CULTURA COMMESTIBILE_N°61

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61 uesta settimana il menu è Q OCCHIO X OCCHIO Cecchi a pagina 7 Stammer a pagina 5 Che cosa sono le nuvole RIUNIONE DI FAMIGLIA Le priorità del paese a pagina 4 Il David uno e trino Sympaty for thepope DA NON SALTARE Siliani a pagina 2 C’è vita in Italia PICCOLE ARCHITETTURE Un nuovo quartiere Nichaela Biancofiore 23 gennaio 2014 Monaldi a pagina 6 Lapo Binazzi, l’Ufo ISTANTANEE AD ARTE Dudù, da buon uomo di quella famiglia, visto che la mia cagnetta Puggy era in calore voleva accoppiarsi. Non so se c’è riuscito, lo vedremo tra qualche mese.

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Rivista italiana di cultura

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61uesta settimanail menu èQ

OCCHIO X OCCHIO

Cecchi a pagina 7

Stammer a pagina 5

Che cosa sonole nuvole

RIUNIONEDI FAMIGLIA

Le prioritàdel paese

a pagina 4

Il Davidunoe trino

Sympatyforthepope

DA NON SALTARE

Siliani a pagina 2

C’è vitain Italia

PICCOLE ARCHITETTURE

Un nuovoquartiere

Nichaela Biancofiore23 gennaio 2014

Monaldi a pagina 6

Lapo Binazzi, l’Ufo

ISTANTANEE AD ARTE

Dudù, da buon uomo di quella famiglia, visto che la miacagnetta Puggy era in calorevoleva accoppiarsi. Non so se c’è riuscito, lo vedremo tra qualche mese.

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C’è vitaCCU

O.com sabato 1 febbraio 2014

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di Simone [email protected]

DA NON SALTARE

C’è vita, ancora, nella societàitaliana. Non tutto è omolo-gato al pensiero unico (che èpiuttosto assenza di pen-

siero) o al twitterismo esasperato (ciòche non si può comunicare in 140 carat-teri non è degno di esistere). Al contra-rio, esistono esperienze vitali diinnovazione culturale e sociale che siaprono varchi inauditi in questa fittanebbia che avvolge il Paese e lo rende in-capace di reagire alla crisi, che non è soloeconomico-finanziaria ma prima ditutto di idee, di valori.Cercheremo di dare conto di alcune diqueste tracce di vita pulsante. Iniziandocon l’apertura a Firenze il 7 febbraio diImpact Hub Firenze, un vero cuore pul-sante in cui si incontrano e si sviluppanole buone idee di impresa.Marco Tognetti è l’ideatore di Impact HubFirenze. Un team under 30, ma il profiloche a noi interessa è dimostrare che ci sonoreazioni intelligenti alla crisi, intelligentinon solo dal punto di vista del successo eco-nomico certo augurabile ma soprattutto dimodello sociale, economico e culturale di-verso da quello che la crisi ha appunto hascoperto come inefficace, fondato sull’iper-individualismo e sul successo economico aidanni di altri. Un’idea magari non tecnica-mente cooperativo ma fondata su personeche insieme producono idee ed esperienzeinnovative.Partiamo dal pensiero e poi veniamo alsuo modello di realizzazione. L’espe-rienza nasce dalla cooperativa LAMAfondata nel 2007, con la quale abbiamolavorato come consulenti strategici, aiu-tando altri nella realizzazione dei loroprogetti sia di enti pubblici che di privati,in Italia e all’estero, profit e no profit.Questo ci ha dato l’idea che un movi-mento di cambiamento deve essere tra-sversale, che rappresenti non solo unaparte della società e che si muova in unanuova direzione. Un direzione che ritro-viamo nell’esperienza di tanti soggetti dinatura diversa e che poggia su quattropilastri: la comunità, gli scambi, la fidu-cia, la partecipazione. Comunità intesacome un insieme di persone, che iden-tificano dei tratti che ne costituisconouna identità comune. Non una comu-nità semplicemente geo-localizzata, ca-ratterizzata dall’insistere su un certoluogo; bensì basata su un contenuto co-mune (“content community”). Un in-sieme di soggetti che per quel tema,contenuto, al di là di dove siano posizio-nati nel mondo, hanno questo filo rossoche li collega. Questo vale nell’ambitobusiness (comunità di imprenditori e diprofessionisti, intorno ad un certo tipodi prodotto o servizio, che magari si ri-trovano in un brand) ma anche in quellono profit. Comunità che stanno insiemeper la forza dei legami, che sono raffor-zati da elementi di fiducia. L’esempio piùsemplice è quello dei social network: siparte da una rete basata su persone chesi conoscono (amici veri) e che pianopiano di allarga. Un po’ come Linkedin:circoli sempre più ampi che manten-gono fra loro connessioni forti. Il trasfe-

in Italiarimento di fiducia all’interno della co-munità rafforza il tuo progetto: se tu seiimpresa, questo di genera reputazione,affezione al prodotto; se sei una istitu-zione pubblica, questo rafforza la tua ca-pacità di intervento; se sei un partitopolitico, rafforza la fiducia. Questo ele-mento della fiducia ha un significato sianel mantenere la qualità delle relazioniall’interno della comunità, sia dal puntodi vista funzionale rispetto al “destino”delle singole componenti.Questa fiducia all’interno della comu-

nità nel tempo presente necessita e si raf-forza ancora di più con elementi di par-tecipazione. Nel momento in cui sirendono trasparenti alcuni processi e sirafforzano i legami reputazionali e fidu-ciari fra i vari componenti della comu-nità (stakeholders), si è costretti adaprire momenti di cessione parziale dipotere a questa comunità. Al momentoin cui si aprono spazi e questi vengonooccupati da altre parti della società, que-sta stessa società poi pretende. La cosainteressante, che economicamente si

chiamerebbe “self enforcing mecha-nism”, è che è un meccanismo che si au-toalimenta. Se si apre in percorso checede quote di decisione a questo gruppodi portatori di interesse, lo stesso gruppopoi pretende che la sua proposizionevenga seguita. Di nuovo, accade nel bu-siness: se la Apple, portatore simbolicodi un mondo pulito ed efficiente, pro-duce in Cina e concorre a disastri am-bientali, perde quote di mercato, maprima ancora fiducia e credibilità. Stessacosa nel no profit: se tu mi chiedi l’smsdi donazione per una causa nobile e sco-pro che ti sei fatto la piscina, io non tidono più niente. Comunità come ele-mento di base, fiducia come ingredientedi connessione fra le diverse compo-nenti della comunità, partecipazionecome elemento fondamentale che da unlato è una posizione valoriale e dall’altroelemento che rafforza il sistema. Ultimoelemento, che conduce alla parte econo-mica: scambi. Stiamo assistendo all’evo-luzione dal concetto di proprietà aquello di uso. Lo abbiamo visto nel suc-cesso di “Car-to-go”, l’esperienza di carsharing a Milano: in un mese 50milaiscritti. Oppure nei vari RB&B nell’af-fitto delle case, couch-surfing, le banchedel tempo. Tante diverse forme, all’in-terno delle quali ci sono meccanismi discambio, elemento collante di questegrandi comunità. Scambi che, per laparte business, conduce agli aspetti eco-nomici. Nel mondo no profit invece in-veste esperienze come quelle del crowdfunding, finanziamento di massa di ini-ziative che avrebbero due meccanismi,quello reward based (tu doni e ti vienedato qualcosa in cambio di simbolicoche fa comunità) e quello equity based(in cui lo scambio è dato da una quotadi proprietà della società, l’equity ap-punto).Questi quattro ingredienti vanno a co-struire una modalità che ha elementicooperativi che però non prescinde daquelli competitivi (tanto nella partescambi che in quella reputazionale), mache però riconosce l’utilità cooperativa.Con questo pensiero in testa abbiamoincontrato la rete Hub internazionale nel2010 a Milano (portata da Alberto Ma-gretti Zannini): lì abbiamo visto la rap-presentazione concreta di un modello dibusiness concepito con il sistema facili-tante, prima che con quello del co-wor-king o dell’incubatore o dell’acceleratore.Esso raccoglie tutte e tre le dimensionicitate perché dentro l’Hub si pratica ilco-working, avvengono programmi diaccelerazione e si fa anche incubazionedi start-up. Però queste tre cose avven-gono all’interno di una cornice di pen-

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CCUO

.com sabato 1 febbraio 2014no61 PAG.3DA NON SALTARE

siero, quella del sistema facilitante, percui all’interno non c’è solo il beneficio dipagare una scrivania a tempo, bensì unametodologia che si chiama art-hosting(l’arte di accogliere) che prevede la pre-senza di persone dedicate (lo staff) chenon solo offre i programmi e risolve i di-versi problemi tecnici, ma chefanno dimestiere i connettori di punti. Per cuinell’Hub non entra chiunque, bensì lepersone che hanno un certo livello dicoerenza con il resto della comunità,portando e ricevendo benefici all’in-terno di essa.. Ciò che tiene insiemequesti Hub (nella rete mondiale vi sonoormai 7mila persone, 40 spazi aperti ealtri 24 in apertura fra cui quello di Fi-renze) è il tema dell’innovazione sociale.Cioè qualcosa di inedito in quel luogospecifico e che ha nel suo pensiero unimpatto socio-ambientale positivo sulmercato. Gli esempi più banali sonoquelli della green economy; oppure nelmondo dei servizi, del design e dell’ar-chitettura sostenibile. L’importante èche tutti nella comunità abbiano gli ele-menti di scambio, partecipazione e fidu-cia come collanti. L’atto fisico di ingressonella rete è banale, basta affittare la scri-vania o lo spazio in cui venire a lavoraretutti i giorni, ma qui dentro benefici deiservizi, ma anche del fatto che vi incon-trerai la comunità locale, oppure il col-legamento con gli altri sei Hub italiani(Milano, Trieste, Rovereto, Roma, Barie Siracusa), oppure anche con la rete in-ternazionale (per cui troverai i concorsiche avvengono a Londra, piuttosto chepartner che stanno a Madrid e così via).Se consideriamo i 4 pilastri di cui parlavi,ci accorgiamo che sono veramente 4 pilastrialternativi a quelli del modello imperantefino ad oggi: al posto di comunità avevamol’individuo (Tatcher docet: “non esiste lasocietà, esiste l’individuo”), il sospetto alposto della fiducia (su cui si è costruita lagigantesca illusione finanziaria globale), ilverticismo al posto della comunità (eraquesto il paradigma su cui si sono struttu-rate le organizzazioni complesse, pubblichee private, negli ultimi decenni) e, infine, laproprietà al posto dello scambio d’uso. Sieteconsapevoli, dunque, che oltre alla buonapratica costituite una sfida culturale al si-stema?Certo, anche se io la vedo piuttosto checome una rivoluzione, come una evolu-zione. Non è la rivincita della comunitàsul sistema imperante. Il limite fisiolo-gico di quel sistema è venuto a galla e aquesto punto è necessario trovare dellesoluzioni in avanti. Anche nelle econo-mie sviluppate, se prima il pensiero pro-gressista si poneva il problema dellaredistribuzione, ora il problema è anchequello del mantenimento del benessere,in una situazione in cui non sono imma-ginabili picchi significativi di crescitache – secondo taluni – avrebbero con-sentito la redistribuzione. Il punto oggiè come non depauperare un sistema diwelfare o la capacità industriale costruitenel corso di decenni. In questo ambito,l’ottica trasformativa diventa interes-sante; cioè il fatto che alcune modalitàdi fruizione di beni e servizi vengano tra-sformati. Il passaggio dalla proprietàall’uso va in questa direzione: perché

avere tutti la propria macchina? Il pro-blema muoversi, poter utilizzare unmezzo per farlo. RB&B ad esempio con-sente di “avere” migliaia di case nelmondo, o di insegnanti di inglese, oaltro, cioè consente di “utilizzarli”. Unpo’ alla Amartya Sen: “capabilities” e“functioning”. C’è l’ingrediente dellasfida nel nostro progetto, ma nel sensodella convinzione che ci siano dei mec-canismi evolutivi da sfruttare. Esiste unautilità importante nella gerarchia funzio-nale, cioè esistono funzioni che hannogradi diversi di potere e responsabilità edi controllo reciproco; ciò non significache l’effettiva capacità di incidere sul si-stema sia dipendente unicamente davertici molto acuti. C’è bisogno dellafunzione di presidente, di amministra-tore delegato e del CdA e del loro rap-porto con l’assemblea; ma ciò nonesclude che possano esistere meccani-smi di feedbeck, di partecipazione e dicollaborazione fra le diverse funzioni.Lanostra visione, dunque, può essere di-rompente, ma è uno sguardo laico, nonideologico.Che cosa ha raccolto finora questa rete?Cosa ci sarà nell’Hub? Anche perché a noiinteressa anche verificare che cosa c’è di vi-tale nella società italiana che di solito nonemerge.

Vi sono già diverse realtà che aderi-scono. Ma mi interessa anche parlaredella comunità che le sta intorno. Ancheper regole internazionali, al momento incui Hub apre, deve aver fatto un per-corso di community engagement, dicoinvolgimento di portatori di interesseche, alla fine, arrivano ad aprire l’Hub.All’apertura dell’Hub di Firenze, perquanto riguarda le imprese, avremo coo-perativa LAMA, la società Namaquache si occupa di sviluppo web, EDA ser-vizi che è una cooperativa bibliotecaria;poi ci sono le imprese incontrate al So-cial Innovation Camp (evento organiz-zato da noi, un contest per idee basatesul web con impatto socio-ambientalepositivo), in particolare “Mind theFridge” che connette la spesa con il temadella scadenza dei prodotti e con la trac-ciabilità di spesa e consumi, e “Socia-Lap” una associazione che si occupa difavorire lo scambio di beni o servizi al-l’interno di comunità come i condo-mini. Inoltre il percorso di fellowshiplanciato insieme alla Fondazione “Ilcuore si scioglie” di unicoop Firenze al-l’interno del quale saranno selezionatetre realtà che entreranno nell’Hub, treteam che si prefiggono di costruireun’impresa sociale che sfrutti la diseco-nomia dello spreco della scadenza del

cibo all’interno della grande distribu-zione per trasformarla in un’iniziativasocialmente utile e sostenibile dal puntodi vista imprenditoriale. Poi ci sono altrerealtà nell’ambito del design, come“Think Benci” che all’interno della Pen-sione Bencistà ha portato a Firenze de-signer creativi di livello internazionale,giovani emigrati alla S.Martin Universitydi Londra che poi tornati qui hannoportato le cose interessanti che lì hannomaturato dal punto di vista dello scam-bio e della creatività. Ci sarà il gruppodella “Scena Muta”, musicisti e artisti cheorganizzano da indipendenti momentidi cultura e creatività all’interno del pa-norama fiorentino. Vi saranno personee gruppi dell’ambito della cooperazioneinternazionale allo sviluppo che indivi-duano nel nostro spazio un punto di ap-poggio. Ci sono dottorandiall’Università, oppure il “Green EnergyCamp” che in Mugello fanno forma-zione in ambito naturalistico. Inoltre, ge-stendo come cooperativa LAMA ilprogetto “TOM Tuscany On the Move”della Regione Toscana che prevede diportare imprenditore preferenzialmentegiovani a S.Paolo, a Boston, a Shangai,ad Amsterdam, ci saranno anche questisoggetti che parteciperanno a questiviaggi di formazione: all’interno di que-sti abbiamo trovato anche imprese pro-duttive, non solo di servizi, per quantoinnovative.Cosa vuol dire per voi il tema generazio-nale?In Hub abbiamo la convinzione cheoggi serva la relazione intergenerazio-nale, tanto dal punto di vista filosofico(siamo qui, compresenti sulla terra, edunque dobbiamo fare i conti gli unicon gli altri; aiuto reciproco; propen-sioni diverse al rischio che possono be-neficiare di esperienze più vaste dialcuni), quanto dal punto di vista utili-taristico (per i giovani non c’è il tempoper ricostruire da capo tutto quanto giàesiste e nel frattempo buttare tutto ri-schia di farci perdere cose che nonavremo il tempo e il modo di ricostruire;per la parte “matura” però occorre rico-noscere l’impossibilità ad andare avanticosì). Inoltre i giovani sono numerica-mente meno e siamo arrivati alla codadel picco di crescita, in un mondo in cuila competizione si è allargata terribil-mente, dove le categorie dello sviluppodi sono radicalmente trasformate. Noipensiamo che un ingrediente che mancaalla nostra generazione è anche quellodi riconoscersi in una condizione co-mune e di lavorare per rafforzarci a vi-cenda, in una maniera non contrappostaalle altre generazioni. Esiste, certo, unasfida di chi ha vissuto questo tempo inquesto modo, di quelli nati nei primianni ‘80, che penso possano portare –avendo visto sia la coda del vecchiomondo analogico sia l’inizio di quellodigitale – un contributo originale. All’in-terno di Hub non ci interessa creare unacomunità omogenea di soggetti under30, ci interessa il mix, ma indubbia-mente poter rafforzare chi ci è coetaneoo anche più giovane di noi, è un obiet-tivo. Ma Hub non è una rete di giovaniper i giovani.

Intervista a Marco Tognettiuno dei fondatori di The Hub a Firenze

Primo passo del raccontodi Cultura Commestibile

del mondo della cultura d’impresa

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CCUO

.com sabato 1 febbraio 2014no61 PAG.4

Registrazione del Tribunale di Firenzen. 5894 del 2/10/2012

direttoresimone silianiredazione

sara chiarelloaldo frangioni

rosaclelia ganzerlimichele morrocchiprogetto graficoemiliano bacci

editoreNem Nuovi Eventi Musicali

Viale dei Mille 131, 50131 Firenzecontatti

www.culturacommestibile.comredazione@[email protected]

www.facebook.com/cultura.commestibile

“ “Con la culturanon si mangia

Giulio Tremonti

LA STILISTA DI LENIN

Era già successo. I giovaniavevano tolto i manifesti dei

nostri illustri parenti dalle lorocamere per sostituirlicon cantanti e gruppirock. Solo il Che ha re-sistito sui muri dei no-

stri adolescenti ma ora rischia anchelui. Sì perché dopo la copertina diRolling Stone dedicata a Papa Fran-cesco, una nuova icona pop è definiti-vamente sbocciata. Certo questoPapa ha tutto per piacere. Simpatico,diretto, irriverente, è perfetto per que-sti tempi mediatici. A partire dallasua prima parola da Pontefice, quelbuonasera in un italiano stentato chericordava i cantanti quando ai con-certi salutano il loro pubblico nellanostra lingua. Certo non ai livelli del“siete caldi” del primo concerto ita-liano di Madonna, ma va detto cheera la prima uscita di Francesco. Nelfrattempo Papa Francesco è cresciuto,ha acquisito familiarità e ci fa temereche i tempi di sesso, droga e rock ‘n’roll siano definitivamente finiti.Adesso non gli manca che partire intour dove, però, im-maginiamo il ser-vizio d’ordine,a differenzadegli stones inamerica nel’68, non lofaranno gliHell’s An-gels.

RIUNIONE DI FAMIGLIA

LE SORELLE MARX

Dopo la genialata della copia delDavid simbolo dell'Expo2015, si vannomoltiplicando senza remore usi ab-normi del campione michelangiolesco.E vai così col kitch! David, l'ideale-per-fetto-di-bellezza-nell'arte, simbolo di Fi-renze e del Rinascimento, è diventatobuono per il cinese Li Hongbo, specia-lizzato in sculture con fogli di carta, perdar sfogo alla sua creatività e pensateun po' cosa di è inventato? Ma sì, un belDavid flessuoso con 5.000 fogli dicarta. E uno!Poi c'è la geniale idea di Pep Maqrche-giani che, siccome constata che l'artecontemporanea a Firenze è stagnante,ci offre la sua idea rivoluzionaria: “ri-partiamo dal David!” E così la Pep hapensato bene di fare 50 miniature delDavid (con membro pendulo di dimen-sioni giganti, bonjour finesse!) e dipiazzarle dal 7 gennaio in locationstrategiche della città. E così sboccial'arte contemporanea anche a Firenze,urrah! E due!Ma noi esportiamo questi colpi di genioanche all'estero ed ecco spuntare unabella statua, alta 4 metri, evocativadella grandeur italienne, realizzata dal-l'architetto Antonio Pio Saracino, nel

I CUGINI ENGELS

Sympatyfor the pope

L’ideologoBriatore

Ogni anno si pubblicano in Italia 62mila libri, uno più, uno meno, anche se il 55% degliitaliani sopra i 6 anni non ne legge neppure uno. Non c’è quindi né da meravigliarsi né dapreoccuparsi che sia stato possibile dare alle stampe un tomo strampalato come “La danza– da Matisse al Bunga Bunga”, tanto, quasi sicuramente, nessuno lo leggerà. L’autrice sifirma Agata Cristi, pseudonimo con cui mostra una rara mancanza di fantasia. Il testoprevede una miscellanea di brani, presi da Wikipedia direi, che hanno la comune finalitàdi dimostrare come la imbarazzante fama raggiunta in Italia dal Bunga Bunga sia para-gonabile a quella raggiunta nel mondo intero dal famoso quadro di Matisse “Danse”. “Mache dico paragonabile ! grazie all’ex-Cavaliere è emerso come esso sia assurto all’invidiabilerango di più raffinato ballo dei nostri giorni superando mitico Tango, Rock and Roll e TucaTuca. Leggendo sembra di sentir parlare all’unisono Mora, Briatore e Ghedini, in un indi-stinguibile guazzabuglio. Se ve ne regalano una copia, o l’avete malauguratamente acqui-stata, vi suggeriamo, visto che per indiscutibile principio i libri non si bruciano, di collocarloin bagno con il ruolo di “scialuppa di salvataggio”: ad estreme difficoltà estreme soluzioni.

Finzionariodi Paolo della Bella e Aldo Frangioni

Il più grande successo di Matteo Renzi?La vittoria alle primarie? L’accordo sullalegge elettorale? Niente di tutto questoma l’aver costretto Berlusconi “a rivedersistilisticamente”. Parola del nuovo intel-lettuale di riferimento Flavio Briatoresulle colonne di Repubblica, che allo stiledei due leader dedica forse la rispostapiù pregnante dell’intera intervista. Sco-priamo così che la giacca con il lupettosotto, indossata ormai quotidianamenteda Berlusconi, ècolpa diMatteoRenzi.Unodei cri-minimag-giori delsindaco diFirenze, cisia permesso;visto il non certo slanciato fisico del cava-liere, uomo ossessionato dal tempo chepassa, incapace di rassegnarsi all’invec-chiare. Ma l’intervista sancisce anche lapreferenza di Briatore per il giovaneRenzi. Merito delle scelte politiche? No alui piace comunque Renzi: “odio la cra-vatta, il formale”.

VINTAGE

bel mezzo di Manhattan, che rappresentachi? Ma David, of course, solo che lochiama – colpo d'ala – il Guardiano. Posi-zionata nel novembre scorso nella GrandeMela, voleva marcare l'anno della culturaitaliana negli Stati Uniti, donata dal no-stro Ministro degli Esteri, sponsorizzatoda Eni, inaugurata con fanfara diploma-tica il 10 dicembre. E tre!

Il David, uno e trino

OTTOBRE 1971Due “mitra”Col mitra nella manoe la mitra sulla testail rumor che fa marianoè fatale a chi contesta.Non si tratta di una favola“Avola”

RUGGERO uRLANDOe gesticolandonon riesce a celare che in Americasi vive si muore sparando

Per un pasto al soleil poeta impegnatonegando in francesescandiva sempre pascome nel maggio francese.Ma il poeta impegnatoun giorno disse s.p.a.e per un’s impuracambiò modi e natura

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nuova fermata di Porta al Prato. Insommaun nuovo pezzo di cttà a due passi dalcentro storico.Un’area strategica per la città, limitrofa allanuova fermata della tranvia per Scandicci,nella direzione della nuova strada perl’Ovest, a margine del vecchio “fosso Ma-cinante”, dove poco dopo fu deciso di rea-lizzare anche il nuovo teatro della città.Un’area limitrofa alla vecchia “stazioneLeopolda” ora sede di manifestazioni dimoda, culturali e politiche, ma un tempoil terminale della ferrovia per Livorno,una delle prime linee ferroviarie costruitenella penisola italiana in periodo preuni-tario.Un’area che sta ancora un poco “in di-sparte”, rispetto alla città. Che fa vedere,achi percorre la cerchia dei viali del Poggi,la facciata obliqua del nuovo grande al-bergo e la fermata della ferrovia. Ma checontiene interventi edilizi ordinati e dibuona qualità formale, e che ha dato spa-zio, oltre alle nuove case in affitto anchead una grande piazza ancora da comple-tare, così come da completare sono gli ul-timi interventi edilizi. Ma un’area aperta alla città e alle nuovearchitetture, che rimane in attesa del com-pletamento della nuova strada per l’Oveste del collegamento con il parco delle Ca-scine.

CCUO

.com sabato 1 febbraio 2014no61 PAG.5

di John Stammer

Eravamo alle solite. Il ministero fi-nanziava interventi importantisenza il coinvolgimento delle am-ministrazioni comunali. Una vec-

chia legge del secolo precedentefinanziava case in affitto per le forze del-l’ordine senza curarsi di conoscere sel’area indicata per la loro realizzazione erainserita nei Piani Urbanistici. E ora, che le risorse erano sempre piùscarse, perdere il finanziamento sarebbestato uno smacco. Ma realizzare l’inter-vento nell’area agricola a sud ovest dellacittà, dove il ministero, e i privati che ave-vano ottenuto il finanziamento, pensa-vano di realizzare quell’intervento, nonera possibile.La città non doveva continuare ad espan-dersi. Le nuove costruzioni si sarebberofatte solo recuperando aree dismesse, onegli spazi ancora liberi all’interno dellavecchia maglia urbana costruita negli anni‘50 e ‘60.Un obbiettivo dichiarato di costruire unacittà compatta, attraverso anche inter-venti di “ricucitura urbana”, per ottimiz-zare i servizi esistenti e evitare maggioricosti di gestione della città.Insomma l’obbiettivo era evitare lo“sprawl urbano”, quell’effetto di città dif-fusa che obbliga a muoversi con il mezzoprivato e non con il mezzo pubblico, e checostringe i servizi a rete (strade, fognature,acquedotti) ad “inseguire” l’edificazione.Un obbiettivo che era il cuore del nuovostrumento urbanistico, già in gestazionein quell’anno 2001, e che imponeva di ri-collocare quelle risorse all’interno di unadelle aree dismesse della città. Una scelta che sollevò polemiche e criti-che, anche all’interno della stessa maggio-ranza che governava la città. E’ sempredifficile governare il cambiamento, so-prattutto se a cambiare sono anche i con-tenuti del processo di trasformazioneurbana di una città. Si rompono consuetudini, abitudini, sicambiano interlocutori, si interromponoconnessioni e rapporti economici e pro-fessionali. La difesa di tutto questo, di unarendita di posizione, di una consolidataprassi amministrativa, si intravedeva sullosfondo delle critiche e delle proteste.,Ma il sindaco, e l’assessore con lui, nonavevano dubbi e tirarono dritto. Un’area speciale quella scelta per la ricol-locazione. L’area dello ex scalo merci di Porta alPrato che era anche l’unica area pubblicadisponibile, in quanto di proprietà delleFerrovie dello Stato, fra quelle censite al-lora come dismesse. Perchè questa era la condizione essen-ziale. Il plusvalore determinato da quellascelta doveva essere “incamerato” dalpubblico.Un’area nella quale sono stati realizzati, suprogetto urbanistico di Achille Miche-lizzi, una nuova strada, residenze per l’af-fitto alle forze dell’ordine, residenzeprivate, residenze pubbliche e un grandealbergo, oltre a parcheggi interrati ,serviziurbani e una pista ciclabile. E dove Fer-rovie ha riattivato il servizio passeggerisulla vecchia ferrovia Leopolda con la

PICCOLE ARCHITETTURE PER UNA GRANDE CITTÀ

Un nuovoquartiere

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Intorno agli anni Sessanta e Set-tanta anche l’architettura – in-sieme alla musica, alla letteraturae alle arti visive – subisce lo

scarto dalla norma tradizionale, ope-rando un vero e proprio cambio didirezione: la normale visione dellestrutture architettoniche viene radi-calmente messa in crisi dalla presa dicoscienza di un mondo in completaevoluzione e da un senso di oppres-sione storico-culturale che andavasviscerato e trasformato. La tendenza alla sperimentazione in-terdisciplinare e linguistica, propriadi questi anni accomunata alle di-verse linee neoavanguardiste, si uni-sce alla nascente concezione diun’effimera estetica urbana del con-temporaneo. Ironia e denuncia di-vengono i diktat di una rinascitaarchitettonica, dove il capitalismo, lasocietà borghese e la consueta pra-tica edilizia incontrano la parodia, laribellione, la creatività e un diversomodo di concepire lo spazio pub-blico e privato. È proprio nel 1967 che Lapo Bi-nazzi, insieme a Carlo Bachi, PatriziaCammeo, Riccardo Foresi, Titti Ma-schietto e inizialmente Sandro Gioli,fonda a Firenze il gruppo UFO, con-cretizzando l’idea di un’ArchitetturaRadicale, ribelle alla regola e al razio-nalismo: una sperimentazione li-bera, immaginativa, antiaccademicae interdisciplinare, in quanto appro-priazione territoriale e quotidiana –simbolica e decisivamente comuni-cativa. La radicale presa di posizionesulla necessaria rinascita di compor-tamenti naturali si manifesta nellaprassi artistica di Lapo Binazzi comeun ritorno alle tecniche più semplicie lineari, ma al tempo stesso creativee libere nella lorostruttura e compo-sizione, tese a ope-rare unaspettacolar izza-zione dell'architet-tura, della progettazione e della

realizzazione dell’oggetto quoti-diano, nel tentativo di trasformare lacreazione in evento e azione di 'guer-riglia' urbana e ambientale, nella di-mensione di un quotidiano caoticoe culturalmente oppressivo. Un’ar-chitettura e un design che procedenella direzione del nichilismo pro-gettuale e della ricerca sul linguaggiocontemporaneo come impegnoideologico e attenzione particolare alcomportamento politico e sociale.Quello di Lapo Binazzi è il traguardodi un processo di frattura con la tra-dizione e di progressivo annulla-mento di un’alterità culturale idealee astratta, in virtù di una concretezzaespressiva nella quotidianità fisica,perché anche l’architettura e il designpossano essere considerati a pieno atitolo come operazioni artistiche, dalgusto e dalla sensibilità esistenzialeed espressiva.I progetti realizzati dall’artista sa-ranno visibili fino all’8 febbraio inuna interessante retrospettiva curatada Andrea Lemmi alla Biblioteca diLastra a Signa (FI): un invito a risco-prire la florida attività artistico-pro-gettuale che ha animato la Firenzedegli anni Sessanta e Settanta

Lapo Binazzi

CCUO

.com sabato 1 febbraio 2014no61 PAG.6

di Laura [email protected]

ISTANTANEE AD ARTE

UfoL’

Tre opere di Lapo BinazziIn alto a destra Letto-mobile, 1970

Tecnica mista su cartacm. 30x42

Progetto per l’istallazione “Letto-mobile” realizzata nel 1970.

A sinistra Casa A.N.A.S., 1975Stampa offset in proprio presso

Galleria Zona, cm 21x30Al centro Rocchetto e ombrellone,

1976Oggetto multiuso

Rocchetto Boffi per Pirelli per LapoBinazzi + ombrellone da trippaio con

2 lampade applicate + metri 8,00 circadi forassite arancione del diametro di

cm 5, cm 240x120x120Tutte courtesy Collezione Carlo Palli,

Prato

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CCUO

.com sabato 1 febbraio 2014no61 PAG.7OCCHIO X OCCHIO

NNel panorama dei temi foto-grafici le nuvole hanno un si-gnificato del tutto particolare.In origine la forte attinicità

della luce solare rendeva del tutto im-possibile esporre correttamente sullastessa lastra la scena inquadrata e laporzione di cielo corrispondente.Ovviamente all’epoca si sceglieva diesporre per la scena, che si trattasse diun paesaggio, un’architettura o unacerimonia, lasciando che il cielo ap-parisse nella stampa come una cam-pitura, più o meno ampia e del tuttoprivo di dettagli, di un colore assolu-tamente neutro, chiaro e lattiginoso.Per ottenere nei suoi paesaggi dei cielinuvolosi Gustave Le Gray dovette in-ventare a metà Ottocento un suo me-todo, basato sulla esposizionesuccessiva e differenziata di due lastrediverse, una per il cielo e l’altra per ilpaesaggio, combinando poi le dueimmagini in una unica stampa. Ma loscopo era ancora quello di otteneredei paesaggi più drammatici, non difotografare le nuvole in quanto tali.Le nuvole come tema principale, anzi,esclusivo, delle immagini, viene sceltorelativamente tardi, quando la foto-grafia ha già compiuto gli ottant’annie l’industria produce già da tempo lelastre pancromatiche, da una foto-grafo all’epoca quasi sessantenne, Al-fred Stieglitz, che dopo quarant’annidi attività fotografica, dedica alla fo-tografia delle nuvole altri nove annidella propria vita, dal 1923 al 1931.La scelta è motivata dalla necessità diliberarsi da qualsiasi condiziona-mento imposto dall’oggetto fotogra-fato, e di trattare le immaginifotografiche in quanto tali, espres-sioni pure dei sentimenti dell’autore.Al di là di queste giustificazioni, edella presunta “equivalenza” fra le nu-vole e gli stati d’animo dell’autore, lascelta delle nuvole come tema sottin-

di Danilo [email protected]

nuvoleChe cosa sono le

tende un’altra profonda verità, sotto-lineata nei primi anni Ottanta da Phil-ppe Dubois. Semanticamente, lenuvole hanno la stessa natura indicaledelle immagini fotografiche, non rap-presentano mai se stesse, ma altro,sono tracce meteorologiche chestanno per il vento, la pioggia o latempesta, ed annunciano il brutto o ilbel tempo. Strutturalmente le nuvolenon hanno una sostanza propria,sono composte da una miriade digocce di vapore acqueo in sospen-sione, proprio come le immagini fo-tografiche sono composte da unamiriade di punti (grani d’argento opixel), e proprio come le immaginifotografiche non sono altro che il ri-flesso delle variazioni luminose che lecircondano. Sospese nel cielo le nu-vole non hanno un verso, né un altoné un basso, non hanno una forma, eper questo le racchiudono tutte, nonhanno sostanza ma solo apparenza,non hanno continuità ma una ininter-rotta trasformazione. Sono immate-riali, sono sempre poste all’infinito, ecome diceva Stieglitz, sono lì pertutti, a disposizione. Le nuvole sonoviste ancora da troppi fotografi comeun complemento del paesaggio, ven-gono rappresentate, sempre piùspesso, ma gli autori non riesconoquasi mai a liberarsi della schiavitùdella prospettiva e della linea del-l’orizzonte, rimanendo ancorati alsuolo, magari solo nella parte infe-riore dell’immagine. Sono capite eraffigurate per quello che sono soloda pochi fotografi ed artisti che necomprendono l’intima ed ambiguanatura. Forse gli unici avere piena-mente compreso il messaggio di Bau-delaire:Qu’aimes tu donc, extraordinaire étran-ger?J’aime les nuages, les nuages qui passent,là-bas, là-bas, les merveilleux nuages.

Alfred Stieglitz Equivalent (1930)

Danilo Cecchi

Alfred Stieglitz Equivalent

Danilo Cecchi

Danilo Cecchi

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.com sabato 1 febbraio 2014no61 PAG.8PECUNIA&CULTURA

Ah la crisi, cantava Rodolfo DeAngelis in una canzone deglianni trenta, e anche se moltoprobabilmente il solo slancio

volontaristico che la canzone pro-spettava per far passare la crisi, nonsarà sufficiente per far terminarequesto lungo periodo nero, bisogne-rebbe pur provarci ad inventare qual-cosa. Un qualcosa che, invece, questaedizione di Artefiera a Bologna nonha nemmeno tentato. Comprensibilecerto che le gallerie abbiano puntatosui grandi classici; autori come Fon-tana, Mirò, Botero, De Chirico.Nomi sempre spendibili, con unmercato “a prescindere”. Poco rischiomassima resa, almeno speriamo perloro. Anche tra i giovani poche le no-vità, pochi gli artisti “a rischio”. Chesia il rischio di una provocazione, diuna polemica, di un investimentonessuno se l’è sentita. Meglio la foto-grafia, con qualche guizzo in più. As-senti tutte le tecniche menocommerciali, street art, fumetto, in-stallazioni. Scelte capibili in periodinei quali di soldi ne girano pochi e lequotazioni crollano; eppure le pre-senze numerosissime in fiera dimo-strano che un’attenzione e unpubblico potenziale di acquirenti esi-stono. Non perdere questo pubblico,anzi attrarlo e catturarlo, rischia diessere l’unico modo, quando passeràla notte, per farlo tornare a spenderein arte invece che in qualsiasi altracosa.

di Michele Morrocchitwitter @michemorr

Artefiera

di Franco [email protected]

Alfredo Allegri, vive a Firenze doveè nato nel quartiere di San Fredianoe svolge la sua attività di animatoreculturale. Il suo impegno è volto amettere in scena la poesia con testidei suoi poeti “congeniali” rappre-sentati spesso sulle assi traballanti diteatri improvvisati e popolari. Dalungo tempo tiene aperto il suo la-boratorio di scrittura poetica per iragazzi delle scuole, basato essen-zialmente sul “gioco giocato”, che divolta in volta fa emergere anchedalle piccole cose il coraggio dellascrittura. E’ stato redattore neglianni ottanta/novanta della rivistaCollettivo R diretta da Luca Rosi.Ha pubblicato: “La trota di Luglio”per le Edizioni Polistampa e“L’evento del fuoco” Per la Casa Edi-trice Nerbini.Ciò che emerge nell’opera di Allegriè la naturale appartenenza alla poe-sia di latitudine mediterranea in cuiil viaggio muove continuamentel’ago della bussola fra senso e segnoorientandosi nella direzione di Uto-pia.In lui etica ed estetica sono fuse alcalor bianco di scelte di vita pagate a

PIANETA POESIA

caro prezzo, come tutte le scelte checontano, per un uomo, e che la suarosa dei venti (dall’Africa all’Americalatina, dal nostro Sud all’Europafredda, alla Cina.) ripropone la sola-rità del quotidiano e l’inquieta dina-mica dell’ulisside.Da un lato emerge la narratività delmito di Pavese, dall’altro l ‘agile scan-sione delle entropie delle geografieinteriori Per questo motivo anche i nessi sto-rico-ideologici vissuti tanto intensa-mente mi paiono da inquadrare nonnella illusività dei tempi brevi, manel disegno possibile dei tempi lun-ghi.Fra rivoluzione e verità, prima, sem-pre, la verità del proprio e comunetraversamento in una lingua fatta dianalogie che è essa stessa un viaggioperché rivelatrice e rilevatrice di untratto di esperienza vera e di veritàesperienziale. La singolarità della sua poesia consi-ste in una sintesi in cui il sensonuovo acquista valori esponenzialied anche il grido più lacerante ri-

splende nell’unità stilematica del-l’insieme:“Quanti anni hai per la mia debo-lezza. / Ho fame ho sete ho sonno/I provengo da molto lontano /dalla terra del rosso e del nero /dall’intricata selva di mangrovie /

dove il serpente piuma-to/canto piùe più volte/il suo grido di rivolta”.Rispetto alla poesia del mito dell’ul-timo novecento, Allegri rivendicascelta di campo in cui i dati antropo-logico, umano, culturale, politico as-sumono un riferimento epico-lirico. Del rapporto che ha trovato fra poe-sia e viaggio planetario Alfredo cidice:” Il mio girovagare per ilmondo è stato la linfa essenziale cheha dato origine a buona parte dellamia produzione. Viaggiare per me èinteso come riscoperta della meravi-glia attraverso contatti diretti con lagente, un vero viaggio intessuto e ar-ricchito da relazioni umane dallequali ho attinto leggende, abitudini,miseria e allegria.L’America Latina l’ho vissuta diret-tamente nel mezzo della “rivolu-zione dei poeti” in Nicaragua.Nell’esperienza cubana ho trovatol’estrema sintesi tra nostalgia e poe-sia. L’ultima importante esperienzasono stati i diversi viaggi in Cina allariscoperta di una cultura millenariache va rapidamente dissolvendosi.”

Il viaggio utopico di Alfredo Allegri

ai tempidella crisi

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.com sabato 1 febbraio 2014no61 PAG.9DE-SEGN

Il modo in cui è venuta definendosila mia professionalità è stato pocoortodosso. Non ho avuto grandimaestri ma ho imparato da tanti,

provando, osservando e riprovando. Di-plomato con il corso di Magistero al-l’Istituto d’Arte e poi in pitturaall’Accademia di Belle Arti a Firenze, hoaperto bottega nel 1981, mentre ancorastudiavo. Vorrei con orgoglio ricordaretre fasi significative della mia carrieraprofessionale: quella che mi ha visto re-sponsabile della comunicazione per ilComune di Fiesole; il rapporto con lacasa editrice Giunti, per la quale ho cu-rato la comunicazione esterna; e l’inca-rico di Visual Art Director per "OperaFestival". La svolta professionale nelladirezione del packaging del vino è avve-nuta nel 1997 grazie alla collaborazionecon Matura, un team di professionistidel settore vitivinicolo, del quale facevoparte per tutto ciò che riguardava l'im-magine dell'azienda e del prodotto. Perme era un settore nuovo che doveva es-sere affrontato con modestia ed onestàintellettuale. Misi a punto un metodo -che applico tutt’ora - che partiva conl’ascolto delle esigenze del produttore ela comprensione delle qualità intrinse-che del vino e proseguiva con la ricercae l’individuazione dei caratteri distintividel prodotto (storia dell’azienda, culturae particolarità del territorio, parametra-zione con prodotti concorrenti, ecc.);poi avviavo la progettazione, prendendoin considerazione i vincoli e le richiestedel committente (costi, caratteristichedella bottiglia, coerenza con il marchioe con altre linee, evoluzione di una lineaesistente o completa rivoluzione del-l'immagine, creazione ex novo diun’identità visiva) e ricercando un “fa-mily feeling” che coordinasse l'imma-gine nel caso di lavoro su linee diversedi prodotti. In questi anni ho progettato circa quat-trocento etichette per una trentina diclienti, sia italiani che esteri, e il rap-porto di fiducia stabilito con alcuni pro-duttori mi ha permesso di contribuirealla definizione dei vari aspetti della loroidentità aziendale. Sono un artigianoche si applica con passione su ogni sin-golo dettaglio. Cerco sempre la collabo-razione dello stampatore sia perconcordare il modo di realizzazione piùlineare, sia per sperimentare nuovi ef-fetti grafico-cartotecnici. Perché l'eti-chetta deve eccitare i sensi delconsumatore, evocando visivamente,ma anche col tatto, sia la qualità gusta-tiva del prodotto, sia la piacevolezza del-l'evento - pranzo o cena che sia - di cuiil vino sarà co-protagonista. Il banco diprova è lo scaffale del negozio: qui si mi-sura se il packaging adottato ha un con-sistente riscontro sulle vendite ed unaefficace fidelizzazione alla marca. Labottiglia è sullo scaffale accanto ad altriprodotti e l'etichetta deve attrarre senzaingannare il consumatore con una pro-messa eccessiva rispetto alle qualità delprodotto, poiché ciò creerebbe una me-morizzazione negativa del brand. Le

di Emo [email protected]

Ritrattidivino

Foto dall’archivio Roberto Minuti

La luce in fondo al tunnelMINUTAGLIE

leggi del marketing mi stanno strette perché spesso impedi-scono di creare un'immagine che esprima l’originale identitàche un vino può meritare e che il mercato può premiare. Ognivino è diverso da un altro, anche se è vinificato dallo stesso vi-gnaiolo poiché ogni vino ha il proprio "genius loci". Anche lemie etichette sono diverse una dall’altra: ciascuna ha una pro-pria storia, e, di ogni vino, ciascuna è un piccolo ritratto.

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.com sabato 1 febbraio 2014no61 PAG.10

Florence city centerItinerari turistico

commerciali

Firenze 2008-2013

LUCE CATTURATA

Sandro Bini - Florence City Centre - Itinerari turistico commerciali (2011)

di Sandro Biniwww.deaphoto.it

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Terzo film in cui Irene Amantini,ancora nella seconda decina deglianni, fa la costumista ed io, comegli altri due, vado a vederlo su-

bito, sempre con gioia e ne scrivo. “Lamia classe” è il suo titolo, ne è registaDaniele Gaglianone e lo interpreta Va-lerio Mastandrea. A Firenze “debutta”all’Alfieri, cinema cui un tempo si ag-giungeva “d’essai”, la sala ha perso ilcomplemento di specificazione, manon il suo definire i programmi in que-sto ambito. A presentarlo arriva ValerioMastrandrea che è in scena al TeatroPuccini nella angosciante e catastroficapièce sull’attesa “Qui ed ora”. La sala siriempie ben presto, molti giovani e di-versi amici, parenti e fans per Irene. Ilfilm è bello, decisamente. Il regista, cheha fatto anche alcuni documentari, de-cide di farci vedere subito e non solo, sestesso e i tecnici che “microfonano” al-cuni dei protagonisti del film, un filmnel film o forse, meglio, un pò un do-cumentario sulla realizzazione di unfilm. Siamo in una classe di adulti, ex-tracomunitari, veri, che vogliono impa-rare l’italiano, serve loro per fare l’esameper avere il fatidico permesso di sog-giorno, unico attore, vero, Mastran-drea, molto maestro vero comunque esemplice e capace di mostrarci chepensa e “sente”. Nel presentarlo ci haraccontato come questo film nonavesse un vero copione e che quandoentrava in classe per essere il professoreche insegna italiano a persone etero-gene e provenienti da varie parti delmondo, gli veniva data una suggestioneiniziale, un tema intorno al quale par-lare e scrivere, poi veniva ripreso ciòche avveniva. Molto simpatici errori ediscorsi e pensieri e battute che na-scono durante le lezioni, commoventii racconti che alcuni fanno dei loroviaggi, delle loro radici, ancora di piùcolpiscono oggetti e foto che mostranoe che tengono sempre con sè. Unadonna nera, con una bella faccia in cuisi vedono delle piccole cicatrici, parladi un viaggio in cui si moriva di fame ein cui si beveva la pipi, ripete moltevolte questa parola che ha ben impa-rato, si emoziona ma dice “dai mieiocchi non esce mai acqua, non piango..”Vengono insegnate cose utili, ad esem-pio come parlare a telefono per rispon-dere a un annuncio in cui si cercano lepiù varie professionalità, a leggere e ascrivere in italiano. Grande impegno ditutti, entrano fra gli apprendimentisfruttamento, solitudine e non sentirsia casa, non essere di casa qui da noi,“quando sono in casa sono a casa,quando esco non mi sento più a casa...”Entra nel film un vero allontanamento,Issa che ha visto morire i suoi amici eparenti non ha più il permesso, anchese tutti vogliono che resti, non è possi-bile, non può lavorare, se non lavora enon sa l’italiano non avrà il permesso.Era un rifugiato politico , ma il suopaese ha detto che non ci sono più pro-blemi. Due carabinieri lo arrestanomentre dorme su una panchina. Essere

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.com sabato 1 febbraio 2014no61 PAG.11KINO&VIDEO

di Cristina [email protected] La mia classe

clandestino come reato. Entra nel filmun suicidio, falso per fortuna questo.

Ha detto Mastandrea “un la-voro faticoso questo film”,

una vita faticosa quella deisuoi protagonisti dalla pelle di

colori vari e di diverse etnie.Levi ha scritto, per altri ancora

più infelici e sfortunati, versiuniversali comunque

Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case

voi che trovate tornando a serail cibo caldo e visi amici:

considerate se questo è un uomo

CATTIVISSIMO IN GIRO

Ho sempre detestato le feste. Non lesopporto. Eccomi qua ad una delle festepiù noiose del momento. Piena di im-becilli, donne sguaiate e “tuttologi”. Digente che ha “opinioni”. Provo una sortadi ribrezzo costante per tutto ciò che siesprime in chiave di “politicamente cor-retto”. Detesto il garbo di facciata e lemaniere paludate quando non si sia ap-partenenti quantomeno alla schiatta deiLancaster. Non poteva mancare - digri-gno i denti - quello col vestito elegantee i dred. Afferro una qualche olivetta emi disseto nel relativo cocktail. La mianon è sete: è una sorta di fastidio pala-tale. Mi muovo silenzioso tra la calca,come il sommergibile Nautilus quandoaffiora tra i marosi. Attivo il radar. De-codifico con accentazioni. Stanza Alfa:“ Io in quanto donna mi sento dìscrimi-nata, ùmilìata. Cioè. Basta mi dico e misono detta basta. Così ho fatto. Lui è ilclassico che si approfitta. Ok: ho questeforme. Voglio vestirmi come mi pàre epiàce. Ti devo dare ancora conto? Ciaobèllo! Gliel’ho detto. Ho fatto male?”.“ No tesoro sei stata fantastica, Ti possodare un bacio? Io non ce l’avrei fatta”.“ Mappòi secondo te…Lui mica è poitutto sto granché no?”“ A me piaceva dai tempi del ginnasio.Poi è diventato stronzo”.Stanza Gamma:“La discriminante è sempre la legge elet-torale”.Stanza Beta:“ Ancora con Cartesio, Cartesio…edai…il corpo è universalità”.“ E certo. Tutte le cure alternative. E poivenite a curarvi sempre dallo zio,quando c’avete un raffreddore o il maldi testa”.“ Io sempre ra-di-ce- di Ta-ras-sa-co.Col cazzo che mi prendo più farmaci”.“ E certo fin quando hai il raffreddo-rino…voglio vedere poi con cose più

Detesto le feste Campovisivo

Savethe world

di Francesco [email protected]

serie…non mi cercare eh?”.Stanza Omega:“Il paese è congestionato. La specula-zione è finanziaria. Non diciamo min-chiate. L’Italia è come la Grecia e Cipro.Uguale. La salvano i poteri massonici”.“ Mazzini era massone”.“ Garibaldi?”.“ Massone”.“ Siamo ancora alla questione meridio-nale. Roba da terzo…che terzo! quartomondo!”.Stanza Alfa:“ Mi stanno stretti i jeans?”.“ Ma se hai delle forme fa-vo-lo-se”.Stanza Gamma:“ La discriminante è sempre la legge elet-torale. E la colpa di D’Alema con la Bi-camerale”.Stanza Beta:“ C’era uno che voleva curarsi il cancrocol riso…Durato dieci giorni”.“ Dipende da che riso. Era integrale?”.Stanza Omega: “ Cuccia? Massone pure!”.“ Paolo Villaggio?”“ Comunque l’unico che ha pagato real-mente è stato Craxi”.Prendo una boccata d’aria nello splen-dido balcone barocco che dà sulla val-lata. Il cielo restituisce una nottestellata. L’aria è fredda ma salubre. C’èqualcosa di confortante in queste side-ralità. Nel silenzio. Nel perenne motodegli astri. In questo sbrago di abissoche ci è concesso contemplare.

Alla Srisa Gallery of ContemporaryArt di Firenze fino al 28 febbraioBianco-Valente presentano un pro-getto espressamente pensato per lospazio fiorentino e curato da PietroGaglianò, un lavoro scaturito dall’os-servazione delle relazioni tra le per-sone, e tra queste e i luoghi e ilinguaggi.

Sabato 1 ore 21.00 e domenica 2 feb-braio ore 16.00 arriva al Floridal’opera finalista al premio Ne(x)TWork 2013 Save the world. In primanazionale coreografia e interpreta-zione di Leonardo Diana

Petrinall’AlfieriCarlo Petrini fondatore di Slow Foode presidente di Terra Madre presentail suo libro Cibo e libertà lunedì 3 alle17.30 allo spazio Alfieri di FirenzeSaranno presenti Giusi Nicolini, sin-daco di Lampedusa e Tomaso Mon-tanari Storico dell’Arte

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.com sabato 1 febbraio 2014no61 PAG.12

BIZZARRIA DEGLI OGGETTI

CavadentiCassetta militare per operazionidentarie, “in legno americanocon maniglia nichelata e serra-tura a chiave con due linguette enottolino” . Questa accurata de-scrizione si trova all'interno in-sieme all'altrettanto accuratoelenco di tutti gli strumenti checontiene. Perfettamente conser-vata, è stata in produzione a par-tire dal 1923 fino alla fine dellaseconda guerra mondiale ed erain dotazione ai dentisti militariverosimilmente. Come si può ve-dere dalle foto è veramente benfornita di strumenti di torturamedicale e odontoiatrica e di raf-finatezza tale da far apparire aipoveri soldati desiderabile laprima linea e la trincea piuttostoche l'idea di dover aprire la boccae mostrare carie e denti. Questoalmeno è il parere di Rossano.Non mi inoltro nella storia del“cavadenti” così era chiamato il

dentista nel tempo andato, rac-conto soltanto di un mitologicopersonaggio romano, un frate lacui fama di risolutore di dolori eascessi dentari era straordinaria eche prestò la sua opera anche in Va-ticano, dicesi che le predilette tena-glie fossero le sue enormi dita! Sichiamava Fra Orsenigo, era figlio diun macellaio e fu avviato alla pic-cola chirurgia all'ospedale SanGiovanni di Dio di Firenze da talFrà Nappi, a Roma stava ai “Bon-fratelli” dell'Isola Tiberina, pareche abbia estirpato un dente addi-rittura a Papa Leone XIII e alla Re-gina Margherita. Non chiedevasoldi per sè, ma donazioni per i po-veri, con i, comunque cospicui,proventi della sua attivià costruì unSanatorio a Nettuno, quello in cuimorì S. Maria Goretti. Fu trovatomorto nella sua cella, aveva 67 annie tutti i suoi denti in bocca e in trecassette nel retro dell'ambulatoriotutti quelli che aveva estratto, si fa-voleggia fossero più di due mi-lioni....

Dalla collezione di Rossano

a cura di Cristina [email protected]

LO STATO DELLA POESIA

di Matteo [email protected]

Intraprendo con Rosaria Lo Russoun viaggio controcorrente nellaPoesia, partendo proprio da dove ibuoni critici formulerebbero le

proprie conclusioni. Ma io non sonoun critico e mi faccio trasportare dalleemozioni che un mezzo come quellopoetico ogni volta mi trasmette. E lostesso fa Rosaria.Per questo il nostro viaggio parte dalsignificato, da ciò che rende una poe-sia utile a discapito degli scimmiotta-menti dei tanti che cercano laperfezione stilistica, dal messaggio.Rosaria non ha dubbi quando sanci-sce nei poeti donna la vera istanza de-stabilizzante, dura, rivoluzionaria chela poesia può portare. Reduci daun’oppressione durata millenni e com-battuta cantando la natura della pro-pria femminilità, le poetesse affidanoalla manifestazione stessa del loro es-sere una dichiarazione di guerra neiconfronti del già detto, del codificato,dell’inutile. Una guerra che, indipen-dentemente da ciò che decreterà uncerto accademismo tradizionalista (emaschilista), sono destinate a vincere.A vincere insieme a tutti coloro che,finalmente, si affrancheranno dallasmania di dover dimostrare la propriaarte e tenderanno invece alla cono-scenza, dimostrando una volta di piùche la poesia è consapevolezza! PerRosaria non ci sono dubbi: si ottienela bellezza solo esprimendo la verità.Incede veloce, il nostro viaggio, evi-tando con cura le trappole che la sortetende al malcapitato poeta: la troppa

l’essere percorsi da un’ispirazione chenon riesce ad esprimersi o ricono-scersi come detentori di una grandesensibilità che poi diventa autocele-brazione quando incisa sulla carta,bensì il creare anche una sola operacredibile, collettiva, che trafora i tempiarrivando fino a noi come pura mani-festazione di qualcosa di talmente pro-fondo da travalicare l’individuo e dainsinuare le sue radici fino al lontanopassato, quando l’oralità era segno ditradizione e umanità, quando la poesiarivestiva il ruolo di preghiera o di in-segnamento, dove anche io trovo laconferma, tramite le parole della miainterlocutrice, che il versificare è solo

in parte letteratura e peril restante frutto di unnon-io che opera in ogniindividuo.Ciò che ci attraversa agi-sce in tutte le cose, dallapiù piccola alla più

grande, e determina ogni accadi-mento; per questo può avvenire chedue personalità che altrimenti non sisarebbero mai riconosciute al fine siscoprono, arrivando ad incarnare un

significato profondo nel-l’animo del poeta.Per concludere questoviaggio, Rosaria ci consi-glia di diventare noistessi i primi giudicidelle nostre opere, di

scegliere l’oralità, la lettura in pubblico,prima dell’inchiostro. Di tendere allaqualità più difficile che un poeta possaconquistare e che nessuno può inse-gnare: la semplicità.

Inviaggio

RosariaLo Russo

sofisticatezza che, nella speranza di es-sere originali, rende nullo il valore delverso, come l’editore a pagamento chela poetessa, per evitare ogni equivoco,enumera tra i “fraudolenti in chi sifida” che Dante metterebbe nella Giu-decca. Ciò che delinea un poeta, secondoRosaria, non è tanto l’atteggiarsi, né

con

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.com sabato 1 febbraio 2014no61 PAG.13VIAGGI

Certevolte, d’estate, nelle

notti di luna, uno strano insettonotturno attraversa la finestra come

un brutto presagio. Non ho il tempo discuotermi e pensare ad altro che il sonno mi

immerge in un incubo fatto di luoghi e personesconosciute. La mattina, sparita la luna, mi ri-

mane un grande ed incomprensibile dolore, senzanessuna memoria del sogno.

Disegni di PamTesti di Aldo Frangioni

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ICON

Domani alle ore 22 inaugura al Gluedi Firenze la dodicesima tappa espo-sitiva del progetto itinerante Sketch-vinyls, a cura di Alessandra Ioalé, chepropone uno spaccato dell’arte con-temporanea, operando uno zoom sualcune delle discipline più in fer-mento – illustrazione, fumetto, pit-tura e urban art – attraverso larealizzazione di opere a tema. Finoal 28 febbraio sarà possibile vederele opere di una "paint_list" di qua-ranta artisti di spicco del panoramacontemporaneo italiano, con unbackground culturale e formativodistinto, chiamati a scegliere di rein-terpretare la copertina di un LP ocustomizzare un vinile sulle notedella loro play_list preferita. Il vi-nile, insieme alla propria copertina,è stato da sempre oggetto di culto egioia per gli occhi di collezionisti eappassionati di musica, soprattuttoper l’alto livello qualitativo, tecnicoed artistico. La tiratura limitata dellecopie non fa altro che aumentarne ilvalore fino a farlo diventare un ma-nufatto collezionabile. Che succedequando il vinile e la sua copertinavengono separati e riconsideraticome oggetti singoli? Sulla base diquesta domanda il progetto proponedue percorsi diversi: quello di rein-terpretazione della copertina di un

tata da un piccolo catalogoauto-prodotto, catalizza-trice di un interscambioculturale ambizioso tra il pubblico,gli artisti e gli operatori culturali chegravitano intorno ai diversi spaziespositivi che l’accoglieranno. Eccoalcune delle tappe espositive deltour 2013 del progetto: Lab21 diViareggio; Cinema Caffè Lanteri diPisa; AFALab di Lecce; CRACK! diRoma; Marea Festival di Fucecchio;Oltremare di Grosseto; Circolodegli Artisti di Roma e BellevilleComics di Torino.Espongono: 108 / AkaB / TizianoAngri / Aris / Francesco Barbieri /

Giorgio Bartocci / Chec-ko’s Art / Pollo Cioni / Corn79 /Crash / Dado / Duke1 / PabloEchaurren / Etnik / Camilla Falsini/ Cristina Gardumi / FrancescoLevi / Frank Lucignolo / Macs /Made514 / Mad Kime /Maicol&Mirco / MP5 / MR Fijo-dor / Nigraz / Ozmo / Daria Palotti/ Alice Pasquini / Massimo Pasca /Tuono Pettinato / Alberto Ponti-celli / Antonio Pronostico / VaconSartirani / Amalia Satizabal / Senso/ Sera KNM / SPAM / UmbertoStaila / Fabio Tonetto / Vesod

di Ilaria [email protected]

33 giri, in cui gli artisti si cimentanonella rielaborazione di un’immaginepreesistente e quello di customizza-zione di un disco. Nel primo caso gliartisti interagiscono direttamente suimmagini grafiche o illustrazioni giàin sé concluse e proprio per questocollezionate; nel secondo trasfor-mano un prodotto impegnativocome il vinile operando un readymade dell’oggetto decontestualiz-zato dalla sua funzione primaria disupporto musicale. Sketch-vinyls èuna collettiva itinerante, documen-

SU DI TONO

di Giacomo [email protected]

Nicola Vannini aveva concluso lasua esperienza nei Diaframmaalla fine del 1983. Da storicofondatore della Rokkoteca Bri-

ghton, presso la casa del popolo di Set-tignano, Vannini, era diventatocantante della band di Federico Fiu-mani, con la quale aveva inciso il mini-lp Altrove. Per circa un anno Nicolacontinua a dispensare preziosi consigliai clienti del negozio di dischi Con-tempo, in Via de’ Neri al numero 47,dove lavora, ma già prepara il suo ri-torno sulla scena musicale fiorentina.Ritorno che avviene nel 1985 sotto lopseudonimo di Soul Hunter, con l’EpCain’s sign, pubblicato, ovviamente, perla Contempo Records. Tre brani chemarcano il netto distacco dalle sonoritàdei Diaframma e guardano piuttostoalla nuova psichedelica d’oltremanicasulla falsariga di artisti come JulianCope e Robin Hitchcock. Riunita at-torno a sé una nuova band, gli ex Straal,Soul Hunter si esibisce per la primavolta in occasione dell’IndipendentMusic Meeteing al Teatro Aurora diScandicci il 9 ottobre 1985. E’ l’iniziodi una nuova avventura che l’anno suc-cessivo porterà all’uscita di un singolopicture disc (che contiene la cover degliYardbirds Mr You’re a better man than I)e del mini lp Maelstrom, in cui ancora

sbornia psichedelica, il gruppo entranella sua ultima fase, decisamente “zap-piana”. Fulminati sulla via di Damascodal poliedrico ed eccentrico artista diBaltimora, gli Hunters pubblicano nel1990 Just in the nick of time, lp appuntoprofondamente intriso di echi frea-k’n’roll tipici del compianto Zappa. Trale otto composizioni spiccanoO.S.V.A.L.D.O., Party Chemist e Vacuumcleaner, ma tutto il disco nel suo com-plesso evidenzia maturità e buona venacompositiva. Purtroppo però l’albumgiunge forse fuori tempo massimo,quando l’interesse delle giovani leve èormai proiettato verso altre sonorità.Sono infatti gli anni del grunge, del suc-cesso planetario di band come Nirvana,Smashing Pumpkins e Pearl Jam. Van-nini e Co. vanno avanti ancora per unpo’ (una delle loro ultime uscite dal vivoli vede come spalla dei Christian Deathall’anfiteatro delle Cascine a Firenze il12 luglio 1991) per poi sciogliersi. Ilbassista Gigi Masini darà vita ai Susylikes Nutella (tutt’ora attivi) mentre Ni-cola si limiterà nel corso degli anni aqualche apparizione revivalistica siacon Fiumani sia con gli stessi Hunters.Nel 2012 si è nuovamente esibito allacasa del popolo di Settignano, dove laRokkoteca Brighton ha rivissuto peruna notte i suoi vecchi fasti, interpre-tando un set di canzoni dei Diaframmadel suo periodo.

Il cacciatoredi anime

Nico

la

Vann

ini

più netta è la sterzata psichedelica giàaccennata in Cain’s sign. Nel 1987 i SoulHunters, ormai diventati un gruppo atutti gli effetti, partecipano con il branoI can’t believe you live alla compilationEighties Colours edita dalla Electric Eye.Poco dopo il chitarrista e compositoreStefano Magnaschi lascia la formazione

e viene rimpiazzato da Davide Rago-nesi (poi nei Pankow). Nel 1988 NickSaloman (polistrumentista inglese,nonché leader dei Bevis Frond) di pas-saggio a Firenze, registra alcune ses-sions con gli Hunters che vengonoimmortalate sull’album Nick and Nickand the psychotic drivers. Smaltita così la

Daria Palotti, a destraMade514

Vinili d’autore

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che Marco intende effigiare non è mail’oggetto, ma qualcosa che sta dietrol’oggetto, nella impossibilità di “con-cettualizzare ed esprimere concettual-mente i pensieri”. Perché se “lafotografia è l’antitesi della possibilitàdell’esperienza, e trasforma l’infattibi-lità dell’esperienza nell’inattaccabilitàdi un documento”, per tradurre questoconcetto in immagini nessun luogo èpiù adatto di un non-luogo come unaperiferia urbana sospesa fra un passatoche si preferisce dimenticare ed unpresente che non si riesce ancora adimmaginare, ma che la fotocamera cipermette ancora di registrare e di do-cumentare nella sua ineludibile imma-nenza.

fosforescenti. Il mantello blu sullasedia sapeva di muffa e la sfrena-tezza nell’aria di residui organici.Poi c’era l’odore dei tronchi fradicidel bosco e quello delle cornacchie,delle scimmie, della cenere e degli

unguenti. E l’odore forte dei fauni,dei loro piedi forcuti e quello deicorpi nudi delle femmine, degliistinti, del piacere, del sudore. Edera dolciastro l’odore di tutte le de-lizie e di tutti gli accoppiamenti e

quello del bollire deglialambicchi. C’era l’odorestordente dell’alchimia edella mutazione e quellonauseante dell’allucina-zione, della disperazione,delle molecole dissolte,delle viscere in cerca delloro corpo e l’odore delfieno e l’odore della lucedel paradiso e quello delfetore dell’inferno e….”Hieronymus!! E’ prontoda mangiare!!” Hierony-mus Bosh aprì un po’ laporta e guardò la moglie.Aveva un buon odore dicucina. “ Ma stai ancoradipingendo? Cosa stai fa-cendo?” “Sto dipingendodei fiori, cara…dei sem-plici fiori…adesso ar-rivo…”.

CCUO

.com sabato 1 febbraio 2014no61 PAG.15

SCAVEZZACOLLO

’odore della cucina entrò di forzanel suo studio che odorava di ver-nici, di colori, di tutti i peccati e ditutte le redenzioni. Gli odori lotta-rono per stabilire chi era il piùforte. Se l’odore dellecandele o quello dellestreghe che entravanodalla finestra aperta. Op-pure l’odore dolce dellapomata di laudano. Oquello acido della pelledei rospi. L’odore grevedella lucerna. E quelloacuto dei pesci squamosi.E poi c’erano gli odoridegli insetti e degli anfibi,dei coleotteri, delle libel-lule, delle salamandre.L’odore acre delle pennedei cigni. E l’odore di mu-schio degli Ippogrifi.L’odore del fumo delsabba che arrivava da lon-tano e quello delle conta-dinelle che siaffacciavano con i lorovestitini corti e gli occhi

Hieronymus Boshdi Massimo Cavezzali

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VUOTI&PIENI

di Danilo [email protected]

Sbarca ad Empoli, presso loSpazio D’Arte Sincresis, unamostra, curata da MarcoMazzi e da Vincent van Ger-

ven Oei, dal titolo “Uninspired archi-tecture – public space and publicmemory in Albania”, frutto di unaserie di interventi di artisti albanesi edeuropei nel corso del loro soggiorno aTirana, ospiti del Dipartimento delleAquile. “Uninspired architecture” puòessere letto come “Architettura privadi ispirazione”, ma anche come “Archi-tettura piatta”, tenendo ben presentela differenza che esiste fra l’architet-tura e l’edilizia, ma soprattutto fra illinguaggio dell’architettura ed il muti-smo della stessa, che diventa forte-mente drammatico in determinatecircostanze. Il crollo del regime diEnver Hoxha ed il vuoto apertosidopo la sua caduta diventano il filorosso che accomuna l’operare degli ar-tisti in relazione a quegli spazi pubbliciche del regime e del successivo vuotosono insieme lo specchio ed il sim-bolo. Utilizzando tecniche diverse,dalla pittura alla ri-pittura, dalla foto-grafia al video, gli artisti agiscono suglielementi caratterizzanti gli spazi, di-pingendo di rosso le statue accanto-nate in un magazzino all’aria aperta diLenin e di Stalin (Collettivo Ag), di-pingendo a nuovo le piramidi instal-late sulle tubazioni in funzione diostacolo insuperabile (Vincent vanGerven Oei), modificando la ciclo-pica scritta ENVER sul fianco di unamontagna per trasformarla nella pa-rola NEVER (Armando Lulaj), attin-gendo alla pubblicistica di regime inchiave demistificatoria (Iva Lulashi),oppure semplicemente indicando letrasformazioni avvenute, come la fu-sione delle statue in bronzo del ditta-tore per dare vita a nuove statue disignificato completamente diverso(Pim van der Heiden).L’intervento di Marco Mazzi, invece,è costituito dalla presentazione di unvolume contenente oltre duecento fo-tografie in bianco e nero, le quali, ana-logamente a quanto espresso nelvolume precedente “Relational Syn-tax”, perseguono lo scopo di dimo-strare, indipendentementedall’oggetto fotografato, che “la foto-grafia è l’esatto opposto dell’immedia-tezza pura”. Ognuna delle immaginiscattate in una Tirana minore, sub-ur-bana o post-urbana, è in realtà un “di-scorso” sulla essenza stessa dellafotografia, sul rapporto fra l’osserva-tore e l’oggetto osservato, per quantoil primo possa essere disinteressato edil secondo poco interessante, privo diattrattive, privo di fonti di ispirazione,addirittura privo di nome. E tuttaviaogni immagine deriva da un incontro,che Marco preferisce definire un non-incontro, ed è frutto di una scelta, oforse di una non-scelta, perché Marcoconfessa di agire come in uno stato di“afasia”, anche se in realtà non riesce astaccarsi da quello che vede. Quello

Architetture d’AlbaniaCollettivo Ag – Red Lenin and Stalin

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di Ugo [email protected]

CARCIOFI ALLA GIUDIA

Il Cuscus o meglio il Cuscussù era il piattopiù importante della cucina di mia madre.Veniva deciso per tempo ed era usanza in-vitare tanti familiari quanti la nostra mo-desta casa poteva ospitare. Quale fossel’origine della ricetta è per me facile: cometutti i cibi che venivano cucinati nelle novefamiglie nate attorno ai figli di EttoreLopes Pegna avevano una unica matrice,quella della nonna Ida Genazzani da Li-vorno. Anche le nuore non ebree dove-vano impararle e fra queste la zia Evelinasi sarebbe rivelata la migliore. In realtà nonsaprei descrivere la genesi nel tempo diquesto piatto nordafricano, probabil-mente giunto sulle nostre coste con leleggi Livornine dalla Spagna e dal Porto-gallo della fine del ‘500 con le quali la To-scana chiamò ebrei ed arabi garantendocondizioni di libertà uniche nel mondo diallora. Fu così che, fra l’altro, arrivò l’usodel pomodoro senza il quale il Cacciuccoe le Triglie sarebbero rimasti piatti inbianco. Inimmaginabile! Per molti anninon ho avuto il coraggio di misurarmi connessun piatto della mamma. L’avevo persaad appena dieci anni e il dolore mi avevasuggerito di dimenticarla e insieme a leistendere un velo sulle delizie che prepa-rava sotto il mio sguardo curioso. Come ènoto, però, invecchiando vengono in

mente i ricordi lontani, quando magarinon ti ricordi cosa hai mangiato un’oraprima. E così il timore di rivivere quei mo-menti di infantile dolore lentamente si èattenuato ha ceduto il posto alla celebra-zione del ricordo. Ed eccomi ai fornellipartendo proprio dal piatto più difficilema carico di valore emotivo: il Cuscussùche era appunto il suo vero nome a casamia, oltre che di Totò che in un famosofilm diceva appunto: ”il Cuscussù che nonva né su né giù”. Ma ora basta con le parolee veniamo ai fatti.Semola consigliata: quella grossa o cruda oprecotta.Quantità: un etto a testa.Verdure: per 8 persone, 1 cavolo verza e 1 ca-volo crautoUna base di minestrone per tre persone ta-gliato grosso 1 chilo di caroteCarne:1 chilo di macinata8 salcicce kasher cioè di manzo16 cotolette di agnelloCottura.

E’ indispensabile una cuscussiera.Preparare un abbondante soffritto per ilbrodo di verdure. Dopo il soffritto metteretutte le verdure tagliate a pezzi nella pen-tola con acqua abbondante, aggiungeredadi a piacere per salare, un po’ di pepe.

Mescolare la semolain un recipiente conolio per rendere igrani “indipendenti” esuccessivamente trava-sarla nella parte supe-riore della pentola perchési cuocia al vapore.Tempo di cottura: 2,5 ore seprecotto, 4 se crudo.Ogni ora va tolta la semola dal recipienteper manipolarla con l’olio in modo chenon si creino grumi. Si consiglia l’uso diguanti per non bruciarsi!Mentre avviene la cottura si approfitta perpreparare il resto.Con la macinata confezionate piccole pol-pette della dimensione di una bilia. Con-venzionalmente 5 a testa usando solo salee pepe, buttatele nell’olio bollente, dopopoco spruzzatele di vino, fate evaporare epoi aggiungete pomodoro abbondante,fate ritirare un po’ e spegnete, poi vi diròcosa farne.Cucinate le salcicce di manzo con un sof-fritto di solo aglio o al forno come prefe-rite. Cucinate in umido bianco o al fornole cotolette di agnello.Tagliate a fettine le carote, fate rosolarel’aglio, buttatele nell’olio,aggiungete po-modoro e tanto peperoncino, cuocete a

fuoco lento aggiun-gendo via via acqua.Verso la fine della cot-tura della semola get-

tate dentro la broda (sichiama così al femmi-

nile, non chiedetemi per-ché) e dopo mezz'ora

spegnete.Una parte della broda va filtrata e resa

liquida. A questo punto travasate la semolain un capiente recipiente, aggiungete unmestolo di minestrone di cavolo, nonmolto, girate per amalgamare il tutto e la-sciate riposare coprendo con un pannoper un quarto d’ora, venti minuti.Per servire in tavola prendete voi scodellaper scodella, mettete cuscus a piacere, ag-giungete una bella mestolata di verdure epolpette, una salciccia, due cotolette, uncucchiaio di carote piccanti .Accanto al piatto che, come vedete, èunico fornite una tazza di brodo bollentefiltrato che ciascuno può aggiungere allapropria porzione per renderla più liquidaoppure, che è meglio, ogni tanto berne unsorso stando attenti a non scottarsi la lin-gua.Beteavon, buon appetitoP.S. Avanzerà sicuramente…il giornodopo è più buono!

Sguardi sul Padule

Cuscussù

CCUO

.com sabato 1 febbraio 2014no61 PAG.16LUCE CATTURATA

di Ilaria [email protected]

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CCUO

.com sabato 1 febbraio 2014no61 PAG.17

Si inaugura come di rito l’annogiudiziario e come in un ritosi deplora la situazione dellecarceri. Nel gorgo insulso e in-

concludente di questi decenni la po-litica non ha risolto – naturalmente –neanche questo problema. Ciò che haispirato “Sulla pena al di là del car-cere” (Liberilibri 2013, pp. 188, 16euro) è l’approccio vòlto al supera-mento della pena carceraria non sol-tanto per una “crisi di efficacia” -come scrive il prof. Giovanni Fian-daca nell’introduzione - ma anche “disignificato, di senso e di legittima-zione”. Il testo si articola in quattrocontributi (Silvia Cecchi: “Verso unapenalità oltre la pena carceraria” /Giovanna Di Rosa: “Il sistema penaledella vittima” / Paolo Bonetti: “Per unpluralismo delle pene” / Mario DellaDora: “Dalla parte di Isacco”) e partedalla espansione del diritto penalecontemporaneo, che sta “occupandosettori di condotte umane, di fattori dirischio, di beni offesi o minacciati,prima d’ora inediti”, cui corrisponde“la necessità di una sanzione che spo-sti (...) l’accento dal rimprovero ‘mo-rale’ mosso al reo (...) ad una piùplausibile responsabilità da violazionedei doveri di relazione (Cecchi)”. Daquesto crocevia prende forma l’ideache “il reo dovrà essere considerato inuno con la persona offesa e valutandole conseguenze prodotte”. Se i limitidel processo penale si annidano nellaconcezione “imputatocentrica” dellostesso, allora bisogna cominciare aporsi delle domande: che cosa è do-vuto alla vittima, che cosa chiede lavittima al reo, alla comunità, allo

Stato? La parte offesa è centrale nel ragiona-mento di tutti gli Autori perché “ilprocesso, in Italia, costruito sul reo,estrania la vittima” (Di Rosa), non laconsidera - centrato com’è sul “giococompetitivo tra accusa e difesa”(Della Dora), dominato da una pre-occupazione che sovrasta ogni altra:giungere alla sentenza. Dopo la sen-tenza, poi, è anche peggio. Dal lato del reo, il carcere “sembra amolti la pena più giusta, quella che è

di Fabrizio [email protected]

GRANDI STORIE IN PICCOLI SPAZI

Nel centenario della nascita di Vasco Pra-tolini, il Comune di Firenze, attraverso ilcircuito delle biblioteche cittadine, ha or-ganizzato un ciclo di conferenze intito-lato “Strade di carta”, che prendevaspunto dai luoghi fiorentini descritti daPratolini.Nel rispetto della competenza e dellapreparazione degli oratori (sia pure conqualche perplessità: si è parlato ad esem-pio di come l’identificazione di Viola, laprotagonista del “Mannello di Natascia”con Annamaria Mantini, la militante deiNAP uccisa in circostanze mai chiaritenel 1975, confermasse che Pratolini,uscito dal PCI, si fosse avvicinato a posi-zioni estremiste), devo rilevare come, perquanto riguarda le “Strade di Carta” inquanto tali, siano state correttamenteambientate nel lavoro pratoliniano manon ne siano state neppure citate alcunepeculiari caratteristiche che, forse, con-vinsero Vasco a sceglierle fra centinaia dialtre; cerchiamo qui, in tutta umiltà, dicolmare questa lacuna.Cominciamo da “Il quartiere”, ambien-tato in Santa Croce, e da Via della Rosa.

Se percorrete questa stradetta, troverete,sull’angolo di Via Ghibellina, una lapideche proclama come la strada sia stata cosìintitolata “Per decreto dei Capitani diParte il 7 settembre 1730”. Pare che i “Si-gnori Capitani di parte” accogliessero be-nevolmente, con questo decreto, unapetizione dei residenti (promossa pre-sumo dai condomini del n.c. 28), chenon ne potevano più di abitare in “Viadei Becchi”.Un’altra strada citata nel romanzo èBorgo Allegri; pare che l’origine del to-ponimo, che non sembra giustificatodall’aspetto della Via, sia imputabile a unfatto avvenuto nel 1267. Si dice chelungo l'attuale Borgo Allegri si trovassela bottega di Cenni di Pepo. Quell’anno,mentre lavorava a un grande dipintodella Madonna, commissionatogli daifrati domenicani, passò da Firenze Carlod'Angiò, che volle a tutti i costi vedere,sebbene incompiuto, il quadro, che dice-

vano essere stupendo. Alla "visita" realeparteciparono anche migliaia di fioren-tini e la felicità provata nel vedere quelcapolavoro fece sì che la strada, da allorain poi, perpetuasse il ricordo di quelgiorno di gioia. Fatto è che, all’epoca,quel pittore era semi-sconosciuto; solodal 1272 si trova documentata la sua pre-senza a Roma, dove era più conosciutocon uno pseudonimo: Cimabue.Arriviamo a Piazza Beccaria, della qualePratolini descrive l’animazione nelle se-rate del ‘900. Anche in epoca lorenese la

zona era molto animata, sia pure per altrimotivi; in prossimità di Porta alla Croce,infatti, venivano macellati i maiali. ScriveGiuseppe Conti in “Firenze vecchia”:"Molta gente del popolo andava condelle grandi pentole a comprare quel san-gue caldo per fare i cosiddetti roventini,una delle ghiottonerie della bassa gente(...) alcuni li cuocevano col fornello e lapadella vendendoli a un quattrino l'uno espruzzandoci sopra - senza aumento dispesa - un pugnello di cacio di Roma". Otrovateli ora i roventini!

Via della Rosa

Le stradedi Vasco

di Isabella Mancinisoloconlamiatesta.wordpress.com

ODORE DI LIBRI

di Paolo [email protected]

meglio in grado di risarcire, inflig-gendo dolore, la sofferenza delle vit-time. Ma il legislatore deve piuttostochiedersi (...) se il carcere contribui-sce davvero ad evitare che ci sianoaltre vittime, che la violenza e l’in-ganno divengano sempre più la nor-malità della vita sociale” (Bonetti). Misento di tranquillizzare, chi dovessetemere dal testo la vieta minestra‘buonista’, che nessuno degli Autoriritiene che una società, anche la più li-berale, possa prescindere dal porre ilreo di fronte alle conseguenze nega-tive del gesto compiuto. La critica è ri-volta all’eccessivo ricorso al carcere,che livella e confonde ciò che non èuguale, uniforme. Non mancano rife-rimenti alle origini e all’evoluzionedegli istituti della giustizia riparativae della mediazione penale, alla evolu-zione dell’ordinamento giuridico nellainevitabile cornice internazionale ecomunitaria - oltre che ad alcune de-cisioni giurisprudenziali. Le soluzioni proposte, offerte all’at-tenzione del lettore professionalecome del cittadino, puntano ad un si-

stema personali-stico dellasanzione penale,alternativo almodello totalita-

rio (che pone in primo piano le esi-genze dello Stato e della collettività)e con ciò diversificato e selettivo, ca-pace di graduare qualitativamente -oltre che quantitativamente – la penae quindi di dare compimento al pre-cetto costituzionale. Una domanda-obiezione, fuori dal testo, potràsovvenire al lettore disincantato:avremo mai un legislatore e un potereesecutivo in grado di rispondere a sol-lecitazioni come queste?

Per unapenaad personam

IL CONVEGNO

Tolleranzazero

Il 6 febbraio è la Giornata Internazio-nale Tolleranza Zero Mutilazioni Ge-nitali Femminili, istituita nel 2003 ,per segnalare l'urgenza di combatterequeste pratiche dannose per la salutedi bambine e donne. Ad oggi sono28 i paesi africani in cui le MGF ven-gono praticate. I progetti di coopera-zione realizzati in questi anni hannoindividuato però delle risposte: làdove si è investito in formazione e siè puntato sulla riconversione lavora-tiva delle ex mutilatrici si sono otte-nuti buoni risultati di abbandonodella pratica. Per capire a che puntosiamo, sia all'estero, che in Toscana,sull'analisi e prevenzione del feno-meno, Nosotras organizza, nell'am-bito del Festival della Cooperazioneun convegno il 5 febbraio alle 16 inSala Quadri di via dei Ginori 14 a Fi-renze: MGF, obiettivo tolleranzazero entro il 2015: azione locale eazione globale. In questa occasioneverrà lanciata anche la campagnaExEx, di adozione a distanza di exmutilatrici.Maggiori informazioni dal sito webwww.nosotras.it

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Sala Stampa del Tribu-nale di San Jose. Final-mente libera, AngelaDavis e sua madre si ab-bracciano e il lorogrande e liberatorio sor-riso fa immediatamenteil giro del mondo! Finedell’incubo e ritornonel mondo dei vivi,come molti dei suoi so-stenitori neri, e nonsolo, hanno gridato persettimane in preda a unsentimento di grandefelicità e orgoglio nazio-nale. Questo evento èstato una plateale dimo-strazione della vitalitàdi un sistema giudizia-rio che, almeno in que-sto caso, ha saputodistinguere tra le provedei fatti e quei pregiu-dizi diffusi che permolta parte del pro-cesso avevano fatto te-mere a molti unasoluzione completa-mente diversa. E’ statodavvero uno di queigiorni in cui “il sistemaamericano” ha saputodare il meglio di sestesso.

CCUO

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L'incubo è finito! Tribunale di San Jose, 1972

L’ULTIMA IMMAGINE

Dall’archivio di M

aurizio Be

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