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1 CRISTINA PRINCIPESSA DI BELGIOJOSO cronaca risorgimentale in 5 quadri Personaggi Cristina Trivulzio, principessa di Belgiojoso Emilio principe di Belgiojoso, suo marito Maria, figlia di Cristina Miss Parker, dama di compagnia di Cristina e istitutrice di Maria Ernesta Bisi, maestra di disegno di Cristina Umberto Albergoni, magazziniere bergamasco di Cristina La Fayette, l’eroe dei due mondi François Mignet, storico francese Heinrich Heine, poeta tedesco Franz Liszt, pianista e compositore ungherese Alfred de Musset, poeta francese Parroco di Locate Il cast, da 12 attori può ridursi a 10, se un paio di attori che hanno una sola scena (fra quelli che impersonano Emilio, Lafayette, Heine, Listz) si adattano a farsi carico delle parti del Parroco (una sola scena) e di Albergoni. Ogni quadro è introdotto da tre righe (scritte in stampatello), che potrebbero essere presentate allo spettatore, a mo’ di cartello brechtiano. Destra e sinistra, si intendono sempre rispetto al pubblico. www.turindamsreview.unito.it

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CRISTINA PRINCIPESSA DI BELGIOJOSO cronaca risorgimentale in 5 quadri

Personaggi

Cristina Trivulzio, principessa di Belgiojoso

Emilio principe di Belgiojoso, suo marito

Maria, figlia di Cristina

Miss Parker, dama di compagnia di Cristina e istitutrice di Maria

Ernesta Bisi, maestra di disegno di Cristina

Umberto Albergoni, magazziniere bergamasco di Cristina

La Fayette, l’eroe dei due mondi

François Mignet, storico francese

Heinrich Heine, poeta tedesco

Franz Liszt, pianista e compositore ungherese

Alfred de Musset, poeta francese

Parroco di Locate

Il cast, da 12 attori può ridursi a 10, se un paio di attori che hanno una sola scena (fra quelli che impersonano Emilio, Lafayette, Heine, Listz) si adattano a farsi carico delle parti del Parroco (una sola scena) e di Albergoni.

Ogni quadro è introdotto da tre righe (scritte in stampatello), che potrebbero essere presentate allo spettatore, a mo’ di cartello brechtiano.

Destra e sinistra, si intendono sempre rispetto al pubblico.

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Sommario

PRIMO QUADRO

1834: cospiratrice da salotto nella Parigi di Luigi Filippo p. 3

SECONDO QUADRO

1840-1847: a Locate tra maternità e filantropia p. 18

TERZO QUADRO

1848-1849: guerrigliera per la patria p. 30

QUARTO QUADRO

1850-1855: fuga in Oriente p. 38

QUINTO QUADRO

1856-1871: morire (in tristezza) a casa propria p. 52

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PRIMO QUADRO

1834: cospiratrice da salotto nella Parigi di Luigi Filippo

1834: NELLA PARIGI DI LUIGI FILIPPO – CIVETTANDO E COSPIRANDO – CRISTINA RICEVE NEL SUO SALOTTO ALCUNI BEI NOMI DEL TEMPO: IL MARCHESE LA FAYETTE, LO STORICO MIGNET, IL MUSICISTA LISZT, I POETI HEINE E MUSSET

Prima Scena (Salotto parigino di Cristina. Tarda mattina del 10 luglio 1834. Il salotto è diviso in due zone. Una più ampia, cioè il vero e proprio salotto; un’altra, più piccola, il salottino, collocato in fondo a sinistra, visibile dalla sala principale grazie a una apertura ad arco. Sulla parete di destra la porta di ingresso al salotto. Sulla parete di sinistra una porta (al momento chiusa) che conduce nello studio. Ad apertura di sipario la Principessa è fuori scena a terminare la sua toilette. In scena il solo La Fayette, vestito da generale in alta uniforme. Si appoggia a un bel bastone dal pomo d’argento. Ha una parrucca nera e portamento imponente, sebbene respiri con un po’ di fatica).

CRISTINA (fuori scena). E dunque mi lasciate così di buonora, Marchese La Fayette?

LA FAYETTE Domani è l’11 luglio, anniversario della prima dichiarazione dei diritti che sia stata proclamata in Europa. (Rammemorando, con sottile compiacimento). L’Assemblea Costituente si trovava a Versailles, circondata da truppe, per lo più mercenari stranieri. Il momento era critico, ma si risolse a nostro vantaggio. Confesso, cara, che ne sono un po’ orgoglioso.

CRISTINA (sempre fuori scena; se ne intende solo la voce. Leggermente ironica, ma con qualche autentica commossa ammirazione). Oh, certo! Certo! L’ Eroe dei due mondi, il combattente per l’indipendenza degli Stati Uniti d’America!

LA FAYETTE Bisogna che vada, perché devo mettere a punto gli ultimi dettagli per la cerimonia di domani al Panthéon. Oggi non potrò venire per il vostro ristoro di mezzodì. (Posa il bastone accanto all’uscio, e riprende con i propri ricordi, un po’ da vecchio rimbambito, che tende fatalmente a ripetersi). L’11 luglio dell’89 eravamo a Versailles, agli Stati Generali. Le truppe del Re ci circondavano: i reggimenti tedeschi e svizzeri erano invitati dalle dame della Corte a dissolvere l’Assemblea Nazionale, arrestare una dozzina di capi e tagliar loro – poliziescamente – la testa. Io avanzai la proposta della prima dichiarazione dei diritti che sia comparsa in Europa. Come negli Stati Uniti d’America, furono presi a base i diritti naturali, imprescrittibili, di tutti gli uomini viventi in società. La mia proposta, accolta dalla Assemblea, fu stampata in 10.000 esemplari la notte seguente, e distribuita a Parigi. E voi sapete che cosa successe nei giorni e nelle

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settimane seguenti, il 14, il 15 luglio, il 4, il 26 agosto.

CRISTINA (ancora fuori scena, con intonazione un po’ ironica, da studentessa che ripete la lezione). 14 luglio: presa della Bastiglia; 15 luglio: costituzione della Guardia Nazionale, sotto il comando del generale La Fayette; 4 agosto: l’Assemblea Nazionale Costituente vota l’abolizione dei privilegi feudali; 26 agosto: l’Assemblea vota la dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino.

LA FAYETTE (rispondendo all’ironia di Cristina) Lo so, cara amica, questo è il solo cancan – un po’ vecchiotto, lo confesso – che posso offrirvi. Datemene voi di più moderni, se ce ne sono.

(Cristina compare in salotto. Vestita splendidamente, ma ancora con i capelli da sistemare. Baciamano cavalleresco del Marchese).

CRISTINA Caro Marchese, voi siete la memoria storica di due rivoluzioni, quella americana e quella francese. E nelle giornate del luglio glorioso il popolo parigino ha giustappunto invocato “la libertà dei due mondi / La Fayette in capelli bianchi”.

LA FAYETTE Il popolo è un po’ irriverente; i miei capelli sono assolutamente neri, come tutti possono vedere. (Con tono autoironico ma sottile malinconia). Ovviamente i nemici reazionari dicono che sono bianchi, e che io li nascondo sotto una parrucca nera.

CRISTINA Voi siete giovanissimo, perché siete il più attivo, il più dinamico, il più lucido. E anche il maggior amico della causa italiana. Molti patrioti italiani sono stati sottratti alle prigioni dell’Austria grazie a voi. E quando Pietro Maroncelli ha avuto bisogno di cure speciali per la gamba martoriata allo Spielberg, siete stato voi a trovargli uno dei primi chirurghi di Parigi.

LA FAYETTE La causa italiana ha in voi un avvocato impareggiabile. Nessuno – di quelli che abbiano la fortuna di conoscervi – può non apprezzare le vostre qualità veramente sublimi, tanto semplici e naturali quanto belle. A cominciare dal vostro generoso disprezzo della sorte, quando arrivaste a Parigi praticamente senza mezzi.

CRISTINA Sì, l’Austria mi aveva sequestrato tutti i beni. Ho vissuto in una mansarda, e non mi sono vergognata di lavorare.

LA FAYETTE Ho sempre stimato la vostra autonomia di carattere, la vostra determinazione a cercare risorse nel lavoro. Anche se vedevo che tutto ciò eccedeva le vostre forze e la vostra salute.

CRISTINA È stato per me un tempo di dura solitudine.

LA FAYETTE “Riprendetelo con voi, il Principe Belgiojoso” – vi dicevo – , “vi sarà di conforto e vi aiuterà”.

CRISTINA Impossibile. (Pausa). Ho resistito solo quattro anni. Non tolleravo la licenza della sua condotta privata. E’ arrivato a mantenere tre amanti allo stesso tempo. E con tutto il suo bon ton, è stato capace di dividere i favori della figlia di un ciabattino con il proprio cameriere. Per non dire della sua disgustosa propensione alle orge. Ma mi ha introdotto alla politica. L’ho sposato per amore, e l’ho amato. Sicché, voi capite, siamo rimasti amici. Lui ha acconsentito alla separazione ed io, da parte mia, ho sempre pagato i suoi

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debiti. Forse avrei dovuto farmi protestante, e divorziare.

LA FAYETTE Voi avete per me uno charme inesprimibile, che mi ispira un sentimento tenero, paterno e appassionato, che mi accompagnerà per il poco tempo che mi resta da vivere. Guardo a voi come a una figlia molto amata.

CRISTINA Vi ricordate, Marchese, quando tornando dalla Camera dei Deputati, salivate nella mia soffitta?

LA FAYETTE Voi riconoscevate da lontano il rumore della mia canna e correvate ad aprirmi la porta, per introdurmi nella vostra cucina.

CRISTINA Discutevamo di come preparare i cibi: tante buone risate, ma poco da mangiare, visto che eravamo inetti e goffi.

LA FAYETTE Non sopportavo che voi vi chinaste ai fornelli come una serva.

CRISTINA Voi non eravate affatto ubbidiente, ero io la padrona di casa!

LA FAYETTE Ma – da cavaliere – non potevo accettare di vedere le vostre bianche mani occupate in faccende servili.

CRISTINA E così finiva che io avevo come sguattero l’eroe dei due mondi (Ridono insieme. Pausa.) In verità, Marchese, trovavate sconveniente che una donna del mio rango lavorasse. Ma vi sto trattenendo; voi avete impegni urgenti, ed io devo finire di farmi sistemare la crocchia.

LA FAYETTE Andate pure, Principessa, conosco l’uscita.

(La Fayette s’avvia verso la porta di destra e contemporaneamente Cristina scompare nel salottino. In realtà La Fayette arriva fino alla porta ma poi ci ripensa e torna indietro verso l’entrata del salottino).

LA FAYETTE ( forte, per farsi sentire fuori scena, ma come concludendo una sua riflessione che gli preme). Il punto… è che voi vi eravate affidata a quel lestofante di Bouchon. Lui s’inventò un’impresa sconveniente, ve la ricordate?

CRISTINA (anche lei forte, ridendo fuori scena, ancora divertita dal ricordo) Sìì… “Venite a farvi fare il ritratto dalla Principessa in rovina”!

LA FAYETTE Come si può proporre a una Principessa del vostro rango di essere sottomessa ore e ore, perdendo in salute, a ricevere e a disegnare i ritratti di 500 parlamentari!? Ricchi borghesi che si compiacciono di avere al loro servizio un’aristocratica momentaneamente senza facoltà! Quel farabutto di Bouchon andava in giro a sollecitare adesioni, dicendo che bisognava aiutare una Princesse ruinée! E condiva il tutto con altre chiacchiere assai sconvenienti per voi! Altro che speculazione del profitto! Solo speculazione della vanità… di quel Bouchon!!

CRISTINA (fuori scena) Dunque siete rimasto, Marchese! Confessate alla vostra figliola: voi siete ancora spaventosamente geloso di quel terribile Bouchon!

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LA FAYETTE Mi sembrava che il guadagno fosse modesto, considerando che vi stavate quasi ammalando. Senza contare gli sgradevoli pettegolezzi. Confesso, figliola mia, che io vi amo tanto, e sono suscettibile per tutto ciò che tocca il vostro onore. (Pausa. Il Marchese s’avvicina ancora di più all’entrata del salottino. Abbassa il tono della voce e sporge l’orecchio al muro, come a voler sentire l’effetto che le sue parole fanno su Cristina che si trova dall’altra parte). È dolce essere amata, come io vi amo, e apprezzata, come voi siete da me. Ma la differenza delle nostre età è tale che voi, legandovi al vostro vecchio amico, vi preparate a un grande dolore. (Pausa). Una donna che non ama suo marito, separata da lui, senza figli, può avere in una figura paterna il suo principale punto di riferimento. Ma un altro sentimento può, prima o poi, impadronirsi del suo cuore. Io non rimpiango pertanto di essermi abbandonato a questo sentimento appassionato: con l’ardore di un giovane, la tenacia di un vecchio, e la fiducia che è tipica del mio carattere.

(Cristina esce dal salottino e si ferma sulla soglia, poi si accosta a La Fayette: gli prende con cura le mani scavate dal tempo e se le porta a coppa intorno al proprio volto. Poi, con la mano destra gli cinge la nuca e lo attira dolcemente sul suo seno mentre solleva gli occhi in alto, in uno stiramento d’abbandono. Lunga pausa. Al termine della sequenza muta Cristina si scioglie dall’abbraccio, e conduce il Marchese alle due poltrone sulla destra).

CRISTINA (con tono tutto diverso, mondano). Vogliamo stare in piedi o vogliamo sederci, dal momento che siete rimasto?

LA FAYETTE Devo proprio andare. (Il Marchese si abbandona sulla poltrona).

CRISTINA (siede anche lei) Parlatemi di politica, amico mio.

LA FAYETTE Vi devo una risposta. Perché vi siete irritata per le violenze commesse dalle Guardie Nazionali. (Pausa). Anche per me è stato un triste. (Da buon fondatore della Guardia Nazionale al tempo della Rivoluzione Francese, non può impedirsi dal tenere una breve lezione). Ma, in linea di massima, le milizie costituite da cittadini garantiscono la libertà, mentre gli eserciti professionistici la distruggono, la libertà. In concreto, la Francia non può resistere agli eserciti coalizzati dell’Europa se non mobilitando il suo popolo e la Guardia Nazionale.

CRISTINA Sì, ma i liberali di tutta Europa s’attendono che la Francia di Luigi Filippo li sostenga con le proprie baionette.

LA FAYETTE Purtroppo avete sentito cosa ha detto il capo del governo: “Il sangue dei francesi appartiene solo alla Francia”. Ho paura, mia cara amica, che la borghesia francese voglia finalmente godersi i frutti della pace. Proprio due giorni fa Périer mi ha detto che avremo tra sette e otto mila rifugiati – italiani, polacchi, ungheresi, tedeschi… – da mantenere. Perché – gli ho risposto – non abbiamo usato la nostra influenza per renderli liberi nei loro paesi?

CRISTINA Marchese, la Francia si è fatta pompiere, e non più incendiario, come nell’89. Ma la borghesia non può dimenticare che sulle barricate di luglio c’erano anche gli operai, e il popolo di Parigi.

LA FAYETTE Oggi come oggi, gli stessi operai vogliono pace e lavoro. Non rivoluzioni che finiscono nel sangue.

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CRISTINA (accesa). La Francia fa troppo poco per la causa italiana!

LA FAYETTE Cara amica, nel ’31, la spedizione in Savoia è stati guidata da una assurda parola d’ordine, che sapete benissimo. Roba da vecchia retorica giacobina!

CRISTINA (con una certa sentita ironia) “Cadano i troni, s’infrangano le corone e sulle loro ruine sorga la Repubblica una e indivisibile, dalle Alpi al Mare!”. (Più seriamente). Lo ricordo, Marchese, molte sono state le cambiali che ho firmato per sostenere quella spedizione. Ma ne vado comunque fiera.

LA FAYETTE (involontariamente, per una spinta interiore che gli fa dire ciò che avrebbe voluto tacere). È anche stata una grande pena, per me, vedere quel vecchio comunista di Buonarroti, il segretario di Robespierre, accolto nel vostro salotto…

CRISTINA (con molto garbo e ironia). Filippo Buonarroti resta un buon intenditore di musica, e voi sapete quanto io ami la musica…

LA FAYETTE Mazzini non esita a mandare al macello giovani pieni di ideali in imprese folli e fallimentari! La nuova spedizione in Savoia, in questo febbraio, è finita come sappiamo. (Pausa). Febbraio è sfumato… e ci sarà un’altra spedizione… e un’altra… Fino a quando?

(La Fayette si alza e s’avvia alla porta d’uscita di destra).

LA FAYETTE (con un velo di tristezza improvvisa) Mi mancherete. (Pausa). Ma anche il tempo mi mancherà.

(Cristina lo accompagna. Sul limitare della soglia il Marchese fissa i grandi occhi estatici della Principessa, con un espressione intensa e straziante).

LA FAYETTE Fra poco sono morto.

(Pausa lunga. La Fayette accarezza teneramente il seno della Belgioioso, seguendo le forme dell’abito. La donna lascia fare, e solleva di nuovo gli occhi in alto, in uno stiramento d’abbandono. La Fayette inserisce lentamente una mano dentro la scollatura della donna. Buio. I personaggi devono stare di profilo al pubblico, perché sia visibile il doppio palpeggiamento di La Fayette: lungo il vestito, e dentro la scollatura).

Seconda Scena (Stessa scena. Di seguito alla prima scena, un attimo dopo. La Fayette è appena uscito. Cristina è ancora sull’uscio. Bussano alla porta dello studio che conduce nel salotto).

CRISTINA (ancora immobile sull’uscio). Entrate.

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(Entra in scena François Mignet. Si avvicina lentamente e si ferma alle spalle della donna. Sussurra all’orecchio di lei con intenzione).

MIGNET È stato il vostro amante?

CRISTINA È un amico. Un amico per il quale nutro da sempre una tenerezza filiale. Me l’avete fatto conoscere voi.

MIGNET (come sopra). È stato il vostro amante?

CRISTINA Mi ha aiutato a recuperare i miei beni, che gli Austriaci avevano sequestrato. Gli devo molto.

MIGNET (sempre in sussurro, ma con tono più vibrante). Ma è stato il vostro amante?

CRISTINA (lentamente, dopo un silenzio) Forse. (Pausa). Non ricordo più.

(I due cominciano a muoversi liberamente all’interno del salotto).

CRISTINA Mi stupisce molto la vostra indiscrezione. Solitamente siete persona misurata, controllata.

MIGNET Anche troppo.

CRISTINA Troppo discreto, volete dire?

MIGNET Certo. Sono figlio di un fabbro. Non posso avere ambizioni eccessive.

CRISTINA Ma avete maniere spontaneamente da gentiluomo. Sapete ascoltare, ma siete anche un ottimo parlatore. Con tutto quello che avete fatto per la cacciata dei Borboni, avreste potuto aspirare a una funzione di rilievo. Vi siete accontentato, invece, del posto di direttore degli Archivi al Ministero degli Affari Esteri. Preferite stare nell’ombra. Gli stupidi pensano che non siate ambizioso. In realtà avete il gusto raffinato di essere l’eminenza grigia. L’eminenza grigia di Thiers.

MIGNET Sono uno storico di professione. Preferisco lo studio alla politica, anche se ho saputo fare la mia parte di combattente militante. In fondo, mi piace di più stare in mezzo alle carte.

CRISTINA Anche in mezzo alle mie carte?

MIGNET Ho lavorato benissimo nel vostro studio.

CRISTINA Forse perché è contiguo alla mia camera da letto? (Mignet non risponde, e appare imbarazzato). Arrossite perfino? (Si accosta all’uomo, e lo accarezza sui capelli). Con i vostri riccioli biondi e il profilo angelico, potreste essere l’idolo delle parigine. E invece… (Pausa). Lo sapete cosa dicono di voi? “Mignet è come una novizia in procinto di pronunciare i voti”.

MIGNET C’è di peggio. I maligni insinuano che sono un omosessuale latente.

CRISTINA In verità, se posso dire la mia… molto, molto latente…

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MIGNET Cristina, siete bella, gentile, e… spiritosa. Difficile resistervi…

CRISTINA (attirandolo sul suo petto, con un movimento che le è consueto, e che abbiamo già visto nel dialogo con La Fayette, gli sussurra all’orecchio) Raccontano che sono stata la prima donna che avete avuto…

MIGNET (risponde anche lui in un sussurro) Potreste essere anche l’unica…

CRISTINA (staccandosi dall’abbraccio, un po’ ironica) Un grande amore? (Pausa). No, il vostro unico vero grande amore sono i libri di storia.

MIGNET Il lavoro è una consolante risorsa. Ed è anche un grande piacere. Ogni giorno, per molte ore, indagando la storia, io vivo nella più interessante compagnia… E mi occupo assai poco delle miserie di questo mondo.

CRISTINA (che ha inseguito il suo pensiero) Peccato… Perché siete un uomo eccezionale. Un uomo raro, di questi tempi, e in questa nostra società. Riuscite ad essere dolce e tenero; riservato e paziente; fedele fino alla abnegazione. So che potrei chiedervi financo di scrivermi le minute delle lettere da inviare ai miei ammiratori. Non mi direste di no… (Siede in poltrona). MIGNET (va davanti a lei, in piedi, timido, ma fermo, in un sospiro) Cristina…

CRISTINA (a bassa voce) Se avrò un figlio, vorrei averlo da voi. (Mignet cade in ginocchio ai suoi piedi e affonda il volto nel grembo di lei. Lei torna ad accarezzarlo sui riccioli del collo) Se sarà femmina, la chiamerò Maria. Come vostra madre. (Pausa lunga). È per questo che sparlano… gli sciocchi… Non capiscono che il vostro carattere sfugge alla banalità dei canoni della virilità. Avete delle qualità femminili, se così posso esprimermi… Sapete come accostarvi al mio corpo… Nel modo più giusto… Con una dedizione assoluta, tanto stupefacente quanto voluttuosa… Solo voi avete la pazienza di accarezzarmi per un tempo infinito, individuando i punti esatti… Stupisce che… che sia stato così sin dalla prima volta… Come se aveste sempre conosciuto i segreti del mio corpo… Con le vostre mani piccole e delicate, come quelle di un pianista. Non siete mai egoista. Pensate sempre, prima di tutto, alla vostra compagna. Può darsi che c’entri un po’ la differenza di ceto sociale; siete diventato un intellettuale importante, ma continuate a sentirvi il figlio del fabbro ferraio. La pelle bianca della Principessa vi crea turbamento. Ma non è solo questo, lo sento. Voi prefigurate un uomo nuovo, l’uomo del futuro, capace di riconoscere ed accettare, serenamente, la propria nascosta dimensione femminile.

MIGNET (si rialza e si stacca da lei; cammina, parla volgendole le spalle). Mi sento complementare a voi. Percepisco la vostra dimensione maschile: forza, coraggio, gusto dell’azione, della lotta. Perseveranza, tenacia. La lucidità del vostro cervello, la prontezza con cui assumete delle scelte, cambiate passo, fare delle svolte, e delle giravolte, quando servono. Soltanto… non riesco a condividere l’attrazione che la vita mondana esercita su di voi. Non ci sarò, sabato sera, quando aprirete il vostro salotto. Non sopporto quel maledetto musicista.

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CRISTINA Vi illudete che sia la vostra origine umile a farvi detestare la conversazione da salotto, ma non è così. L’ho già detto: siete un ottimo parlatore. E, comunque, la mondanità mi serve: per le mie trame politiche. No, il punto è che siete in-sop-por-ta-bil-men-te geloso. In particolare del maestro Liszt. Che peraltro viene già oggi, al repas frugal de midi, riservato agli amici intimi.

MIGNET Sono geloso delle torme di spasimanti che ronzano intorno a voi. Detesto Heine, ma anche Musset.

CRISTINA Il signor Heine, in verità, è un tedesco impertinente…

MIGNET (con un timbro duro nella voce) Mi chiama il segretario perpetuo…

CRISTINA Vi considera un pedante, un narcisista. Anche lui è geloso. Geloso di voi. Ma, lui, ha qualche ragione. Voi, invece… voi vi vergognate della mia condotta, e siete fiero della vostra. Mi considerate una creatura instabile, capricciosa, frivola. Forse sbagliate. Forse sbagliate anche su di voi. Impeccabile, sicuro della vostra coscienza, vi considerate il modello del genere umano. (Pausa, ironica). È il vostro solo limite, peraltro, mio splendido amico…

MIGNET (che non l’ha ascoltata, concentrato nel suo dolore, con sincerità quasi infantile) Sono arrivato a essere geloso persino del generale!

CRISTINA Avete origliato dietro la porta?

MIGNET Non ne avevo bisogno. So benissimo le cose che pensa e che dice. Ma sbaglia. Certo, solo la metà degli obiettivi della rivoluzione di luglio si è realizzata. Lo scopo è stato raggiunto in Francia, ma non ancora in Europa, dove il sistema controrivoluzionario della Restaurazione è dominante. Ma questa seconda parte si realizzerà, sebbene con maggior lentezza. Non sarà come nell’89. Questa volta non strariperemo più come un torrente sull’Europa. Terremo presente l’esperienza degli eccessi passati.

Terza Scena (Stessa scena, di seguito alla precedente).

(Entra Liszt, in compagnia di Heine).

CRISTINA Oh, che felice incontro su per le scale, fra due artisti di diverso ma eguale valore!

LISZT Vi avverto, Principessa, il signor Heine non apprezza per nulla le nostre comuni partecipazioni alle predicazioni dei seguaci di Saint Simon.

MIGNET Predicazioni?

CRISTINA Il termine è un po’ inconsueto, ma è il vocabolo usato dagli spioni austriaci, nei loro rapporti sui miei movimenti.

HEINE (con leggero accento tedesco) Ma davvero potevano interessarvi quelle balorde riunioni, mia cara

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Principessa?

MIGNET (con disprezzo non celato) Fanfaluche misticheggianti, orgia da misteri orfici…

HEINE (concordando a malincuore con Mignet) Caricatura di una chiesa, con le sue gerarchie e i suoi rituali.

CRISTINA Però sapevano essere persuasivi… Mi facevano intendere che avrei potuto diventare papessa. No, il mio cattolicesimo mi basta ed avanza. Ma mi affascinava la loro denuncia della condizione della donna in Europa. La loro insistenza sul fatto che la donna deve essere uguale allo sposo.

HEINE Un trucco miserabile per arrivare a una specie di epicureismo di bassa lega: le donne ammesse ai misteri sansimoniani… come scorciatoia al libertinaggio.

LISZT Il libertinaggio ha una gloriosa tradizione, in Francia, signor Heine; non mi pare che ci fosse bisogno di Saint Simon per arrivare a questo…

CRISTINA (con lieve ironia) Voi, caro Heine, non siete la persona giusta per comprendere il problema della uguaglianza della donna…

HEINE (autoironico) So, cara Principessa, che non capite la mia relazione con una guantaia…

LISZT E’ una bella giovane… (Ironico) Molto giovane… Diciamo di vent’anni più giovane di voi?

HEINE Diciotto, per la precisione. Semi-analfabeta. Non è in condizione di leggere un solo dei miei versi. E’ questo che volete dire?

LISZT Come recita, quella vostra poesia? (Cita, a memoria, con enfasi caricaturale ) “Questo viso mi perseguita, notte e giorno, come un enigma che vorrei risolvere”.

HEINE (seccato) Non è una poesia. E’ prosa. C’è qualche differenza, mio caro musicista, fra prosa e poesia! Dovreste saperlo! (Si allontana, adirato, in un angolo del salotto, in proscenio).

(Silenzio imbarazzato).

CRISTINA (mondana, disinvolta, con linguaggio volutamente formale, rivolta a Mignet e Liszt, che indirizza verso il salottino). Favorite un bicchiere di champagne. Mignet, per cortesia, voi che siete più di casa, provvedete con la servitù alla bisogna…

(Mignet e Liszt penetrano nel salottino, e li si vedrà di tanto in tanto passeggiare in lontananza, chiacchierando fra di loro e bevendo. Cristina si accosta a Heine, in proscenio).

HEINE (piano, a Cristina). Vi confesso, Principessa, che non posso apprezzare la vostra indelicatezza. (Dopo una pausa, esitante, imbarazzato). Voi sapete bene che quelle righe fanno parte di un biglietto che ho avuto la debolezza di inviarvi…

CRISTINA Era rimasto nel vassoio, e, lui, quel giovinotto male educato, ha avuto la sconvenienza di

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leggerlo, dovete credermi.

HEINE Signora, io non scherzo, e non lusingo. Giorno e notte mi arrovello per indovinare il significato di questo vostro viso, che dovete aver rubato a qualche quadro del Quattrocento, a qualche vecchio affresco della scuola lombarda. Vedo come dei simboli, in questi occhi inauditi, in questa bocca misteriosa, in tutti questi lineamenti che non sembrano esistere nella realtà. (Con linguaggio prezioso, da poeta). Talché pavento sempre che tutto ciò evapori un bel mattino. (Con esaltazione). Voi siete una Madonna lombarda!

CRISTINA E voi siete un poeta, che abbellisce e trasfigura tutto, che tutto rende alato. Come è già che chiamate la vostra… la vostra guantaia?

HEINE Mathilde. Ti-acca. Ma si chiama Crescenzia Eugenia.

CRISTINA Crescenzia? Oh, che bel nome!

HEINE (con calore temperato dalla amarezza) Io so che non posso sperare nulla, mia amata Principessa…

CRISTINA Voi mi siete molto caro…

LISZT (uscendo dal salottino, seguito da Mignet, rivolto a Cristina). Ho appena confessato al signor Mignet che questa mattina il mio fedele cameriere e factotum è entrato da me con le orecchie così (mima le orecchie basse), la coda bassa, e ha sussurrato: “Maestro, la borsa è a secco. Occorre partire”.

CRISTINA (sorridendo, con ironia). Non sarà la prima volta. Voi siete perennemente in viaggio. Percorrete le capitali d’Europa, raccogliete centinaia di migliaia di franchi, e tornate a Parigi a dissiparli in poche settimane. Però fate delle sottoscrizioni a favore di indigenti, incendiati, alluvionati… Le calamità pubbliche sono sensibilmente ridotte dalla vostra generosità.

LISZT Non è molto diverso da ciò che voi fate con le vostre ricchezze, Principessa. Differisce solo il destinatario. Nel vostro caso: patrioti, disgraziati, molto spesso autentici lestofanti, che non hanno nemmeno gratitudine per la mano che li sfama.

CRISTINA Sabato prossimo, al mio salotto, avrò appunto bisogno di voi, per raccogliere fondi per i miei patrioti. Potreste avere la bontà di suonare il duetto dei Puritani su cui il nostro buon amico Bellini sta lavorando e che ci ha cortesemente anticipato?

MIGNET (leggermente ironico) Più che amico… diciamo ammiratore… (Citando quindi un verso del finale del secondo atto dell’opera) “Patria, vittoria, onor!”

CRISTINA (ribattendo ironia su ironia, cita due altri versi dello stesso punto) “Bello è affrontar la morte / gridando Libertà!”. (Pausa). Ho invitato anche Thalberg, che può piacere a qualcuno, sebbene voi sappiate perfettamente che da sempre io ho accordato la mia preferenza tutta a voi.

LISZT (con degnazione nei confronti del rivale). Piacerà agli austriacanti… Da pianista ufficiale della Corte di Vienna, quale è…

CRISTINA Siete ingiusto. Piace per la distinta compostezza dei modi e la finezza del tratto.

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HEINE E’ un gentleman musicale, che, in fin dei conti, non avrebbe bisogno di suonare il piano per essere ricevuto ovunque, con piacere.

MIGNET Questa, dovrebbe essere una lode? O è una cattiveria?

CRISTINA Voi, maestro, siete meno composto: più agitato, istrionico. Ma anche più geniale.

LISZT Vi sono grato, perché vi so appassionata davvero di musica, e buona intenditrice.

CRISTINA Vi ammiro al punto di avervi perdonato delle gaffes colossali!

LISZT Come quando invitaste a pranzo Chopin, Meyerbeer, Herz e altri che non ricordo… Lo avevate fatto in mio onore… E io – infinitamente goffo e villano – dimenticai il giorno dell’invito, e… non venni.

CRISTINA Il signor Mignet, invece, non vi ha mai perdonato.

LISZT Mi è noto. Mi avete riferito la sua sentenza di morte nei miei confronti.

MIGNET (ripetendo la battuta di allora, con freddezza). “C’è una grande confusione nella testa di questo giovanotto”.

HEINE Troppi successi. Il successo dà alla testa.

CRISTINA Invidioso, il nostro caro Heine? (Prende sottobraccio Liszt e lo conduce lontano dagli altri due).

MIGNET (sia pure di controvoglia, accettando il gioco di Cristina, con ironica allusività al rituale mondano). Caro Heine, lei non ha bevuto… Venga… (Lo indirizza verso il salottino, mentre ordina a voce alta alla cameriera nel salottino:) Une flûte per il coronato poeta Heine!

(Anche in questo caso si vedranno di tanto in tanto Mignet e Heine passeggiare sul fondo, nel corso della conversazione fra Critina e Liszt).

CRISTINA (sottovoce, a Liszt). Successi musicali, e successi femminili… Molti successi femminili, mio bel signorino…

LISZT Sapete, nelle tournées ci sono successi che non ci si aspetta, ma anche successi che si desidera e che, invece, non arrivano… Piazze dove si vorrebbe trionfare, ma che non rispondono alle aspettative… e al desiderio…

CRISTINA Letti a due piazze, intendete, dove vorreste essere accolto…?

LISZT … ma dove non sono accolto, ahimé… (Pausa. Guardandola negli occhi). Principessa, anch’io, come il povero signor Heine, vi considero un mistero.

CRISTINA Mistero è una parola troppo impegnativa.

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LISZT Perché non mi volete dire che non mi amate per il semplice motivo che sono insopportabile, detestabile?

CRISTINA Vi dico che, forse, semplicemente, il nostro tempo non è ancora venuto.

Quarta Scena

(Entra Musset, che saluta enfaticamente la padrona di casa. Si capisce che ha bevuto un po’).

CRISTINA Caro Musset, vi aspettavo per sabato prossimo, ma sono lieta che vi siate preso la libertà di passare anche oggi.

MUSSET Il mercoledì a midi c’è sempre un breve pasto frugale per gli amici del cuore. Mi sono permesso di considerarmi uno dei pochi. Ma devo scusarmi di aver dimenticato di prevenirvi, almeno con un biglietto.

CRISTINA Confessate, amico mio: dimenticato… perché avete già bevuto… sin dal primo mattino…

MUSSET Ma, in realtà, ho anche da comunicarvi un piccolo segreto.

(Si riaffacciano nel salone anche Mignet e Heine).

CRISTINA Dunque, subito il segreto!

MUSSET (stupito). Così, davanti a tutti? Il segreto è solo per voi, mia signora.

HEINE (pronto, per vendicarsi della indiscrezione di Liszt di cui sopra). La nostra amabile padrona di casa non ha segreti per la cerchia ristrettissima dei suoi amici, almeno per quelli molto molto intimi…

CRISTINA Troppo giusto, signor Heine. Il nostro Musset ne terrà conto.

MUSSET (esitante) Potrei dirvelo in poesia. Sarei meno imbarazzato…

LISZT (maligno, come quasi sempre) Un certame musicale per il sabato, e una gara poetica per il mercoledì. Bene. Abbiamo giusto due poeti a confronto: il signor Heine e il signor Musset; scuola tedesca e scuola francese…

CRISTINA No, per carità! Non amo punto la poesia! A Genova mi chiamavano la signora misopoesia!

MIGNET (a Musset) Dovete rassegnarvi a raccontarci il vostro segreto in prosa.

MUSSET (finalmente disinvolto) In prosa, sarà prosaico, ma anche spiccio: sono stato piantato. Tutto qui. Pi-an-ta-to!

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MIGNET (ingenuamente, come di chi non è troppo al corrente di pettegolezzi) Piantato da chi?

MUSSET Dalla mia dama, dal mio amore. (Rivolto a Cristina, per via della citazione dantesca). “E il modo ancor m’offende”.

CRISTINA Eravate a Venezia, in un delizioso viaggio d’amore, per quanto sapevo…

LISZT … con la baronessa Aurora Dudevant, in arte meglio nota come George Sand…

MUSSET Piantato, piantato! Vergognosamente piantato! (Pausa. Si asciuga teatralmente con il fazzoletto una lacrima, quasi sicuramente falsa). So che non è cavalleresco dirlo, ma non posso non dirlo, il mio petto sta per esplodere dalla rabbia… se non lo dico…

HEINE Ditelo, ditelo: avete un po’ bevuto, e dunque siete scusato…

MUSSET … ha incontrato un bellimbusto italiano, ed è fuggita con lui. Il dottor Pagello! Ci si può chiamare in questo modo ridicolo? Il dottor Pagello…

CRISTINA Su su, non cominciamo a parlar male della mia patria… anche se vi ha fatto soffrire, per via del dottor Pagella.

MUSSET (correggendo) Pagello, Pagello!

LISZT (visibilmente annoiato, per cambiar discorso). Mia ottima Principessa, se il certame è per sabato, dovrei chiedervi il permesso di verificare il vostro strumento…

CRISTINA Accomodatevi, vi prego. Suonateci qualcosa, prima del ristoro. Non vorrei approfittare troppo della vostra squisita cordialità.

(Liszt si indirizza nel salottino, dove è il pianoforte, seguito da tutti gli ospiti, ma Cristina fa cenno a Musset di trattenersi nella sala di ricevimento. Durante la scena che segue si udrà Liszt suonare più volte il brano dei Puritani sopra citato, e, eventualmente, altri brani della stessa opera. Si vedranno al tempo stesso passeggiare, di tanto in tanto, Mignet e Heine).

CRISTINA Il maestro Liszt è un artista eccellente, ma anche un uomo dalle maniere squisite.

MUSSET In che senso?

CRISTINA Durante una tournée a Milano, per compiacermi, ha accettato di suonare, in privato, a titolo gratuito, sul pianoforte arci-pessimo di una mia amica, la mia antica maestra di disegno. Una cosa di rara delicatezza.

MUSSET Il vostro pianoforte, Principessa, non è affatto arci-pessimo.

CRISTINA (avvicinandosi a lui, e guardandolo negli occhi). Voi mi nascondete qualcosa. Non avete l’aria così disperata, per essere stato congedato dalla vostra dama.

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MUSSET (con posa melodrammatica) Mi auguro che ora voi possiate aprirvi alla mia passione. Voglio dirvi, come un ussaro, che sono tre anni che vi amo pazzamente!

CRISTINA Durante i quali, però, avete continuato a intrecciare… – come dire? – amori plurimi, e qualche volta decisamente disdicevoli, con sartine, modiste, guantaie, e… e persino filles de joie. Amanti venali… molto pericolose, peraltro, come potete immaginare. Da ogni punto di vista… (Pausa). Qualche volta, poi, siete stato assolutamente insolente. Non ricordate? Mandaste due biglietti alla volta, uno a me e l’altro a una…

MUSSET … modista, Margot.

CRISTINA Già, Margot… Invertiste i biglietti, e mi toccò quello un po’ più rude e spiccio destinato alla…

MUSSET … alla modista, Margot. (Pausa). Foste coraggiosa, in quella occasione, ad accettare di venire con me in quel localaccio che avevo scelto per Margot.

CRISTINA (ricordando) Cucina casareccia ma saporosa: zuppa di cipolle e cozze marinate, se ricordo bene…

MUSSET (ancora stupito nel ricordo) Ricordate benissimo. Non sembravate nemmeno intimorita…

CRISTINA Intimorita? E di che? Voi, allora, eravate nella Guardia Nazionale. E facevate il vostro servizio mensile di guardia. Non potevo certo essere in pericolo in compagnia di un uomo nell’uniforme della Guardia Nazionale!

MUSSET Mi avete sempre punito, Principessa, frustrato, metaforicamente anche frustato… Vi ricordate quando mi invitaste a Versailles?

CRISTINA A Port-Marly, più precisamente. Avevo affittato una villa per l’estate. Non eravate solo. C’erano altri invitati: Mignet, Liszt.

MUSSET (piccato) Certo, certo! Quelli, ci sono sempre…

CRISTINA Non è colpa mia se, passeggiando, cadeste…

MUSSET Per la storta al piede, rimasi immobilizzato a letto… per otto giorni. Ma la sera… in cui, roso dalla gelosia, mi affacciai con gran fatica sulla porta del salone, vi vidi baciare il pianista con cui suonavate a quattro mani…

CRISTINA Solo un innocente bacetto sulla guancia al povero Liszt. (Pausa). Con la coda dell’occhio mi ero accorta di voi, e lo feci ad arte.

MUSSET Lo so, non mi amerete mai. (Pausa). Eppure vi ho tenuto la mano. L’ho baciata – la vostra mano – durante un’intera ora. E voi mi avete lasciato fare. Ciò nonostante… non potete accettare di amarmi. Nemmeno vi corteggiassi per dieci anni.

CRISTINA Per il momento ne sono passati solo tre.

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MUSSET Sento in voi la stessa forza che c’è in George Sand. È questo che mi attira. Ma George è ancora più crudele di voi. In un momento di febbre e delirio, mi ha scritto una lettera orribile… mi ha rimproverato… che non ero stato capace…

CRISTINA (comprende subito, ironica e un po’ cattiva). Ma non è possibile, mio caro… Proprio voi… Non siete uno scatenato libertino, sempre involto nell’arte variopinta ed estrema dell’eros?

MUSSET (svelando tragicamente tutta la propria fragilità). Solo crapula con donne di strada… (Con amarezza, andando verso di lei, che gli apre maternamente le braccia, confessandosi sotto l’effetto dell’alcool). Ha scritto… (Pausa). Che non ero stato capace… di darle… i piaceri dell’amore… (Affonda il capo sul seno della Principessa, che alza gli occhi in alto, nel consueto stiramento d’abbandono che abbiamo già colto precedentemente, con La Fayette e con Mignet).

CRISTINA (accarezzandolo sul collo, mentre lo stringe a sé, sempre più materna). Oh caro, caro ragazzo…

(Liszt ha smesso di suonare. Mignet compare sull’uscio, con l’aria seccata perché geloso).

MIGNET Se posso permettermi… è servito in tavola… (Esce).

CRISTINA (sempre tenendo premuto sul proprio petto il capo di Musset squassato da lacrime questa volta quasi sicuramente autentiche). Certo, certo, veniamo… Oh, che furia, che furia, fanciullone mio… Che sofferenza, questa vita… Che sofferenza…

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SECONDO QUADRO

1840-1847: a Locate tra maternità e filantropia

CRISTINA, DIVENTATA MADRE NEL 1838, NEL 1840 TORNA A CASA, E SI SISTEMA A LOCATE, NELLA BASSA LOMBARDA, IN UNA VILLA DELLA FAMIGLIA TRIVULZIO. DOPO LA COSPIRATRICE DA SALOTTO È LA VOLTA DELLA RIFORMATRICE

Prima Scena (Locate, villa Trivulzio, grande sala da lavoro, semplice, spartana, con ampia vetrata sul fondo, che dà sul paesaggio della campagna. Una scrivania sulla parete destra, due poltrone in proscenio. Uscita in fondo a sinistra. In scena Cristina, che guarda la campagna, di spalle al pubblico, sul fondo. In proscenio, che guarda verso il pubblico, Ernesta Bisi, la sua antica maestra di disegno, in piedi).

ERNESTINA Così… sei tornata a casa.

CRISTINA (dopo un lungo silenzio) Non reggevo più. (Pausa). Te l’ho scritto, qualche volta. Alla fine ho capito che il vivere con sé è il miglior partito. Vi è un vuoto che non può essere riempito se non da ciò che viene da più su, e scende nel nostro cuore. Cercare questo elemento di pace negli altri è follia.

ERNESTINA Non eri felice?

CERISTINA Felice? Non credo. Ma da qualche tempo mi è cresciuta una gioia – dentro il cuore, tutta mia –, e credo proprio di vivere la felicità. Hai visto l’angioletto presso cui sono rinata. Nell’amore di quella creatura io ho trovato la forza di rinunciare a tutte quelle lusinghe che mi potevano staccare da lei. La nascita di Maria mi ha reso definitivamente insopportabile la vita mondana dei salotti. Parigi era diventata una prigione. Per sei mesi sono fuggita in Inghilterra, credo di avertelo scritto.

ERNESTINA Mi hai scritto che trascorrevi delle ore, sdraiata sul prato, a vedere passare le nuvole. Insieme alla bambina, nel castello che avevi preso in affitto.

CRISTINA Sei mesi di vita semplice: mi alzavo alle tre del mattino, nessuna toilette, nessuna conversazione, niente di niente. Passeggiate in una natura selvaggia come l’Arabia. (Pausa). Sogno l’Arabia. Una volta, mi piacerebbe andarci…

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ERNESTINA (timidamente, alludendo al padre della bambina, che peraltro non conosce) Non hai lasciato rimpianti, a Parigi?

CRISTINA L’amore di madre fa impallidire tutti gli altri amori. Ernestina, non c’è passione, per quanto focosa, che possa essere paragonata a questo affetto di una madre per il proprio figlio. Un sentimento in apparenza tranquillo, regolare, illuminato. E poi Parigi ne aveva abbastanza di me. E io ne avevo abbastanza di Parigi. (Pausa. Cristina si volta, e avanza verso Ernestina). Comunque avevo bisogno di tornare. Anche per arrivare a un accordo con mio marito. (Abbassando la voce, in un sussurro). Deve riconoscere Maria.

ERNESTINA (anche lei a bassa voce) Si oppone?

CRISTINA Naturalmente. Ma lei deve avere il suo nome. Per lei. Per la sua dignità, il suo futuro. E insomma, mi sembrava che la bambina potesse crescere meglio qui, in campagna, all’aria aperta. Si fa così bella, che ognuno si ferma ad ammirarla. Ma non ha quel che i francesi chiamano éclat, perché è pallida, ed ha tratti così fini che non risaltano. Oltre ai propri meriti, ha anche quello di assomigliare a una persona che a me… fu tanto cara.

ERNESTINA (ancora più timidamente, sempre alludendo al padre misterioso) Proprio acqua passata? Per sempre?

CRISTINA (pensierosa) Vedremo. Non so, devo pensarci… (Avvicinandosi a Ernestina e prendendole le mani). Ti sono tanto grata di essere venuta tu ad attendermi. (Pausa). Mi sei venuta incontro, a una giornata da Milano. Perché io potessi vederti prima di tutti gli altri… Di quelli di cui mi importava meno. Scomparsa la mamma, dispersi i parenti… Sono rimasta sola. Ma tu c’eri, la mia cara maestra di disegno… e di Carboneria. (Si guarda intorno). Non mi par vero di ritrovarmi di nuovo nella mia nicchia, fra libri e silenzio. La casa è ben riparata dall’aria e dal chiasso di fuori. E per la prima volta in vita mia mi accade di avere il tempo di fare tutte le cose mie senza affrettarmi.

ERNESTINA È il tuo “natio borgo selvaggio”, come dice il poeta…

CRISTINA Questo è il mio luogo, e non Parigi. Qui sono le mie radici. A Parigi, tutto ciò che può succedere di meglio è di non fare né bene né male. A Parigi le Marie possono nascere, ma crescono male. Hanno bisogno di quiete e silenzio; e gli affari, gli scherni, le chiacchiere le ammazzano. Chiusa nei miei libri, da cui non mi allontano se non per occuparmi di Maria, qui io riesco a rientrare in me stessa, mentre a Parigi, sovente, mi accadeva di cercarmi senza trovarmi. (Va alla scrivania, dove stanno allineati un po’ dei libri che ha portato da Parigi. Li accarezza). Lo sai che ho dovuto chiedere anche il passaporto per i libri? (Sorride). Ma gli Austriaci, su questo, sono stati tolleranti: nessun libro sequestrato. Non hanno voluto nemmeno consultare la lista che avevo preparato.

ERNESTINA Qui avrai molto da fare, se vorrai. Oltre a occuparti di Maria.

CRISTINA Lo so. I bambini di questo mio paese sono nella più miseranda fra le condizioni umane. Ai neonati danno dell’oppio o dell’alcool, per farli dormire, che non disturbino i genitori che lavorano tutto il giorno. Li fanno anche divorare dai pidocchi che – secondo loro, chissà perché – avrebbero l’effetto di un purgante. Durante l’inverno vivono nelle stalle, con gli animali, in mezzo agli escrementi delle bestie.

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ERNESTINA Fanno pena a vederli. Molti hanno febbri, piaghe. E tutti sono sporchi…

CRISTINA Abituati a essere picchiati, a mangiare porcherie, a non rispondere, a rubarsi l’un l’altro. Fanno pietà, ma anche un po’ di ribrezzo… Ora, io li vedo, come non li avevo mai visti prima. Li vedo perché ho la mia Maria. E farò qualcosa per loro. (Pausa). Per quelli che stanno negli orfanotrofi è anche peggio. Ho letto un articolo di Ferrante Aporti: fra il 1830 e il 1839, a Santa Caterina, il più grande orfanotrofio della Lombardia, sono morti 14.000 bambini, su 27.000 ricoverati.

ERNESTINA Sono tanti, perché l’aria delle paludi e il lavoro ammazzano i genitori, che muoiono giovani. Poche sono le coppie che arrivano a tarda età. Qua tutti hanno il patrigno o la matrigna; alle volte hanno l’uno e l’altra.

CRISTINA Farò degli asili, aprirò delle scuole. Voglio dei corsi che insegnino qualche nozione sulle leggi della natura: un po’ di meccanica, di agricoltura. Dei laboratori artigianali per rilegatori di libri, per restauratori di quadri, ma anche per pittori. Nei nostri paesi un po’ di cognizioni gioverebbero ai lavori così complicati della campagna, e servirebbero anche a dare un mestiere ai contadini, che possano guadagnarsi il vitto durante l’inverno.

ERNESTINA Occorrono le prime nozioni di igiene e di puericultura. Ma non potrai fare tutto questo da sola.

CRISTINA Mi aiuterai tu, Ernestina. Ora che ti ho ritrovata, non intendo perderti. E poi c’è la signorina Parker, che ho conosciuto in Inghilterra, e che ho condotto qui con me. Mi è stata di grande aiuto con Maria: mi ha insegnato trucchi e segreti della maternità. Sai, in Inghilterra hanno una visione più aperta nei confronti delle donne che diventano madri. È una donna di valore. Le piace suonare, e adora l’opera italiana. (Aggirandosi per la stanza, sempre più frenetica, nelle sue visioni di riforme). Voglio trasformare una sala di Villa Trivulzio in uno scaldatolo pubblico , dove le madri possano riscaldarsi con i propri bambini.

ERNESTINA Chissà se i nostri contadini, abituati al putridume delle loro stalle, accetteranno…

CRISTINA (con durezza) Farò inchiodare le porte delle stalle, per impedir loro di entrarvi! (Pausa, tornando calma e visionaria, mentre cala lentamente la luce). Voglio una mensa, che dia minestre a pochi soldi. E poi ci vogliono medicine per gli ammalati, abiti per le ragazze più povere, delle doti quando vanno spose…

Seconda Scena (Stessa scena, un anno dopo. Cristina è sul fondo, di spalle al pubblico, che guarda la campagna attraverso la vetrata, come all’inizio della Prima Scena. Il Parroco è seduto su una poltrona, in proscenio, di profilo rispetto al pubblico. Stanno seguitando un discorso già incominciato).

IL PARROCO Naturalmente sono molto onorato che la Principessa si sia degnata di farmi leggere il suo saggio ponderoso… La mia padronanza del francese non è certo all’altezza di quello della Principessa, ma abbastanza per avermi consentito di capire…

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CRISTINA È solo un abbozzo. Sono pagine provvisorie. L’ho incominciato a Parigi, quando aspettavo Maria, ma devo ancora approfondire meglio vari punti. Mi è stato di molto aiuto. L’ho fatto per me. Ora che non aspetto più gioia a me propria, che ho finito di vivere per me, non provo né stanchezza né abbattimento. Confido in Dio nel modo stesso in cui ho sempre confidato.

IL PARROCO (un po’ ingenuo ma anche un po’ imbarazzato) Certo, devo confessare prima di tutto di essere rimasto davvero stupefatto da una così ampia dottrina teologica, quale la Principessa mostra di possedere…

CRISTINA (ironica, ma volutamente enigmatica). Anche voi pensate che ci sia un ghost writer?

IL PARROCO (confuso) Come? Perdoni, non capisco…

CRISTINA (condiscendente) Scusate, padre, avevo dimenticato che vi sfugge la lingua inglese… Voglio dire che a Parigi insinuarono subito che a scrivere – il mio saggio – fosse l’Abate Coeur, un predicatore che frequentava un po’ il mio salotto…

IL PARROCO (ancora più confuso) Lungi da me, cara Principessa…

CRISTINA Lasciamo andare, non si preoccupi, caro reverendo. Lei deve dirmi però se funziona, se tutto è sostanzialmente corretto. Non mi piacerebbe che il mio libro – se pure riuscirò a terminarlo – finisse… – come dire? – nell’Indice dei Libri Proibiti…

IL PARROCO Oh no, direi proprio di no… Sebbene… (Esitante) Cioè, voglio dire, che qualche punto, effettivamente, è discutibile… Nel senso letterale, che si può discutere, ma serenamente… Forse, ecco, su certi passaggi… occorrerebbe essere un po’ più prudenti… Per evitare che possa sembrare… che ci sia – come posso esprimermi? – un fondo … sia pure un fondo soltanto… un sentore di Gnosi un po’ troppo accentuato… ecco… (Sbuffa per aver molto sofferto a tirare fuori il rospo).

CRISTINA Mi rendo conto, ma ho sempre avvertito – anche nella mia esistenza – questa presenza forte del male nel mondo. E comunque lo stesso Sant’Agostino, che certo non è mai stato condannato dalla chiesa… (Infervorandosi, ma spostando un po’ l’argomento). Voglio dire… che mi colpisce il senso della distanza immensa, che c’è fra la perfezione della Luce assoluta che è Dio, e il basso mondo terrestre impastato di fango. Qualcuno ha immaginato come una catena, che, discendendo, perda… progressivamente di luminosità. E però io mi chiedo…

(Entra Miss Parker, dopo aver bussato alla porta e aver ottenuto da Cristina il permesso di entrare. Parla un italiano ancora incerto, con forte accento inglese, mescolando ogni tanto parole della sua lingua).

PARKER I’m sorry, Milady, arrivata una lettera del signor Thierry.

CRISTINA Grazie, cara; puoi lasciare sul tavolino.

(Missa Parker esegue ed esce).

IL PARROCO (lieto che Miss Parker abbia interrotto un discorso che si faceva per lui difficile e penoso, teologicamente pericoloso, ne approfitta per cambiare decisamente argomento). È il famoso storico

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francese?

CRISTINA (lo fissa negli occhi con freddezza, perché ha capito che preferisce evitare la discussione teologica, e risponde dopo un pausa intenzionale) Augustin Thierry, sì, è lui.

IL PARROCO La Principessa ha sottoposto anche a lui le sue pagine sulla formazione del dogma cattolico??

CRISTINA No, Thierry è un amico fraterno. Mi ha accolto, molti anni fa, nel sud della Francia, quando abbandonai l’Italia, ed era già cieco. Mi indirizzò a un suo amico, Mignet, che mi ha molto aiutato. Poi l’ho rivisto a Parigi. Ha frequentato un po’ la mia casa. Sua moglie, morendo, mi ha raccomandato con molto calore il povero invalido, preso ormai anche da una paralisi progressiva, per il momento agli arti inferiori.

IL PARROCO La signora conosceva bene il buon cuore della Principessa.

CRISTINA L’ho tenuto con me, fuori Parigi, a Port-Marly, una abitazione di campagna, e anche a Parigi, sistemandolo in un padiglione della mia casa. (Pausa). Un uomo di rara intelligenza, che la cecità ha reso ancora più capace di leggere nel cuore dell’uomo. (Breve pausa). E nel cuore delle donne… (Pausa). Non ho intenzione di abbandonarlo, e conto di passare ogni anno alcuni mesi a Parigi, con lui, i mesi estivi.

(Lunga pausa).

IL PARROCO Troppo giusto, cara Principessa. Il Signore apprezza molto la fedeltà negli affetti… (Si blocca imbarazzato, consapevole della gaffe involontaria che ha commesso). Voglio dire… che occuparsi dei malati è un precetto del Vangelo…

CRISTINA (guardandolo negli occhi, con una certa freddezza ostentata). So a cosa allude, padre. Ma glielo dirò – nel sacramento della confessione glielo dirò – quale infamia ho dovuto sopportare da mio marito…

IL PARROCO (forte della sua fede, nonostante la subalternità sociale). Bisogna sforzarsi di sopportare comunque la propria croce, cara Principessa…

CRISTINA (come sopra) Anche quando non si tratta solo di turpitudini, che un marito impone alla moglie? Anche quando – per colpa della sua vita viziosa – arriva a ferirla nella carne, a devastarne il corpo, come una lebbra? Il corpo innocente di una vergine?

IIL PARROCO (ammutolito e sconvolto, perché ha intuito che Cristina allude alla sifilide che il marito le ha trasmesso, di nuovo cambiando discorso, per sottrarsi all’angoscia della situazione) Ma io volevo anche esprimervi tutta la mia riconoscenza, Principessa, per aver fatto in modo che nelle vostre terre, e in tutti i paesi delle vostre terre, fosse disposta la chiusura delle osterie durante le funzioni religiose, e oltre le ore nove della sera. Nel giro di un anno, da quando voi siete tornata, abbiamo visto scemare l’ubriachezza, le liti, le coltellate. (Con soddisfatto compiacimento). E – devo dire – la mia chiesa è piena come non è mai stata…

CRISTINA Sì, controllo che i parenti mandino i figli alla scuola; faccio arrestare i ladri e gli attaccabrighe. Ho cura delle strade. I regolamenti sono buoni, ma questa benedetta indolenza dei nostri fa sì che non siano mai rispettati. Io però mi son fitta in capo di adempiere rigorosamente il dovere che mi sono imposta.

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IL PARROCO Bisognerà però usare prudenza…

CRISTINA I precetti del cristianesimo sono chiari, caro padre…

IL PARROCO Certo, Principessa, ma vanno interpretati con giudizio, perché non abbiano a nascere disordini e pericolosi appetiti… Comunque è bene che la mala pianta del bruto si sia fatta uomo. Grazie a voi quei villani puzzolenti ascendono alla vita civile. Ma mi chiedo se non c’è fondamento di verità nella domanda che si pone Sua Eccellenza Alessandro Manzoni: “Quando saranno tutti dotti, a chi toccherà coltivare la terra?”

CRISTINA (improvvisamente adirata) Reverendo, per favore, non mi parlate di colui! (Con trasparente disprezzo, alludendo allo scrittore). Di quelli che da noi chiamano letterati, e si acquistano come tali una fama sterminata, la quale non riesce a valicare le mura della città in cui sono nati!

IL PARROCO Non vorrete dirmi, Principessa, che a Parigi quel nome non è conosciuto e osannato?

CRISTINA Dico che, appena tornata, sono andata a trovare la madre, che era stata molto amica della mia. Giulia Beccaria si commosse, ebbe a trattarmi con toccante tenerezza. Ma quando poi, passato un anno, sono accorsa al suo capezzale, ormai agonizzante, il signor Manzoni mi ha fatto una finezza che non meritavo e che mi riempie di risentimento. Non solo non ritenne di dovermi ricevere – nemmeno per dirmi che preferiva restare solo con il suo dolore – ma mi fece mettere alla porta da un sacerdote che voi dovete conoscere, il prevosto Ratti, lo stesso che aveva celebrato le nozze fra me e il principe Belgiojoso. Mi si è parato innanzi con volto severo e tono solenne… per cacciare l’intrusa!

IL PARROCO (stupefatto e imbarazzato) Oh! Oh!

CRISTINA (furente). Sono stata trattata come una miserabile, giudicata una peccatrice, indegna di stare accanto a una moribonda che, peraltro – Dio l’abbia in gloria, e tanto più perché l’ho sempre considerata come una seconda madre – non fu certo, da parte sua, nemmeno in vecchiaia, una Maddalena pentita!

IL PARROCO Oh, oh, cosa dice mai, Principessa!

CRISTINA (sempre più furente). E lui, comunque, il buon Don Lisander, con tutto il suo moralismo, ha bene accettato l’eredità di Carlo Imbonati, l’amante della madre! (Pausa. Con tono mutato). Non mi guardate così, padre molto reverendo… Mi esprimo in questo modo, con voi, per l’antico affetto che nutro nei vostri riguardi. (Con un sorriso). E perché, in questi mesi, abbiamo spesso giocato insieme ai tarocchi…

IL PARROCO (imbarazzato ma anche finalmente rilassato) Si figuri, si figuri… La Principessa può dire qualunque cosa…

CRISTINA (cambiando argomento, come per risarcirsi della sofferenza). Mi dicevano – i signori civilizzati – che il mio scaldatoio, per quanto ben riscaldato, sarebbe rimasto perfettamente vuoto. Ho tenuto duro. Ed ecco, dopo due giorni che lo scaldatoio era aperto, abbiamo dovuto mandar via la gente, per mancanza di posti. Tanto meglio; l’anno prossimo, ne costruirò uno più grande. Riuscirò a dare ai miei contadini delle abitudini di pulizia. (Pausa. Con sopraggiunta amarezza): E tuttavia… non è facile fare del bene a questa gente. Parlando con un vecchio contadino, ho sentito una cosa inaudita. Mi ha detto: “Quest’anno ho avuto due grazie dal Signore: mi è morto un figlio, ed è guarita la vacca”. Può immaginare tanto? Conducono una

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vita orribile, ma dicono cose orribili! Io faccio riparare le loro case, costruirne di nuove, sane, ma loro fanno resistenza, preferiscono continuare a vivere nelle stalle, non capiscono che le case vanno tenute pulite. Sono arrivati a demolire le case nuove per rubare gli infissi, e venderseli, o a bruciarli, per riscaldarsi!

IL PARROCO La maggioranza di loro, però, vi venera…

CRISTINA Sì, per fortuna. Mi considerano come qualcosa di un po’ strano, ma di bene intenzionato, al quale non possono sfuggire. Il territorio mi appartiene dall’eternità. Sono una donna sola ma non ancora troppo vecchia. Ho visitato delle nazioni lontane; ho veduto molti uomini e molte cose. Non ho paura di nulla. Parlo il loro linguaggio; mi ricordo dei nomi di tutti; conosco i loro affari meglio di loro, a volte guarisco i loro bambini e le loro donne. Enfin, non ho ancora rinunciato a nulla di ciò che ho intrapreso qui. C’è della strega in tutto questo. E quando domando a questa brava gente qualcosa che a loro sembra inaudito, mi guardano sorridendo, poi alzano le spalle, scuotono la testa, e il loro ritornello è: Faremo quel che vorrete, perché è per il nostro bene che voi lo volete.

IL PARROCO Proprio così, sante parole!

CRISTINA Il guaio è che devo essere presente. La sala di riunione, che ho fatto costruire, degenererebbe presto in una bettolaccia, se non vi apparissi qualche volta: e la cucina economica sarebbe presa d’assalto, se parimenti non intervenissi di tempo in tempo. Io non posso piantar qui la mia tenda, ma devo garantire in qualche modo una sorveglianza. (Lunga pausa. Dice in fretta, quasi a sé stessa, con uno scarto logico che svela la sua angoscia profonda e il senso del mutamento della sua vita rispetto al libertinaggio parigino). Maria sta bene, è buona, mi ama. Io resto in adorazione, e prego Iddio che me la conservi e benedica…

IL PARROCO (imbarazzato perché non capisce il salto logico, e si riattacca al discorso precedente) Anche il governo loda le vostre sante istituzioni benefiche. La “Gazzetta privilegiata” di Milano, nel suo ultimo numero, fornisce un resoconto completo: parla dello scaldatoio, della cucina economica, del laboratori artigianali, e di tutte le altre opere pie.

CRISTINA Le autorità austriache sperano che i nobili si impegnino nelle opere filantropiche, dimenticando la lotta per la liberazione nazionale. (Pausa. Accomiatando il Parroco con tono improvvisamente un po’ sbrigativo). Non voglio farvi perdere più tempo, padre molto reverendo, e ho anch’io molte cose da fare…

IL PARROCO (sulla porta, saluta con reverenza). Ossequio alla mia Principessa…

CRISTINA (lo fissa un attimo, decisa, con gli occhi accesi, voce improvvisamente dura, tagliente). Ma io non dimentico!

IL PARROCO (quasi spaventato, non comprendendo il collegamento alla battuta precedente della donna) Cosa?

CRISTINA (secca, tagliente, molto maschile) Io non dimentico … la lotta per la liberazione nazionale!

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Terza Scena

(Stessa scena. Cristina è seduta alla scrivania, intenta a scrivere lettere. Fuori scena, in una sala attigua, Miss Parker suonerà al pianoforte, per tutta la durata della scena, in sottofondo, pezzi di un’opera di Donizetti, “Lucia di Lammermoor”. Mentre Cristina scrive le sue lettere (a Tommaseo, a Mignet, a Thierry) voce off dell’attrice che legge ciò che scrive. La voce leggerà prima la data, e poi il vocativo del destinatario. Un rapido buio ha la funzione di staccare fra di loro le varie lettere).

“Caro Tommaseo, Locate, 31 luglio 18411

Poco mi cale che voi mi neghiate il titolo di Principessa con il quale ciascuno mi chiama. Continuate pure a scrivermi “Cara Donna Cristina”, ma scrivetemi sempre, parlatemi di voi. Alle vostre stranezze – come dite – non ho mai abbadato, ma solo al vostro cuore, che ha sempre desiderato per me ogni bene. Per il resto, parmi che, da quando siete tornato anche voi in Italia, conduciate a un dipresso, a Venezia, la vita che conduco io qui. E quale vita si può condurre in questo nostro paese? Vivere con sé, coi libri e col sole; ma non con i nostri simili, i quali si impoveriscono mostrandoci spietatamente le loro povertà”.

(Buio).

“Caro Tommaseo, Locate, 14 agosto 1841

La mia scuola progredisce bene e mi dà qualche soddisfazione. Vero è che non sono difficile a contentare. I bambini hanno la faccia pulita, fanno il segno della Croce, e rispondono sì o no. Paragonati a ciò che erano prima, sembrano portentosi”.

(Buio).

“Caro Tommaseo, Locate, 29 settembre 1841

Sono circondata da libri e da poveri, più abbrutiti che miserabili. Cerco di migliorarmi con i primi e di migliorare i secondi. So raramente quale è il giorno della settimana, perché tutti i giorni, per me, si assomigliano. Questa vita – che ucciderebbe di noia un parigino – mi soddisfa”.

(Buio).

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“Caro Mignet, Locate, 16 ottobre 1841

come potevo credere che voi pensavate a me, lasciando nello stesso tempo le mie lettere senza risposta? Quando partii da Parigi, voi non avevate l’aria di credere alla fermezza delle mie decisioni, ed avevate ragione, perché non ve ne avevo dato garanzie sufficienti con il mio passato comportamento. (Pausa). Studio molto e credo di avere abbastanza progredito. Mi sembra, a volte, che, se mi trovassi presso di voi, sareste un po’ più contento di me…”

(Dalla quinta di proscenio, a sinistra, cioè all’estremo opposto del palcoscenico, rispetto a dove è posizionata Cristina, compare, in piedi, come un fantasma, Mignet. La forza del desiderio evoca per Cristina l’uomo amato, che percorrerà lentamente – come un fantasma, appunto – tutto il palcoscenico, per andare a gettarsi ai piedi di lei, mentre Cristina continuerà a scrivere le sue lettere, ma con nella voce un filo crescente di emozione e di turbamento).

(Buio).

“Caro Mignet, Locate, 6 novembre 1842

Vi ricordate, quando scriveste a Thierry “Approfittate della vostra solitudine per lavorare”? Penso che l’abitudine di profittare renda incapaci di gioire. Per questo, caro amico, voi non siete, forse, il più felice dei mortali”.

(Buio).

“Caro Mignet, Locate, 20 dicembre 1842”

(Mignet è arrivato presso di lei, e si è inginocchiato ai suoi piedi. Mentre Cristina legge la lettera, con voce sempre più turbata, lui – nel suo contegno amoroso devoto – le toglie le scarpe, le accarezza i piedi, poi risale con le mani sotto la gonna, accarezzando i polpacci e giunge sino alle ginocchia).

“Poche righe, per dirvi il mio grazie infinite per il vostro giudizio positivo sul mio Saggio sulla formazione del dogma cattolico! Vi confesso che vorrei non essere d’accordo su qualcuna delle vostre correzioni per provarvi, cedendo, l’intera fiducia che ripongo in voi. Per il resto, vi ringrazio per la vostra insistenza ad avermi colà, con voi, a Parigi. Venite voi però, piuttosto, a Locate, e vi darò le redini per riportarmi a Parigi”.

(Buio).

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“Caro Mignet, Locate, 21 febbraio 1843

Non voglio però nascondervi che, quando vedo la mia piccola Maria crescere, irrobustirsi, attaccarsi tanto a me, la considero come una testimonianza del favore di Dio”.

(Mignet è sempre inginocchiato presso di lei, con il capo piegato sul ventre di lei, ma con le mani sempre sotto la gonna, ormai all’altezza delle cosce, che le sta accarezzando con molta dolcezza. Con uno stacco vistoso solleva la gonna, mettendo allo scoperto le gambe della donna, mentre rialza la testa, ergendosu sul busto. Cristina ha un gemito ma termina la lettera, resistendo alla tentazione della fantasticheria).

“E dunque per questo mi dico che, per meritare che Dio me la conservi, io ho bisogno di vivere secondo le leggi di Lui”.

(Buio. Durante il quale scompare ovviamente il fantasma di Mignet).

“Caro Thierry, Locate, 29 novembre 1844

Sono tornata a Locate, dopo i miei consueti sei mesi parigini. Arrivata a Pavia, al cader della notte, ho trovato i miei fattori e i miei salariati che mi aspettavano. Si sono aggregati a me, il che faceva un corteo di otto vetture, e abbiamo preso la strada di Locate. Passando per i villaggi distanti più di una lega sono stata salutata dalle grida di benvenuto lanciate dai contadini, in piedi davanti alle loro porte, con la loro piccola lampada in mano. Ma più vicino a Locate i villaggi erano vuoti. Tutti erano a Locate. Ho intravisto da lontano una grande luce che ho attribuito dapprima… al sorgere della luna. Ma non era la luna. Era Locate illuminata a giorno. Sono stata costretta a far mettere la carrozza al passo, per non schiacciare nessuno. Infine, mentre passavamo sotto una specie di arco trionfale, una di quelle bande militari – che mi restituirebbe quindici anni se ne avessi ottanta – è venuta a mettersi davanti alla carrozza e mi ha accompagnato fino alla scalinata. Là ho trovato tutte le mie scuole schierate, cantando e recitando dei versi per salutarmi. Sono seguiti i fuochi artificiali. Poi ho dovuto percorrere a piedi tutto il paese per vedere come anche negli angoli meno importanti ci fossero dei lampioni. C’erano quasi 10000 persone, nel mio povero villaggio, dove vivono a mala pena in 2000. Come vedete, io governo il mio impero, o il mio falansterio, perché Locate ha appunto l’aria di essere uscito dalla penna di Fourier. Il mio castello è grande come una piccola città, e quasi tutti gli edifici sono ora occupati da lavoratori e dai laboratori. La sera, i capi dei diversi laboratori si riuniscono da me. Maria approfitta di queste presenze per fare con loro dei giochi. Poi, quando Maria va a dormire, io fumo il mio narghilè, e riflettiamo e meditiamo sul da farsi. Non dovete però credere che io parteggi per le dottrine filosofiche, teologiche o metafisiche di Fourier. Ne condivido solo alcuni principi economici”.

(Buio).

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“Caro fratello Thierry, Locate, 22 marzo 1845

Che cosa non si potrebbe ottenere da questa popolazione così intelligente, così viva, così semplice, così devota? Ma forse sono proprio i difetti che le mancano. L’ambizione, l’odio verso le classi superiori, l’intolleranza del giogo, l’energia della collera, la violenza, il desiderio di vendicarsi, l’indifferenza per le disgrazie altrui. Ecco, ciò che manca alle nostre popolazioni, e che bisogna avere, per prendere in mano le armi e per servirsene senza riguardi”.

“Caro fratello Thierry, Locate, 25 febbraio 1846

Vengono da Milano per vedermi. Normalmente sono gente di lettere, scienziati, giovani studiosi e solitari che vogliono vedermi un giorno e conversare con me, prima di rientrare nella loro solitudine. L’abate Aporti, il fondatore in Piemonte di sale d’asilo, di scaldatoi e di numerose altre istituzioni benefiche, vegliardo considerato da tutti come un mezzo santo, mi ha appena fatto sapere che verrà espressamente da Cremona, dove abita, a Locate, per prendere conoscenza delle mie iniziative. Questa visita è un riconoscimento solenne del mio operato”.

(Buio).

“Caro fratello, Locate, 14 settembre 1847

Non dovete volermene, se quest’anno non vi ho scritto né sovente né a lungo, come per il passato. Il tempo mi manca. Lo sapete, mi sono data al giornalismo. Ho fondato un giornale, che dirigo. È la speranza estrema, per cercare di mutare l’animo del popolo”.

(Buio).

“Caro fratello, Locate, 17 ottobre1847

Sento che il vento sta cambiando. Non vedo, ma sento, intuisco, in questo autunno che sembra gonfio di collera. Fra novembre e febbraio farò un giro per l’Italia – a Genova, a Firenze, a Roma, a Napoli – per sollecitare collaborazioni, per aprire nuove sedi del mio giornale, se sarà possibile.

Il vento sta cambiando…

Sento il rumore di sferragliar di sciabole…

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Sento… sento che sta arrivando un ’48…”

(Buio. Nel buio si sente – prima in lontananza, pianissimo, poi via via crescente – rumori di vento, poi clangore di sciabole, quindi scariche di fucili, infine rombo di cannonate, urla di combattenti. Al ritornare della luce sono in scena, sulla soglia, la signorina Parker e Ernestina Bisi).

CRISTINA (calma, ma fredda, decisa). Miss Parker, prepari tutta la roba di Maria. Dopodomani partiamo.

ERNESTINA Ma Maria è piccola…

CRISTINA Maria ha quasi dieci anni. Non andiamo ancora alla guerra. Verrà con sua madre.

ERNESTINA Posso occuparmene io, se vuoi; può restare con me, qui.

CRISTINA Anche tu parti con noi.

ERNESTINA (con stupore, incredula) Io? Ma ho 60 anni, Cristina…

CRISTINA Hai gli anni che ti senti, Ernestina. (Un silenzio. Cristina sorride nel ricordo). Il generale La Fayette… aveva 74 anni, l’anno in cui morì, e faceva delle cose… delle cose… – nemmeno un giovanotto… – che non puoi proprio immaginarti, Ernestina….

(Buio. Riprende la sequenza della colonna sonora vento/ sciabole/fucili/cannoni/urla dei combattenti).

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TERZO QUADRO

1848-1849: guerrigliera per la patria CRISTINA PARTECIPA AGLI AVVENIMENTI DEL ’48 SCONTRANDOSI CON L’EGEMONIA DEI MODERATI. NEL ’49 CONTRIBUISCE ALLA DIFESA DELLA REPUBBLICA ROMANA DIRIGENDO IL SERVIZIO DELLE AMBULANZE MILITARI E DEGLI OSPEDALI

(L’intero quadro ripropone i movimenti storici di Cristina, che si trova a Napoli nel febbraio del 1848, si imbarca quindi –- alla notizia delle Cinque Giornate di Milano, 18-22 marzo – con dei volontari napoletani per Genova, dove arriva alla fine di marzo, ed entra ai primi di aprile in Milano, già liberata, per poi passare – dopo la sconfitta di Custoza – al servizio della Repubblica Romana, nell’aprile del ’49).

Prima Scena

(Palcoscenico nudo. Buio ad apertura di sipario. Dopo un attimo comincia a crescere piano la luce. Maria – che dovrà avere l’aria di una bambin, con le treccine, anche se l’attrice non sarà propriamente bambina – entra dal fondo e con un gesso bianco inizia a disegnare sul nero del palco il reticolo del gioco della settimana. Cristina – vestita di completo nero di velluto, cappello alla calabrese con coccarda tricolore – imporrà a tutta la scena ritmo incalzante, con intonazione da io epico brechtiano, che farà da contrasto con il gioco semplice e naturale della figlia).

(Buio).

(Nel buio cresce via via, fino a diventare spaventoso, il rumore di un vulcano in eruzione. Dopo un attimo, luce a illuminare la GIGANTOGRAFIA DEL VESUVIO).

CRISTINA (da un palco laterale di destra o da un punto laterale di destra della platea, in assenza di palchi). Ho la testa piena di rumore e lo spirito pieno di stupore. Il re di Napoli ha proclamato la costituzione, e io assisto da tre giorni alla ubriacatura di un popolo immenso, di un popolo selvaggio, ma trasformato – in un colpo d’occhio, come per incanto – nel popolo più dolce e onesto della terra.

(Buio)

(GIGANTOGRAFIA DI UN’IMMAGINE DI BARRICATE A PARIGI, FEBBRAIO 1848)

CRISTINA (nello stesso punto di cui sopra) Tutto dunque è finito, per questo governo infame di Luigi Filippo! Io non posso provare per lui che l’avversione più forte, ma io tremo d’angoscia pensando a Mignet e

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a Thierry. Due parole, per pietà, che mi tolgano dall’inquietudine spaventosa in cui sono precipitata. Mio Dio, mio Dio! Che avvenimenti! Li avevo preannunciati, l’autunno passato! Ma loro due non facevano che riderne! Mio Dio, mio Dio! Due parole, che mi tranquillizzino, per pietà!

(Buio).

(Palcoscenico nudo ma illuminato, platea al buio. Nessuna proiezione di gigantografie. Maria disegna sul palcoscenico una seconda settimana).

MARIA (ritorna sul disegno della prima settimana e comincia a giocare ma, anziché raccogliere la pietra del gioco, fa via via delle croci mentre pronuncia cantilenando il nome dei caduti). René Budor, tipograf,o, Jacques Durand, falegname, Hélène Gonin, ricamatrice, Henry Charrier, medico, Pierre Le Forestier, operaio, Antoine La Foret, garzone di osteria, Jean Frisson, operaio, Jannette Leclerc, domestica, Francois Mignon, studente, Etienne Sarrazac, avvocato…

(Buio).

(GIGANTOGRAFIA DI UNA CELEBRE LITOGRAFIA CHE RITRAE CRISTINA SUL PIROSCAFO CON I VOLONTARI NAPOLETANI)

CRISTINA (da un palco laterale di sinistra o da un punto laterale di sinistra della platea, in assenza di palchi). A Napoli mi sono imbarcata con 200 volontari napoletani, per portarli a Milano, dove il popolo ha cacciato l’Austriaco, nel corso delle gloriose Cinque Giornate. (Pausa). Sì, è vero, a Napoli ho pagato due puttane un po’ mature, perché si fingessero madri disperate di due volontari: è servito per la propaganda patriottica. D’altra parte, a Parigi, mi chiamavano la comédienne, la commediante.

(Buio).

(Palcoscenico nudo ma illuminato, platea al buio. Nessuna proiezione di gigantografie. Maria disegna sul palcoscenico una terza settimana).

MARIA (ritorna sul disegno della seconda settimana e continua con il suo catalogo dei morti). Aimi Natale, Alberti Bartolomeo, Alberti Emilio, medico, Albertini Luigi di Angelo: Piazza Cordusio; Bagatta Leopoldo, Bagatta Pacifico, Bagatta Paolo, possidente, Bergamini Giovanni di Camillo, falegname, Bianchi Paolo, rigattiere: Mercato Vecchio; Canali Enrico, Carozza Antonio, Carpanini Enrico, Carrara Luigi, Cocconcelli Gaetano di Alfonso, oste: via delle Calandre; Colla Costante, Colla Giuseppe di Gaetano, impiegato, Consigli Giuseppe di Carlo, Consigli Giuseppe di Paolo, negoziante, Denti Isaia, Ferretti Achille, parrucchiere, Ferrari Angelo, giornaliere, Fontana Celeste, Fontana Serafino, Fontana Gabriele, Galaverna Giovanni, Garulli Luigi, tipografo: Porta Tosa.

(Buio).

(GIGANTOGRAFIA DEL RITRATTO DI CRISTINA CON SPADA E BANDIERA NEL 1848, POSSEDUTO DAL MUSEO DEL RISORGIMENTO DI MILANO )

CRISTINA (dal palco reale oppure dal fondo centrale della platea, se non ci sono palchi) Il piroscafo ci ha sbarcato a Genova, poi siamo arrivati a Locate, due giorni fa. Ieri, siamo entrati in Milano. Io portavo,

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spiegata, una grande bandiera tricolore. Dalle finestre e dai balconi si agitavano innumerevoli fazzoletti, e i cappelli erano lanciati in aria, in mezzo alle grida festose. Tutti, compresi i membri del Governo Provvisorio, mi hanno pregato di andare a stabilirmi a Milano, per esercitarvi una influenza salutare. Ed è ciò che farò, non più tardi di domani. (Pausa). Sono sola, con mia figlia, che amo più di me stessa, ma che non comprende cosa mi succeda.

(Buio).

(Palcoscenico nudo ma illuminato, platea al buio. Nessuna proiezione di gigantografie. Maria disegna sul palcoscenico una quarta settimana).

MARIA (ritorna sul disegno della terza settimana e continua con il suo catalogo dei morti). Volontari della Seconda Colonna parmense: Bocchi Antonio, trombettiere, Allegretti Angelo, sarto, Anghinetti Emilio, beccaio, Argenti Arcangelo, portiere, Bacci Napoleone, Bacci Oliviero, domestico, Bazzi Giovanni portiere, Bassi Vittorio orefice, Becchetti Giuseppe chiodaiuolo, Belicchi Albino, Belicchi Lodovico, Belicchi Pietro insegnante, Belicchi Pietro sarto, Bergonzi Ferdinando cameriere, Calzarossa Michele studente, Capra Erminio cappellaio, Allegri Luigi, professore, Francesco Bosisio, scrittore, Casanova Paolo studente, Crispo Antonio, Crispo Augusto stampatore, Curotti Carlo, Curotti Torquato merciaio, Fietta Adamo di Pietra inserviente teatrale, Ferrari Ferdinando muratore…

(Buio).

(GIGANTOGRAFIA DI CARLO ALBERTO)

CRISTINA (rivolta frontalmente agli spettatori, possibilmente sulla scaletta che collega platea e palcoscenico) Il Governo Provvisorio era al di sopra di ogni sospetto, ma gli amministratori rubavano a man salva. L’intendenza militare era affidata a un vecchio bancarottiere. Al popolo milanese che chiedeva la leva di massa, il Governo Provvisorio ha risposto che non era possibile, perché mancavano le armi. Ma quello stesso popolo, otto giorni dopo, ha scovato 62.000 fucili nascosti nel Palazzo del Genio. (Pausa). Sulle alte montagne del Tirolo, nella neve, senza tende, né medici, né ambulanze, i volontari dormivano a cielo scoperto. (Pausa). Ma non soltanto il Governo Provvisorio di Milano si opponeva alla formazione dei corpi volontari. Anche lo stato maggiore dell’armata piemontese lo impediva con tutte le sue forze. (Pausa). Il fatto è che Carlo Alberto voleva fare la guerra con la sola armata piemontese. E dopo la battaglia di Custoza aveva firmato l’accordo della capitolazione. Ma il popolo – il popolo delle nostre Cinque Giornate – ha protestato come il popolo sa fare. Ha preso prigioniero il re, l’ha costretto a stracciare l’accordo, e a giurare di difendere Milano sino all’ultimo sangue. (Pausa). Questa promessa nascondeva però un nuovo tradimento. I reggimenti più fedeli al re sono stati chiamati segretamente per liberarlo. Vengono. Il popolo si occupa dei preparativi per la difesa contro gli Austriaci. Cercano di sottrarre il re. La guardia popolare che lo circonda, resiste. Piemontesi e milanesi si battono, gli uni contro gli altri. Si spara contro il re; gli uccidono il cavallo, e lui si getta su un ronzino che gli offrono all’istante. All’improvviso gridano: ecco gli Austriaci! Il popolo abbandona il re prigioniero per correre alle barricate. Ma non ci sono gli Austriaci, e il re si mette in salvo sul suo ronzino.

(Buio).

(GIGANTOGRAFIA DI MAZZINI)

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CRISTINA (nello stesso punto di cui sopra) Thierry, Mignet, vi prego, fate pubblicare la mia lettera! Voglio che si sappia che ho rotto ogni legame con il re di Sardegna e con il principio monarchico. Con la repubblica, lo so, si entrerà in un percorso di agitazioni che durerà più di noi. (Pausa). Ma non c’è altra strada!

(Buio).

CRISTINA (sale sul palcoscenico, raggiungendo Maria) Sono sana e salva, e Maria pure. Maria non ha mai lasciato la mia gonna, né in mezzo alle truppe e alle barricate, né in mezzo all’effervescenza e al furore popolare. (Pausa). Adesso sono a Roma. Mazzini mi ha incaricato di dirigere il servizio delle ambulanze militari e degli ospedali. Garibaldi ha arrestato al Gianicolo l’esercito francese del generale Oudinot, che è stato costretto a trattare una tregua, fino al 4 giugno. Approfittando della tregua, Garibaldi è uscito da Roma e ha sbaragliato l’esercito borbonico.

(Buio).

(Palcoscenico nudo ma illuminato, platea al buio. Nessuna proiezione di gigantografie. Maria disegna sul palcoscenico una quinta settimana).

MARIA (ritorna sul disegno della quarta settimana e continua con il suo catalogo dei morti). Folli Pietro, Fontana Luigi, Gelati Federico, Incisa Luigi, Lazzari Vittorio, Malvezzi Giuseppe…

CRISTINA … Mattei Alessandro, Mola Antonio: Villa Pamphily; Peracchi Luigi, Perotti Angelo…

MARIA … Pezzana Luigi, Piazza Giacomo, Piazza Domenico, Pisa Giovanni, Pollini Angelo…

CRISTINA …Pollini Dario, Quintavalla Antonio: Villa Corsini; Quintavalla Eugenio, Restori Attilio…

MARIA … Restori Guglielmo, Ricci Emilio, Rivara Luigi, Rocca Enrico di Angelo, Rossi Alessandro…

CRISTINA …Rossi Antonio, Rossi Augusto, Rossi Egisto, Rossi Giovanni, Rossi Giuseppe, Rossi Giuliano: Il vascello; Rossini Giuseppe, Rossini Torquato. (Pausa). Luciano Manara. (Pausa). Goffredo Mameli…

Seconda Scena (Roma, 3 giugno 1849, ospedale militare. Fila con una decina di letti con feriti, tutti però bendati come mummie, sicché non ci sarà bisogno di attori, ma basteranno manichini. I letti sono allineati sul fondo scena, posizionati in verticale. Il palcoscenico accoglie solo un segmento del lunghissimo corridoio che ospita i letti, che si devono intendere dunque come proseguenti sia a destra che a sinistra. A estrema sinistra, fuori scena, i letti numerati da 1 e 25; a destra, parimenti fuori scena, i letti numerati dal n. 35 in avanti. In scena Cristina, vestite da crocerossina, in piedi, accanto a un tavolino, finisce di scrivere. Poi va accanto ai feriti. Per tutta la scena colonna sonora di gemiti di feriti, ma anche – più avanti, al punto indicato – l’ eco più lontana o più vicina di rumori di cannonate. Ritmo di recitazione molto incalzante, frenetico, come è ovvio in una situazione di caos e di emergenza, in cui però il genio pratico di Cristina riesce comunque a imporre ordine e disciplina).

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ERNESTINA (anche lei vestita da crocerossina, arrivando da destra, agitata) Al letto 45 si è riaperta la ferita!

CRISTINA Come è possibile?

ERNESTINA La febbre, delira, deve essersi strappato lui la medicazione.

CRISTINA Fa chiamare subito il chirurgo, ma poi mettetegli una infermiera vicino. Non deve più succedere!

ERNESTINA Non ci sono abbastanza volontarie da metterne una per tutti i feriti in quella situazione.

CRISTINA Corri per il chirurgo, Ernestina! (Ernestina esce da destra. Cristina le grida dietro). Legategli le mani alle sbarre del letto, se non si può diversamente!

MISS PARKER (anche lei vestita da crocerossina, arrivando da sinistra, agitata, di corsa) Al letto 21 sta morendo! Faccio avvertire i parenti?

CRISTINA Sì, ma mandagli subito padre Gavazzi!

MISS PARKER Ma i genitori?

CRISTINA Va bene, ma prima corri da padre Gavazzi, è al piano di sopra! (Miss Parker esce da sinistra. Cristina le grida dietro). Mentre vai su, dà un’occhiata a Maria, è nella cameretta della caposala!

ERNESTINA (entrando di corsa da destra, gridando) I francesi hanno rotto l’armistizio!

CRISTINA Non è possibile. Oggi è il 3, l’accordo scade domani!

ERNESTINA (sempre agitata). L’hanno fatto apposta! Per il vantaggio della sorpresa! Stanno attaccando il Gianicolo!

CRISTINA Maledetti! Manda delle ambulanze al Gianicolo, subito! Tutte quelle che ci sono! (Correggendosi). No, solo undici delle dodici. Ne teniamo una per emergenza.

ERNESTINA Sì, ma dove metteremo i feriti?

CRISTINA Abbiamo dei letti liberi dal 52 in su! Corri, e fa immediatamente venire tutti i chirurghi e tutti i medici disponibili. E pure tutte le infermiere. Anche quelle che stanno negli altri piani. E raccomanda sempre la pulizia e l’igiene, alle infermiere. Qui la sporcizia fa più morti dei cannoni!

ERNESTINA Ma non abbiamo altre infermiere! Non possiamo lasciare abbandonati i feriti degli altri reparti!

CRISTINA Non preoccuparti! Obbedisci, ci penso io al resto! (Ernestina esce da destra. Cristina le grida dietro). E dì ai chirurghi che non facciano storie, che devono operare subito! Manderò un ordine scritto!

(In lontananza rumore di cannoneggiamenti. Di qui sino alla fine, ora più vicini, ora più lontani).

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MISS PARKER (rientrando da sinistra, agitatissima) Milady, i francesi attaccano!

CRISTINA Lo so. E li sento.

MISS PARKER Ho dato le disposizioni, Milady. (Pausa). Maria mangia un gelato, che qualche nobildonna romana deve averle portato.

CRISTINA (prende dal tavolino due lettere che porge a Miss Parker). Ho preparato due lettere, per il console inglese e per il console americano, nel caso peggiore: devono dichiarare che tutti i feriti saranno sotto la loro protezione, a titolo umanitario. (Miss Parker esce da sinistra).

ERNESTINA (rientrando da destra). Cristina, fanno resistenza, i chirurghi. Vogliono l’autorizzazione, per operare!

CRISTINA Questi asini del Consiglio Sanitario! (Di qui sino alla fine, il dialogo prosegue fra Cristina e Ernestina, mentre le due si avvicendano fra i letti dei feriti a controllare o medicare, dicendo casomai qualche parola a soggetto a taluno dei feriti).

ERNESTINA A Roma nessuno deve morire sotto il bisturi! È la legge! Papalini deficienti!

CRISTINA E ladri! L’intendenza militare è composta di ladri!

ERNESTINA Anche a Milano rubavano…

CRISTINA Si capisce! Rubano a Roma e rubano a Milano! Forse faremo l’Italia, ma sarà un’Italia fondata sul furto!

ERNESTINA Non sono i poveri che rubano!

CRISTINA Anche questo… si capisce! Sono sempre i ricchi che rubano!

ERNESTINA Con i nuovi feriti non ci basteranno le 300 infermiere che abbiamo!

CRISTINA (prende dal tavolino dei fogli) Quattro giorni fa ho fatto una selezione di volontarie. Qui c’è un elenco, con gli indirizzi dove stanno queste donne. Dà subito ordine che le vadano a chiamare!

ERNESTINA (prende il foglio e dà una occhiata). Cristina, ma ci sono anche… (si trattiene).

CRISTINA … delle puttane, lo so! Servono anche loro, per la patria! Come a Napoli, non ti ricordi? Vai! (Ernestina si avvia a uscire verso destra. Cristina le grida dietro): Ernestina, sappilo: meglio morire tra le braccia di una bella puttana!

(Buio).

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Terza Scena

(GIGANTOGRAFIA DEL PARTENONE DI ATENE)

(Palcoscenico nudo. Notte. Solo Cristina in scena).

CRISTINA La Repubblica Romana è caduta. I Francesi l’hanno assassinata. Sono scappata a Malta, e ora sono arrivata ad Atene. (Pausa). Ho la febbre, e ho le allucinazioni. I am haunted dalla memoria dei morti. Non sono – come per Macbeth – i fantasmi di quelli che ho ucciso. Sono i fantasmi di quelli che io ho aiutato a morire. They don’t frown; mi sorridono dolcemente, e sembrano attendermi al passaggio terribile che hanno attraversato, e che a me resta da attraversare.

(Il fantasma di Mignet, come nel secondo quadro, inizialmente incorniciato da un occhio di bue, che parlerà con voce lenta e morbida, quasi venisse davvero dall’oltretomba).

MIGNET Sono otto mesi che non ho notizie di voi. Vi ho scritto due lettere, a Roma, le ho indirizzate a Miss Parker, perché ho capito – dal vostro silenzio – che mi facevate colpa…

CRISTINA (lo interrompe, parlandogli naturalmente, non stupita della sua presenza) … di non simpatizzare per il partito al quale mi ero legata, per disperazione.

MIGNET Il vostro silenzio mi è stato penoso. Ma ho saputo che stavate bene, anche dopo che Roma si era arresa. Me mentre affrontavate così coraggiosamente i pericoli di questa orribile guerra, e di questo assedio contro natura, io avevo continuamente presente la vostra immagine… e quella della povera Maria.

CRISTINA Non ho mai ricevuto le vostre lettere…

MIGNET La paura di una catastrofe spaventosa mi ha gettato in una vera angoscia. Mi svegliavo alle sei, per spiare l’arrivo del giornale; lo divoravo, e poi non dormivo più. Quando ho cessato di temere per la vostra vita, e per quella della bambina, ho solidarizzato – credetelo – con le vostre sofferenze di patriota. (Pausa). Capisco lo stato del vostro animo nei riguardi della Francia e dei Francesi. Il vostro risentimento è comprensibile. Se avrete delle asprezze verso di me, rispetterò questa ingiustizia, e non mi lamenterò.

CRISTINA Ci sono due individui in ognuno di noi: il politico e l’amante. I due politici, da tempo, sono in guerra fra di loro. Ma a me basta, per conto mio, tenerli separati. I due amanti continuano, e continueranno, nel loro modo consueto di essere, malgrado i dissidi e gli scontri dei politici.

MIGNET Non avete scritto nemmeno a Thierry.

CRISTINA Non ho avuto la forza di scrivere a nessuno di questi Francesi che applaudivano al nostro assassinio, mentre il sangue colava attorno a me. Il sangue che voi e i vostri amici versavate. Questa mia è una spiegazione tanto categorica quanto sincera. (Pausa). Per il momento non parliamo del passato. Il mio affetto vi è assicurato per sempre: non diminuisce, e non può diminuire, voi lo indovinate…

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MIGNET Fatemi sapere se la vostra nuova terra d’esilio vi dà almeno la calma di cui avete bisogno dopo tante emozioni e tante fatiche. (Pausa). Avete sotto gli occhi un popolo che ha ottenuto ciò che desiderate invano per il vostro paese; ha riconquistato la libertà in mezzo a immense speranze, che si sono realizzate però solo in parte. Per colpa della Grecia? O per colpa dell’Europa?

CRISTINA (sorride) Siete sempre un incorreggibile professore di Storia…

MIGNET (si avvicina e si inginocchia davanti a lei) Addio, amica mia, quando vi bacerò le mani? (Le bacia le mani mentre anche lei si inginocchia).

CRISTINA Sono tanto stanca, ho la febbre. Mi hanno ripreso anche le palpitazioni…

MIGNET (con dolcezza la distende per terra, come su un letto. Le accarezza il volto) Vi prego di baciare Maria, parlandole di me…

(Il fantasma di Mignet si dilegua. Cristina resta distesa, come in dormiveglia).

CRISTINA Sono stanca, ho la febbre. Ho anche le palpitazioni. (Grida, disperata). No, non andate via! Perché ve ne andate già? Vi prego, restate!

MARIA (voce fuori scena) Mamma, con chi parli? Hai sognato?

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QUARTO QUADRO

1850-1855: fuga in Oriente

CADUTA LA REPUBBLICA ROMANA, CRISTINA , PASSATA DA ATENE A COSTANTINOPOLI, PER SEI ANNI VIVE IN ORIENTE. ACCOLTELLATA DAL SUO MAGAZZINIERE BERGAMASCO, SOPRAVVIVE E ALLA FINE RITORNA IN EUROPA

(La scena è semplicissima, divisa in due poli: a sinistra palcoscenico nudo, per gli esterni, contrassegnato da cifre elementari: il profilo di una mezzaluna, oppure il profilo di un cammello con tre palme, come nel disegno di un pacchetto di sigarette Camel; all’estrema destra uno spazio interno, con il minimo indispensabile per alludere a una abitazione locale: materassi e tappeto per terra, cuscini, tavolo rotondo basso, tavolino rotondo, più piccolo, per scrivere, l’immancabile narghilé e un candelabro che però viene portato appositamente, perché serve a più stanze. Lo spazio presenta una cavità da cui spunta una scala interna).

Prima Scena (Polo di estrema sinistra, contrassegnato dalla mezzaluna, illuminata sul fondo, perché la scena è notturna. Cristina, sola, in scena, rivolta verso il pubblico, ha in mano una lettera ricevuta da Thierry).

VOCE FUORI CAMPO DI THIERRY (mentre Cristina legge la lettera) Eccovi dunque, mia cara Antigone, all’estremità dell’Europa; ancora un passo e sarete in Asia. Sempre più lontano, sempre più lontano! Avete trovato il porto di Costantinopoli splendidamente magnifico, e la città immensa e sporca. Parlatemi ancora, parlatemi, se potete, dell’avvenire, e aiutatemi a orientarne la carta. Nella mia immaginazione è il mio più grande piacere di sognatore e di cieco.

CRISTINA (rivolta al pubblico, con il tono narrativo di un personaggio brechtiano) Non sono per niente abbagliata dallo splendore di questa capitale. Parigi e Londra sono evidentemente opera dell’uomo, mentre Costantinopoli e i suoi numerosi sobborghi sembrano sbocciati dalle viscere della terra come gli alberi delle foreste. Dapprima ho creduto di non stancarmi mai di guardare questa miriade di edifici, palazzi del Sultano, minareti, moschee, caserme, ambasciate, harem e tombe, ma poi lo spirito critico, troppo compresso, ha voluto la sua rivincita, e ora mi sorprendo a paragonare l’intera città al più sporco villaggio del sud dell’Italia. Case nere in legno marcio costeggiano via fangose. Quei bazar – di cui si fa tanto strepito – non sono che dei brutti capannoni, la cui base sprofonda nel fango, e che il buio oscura; i muri neri e attaccaticci

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sono tappezzati di tele di ragno.

(Buio).

Da più di un mese vivo in una valle sequestrata dal mondo civilizzato, Ciaq Maq Oglou, che vuol dire Il figlio della pietra focaia, ad alcune giornate di viaggio dalla importante città di Ankara. Avevo, per fortuna, condotto da Costantinopoli due italiani, di cui uno, falegname, si è scoperto di quei personaggi fatti per essere gettati in una isola deserta, dove sanno sbrigarsela in ogni cosa. Maria è l’immagine della gioia e della salute. Si è costituita mia fattoressa e ha mano libera sul cortile. Polli, tacchini, oche e anitre la riconoscono come loro sovrana, e quando scende nel cortile un glu-glu universale la saluta: cosa di cui ella è fiera. (Pausa). Sto gustando il riposo morale più perfetto. (Pausa). No, io non penso di morire qui, né di passarvi un tempo molto lungo. Ma ho trovato qui un ritiro dove i rumori inquietanti del mondo non mi arrivano, e dove potrò ritemprare le mie forze gravemente compromesse da tutto quello che mi è successo negli ultimi due anni. Per il resto, caro Thierry, non abbiate timore della distanze. Per me non sono nulla. Imbarcarmi domani per Marsiglia, non sarebbe, per me, più complicato di quanto non sia, per voi, andare all’Istituto Storico. Io non metto radici da nessuna parte, e appena potrò vedere la Francia senza conati di vomito, io sarò vicino a voi. (Pausa lunga. Con durezza e irritazione). Ho innalzato io un muro di sangue fra le mie due patrie? Ve l’ho detto. Finché la Francia accetterà il giogo di quell’uomo – metà idiota e metà infame –, quel nipote degenere di Napoleone, che ha ordinato il misfatto di Roma, io non metterò piede sul suolo francese! Tra la Francia e me c’è un mare di sangue, che io non posso attraversare!

Seconda Scena

(Polo di estrema destra, abitazione di Cristina, che parla inizialmente rivolta al pubblico, nel consueto stile brechtiano).

CRISTINA. Questa mia casa è costruita e arredata nel gusto turco. Tre stanze al piano terra e tre al piano alto. Qui, la stanza cui mette capo la scala, serve da salotto; le altre due – comunicanti con questo – sono destinate a camere da letto. Una è per me, nell’altra ci dorme Maria. Al piano terra dormono Ernestina, Miss Parker e Albergoni, il mio magazziniere. Un tappeto copre il pavimento, materassi (a mo’ di divani, che per questo noi chiamiamo ottomane) distribuiti qua e là, ad uso dei Turchi, i quali, fumando, amano sdraiarsi: il che – si dice – accresce la voluttà a causa del lungo cannello della pipa. Per lavorare, conversare o sognare ci si rannicchia in un angolo dell’ottomana, le gambe incrociate sotto di sé. Se vi prende il sonno, distendete le gambe, rovesciate la testa, chiudete gli occhi, e dormite. La sera, un solo candelabro serve tutte le stanze del piano di sopra, e un altro tutte quelle del piano basso. (Mentre narra, Cristina esegue, spostando le cose che indica, e infine mettendosi seduta con le gambe incrociate). Avete fame? Battete le mani (Cristina parimenti esegue, battendo le mani): vi si portano su di un piatto dei bocconcini di carne arrostita, aglio, cipolle crude, latte acido, tisana di uva bollita e altre ghiottonerie. Ponete il piatto sulle ginocchia, terminate il pasto con una tazza di caffè limpido, e fumate il vostro narghilè. (Pausa). Questa semplificazione della vita è assai piacevole. Quale follia – dicevo a me stessa la prima notte passata sotto questo tetto – è quella degli europei,

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di pretendere di non poter fare a meno di una stanza per mangiare, di un’altra per conversare, di altre ancora per dormire, per la toilette, ecc.: per le quali tutte, poi, occorre una infinità di mobili!

(Cristina si distende, come per dormire. La luce si fa fioca, e progressivamente diventa notte).

CRISTINA (con voce come nel dormiveglia) L’unica cosa che mi manchi veramente… siete voi, Mignet…

(Il fantasma di Mignet, come in precedenza, inizialmente incorniciato da un occhio di bue, che parlerà con voce lenta e morbida, quasi venisse davvero dall’oltretomba).

MIGNET Sono quindici mesi che avete lasciato la vostra casa parigina, il vostro giardino. È sempre stata la vostra residenza estiva, sei mesi all’anno…

CRISTINA (sempre distesa, e sempre con voce da dormiveglia, per tutta la sequenza) Lo sapete, in Francia non posso più venirci. E nemmeno in Italia. Mi tocca la pena dell’esilio.

MIGNET Ma perché così lontano? Cristina, è una incredibile follia, la vostra.

CRISTINA Devo rompere momentaneamente con la politica. Voglio una nuova esistenza, che uccida il ricordo dell’antica, o, almeno, tutti gli strazi che sono nel ricordo.

MIGNET Ma perché non in Svizzera o in Inghilterra?

CRISTINA (sorridendo) Al Sultano piace mostrarsi ospitale con i proscritti e con i vinti dell’Occidente; anche per far parlare di sé sui giornali. (Pausa. Ancora sorridendo). Lo sapete quanto mi costerebbe uno chalet in Svizzera o un cottage in Inghilterra? Qui la vita non costa nulla.

MIGNET Non è solo per questo. Non sarà solo una questione di denaro…

CRISTINA Le torture morali e intellettuali… che dovrei sopportare, in Europa… Da un lato quelli che hanno vinto, e che abusano della loro vittoria… E dall’altro lato gli sconfitti, con i loro tentativi insensati, ai quali dovrei pur offrire solidarietà … I vinti sono le persone più suscettibili del mondo… Bisogna evitare di condannarne le imprese folli, anche quando falliscono… e gli autori ne subiscono le pene conseguenti… Tutto sarebbe amarezza, e niente altro che amarezza… Voi che mi amate, congratulatevi con me, che il vento dell’avversità mi abbia gettato su una spiaggia amica.

MIGNET Ma almeno – ditemi – avete trovato la calma, il silenzio delle passioni, una vita dolce e facile? Io temo per voi… e per la bambina. La vita del deserto, il clima, il sole, l’aria: tutto è faticoso laggiù, almeno per quelli che non vi sono abituati.

CRISTINA Io sono fatta per tutto questo. Ho buona salute, e sono persino ingrassata. Le mie nevralgie, le mie palpitazioni, il senso di soffocamento, le mie febbri: ogni cosa è sparita, come per incanto. (Pausa). Percorrendo questi paesi sconosciuti provo una specie di ebbrezza, a metà fisica e a metà morale, di cui io stessa faccio fatica a rendermi conto. Mi sembra di aver già visto questi luoghi, in un tempo lontano, in cui forse ho già vissuto. Si risvegliano in me ricordi confusi, dolci e vaghi. E se venissero ad annunciarmi – in questi istanti – che la mia morte è imminente, non avrei un fremito. (Lunga pausa). Mi piacerebbe, comunque – quando Maria sarà grande, e non avrà più bisogno di me –, mi piacerebbe attendere, qui,

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all’ombra di queste mie foreste, il gran giorno in cui conoscerò la parole dell’Enigma, in cui avrò vinto la Sfinge.

(Cristina tace, come addormentata. Mignet si china su di lei, e poi si distende accanto, come per dormire con lei).

Terza Scena

(Polo di sinistra, contrassegnato – sul fondo – dal profilo stilizzato del cammello e delle tre palme. Marciano da sinistra a destra, in fila indiana – ma in realtà battono i piedi per terra, a simulare la marcia, stando fermi dove sono – nell’ordine: Cristina, la figlia Maria semi-addormentata, sulla sella di un cavallo di legno con le ruote, Miss Parker, Ernestina, Angeloni. Luci smorzate che si alternano – notturno, alba, tramonto – , a dare il senso del trascorrere del tempo, della durata del viaggio. I personaggi parlano – con voce registrata – in maniera cantilenante, come se fosse un unico discorso diviso fra diverse voci, a mo’ di Qui Quo Qua di Disney. Di Maria si vedrà solo la nuca, con i capelli divisi in due treccine).

CRISTINA Che strana carovana, che si avanza nel deserto: io, Maria, Miss Parker, Ernestina (che dice sempre di essere troppo vecchia per fare tutta questa fatica, ma che in realtà è la più forte di noi), e il signor Angeloni.

ANGELONI Oltre alle guide e a una ventina di cavalieri locali di scorta, senza cui è impossibile viaggiare in Oriente.

CRISTINA Abbiamo lasciato il nostro tranquillo ritiro in una fredda giornata di gennaio dell’Anno del Signore 1852, e voglio arrivare a Gerusalemme, per Pasqua, perché Maria ha appena compiuto 11 anni, e deve fare la sua prima comunione, e mi piacerebbe che avvenisse colà.

MISS PARKER (con accento inglese particolarmente accentuato sui nomi geografici). Attraverseremo tutta l’Asia Minore, da Ankara ad Antiochia, e poi passeremo in Siria, vedremo Aleppo, Tripoli del Libano, entreremo in Palestina, sino a giungere nella città delle grandi religioni, Gerusalemme.

ERNESTINA. Qui tutto il territorio che separa le città le une dalle altre è costituito dal deserto. E quando non è deserto, sono montagne e montagne…

CRISTINA …ma la fatica non è grande perché si viaggia solo sette o otto ore al giorno, al passo o all’ambio, su cavalli eccellenti, molto docili.

ERNESTINA La sera riposiamo ai piedi di un albero, dove avremo piantato le nostre tende.

CRISTINA I pericoli sono più immaginari che reali; le privazioni sono sopportabili, perché oltre alle provviste che si portano con sé, si è quasi sicuri di trovare ovunque…

MARIA (nel dormiveglia, ma sempre abbandonata sul collo del cavallo, sonnacchiosa) … galline, uova, burro, riso, orzo, miele, caffè e materassi…

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ERNESTINA Ma quando si comincia a pensare che la malattia ci troverà senza rimedi, che nessun riparo si presenterà lungo la strada, se saremo sorpresi dalla neve o dall’uragano nel corso della giornata, si prova, si prova…

CRISTINA … una specie di angoscia, che però bisogna accuratamente evitare, perché, se vi si cede, è la fine del viaggiatore.

ERNESTINA Sono vecchia, Cristina, sono vecchia, quest’anno faccio 65 anni, e quando torneremo a Ciaq Maq Oglou (se riuscirò a tornarci), ne avrò 66…

(Buio).

ERNESTINA Ad Antiochia ci aspettava il riposo, nella residenza dell’agente consolare inglese, ricco commerciante armeno che, con una cortesia squisita, aveva messo la sua abitazione a nostra completa disposizione. Quanto mi sarebbe piaciuto restare ad Antiochia!

ANGELONI In Siria, dei montanari indocili si erano ribellati al pascià di Aleppo, il quale mandava delle truppe contro questi sudditi temerari, che pretendevano di sottrarsi all’arruolmento. Ci venne consigliato di unirci ai soldati, per porci al riparo dai briganti.

CRISTINA Io mi dissi invece che fare il viaggio con i soldati era esporsi alla mercé del nemico; preferii dunque far gruppo a parte, e non mettermi sotto la protezione di nessuno. Durante tutto il mio viaggio non mi sono mai allontanata da questa linea di condotta, e mi sono sempre trovata bene.

MISS PARKER Arrivammo a Tripoli che era quasi mezzanotte, e il console d’Austria – che doveva ospitarci nel suo palazzo – aveva l’aria molto irritata, e non sembrava per niente disposto a riceverci…

CRISTINA Il console d’Austria non era per niente un cattivo uomo, ma era malato, e la minima agitazione lo metteva fuori di sé. L’indomani, il mio console si mostrò di un umore delizioso…

MARIA Infine arrivammo a Gerusalemme, la città di Cristo, dove ho fatto la mia prima comunione…

Quarta Scena

(Polo di estrema destra, abitazione di Cristina).

CRISTINA (sola in scena, seduta per terra, le gambe incrociate sotto di sé, alla maniera orientale, intenta a scrivere). “Ciaq Maq Oglou, 4 gennaio 1853. Caro Mignet, non mi avete abbastanza abbandonata, abbastanza trascurata, abbastanza maltrattata? Non è del mio carattere pregare due volte e rendermi importuna. Ma non posso sopportare il pensiero che voi crediate di non avere nulla da rimproverarvi. Voi, che vi ritenete pressoché impeccabile, che riposate nella serenità imperturbabile della vostra coscienza. Io

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non vorrei cambiare la mia coscienza con la vostra, perché, se ho dei grandi difetti, se ho avuto grandi torti nella mia vita, posso almeno dire che non ho mai mancato all’amicizia per voi. Non vi ho mai dimenticato. E se voi e i vostri avete operato contro il mio paese, io non ve ne ho fatto carico, riconoscendo che le opinioni politiche possono essere altra cosa rispetto agli affetti. Era questo il momento, da parte vostra, di ritirarmi la vostra amicizia, sulla quale contavo da più di vent’anni? E perché poi? Per le disgrazie del vostro amico Thiers, che è stato cacciato in esilio? Ma voi mi sapete in paese straniero, in mezzo a barbari, esposta a mille pericoli, soffrendo tutte le privazioni inevitabili a chi abita in questi paesi. Voi mi sapete esule, sola, per tre quarti rovinata, senza compagnia, senza appoggi, senza consolazione, con la responsabilità della mia Maria (cui pure, in qualche modo, un tempo, avevate mostrato affetto), e voi non provate il minimo desiderio di avere mie notizie? Non siamo dello stesso stampo. E vi dico, qualunque cosa facciate, non dimenticherò mai che io vi ho amato, e che nulla di ciò che potrà accadervi mi troverà fredda e indifferente”.

(Buio).

(Cristina, Ernestina e Miss Parker, tutt’e tre sedute alla moda orientale: Cristina fuma il narghilè; Miss Parker legge un libro; Ernestina sorseggia una bevanda).

CRISTINA Non so nemmeno se dobbiamo crederci, Cristina, a quello che ci hanno scritto. Dicono che è stato Mazzini, di cui mi citano dei passi, che mi sembrano l’opera di uno fuori di testa. Possibile?

ERNESTINA (leggendo la lettera che Cristina le ha passato): “Il Comitato vi annuncia, Italiani, che il momento è arrivato, e vi invita a prendere le armi!”. Le armi! E dove le trovano, le armi, i poveri lombardi?

CRISTINA Vent’anni di triste, sanguinosa esperienza non hanno insegnato nulla? Un emigrato non è che un uomo; ha un bel accumulare cospirazione su cospirazione. Ma quando si tratta non più di complotto, bensì di azione, egli è senza influenza, senza autorità, senza potere. È a Londra, credo.

MISS PARKER Un’insurrezione a Milano?

ERNESTINA Abortita sul nascere: nuove esecuzioni capitali.

CRISTINA Dio mi ha bene ispirato, conducendomi e tenendomi ferma in questo deserto. Cosa sarei rimasta a fare, in Europa? Mi sarei fatta dei nemici anche fra i compagni d’esilio.

ERNESTINA Le cospirazioni tramate dall’estero sono una cosa assurda.

CRISTINA Se non si può far nulla, meglio tacere. Non ho nemmeno abbastanza elementi per giudicare. Tutto ciò che so, di politica, oggi, è che uno dei mie bufali zoppica, e che questa settimana sono incerta se tosare i miei montoni.

MISS PARKER Mi manca la musica. (Pausa). Vorrei andare all’opera. (Pausa). Vorrei sentire La traviata… Devono averla appena rappresentata…

ERNESTINA Vorrei tornare a casa…

MARIA (entrando, gridando dalla gioia). Mamma, mamma!

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CRISTINA (chiusa nei suoi pensieri, non risponde).

MARIA Mamma, mamma! Lo sai cosa è arrivato?

MISS PARKER What’s the matter, my dear?

MARIA (sempre su un tono di grande eccitazione) Ho ricevuto dei libri! Indirizzati a me: “Signorina Maria, principessina di Belgiojoso”!

ERNESTINA (lei pure seduta all’orientale, intenta a sorseggiare una bevanda). Da parte di chi, amore mio? Da parte di chi, hai ricevuto dei libri?

(Buio).

(In scena le quattro donne, tutte sedute alla maniera orientale: Cristina intenta a scrivere; Maria intenta a leggere un grosso volume, mentre un altro volume, identico, sta accanto a lei; Miss Parker pure intenta a leggere; Ernestina che sorseggia una bevanda. È cioè la ripetizione della sequenza precedente).

CRISTINA (scrivendo, mentre voce off legge la lettera) “Ciaq Maq Oglou, 30 maggio 1853. Mio caro amico, Maria sta divorando i due grossi volumi della vostra Maria Stuarda. Io ho cominciata, ma – debbo dirvelo? non mi troverete troppo ridicola? – io non posso sopportare il racconto delle disgrazie vere, soprattutto quando sono narrate con il talento e la sensibilità che vi contraddistinguono. Io piango come un vitello e mi faccio triste come un berretto da notte. Ora, cadere in desolazione nel 1853, a Ciaq Maq Oglou, per le disgrazie della regina di Scozia mi sembra un lusso; sicché ho chiuso il libro per non riaprirlo se non quando mi troverò in una migliore condizione di spirito”.

MARIA (interrompendo la lettura) Mamma, a chi stai scrivendo?

MISS PARKER Don’t disturb your mother, my dear…

ERNESTINA Ti appassiona molto il libro su Maria Stuarda, Maria?

M ARIA It’s a good reading, Ernestina!

(Lungo silenzio).

CRISTINA (finendo di scrivere la sua lettera). “Ed ora addio – addio – addio, mio caro amico. Datemi la mano attraverso i mari e i monti. Amatemi, e tenetemi sempre per vostra amica devota. (Per voi solo) Cristina”.

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(Pausa).

MARIA Mamma, ma perché li ha indirizzati a me, questi libri su Maria Stuarda, il signor Mignet?

(Buio).

(Cristina e Ernestina sedute al solito modo, intente a meditare. Miss Parker sbuca in cima alla scala).

MISS PARKER, Milady, there’s a farmer, che chiede di voi. Ha un bambino con sé, che mi sembra febbricitante.

CRISTINA (si alza). Io sono il medico della provincia. Ahimé, il solo e unico medico, e mi portano malati e morenti da tutt’intorno, a cinque o sei ore di viaggio.

ERNESTINA Hanno fiducia in te. All’ospedale militare, a Roma, hai imparato tante cose, meglio che se tu fossi andata a scuola di medicina.

CRISTINA Dio viene in aiuto agli uomini di buona volontà, e qui la buona volontà non manca, né ai malati né al dottore. Così ho operato delle guarigioni di cui io stessa sono stupita. (S’incammina per la scala). Ernestina, vieni anche tu. Vediamo se possiamo fare un altro miracolo… (Cristina comincia a scendere. Ernestina la segue, ma incrociano Albergoni, che nello stesso tempo sale le scale. Cristina lo guarda con aria dura). Albergoni, cerca qualcosa, quassù?

ALBERGONI (con finta sottomissione). Devo risolvere una cosa con Miss Parker…

(Cristina lo guarda con intenzione. Breve silenzio. Poi Cristina scompare, insieme a Ernestina).

MISS PARKER? What’s the matter?

ALBERGONI Non capisco cosa diavolo dici!

MISS PARKER Cosa vuole da me? Non abbiamo niente da dirci.

ALBERGONI Senti, bella, parliamoci chiaro: non mi è piaciuto affatto come mi hai trattato questa notte.

MISS PARKER I don’t understand.

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ALBERGONI Perché non mi hai aperto la porta?

MISS PARKER Non voglio avere nessun love affair con te.

ALBERGONI (pesantemente ironico) Finora ti era piaciuta, la bestia…

MISS PARKER You are a brute!

ALBERGONI (la schiaffeggia con forza e le va sopra, con le mani sul collo, minaccioso). Ti strozzo!

MISS PARKER (spaventata, ma non nuova a essere picchiata dall’uomo, in un filo di voce) Lo dirò a Milady…

ALBERGONI (sempre minaccioso) Ammazzerò anche lei!

(Albergoni afferra la donna per le spalle e la spinge in basso, costringendola a inginocchiarsi davanti a lui. Si sposta leggermente, in modo da offrirsi perfettamente di schiena al pubblico, e coprire dunque alla vista degli spettatori la donna, che è direttamente davanti a lui. Si intuirà soltanto che l’uomo si apre la braghetta).

MISS PARKER (inginocchiata davanti all’uomo) Ah…!

ALBERGONI Bevilo tutto, brutta troia!

Quinta Scena

(Stessa scena. Cristina seduta per terra, alla solita maniera orientale, l’aria dura. Si sentono dei passi sulla scala di legno. Compare Albergoni, che resta in piedi davanti a Cristina).

ALBERGONI (deferente, e un po’ spaventato). La Signora Principessa mi ha fatto chiamare?

CRISTINA (dopo un silenzio, fissandolo negli occhi severamente). Miss Parker mi aveva accennato alle vostre brutalità, ma credevo esagerasse. E comunque non ho voluto entrare in mezzo a una storia vostra, di due adulti. Ora però la cosa è diventata intollerabile. Albergoni, consideratevi licenziato da oggi stesso. Provvederò a farvi avere quanto vi è dovuto, ma cominciate subito a preparare i vostre bagagli.

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ALBERGONI (trattenendo a stento l’ira) Non volete nemmeno ascoltarmi? Non posso dire nemmeno le mie ragioni?

CRISTINA (con grande fermezza). Non c’è nulla da dire, tutto è chiaro. Miss Parker non è vostra moglie; pertanto è libera di lasciarvi, se ha voglia di lasciarvi. In nessun caso voi potete alzare le mani su di lei, come peraltro avete già fatto anche in passato. (Pausa. Con disprezzo che rivela involontariamente la distanza di classe sociale). Siete un uomo violento, Albergoni.

ALBERGONI (stringendo i pugni, in preda all’ira, minaccioso) Ne vedrete delle belle!

CRISTINA Non permetto che mi si parli su questo tono! (Pausa. Fissandolo negli occhi, implacabile, usando un linguaggio volutamente esplicito). Siete una bestia feroce, che non mangiava carne fresca da due anni, e ha ubbidito alla sua spaventosa natura!

(Albergoni si volta di scatto e comincia a scendere la scala).

CRISTINA (indispettita, gli grida dietro). Non vi avevo dato licenza di andarvene!

Sesta Scena

(Stessa scena. Cristina, Miss Parker e Ernestina, tutte sedute al solito modo. La conversazione è iniziata da un po’).

CRISTINA Io ne ho visti, e da vicino, di harem, e diversi, e posso dirvi che non sono come si racconta. Sono sporchi; l’atmosfera è immonda.

ERNESTINA Cara, perché vuoi distruggermi le mie illusioni? Ho letto descrizioni di harem, nelle Mille e una notte, e in altri racconti orientali…

MISS PARKER Non ci sono tutte le meraviglie del lusso, dell’arte, della voluttà?

CRISTINA (ridendo) Muri anneriti e screpolati, soffitti in legno con crepe qua e là, coperti di polvere e di tele di ragno, divani strappati e unti, cortine a brandelli, tracce di candele e olio ovunque…

ERNESTINA (interrompendola, delusissima, un po’ affermativa e un po’ interrogativa) Ma le donne sono belle!?

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CRISTINA Dovete sapere che gli specchi sono molto rari, e dunque le donne si mettono addosso a casaccio orpelli di cui non possono valutare l’effetto. Non hanno nemmeno molti pettini, e quindi non c’è nulla di meno curato dei loro capelli.

MISS PARKER Ma il trucco sul viso? Il fard multicolore di cui fanno uso?

CRISTINA Sempre a causa della carenza di specchi, si aiutano l’una con l’altra a truccarsi. Ma le donne dell’harem sono rivali fra di loro, e pertanto fanno apposta a suggerire le più grottesche colorazioni del viso.

MISS PARKER Ma le donne si lavano continuamente?

CRISTINA È un’altra leggenda. La pigrizia e la mancanza di pulizia sono innate nelle donne orientali.

ERNESTINA Ma gli uomini, le amano, queste donne?

CRISTINA Ho conosciuto un vecchio muftì, che aveva 90 anni, con parecchie mogli; la più anziana aveva 30 anni, e figli di ogni età, dal marmocchio di sei mesi al sessantenne. Aveva una evidente ripugnanza per il baccano, il disordine, il fumo e la sporcizia dell’harem. Ci andava durante il giorno, come va nella scuderia, per vedere e ammirare i suoi cavalli, ma abitava e dormiva, a seconda delle stagioni, o in questo o in quello dei suoi saloni.

MISS PARKER What a strange idea… inventarsi un sistema di famiglia di questo tipo!

CRISTINA (severa) Per il solo scopo di moltiplicare i piaceri dei sensi degli uomini!

ERNESTINA Ma cosa se ne fanno, di tutti quei figli? Il padre non può nemmeno ricordarseli tutti!

CRISTINA Le ragazze, appena raggiungono i 10-12 anni, sono date in moglie, e non si sente più parlare di loro. I ragazzi non sono così precoci. Prima dei 14 anni non possono cavarsela da soli. Ma a quel punto il padre – chiamiamolo così – consegna loro una lettera di raccomandazione per questo o quello dei suoi amici, che abbia una grande casa o un impiego. Da quel momento devono sbrigarsela da soli.

ERNESTINA E i figli non vedono più il loro padre? È come gli animali?

CRISTINA Il mio muftì – quando gli feci la stessa domanda – mi rispose in questo modo: (Imitando con sarcasmo il parlare lento del vecchio patriarca): “Chi può dirlo? Ricevo spesso la visita di persone che dicono di essere miei figli. Faccio loro buona accoglienza, li ospito per alcuni giorni senza far loro domande. Ma dopo questo periodo vedono bene che qui non c’è posto per loro, e che non hanno proprio niente da spartire con nessuno. Le loro madri sono morte o scomparse. Così se ne vanno, e chi è venuto una volta, non ritorna più. Arrivano altri, al loro posto, ma fanno come i primi. Va benissimo così. Niente di meglio”.

ERNESTINA Come gli animali… proprio come gli animali!

CRISTINA Eppure una donna non corre mai rischi da parte dei Turchi. Ciò che temerei, semmai, è l’invasione dei Russi, adesso che la guerra sembra imminente, fra Turchi e Russi.

ERNESTINA Ma ci sono diciotto ore di un difficile cammino, attraverso le montagne, dal più vicino porto

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del Mar Nero a qui.

CRISTINA Se succede, montiamo a cavallo, spingiamo il nostro bestiame davanti a noi, e ci dirigiamo a sud, passando per la montagna dei miei buoni amici Curdi, ai quali lascerei le mie bestie in custodia…

MISS PARKER ….così arriviamo al mare di Siria, e ci imbarchiamo per l’Europa…

(Buio).

(Stessa scena. Notte. Si vede un candelabro acceso che proviene lungo la scala interna, passi felpati sui gradini della scala. È Albergoni che regge nella mano sinistra il candelabro).

CRISTINA (addormentata su una delle ottomane, si sveglia). Chi è? (Albergoni continua ad avanzare, in silenzio. Cristina si rizza in piedi, grida). Albergoni, cosa fate qui?

ALBERGONI Signora, mi avete insultato dicendomi di uscire dalla vostra casa! (Alza su di lei il coltello che teneva nella mano destra ). Muori, perfida! Muori scellerata!

(Cristina cerca di sottrarsi alle pugnalate, il candelabro cade per terra e si spegne. Nel buio l’uomo continua a colpirla alla cieca; Cristina, per quanto ferita, fugge alla meno peggio per la scala, inseguita dell’uomo che cerca di colpirla ancora. Tutti si svegliano e cominciano a urlare. Pianti, strepiti, implorazioni, maledizioni all’indirizzo di Angeloni. Tutta la scena al buio, fino alla fine. Fra le altre grida, si sentiranno alcune voci, più alte e distinte):

CRISTINA Mi ha assassinata, mi ha uccisa!

MARIA Mamma, non morire! Non morire, mamma, non morire!

MISS PARKER È scappato! È scappato!

CRISTINA Basta! State zitte! Calmatevi! Accendete un lume, subito! Aiutatemi a fermare l’emorragia! Ernestina, Miss Parker, svelte, svelte, come a Roma… non perdete la testa… come a Roma… Portate le garze, impacchi di acqua fredda, per fermare l’emorragia… Svelte… Maria, non piangere… la mamma non è morta… non piangere, bambina mia…

Settima Scena

(Stessa scena. Cristina, sdraiata, da malata, Ernestina, Miss Parker, e Maria, buttata addosso alla madre,

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come dovesse ancora proteggerla).

MISS PARKER Milady; è solo il quarto giorno che è successo. Restate tranquilla, in riposo. Take care of you, please.

CRISTINA Non sono morta; ho buon appetito, e mi sono anche alzata, sebbene non possa camminare a causa delle ferite alla coscia e all’anca.

ERNESTINA (accovacciandosi per terra, davanti al tavolino basso, usato solitamente per scrivere). Scrivo io; non ti stancare, Cristina. Dettami.

CRISTINA (accettando la soluzione). Va bene, scrivi. (Pausa. Poi dettando): “Mio caro fratello”. (Rivolta a Ernestina). Metti la data.

ERNESTINA (scrivendo). “Ciaq Maq Oglou, 3 luglio 1853”.

CERISTINA (seguitando a dettare). “È dunque vero, ho ricevuto sette colpi di pugnale: uno al fianco sinistro, l’altro al collo, un terzo al seno sinistro. Le ferite alla coscia e alla mano sono niente. L’assassino non è né un turco, né un arabo, né un greco, né un armeno, né un curdo, né un asiatico; è un italiano, un lombardo di Bergamo che stava con me – come magazziniere – da due anni. Al principio, ad Ankara – dove l’avevo trovato – gli ho anche salvato la vita, per una infezione di cui soffriva. Perché l’ha fatto? Ora è nelle mani della giustizia, che lo sospetta prezzolato dall’Austria. Vedremo cosa verrà fuori. Ma io penso che sia stata solo colpa della sua orrenda natura. La cosa più comica – se così posso esprimermi – è che, questa volta, il dottore ha dovuto curare il dottore. Ho detto io cosa farmi e come intervenire, perché non avessi a morire dissanguata. (Pausa). No, non torniamo in Europa…”

MARIA (dolorante, interrogativa) Mamma, torniamo in Europa, non stiamo più qui. Ho paura, ho paura!

ERNESTINA Dopo “dissanguata” continuo subito con “Non torniamo in Europa”? Non c’è collegamento…

CRISTINA Non ti preoccupare, lui capirà il salto logico; è un grande scrittore. (Indulgente ma un po’ ironica). Tu sei rimasta sempre un po’ una maestrina, mia dolce Ernestina…

ERNESTINA (autoironica) Maestra di disegno…

CRISTINA (seguitando a dettare) “No, non torniamo in Europa… o almeno non subito. Fra un po’. Fra un anno o anche più, vedremo”.

ERNESTINA (interrompendo, implorante) Cristina, ho 66 anni, voglio morire a casa mia…

MISS PARKER (sognante) Vorrei andare all’opera… Vorrei sentire La traviata…

CRISTINA (seguitando a dettare, senza rispondere alle due donne) “Ma quando sarà, arriveremo a Marsiglia, e correrò subito da voi. Però faranno fatica a riconoscermi. Ho già 45 anni, e questo è stato un colpo duro. Non so se mi riprenderò. Per il momento sono costretta a tenere la testa un po’ storta. Temo che sarà sempre così. Insomma, ho preso, come dite voi, un coup de vieux, sono invecchiata di colpo. (Pausa). Ma per il resto sarà una bella scena, lo sbarco della commediante che viene dall’Oriente: porterò almeno un

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paio di servi turchi, un grande cavallo arabo, bellissimo, 4 levrieri d’Asia e due gatti angora, dal lungo pelo…”

MARIA Sì, mamma, i gatti li voglio, e anche i levrieri…

(Si spegne la luce lentamente).

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QUINTO QUADRO

1856-1871: morire (in tristezza) a casa propria

TORNATA A LOCATE, CRISTINA CONTINUA A BATTERSI PER L’UNITA’ D’ITALIA, ACCETTANDO REALISTICAMENTE L’EGEMONIA DEI SAVOIA. EMARGINATA E SOLA, MUORE IL 5 LUGLIO 1871

Prima Scena

(Locate, grande sala da lavoro. La stessa del Secondo Quadro. 15 Gennaio 1858. Cristina è seduta in proscenio, su una poltrona, rivolta verso gli spettatori. Sul fondo, in piedi, con la schiena al pubblico, Emilio di Belgiojoso. Cristina, dopo l’attentato, è irriconoscibile: invecchiata, costretta a tenere continuamente la testa storta, per la ferita al collo. Anche Emilio è invecchiato terribilmente: divorato dalla sifilide, in fase ormai terminale, mostra i primi segni di follia. Fuori scena Miss Parker suona al pianoforte dei passi della “Traviata” di Verdi, in sottofondo, per tutta la durata della scena).

EMILIO Vivo solo, sempre più pigro e nemico del mondo. Quasi tutto m’annoia e non so veramente cosa io faccia su questa terra! Sono incapace di forzarmi a far visite, non godo che nella più grande quiete, nella contemplazione, nell’assenza di ogni noia, e nell’esercizio delle mie facoltà fisiche. La lettura, il disegno, qualche rara volta un poco di musica…

CRISTINA (interrompendolo). Voi… che amavate così tanto la musica! L’amico intimo di Rossini! (Pausa. Ricordando). Vi amava molto, Rossini, per la vostra splendida voce… (Pausa). Sarà stato segretamente omosessuale, Rossini?

EMILIO (dopo un lungo silenzio, seguendo il filo del proprio discorso che è stato interrotto) … il pranzo, i sigari, e il sonno, ecco tutto. (Pausa). Del resto non m’importa niente di niente, e ormai mi trovo meglio solo che in compagnia. Voi direte che sono matto. Io credo semplicemente di essere stonato e vecchio.

CRISINA Avete solo 58 anni…

EMILIO Ma me ne sento (e ne dimostro) 70… (Pausa). Me li sono goduti, i miei anni, potete pensare…

CRISTINA Dovreste essere, allora, nella giusta predisposizione d’animo per acconsentire all’atto di riparazione che vi chiedo esattamente da vent’anni. Basta che firmiate il documento che è sulla scrivania.

EMILIO (che non capisce, per un primo evidente segno di incapacità a connettere logicamente. Si volta e avanza verso Cristina). Signora, non riesco a capire a cosa possiate riferirvi.

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CRISTINA Maria di Belgiojoso compirà vent’anni il prossimo 23 dicembre. Deve avere il suo posto nella società. E presto dovrà anche andar sposa.

EMILIO (stonato) Auguri alla sposa!

CRISTINA (si alza e si avvicina a lui. Lo fissa negli occhi. Dolcemente). Emilio, vi chiedo di volerla riconoscere… Deve portare il vostro nome! Non è una questione di soldi, lo sapete benissimo. (Lunga pausa. Lo tocca sulle spalle, sulle braccia, gli prende le mani. Vuole intenerirlo, ma un po’ si intenerisce anche lei, sinceramente). Io vi ho amato, Emilio. Eravate così bello! La mia famiglia voleva che io sposassi un mio cugino. Ho rifiutato. È stata la mia prima ribellione. E avevo solo 16 anni. Mi sono battuta per voi. È stato un matrimonio d’amore, il nostro… (Si corregge, involontariamente). Il mio… Facevate già il cospiratore. Il mio bel tenebroso… Vi ho amato anche per questo. Siete voi, che mi avete insegnato la passione della politica. Eravate già in contatto con la Carboneria…

EMILIO (sottraendosi al contatto fisico, allontanandosi spazialmente da lei) Io l’ho lasciata, la politica… Non mi sono fatto vedere nemmeno alle Cinque Giornate. Non ho fatto il ’48, io, e nemmeno il ’49, come voi. (Pausa. Volutamente laido, per ferirla). Io ho fatto il 69… (Ride sguaiatamente).

CRISTINA (sempre tenera, per ricuperare, nonostante le sue resistenze) Vi siete perduto…

EMILIO Mentre a Milano c’erano le barricate, io ero da un’altra parte. (Pausa). Ero sul lago di Como, nella mia villa… la Plinina…

CRISTINA Con la Duchessa de Plaisance…

EMILIO Per otto anni non abbiamo fatto che fare l’amore…

CRISTINA È stato un grande amore…

EMILIO Un amore divorante! Lei, fuggita da Parigi, dove aveva lasciato una figlia bambina. (La guarda. Ironico, cattivo). Non come voi, sempre appresso, la vostra mocciosa bastardella!

CRISTINA (senza accettare la provocazione, seguitando a secondarlo nel ricordo d’amore) Cercarono di richiamare la Duchessa a Parigi. Venne a parlarle il Barone Bellerio, il fratello di Giuditta Sidoli…

EMILIO Già, l’amante di Mazzini… (Pausa). Vennero anche gli emissari dei patrioti, per ricondurmi alla lotta politica. (Pausa). Ma io restai sul lago. (Con scherno). Però gli ho mandato una bandiera, durante le Cinque Giornate… a una società operaia… (Pausa. Ricorda). Nei pomeriggi d’estate stavamo sulla balaustra della loggia, in alto, ritti, in piedi, completamente nudi, avvolti solo da un unico lenzuolo… Come due statue. A guardare il lago. E poi, all’improvviso… puf! Un bel salto nell’acqua, da quella altezza! A nuotare… ed a scopare! (Pausa prolungata). Mi ha piantato mentre facevo la siesta, un pomeriggio, quella sgualdrina!

CRISTINA (dopo un silenzio) Noi siamo restati sempre buoni amici… noi due…

EMILIO (con un sorriso improvvisamente ebete) Ma siamo, grandi amici, Cristinetta! Specialmente ora, che turchi e cristiani sono uniti!

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CRISTINA (allarmata davanti a questa prima manifestazione di demenza, mettendogli sotto gli occhi il documento preparato dal notaio) E allora firmate, caro Principe…

EMILIO Firmerò, firmerò… (Prende il foglio). Lo firmerò… (Lo lascia cadere a terra). …un altro giorno …

CRISTINA (andandogli di nuovo vicino, scuotendolo) Principe, fatelo per me, vi prego! Voi solo sapete tutto quello che ho fatto per voi…

EMILIO (ridendo sguaiatamente) Avete pagato i miei debiti! Avete sempre… pagato i miei debiti! Cioè, le mie amanti! (Pausa). Consorte irreprensibile! Salvo la bastardella… (Ride, sarcastico).

CRISTINA (amaramente) Perché mi hai sposata? Tu non mi amavi. Non potevi amarmi. Ero bruttina. Un’infanzia piena di attacchi epilettici… Perché mi hai sposata?

EMILIO (freddamente, crudelmente) 400.000 lire austriache di dote! (Pausa). La più ricca ereditiera d’Italia!

CRISTINA (sempre amaramente) Perché così crudele con me?

EMILIO (stonato, come ubriaco) Io avevo uno scrigno… e voi me l’avete… rubato.

CRISTINA Uno scrigno?

EMILIO (c.s.) Mi avete portato via tutto…

CRISTINA Non capisco…

EMILIO (c.s.) Mi avete sfruttato vergognosamente… Tutte le mie conoscenze politiche… me le avete sottratte…

CRISTINA (comprendendo finalmente) Voi avevate lo scrigno, sì, ma non avevate la chiave per aprirlo. Solo io la possedevo, la chiave. La politica era la mia passione. Per voi è stato solo un gioco passeggero! O forse nemmeno questo… Una pura copertura… di altri interessi! Anche quando siete stato a Parigi, qualche tempo… (Polemica). Non facevate che organizzare orge! Mentre io tenevo in mano la rete dei contatti politici…

EMILIO (volgare) Sì… nel vostro salotto… dandola via a tutti!

CRISTINA (gli va vicino, lo prende per le spalle, lo fissa duramente negli occhi). Emilio, sei devastato dalla sifilide! Non puoi sapere… su quanti momenti di lucidità potrai ancora contare, prima della fine! (Pausa. Cercando di colpevolizzarlo). Ce l’avevi già quando mi hai sposato! Tu mi hai infettata, con la tua malattia! Ero vergine, e avevo solo 16 anni! (Raccoglie da terra il documento notarile e glielo ripropone sotto gli occhi). Emilio, ti chiedo di firmarlo! Ti imploro!

EMILIO Ecco perché mi hai fatto cercare! (Intonando l’aria del “Barbiere di Siviglia” di Rossini, ma sbagliando il verso). “Tutti mi cercano, / tutti mi vogliono!” . (Fra sé). … No, non è così… Non mi ricordo più… (Si sottrae a Cristina e indietreggia sul fondo, cercando l’uscita). La si-fi-li-de… (Sghignazzando) Ma

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è la malattia del secolo, Cristinetta! Cosa possiamo farci? (Pausa). I poeti dicono che è la tisi, la malattia del secolo… Ma quelli, non capiscono un corno! Si-fi-li-de! (Pausa. Cristina, impietrita, lo guarda disperata). Eppure son ben crepati di sifilide anche loro… i tuoi poeti… quel germanico… e quel francioso… (ride per l’aggettivo, che gli suggerisce una associazione con “mal francioso”, cioè la sifilide) non per nulla… il mal francioso… (Da ultimo, fra sé, contento di aver azzeccato il verso giusto). Ecco, è così… (Intona di nuovo l’aria). “Tutti mi chiedono, / tutti mi vogliono!”. (Esce).

Seconda Scena

(Stessa scena. Un mese dopo, 20 febbraio 1858. Cristina e Ernestina, sedute sulle poltrone, una di fronte all’altra, in proscenio).

CRISTINA È morto tre giorni fa, improvvisamente. Nell’ultimo mese, dopo che era venuto qua, il peggioramento è stato così rapido, che gli stessi medici sono stati sorpresi. Idiotismo completo, come un bambino di due anni. Nelle ultime settimane, comunque, dovevano turarsi le orecchie, per non ascoltare le sue oscenità e le sue bestemmie. Al prete che gli chiedeva se si ricordasse il suo nome, ha risposto “Io sono il re”. La giustizia divina lo ha punito, alla fine, anche di quello che ha fatto a me. E a Maria.

ERNESTINA Non ha firmato?

CRISTINA Qualche volta, quando delirava, ha detto che lo avrebbe fatto. Ma quando era cosciente, ha sempre rifiutato. Comunque, i suoi fratelli non si oppongono. Abbiamo già un accordo, anche sui beni. Mi lasceranno persino la villa Pliniana. Pensa un po’… (Sorride). La villa dei suoi amori folli con la Duchessa…Mi costerà solo ancora un po’ di fatica. Dovrò produrre delle altre carte, ma tutto andrà a posto. Ho già scritto a Parigi, perché mi mandino i documenti necessari.

ERNESTINA E a Parigi la vita continua?

CRISTINA La vita continua sempre. Ma non è più la mia Parigi. E io non sono più quella di una volta. È morto Heine. Ed è morto Thierry. Nello stesso anno. Ero lì quando sono morti. È morto anche Musset, l’anno passato. Non ci sono più andata, a Parigi.

ERNESTINA Hai ripreso a lavorare, Cristina?

CRISTINA Sì, un poco, ma senza più la voglia di un tempo.

ERNESTINA Sempre di politica?

CRISTINA In realtà sì. Apparentemente è un libro di storia, la storia di Casa Savoia. Uscirà a Parigi, scritto

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in francese, anche questo. (Pausa). Lo voglio dire, nella prefazione, per onestà: che non è un vero libro di storia, ma piuttosto un libro per sostenere il partito che è il mio.

ERNESTINA Perché tanta professione di umiltà? Ce n’è bisogno?

CRISTINA A stare con tanti storici (da Thierry a Mignet a Thiers) ho capito che un libro di storia non è un libro di belle lettere. Lo stile non lo riscatta, se manca l’originalità di un contenuto, se non ci sono nuovi documenti. E io non ho documenti nuovi.

ERNESTINA Un libro per dire, dunque, che solo intorno ai Savoia si può fare l’Italia?

CRISTINA Sì.

ERNESTINA Ne sei convinta?

CRISTINA Sì. (Pausa). In buona sostanza, sì. Considerando il passato, a sangue freddo, anche la fuga da Milano di Carlo Alberto aveva un senso.

ERNESTINA Tu? Tu, puoi dire questo?

CRISTINA Sì, a sangue freddo, ripensandoci, posso dire di sì, Cristina. Sarebbe stato stupido continuare a combattere: per che cosa? per salvare l’onore? Certo, ma avrebbe perso lo stato. Questo stato, che è l’unico mattone, intorno a cui possiamo ancora edificare l’Italia. (Pausa). Ho sempre preferito i membri del partito repubblicano a quelli del partito moderato. A Milano, al partito repubblicano, facevano riferimento il ceto medio, la gioventù. Ma il popolo non c’era. E soprattutto non c’erano i contadini. Lo so bene io, che tanto ho fatto per loro. Nel ’48, i contadini avevano più fiducia negli austriaci che nel Governo Provvisorio. D’altra parte gli va riconosciuto anche tutto quello che è successo dopo.

ERNESTINA (che non capisce i salti logici di Cristina) Cioè? A chi, va riconosciuto?

CRISTINA Nella battaglia di Novara, Carlo Alberto cercò la morte in battaglia. Non poteva e non voleva sopravvivere alla sconfitta.

ERNESTINA (leggermente ironica). A Novara, la morte, la cercò, ma non la trovò.

CRISTINA Sì, certo. Ma è andato in esilio, a Lisbona. Ed è morto pochi mesi dopo. (Pausa). Ti sembra normale? (Pausa). Aveva solo 52 anni, ed era robusto di costituzione. (Pausa). La morte è un mistero, Ernestina. Voglio dire… che mi sembra, in qualche modo, che siamo noi a decidere quando ce ne andiamo.

ERNESTINA (si alza, va dietro la scrivania, tocca alcuni oggetti, come per ritrovare un mondo passato, una rete antica di rapporti di lavoro con Cristina) Sì, questo lo credo anch’io. La morte viene, quando la chiamiamo. Quando sentiamo che il nostro tempo è passato. Che abbiamo fatto tutto quello che dovevamo fare. (Pausa). Io ho 70 anni compiuti, Cristina. Forse ci scriveremo questo Natale. Ma sento che non ci scriveremo, il prossimo Natale.

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(Buio).

Terza Scena

(Stessa scena. Quattro anni dopo, 9 maggio 1862. Cristina e Maria, sedute sulle poltrone, una di fronte all’altra, in proscenio. Cristina è un po’ più vecchia).

CRISTINA Sono stata così in pena per te, figlia cara…

MARIA (affettuosa) Lo so, mamma cara, lo so. Me lo diceva il Marchese, ciò che tu gli dicevi (imitando la voce della madre, con dolce ironia): “Fino a che il pargolo non è fuori dalla buccia, e non vedo mia figlia ristabilita, non ho il comando di me medesima”.

CRISTINA Mi prendi in giro… Tuo marito il Marchese… non aveva diritto… di fare la spia… (Pausa). Perché sorridi?

MARIA Perché è così tuo quel modo di parlare, “il comando”. (Con ammirazione e simpatia sincera). Sei sempre stata una donna di comando, mamma!

CRISTINA Trovi che esagerassi, nella mia angoscia per te? Sì, è vero, mi faceva impazzire. Miss Parker me lo diceva: You are crazy! Per fortuna mi ha fatto coraggio Ranieri.

MARIA Ranieri?

CRISTINA Antonio Ranieri, il deputato napoletano, che ho conosciuto nel ’48, a Napoli. Tu eri troppo piccina, per ricordartene.

MARIA Il consolatore di Giacomino Leopardi?

CRISTINA Sì, e anche mio consolatore… per corrispondenza… Così delicato, Antonio, e così bravo, a scrivere lettere…

MARIA In effetti ho avuto l’infiammazione all’utero, e anche la miliara, che non è roba da scherzarci sopra…

CRISTINA Ma io ero angosciata già prima… Come se me lo sentissi… Come se lo temessi, quasi una punizione di Dio per le mie colpe!

MARIA Mamma, cosa dici!

CRISTINA Ho passato venti giorni peggio che in purgatorio! (Pausa). Non ho fatto altro che piangere e pregare Iddio, che mi lasciasse finire questo resto di vita, senza renderlo peggiore della morte.

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MARIA (commossa, si alza e va a inginocchiarsi davanti alla madre, il capo sul suo ventre). Sei tanto cara, mamma! Sei sempre stata così commovente con il tuo eccesso di apprensione per me!

CRISTINA (affettuosa, dolcemente) Tu non puoi capire, bambina mia, perché io soffrivo così tanto per te… Perché io ti ho così infinitamente strapazzata, tutta la tua piccola vita… Avevi dieci anni, e stavi sul piroscafo, con i volontari napoletani… E poi nell’ospedale romano, sotto i tiri dei cannoni francesi, tutto il giorno abbandonata nella cameretta della capo sala… E quella vita così complicata in Oriente… Quel viaggio a Gerusalemme che durò quasi un anno…

MARIA Ma io stavo bene, ero contenta, felice! Non ti ricordi quando, per i tuoi compleanni, ti facevo tutti quei dolci…

CRISTINA (ricordando perfettamente) Sì, ci mettevi dieci giorni, a procurarti tutti gli ingredienti necessari…

MARIA E una volta ti ricamai un piccolo mantello, che mi era costato ore e ore di lavoro…

CRISTINA E mi dicevi sempre: “Ti piace la tua festa, mamma? È un bel giorno per te, mamma?”, e altri piccoli complimenti di questo tipo, così carini. (Pausa). Ma poi ti ammalasti, per lo strapazzo, non ti ricordi? E quella notte orribile in cui fui pugnalata?

(Maria piange, con gemiti soffocati. Cristina l’accarezza teneramente sui capelli). Non avevo diritto, non avevo diritto, a farti fare quella vita da matta e disperata…

MARIA (rialzando il viso) E se tu fossi morta, quella notte, cosa sarebbe stato di me?

CRISTINA (pensierosa) Già? Cosa sarebbe stato? Beh, c’erano Miss Parker, e Ernestina, e loro due, sicuramente, ti avrebbero riportato in Italia, in un modo o nell’altro.

MARIA (si rialza, e si avvia vero il fondo, come per uscire, attirata dal pianto di un neonato, in basso, che durerà sino all’uscita di scena di Maria). Senti molto la mancanza di Ernestina…?

CRISTINA Ernestina era stanca, e se ne è andata. Mi sento un po’ colpevole, anche verso di lei. Ho contributo a sfinirla…

MARIA Tu non ti sfinisci mai, mamma. (Con ammirazione sincera). Tu sei così forte!

CRISTINA No, Maria cara, anche la tua mamma non ce la fa più. Tocca a tutti, prima o poi. Lo stesso Conte di Cavour si è stancato. Aveva solo cinquant’anni, e se ne è andato… pure lui… (Riprendendo il tormentone dei suoi sensi di colpa). E anche a Locata, figlia mia, che vita hai fatto? Né teatro né balli né società: niente altro che Locate, e le sue lezioni.

MARIA Sono sempre stata con te, mamma! Non sono mai stata messa in collegio! Piuttosto raro, nel nostro mondo, no? (Sull’uscio). Ti faccio portare su la bambina? Vuoi vederla?

CRISTINA No, scendo io, fra un attimo. Devo solo chiudere una lettera, quasi terminata. Due parole.

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MARIA (dopo una pausa, sinceramente commossa) Mamma, ma perché non vuoi venire ad abitare con noi? Il Marchese te lo ha proposto tante volte… Puoi portare anche Miss Parker, naturalmente…

CRISTINA Tuo marito il Marchese è squisito di modi, ma io preferisco di no. A Milano non usa, che le giovani coppie vivano con la madre della sposa. Va pure, cara.

(Maria esce, Cristina si alza e va lentamente alla scrivania, parlando da sola a voce alta).

CRISTINA (parla come se stesse dettando un saggio sulla condizione femminile, che in effetti scriverà qualche anno dopo, nel 1866). Le figlie prendono marito, entrano in una nuova famiglia, diventano anch’esse madri, e concentrano i loro affetti nella nuova realtà che si offre ai loro occhi. La madre è diventata una persona secondaria, amata, sì, ma come parte del passato, e senza ingerenza in un futuro che si manifesterà probabilmente sulla di lei tomba.

(Siede alla scrivania, prende la penna. Il pianto del neonato è cessato).

CRISTINA (rilegge a voce alta la lettera già scritta, con la penna in mano, sospesa in alto). “Locate, 9 maggio 1862. Caro Mignet, conoscendo la vostra vita ordinata, il vostro orario, le vostre abitudine: l’idea che voi vanamente cerchiate, per mesi, una mezz’ora disponibile per dare qualche segno di vita a una vecchia e lontana amica…” (Cerca la parola per concludere, e poi la trova, e la scandisce mentre la scrive) “…è i-na-mmi-ssi-bi-le”.

Quarta Scena

(Stessa scena. Quattro anni dopo, febbraio 1866. Cristina, seduta sulla poltrona, in proscenio. È ulteriormente invecchiata, ma sempre lucida. Fuori scena Miss Parker suona al pianoforte dei passi della “Forza del destino” di Verdi. Dopo un po’ Cristina scuote forte, con imperio, il campanello che sta su un tavolino accanto alla poltrona. Miss Parker interrompe di suonare e fa il suo ingresso nella stanza).

CRISTINA (con un fascicolo di “Nuova Antologia” in grembo). Venite, cara… Fatemi un po’ di compagnia…

MISS PARKER (siede sull’altra poltrona, di fronte a lei) Siete contenta, Milady? È venuto bene il vostro saggio… L’ho letto tutto…

CRISTINA (ricordando, con un sorriso) L’ho conosciuto a Parigi, nel 1831; frequentava il mio salotto. Anche lui esule, il buon Terenzio Mamiani. È stato tanto caro, a ricordarsi di me, a volere un mio scritto… per il primo numero della “Nuova Antologia”…

MISS PARKER Avete fatto una cosa nuova, che non si aspettavano, da voi… (Le prende di mano il fascicolo, e legge, con ammirazione, ma con perdurante accento inglese, staccando bene le parole del

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titolo). Della presente condizione delle donne e del loro avvenire…

CRISTINA È uno dei pochi… a sapere che esisto ancora…

(Si alza e comincia a muoversi nella stanza, ma a fatica, molto curva, per la vecchia ferita al collo, e la testa storta; con la mano sinistra si appoggia a un bastone. Un lungo monologo, durante il quale si rivolge ogni tanto anche a Miss Parker, rimasta seduta, interdetta, un po’ travolta da quel fiume di parole che procede però lentamente, con lentezza e amarezza).

CRISTINA (dopo una pausa, riprende) Forse è colpa mia. Ho esagerato. Sono stata – come dire? – faraonica, nelle mie esternazioni. Quando è scoppiato il ’48, e Mignet e Thierry erano sconvolti, e anche spaventati, ho scritto a Lamartine – che era nel nuovo governo – per raccomandare i miei amici. A Milano, dove era arrivato Mazzini, dopo le Cinque Giornate, volevo mediare, fra lui e Carlo Alberto, mettere pace fra di loro, per unirli in un fronte comune contro gli Austriaci. (Pausa). Poi, dopo Custoza, andai a Grenoble, dove speravo di convincere il generale Oudinot a venire in Italia, con il suo esercito, contro l’Austria. (Ride di sé). Presuntuosa! Ve-llei-ta-ria! Cosa credevo? Chi pensavo di essere? Sono una principessa, certo, ma non una regina. Ci è venuto, in Italia, con il suo esercito, il generale Oudinot… Ma non contro gli Austriaci! Contro i patrioti della Repubblica Romana! Ci ha massacrato, con le sue bombe, i suoi cannoni! (Pausa). È per questo che non mi hanno mai sopportato, nessuno, né i moderati né i radicali. Cosa diceva Mazzini? Che ero “guastata dalla vanità”… Lavoravo per lui, nel ’49, a Roma, ma mi criticava perché litigavo con chirurghi, medici, infermieri… Già… Lui parlava, ma non conosceva i problemi… Negli ospedali romani, prima che arrivassi io, gli infermieri erano i facchini. Nelle infermerie mancava tutto: tela cerata, spilli, nastri, stecche per le fratture, assi da mettere sotto il letto dei fratturati… Mancava l’etere! Mancavano gli strumenti chirurgici! All’ospedale della Trinità dei Pellegrini e in quello del Quirinale gli unici strumenti erano quelli personali del professor Grana, che se li teneva chiusi in un armadio, di cui conservava gelosamente la chiave! (Pausa). E il ferito con la coscia fracassata da una palle di cannone? “Va amputato subito” – dicevo io –, e il chirurgo, che voleva scrivere al Consiglio Sanitario, “Una tardanza di una ora o due non può nuocere, state tranquilla, Principessa…”. Asino! Asino calzato e vestito! (Pausa lunga). Comunque, a poco a poco, ho cominciato a capire… Dopo, sono cambiata… Tutta di umiliazioni è stata la mia vita. Mi sono umiliata… Ho ripreso i rapporti con tutti. Non ho serbato rancore a nessuno. Cavour diceva che ero drogata, che fumavo oppio, nel mio narghilè. Lo diceva sin dai tempi di Parigi, quando aveva vent’anni e frequentava il mio salotto. Eppure mi sono messa umilmente al suo servizio. Ho scritto la storia di casa Savoia, inneggiando al re, e anche proprio a Cavour, (autocitandosi) “il grande ministro che ha preparato e diretto l’esecuzione di così mirabili disegni”, o qualcosa del genere – devo aver scritto –, non ricordo bene…. Non è servito a nulla. (Pausa). Mi sono umiliata, e sono stata umiliata… (Lungo silenzio).

MISS PARKER (imbarazzata) Perché dite questo, Milady? Non dovete deprimervi, Principessa…

CRISTINA Nel ’60 il Re venne in visita a Milano… Ci fu un ballo di gala… E io non fui invitata…

MISS PARKER Mi ricordo. Ve ne lagnaste con Cavour…

CRISTINA Mi scrisse che non era stata la Corte… Insomma, che la Corte si era arresa… alle pressioni dei molti – milanesi – che non mi erano amici… (Pausa). Vanità… Sì, sarà stata la mia vanità, che dava fastidio. O il fatto che fossi donna. Me l’hanno fatta pagare, il fatto che fossi donna… (Pausa). E la mia vita parigina… anche quella, me l’hanno fatta pagare. Ma io non ho forse accettato il giudizio del mondo?

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(Pausa). Non ho ancora visto che un uomo o due, che abbiano qualche intelligenza… E pertanto ne ho visti, di uomini… (Lunga pausa). Cavour certo, intelligente, lui sì… Lui di sicuro! Come mi scrisse, quando gli domandai come potevo assecondare la sua linea politica? (Citando a memoria la lettera di Cavour). “Non è facile tracciare la linea che intendo seguire… Valersi della rivoluzione per appianare il terreno; cercare di dominarla, quando si tratta di edificare…”. Bravo il Conte! Diabolicamente intelligente!

MISS PARKER (per consolarla) Siete sempre stata una protagonista, Milady; è normale che abbiate dei nemici…

CRISTINA Non importa, Miss Parker, it doesn’t matter… Si dice così, Miss Parker? Sto un po’ dimenticando l’inglese…

MISS PARKER Never mind…

CRISTINA Ci sono dei limiti… che dobbiamo accettare, Miss Parker, questo è il punto… (Pausa). Io ho quasi 60 anni, ma in certe cose sento con maggior forza e con uno slancio maggiore che mai per il passato. Ho sempre pensato che ci fosse una corrispondenza tra la forma esterna e la parte interna. E invece no. Il mio cuore e la mia testa restano giovani, ma vedo le rughe solcare le guance, la fronte. Nemmeno gli occhi – questa finestra dello spirito –, nemmeno gli occhi risplendono tutto il vivo che sento dentro di me. Vedo un velo di vecchiaia condensarsi sui miei occhi, e non mi ritrovo… Ed è questo che mi fa soffrire…

(Miss Parker si è alzata – sulla battuta finale di Cristina – e le è andata incontro: l’ha abbracciata, le ha preso il capo, delicatamente fra le mani, accostandolo al suo petto).

MISS PARKER Milady deve ritrovare la sua calma e la sua pace. Parlare troppo le fa male.

CRISTINA (che nel contatto ravvicinato ha percepito l’alito della donna che sa di alcool) Dove, ritrovare… calma e pace? Nell’alcool? (Pausa. Ironica, ma dolce). Red wine or white wine, Miss Parker?

MISS PARKER (arrossisce, ma sorridendo) Oh, voi avete il narghilè, io cerco serenità in qualche altro modo… (Pausa. Anche lei ironica). Anche questo è… woman’s emancipation…

CRISTINA (stanca, torna a sedersi in poltrona) Ciò che le donne chiamano emancipazione, cioè riforme radicali, provvedimenti, leggi, tutto questo va rimandato a giorni più sicuri e tranquilli. La nostra Italia sta ora componendosi con gravi stenti. Questa è l’impresa primaria cui attendere.

MISS PARKER Mi sembrava che il vostro saggio contenesse una speranza immediata per le donne.

CRISTINA Sì. Si può cominciare da subito il processo di educazione. Le donne che si sentono pronte e vogliose, entrino nella scuola, nelle aule dei licei e dei ginnasi. E saranno disposte anche a frequentare felicemente i corsi pubblici che compongono la istruzione universitaria… (Pausa. Con tono solenne). Ma i nostri legislatori non possono e non debbono venire distratti dall’opera principale: finire di unificare tutta l’Italia.

MISS PARKER Allora, ora so, che cosa devo fare… (Esce).

(Pausa. Si sentirà, fuori scena, Miss Parker che prova degli accordi sul pianoforte).

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CRISTINA Ancora La forza del destino?

(Un attimo di silenzio, poi parte, alta, squillante, enfatica, la musica dell’ Inno di Mameli).

Quinta Scena

(Stessa scena. Cinque anni dopo, 5 luglio 1871. Cristina e Miss Parker, sedute sulle poltrone, una di fronte all’altra, in proscenio. Cristina è quasi decrepita, e non si muove più dalla poltrona).

MISS PARKER Dovete riposare, Milady, distendervi nel letto…

CRISTINA No, cara, preferisco la poltrona. Voglio morire in poltrona, non mi piace il letto…

MISS PARKER (sinceramente commossa) Non dite questo, Milady, mi fate piangere…

CRISTINA Mi spiace morire, ma l’ho già guardata in faccia, la morte: è strano, ma il terrore diminuisce a mano a mano che la cosa si avvicina. (Pausa). E poi, Miss Parker, si parte, quando si è visto tutto quello che si voleva vedere… (Pausa). Io sono riuscita a vedere Roma capitale. E sono contenta. Per il resto, ho visto anche troppo… (Lunga pausa). Ho veduto il mio vecchio amico Thiers, che ha fatto fucilare tutti quei Comunardi… (Pausa). Lo sapete che Thiers veniva nella mia soffitta? Era bravo a preparare le uova. La Fayette non sapeva fare nulla… Ma era tanto caro… Thiers, invece, era bravo… (Pausa. Con cattiveria senile). Però, lui, le uova che preparava, non le ha mai mangiate… (Con un riso sardonico). Se le è sempre mangiate il suo buon amico Mignet… (Pausa). Che non mi scrive più, ormai, da un pezzo… (Sardonica). Si vede che non gli piacciono più, a Mignet, le uova…

MISS PARKER (sposta la sua poltrona accanto a quella di Cristina e le prende una mano) Milady è sempre piena di humor…

CRISTINA Ormai siamo vecchie tutt’e due, Miss Parker. Dunque, mi puoi dire una cosa, adesso…

MISS PARKER Certo, Milady!

CRISTINA Non ho mai capito…

MISS PARKER Cosa?

CRISTINA Ma, in verità, è che non ho mai osato chiedertelo… Ora però è venuto il tempo di sapere...

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MISS PARKER (ansiosa) Ditemi!

CRISTINA Te lo ricordi quel bruto, in Oriente? Il mio magazziniere?

MISS PARKER (con orrore) Oh!

CRISTINA Ecco… Ma perché smettesti con lui? Prima avevi accettato… la sua amicizia… Perché, dopo un po’, decidesti di rompere?

MISS PARKER Ogni tanto mi picchiava…

CRISTINA Perché ti picchiava? Era manesco di natura?

MISS PARKER Un po’ sì. (Imbarazzata, dopo una pausa). Ogni tanto io gli dicevo delle cose che lo ferivano…

CRISTINA E per questo ti picchiava, allora?

MISS PARKER Sì, per questo.

CRISTINA E cosa gli dicevi, tu?

MISS PARKER Gli dicevo… (Esita. Ancora una pausa). Gli dicevo delle cose… che lo colpivano nel suo orgoglio maschile…

CRISTINA Dunque, l’hai lasciato per non essere picchiata?

MISS PARKER Non proprio… Per un po’, ho aspettato… ho sperato… Ma non succedeva nulla, e alla fine non ce l’ho fatta più…

CRISTINA Non capisco…

MISS PARKER (sorride e diventa rossa) Non so se posso dirlo…

CRISTINA Vorrei proprio saperlo, prima di andarmene…

MISS PARKER (con grande sforzo, ma anche ridendo, a mano a mano che parla, perché vede che Cristina, all’improvviso, ha capito e ride anche lei) He was incapable… Era incapace… to give me an orgasm… non mi dava piacere…

(Ridono tutt’e due, per un po’, con intensità leggermente crescente, mentre cala lentamente il buio. A un certo punto Miss Parker si accorge, spaventata, che Cristina ha smesso di ridere, e si è irrigidita, con la nuca piegata contro la spalliera della poltrona. Si alza, con paura, e con quella sorta di ribrezzo che si prova davanti ai morti. Va verso l’uscita, come per chiamar gente. Arrivata sull’uscio si ferma, e si volta, a guardare Cristina, immobile, morta. Occhio di bue sulla testa di Cristina, nel buio ormai totale della scena.).

S I PA R I O

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(Roberto Alonge- Argia Coppola)

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