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©Camera-Eye, Paolo Miguel Baquiano deviantart CUC. S R CORDR N o, Elsie, tu non capisci. Ho già scritto su di te... una dozzina di volte. Quella tua buffa pie- ga del labbro, da coniglietto, l'ho messa in un racconto sei anni fa; il modo in cui l'espressione del tuo viso cambia quando stai per ridere... è un tratto che ho attribuito a una delle prime ragazze di cui abbia mai scritto; il modo in cui mi attardavo a darti buonanotte, sapendo che sare- sti corsa al telefono non appena ti fossi chiusa la porta alle spalle... tutto questo l'ho messo in un mio libro che ho già scritto una volta» (p.124). È Francis Scott Fitzgerald in un incontro con una sua vecchia fiamma riportato nel libro Good luck and Goodbye (Donzelli Editore, 2013). Elsie gli rispon- de; «Capisco. Solo perché non ti ho corrisposto, mi hai fatta a pezzi, un po' alla volta» (p.124). E invece no, Elsie proprio non capisce. Che lei lo avesse corrisposto o no, Scott Fitzge- rald l'avrebbe comunque fatta a pezzi. Perché è così che si ricordano le cose. Il cervello non scatta fotografie. Gli eventi sono vissuti nella loro totalità, ma memorizzati a pezzettini. lo ho memorizzato cose che voi umani non potreste immaginarvi L'idea che esista la memoria fotografica è molto diffusa. Viene attribuita a personaggi di fantasia, come Olive Doyle, interpretata da Sierra McCormick nella serie televisiva A.N.T. Farm. Ne è sicuro Rutger Hauer, l'attore che interpre- tava il celeberrimo monologo nel film Biade Runner^982), «Non mi ricordo un solo volto tra i miei insegnanti, ma degli uomini che mi hanno offerto un lavoro o delle città incontrate per raggiungerlo, ho una perfetta memoria fotografica» (// Fatto Quotidiano, 12.08.2013, p. 9, intervista a firma di Mal- com Pagani e Federico Pontiggia). Ne parla il regista Gabriele Muccino sul suo profilo fa- cebook: «24 fotogrammi al secondo. La retina non riesce a scorgere la differenza tra un fotogramma e il successivo per la memoria fotografica che vi resta impressa per micro istanti e permette la magia dello scorrimento veloce di im- magini apparentemente unite tra loro ma che di fatto non lo sono». Ma lo scrive anche Italo Calvino in Se una notte d'inverno un viaggiatore (1994), «Ecco che io che dovevo passare inosservato sono stato scrutato, fotografato da oc- chi cui non posso illudermi di esser sfuggito, occhi che non dimenticano nulla e nessuno che si riferisca all'oggetto della gelosia e del dolore» (Oscar Mondadori, p. 24). Nel libro La società della mente (1989), lo scienziato Marvin Lee Minsky spiega che quello della memoria foto- grafica è un mito senza fondamento. Non ricordiamo mai molte cose riguardo un'esperienza particolare. Di volta in volta, il nostro cervello decide selettivamente di trasferire.

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©Camera-Eye, Paolo Miguel Baquiano deviantart

CUC. S R CORDR

N o, Elsie, tu non capisci. Ho già scritto su di te... una dozzina di volte. Quella tua buffa pie­ga del labbro, da coniglietto, l'ho messa in un

racconto sei anni fa; il modo in cui l'espressione del tuo viso cambia quando stai per ridere... è un tratto che ho attribuito a una delle prime ragazze di cui abbia mai scritto; il modo in cui mi attardavo a darti buonanotte, sapendo che sare­sti corsa al telefono non appena ti fossi chiusa la porta alle spalle... tutto questo l'ho messo in un mio libro che ho già scritto una volta» (p.124). È Francis Scott Fitzgerald in un incontro con una sua vecchia fiamma riportato nel libro Good luck and Goodbye (Donzelli Editore, 2013). Elsie gli rispon­de; «Capisco. Solo perché non ti ho corrisposto, mi hai fatta a pezzi, un po' alla volta» (p.124). E invece no, Elsie proprio non capisce. Che lei lo avesse corrisposto o no, Scott Fitzge­rald l'avrebbe comunque fatta a pezzi. Perché è così che si ricordano le cose. Il cervello non scatta fotografie. Gli eventi sono vissuti nella loro totalità, ma memorizzati a pezzettini.

lo ho memorizzato cose che voi umani non potreste immaginarvi

L'idea che esista la memoria fotografica è molto diffusa. Viene attribuita a personaggi di fantasia, come Olive Doyle, interpretata da Sierra McCormick nella serie televisiva

A.N.T. Farm. Ne è sicuro Rutger Hauer, l'attore che interpre­tava il celeberrimo monologo nel film Biade Runner^982), «Non mi ricordo un solo volto tra i miei insegnanti, ma degli uomini che mi hanno offerto un lavoro o delle città incontrate per raggiungerlo, ho una perfetta memoria fotografica» (// Fatto Quotidiano, 12.08.2013, p. 9, intervista a firma di Mal-com Pagani e Federico Pontiggia).

Ne parla il regista Gabriele Muccino sul suo profilo fa-cebook: «24 fotogrammi al secondo. La retina non riesce a scorgere la differenza tra un fotogramma e il successivo per la memoria fotografica che vi resta impressa per micro istanti e permette la magia dello scorrimento veloce di im­magini apparentemente unite tra loro ma che di fatto non lo sono». Ma lo scrive anche Italo Calvino in Se una notte d'inverno un viaggiatore (1994), «Ecco che io che dovevo passare inosservato sono stato scrutato, fotografato da oc­chi cui non posso illudermi di esser sfuggito, occhi che non dimenticano nulla e nessuno che si riferisca all'oggetto della gelosia e del dolore» (Oscar Mondadori, p. 24).

Nel libro La società della mente (1989), lo scienziato Marvin Lee Minsky spiega che quello della memoria foto­grafica è un mito senza fondamento. Non ricordiamo mai molte cose riguardo un'esperienza particolare. Di volta in volta, il nostro cervello decide selettivamente di trasferire.

spesso senza che ce ne rendiamo conto, solo determinati elementi nella memoria a lungo termine (dove possono re­stare per anni).

Questi dettagli devono essere classificati, perché sono utili, pericolosi, insoliti o importanti per altri motivi. Ecco perché i ricordi vengono scomposti. Non rivestirebbe alcun interesse per la specie umana conservare enormi quantità di ricordi non classificati. Pensate che fatica se, per trova­re l'evento che vogliamo richiamare alla mente, dovessimo passare ogni volta in rassegna miliardi di fotografie di tutti i momenti vissuti.

Al contrario, esistono dettagli eterogenei che conservia­mo in diverse aree del cervello e ricostruiamo al momento opportuno. È come se al momento di conservare una pizza, piuttosto che riporla in frigo tutta intera, avessimo la pos­sibilità di scomporla per estrapolarne farina, lievito, sale, mozzarella, pomodoro e acqua, in modo da servircene in seguito come preferiamo. Per rifare la stessa Margherita o per comporre altre pietanze. Elementi relativi ad un unico momento passato possono essere richiamati per ricostruire una precisa traccia di memoria.

Oppure, combiniamo insieme per la prima volta pezzi sparsi di ricordi diversi, nella simulazione di un episodio fu­turo (per chi volesse approfondire i meccanismi alla base dell'immaginazione del futuro, rimandiamo al n. 90 di Mente e Cervello, pp. 94-101, "Il futuro non sarà com'era").

O ancora, particolari singoli sono rimestati in dipinti, ro­manzi, sculture, sceneggiature. Dunque, non solo non esi­ste la memoria fotografica, ma un sistema di questo tipo non sarebbe neanche funzionale. Non consentirebbe la creazio­ne di opere d'arte, la predizione del futuro, né tantomeno l'invenzione di storie (BOX 1).

Memoria fuori dal comune > La fotografia è una riproduzione fedele di un momento.

Nel confronto tra una foto e la scena originale, non potrem­mo mai notare la mancanza di un dettaglio, né la presenza di elementi difformi. Al contrario, la memoria si basa su rico­struzioni. Questa osservazione è divenuta palmare quando si è scoperto che, a differenza delle fotografie, i ricordi non combaciano con l'evento che si vuole ritenere. L'inaffidabi-lità del ricordo è stata dimostrata da numerosi scienziati col perfezionamento di variegate modalità di creazione di falsi ricordi. Il più famoso è il paradigma D R M , dal nome dei suoi creatori, Deese-Roediger e McDermott (1995).

Leggere una lista di sostantivi semanticamente correlati alla parola ésca leone (es., tigre, circo, giungla, domatore, tana, cucciolo. Africa, criniera, gabbia, felino, ruggito, fero­cia, orso, caccia, fierezza) induce erroneamente a ricordare che anche leone fosse presente. Inoltre, domande voluta­mente deviami insufflano in molti casi persino il ricordo di una sequenza inesistente nei filmati dei telegiornali. Con questa tecnica, i video fantasma dell'incidente della princi­pessa Diana o dell 'assassinio del politico olandese Pim For-tuyn sono tipicamente "ricordati" da due terzi delle persone. I ricercatori avevano finora studiato questi fenomeni soltanto in persone con una memoria nella media.

Tuttavia, recentemente è stato identificato un modesto numero di individui con una memoria di eventi passati au­tobiografici altamente superiore, in grado di ricordare che giorno della settimana fosse il 29 aprile 2010 o cosa fosse successo in un giorno qualsiasi della loro vita dalla tarda infanzia in poi. Come Mister Memory, l'uomo dalla memoria prodigiosa che imparava ogni giorno 50 fatti nuovi, riuscen­do a ritenerli tutti. «Storia, geografia, articoli di giornale, libri

BOXI LQ persistenza dello memorio nell'immoginozione L'intuizione che l'immaginazione non prescinda dalla realtà accomuna molti scrittori. Intervistati da Caterina Bon-

vicini per // Fatto Quotidiano, diversi autori si sono confrontati sul tema del rapporto tra cose vissute e immaginate. La scrittrice statunitense Elisabeth Strout spiega che i personaggi non sono altro che un'unione dei tratti di tante persone reali. «A volte, quando sono nella metro, mi capita di osservare una faccia per quaranta minuti e di dirmi: Ah , che faccia interessante. Poi però queste persone le mescolo, le costruisco» (9.12.13, p. 12). L'autrice, Jhumpa Lahiri, parlando della protagonista del suo ultimo romanzo. La Moglie, dice: «Mi chiedo ancora adesso: M a chi è? Da dove è venuta? Vengono dal cervello, i personaggi, o dalle suggestioni. Magari conosco una persona, scambio due parole, mi dice qualcosa che rimane con me e questo diventa uno spunto. Quel la persona poverina non è consapevole di avermi regalato una cosa che mi interessa, ma spesso è così» (12.01.14, p. 12).Yasmina Reza , drammaturga francese, parla degli avvenimenti passati come della "luce delle stelle morte" (23.12.13, p. 12), ossia cose viste e sentite in un certo momento, la cui luce persiste. Ed è proprio grazie alla persistenza di quella luce che nascono le sue opere. «Joyce dice che l'immaginazione è ricordo e cerca di eliminare la distinzione fra le due cose. E Shelley, nella Difesa della poe­sia, dice che nella poesia noi dobbiamo immaginare quello che già sappiamo. Quindi ha una linea analoga a quella di Joyce, cioè la memoria e l'immaginazione sono strettamente connesse. Secondo me, bisogna immaginare delle cose di cui però si ha avuto esperienza» (6.01.14, p. 12). Questa la riflessione dello scrittore e giornalista britannico Edward St. Aubyn. Si può opinare che per un artista sia meglio immaginare attingendo dalla memoria episodica (le cose di cui abbiamo avuto esperienza) o piuttosto dalla memoria semantica (le cose che sappiamo), ma (almeno per il momento) è certo che non si può immaginare ciò che non si conosce.

Queoi - numero 18 - Estete ZOm

BOX 2 IpertimesiQ: fTloderni Pico dello fTìirondolo

Q 48

HK è un ragazzo di vent'anni, cieco dalla nascita, se­condo caso di ipermnesia autobiografica (dopo una don­na sulla quarantina, A J ; Parker et al., Neurocase, 2006) ri­portato nella letteratura scientifica (Ally et al.. Neurocase, 2012). Le prestazioni di HK in compiti di memoria classici, che prevedono il ricordo di liste di parole, sono perfetta­mente nella media. Tuttavia, HK ricorda in modo insolita­mente efficace le sue esperienze autobiografiche. HK e A J pensano in continuazione ai propri ricordi. A J racconta che ha cominciato a forzarsi a ricordare le sue esperienze dall'età di 8 anni.

I ricercatori hanno riscontrato nel cervello di HK un'i­pertrofia dell'amigdala, con un volume del 20% superiore alla media (Figura 1). Inoltre, le connessioni cerebrali tra amigdala e ippocampo sono più pronunciate in HK che nei controlli sani. Ciò vuol dire che l'amigdala, struttura sottocorticale importante nella codifica dei ricordi auto­biografici più emotivi, non solo è più grande, ma è an­che iperattiva nel cervello di HK. Brandon Ally, autore dello studio, spiega che l'amigdala ipertrofica potrebbe sovraccaricare emotivamente le informazioni, renden­dole dunque più rilevanti e più facili da ricordare. Questi risultati sono conformi a quelli di un altro studio che indi­viduava in 11 adulti dotati di una memoria straordinaria una rete di 9 regioni cerebrali (incluso il giro temporale e il fascicolo uncinato sinistro, che connette l'ippocampo e l'amigdala alla corteccia frontale), d'importanza cruciale per la memoria autobiografica, morfologicamente diverse per forma e misura rispetto alle stesse regioni presenti nel cervello di coetanei normali (LePort et al., Neurobio-

logy of Learning and Memory, 2012). Inaspettatamente, anche il nucleo caudato e altre aree implicate nel distur­bo ossessivo-compulsivo erano più grandi negli 11 adulti rispetto alla media. James McGaugh, il neuroscienziato che ha condotto la ricerca, affermò che queste persone mostravano, in effetti, tendenze ossessive o compulsive, sebbene non avesse diagnosticato a nessuna di loro un disturbo ossessivo-compulsivo vero e proprio. Ad esem­pio, esibivano comportamenti pronunciati di evitamento dei germi (lavavano le chiavi prima di riporle in tasca, se queste erano cadute sul pavimento). LePort sospettava che qualche forma anche inconsapevole di ripetizione subvocalica del ricordo, legata a tali tendenze, potesse rafforzare in queste persone la capacità di conservare i ricordi a lungo termine. In effetti, la loro memoria è stra­ordinaria solo per ricordi autobiografici, per il resto è del tutto normale, e anzi non sono persone particolarmente dotate in altri domini cognitivi.

Figura 1. L'analisi volumetrica dei cerveiio di HK riveia ctie il volume dell'amigdala destra (mostrata sulla destra in tre diverse prospettive) è più grande rispetto a quello dell amigdala del controlli normali. In blu le aree dell'amigdala più significativamente voluminose (Ally et al., 2012).

di scienza. Milioni e milioni di fatti» (Il club dei39, Hitchcock, 1935). Queste persone conoscono gli eventi pubblici meglio delle persone "normali" e, per ricordare cosa sia successo loro un giorno a caso di dieci anni fa, impiegano meno tem­po di quello che serve a noi per ricordare cosa abbiamo fatto l'altro ieri sera (BOX 2). Generalmente ricordano non solo la data, ma anche dove si trovavano quando sono venuti a conoscenza di un determinato evento pubblico. Ritengono le informazioni pubbliche associandole a quelle personali. E gli errori? Rispetto ai dettagli che possono essere verificati, i nostri Mister Memory si sbagliano solo nel 3% dei casi .

Elizabeth Loftus e i suoi colleghi dell'Università della C a ­lifornia hanno reclutato nel 2013 venti persone con una me­moria autobiografica eccezionale e pubblicato i risultati del­le loro valutazioni sulla rivista Proceedings of ttie National Academy of Sciences (PNAS). Lo studio ha mostrato che anche questi individui sono suscettibili, proprio come noi co­muni mortali, al falso ricordo della parola ésca (in 14 liste D R M su 20), 0 al falso ricordo di filmati inesistenti in risposta a suggerimenti devianti o ad esercizi di immaginazione.

Nel test dei filmati, lo sperimentatore dava falsamente per scontato che esistesse un video (mai esistito nella real­tà) dell'aereo United 93 caduto in Pennsylvania ri1 Settem­bre 2001 e sollecitava i partecipanti a ricordare i dettagli di quel video "visto" anni prima. In realtà, il tentativo era quello di innestare un falso ricordo e di verificare se questa tecni­ca funzionasse anche in persone che ricordano tutto quasi perfettamente. Alla richiesta dello sperimentatore, «Ricorda quanto durava il video?», ad esempio, uno dei partecipanti rispondeva: «Durava pochi secondi. Non era lungo. Sem­brava come se qualcosa stesse cadendo dal cielo. Probabil­mente era molto veloce, ma io ero semplicemente attonito nel vedere quella cosa venire giù» (p. 2).

Il tentativo era, dunque, riuscito. Il falso ricordo era stato innestato. Questo vuol dire che il meccanismo di memoria ricostruttivo, e potenzialmente proclive ad errori, è peculiare degli umani. Una memoria di gran lunga superiore alla nor­ma non immunizza da errori, perché funziona sempre sulla base dello stesso meccanismo che accomuna tutti, smemo­rati e individui più dotati.

Cristofano dell'Altissimo • portrait ol Giovanni Pico della Mirandola (copy of an unknown originai), Uffizi, Gioviana Coliectio

Nella maggior parte delle situazioni questi processi ri­costruttivi possono essere più accurati per i Mister Memory. Tuttavia, paradigmi stringenti che, conoscendone il tallone d'Achille, disvelano l'inaccuratezza del meccanismo nella popolazione normale, ne mostrano le medesime imperfe­zioni anche in persone solitamente fuori dalla norma.

Istanze di memoria fotografica sono state osservate in persone affette da autismo, come Stephen Wiltshire, o Kim Peek, impersonificato cinematograficamente da Rain Man, che, nel film, riesce a "contare" 246 fiammiferi caduti per ter­ra soltanto guardandoli per un istante (https://www.youtube.

com/watch?v=HaYwTxDfmHU). Ma sono casi rari, riscon­trati in persone estremamente focalizzate sui propri ricordi visivi. Non esistono nella realtà persone affette da autismo con le prodigiose abilità di ricombinazione visiva di Lisbeth Salander, hacker nata dalla penna di Stieg Larsson.

Nel 1970 Stromeyer e Potska pubblicarono sulla rivista Nature uno studio su un caso singolo. Il caso era quello del­la moglie ventitreenne di Stromeyer, artista molto dotata, nonché insegnante all'università di Harvard, che mostrava un'eccezionale memoria visiva. Un giorno la signora ascoltò una conversazione tra il marito e un suo collega a proposito di test di memoria ritenuti mediamente molto complessi.

La signora chiese di poter visionare il test e lo trovò "di una facilità ridicola" (p. 347). Il marito valutò le sue abilità su una serie di compiti della stessa natura ed effettivamen­te le prestazioni del suo caso singolo furono sbalorditive. In seguito, John Merritt volle replicare questi risultati su un campione più vasto, usando un test simile a quello sommini­strato alla signora Stromeyer (Figura 2). Pubblicò una serie di annunci su riviste, giornali, libri con tutte le indicazioni per svolgere il test comodamente da casa. Milioni di persone lessero quegli annunci. Trenta persone contattarono Mer­ritt con la soluzione esatta. Merritt invitò quindici di queste persone (quelle che abitavano nell'area di Philadelphia) per una valutazione vis-à-vis in laboratorio. Sorprenden­temente, nessuno fu in grado di rispondere correttamente neanche una volta. Tutti sbagliarono persino nel fornire la soluzione del medesimo test presentato sull'annuncio, di cui conoscevano già la risposta.

Mister memory si diventa Negli anni '20 il direttore di un giornale moscovita osser­

va che uno dei suoi giornalisti non prende mai appunti quan­do lui al mattino detta le lunghissime liste di indirizzi, numeri di telefono, nomi e cognomi a cui i suoi redattori dovranno fare riferimento nel corso della giornata.

Sta per redarguire il giovane, ma prima gli chiede di ripetere tutte le informazioni di cui non aveva preso nota. Il giovane le ripete tutte parola per parola. Il direttore, sba-

Flgura 2. Il test che John Merritt (1979) proponeva ai suoi partecipanti. Le due figure apparivano su due pagine diverse. Le istruzioni richiedevano di esaminare con molta attenzione il pannello sulla sinistra per qualche minuto, di chiudere poi gli occhi, cercando di ritenere la disposizione dei punti, e di voltare pagina. Nella pagina seguente si trovava il pannello qui riportato a destra, sul quale doveva essere proiettato il ricordo della prima rappresentazione, in modo che 1 bordi delle due immagini (una vista, l'altra ricordata^ coincidessero esattamente. La sovrapposizione delle due figure avrebbe permesso di Identificare chiaramente un numero o una lettera.

Quenj - numero 18 - Estate 20m

. . I I 1 , 1 . n i i É B i i — • » .Il < t r i iT III I ' ùMimUt Figura 3. A sinistra, Solomon Seresevsidj in una fotografia tratta dal film documentarlo Zagadky Pamyati fl misteri della memoria; scritto da Lyudmila Malkhozova e diretto da Dmitry Grachev per TV Channel 1 in Russia. A destra, un manifesto che annuncia lo show di Seresevskij: "Lo specialista dell'arte del ricordo • L'artista di varietà - S. V. Seresevskij - Immediata memoriz­zazione su richiesta del pubblico di nomi di famiglia, lettere, numeri, testi di libri, versi, insiemi senza senso di parole e frasi pronunciate da tutte le persone del mondo" (Le foto sono tratte da Mecacci L. (2013). Solomon V. Shereshevsky: The great Russian mnemonist, Cortex, 49, 2260-2263)

lordilo, gli consiglia di sottoporre quelle prestazioni così insolite ad una valutazione medica. Nel luglio del 1926, il neurologo Aleksandr Lurija riceve nel suo laboratorio dell'Istituto di Psicologia di Mosca la visita del giornalista trentenne, Solomon Seresevski j (Figura 3), con la richiesta imbarazzata di un esame di memoria. Medico e pazien­te cominciano una relazione trentennale. «Molto proba­bilmente Solomon è l'unico uomo al mondo a possedere

una tale capacità di memoria. Ricorda facilmente qualsi­voglia quantità di parole e cifre e intere pagine di libri su qualsiasi argomento e in qualsiasi lingua per molto tempo. Seresevski j può citare verbatim qualsiasi cosa gli sia stata riferita dieci o dodici anni prima», riferì Lurija alla stampa russa, come riportato nel 2013 da Luciano Mecacci sulla rivista Cortex (p. 2260-61).

Come fa? Solomon ha una spiccata sensibilità sinesteti-

B0X3 metodo dei loci La memoria funziona allo stesso modo per tutti. Alcu­

ni, tuttavia, ne fanno un uso migliore servendosi di tec­niche efficaci e strategie di apprendimento. Questa è la tecnica impiegata per esempio da Dominio O'Brien, otto volte campione del mondo di memoria. In uno studio pub­blicato sulla rivista Nature Neuroscience nel 2003, Elea-nor Maguire e i suoi colleghi testarono le dieci persone che si erano piazzate ai livelli più alti in una graduatoria nel World Memory Championships, gara di memoria che si svolge a Londra. I ricercatori dimostrarono che 9 cam­pioni su 10 ritenevano le informazioni grazie al "metodo dei loci". L'invenzione di questo antico metodo, chiamato anche tecnica della "passeggiata mentale" è attribuita al poeta greco Simonide.

Nel 477 a.C. Simonide visualizzava gli elementi da ri­cordare lungo un percorso immaginario. Al momento del richiamo, ripercorreva mentalmente la strada e "rivedeva" tutti gli elementi precedentemente associati ai punti sa­lienti del percorso. Durante i compiti di memoria, i parte­cipanti di Maguire riferirono di adottare la stessa tecnica. E, infatti, la risonanza magnetica funzionale mostrava una maggiore attivazione del solco frontale inferiore posterio­

re sinistro, solitamente coinvolto nelle strategie dell'ap­prendimento associativo.

Maguire si aspettava di trovare nel cervello dei suoi partecipanti anche un cambiamento della struttura dell'ip­pocampo posteriore destro, dovuto all'uso frequente del­la memoria spaziale. Lo stesso cambiamento che aveva osservato nel 2000 (in uno studio pubblicato su PNAS) in un gruppo di tassisti inglesi. E, invece, le aspettative del­la ricercatrice furono deluse. La differenza probabilmen­te è dovuta al fatto che i tassisti inglesi conservano una rappresentazione spaziale di Londra molto complessa e vasta, mentre i campioni di memoria usavano sempre la stessa gamma ristretta di percorsi, cioè una strategia. Queste strategie si possono imparare, seppur con fatica. Joshua Foer, un giornalista scientifico, per scommessa con se stesso, è arrivato alla finale dei campionati U S A di memoria dopo un anno di esercizi {L'arte di ricordare tutto, Longanesi). Come sottolinea Ericsson, "mnemonisti eccezionali non si nasce, si diventa". È così che perso­naggi come Gianni Golfera assurgono alla notorietà e si arricchiscono con corsi che, a fronte di costi esosi , non offrono alcunché di speciale né originale.

ca, ossia una capacità di associare automaticamente stimoli ad altre vie percettive, che gli permette di collegare spon­taneamente ogni elemento elencato ad un'immagine visiva molto nitida. «Reagisce immediatamente con tutti i suoi sen­si a ogni cosa che sente o vede. Dunque, qualsiasi suono 0 cosa ha per lui un colore, una temperatura, un peso, una forma e così via», per citare ancora le parole di Lurija.

Un giorno Solomon disse al famoso psicologo sovietico Vygotskij: «La vostra voce è gialla e friabile. Ci sono per­sone che parlano con più voci come in una vera sinfonia, un bouquet...», o ancora, parlando della voce del regista Éjzenstejn, disse: «La sua voce mi ricorda una fiamma con fibre che avanzano verso di me... comincio ad interessarmi a tal punto alla sua voce da non capire più quello che dice» (Lurija, 1968, p. 29).

Allo stesso modo, una serie di numeri diventa per So­lomon una lunga passeggiata tra tante figure. Il 3 assume la fisionomia di un uomo triste, l'I diventa un uomo svelto e orgoglioso e il 7 porta i baffi (BOX 3).

Per Solomon le associazioni visive (eidotecniche) sono così naturali che a un certo punto della sua vita è costretto ad apprendere come dimenticare. «A volte mi capita di non riconoscere una voce al telefono, perché la voce di quella persona cambia 20, 30 volte nel corso della giornata. Gli altri non se ne rendono conto ma io sì» (Lurija, 1968, p. 29). Impara allora ad usare alcune "lethotecniche", tra cui quella di tirare (mentalmente) una tendina opaca sulla parte da dimenticare. Ricordare tutto non ci consentirebbe, infatti, alcuna flessibilità mentale. Pensare implica dimenticare le differenze, generalizzare, astrarre, come scrive Borges in un suo racconto del 1942, a proposito del protagonista, Ire­neo Funés, che ricordava tutte le forme delle nuvole, -ui Sulla rivista T ICS {Trends in Cognitive Sciences) lo stu­dioso Anders Ericsson (2003) rimarca che le tecniche di memoria sono efficaci esclusivamente nel generare asso­ciazioni tra informazioni altrimenti senza significato, come date, nomi o cifre. Tuttavia, se leggiamo un bel libro, non abbiamo bisogno di ricorrere a tecniche associative per rite­nere le informazioni rilevanti, dal momento che la trama è di per sé significativa.

Nelle attività quotidiane le persone codificano le infor­mazioni collegandole a repertori di conoscenze specifiche (come quello della comprensione testuale). In questo modo, possono usare la memoria a lungo termine (dove conser­vano le competenze pregresse) per espandere la memoria di lavoro (che conserva le informazioni per pochi minuti). Di conseguenza, meglio si conosce un argomento, meglio

si comprenderà e si ricorderà un testo che fa riferimento a quello stesso ambito. E questo vale per le competenze più disparate. I giocatori esperti di scacchi sono estremamente abili nel ricordare le posizioni di più di venti pezzi estratte da un contesto realistico di gioco. Ma se i pezzi vengono di­sposti casualmente sulla scacchiera il ricordo degli esperti non si distingue da quello dei principianti che abborraccia­no le mosse.

Una memoria superiore in attività quotidiane riflette le capacità di memoria e le conoscenze acquisite durante un esteso periodo di vita al fine di padroneggiare un ambito specifico. Non esistono persone con memoria eccezionale in ogni dominio. Tant'è vero che nello studio di Maguire e colleghi (2003, B O X 3) la memoria dei campioni, valutata in riferimento a diversi stimoli (cifre, volti, o immagini ingrandi­te di fiocchi di neve), eccelleva solo nel ricordo di cifre, più facilmente associabili ad informazioni significative.

I campioni non ricordavano meglio le forme dei cristalli di neve rispetto ai controlli. È stato dimostrato che, se ci si alle­na per centinaia di ore a ritenere sequenze di numeri, le pro­prie prestazioni di memoria possono superare di gran lunga quelle dei Mister Memory riportate in letteratura (Ericsson, 1980, Science). Non esiste un'entità monolitica che possia­mo definire memoria. «Ma tu come vuoi essere chiamata? Ogni volta è diversa la parola che ti invoca», diceva l'Esiodo immaginato da Pavese a Mnemosine {Dialoglii con Leucò, p.163). Disponiamo di diversi tipi di memoria, che ci servo­no in diversi domini. Nessuno ha una memoria eccezionale valida per tutto e tutti siamo potenziali Mister Memory in un dominio di nostra competenza.

In più - ALLYB.A., HUSSEYE.R, DONAHUEM.J. (2012). «Acaseof

iiypertiiymesia: rethinking the mie of the amygdala in autobio- -,

graphical memory». Neurocase, 19, 166-181.

- de VITO S., DELLA SALA S. (2011). «Predicting the future».

Cortex, 47, 1018-1022. • .fe ów^ 's ir.--.v;ri«

- r^ERRITTJ.O. (1979). «None in a million: resuits of mass scree­

ning for eidetic ability using objective tests published in newspa-

pers and magazines». Behavioral and Brain Sciences, 2, 612.

STEFANIA DE VITO: svolge attualmente un post-dottorato in Neuroscienze Cognitive al Centra de Recherche de

rinstitut du Cerveau et de la Moelle èpinière (Hòpital de la Salpètrière) presso l'Inserm a Parigi. È dottore di ricerca

in Human Cognitive Neuroscience presso l'Università di Edimburgo e l'Università Suor Orsola Benincasa di Napoli.

SERGIO DELLA SALA: è professore di Human Cognitive Neuroscience all'Università di Edimburgo.

Il suo ambito di ricerca sono le neuroscienze cognitive, in particolare i deficit di memoria connessi a lesioni

cerebrali e all'invecchiamento patologico. È editor di Cortex e Presidente del CICAP.

Queaj - numero 18 - Estote ZOli.