna. La sede centrale del Museo è collocata al
piano terra dell'ex mercato civico, mentre il resto dell’esposizione è disseminato per
le vie del paese ed è la parte più caratterizzante.
USINI
Le testimonianze più antiche di insediamenti umani nel territorio di Usini risalgono
al neolitico. In età giudicale il paese era composto dagli attuali rioni Corrau e
Usineddu e stretto intorno alle chiese di San Giovanni Battista e di San Pietro.
Corte di Casa Diaz
Il piccolo centro di Usini può vantare una tradizione enologica secolare. Il paese è
ormai entrato nel gotha delle Città del Vino italiane e ha già acquisito una
particolare rilevanza all’interno di questo circuito. La corte di Casa Diaz è un simbolo
della vocazione agricola del paese e di come l’ulivo, il carciofo e soprattutto la vite
siano stati il vero motore dell’economia a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento. La
struttura terminata nel 1874 era il cuore dell’Azienda Diaz che per anni ha dato
lavoro a tantissimi usinesi. Al suo interno sono ancora presenti gli attrezzi e i
macchinari usati dagli operai dell’epoca. Al termine del cortile si scende nelle
cantine, dove erano conservati i vini con particolare cura delle condizioni ambientali.
Le grandi botti ancora oggi perfettamente mantenute mostrano l’importanza di
questa produzione.
UTA
Il paese di Uta ha una lunghissima storia le cui prime testimonianze risalgono al
periodo nuragico. Un nucleo sociale attivo era presente anche in epoca romana, ma
le migliori evidenze del passato attualmente visibili sul territorio partono dall’Età
Giudicale.
Chiesa di Santa Maria
La Chiesa di Santa Maria è situata appena fuori dal centro abitato e si trova immersa
nell’omonimo parco. Si tratta di un meraviglioso esempio di architettura romanica in
Sardegna, un autentico gioiello costruito da maestranze toscane nel XII secolo. La
facciata è spartita orizzontalmente in due zone da una cornice di derivazione araba,
testimonianza di una presenza viva e operante proveniente da terre lontane. La
chiesa era inoltre parte di un complesso monastico di proprietà dei Vittorini di
Marsiglia. I monasteri non erano solo luoghi di preghiera, ma anche prestigiosi centri
culturali con un’importanza sociale ed economica rilevantissima. Tanti monaci
arrivavano d’oltremare portando con sé valori e saperi di altri popoli. Curioso il
particolare di una lesena dell’abside dove è incisa la croce dei Cavalieri di Malta, un
ordine di frati guerrieri di cui fu membro anche Caravaggio.
VILLACIDRO
Il centro abitato si trova nel punto in cui la piana del Campidano cede il passo al
Monte Linas. Sia per la sua collocazione geofisica, sia per l’aria salubre che alimenta
un’agricoltura di qualità è stato definito un “paese di montagna”.
Casa Dessì
La memoria storica di un paese passa anche attraverso i suoi cittadini illustri. Casa
Dessì è il luogo in cui è cresciuto e si è formato il grande scrittore Giuseppe Dessì,
vincitore del premio Strega nel 1972 con il romanzo “Paese d’Ombre”. Si tratta di
uno dei più grandi autori sardi del Novecento e in questa dimora nacquero i
personaggi di San Silvano, di Michele Boschino e dei Passeri, tre delle sue maggiori
opere. La Casa Dessì risale alla prima metà del XIX secolo e costituisce un tipico
esempio di abitazione signorile dell’epoca. Fu acquistata al termine della Grande
Guerra dal generale Francesco Dessì, padre dello scrittore e alto ufficiale
dell’esercito regio. Nel corso degli anni hanno risieduto qui altre grandi famiglie tra
cui quella del prof. Antioco Loru, Rettore dell’Università di Cagliari con due diversi
mandati, sindaco dello stesso capoluogo e Senatore del Regno.
VILLAMASSARGIA
In epoca romana venne costruito un acquedotto per rifornire Carales. La rilevanza
strategica del territorio mutò in epoca medievale ma non diminuì. Il Castello di
Gioiosa Guardia infatti fu un importantissimo avamposto militare.
Chiesa della Madonna del Pilar
L’intitolazione riprende la famosa patrona di Spagna il cui Santuario situato a
Saragozza risulta essere il più antico di tutta la cristianità. In origine però questa
chiesa di Villamassargia era intitolata a San Ranieri, patrono di Pisa, secondo la
volontà del Conte toscano Bonifacio Donoratico signore del paese. Un’iscrizione ci
dice che fu conclusa nel 1318 ad opera di Arzocco De Garnas, dati rarissimi da
trovare nelle chiese sarde. Dell’impianto romanico resta solo la facciata con il suo
campanile a vela originale, il resto dell’edificio risale ai rifacimenti tra il XIV e il XVI
secolo che conferiscono al complesso una certa quantità di caratteri gotici riferibili
all’influenza spagnola. È infatti durante la dominazione aragonese che si ha il cambio
di intitolazione alla Madonna del Pilar, tuttora festeggiata ad ottobre sia a
Villamassargia che in tutti i paesi di lingua spagnola.
VILLANOVAFORRU-VILLAMAR
In epoca medievale la zona era un crocevia importante delle rotte del grano tra isole
mediterranee, tanto che nel XVI secolo Villamar fu colonizzata da mercanti delle
Baleari a cui si deve la nascita del quartiere maiorchino.
Villamar – Casa Maiorchina
Durante la dominazione aragonese Villamar fu un importante crocevia delle rotte
del grano nel Mediterraneo. Molti coloni e commercianti dall’isola spagnola di
Maiorca decisero di stabilirsi qui con le loro famiglie creando una fitta comunità
iberica. Ancora oggi nel paese esiste il quartiere maiorchino, nome derivato proprio
dalla popolazione originaria delle Baleari, di cui la Casa Maiorchina è il simbolo. L’
edificio è il tipico esempio di casa rurale del XIX secolo dei grandi proprietari terrieri
della Marmilla, comprendente sia gli spazi abitativi che le aree di supporto alle
attività agricole. L’elegante palazzina è oggi un importante centro culturale e
rappresenta l’anello di congiunzione tra le due identità del paese: quella iberica e
quella sarda.
Villanovaforru – Chiesa di Santa Marina
Nel Medioevo molti coloni spagnoli trovarono nella Marmilla una terra di
opportunità. La loro presenza ha lasciato un segno importante, come testimonia il
culto per Santa Marina di Orense a Villanovaforru. Questa sacra figura non è
venerata da nessun’altra parte in Sardegna ma il culto ha larga diffusione in Spagna.
La martire galiziana viene festeggiata il lunedì e il martedì dopo la Pasqua e il 16 e 17
luglio. La cerimonia parte con la vestizione della statua che viene poi portata in
processione su un carro ornato trainato dai buoi. Ai piedi della Santa vengono messi
dei cespuglietti di basilico i cui rami vengono presi dai fedeli al termine della messa
in suo onore. La Chiesa di Santa Marina è un edificio in stile romanico che ha subito
diverse aggiunte in epoche successive. Secondo un’epigrafe scolpita nel 1686 il
primo impianto dovrebbe risalire al 1280.
VILLASIMIUS
Frequentata già in età fenicio-punica Villasimius divenne successivamente un centro
romano, come testimoniano le terme di Santa Maria e i reperti trovati. Nel
medioevo l’abitato conobbe lo spopolamento per poi riprendere vigore agli inizi del
XIX secolo.
Museo Archeologico
Il Museo Archeologico ripercorre le vicende storiche del territorio attraverso la
cultura materiale prodotta da chi ha vissuto in passato. Le evidenze raccontano il
ruolo primario che ebbe Capo Carbonara già dall’antichità all’interno dei traffici nel
Mediterraneo. Dagli scavi effettuati nella zona sono emersi reperti che spaziano dal
Neolitico fino all'epoca romana. A quest’ultima appartiene la statua muliebre
databile al I secolo d.C. proveniente da Santa Maria, luogo dove sono state riportate
alla luce le terme. Non mancano anche testimonianze più tarde. Il relitto di una nave
spagnola naufragata nei pressi dell'Isola dei Cavoli e risalente alla prima metà del XV
secolo ha fornito interessanti informazioni dagli studi sul suo carico. È stato così
possibile ricostruire alcuni movimenti che interessavano in quel periodo le rotte
commerciali tra la Spagna e l'Italia Meridionale.