Cultura Patrimonio Comune...La Chiesa di Santa Lucia è frutto di quella commistione di saperi che...

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Il patrimonio artistico cittadino in occasione di Monumenti Aperti viene raccontato da centinaia di studenti in una due giorni di aperture gratuite dei monumenti. Quest’anno sono stati individuati un monumento simbolo per ogni comune dentro il circuito della XXII edizione, tenendo conto del tema che caratterizzerà la manifestazione nel 2018. Cultura Patrimonio Comune L’Unione Europea ha designato il 2018 Anno Europeo del Patrimonio Culturale. Nella riflessione sul Patrimonio, assume un valore centrale il concetto di diversità, che determina il panorama ricco e variato dei nostri paesi, delle nostre città, dei nostri paesaggi naturali e antropizzati; rappresenta il portato storico di tradizioni che si sono sedimentate, incontrate e mescolate nel tempo; determina il principio sul quale costruire nuovi modi di abitare il pianeta e una più ampia cittadinanza, quella europea, al tempo stesso memoria delle proprie origini e consapevolezza di essere protagonisti del mondo. Diversità come valore, che annulla e colma le distanze, ridiscute le periferie, affronta con atteggiamento positivo i fenomeni migratori e l'innata tendenza dell'essere umano al cambiamento. All’interno di questo orizzonte, Monumenti Aperti, manifestazione partita 22 anni fa dalla Sardegna, costituisce oggi un valore aggiunto con una prospettiva che nella storia del nostro paese, nel suo patrimonio materiale e immateriale mette l'accento sull’identità come luogo di intersezione di civiltà, come mescolanza di lingue e tradizioni. Patrimonio e identità, dunque, concepiti come continuamente aperti nel passato, nel presente e nel futuro alle contaminazioni da cui derivano opportunità e possibilità di sviluppo. Nella valorizzazione del patrimonio italiano, Monumenti Aperti ha adottato questo sguardo, questa specifica narrazione per mettere in evidenza gli incroci, gli incontri e gli scontri leggibili nei "monumenti". Quel patrimonio, dunque, materiale e immateriale che grazie a Monumenti Aperti anche a Bitonto da quest’anno verrà ri- raccontato dagli studenti delle scuole in prospettiva rinnovata per contribuire a cambiare il modo in cui le persone guardano a sé stesse e agli altri, per rafforzare l'idea di inclusione e rendere esplicita la diversità nella storia passata, educando alla convivenza pacifica come risultato di un impegno all'accoglienza e alla comprensione reciproca. (Simona Campus)

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Il patrimonio artistico cittadino in occasione di Monumenti Aperti viene raccontato da centinaia di studenti in una due giorni di aperture gratuite dei monumenti. Quest’anno sono stati individuati un monumento simbolo per ogni comune dentro il circuito della XXII edizione, tenendo conto del tema che caratterizzerà la manifestazione nel 2018.

Cultura Patrimonio Comune L’Unione Europea ha designato il 2018 Anno Europeo del Patrimonio Culturale. Nella riflessione sul Patrimonio, assume un valore centrale il concetto di diversità, che determina il panorama ricco e

variato dei nostri paesi, delle nostre città, dei nostri paesaggi naturali e antropizzati; rappresenta il portato storico di tradizioni che si sono sedimentate, incontrate e mescolate nel tempo; determina il principio sul quale costruire nuovi modi di abitare il pianeta e una più ampia cittadinanza, quella europea, al tempo stesso memoria delle proprie origini e consapevolezza di essere protagonisti del mondo. Diversità come valore, che annulla e colma le distanze, ridiscute le periferie, affronta con

atteggiamento positivo i fenomeni migratori e l'innata tendenza dell'essere umano al cambiamento. All’interno di questo orizzonte, Monumenti Aperti, manifestazione partita 22 anni fa dalla Sardegna, costituisce oggi un valore aggiunto con una prospettiva che nella storia del nostro

paese, nel suo patrimonio materiale e immateriale mette l'accento sull’identità come luogo di intersezione di civiltà, come mescolanza di lingue e tradizioni. Patrimonio e identità, dunque,

concepiti come continuamente aperti nel passato, nel presente e nel futuro alle contaminazioni da cui derivano opportunità e possibilità di sviluppo. Nella valorizzazione del patrimonio italiano,

Monumenti Aperti ha adottato questo sguardo, questa specifica narrazione per mettere in evidenza gli incroci, gli incontri e gli scontri leggibili nei "monumenti". Quel patrimonio, dunque, materiale e immateriale che grazie a Monumenti Aperti anche a Bitonto da quest’anno verrà ri-

raccontato dagli studenti delle scuole in prospettiva rinnovata per contribuire a cambiare il modo in cui le persone guardano a sé stesse e agli altri, per rafforzare l'idea di inclusione e rendere

esplicita la diversità nella storia passata, educando alla convivenza pacifica come risultato di un impegno all'accoglienza e alla comprensione reciproca.

(Simona Campus)

ALGHERO

Nel 1102 la famiglia genovese dei Doria fortificò la città e da allora tutti i

conquistatori arrivati in Sardegna ne bramarono il possesso. È però la dominazione

aragonese a lasciare il segno più profondo. Nel 1354 il Re Pietro IV assediò Alghero,

la conquistò e sostituì letteralmente gli autoctoni con coloni catalani.

Archivio storico Comunale

L’unicità di Alghero sta nel mix di cultura sardo-iberica che abbraccia ogni aspetto

della vita quotidiana. L’utilizzo della lingua catalana nella sua “variante sarda” è

ancora oggi il tratto più caratteristico della sua popolazione. Questo dialetto è

sopravvissuto nonostante già nel 1600 la Corona di Spagna impose il castigliano

come lingua dominante della cultura scritta. L’Archivio storico Comunale custodisce

una ricca documentazione che va dalla conquista aragonese del 1354 agli ultimi

quarant’anni. Il settore più importante è il fondo antico con documenti della Corona

di Spagna prodotti tra il 1260 e il 1739. L’Archivio chiarisce bene il profondo legame

tra la cultura spagnola e la società algherese, raccontando attraverso i documenti i

fatti che hanno reso la città una “piccola Barcellona”.

ARBUS-GUSPINI

In questi territori l’uomo ha lasciato tracce antichissime. È stato infatti rinvenuto ad

Arbus lo scheletro più antico della Sardegna, databile tra i 10.000 e gli 8.200 anni fa.

All’epoca medievale si deve la nascita dell’odierna Guspini che conserva ancora oggi

nel centro storico il suo assetto originario.

S’Arburesa e Sa Guspinesa

I paesi di Arbus e Guspini sono molto noti per la loro lunga tradizione nell’arte della

coltelleria. Sono celebri l’Arburesa e la Guspinesa, due tipologie di lame diffusissime

in Sardegna. La prima ha una lama a forma di foglia larga, mentre la seconda

possiede una variante a lama tronca dovuta a una legge del 1908 che proibì l’uso di

coltelli appuntiti senza giustificato motivo. L’artigianato legato alle armi da taglio ha

una storia antichissima nell’Isola. L’ossidiana del Monte Arci ebbe a tal proposito

una commercializzazione ampissima in tutto il Mediterraneo. Con le prime fornaci

nuragiche ebbe inizio la specializzazione sarda nella forgiatura. In seguito furono i

cavalieri di ritorno dalle Crociate in Oriente a portare nuove tecniche per la

produzione di lame. Ancora oggi infatti molti coltelli sardi ricordano le sciabole

tipiche della civiltà orientale.

Guspini – Chiesa di Santa Maria di Malta

La Chiesa di Santa Maria è un edificio romanico situato nel centro storico di Guspini.

L’edificio risale all’XI-XII secolo, anche se la data 985 incisa su un muro maestro fa

pensare a un primo impianto anteriore. Sull’architrave del portale laterale è invece

scolpita la croce a otto punte dei Cavalieri di Malta, un ordine di frati guerrieri che

per un breve periodo ospitò tra le sue file anche Caravaggio. I Cavalieri di Malta

ebbero qui la loro fondazione grazie al sostegno del Giudice Guglielmo, il quale fece

aggiungere nella facciata una piccola protome caprina simbolo del proprio casato.

L’edificio fu parte integrante di un monastero molto importante per lo sviluppo di

Guspini. I monaci di fede greco-bizantina coltivarono e fecero coltivare le terre

circostanti al monastero, difendendole dall'abbandono e spingendo sempre più

persone ad unirsi alla vita del villaggio.

Arbus – Foresteria Dirigenti di Montevecchio

La Foresteria era il luogo dove alloggiavano ingegneri e dirigenti della miniera di

Montevecchio. Fu costruita nel 1930 insieme all’alloggio per gli impiegati e inserita

all’interno di un complesso che divenne una vera e propria cittadina dotata di tutti i

servizi. Gli apparati decorativi dell’edificio sono quelli tipici delle eleganti residenze

urbane di fine Ottocento. I gusti delle grandi capitali europee dell’epoca

riecheggiano negli ambienti e certificano la caratura internazionale dell’azienda di

Montevecchio. Nel 1900 la Società si presentò all’Esposizione Universale di Parigi e

ottenne significativi riconoscimenti come una delle maggiori produttrici al mondo di

piombo e zinco. Oggi la Foresteria ospita la collezione Dellacà con i plastici che

riproducono la vita mineraria in diverse epoche. Presente anche un’esposizione di

campioni di minerale provenienti da tutto il mondo.

BASSO CAMPIDANO

Il Campidano è un territorio fertile e particolarmente votato allo sfruttamento

agricolo. Non è un caso se dagli storici del periodo romano la Sardegna è considerata

“il granaio di Roma”. I romani tenevano in grande considerazione l’intera zona, tanto

che a Ussana furono edificate le terme. In Età Giudicale l’odierna Unione faceva

parte del Giudicato di Cagliari e successivamente fu assoggettata alle varie

dominazioni: dai pisani agli aragonesi, poi ai Savoia fino all’Unità d’Italia.

Monastir- Chiesa di Santa Lucia

La Chiesa di Santa Lucia è frutto di quella commistione di saperi che è il romanico in

Sardegna. L’edificio risale al XIII secolo, con un rifacimento subito nel XVII secolo

quando gli furono aggiunti due portici laterali sorretti da pilastri in arenaria e tegole.

Si rese poi necessaria anche la costruzione di un piccolo vano con funzione di

sacrestia, mentre l’abside semicircolare che doveva completare la chiesa è

scomparso. La facciata invece ha mantenuto l’aspetto originario, culminante con un

campanile a vela in asse con la bifora sottostante. Si tratta di una costruzione tardo-

romanica sulla scia di Santa Maria di Bonarcado e di San Pantaleo di Dolianova,

chiese dove sono ben visibili i segni di maestranze iberiche con motivi di derivazione

araba. La varietà di contaminazioni che caratterizza il romanico nostrano è dovuta in

particolare all’opera dei Monaci Camaldolesi dalla Toscana e Vittorini da Marsiglia,

giunti sull’isola nel corso di quel processo che intorno all’anno Mille ha portato la

Sardegna fuori dall’isolamento, inserendola in una dimensione culturale

internazionale. Oggi Santa Lucia è il fulcro dell’omonima festa, un appuntamento

che si rinnova ogni anno l’ultima domenica di agosto e rappresenta l’evento più

significativo per tutta la comunità.

Samatzai – Chiesa di San Giovanni Battista

Tra tutte le testimonianze storiche pervenute fine alla nostra epoca sono senza

dubbio gli edifici di culto quelli che descrivono meglio il quadro delle contaminazioni

culturali. La Chiesa Parrocchiale di Samatzai dedicata a San Giovanni Battista è un

segno inequivocabile dell’influenza aragonese sul territorio sardo. La tipologia

costruttiva gotico-catalana si sviluppò in Catalogna e venne successivamente

introdotta in Sardegna nel XIV secolo durante la conquista militare degli Aragonesi.

La fabbrica della Parrocchiale di Samatzai risale al XV-XVI secolo, con diversi

rifacimenti approntati in epoche successive. Possiede un’eccezionale campana del

1579 innestata su un campanile del secolo precedente. La bellezza degli edifici

gotico-catalani in Sardegna è data dall’originalità creatasi dalla reinterpretazione

locale delle tendenze internazionali. Prima in terra di Spagna è stato rielaborato il

gotico francese, poi in Sardegna è stato a sua volta riadattato quel gotico franco-

catalano al gusto e alla maestria del posto. Ecco perché parlare di gotico appare

quasi improprio, anche se ormai convenzionalmente questi edifici di impronta

aragonese vengono riconosciuti unanimemente con quell’appellativo.

Villasor – Castello Siviller

Il castello di Villasor è uno dei rari esempi sardi di casa signorile fortificata. La sua

struttura rimanda alla tipologia della “masia”, una sorta di dimora baronale

fortificata sviluppata dagli spagnoli sulla base delle ville di epoca romana. La fortezza

ha origine nel primo ventennio del Quattrocento e fu costruita per volontà di

Giovanni Siviller, feudatario catalano del territorio di Villasor dal 1414. La scelta di

edificare una dimora fortificata fu dovuta alla pessima accoglienza che i pastori della

zona riservarono al nuovo signore del feudo, poiché contrari al ripopolamento

dell’antico villaggio di Sorres, come invece era nei piani di Siviller. I pastori volevano

quei terreni per il pascolo e un insediamento cittadino avrebbe sancito la perdita

degli spazi per le loro greggi. Con lo stabilizzarsi del dominio aragonese in Sardegna

il castello privilegiò sempre di più gli aspetti da dimora signorile piuttosto che quelli

da baluardo difensivo, subendo alcune trasformazioni nel corso degli anni sia nelle

caratteristiche strutturali che nelle destinazioni d’uso. Oggi il castello di Villasor non

solo è una straordinaria testimonianza monumentale, ma è anche un centro

culturale importantissimo per il paese. Una fortezza di matrice spagnola che la

comunità è riuscita a riqualificare, consegnando così uno strumento di

consapevolezza sociale alle generazioni future.

Nuraminis – La frazione di Villagreca

Il territorio del Basso Campidano ha conosciuto una grande varietà di influenze

culturali anche grazie alla vicinanza con Cagliari, città che da sempre è stata un

crocevia fondamentale nel Mediterraneo. Nuraminis in particolare reca alcune delle

più importanti testimonianze della cultura bizantina in Sardegna. Di grande rilevanza

storica sono i frammenti marmorei conservati nella Chiesa Parrocchiale di San Pietro

recanti rarissime iscrizioni in greco, probabilmente appartenenti alla chiesa

scomparsa di San Costantino, un tempo situata nella campagna tra Nuraminis e

l’odierna frazione di Villagreca. Notevole è la dedica all’imperatore perché scritta in

lingua greca ma con caratteri latini, a dimostrazione di come le élite locali del tempo

avessero padronanza di entrambe le lingue. Villagreca è stata un centro abitato

autonomo per molti secoli e ancora oggi porta nel toponimo il segno inequivocabile

della sua origine orientale. La chiesa di San Vito è una delle rare costruzioni

bizantine rimaste nell’isola. Nonostante ad oggi risulti quasi completamente rifatta

con stilemi catalano-aragonesi la sua edificazione risale al IX secolo ad opera dei

bizantini. La piccola frazione di Nuraminis resta attualmente un frammento vivente

di cultura greca nell’isola.

Ussana – Terme romane

Il Campidano è stato un territorio di grande rilevanza in epoca romana. Nel 238 a.C.

l’isola entrò a far parte dei territori sotto il dominio di Roma e vi rimase per quasi

otto secoli. Tutta la Sardegna subì un processo di romanizzazione che investì sia

l’ambito amministrativo che quello culturale. A questa evoluzione degli usi e dei

costumi appartengono anche le terme, uno dei principali luoghi di ritrovo della

società romana. Gli impianti termali erano eccezionali centri di aggregazione dove

l’accesso era consentito a tutti, senza eccezioni riguardanti la classe sociale o la

disponibilità economica. Le terme di Ussana sono costituite da un grande vano

centrale, probabilmente con funzione di tiepidarium e cioè di sala a temperatura

media, attorno al quale si dispongono diversi ambienti. Si possono ancora scorgere i

vani dei calidaria, stanze con temperatura maggiore, e quelli dei frigidaria dotati di

vasche per il bagno freddo. Presenti anche dei forni utilizzati per il riscaldamento

che prendono il nome di praefurnia. La struttura termale fu scoperta da Giovanni

Lilliu nel 1949 e viene datata al IV secolo d.C. Da ciò che rimane ancora oggi si può

intuire che doveva essere un impianto completo e all’avanguardia per l’epoca, segno

di come per i romani il territorio di Ussana ricoprisse una funzione molto rilevante in

ambito sociale.

San Sperate – Pinuccio Sciola

Il centro abitato di San Sperate è un’autentica fabbrica di cultura a cielo aperto. Il

paese ha suscitato l’interesse di artisti locali, nazionali e internazionali, diventando

un punto di riferimento assoluto per l’arte contemporanea in Sardegna. Tutto

questo non sarebbe stato possibile senza l’iniziativa di Pinuccio Sciola. Nella sua

formazione artistica sono stati fondamentali i viaggi e le esperienze di studio

all’estero che gli hanno consentito di entrare in contatto con una dimensione

culturale internazionale. Prima il liceo Artistico a Cagliari, poi l’istituto d’Arte di

Firenze, l’Accademia di Salisburgo e l’Università di Madrid. Quando Sciola tornò nel

suo paese natale si portò dietro un grandissimo bagaglio di nuove conoscenze che

subito mise in pratica nella sua terra. Nel 1968 diede il via alla “rivoluzione dei muri

bianchi”, imbiancando gli intonaci delle case di San Sperate e preparandole ad

accogliere i murales. Grazie a questa sua intuizione il piccolo centro del cagliaritano

è oggi conosciuto come il “paese museo”. Le opere di Sciola sono state volute e

accolte in tantissimi Comuni dell’isola, così come nella penisola e all’estero. L’artista

campidanese non ha però lasciato solamente dei segni nell’ambito di quel che viene

definito cultura materiale. La sua storia e ciò che la sua figura rappresenta per il

popolo sardo fanno parte di quel gigantesco patrimonio intangibile che fa

dell’identità sarda un punto d’incontro di varie civiltà e tradizioni.

BOSA

Bosa è da sempre uno dei centri culturalmente più fervidi dell’intera isola. Nel

Medioevo la sua storia ha visto intrecciarsi le vicende della famiglia Toscana dei

Malaspina con quelle del Giudicato d’Arborea e della Corona d’Aragona. Diversi

artisti e intellettuali hanno legato il proprio nome a Bosa, come Pietro Delitala,

Gerolamo Araolla, Melkiorre Melis e Antonio Atza.

Pinacoteca Antonio Atza

La Pinacoteca civica è dedicata ad Antonio Atza, artista nativo di Bauladu ma con il

cuore immerso nel Temo. Si trasferì a Bosa insieme a sua madre nel 1931, all’età di

sei anni. Qui trascorse l’infanzia prima di avventurarsi a Sassari per completare gli

studi all’Istituto Statale d’Arte diretto da Filippo Figari. Durante la maturità, a cavallo

tra gli anni Cinquanta e Sessanta, Atza cominciò a viaggiare spesso fuori dalla

Sardegna. Barcellona, Madrid, San Pietroburgo, Vienna, Parigi e Venezia sono

soltanto alcune delle tappe di un percorso che lo portò a toccare con mano l’arte

internazionale. Nella Pinacoteca di Bosa è possibile ammirare le opere che

compongono un’importante parte del suo percorso creativo e quelle di alcuni pittori

che con Atza hanno condiviso la scena artistica novecentesca sarda.

BUGGERRU

Anche se la nascita del Comune è relativamente recente e risale al 1864, il territorio

di Buggerru fu oggetto di interesse già per i romani che vi impiantarono

un’importante attività mineraria. Il nome di Buggerru risale al 1206 quando fu

istituito il confine tra il Giudicato di Cagliari e il Giudicato di Arborea che passava

proprio vicino all’attuale abitato.

Centro direzionale minerario-palazzina ospiti La Palazzina della Direzione fu il primo edificio costruito per ospitare le personalità più importanti della fiorente attività mineraria. La costruzione risale al 1884. Al piano terra ospitava gli uffici mentre il primo piano era tutto per il direttore in carica. Dopo una quindicina d’anni dall’inaugurazione si rese necessario costruire un altro edificio per ospitare gli amministratori che periodicamente giungevano da Parigi. Venne messa in piedi una villa sontuosa come nessun altro fabbricato del villaggio di minatori. Tutto l’arredo era in stile Luigi XV e ogni oggetto proveniva dalla Francia. I tecnici transalpini portarono nel paese il loro modo di vivere tipico delle grandi città e ben presto contagiarono tutti con i loro usi e costumi. Proprio per questo in quegli anni Buggerru veniva chiamata la “piccola Parigi”.

CAGLIARI

Cittadella dei Musei

La denominazione di Cittadella non è casuale. All’interno dell’ex Arsenale Regio sono

racchiuse diverse tipologie di museo, ognuna con le sue storie da raccontare. Il

Museo Archeologico ospita importantissimi reperti che testimoniano la vivacità della

Sardegna all’interno del contesto Mediterraneo, con i suoi scambi commerciali e

culturali. La Pinacoteca ripercorre le tappe fondamentali della pittura in terra sarda,

descrivendoci un’isola attenta ai gusti europei ma capace di creare anche un proprio

repertorio originale. La tradizione isolana è inoltre rappresentata dall’Etnografico,

con gli abiti e i gioielli tipici del folclore. Nella Cittadella c’è spazio anche per la

scienza con il Museo delle Cere Anatomiche. Infine è presente anche un piccolo

angolo d’Asia con il Museo d’Arte Siamese, contenente preziosi oggetti di tante

culture asiatiche differenti portati a Cagliari alla fine dell’Ottocento dal collezionista

Stefano Cardu.

Ghetto

Il cosiddetto Ghetto è attualmente un importante centro culturale che ospita

mostre, convegni e concerti. I cagliaritani sono soliti chiamarlo “ghetto degli ebrei”

per una reminiscenza medievale, in quanto fino al 1492 nella zona di Santa Croce

risiedeva la comunità ebraica cacciata poi da un editto aragonese. L’attuale edificio

venne costruito nel 1738 come caserma militare intitolata a San Carlo, in onore del

regnante sabaudo Carlo Emanuele III, per ospitare il reparto dei “Dragoni”. Una

volta cessato l’uso militare l’edificio fu ceduto a privati e trasformato in piccole

abitazioni, fino a che, dopo un complesso restauro, fu restituito alla comunità come

centro culturale durante l’edizione di Monumenti Aperti del 2000. Oggi il Ghetto si

propone come un luogo di aggregazione dov’è possibile venire a contatto diretto

con artisti di fama internazionale, rinomati scrittori e musicisti provenienti da tutto il

mondo.

Cimitero di Bonaria

Il Cimitero di Bonaria è una vera e propria galleria d’arte a cielo aperto. Fu

progettato da Luigi Damiano e inaugurato il primo gennaio del 1829. Presenta

un’originale varietà di stili che spaziano dal Neoclassicismo al Liberty, dal Realismo al

Simbolismo. Il tutto riflette i gusti della città tra l’Ottocento e il Novecento,

mostrando una Cagliari culturalmente frizzante e aperta alle novità. Erano quelli gli

anni in cui nell’isola sbarcavano imprenditori dal nord Italia e dall’estero, con la

disponibilità economica per poter commissionare opere monumentali per le tombe

di famiglia. Fu così che tantissimi artisti sardi o della penisola, noti e meno noti,

diedero prova di grande maestria arricchendo questo foscoliano cimitero. Nel

campo santo è presente anche un’area destinata ai non cattolici, a inglesi, francesi e

tedeschi di religione protestante e anglicana. Dal 1968 non è più possibile seppellirvi

i defunti, eccezion fatta per cappelle private e loculi acquistati prima del ‘68.

CUGLIERI

L’odierno Comune di Cuglieri comprende i territori della città punico-romana di

Cornus. Nel II secolo a.C. nacque anche il centro di Gurullus Nova, risultato dello

spostamento degli abitanti di Gurullus Vetus, l’attuale Padria. Oggi il paese raccoglie

l’eredità di questi antichissimi agglomerati urbani.

Museo dell’Olio Zampa

Con la dominazione spagnola l’olivicoltura sarda divenne una vera e propria filiera.

Tra le aree che a partire dal Seicento conobbero il maggior sviluppo olivicolo c’è

sicuramente Cuglieri. Il vicerè Giovanni Vivas fece arrivare in Sardegna dei maestri

dell’innesto dalla Spagna, i quali importarono numerose varietà tra cui la

maiorchina, la palma e la sivigliana. Grazie all’esperienza iberica e al

perfezionamento locale nei secoli successivi oggi Cuglieri può vantare una

produzione d’olio di eccezionale qualità. Un grande racconto della storia olivicola del

paese si trova nel Museo Zampa, nel Corso Umberto I, organizzato su due piani che

espongono una raccolta di macchinari e oggetti vari che ricostruiscono vari aspetti

della tradizione contadina di un tempo. È un’importante testimonianza di come la

coltura dell’olivo distingua da secoli questo territorio.

GONNOSFANADIGA

Il territorio di Gonnosfanadiga ha una storia antichissima e già dal secondo millennio

a.C. risulta essere un importante centro della civiltà nuragica, come testimoniato

dalla Tomba dei Giganti di San Cosimo. In tempi più recenti l’attività mineraria e la

produzione di olio pregiatissimo sono stati i motori trainanti dell’economia del

paese.

Frantoio Bardi

La notorietà di Gonnosfanadiga è legata soprattutto alla produzione di olio. Famosa

a livello internazionale per la sua pregevole qualità è l’Oliva Nera di Gonnos, da cui

deriva un olio d’eccellenza, motivo d’orgoglio per tutti gli olivicultori locali. Nel corso

degli anni nel paese sono nati diversi frantoi, come quello messo in piedi da Antonio

Bardi, immigrato toscano che nel 1890 realizzò il primo vero laboratorio per la

lavorazione delle olive e la produzione di olio. Questo pioniere del settore olivicolo

gonnese perfezionò un vecchio impianto composto da una mola con pareti in

acciaio, base e macina in granito e un torchio manuale con la funzione di pressa. Le

olive venivano spremute dalle macine in granito mosse dal movimento circolare di

un cavallo. Il frantoio Bardi operò fino al 1971 e oggi rimane un importante simbolo

del cosiddetto “paese dell’olio”.

IGLESIAS

Con l’arrivo degli aragonesi nel 1324 per Iglesias iniziò un periodo florido in cui la

città si affermò come uno dei centri più importanti dell’isola. Una nuova età dell’oro

arrivò a metà dell’Ottocento grazie all’attività mineraria che portò l’iglesiente a un

rinnovamento industriale e culturale.

Cimitero Monumentale

Il Cimitero Monumentale di Iglesias ospitò il primo defunto nel 1835. Fu subito

chiaro che l’area sarebbe stata insufficiente a soddisfare i bisogni di una città in

crescita. Le miniere attirarono molti lavoratori da tutta la Sardegna, dalla penisola e

dall’estero. L’aumento della popolazione rese necessari frequenti ampliamenti del

campo santo. Questo Cimitero è ornato da sculture di pregevole fattura che

raccolgono gli stili tipici di una società culturalmente florida. Sessantacinque di

queste opere nacquero dalle mani di Giuseppe Sartorio, un artista che operò tra la

seconda metà dell’Ottocento e il 1922. Ironia della sorte Sartorio morì senza una

tomba, svanito nel nulla durante una traversata col piroscafo da Olbia a

Civitavecchia. Il cosiddetto “Michelangelo dei morti” fu dichiarato deceduto

vent’anni dopo lasciandosi dietro un fitto alone di mistero.

LUNAMATR-VILL.FRANCA

I territori di Lunamatrona e Villanovafranca sono oggi rinomati centri agricoli.

Vissero un’importante stagione storica in epoca giudicale, per poi finire sotto il

controllo di importanti famiglie spagnole fino all’indipendenza nel 1839 con

l’abolizione del sistema feudale.

Lunamatrona - Museo D.E.A. Luna Il museo demoetnoantropologico ospita la mostra permanente dal titolo “C’era una svolta”, un interessante racconto di come il passaggio di un piccolo paese alla modernità abbia stravolto lo stile di vita della comunità. In particolare dagli anni sessanta in poi sono mutati i mestieri, gli usi e i costumi, sempre più improntati ai modi di vivere della società globalizzata che oggi si è del tutto affermata. Il percorso è diviso in quattro sale contraddistinte da alcune attività segnate profondamente dalla transizione alla modernità. C’è la sala del calzolaio, un mestiere quasi del tutto scomparso, quella della parruccheria, la sala cinema e quella dell’emigrato. Il museo sorge in un edificio che un tempo ospitava il Municipio e che risale ai primi anni del XX secolo.

Villanovafranca - Chiesa di San Lorenzo Il primo impianto della chiesa risale al 1591 come attesta il concio centrale della volta gotico-aragonese in cui è riportata anche l’effige del santo. Un importante

ampliamento venne effettuato nel 1773, mentre del 1789 sono i meravigliosi arredi marmorei opera dell’artista lombardo Giovanni Battista Spazzi e comprendenti l’altare, la balaustra, il pulpito e il fonte battesimale. L’altare presenta un paliotto trapezoidale con gradini, un tabernacolo ed un’edicola che accoglie una statua di San Lorenzo. Accanto all’edicola sono collocate altre due statue dei Santi Pietro e Paolo. Di grande pregio è poi l’organo monumentale datato 1740 e realizzato dal lombardo Giuseppe Lazzari. L’interno è in stile tardo rinascimentale, mentre l’esterno costituisce un organismo complesso di non facile interpretazione stilistica essendo frutto di corpi di fabbrica aggiunti in epoche diverse.

Milis-Tramatza-Bauladu

I paesi di Milis, Tramatza e Bauladu messi insieme superano di poco i tremila

abitanti. Eppure queste terre hanno dato i natali a grandi personalità come l’artista

Antonio Atza, l’intellettuale Cicito Vacca e consegnato ai sardi alcuni degli edifici

ecclesiastici più suggestivi dell’isola.

Le chiese romaniche del territorio

Gli edifici ecclesiastici sono autentiche perle del nostro patrimonio culturale. I paesi

di Milis, Tramatza e Bauladu possiedono alcune importanti testimonianze del

romanico in Sardegna. La manifestazione di questo stile nell’isola ha assunto varie

forme, grazie soprattutto alla contaminazione tra le tradizioni costruttive locali e le

conoscenze portate dai numerosi ordini religiosi provenienti dalla penisola e dalla

Francia. A rappresentare questa molteplicità di varianti sono soprattutto la Chiesa di

San Paolo a Milis, quella di San Giovanni Battista a Tramatza e San Gregorio Magno a

Bauladu. Tre chiese vicinissime geograficamente ma differenti per caratteristiche.

Sono la perfetta testimonianza della ricchezza culturale che ha permeato quei

territori in quei secoli.

MONSERRATO

Un iniziale nucleo abitativo si formò in epoca romana, ma le prime notizie sul paese

di Pauli risalgono al Medioevo. In seguito cambierà denominazione in Pauli Pirri, per

poi diventare Pauli Monserrato nel 1881 e adottare il definitivo toponimo di

Monserrato nel 1888.

Casa Foddis

La palazzina è un elegante costruzione dei primi del Novecento ed è stata progettata

in pieno stile Liberty. Questo movimento artistico conosciuto anche come Art

Nouveau o Modernismo interessò l’architettura e le arti decorative tra la fine

dell’Ottocento e gli inizi del Novecento. L’Europa e gli Stati Uniti furono pervase da

questa nuova tendenza che si diffuse rapidamente grazie soprattutto all’estendersi

dell’industrializzazione e all’affermazione socio-culturale della borghesia. Casa

Foddis rappresenta bene la configurazione dello stile Liberty a partire dalla sua

facciata, con gli elegantissimi parapetto nei balconcini del primo piano e le

decorazioni floreali sopra le porte-finestre. Il Liberty ha lasciato il segno anche in

Sardegna, riuscendo perfettamente nell’intento di portare il bello nella vita di tutti i

giorni.

OLBIA

La storia di Olbia è legata soprattutto al mare. Il suo porto in epoca romana fu un

importante base commerciale e militare, ridimensionato dopo la caduta della città

per mano dei Vandali. A partire dal medioevo la città si spopolò gradualmente, fino

alla rinascita avvenuta tra la fine del 1800 e gli inizi del Novecento.

Il porto

Il porto rappresenta da sempre il motore economico e sociale di Olbia. Nel V secolo i

Vandali devastarono la città e i segni di questa aggressione sono arrivati fino a noi

grazie a una campagna di scavo avviata nel 1999 proprio nell’area del porto. Sono

stati rinvenuti dei relitti di navi riconducibili a quell’avvenimento, alcuni dei quali

conservati al Museo Archeologico. A partire dal medioevo la città andò verso un

graduale spopolamento soprattutto a causa del crollo dell’attività portuale. La

resurrezione avvenne nella prima metà del XX secolo, grazie soprattutto alle folte

comunità di pescatori che dall’isola di Ponza si trasferirono nella costa nord-

orientale della Sardegna. Dopo la Prima Guerra Mondiale fu importante anche

l’arrivo di mitilicultori da Taranto che portarono le loro tradizioni millenarie

nell’allevamento di mitili e ostriche.

ORISTANO

Oristano è la città che ha raccolto l’eredità dell’antica Tharros. Intorno al 1070 il

Giudice arborense Orozco portò nell’attuale capoluogo di provincia la popolazione

tarrese per proteggerla meglio dalle incursioni saracene. Da allora la storia di

Oristano si è sempre di più arricchita di storia e tradizioni, su tutte la Sartiglia.

Centro di Documentazione sulla Sartiglia

La Sartiglia fa parte di quella fetta di cultura inquantificabile e intangibile che è parte

integrante dell’identità del popolo sardo. Questa giostra equestre affonda le sue

radici negli antichi tornei cavallereschi militari diffusi nell’Europa medievale. All’età

spagnola risalgono le prime testimonianze della Sartiglia, un evento che da

cinquecento anni non ha mai mancato un appuntamento. Il Centro di

Documentazione raccoglie testimonianze preziosissime sulla tradizionale

competizione oristanese. La Sartiglia è stata anche occasione di due gemellaggi con

località estere che organizzano tradizionali giostre equestri: la croata Sinj per l’Alka e

la spagnola Ciutadella de Minorca per l’Ensortilla. Attualmente è in corso la

candidatura della Sartiglia all’UNESCO quale bene del Patrimonio Culturale

Immateriale dell’Umanità.

OSILO

In epoca romana nel territorio di Osilo sono noti due insediamenti chiamati Ad

Herculem e Ericum. In età Giudicale il paese fece parte del Giudicato di Torres, per

poi passare sotto il controllo dei Malaspina che in seguito a screzi con la Corona

d’Aragona furono costretti a cedere il borgo agli iberici.

La Chiesa di San Lorenzo e la poesia Badde Lontana

La chiesa di San Lorenzo nacque all’incirca nel XVII secolo ma ciò che vediamo oggi è

frutto di numerosi rifacimenti. La cultura però non è fatta solo dalla bellezza dei

monumenti. Anche le emozioni trasmesse dalla storia di un luogo sono cultura.

Queste possono essere metabolizzate e poi raccontate sotto varie forme artistiche,

come nel caso di Badde Lontana, che significa valle lontana. È uno struggente canto

scritto dall’osilese Antonio Strinna e messo in musica dal compositore Antonio Costa

nel 1972. Narra della morte di un bambino per la frana che colpì la frazione di San

Lorenzo nel 1957, quando un costone di roccia si staccò poco sotto l’omonima

chiesa e cadde su un’abitazione uccidendo un bimbo di dieci mesi. Questo triste

avvenimento è stato d’ispirazione per uno dei canti sardi più famosi dell’isola e ha

reso la tragedia osilese indelebile nella memoria del popolo.

OZIERI

Ozieri è stato uno dei centri più all’avanguardia dell’isola tra il XIX e il XX secolo. Qui

ad esempio fu costruita la prima centrale elettrica della Sardegna. Questo territorio

fu importante già nel periodo prenuragico quando da qui si sviluppò la famosa

Cultura di Ozieri.

Pinacoteca Altana

Ozieri ha da sempre avuto una vocazione alla novità. Nel XX secolo è stato il primo

Comune della Sardegna a dotarsi di energia elettrica costruendo la prima Centrale

dell’isola nel 1914. Quello stabile così importante per il progresso sociale del paese

oggi è sede della Pinacoteca Cittadina dedicata a Giuseppe Altana, pittore di origine

ozierese e grande interprete della scuola paesaggistica piemontese. L’allestimento è

studiato per valorizzare al meglio i più importanti pittori ozieresi. Si possono

ammirare la Sala Giuseppe Altana, le Sale Pietro Tinu, le Sale Vincenzo Marras e le

sale d’arte contemporanea. Sono presenti artisti noti a livello nazionale, compresi

molti grandi esponenti dell’arte otto-novecentesca sarda, toscana e umbra. La

Pinacoteca racconta il percorso della pittura locale tra novità e tradizione

contestualizzandola all’interno dei fermenti artistici nazionali.

PABILLONIS

Il paese è compreso tra i due corsi d’acqua naturali: il Flumini Malu e il Flumini Bellu.

Questa sua collocazione rende il territorio ricco di argilla, una materia prima che ha

reso famosa Pabillonis sin dal XVII secolo.

Monumento de Is Pingiadas

In via Sardegna è collocato il Monumento de Is Pingiadas dell’artista Antonio Ledda,

un tributo alle tradizionali pentole locali in terracotta. La lavorazione dell’argilla è

caratteristica del paese. I fabbricanti di mattoni, i maestri pentolai e tegolai hanno

costituito in passato una grande risorsa economica per il territorio. Oggi l’attività si è

molto ridotta, ma rimane un know-how che si tramanda nel tempo. La produzione di

ceramiche a Pabillonis si è da sempre concentrata su oggetti d’uso quotidiano, tanto

che l’abitato è ancora conosciuto come "sa bidda de is pingiadas", il paese delle

pentole. Al giorno d’oggi diamo per scontati alcuni oggetti, considerandoli quasi usa

e getta. Per i nostri antenati però Sa Pingiada aveva un valore enorme: serviva a

conservare il cibo, doveva durare nel tempo, era un emblema dello stare in famiglia.

PADRIA

L’odierno centro abitato insiste sull’antica città romana di Gurulis Vetus. Nel

territorio sono ancora presenti i resti di tre ponti romani e un’antica miniera

d’argento risalente alla stessa epoca.

Museo Civico Archeologico

Il Museo Archeologico di Padria è stato allestito nell’ex montegranatico

fiancheggiante la chiesa aragonese di Santa Giulia. Contiene al suo interno

importanti testimonianze del passato del territorio. Di particolare interesse è il

deposito votivo rinvenuto nel sito di San Giuseppe riferibile al centro romano di

Gurulis Vetus. Questo deposito comprende terrecotte anatomiche, animali, frutti e

statuine umane di un discreto valore artistico ed è databile tra il I secolo a.C. e il III

secolo d.C. Alcuni pannelli poi illustrano i resti della città romana di Gurulis Vetus, un

centro che raccordava la parte nord-occidentale dell’Isola alla strada che da Porto

Torres portava a Cagliari. Il Museo racconta l’evoluzione degli insediamenti

attraverso i secoli, con tutto ciò che ha fatto di Padria una delle aree privilegiate

per lo stanziamento umano dalla Preistoria sino all’età altomedievale.

PLOAGHE

In epoca medievale Ploaghe è stata sede vescovile e capoluogo di curatoria nel

Giudicato di Torres. In seguito passo di mano diverse volte, prima ai Malaspina, poi

agli Aragonesi, al Giudicato di Arborea e ancora agli Aragonesi.

Giovanni Spano

Il canonico Giovanni Spano è sicuramente la personalità più importante legata a

Ploaghe. Nato nel 1803 è stato uno dei più grandi intellettuali della storia sarda e il

suo nome è legato in maniera indissolubile alla storia degli studi umanistici nell’isola.

I suoi interessi spaziarono dalle lingue all’archeologia, dall’etnologia alla teologia. Fu

in costante contatto con studiosi di ogni parte d'Europa e fu precursore di diverse

discipline ben oltre i confini della sua isola. A Ploaghe resta la sua eredità materiale

e intellettuale. Nella Biblioteca antica è presente un fondo da lui donato con testi

del 1400 e 1500, libri di teologia, storia, filosofia, esegesi biblica e studio delle lingue

antiche. L’Oratorio del Rosario è invece sede della Quadreria Spano, con i dipinti

raccolti dallo studioso nelle sue innumerevoli escursioni nelle chiese e nei conventi

di tutta la Sardegna.

PORTO TORRES

In epoca romana la città di Turris Libisonis divenne una colonia importantissima, il

secondo centro più grande della Sardegna dopo Caralis. Più avanti, con la

formazione dei quattro Giudicati, la città divenne capitale del Giudicato di Torres.

Palazzo del Marchese-Museo Andrea Parodi

Lungo il Corso Vittorio Emanuele II, tra negozi e luoghi di ristorazione, c’è il Palazzo

del Marchese. Si tratta di un edificio costruito nella prima metà dell’Ottocento per

volontà del Marchese di San Saturnino Don Raimondo de Quesada. È in stile

neoclassico, con una facciata molto sobria ed elegante. Al suo interno dal 15 aprile

2017 è ospitato il museo dedicato ad Andrea Parodi, storica voce dei Tazenda. Il

cantante di Porto Torres, originario ligure, ha sempre trasferito nella musica la sua

anima di navigatore. Parodi ha sperimentato nella sua arte le contaminazioni

etniche di terre lontane e le ha amalgamate con le sonorità tipiche della sua isola.

Nel Palazzo del Marchese della città turritana è oggi possibile rivivere la carriera e la

genialità del grande cantautore sardo.

QUARTUCCIU

L’abitato di Quartucciu sorge nell’antica Quarto Suso o Quartutxo, come ancora

richiama il nome odierno. Altri villaggi di nome Quarto, a indicare il quarto miglio di

distanza da Carales, si fusero a inizio XIV secolo col villaggio di Cepola andando a

formare l’attuale centro adiacente di Quartu Sant’Elena.

Necropoli di Pill’e Mata

Nel 2000 durante i lavori per la realizzazione di una strada nell’area industriale di

Quartucciu è stata scoperta una necropoli di grande rilevanza storica e archeologica.

Sono state portate alla luce ben 272 sepolture che coprono un arco temporale che

va dal V secolo a.C. al V secolo d.C. Durante i mille anni di attività funeraria le

tipologie di sepolture hanno subito variazioni a seconda delle delle società che si

sono succedute nel tempo. L’intera area e i materiali rinvenuti al suo interno

raccontano dieci secoli di storia della civiltà umana nell’hinterland di Cagliari. La

necropoli è stata tra le altre cose oggetto di studio da parte dell’antropologo forense

Don Brothwell, luminare inglese scomparso nel 2016 e famoso in tutto il mondo per

i suoi studi, tra cui quello sulla mummia di Nefertiti.

SANLURI-SAN GAVINO

I territori di San Gavino e Sanluri acquisirono una certa importanza nel Medievo,

tanto che nel 1300 la stessa Sanluri divenne capoluogo della curatoria di Nuraminis.

A San Gavino vi è la più grande produzione di zafferano in Italia.

Sanluri – Castello Giudicale

Il Castello di Sanluri è una delle fortezze meglio conservate dell’isola. L’attuale

impianto nacque alla metà del 1300 sulla base di una fortificazione più antica. Nel

1409 il Castello fu teatro di una sanguinosa battaglia tra le truppe catalane e quelle

arborensi, con le prime che ebbero la meglio e consentirono agli iberici di dominare

incontrastati la città per molti secoli. Oggi entrare al Castello è come mettere piede

in un gigantesco libro di storia, poiché grazie alla continuità abitativa ha attraversato

tutte le epoche senza perdere mai d’importanza. All’interno sono contenute diverse

collezioni: il museo Duca D’Aosta, le ceroplastiche, lo studio del Generale Nino Villa

Santa e la sua corrispondenza con Gabriele D'Annunzio, i ricordi legati alla famiglia di

Napoleone, gli arredi che vanno dal XVII al XIX secolo, la sala Gondi, la Stanza della

caccia e la stanza delle regine.

San Gavino – Museo Due Fonderie.

Croce e delizia del territorio la Fonderia Portovesme è ancora in funzione tra alterne

fortune che ne hanno spesso messo a rischio il prosieguo dell’attività. Questo

stabilimento è un importante pezzo di storia della Sardegna, tanto che oggi ci si

interroga sempre di più sul suo futuro anche in ottica culturale. Ha segnato il

passaggio dalla vocazione agricola a quella industriale, dando lavoro a ben quattro

generazioni di sangavinesi. Il Museo Due Fonderie è allestito all’interno degli

ex magazzini ferroviari dove un tempo arrivava il minerale che dalla miniera di

Montevecchio era condotto nello stabilimento per la lavorazione. L’esposizione è

strutturata in tre aree: allestimenti, proiezioni audiovisive e laboratorio didattico. Il

Museo serve a trasmettere alle nuove generazioni la ricca eredità culturale,

materiale e immateriale, degli stabilimenti di San Gavino e di Villacidro.

San Gavino – Il paese dello zafferano

Lo zafferano era già conosciuto in Sardegna ai tempi dei fenici, ma è in epoca

altomedievale che avviene la riscoperta. Un’ipotesi la riconduce ai monaci orientali

in fuga dall’avanzata araba, un’altra possibilità è che siano stati proprio gli arabi a

riproporre questa pianta nel Mediterraneo. Lo stesso nome “zafferano” deriva dalla

parola araba “za῾farān”. A San Gavino la prima attestazione di questa spezia risale ad

un atto notarile del XVI secolo e da allora il paese si è sempre più specializzato nella

sua coltivazione. Oggi lo zafferano di San Gavino è tra i più rinomati d’Italia. Il

cosiddetto Oro Rosso di Sardegna è diventato un ingrediente indispensabile nella

cucina sarda e molte delle prelibatezze più caratteristiche dell’isola prevedono

l’utilizzo della famosa spezia.

SANTADI

Santadi sorge in una vallata a ridosso del parco di Gutturu Mannu. Le testimonianze

insediative risalgono alla preistoria, mentre all’epoca aragonese si verifica un totale

spopolamento. Grazie all’attività mineraria e all’agricoltura il paese torno a fiorire

dal XIX secolo sino ad oggi.

Museo civico Archeologico

Il territorio di Santadi fu sempre agevolato ad ospitare insediamenti umani.

Trattandosi di una zona fertile, pianeggiante e ricca di acqua è stato un habitat

ideale per l’uomo sin dalla preistoria. L’essere difeso dai monti ma non lontano dal

mare lo ha reso anche un centro adatto agli scambi commerciali. Il Museo

Archeologico di Santadi racconta la storia delle civiltà che hanno abitato il basso

Sulcis e di uomini capaci di produrre oggetti con grande perizia sin dal Neolitico.

L'esposizione segue un criterio cronologico e tra i reperti più significativi troviamo le

ceramiche e l'industria litica della cultura di Ozieri, i pugnali in rame e bronzo di

Montessu, i vasi del deposito votivo di Su Benatzu e i corredi funerari della necropoli

punica di Pani Loriga. Un percorso che mette in luce l’evoluzione della civiltà sarda

all’interno dei popoli del Mediterraneo.

SANT’ANNA ARRESI

Caratterizzata dalla bellissima spiaggia di Porto Pino il paese di Sant’Anna Arresi fu

ripopolato nel 1700 dopo che le incursioni dei pirati barbareschi causarono lo

spopolamento.

Nuraghe Arresi

A Sant’Anna Arresi si può ammirare lo strano caso di un onumento preistorico che

convive con il paesaggio urbano moderno. Il nuraghe Arresi si trova in Piazza Martiri

ed è affiancato da due chiese dedicate alla patrona locale, un po’ come un nonno

con i nipotini. Il colore dei suoi blocchi di calcare dolomitico risaltano nella

luminosità della piazza e l’irregolarità della sua tessitura muraria ben si bilancia con

l’ordinata geometria circostante. L'edificio è del tipo "a tancato", con una torre

principale dal diametro di circa tredici metri e un’altezza residua di sette. Questa è

saldata a una torre secondaria più piccola attraverso due bracci murari che

racchiudono un cortile interno. La costruzione è datata all’età del Bronzo medio,

ovvero intorno al XV-XIV secolo a.C. La convivenza di linguaggi nuragici e moderni

rende questo pezzo di paese unico e affascinante.

Sant’Antioco

L’isola di Sant’Antioco possiede una storia fatta di alterne fortune. Ha conosciuto

una posizione dominante nella civiltà sarda con l’arrivo dei fenici, attestandosi come

uno dei centri urbani più antichi d’Italia. In epoca romana l’antica Sulci conobbe un

vero e proprio boom grazie al porto e all’attività estrattiva di ferro, piombo e

argento che le valse la denominazione di “plumbaria insula”. Nel Medioevo l’isola si

spopolò rapidamente e solo con l’età sabauda, nel XVIII secolo, cominciò il lento

ripopolamento grazie all’arrivo di coloni tunisini, piemontesi, genovesi e greco-corsi.

Archivio storico Comunale

Gli archivi sono dei grandi contenitori di memoria. Ci raccontano fatti e personalità

che nel passato hanno contribuito a creare il nostro presente e fanno si che il nostro

tempo possa essere letto dalle generazioni future. L’Archivio storico di Sant’Antioco

raccoglie una documentazione che va dal 1793 al 1987 e racconta proprio quel

periodo di rinascita che dal 1700 in poi vide il ripopolamento dell’antica Sulci. La

documentazione presenta delle carenze fino al 1850, dovute principalmente alle

incursioni dei pirati barbareschi e alla mancanza di una sede comunale. I pirati

razziavano tutto ciò che poteva essere portato via e distruggevano il resto, mentre la

mancanza della sede comunale aveva l’aggravante di una norma che obbligava la

rotazione annuale della carica di Sindaco, comportando il trasporto della

documentazione nella casa del nuovo capo dell'amministrazione. Tutto questo è

stato causa di gravi perdite archivistiche, ma rende la documentazione rimasta

ancora più preziosa. Di notevole importanza è il “Registro de entrada y salida de los

dineros de esta comunidad de San Antiogo ut intus”, dove sono descritti alcuni

momenti salienti della comunità antiochense. Da questi documenti è possibile

rivivere le origini della devozione al Santo Patrono, l’epoca della pirateria, l’ordinaria

amministrazione e molto altro. Nel 2010 l’Archivio Storico Comunale ha realizzato

un lavoro di ricerca presso l’Archivio della Corona d’Aragona di Barcellona

contenente importantissime testimonianze riguardanti l’isola di Sant’Antioco che gli

aragonesi ribattezzarono “Illa de Sols”.

SARDARA

La storia di Sardara è legata alle sorgenti termali. In età nuragica l’acqua è stata

oggetto di culto nel territorio, come testimonia Sa Funtana de is dolus. In epoca

romana le Aquae Neapolitanae generarono un importante centro inglobato soltanto

nel 1800 nelle moderne terme.

Area archeologica di Sant'Anastasia

L’acqua è ciò che più identifica Sardara. Il rapporto che il paese ha con questo

elemento naturale supera da sempre il semplice utilizzo biologico. L’area

archeologica di Sant’Anastasia con il suo suggestivo pozzo sacro testimonia un

antichissimo culto nuragico delle acque. Tale pozzo è conosciuto anche come

“Funtana de is dolus” poiché in passato l’acqua che vi sgorgava era ritenuta salutare

e capace di curare i malanni. Il complesso è stato eretto circa 1300 anni prima della

nascita di Cristo e in epoche successive non ha perso le sue funzioni religiose. Di

fianco a Sa Funtana c’è la chiesa di Sant’Anastasia, di origine bizantina ma ricostruita

nel XV secolo. Molti dei reperti rinvenuti nel sito si trovano nel museo di Villa Abbas

non lontano da Sant’Anastasia. A due passi dalla chiesa vi è infine casa Pilloni,

dimora Seicentesca adibita a centro servizi per il sito archeologico.

SASSARI

Sassari è da sempre fucina di intellettuali, nonché un’importante crocevia di culture.

Non è un caso se proprio in questa città sia nata la prima Università della Sardegna,

voluta fortemente dalla popolazione locale e sostenuta dalla Corona di Spagna nel

XVII secolo. A Sassari appartiene anche la più antica scuola d’arte della Sardegna

dove hanno studiato e insegnato grandi personalità del calibro di Filippo Figari,

Stanis Dessy, Eugenio Tavolara e tanti altri. Il costante fermento culturale ha reso

questa città particolarmente ricettiva anche alle novità di costume, basti pensare

che sempre qui è nata la società calcistica più antica della Sardegna.

Palazzo dell’Università

Il luogo per eccellenza dove le culture si confrontano e si mescolano è senza dubbio

l’università. Gli atenei hanno la capacità di azzerare le distanze, favorendo

l’atteggiamento positivo verso le novità e il progresso. Così è oggi e così era già nel

1543, quando per la prima volta Sassari avanzò alla Corona d’Aragona la richiesta di

istituire un’università in Sardegna. Tra i sassaresi era opinione diffusa che

l’istruzione fosse l’unico strumento per garantire il miglioramento e il ricambio della

classe dirigente di tutto il Regno. Da quella petizione la città dovette attendere il

1617 per vedere ufficialmente riconosciuta dal sovrano Filippo III la prima vera

università della Sardegna. L’investitura del Re fu la conclusione di un lungo processo

evolutivo che trasformò il vecchio Collegio Gesuitico, già attivo nella seconda metà

del 1500, nell’ateneo locale. Grazie alla donazione del Vescovo di Oristano, il

sassarese Antonio Canopolo, nel 1611 si iniziò a costruire il primo corpo del nuovo

Collegio. La struttura fu impostata su un cortile centrale intorno al quale gravitavano

le aule di studio. Nel 1625 furono aggiunte le abitazioni dei religiosi e la chiesa di San

Giuseppe, ultimata nel 1651. Il corpo della fabbrica subì diverse trasformazioni con

la demolizione della chiesa e nel 1927 vennero modificati il prospetto ed il porticato

interno. La fronte posteriore sui giardini pubblici segue un modello ispirato al

complesso dell’Escorial di Madrid. Già nei primi anni di vita del vecchio Collegio era

presente un’ampia comunità di studenti provenienti da diverse nazionalità. Vi erano

ad esempio castigliani, catalani, aragonesi, portoghesi e persino austriaci, a

testimonianza della varietà culturale su cui ha messo le basi un’università che oggi

può vantare ben due Presidenti della Repubblica graduati presso l’ateneo sassarese.

SELARGIUS

L’abitato è probabilmente di origine romana, mentre nel medioevo lo si trova nei

documenti col nome di Kellarios, dal latino “cellarium” e cioè deposito agricolo. In

epoca aragonese fu invece un baluardo fortificato a difesa di Carali.

Sito di Santa Rosa

Santa Rosa ha una storia molto particolare. La prima pietra della chiesa venne posta

nel 1946 con una pergamena dedicata a Santa Rosa da Lima, suora vissuta in Perù

tra il 1586 e il 1617. La fabbrica si arenò poco dopo e l’opera rimase incompiuta per

moltissimo tempo. Fu terminata solo tra il 2012 e il 2014, quando ad accompagnare

la conclusione dell’edificio ci fu uno scavo archeologico che mise in luce un

complesso del V-VI secolo. Venne ritrovata una sepoltura contenente numerosi

individui, con un corredo costituito da semplici vaghi di collana in pasta vitrea.

Inoltre furono rinvenute due monete che oscillano tra il V e il VI secolo. Di

particolare interesse è poi una cisterna che ha restituito frammenti ceramici di

produzione pisana e islamica. Santa Rosa è un sito che abbonda di ricchezza

culturale, moderno ma allo stesso tempo capace di raccontare una storia

antichissima.

SENEGHE

Il paese si sviluppa sul versante orientale del Montiferru, immerso nei boschi di lecci

e sugheri. Sono tantissime le testimonianze nuragiche e anche in epoca romana il

territorio mantenne una certa rilevanza.

Casa Aragonese

Nascosta in mezzo alle strette vie del centro abitato c’è la Casa Aragonese, uno degli

edifici più intriganti di tutto il paese. Si tratta di un’abitazione risalente alla fine del

Seicento e costruita in stile aragonese, come sottolineato dalle decorazioni di gusto

puramente gotico-catalano che incorniciano le finestre. Fu proprietà del canonico

Pietro Spano e divenne anche la residenza estiva degli arcivescovi della diocesi di

Arborea. Attualmente è ospitata la Biblioteca Comunale, con il piano terra che

custodisce la raccolta libraria mentre nel primo e nel secondo piano dello stabile si

trovano la sala convegni e la sala consiliare. La Casa Aragonese mostra come le

maestranze operanti in Sardegna rimasero molto legate alla tradizione iberica, tanto

da estendere l’estensione temporale del gotico in epoche dove già nel resto

d’Europa si diffondeva il Barocco.

SERDIANA

L’abitato sorse in epoca romana, ma già dal neolitico si segnalano alcune

testimonianze di civiltà. Nel Medioevo fu parte del Giudicato di Cagliari e tra il 1120

e il 1130 sorse la bellissima chiesa romanica di Santa Maria.

Chiesa di Santa Maria

La Chiesa di Santa Maria fu edificata secondo i canoni del romanico tra il 1120 e il

1130 a Sibiola, un antico villaggio medievale esistente fino alla fine del XVI secolo. La

più antica attestazione della chiesa in un documento appare nel 1338, in un

inventario riguardante i beni posseduti in Sardegna dai Vittorini di Marsiglia.

L’edificio presenta due navate coperte da volte a botte scandite da sottarchi. Questi

ultimi aiutano a datare l’edificio sulla base della somiglianza con la Chiesa di San

Saturnino a Cagliari, consacrata nel 1119 e che fu un modello per diverse chiese

sarde edificate dalle maestranze al servizio dei Vittorini. L’arrivo di questi monaci

dalla Francia intorno all’anno mille aiutò la Sardegna a uscire fuori dall’isolamento

culturale e a inserirsi in una dimensione internazionale.

SERRAMANNA

In anni recenti il paese di Serramanna si è fatto conoscere soprattutto per la Cantina

Sociale produttrice di ottimi vini e per l’industria conserviera. Nel Medioevo

Serramanna era divisa in ville, poi con l’avvento del feudalesimo passò attraverso

varie famiglie nobili.

Santuario di Santa Maria di Montserrat

Santa Maria di Montserrat è una chiesa campestre situata in un territorio che

presenta testimonianze antichissime di insediamenti umani. L’edificio è stato

costruito attorno all’anno mille secondo i canoni del romanico. Il corpo di fabbrica

principale ha una sola navata e non presenta abside. Il loggiato che lo circonda è

frutto di un intervento del XIX secolo, di natura più pratica che estetica, forse dovuto

alla necessità di riparo dal sole o dalla pioggia dei tantissimi fedeli che a settembre

accorrevano per Sa Festa Manna in onore di Santa Maria. Il culto per la Madonna di

Montserrat si diffuse in Sardegna per opera dei catalano-aragonesi. Questa

venerazione si ricollega al famoso Monastero di Montserrat in Catalogna dove viene

venerata la “Moreneta”, una particolarissima statua della Madonna dalla carnagione

scura la cui leggenda si allaccia alla Reconquista dopo l’invasione araba.

SESTU

Il toponimo deriva dalla posizione lungo la strada che in epoca romana portava da

Caralis a Turris Libisonis, l’attuale Porto Torres. Sestu era infatti la sesta colonna

miliare. In età feudale passò di mano a diverse famiglie spagnole per poi diventare

Comune libero nel 1840.

Chiesa di San Gemiliano

La Chiesa di San Gemiliano è unica nel suo genere. Risale alla seconda metà del XIII

secolo e dalle tecniche costruttive è inquadrabile nel romanico di derivazione

francese. La diffusione di questi stilemi d’oltralpe è avvenuta per merito dei monaci

Vittorini di Marsiglia, arrivati in Sardegna dalla Francia intorno all’anno mille. La

particolarità principale della chiesa è data dall'inversione dei rapporti di larghezza

delle navate e di ampiezza delle rispettive absidi. A differenza delle altre chiese

vittorine, dove la navata più ampia è quella meridionale, qui è la navata

settentrionale ad essere maggiore. La vivacità dell’ornato di San Gemiliano ha fatto

ipotizzare che si debba l’edificazione a delle maestranze arabe. È risaputo che nel

medioevo i rapporti tra la Sardegna e il mondo islamico furono costanti e

compresero un arco cronologico molto ampio.

SETTIMO-DOLIANOVA

Il nome di Settimo San Pietro è un riferimento alle sette miglia che separavano

l’antico abitato da Cagliari. Più incerta l’origine del toponimo Dolianova, forse

derivante da Pars Olea, nome con cui i romani avrebbero chiamato il Parteolla.

Settimo - Centro di sperimentazione didattica e divulgativa Arca del tempo Nell’area archeologica di Cuccuru Nuraxi è nata l’Arca del tempo, un centro di attività espositive, didattiche, formative e laboratorio di scavo. Al suo interno il visitatore ha l’opportunità di viaggiare nel tempo attraverso quattromila anni di storia grazie a un percorso multimediale che permette di immergersi nelle ricostruzioni virtuali di sette diverse epoche. Si potrà ammirare l’evoluzione del paesaggio dal Neolotico all'Età del Bronzo, il periodo punico, quello romano, l’Età Giudicale, le dominazioni pisane e aragonesi fino all’epoca sabauda. Trentacinque paesaggi grafici tridimesionali mostrano alcuni dei più significativi monumenti del territorio in tutti i loro passaggi nel tempo. La mostra è stata presentata per la prima

volta a Tokio nel settembre 2011, in occasione del congresso annuale dell’Union Internationale des Architectes.

Dolianova – San Pantaleo La cattedrale di San Pantaleo è uno dei monumenti in assoluto più importanti della Sardegna, nonché un eccezionale esempio del romanico isolano. È frutto di varie fasi costruttive e venne consacrata l’8 dicembre 1289, come riporta un’iscrizione absidale. La chiesa è impostata su un’area di culto paleocristiana già in uso nel VI secolo, di cui ancora si conserva una vasca battesimale sotto il presbiterio. Internamente sono custoditi alcuni tra i più alti esempi di pittura medievale in Sardegna come gli affreschi e il Retablo di San Pantaleo, pregevole opera realizzata tra il Quattrocento e il Cinquecento. L’imponenza dell’edificio e la ricchezza di dettagli nelle decorazioni lasciano intuire il valore di questa chiesa per la società medievale, nonché un alto livello della committenza. La varietà di tecniche costruttive e decorative rendono San Pantaleo un monumento unico in Sardegna.

TERRALBA-URAS

Uras è un paese alle pendici del monte Arci famoso sin dall’antichità per

l’importante attività estrattiva. Terralba ha invece beneficiato di una notevole

espansione in epoca fascista.

Terralba – Concattedrale di San Pietro

La storia della concattedrale di San Pietro mostra come sia cambiata la sensibilità

verso il patrimonio culturale nel corso dei secoli. L’edificio che vediamo oggi risale

agli inizi dell’Ottocento ed è costruito secondo i canoni del tardo-barocco. Nacque

per volontà dell’allora vescovo della diocesi di Ales-Terralba mons. Paradiso, il quale

decise di far demolire la fatiscente chiesa romanica del 1114 per far spazio al nuovo

impianto. La fabbrica andò a rilento e ci volle più di un secolo per vederla consacrata

nel 1933. Attualmente all’interno sono conservati i capitelli provenienti dall’antica

città di Neapolis, un grosso centro che andò a spopolarsi verso l’anno mille e di cui

Terralba raccoglie parte dell’eredità. Sono inoltre presenti pregevoli arredi come il

pulpito ligneo di bottega sardo-napoletana, un fonte battesimale datato 1626 e una

preziosa croce d’argento spagnola.

Uras – Chiesa Parrocchiale Santa Maria Maddalena

La chiesa fu eretta nel 1664 seguendo il modello della Cattedrale di Cagliari. Nel

1752 fu terminato il campanile a canna quadra, realizzato con pietre provenienti

dalle cave di Sardara e Villanovaforru. In seguito il soffitto voltato a botte fu

innalzato di qualche metro risultando così sproporzionata nei confronti del

campanile, costruito per un prospetto più basso. Di particolare valore artistico sono

l’altare maggiore, il battistero e la balaustra in marmo del 1700. È inoltre presente

un maestoso organo a canne restaurato dall’Arte Organaria Sarda Palmas di Segariu,

composto da 20 registri, due manuali, pedaliera e 1467 canne. Santa Maria

Maddalena si presenta come un edificio sobriamente barocco che risente ancora

della lezione romanica. Un buon esempio della rielaborazione sarda di stilemi

internazionali.

THIESI

Secondo alcune fonti Thiesi sarebbe stata fondata da degli ebrei deportati dai

romani. Questi coloni avrebbero dato vita a quello che oggi appare come un

affascinante paese circondato da colline, noto soprattutto per la produzione

casearia.

Museo Aligi Sassu

Il Museo Aligi Sassu è il tributo che Thiesi dedica al grande artista originario del

paese. Sassu nacque a Milano nel 1912 da madre emiliana e padre thiesino. A Thiesi

l’artista frequentò le scuole elementari e qui conobbe per la prima volta i suoi

soggetti preferiti: i cavalli. In seguito rientrò a Milano e nella città meneghina venne

a contatto con tutti i più importanti movimenti artistici del Novecento, compresi

numerosi artisti di fama internazionale. La collezione del Museo di Thiesi raccoglie

120 opere realizzate fra il 1929 e il 1995, con un grande affresco dei primi anni

sessanta ad impreziosire l’edificio in cui è ospitata. La grandiosità della produzione

di Sassu sta nell’aver sempre saputo coniugare il quotidiano con il mito e la

tradizione con la modernità, dimostrando non solo di essere un artista di elevata

caratura ma anche uno straordinario uomo di cultura.

TORRALBA-COSSOINE

In età nuragica questi territori ebbero una grandissima rilevanza e ancora oggi

presentano importanti testimonianze di quell’antica civiltà, alcune delle quali tra le

meglio conservate in Sardegna.

Torralba – Nuraghe Santu Antine

Il nuraghe Santu Antine è un orgoglio per tutta la Sardegna. È il segno di una civiltà

avanzata, dotata di maestranze all’avanguardia e custode di saperi che ancora oggi

lasciano senza fiato. Si tratta del più maestoso complesso megalitico presente

sull’isola dopo Su Nuraxi di Barumini. Santu Antine è una fortezza in blocchi basaltici

sagomati, con un mastio centrale di circa 17 metri che in passato doveva essere

persino più alto. Un autentico “grattacielo” per l’epoca. Risale al XVI-IX secolo a.C. e

all’esterno presenta i resti di un villaggio frequentato sino in epoca romana. I popoli

nuragici hanno avuto continui scambi culturali e commerciali con le più importanti

civiltà mediterranee coeve. Santu Antine dimostra come la cultura sarda dell’epoca

fosse di gran lunga al passo coi tempi, capace di produrre opere che sbalordiscono

anche dopo migliaia di anni.

Cossoine – Chiesa di Santa Maria Iscalas

La chiesa di Santa Maria Iscalas è uno degli edifici religiosi più antichi dell’isola e

rappresenta l’unico esempio superstite di chiesa bizantina cruciforme nel nord

dell’Isola. Una caratteristica peculiare si nota all’esterno, con la cupola totalmente

nascosta alla vista da un tiburio cubico sormontato da un tetto piramidale su cui è

innestata una croce in pietra. All’interno sono presenti alcuni frammenti di pittura

murale risalenti al Medioevo in cui è possibile distinguere la scena del battesimo di

Cristo. La chiesa è stata oggetto di numerosi studi che ne hanno spesso spostato la

cronologia, oscillando tra il VI-VII e il X-XI secolo. Sulla base del confronto con Santa

Maria Formosa di Pola in Croazia e con alcune chiese greche la datazione più

attendibile sembra quella del VII secolo, il che la rende una delle più antiche di tutta

la Sardegna.

TORTOLI

Nel Medioevo Tortolì divenne un importante punto di riferimento per tutti i

navigatori del Mar Tirreno. Nel XX secolo l’arrivo di una folta comunità di pescatori

ponzani portò saperi e tradizioni che oggi sono parte dell’identità locale.

Museo Su logu de s'iscultura

In occasione della mostra antologica dedicata a Mauro Staccioli nel 1995 nacque a

Tortolì il Museo “Su logu de s'iscultura”, un parco di scultura a cielo aperto. L’intento

è quello di conciliare la scultura contemporanea con la natura, risolvendo

armonicamente il rapporto spesso conflittuale tra la modernità e il paesaggio.

Questo ambizioso progetto non sarebbe stato possibile senza il contributo di artisti

di fama internazionale del calibro di Mauro Staccioli, Maria Lai, Hidetoshi Nagasawa,

Gianfranco Pardi, Igino Panzino, Giovanni Campus, Massimo Kaufmann, Maurizio

Bertinetti, Alfredo Pirri, Corrado Bonomi, Antonio Levolela, Pietro Coletta, Ascanio

Renda, Umberto Mariani, Alex Pinna. La sede centrale del Museo è collocata al

piano terra dell'ex mercato civico, mentre il resto dell’esposizione è disseminato per

le vie del paese ed è la parte più caratterizzante.

USINI

Le testimonianze più antiche di insediamenti umani nel territorio di Usini risalgono

al neolitico. In età giudicale il paese era composto dagli attuali rioni Corrau e

Usineddu e stretto intorno alle chiese di San Giovanni Battista e di San Pietro.

Corte di Casa Diaz

Il piccolo centro di Usini può vantare una tradizione enologica secolare. Il paese è

ormai entrato nel gotha delle Città del Vino italiane e ha già acquisito una

particolare rilevanza all’interno di questo circuito. La corte di Casa Diaz è un simbolo

della vocazione agricola del paese e di come l’ulivo, il carciofo e soprattutto la vite

siano stati il vero motore dell’economia a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento. La

struttura terminata nel 1874 era il cuore dell’Azienda Diaz che per anni ha dato

lavoro a tantissimi usinesi. Al suo interno sono ancora presenti gli attrezzi e i

macchinari usati dagli operai dell’epoca. Al termine del cortile si scende nelle

cantine, dove erano conservati i vini con particolare cura delle condizioni ambientali.

Le grandi botti ancora oggi perfettamente mantenute mostrano l’importanza di

questa produzione.

UTA

Il paese di Uta ha una lunghissima storia le cui prime testimonianze risalgono al

periodo nuragico. Un nucleo sociale attivo era presente anche in epoca romana, ma

le migliori evidenze del passato attualmente visibili sul territorio partono dall’Età

Giudicale.

Chiesa di Santa Maria

La Chiesa di Santa Maria è situata appena fuori dal centro abitato e si trova immersa

nell’omonimo parco. Si tratta di un meraviglioso esempio di architettura romanica in

Sardegna, un autentico gioiello costruito da maestranze toscane nel XII secolo. La

facciata è spartita orizzontalmente in due zone da una cornice di derivazione araba,

testimonianza di una presenza viva e operante proveniente da terre lontane. La

chiesa era inoltre parte di un complesso monastico di proprietà dei Vittorini di

Marsiglia. I monasteri non erano solo luoghi di preghiera, ma anche prestigiosi centri

culturali con un’importanza sociale ed economica rilevantissima. Tanti monaci

arrivavano d’oltremare portando con sé valori e saperi di altri popoli. Curioso il

particolare di una lesena dell’abside dove è incisa la croce dei Cavalieri di Malta, un

ordine di frati guerrieri di cui fu membro anche Caravaggio.

VILLACIDRO

Il centro abitato si trova nel punto in cui la piana del Campidano cede il passo al

Monte Linas. Sia per la sua collocazione geofisica, sia per l’aria salubre che alimenta

un’agricoltura di qualità è stato definito un “paese di montagna”.

Casa Dessì

La memoria storica di un paese passa anche attraverso i suoi cittadini illustri. Casa

Dessì è il luogo in cui è cresciuto e si è formato il grande scrittore Giuseppe Dessì,

vincitore del premio Strega nel 1972 con il romanzo “Paese d’Ombre”. Si tratta di

uno dei più grandi autori sardi del Novecento e in questa dimora nacquero i

personaggi di San Silvano, di Michele Boschino e dei Passeri, tre delle sue maggiori

opere. La Casa Dessì risale alla prima metà del XIX secolo e costituisce un tipico

esempio di abitazione signorile dell’epoca. Fu acquistata al termine della Grande

Guerra dal generale Francesco Dessì, padre dello scrittore e alto ufficiale

dell’esercito regio. Nel corso degli anni hanno risieduto qui altre grandi famiglie tra

cui quella del prof. Antioco Loru, Rettore dell’Università di Cagliari con due diversi

mandati, sindaco dello stesso capoluogo e Senatore del Regno.

VILLAMASSARGIA

In epoca romana venne costruito un acquedotto per rifornire Carales. La rilevanza

strategica del territorio mutò in epoca medievale ma non diminuì. Il Castello di

Gioiosa Guardia infatti fu un importantissimo avamposto militare.

Chiesa della Madonna del Pilar

L’intitolazione riprende la famosa patrona di Spagna il cui Santuario situato a

Saragozza risulta essere il più antico di tutta la cristianità. In origine però questa

chiesa di Villamassargia era intitolata a San Ranieri, patrono di Pisa, secondo la

volontà del Conte toscano Bonifacio Donoratico signore del paese. Un’iscrizione ci

dice che fu conclusa nel 1318 ad opera di Arzocco De Garnas, dati rarissimi da

trovare nelle chiese sarde. Dell’impianto romanico resta solo la facciata con il suo

campanile a vela originale, il resto dell’edificio risale ai rifacimenti tra il XIV e il XVI

secolo che conferiscono al complesso una certa quantità di caratteri gotici riferibili

all’influenza spagnola. È infatti durante la dominazione aragonese che si ha il cambio

di intitolazione alla Madonna del Pilar, tuttora festeggiata ad ottobre sia a

Villamassargia che in tutti i paesi di lingua spagnola.

VILLANOVAFORRU-VILLAMAR

In epoca medievale la zona era un crocevia importante delle rotte del grano tra isole

mediterranee, tanto che nel XVI secolo Villamar fu colonizzata da mercanti delle

Baleari a cui si deve la nascita del quartiere maiorchino.

Villamar – Casa Maiorchina

Durante la dominazione aragonese Villamar fu un importante crocevia delle rotte

del grano nel Mediterraneo. Molti coloni e commercianti dall’isola spagnola di

Maiorca decisero di stabilirsi qui con le loro famiglie creando una fitta comunità

iberica. Ancora oggi nel paese esiste il quartiere maiorchino, nome derivato proprio

dalla popolazione originaria delle Baleari, di cui la Casa Maiorchina è il simbolo. L’

edificio è il tipico esempio di casa rurale del XIX secolo dei grandi proprietari terrieri

della Marmilla, comprendente sia gli spazi abitativi che le aree di supporto alle

attività agricole. L’elegante palazzina è oggi un importante centro culturale e

rappresenta l’anello di congiunzione tra le due identità del paese: quella iberica e

quella sarda.

Villanovaforru – Chiesa di Santa Marina

Nel Medioevo molti coloni spagnoli trovarono nella Marmilla una terra di

opportunità. La loro presenza ha lasciato un segno importante, come testimonia il

culto per Santa Marina di Orense a Villanovaforru. Questa sacra figura non è

venerata da nessun’altra parte in Sardegna ma il culto ha larga diffusione in Spagna.

La martire galiziana viene festeggiata il lunedì e il martedì dopo la Pasqua e il 16 e 17

luglio. La cerimonia parte con la vestizione della statua che viene poi portata in

processione su un carro ornato trainato dai buoi. Ai piedi della Santa vengono messi

dei cespuglietti di basilico i cui rami vengono presi dai fedeli al termine della messa

in suo onore. La Chiesa di Santa Marina è un edificio in stile romanico che ha subito

diverse aggiunte in epoche successive. Secondo un’epigrafe scolpita nel 1686 il

primo impianto dovrebbe risalire al 1280.

VILLASIMIUS

Frequentata già in età fenicio-punica Villasimius divenne successivamente un centro

romano, come testimoniano le terme di Santa Maria e i reperti trovati. Nel

medioevo l’abitato conobbe lo spopolamento per poi riprendere vigore agli inizi del

XIX secolo.

Museo Archeologico

Il Museo Archeologico ripercorre le vicende storiche del territorio attraverso la

cultura materiale prodotta da chi ha vissuto in passato. Le evidenze raccontano il

ruolo primario che ebbe Capo Carbonara già dall’antichità all’interno dei traffici nel

Mediterraneo. Dagli scavi effettuati nella zona sono emersi reperti che spaziano dal

Neolitico fino all'epoca romana. A quest’ultima appartiene la statua muliebre

databile al I secolo d.C. proveniente da Santa Maria, luogo dove sono state riportate

alla luce le terme. Non mancano anche testimonianze più tarde. Il relitto di una nave

spagnola naufragata nei pressi dell'Isola dei Cavoli e risalente alla prima metà del XV

secolo ha fornito interessanti informazioni dagli studi sul suo carico. È stato così

possibile ricostruire alcuni movimenti che interessavano in quel periodo le rotte

commerciali tra la Spagna e l'Italia Meridionale.