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Geologia fantastica ad Alessia Introduzione / Istruzioni per l’uso Geologia fantastica forse è solo un sogno da bambini, quando raccogliendo sassi, ad esempio in riva a un lago o lungo un torrente, è possibile immaginare che queste “inanimate“ cre-azioni della terra prendano vita per diventare i personaggi di una storia. La storia inizia proprio raccogliendo, dove ancora di storia non c’è ombra, o sospetto, ma solo una specie di promessa, una vaga aspettativa. Raccogliendo, e nell’atto stesso di lasciarsi catturare da qualcosa che esprime quel luogo e quel tempo, inizia a formarsi un’immagine di ricerca che guida, sempre un po’ di più, la raccolta mirata/selezione e che evoca, a poco a poco, i potenziali narrativi di ogni sasso-personaggio e delle loro reciproche combinazioni/interazioni. Raccolgo sassi comunque e dovunque da quando ero bambina. Essi mi hanno sempre “parlato”, suggerendo il tempo profondo, troppo remoto, del “non raccontabile”. Un tempo da interrogare, di cui essi stanno, come briciole sulla tavola, a rappresentare la traccia. Interrogare il mistero dei tempi perduti della Terra è stato spesso il mio motore di raccolta. Da “geologo selvaggio” ho cercato tratti peculiari per classificare le mie emozioni suggerite dalla pietra, partendo da alcuni indubbi tratti di comunanza fisica e da altrettanto certi segni delle mie fantasie. Per ogni diverso luogo e tempo i “miei” sassi sono sempre stati diversi, frammenti di un contesto capace di farmi veleggiare con differente spirito. Ho pure frequentato (comunque in anarchia) contributi geologicamente scientifici, perché tutto ciò che racconta questa Terra mi incanta e le sue immagini e i suoi suoni non cessano di commuovermi e stupirmi. Cristina Fedrigo© 2005, Serie creative: materiali. Sassi Cristina Fedrigo © 2005, Serie creative: Sassi

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Geologia fantasticaad Alessia

Introduzione / Istruzioni per l’uso

Geologia fantastica forse è solo un sogno da bambini, quando raccogliendo sassi, ad esempio in riva a un lago o lungo un torrente, è possibile immaginare che queste “inanimate“ cre-azioni della terra prendano vita per diventare i personaggi di una storia.La storia inizia proprio raccogliendo, dove ancora di storia non c’è ombra, o sospetto, ma solo una specie di promessa, una vaga aspettativa. Raccogliendo, e nell’atto stesso di lasciarsi catturare da qualcosa che esprime quel luogo e quel tempo, inizia a formarsi un’immagine di ricerca che guida, sempre un po’ di più, la raccolta mirata/selezione e che evoca, a poco a poco, i potenziali narrativi di ogni sasso-personaggio e delle loro reciproche combinazioni/interazioni.Raccolgo sassi comunque e dovunque da quando ero bambina. Essi mi hanno sempre “parlato”, suggerendo il tempo profondo, troppo remoto, del “non raccontabile”. Un tempo da interrogare, di cui essi stanno, come briciole sulla tavola, a rappresentare la traccia. Interrogare il mistero dei tempi perduti della Terra è stato spesso il mio motore di raccolta.Da “geologo selvaggio” ho cercato tratti peculiari per classificare le mie emozioni suggerite dalla pietra, partendo da alcuni indubbi tratti di comunanza fisica e da altrettanto certi segni delle mie fantasie. Per ogni diverso luogo e tempo i “miei” sassi sono sempre stati diversi, frammenti di un contesto capace di farmi veleggiare con differente spirito.Ho pure frequentato (comunque in anarchia) contributi geologicamente scientifici, perché tutto ciò che racconta questa Terra mi incanta e le sue immagini e i suoi suoni non cessano di commuovermi e stupirmi.

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Mantengo, tuttavia, il mio disordine, un’attitudine aleatoria, in queste escursioni di meraviglia, permettendomi sempre di immaginare ogni immaginabile. E se a volte accade che nella pietra siano rimaste vestigia di una vita passata, allora l’emozione sposa lo stupore di quali infinite vie possa seguire la natura del mondo. Il vento e l’acqua che cesellano la pietra, mettendo a nudo una vena o le pagine degli strati, piegate da forze impensabili; o il guscio di una conchiglia imprigionato in quella che un tempo fu sabbia, la morbidezza di un basso fondale oggi montagna ... o dove scopri che una foglia ha iniziato la sua strada di pietra e non si sfa, ma si fa altro da sé ...; quando stringo una goccia d’ambra dove un insetto è rimasto prigioniero (ma come è potuto accadere?), e dove e quando la vita stessa si è cristallizzata attraverso una qualche distruzione che ne conserva una traccia per cui non è scomparsa, ma donata dal tempo profondo al mio sbigottimento che ringrazia la Terra di questi doni, ... quando penso a tutto questo e al silicio che fonde se impatta a terra un corpo celeste e qualcosa d’altro ancora si crea, ...Quando penso a queste e ad altre simili cose, mi sento pienamente autorizzata a raccontare le storie dei miei sassi e, non potendo narrarle vere, trovo le loro tante fantastiche verità a ogni passo, quando mi chino a raccogliere la bellezza essenziale di un ciottolo perfettamente arrotondato dalla pazienza infinita del mondo e delle sue forze, in incontrollabili enormità. La conchiglia fossile che porto con me, o un pezzetto nero di legno protetto per lunghissimi tempi da un sudario di argilla, o la piccola sfera rubata tra le ghiaie normanne del chiostro di Beauveais, o quella piccola e bianca di un’isola croata, donatami da un’amica: sono solo alcuni dei miei compagni di viaggio. Sono le rune del mio immaginare.

Questa è un’esempio per operare. Così mi piace pensarlo. Esso nasce da molti anni di esperimenti, anche assai diversi tra loro, ma legati da un aspetto comune caratterizzante: la creatività, o meglio, la ricerca di

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strumenti per la creatività. E’ un minimo lavoro che rivolgo a tutti coloro che pensano la creatività sorga spontaneamente in un qualche imprecisato momento in cui siamo finalmente “bravi”. Dimenticando la quotidianità di un esercizio che forma le sinapsi del nostro poter creare, ricreare, inventare, ... altrettante autostrade di rapido scorrimento degli impulsi elettrici del nostro ideare, organizzare, rivedere, variare, ... della chimica misteriosa del progettare.Progettare è creazione, meglio, creare è progettazione. Ma ciò non significa prevedere o decidere tutto, subito dal principio. Questo ci renderebbe sordi, ciechi, inflessibili ... Sono, invece, i percorsi del nostro azzardare ipotesi, a volte fortunate e sostenibili, a volte totalmente improduttive, che hanno la caratteristica di spostare il limite di un’esperienza già battuta solo un poco più in là, da un’altra parte rispetto a quella a noi già familiare, che a volte in modo repentino si configura come sensata, saliente, praticabile. Per questo serve tempo, Il Tempo necessario, che non sappiamo mai stabilire a priori qual possa essere. Al pari dell’esperienza educativa, quella del nostro creare ha tempi che si conoscono vivendoli.Non è mia intenzione definire la creatività, né tentare di pianificarla, spiegarla, ecc.. Vorrei offrire alcuni strumenti-suggerimenti per sostenerla, aiutarne l’emergere e/o il percorso, incoraggiarla in chi se ne chiamerebbe volentieri fuori, rinunciando alla disciplina implacabile del liberamente-coerentemente andare.

Un materiale / Il materiale

Quelle che seguono sono indicazioni di processo. E neppure le migliori. Solo alcune, possibili.L’esercizio consiste nel prendere UN materiale, anche uno qualunque. In genere, preferisco maneggiare cose che mi piacciono, ma si tratta di un orientamento personale e neppure del tutto generalizzato a ogni situazione da me sperimentata.

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Ciò che fa di un materiale UN materiale è che esso rientra in qualche nostra consuetudine o esperienza.Perché un materiale diventi IL materiale, rispetto a un dato contesto e scopo creativo, dobbiamo poterlo interrogare partendo da altri punti di vista, altri rispetto alla nostra consuetudine. Di certo ne disponiamo, si tratta di metterli in gioco, abbandonando ciò che risulta scontato e che ci par corretto/scorretto pensare rispetto a quel dato materiale.In sintesi: il primo esercizio su un materiale è far in modo, in ogni modo ci sia utile e d’aiuto, di allontanarci dai nostri pre-giudizi e dalle nostre abitudini riguardo lo stesso.Ogni materiale (si tratti di un oggetto / gruppo di oggetti, concetto, strumento, azione, risorsa ...) ha determinate caratteristiche, forma, possiede funzioni (una o più) e “vocazioni”. A volte queste ultime restano inespresse, nella nostra personale esperienza. Proprio queste val la pena di sondare, modificando il nostro approccio.Per aiutarci possiamo:- usare differentemente i nostri sensi (tutti) e

sviluppare percezioni meno abituali del materiale stesso (cambiare modi, tempi, prospettive, gesti, posizioni, misure, ... nel metterci in relazione percettiva con esso);

- annotare, a ogni cambiamento come sopra praticato, quanto questo ci suggerisce (anche le cose più apparentemente insensate non lo sono in effetti, ma si rivelano col tempo);

- resistere alla tentazione di trovare subito un ordine, un senso, una logica nell’esplorare le potenzialità del materiale stesso;

- darsi tempo;- appena ci par di aver “compreso”, intravisto qualcosa

di nuovo e interessante, modificarlo in parte più volte, per vedere se presenta possibilità di sviluppo;

- non affezionarci alle cose che stiamo individuando; piuttosto collezionarle ed esser pronti ad abbandonarne una buona parte;

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- essere disposti ad agire concretamente sul materiale o i suoi supporti (una melodia stampata su carta può essere concretamente tagliata a pezzi o differentemente colorata ...);

- iniziare a giocare, combinando parti o elementi, simulando situazioni d’uso, sperimentando funzioni “inedite”, ...;

- riempire i “vuoti” tra un elemento/atto e l’altro, immaginando azioni/elementi che coordinino le parti, che le mettano in relazione ...;

- iniziare ad approssimare un prima e un dopo, insomma, una sequenza temporale d’azione ...

Man mano che si procede, il materiale esplica funzioni e possibilità d’azione integrandosi in schemi, situazioni, racconti, strutture, strategie, ... ossia sta esplicitando i propri potenziali d’azione.

Si tratta di processi che possono essere standardizzati, ottimizzati, variati ogni volta (direi sia essenziale farlo), stravolti, riapplicati, mai più utilizzati in quella data sequenza: dipende dai materiali, dai contesti, dagli usi che intenderemmo sondare. Dipende dalle nostre attitudini e fantasie, dal rigore della nostra logica e dalla tolleranza dei tempi di permanenza nel “disordine”.Il suggerimento di sintesi consiste nel considerare il lavoro creativo un processo di esperienza e indagine, sperimentazione, circa l’uso, il senso, i modi, le quantità e le qualità delle cose (concrete come astratte) del mondo.

Avvertenze:Quelli che seguono sono esempi ... di partenza.Nulla di compiuto, di definitivo o di particolarmente degno d’attenzione.Ma, spero, qualche processo allo scoperto.

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Cosa raccontare?Che le cose umane pensieriopereomissioni - si comprendono sempre meno, anche giocandoci insieme. La vita stordisce sempre.

Comprensione: specie di parola che vorrebbe sondare chi è, cosa pensa, cosa vuole il tal umano.Insomma, mi vien da ridere.

Esiste impresa più disperata?Più semplice far parlare un sasso.Meglio, raccontare cosa raccoglie qualche piega di pietra.La parola d’uomo, se cerca soluzione all’uomo, è follia senza divinazione e teme il nascosto, così

schiacciante, se veramente si nasconde. E quest’anima presunta, il tempo criptato, riflesso del desiderio di mondo, scrive tutte le parole del mondo. S’illude.

E, allora, cosa raccontare?Riferire quanto tace e canta in una sola illuminazione, in un segno di sabbia, silenziosa si culla come un pezzo di cielo tagliato dai rami di un albero, la piccola saga di una fila di sassi.

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La coppia nomade

Di quando in quando i sette sassi ricevevano visite: sassi simili a loro ma non provenienti dallo stesso sito.Di certo uno degli incontri più interessanti fu quello con una coppia di Oppostisimili, viaggiatori per antonomasia.Le coppie di Oppostisimili erano sempre ben accette presso i gruppi di SassidiNumero (quali erano i nostri sette), dato che portavano nuove da qualche altro luogo del mondo. Al contrario dei gruppi dei SassidiNumero, le coppie di Oppostisimili non si fermavano che qualche millennio durante i loro spostamenti e proprio per tale ragione venivano accolti presso le comunità stanziali con grande gioia. Era rilevante il fatto che queste coppie, giungendo all’improvviso, creassero una nuova storia, vero balsamo per gli stanziali che in questo modo non traumatico potevano comunque entrare in un nuovo racconto.Ogni racconto nasce, infatti, se accade qualcosa: ecco perché le coppie di Oppostisimili (coppie nomadi) erano pure chiamate “i Narranti”.A questo punto si può anche comprendere la ragione del loro nome: Oppostisimili. I due, infatti, insieme costituiscono un’entità coerente le cui parti hanno alcuni tratti comuni (simili, appunto) per poter andare insieme ma, proprio per poter viaggiare (dinamismo), devono pure configurarsi tra loro in qualche forma come opposti.I due che giunsero e di cui si ha recente notizia, erano, in particolare, due Sapientiopposti: Monocivetta e Ottaedropunta. Una bellissima e armoniosa coppia.Monocivetta è una curvilinea occhiuta signora veggente; dove ella si appollaia qualcosa vede/canta, come le Sirene, del passato, del presente, del futuro, che per lei non sono diversi. Per cercar di render meglio l’idea: un sasso veggente non si distingue - come accadeva un tempo per gli umani - poiché legge il futuro. Ciò che accadrà non è rilevante per un sasso sapiente, quanto, piuttosto, è rilevante il percorso della storia. Insomma,

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il tempo è un ordinatore di eventi, non una dimensione da scoprire, per i sassi sapienti, o narranti, se si preferisce. In particolare, la Monocivetta, potendo appollaiarsi in luoghi sopraelevati, ha il privilegio degli alti punti di vista, quindi, di un orizzonte circolare di veduta. Ella deve solo decidere, circa il tempo, da quale punto del cerchio iniziare il racconto, per procedere, a seconda dell’umore, in senso orario o antiorario, vezzo, quest’ultimo, ereditato dai congegni umani ritrovati sotto la sabbia del deserto detto (da allora) “Terra secca degli Orologi”.La Monocivetta dall’alto - si diceva - scruta e decide, mentre soffia il vento inquieto dell’attesa.Al contrario, l’Ottaedropunta, molto antico, come tutti gli eredi di inanimati, ricorda proprio la punta di una lancia, di quelle che in epoche remotissime utilizzavano gli antichi umani. Le otto facce non sono regolari ma ben proporzionate tra loro e la struttura dell’Ottaedropunta rispetta un equilibrio misterioso di simmetria asimmetrica, cosa poco spiegabile ma tangibile.I sassi sono notoriamente custodi di memoria, e, in particolare, quelli aventi una qualche funzione vi restano legati per l’intero tempo della loro consistenza. L’Ottaedropunta è fra questi e si accompagna volentieri alla Monocivetta poiché, quand’ella volge i grandi occhi all’orizzonte circolare, l’antica lancia di pietra scura, seguendone lo sguardo, indica con precisione assoluta, alla fine, il punto di vista adottato. E proprio da quel punto preciso preciso inizia la nuova storia. Ecco perché, opposti, sono così sintonici l’uno per l’altra. Il primo, peraltro, con quell’indicatività così confacente a un maschile, la seconda così femminile nell’abbracciare rotondamente tutto, capace di scegliere (espressione del momento assunto) ma incapace di escludere (espressione dell’ignorare sempre). I due sono felicemente complementari.

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La storia

Monocivetta si appollaiò quietamente tra le linee ardite di quella che doveva essere stata un’imponente struttura di cemento e acciaio: i nuovi alberi erano ancora troppo bassi in quella parte del mondo, per offrire un’alta visuale, mentre c’era abbondanza di questi scheletri, sonori, peraltro, se c’era vento. Monocivetta adorava servirsene, sia per l’altezza, sia per le sonorità: lassù si sentiva ispirata. Accanto a lei Ottaedropunta attendeva il momento per indicare, remoto, all’orizzonte,

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il punto per cominciare la storia. La Grande Madre attendeva quietamente di ascoltare. Semplicemente. I due Oppostisimili l’avevano omaggiata con uno sguardo di profonda intesa, prima di appostarsi. Accanto alla Madre, il Guardiano taceva, come sempre, sapendo, fin dal principio dei tempi, che i due erano incapaci di cattivi pensieri. Quella che non sapeva celare la propria impaziente aspettativa era la Figlia Maggiore: aveva un debole per le storie e se ne poteva ben intuire il perché: destinata a una vita casta e sapiente, erede dell’immota imperturbabilità materna, viveva nella dimensione del non-cambiamento, senza possibilità di narrazione, quindi, nella rinuncia alla o alle storie. Non poteva produrne ma le era concesso di ascoltare quelle create dai saggi.

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Erano sette, sette sassolini: una mano avrebbe potuto raccoglierli in riva al grande lago, come piccole perle terrestri.Erano sette e ognuno, come in qualunque famiglia, pur mantenendo tratti di evidente parentela con gli altri, aveva un propria distinta personalità.Erano tutti grigi, ma ognuno sapeva risplendere di una luce caratteristica e poteva, a suo modo, rendersi piacevole al tatto. Un colore non è questione di soli occhi, esso ha morbidezze, o asperità, o illuminazioni, o sonorità ...Ma del grigio - si diceva. I sette sassolini, capaci di stare tutti in una sola mano, purché adulta, presentavano, oltre al grigio di fondo, linee bianche che li disegnavano in tanti personaggi caratteristici.

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Il più grosso era la madre, o meglio, la Grande Madre, perché restituiva il senso del principio, la magia di chi dà la vita e culla la morte. Aveva l’espressione tonda e composta dove tutto inizia e finisce.La Grande Madre non giudicava. Ascoltava quietamente. Come un porto. Utero di pietra, allungato a spicchio di luna, aveva tutte le virtù di chi sa attendere. Semplicemente. Sempre.

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Il secondo sassolino per grandezza, raccolto come una castagna, disegnava due cerchi concentrici e una leggera croce sul retro. Se ne poteva intuire la duplice natura e lo stupore che nasce dalle insolite intersezioni della vita. Era il Guardiano, crociato silenzioso e concentrato. Un grande occhio puntato e sbarrato sulla vita che scorre. Dai suoi antichi corrispondenti umani aveva appreso l’inutilità della lotta.Seduto accanto alla Grande Madre, controllava che pensieri sgraditi non si avvicinassero troppo. Taceva sempre.

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Il terzo ciottolo era la Figlia Maggiore della Grande Madre, colei che doveva raccoglierne, tra un qualche milione d’anni - tempi di pietra -, l’eredità sapienziale, segreta. Destinata alla castità, votata alla missione, ella non poteva concedersi diversione o, ancor peggio, devianza. L’ovale puro del suo volto, si incassava, dolcemente allungato, al petto della Madre. Se si potesse raccontare di nuovo l’Antica Scrittura, si direbbe che quella figlia nacque dalla costola della Madre, tanto perfettamente ella sembrava generare da lì.

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Il quarto sassolino, specie di parallelepipedo con gli spigoli arrotondati, era il primogenito maschio, il Sempre Atteso, colui cui spetta garantire la stirpe, in qualche milione d’anni. Egli rappresentava, già a quel tempo e ancora incapace di reggersi in piedi autonomamente, la più semplice e pura espressione di quella famiglia di pietre sapienti. Data la sua giovane età, si limitava a osservare il mondo circostante, ad ascoltare i racconti degli altri, a rimuginare chissà che cosa. Gli altri lo lasciavano, con indulgenza, curiosare il mondo da disteso, sapendo che, quando sarebbe stato il tempo, egli avrebbe saputo raddrizzare i suoi sogni. Le pietre sanno che dritto o rovescio, alto e basso, davanti e dietro, sopra o sotto, destra e sinistra, o ancora, prima e dopo, presto o tardi, ... costituiscono unicamente punti di vista, sogni, non consistenti gradi della cosiddetta realtà. Un sasso sa che nessuno capovolge il mondo perché egli è figlio della terra che capovolta non è, tra un polo e l’altro.

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Il quinto ciottolo era il Medio Anufi di casa, una creatura vivente che ne ricordava una assai diffusa un tempo (ed estinta come tutte le altre), dei Mammiferi Carnivori Canidi Canini. La sua occupazione era attendere pazientemente le decisioni altrui per poi contribuire alle attività. L’Anufi poteva fare di tutto, dal rotolarsi giù da una collina e cadere sopra un sasso invasore, girare intorno al primogenito maschio per farlo divertire, afferrare un oggetto e riportalo a chi lo esigeva, crogiolarsi alla luce forte di un pomeriggio solare.Il Medio Anufi era sempre fiducioso circa le azioni altrui: gli parevano tutte ugualmente sensate (o insensate - è lo stesso), degne di affettuosa e indulgente indifferenza. In questo i grandi e i piccoli anufi erano meno bendisposti a interpretare sempre per il meglio gli atti degli altri: sospettosi i primi, pavidi i secondi, increspavano le loro superfici facilmente.L’anufi non aveva mai tentato di comprendere alcunché. E proprio questa era la sua infinita forza.

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Il sesto ciottolo era un Falco-fagiolo, un ibrido creato quando, finiti i falchi e scarsi i fagioli, venne incappucciato come il leggendario rapace il ciottolo che più ricordava il legume. La sua specialità era lo stare, attività non poco impegnativa per un sassolino curvilineo, ma allungato, cui solo un appiattimento sul dorso permetteva un equilibrio discreto in posizione plastica.Il Falco-fagiolo era l’oggetto più vicino al ricordo di un boomerang, veniva pertanto lanciato contro l’orizzonte di fuoco quando si cercava di comunicare coi Lontani, cosa non sempre facile, anche per la perenne distrazione di questi ultimi.

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Il settimo, buon ultimo della tribù, era un Ramile, anch’esso ibrido (di ramo e rettile? Nessuno lo ricorda con sicurezza). Una specie ideale, a giudizio degli ultimi umani, perché capace di soddisfarne il desiderio di esotico e bizzarro, eliminando ogni inconveniente e pericolosità. Cosa meglio di un tortuoso, immobile, pulito e innocuo giacente?Il Ramile esprimeva al meglio il concetto di giacenza, di distensione, idea non del tutto intuitiva per la pietra. Come un’elica, poteva ruotare facendo perno sul proprio centro, descrivendo un cerchio perfetto, fatto che lo aveva promosso al ruolo di disegnatore di cerchi, quindi a decoratore, oltre che decoro.

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Erano sette piccoli sassi decorati dalla mano segreta di un’inconoscibile verità e come tutti i grandi sapienti non soffrivano il Tempo, vogliosa clessidra.Potevano star lì, al quasinfinito, a contemplare il respiro terrestre senz’ansia perché del tutto ignari degli assoluti che affollano i passi umani. E i sassolini non fanno passi, non contano i giorni, non inseguono sogni ...

Ora dovrebbe esserci la storia,questo prescrive la regola ...

Ma i sassolini non l’hanno ancora raccontata.

A noi spetta l’attesa.

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