CREAZIONE D’UN GESTO TECNICO OSTEOPATICO SICURO, … · Degenerazione discale-Stadio 2. Disco...
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CREAZIONE D’UN GESTO TECNICO OSTEOPATICO SICURO, SEMPLICE ED EFFICACE PER LE ERNIE DISCALI LOMBARI.
ALAIN GEHIN, D.O. (BARCELLONA – SPAGNA).
TECNICA OSTEOPATICA SPECIFICA PER LE ERNIE DISCALI LOMBARI.
Che cosa è la scienza? La scienza si basa su evidenze credibili e su un ragionamento
logico. Questa evidenza si basa sulla coerenza degli argomenti e le conclusioni devono coincidere con il resto della conoscenza
scientifica del momento.
MOTIVAZIONE. Con il tempo e la pratica, mi sono reso conto che si tendeva,
soprattutto, a preferire basi stabilite dai nostri predecessori, anche se queste erano incomplete. Ciò c’ha spinto verso alcuni settori
della patologia (ben al di qua delle reali possibilità dell’osteopatia), a condizione di non riesaminare tutti i dati disponibili, sia di natura
fisiologica sia derivanti da studi sperimentali. La scienza ci insegna delle verità, produce una conoscenza
affidabile .... ma sempre migliorabile.
MOTIVAZIONE. • La pratica di una qualunque abilità manuale richiede dei momenti di pausa per rafforzare le conoscenze acquisite, ma ci lascia anche un tempo sufficiente per osservare la nascita di nuove informazioni in precedenza non considerate. È dunque opportuno studiarle o ri-
studiarle per sapere se, a volte, esse non potrebbero modificare o addirittura contraddire alcune nostre
vecchie conclusioni. • Non si potrà mai ottenere nulla se non si agisce, né ottenere
risultati positivi senza aver compiuto errori in precedenza.
INTRODUZIONE AL PROBLEMA DELL’ERNIA DISCALE
LOMBARE.
Il trattamento dell'ernia discale sembra, da un punto di vista medico,
prevedere come soluzione finale quasi obbligatoria, abituale, un
atto chirurgico. Ciò mi pare eccessivo. Si tratta, in realtà, di una
visione parziale raramente rimessa in discussione o, meglio,
raramente ri-studiata.
Non potrebbe esistere un’alternativa a questa decisione
abbastanza unanime?
In effetti, per la maggioranza dei ricercatori sarebbe un problema
biomeccanico che la genera. Tuttavia, non ci potrebbe essere
una soluzione biomeccanica non invasiva possibile, se si
studiassero perfettamente i diversi tempi della sua
installazione ? ! ?
Per una minoranza, è un problema chimico se non addirittura
vascolare. L’osteopatia affronta anche questo tipo di lesione.
Tutto ciò ha motivato la mia ricerca e la sua applicazione pratica da
ormai una decina d’anni.
INTRODUZIONE AL PROBLEMA DELL’ERNIA DISCALE
LOMBARE.
Così, ho pazientemente studiato praticamente tutto ciò che era
stato scritto da un punto di vista medico, su quest’ernia discale
lombare, sul suo processo, sul suo trattamento, ecc ...
Ciò mi ha permesso di constatare tre carenze importanti a riguardo:
1°- Nessun approccio medico si basava sulla possibilità d’un
processo terapeutico inverso a quello che aveva prodotto questa
ernia discale.
2º- Nessun trattamento medico ha cercato di ripristinare un
funzionamento discale che si avvicinasse più o meno a quello
esistente precedentemente all’ernia.
Tutto era palliativo: ablazione parziale o totale del disco, blocco
funzionale del segmento, protesi sostitutiva, distruzione chimica
della parte del segmento fuoriuscito, ecc ...
3º- Inoltre, nessuna tecnica osteopatica si era focalizzata sulla
possibilità di reintegrare o di ridurre il frammento discale,
intendendo con ciò di fargli ripercorrere il cammino inverso a quello
che aveva creato l’ernia del disco.
LA MIA RIFLESSIONE ALL’ORIGINE.
Su questi tre punti, non sono state poste le necessarie domande.
"Una volta verificata la presenza dell’ernia discale, quali sono le
possibilità fisiche, fisiologiche, biomeccaniche che si conservano a
livello di questo sistema vertebrale? ".
E, inoltre: "E' possibile potenziarle? "
Infine: "L’ernia discale non avrebbe la possibilità di percorrere il
cammino inverso a quello percorso erniandosi?”
Ho trovato una risposta a ciascuna di loro, studiando il problema da
un punto di vista della tensegrità, tanto del segmento erniato quanto
della tensegrità generale della colonna vertebrale. Spiegheremo
questo aspetto più avanti.
Poi, ho sviluppato una posizione correttiva che eliminasse ogni
rischio di aggravamento del problema.
Infine, ho verificato la sua efficienza sul piano pratico e clinico: ne
scaturisce una tecnica specifica assolutamente sicura (alcun
aggravamento noto), semplice ed efficace (81% su più di 400 casi
in dieci anni).
PERCHE’ E’ STATO NECESSARIO STABILIRE UNA TECNICA
PER LE ERNIE DISCALI?
Torno alla mia precedente riflessione. Il fatto di non aver trovato
alcuna tecnica che rispondesse a tutte le necessità specifiche per
un problema simile e che presentasse allo stesso tempo una totale
innocuità, mi spinse a cercarne una possibile.
Ad esempio, le tecniche dette ad "alta velocità" utilizzate nel
trattamento delle ernie discali hanno come inconveniente:
- di essere state immediatamente criticate dalla professione
medica classica a causa della loro posizione di esecuzione
(Esempio: le statistiche riguardanti l’intervento d’urgenza dopo una
manipolazione eseguita con un certo grado di rotazione della
colonna lombare, con conseguente stress sull’anello fibroso,
sollevarono l’ira di molti autori contro tale tecnica).
- il fatto che la loro esecuzione, non garantendo per nulla la loro
innocuità, possa, al contrario, essere causa di un suo
peggioramento.
- che mancano di specificità rispetto al processo che le ha causate.
PERCHE’ E’ STATO NECESSARIO STABILIRE UNA TECNICA
PER LE ERNIE DISCALI?
Perché era evidente la necessità di trovare una tecnica che fosse:
- semplice, ossia che la sua esecuzione avvenisse entro i limiti
fisiologici di mobilità dell’articolazione in lesione, senza quindi
andare oltre.
- efficace al fine di permettere al paziente di recuperare
rapidamente una condizione accettabile senza dargli il tempo di
strutturare dei compensi (lesioni secondarie) che, fissandosi,
avrebbero potuto complicare il suo problema.
- senza alcun rischio. E’ fondamentale che il gesto tecnico non
aggravi in alcun modo la lesione o ne favorisca il mantenimento.
Per fare questo, deve agire in maniera specifica sulla lesione.
- Riassumendo: tecnica semplice, efficace e senza rischio.
Questo è quello che ho cercato a partire dall'inizio del 2002.
PERCHE’ E’ STATO NECESSARIO STABILIRE UNA TECNICA
PER LE ERNIE DISCALI?
Oltre a questa tripla esigenza tecnica appena precisata, questo
gesto doveva rispondere ad un insieme di criteri che lo rendessero
adeguato alla pratica osteopatica corrente.
In riferimento alla gravità della condizione patologica trattata, il
gesto così costruito doveva consentire al terapeuta di sapere in
qualunque momento:
- ciò che voleva fare (finalità del gesto),
- ciò che doveva fare (la sua padronanza del gesto),
- quando farlo (temporalità del gesto).
In più, tale gesto doveva rispettare tutti i criteri di tensegrità che
dimostrano scientificamente come l’equilibrio del corpo umano
dipenda prima di tutto dai suoi elementi connettivi interni sia a
livello globale sia in ogni suo singolo costituente.
Nel pieno rispetto di tecniche osteopatiche assodate, ho studiato e
costruito un gesto, una tecnica che risponde alle tre esigenze che
stiamo per spiegare.
RICERCA – SPERIMENTAZIONI.
La certezza della sua efficacia da una parte e della sua sicurezza
assoluta dall’altra, mi permettono oggi di presentarvela e, quindi, di
rendervi partecipi della sua pratica.
La mia ricerca e la mia sperimentazione sono cominciate intorno
all’anno 2002 (più di un decennio tra il 2002 e il 2013), con
immediata applicazione diretta, modificata ovviamente nel corso
degli anni a fronte di nuove conoscenze.
La sua applicazione pratica diretta è stata effettuata su più di 410
casi, nello stesso momento in cui ero supervisione di un lavoro di
dottorato svolto da uno dei miei allievi, sotto controllo medico
classico, in un ospedale universitario spagnolo.
Entrambe le pratiche convergono ad un risultato identico e
superiore di più dell'82% in entrambi i casi.
TECNICA OSTEOPATICA D’ASSORBIMENTO DELLE ERNIE
DISCALI LOMBARI.
Potendo la pratica di questa tecnica detta osteopatica competere
con i vari approcci medici attuali (chirurgia compresa), insisto
particolarmente sul fatto che, per affermare il suo valore, deve
rispettare i tre seguenti criteri:
SICUREZZA ASSOLUTA,
SEMPLICITÀ,
EFFICACIA.
L’ERNIA DISCALE PER LA MEDICINA CLASSICA.
Per la quasi totalità delle facoltà di medicina e dei ricercatori medici
in biomeccanica, da diversi decenni, l’ernia discale è stata, è e
rimane un problema biomeccanico che evolve in tre stadi successivi
distinti. Li ho riassunti qui di seguito attraverso delle immagini.
PRIMO STADIO.
Degenerazione discale-Stadio 1.
Disco tipico dell’uomo fra i 15 ed i 35 anni o della donna fino a 40
anni.
SECONDO STADIO.
Degenerazione discale-Stadio 2.
Disco tipico dell’uomo fra i 35 ed i 70 anni. (Disco L2-L3).
Il nucleo appare fibroso e sono presenti alcune pigmentazioni
tipiche. Tuttavia, la struttura del disco è intatta ed il disco non è
“degenerato”.
TERZO STADIO. LA DEGENERAZIONE DISCALE.
Anteriore - posteriore.
In questo stadio, l'immagine ci mostra dei processi degenerativi. Si
nota che l’anello fibroso si incurva nel nucleo, danneggiando
l'estremità inferiore. Vi è inoltre assenza di pigmentazione in alcune
zone del disco.
Si tratta del disco di un uomo di 31 anni (disco L2-L3).
ERNIA DISCALE – ADOLESCENTE DI 16 ANNI.
NOZIONI DI BASE (RICHIAMI).
Alcuni aspetti ci sembrano fondamentali per comprendere come e
su quali elementi agisce la nostra tecnica e perché ha degli effetti
positivi. Ci basiamo scientificamente, in modo particolare e
specifico, sulle qualità fisiche del disco ben studiate nella tesi di Arti
e Mestieri di S. Campana (2004).
Rivediamo alcuni elementi di anatomia, di fisiologia e soprattutto di
biomeccanica di ciò che accade in questo spazio vertebrale. Lo
studieremo in seguito sotto il punto di vista della tensegrità.
DISCO INTER-VERTEBRALE (RICHIAMI).
• I dischi intervertebrali costituiscono circa 1/5 dell'altezza totale del
rachide.
• Oltre i 75 anni, l'altezza dei dischi intervertebrali si dimezza,
riducendo così notevolmente i movimenti del rachide.
• Il rapporto corporeo-discale varia a seconda del segmento del
rachide. Più questo rapporto è alto, più il segmento del rachide sarà
mobile.
• Avremo quindi:
- 1/3 per il rachide cervicale,
- 1/6 per il rachide toracico,
- 1/3 per il rachide lombare.
Per le lombari il disco è di 9 mm di altezza, 5 mm per le toraciche
e 3 mm per le cervicali.
A PROPOSITO DEL DISCO INTERVERTEBRALE.
Questi dischi intervertebrali sono composti da circa il 90% d’acqua.
Essi sono privi di vasi predisposti al loro nutrimento, avendo
tutto il necessario per sopravvivere grazie ad un fenomeno di
impregnazione che parte dall'ambiente in cui sono immersi. Un po'
come le spugne nel mare.
Con il tempo, perdono progressivamente questa carica acquosa,
aspetto che appare in maniera visibile sulle risonanze magnetiche
(dischi sempre più neri, sempre più sottili, sempre più fragili).
A PROPOSITO DEL DISCO INTERVERTEBRALE.
• I - Il nucleo polposo è inestensibile, incomprimibile, idrofilo e
deformabile.
• Contiene: fibre di collagene organizzate in modo molto casuale,
fibre di elastina all'interno di un gel idratato contenente degli
aggreganti.
• II - L'anello fibroso è fibroso, lamellare, biancastro, rigido ed
elastico, attaccato al labbro marginale della vertebra, alla periferia.
• Delle fibre di elastina sono tese tra le lamelle.
• III - I dischi intervertebrali perdono lentamente acqua, anche
quando sono sottoposti a carichi fisiologici importanti.
• IV- L'idrofilia del disco intervertebrale è direttamente legata alla
pressione osmotica esercitata dai proteoglicani e l’assorbimento
d'acqua è limitato dalla rete di collagene resistente alla trazione.
STRUTTURA DEL NUCLEO POLPOSO.
• Massa biancastra, gelatinosa, ovoide, non enucleabile in vivo.
• 50% del volume del DIV, situato dietro al centro del DIV.
• Mobile durante il movimento del rachide +++.
• Inestensibile, incomprimibile, deformabile, fortemente idrofilo.
Sotto pressione: precompresso.
• Residuo della notocorda.
Ligament longitudinal post.
Substance grise
Lig. supra-épineux
Capsule de l'articulation zygapophysaire
l'articulation
Dure-mère spinale
Processus épineux
Lig. interépineux
Lig jaune
EMBRIOLOGIA DEL DISCO INTER-VERTEBRALE.
• Alla 24a settimana dopo il concepimento, la parte ectodermica si
frammenta in 33 segmenti, 150 articolazioni e 1000 legamenti.
• Questi nasceranno dalla doccia neurale iniziale, davanti alla quale
si trova la corda neurale che in seguito regredirà parzialmente,
mentre su entrambi i lati, si trovano gruppi di cellule denominate
somiti che formeranno da una parte i miotomi (origine della
muscolatura paravertebrale), dall’altra gli sclerotomi (origine di
formazioni cartilaginee che, ossificandosi, formeranno le vertebre).
EMBRIOLOGIA DEL DISCO INTER-VERTEBRALE.
La doccia neurale andrà in seguito a chiudersi sulla linea mediana,
formando il tubo neurale che conterrà il sistema nervoso, che si
frammenterà in sclerotomi che andranno a dividersi in due. Ogni
vertebra è dunque l'unione di due emi-sclerotomi inferiori e di due
emi-sclerotomi superiori. La formazione di questo nucleo
cartilagineo deriva dunque dall’unione di 4 metà di sclerotomo.
Lo sclerotomo seguente darà luogo a una struttura chiamata disco
intervertebrale. Tale disco consente alla notocorda di persistere
sotto forma di un residuo chiamato nucleo polposo posto al centro
del disco. In periferia avremo, invece, un anello fibroso.
Questo tubo neurale sarà protetto da un arco posteriore e formerà il
midollo spinale. A livello del rachide, dai corpi vertebrali partiranno
dei prolungamenti che andranno a richiudersi e a contenere il tubo
neurale.
In seguito, c'è un’ossificazione completa della vertebra, che si
completa in modo centrifugo, a partire da T10 verso l’alto ed il
basso, come ha dimostrato il professore Laude D’Amiens.
FORMAZIONE EMBRIOLOGICA VERTEBRA-DISCO.
FORMAZIONE EMBRIOLOGICA VERTEBRA-DISCO.
Sottolineo in particolare, se necessario, che le diverse parti che
compongono l'unità vertebrale (unità funzionale), cioè la metà
inferiore dell’emi-vertebra superiore, il disco intervertebrale nella
sua totalità e la metà superiore dell’emi-vertebra inferiore hanno la
stessa origine embriologica.
Unità funzionale. Embriologia.
DALL’EMBRIOLOGIA ALL’UNITA’ FUNZIONALE VERTEBRALE.
DISCO INTERVERTEBRALE.
BIOMECCANICA CLASSICA.
(Consenso generale).
BIOMECCANICA LOMBARE.
BIOMECCANICA LOMBARE CLASSICA.
La mobilità segmentaria dei dischi lombari aumenta in modo
progressivo dall'alto in basso: passa in media da 12º a livello di L1-
L2 a 25º a livello di L4-L5. Il disco L5-S1 è il meno mobile.
In posizione in piedi, il disco rappresenta la zona di
compressione, mentre le articolazioni posteriori sono la sede di una
forza di taglio.
In flessione ed estensione, uno scivolamento arciforme si verifica
tra le superfici articolari.
In flessione, il disco è cuneiforme a base posteriore e triangolare in
estensione.
Le rotazioni assiali impongono delle forze di taglio che sono molto
mal tollerate dal disco. Infatti, possono creare delle lesioni fissulari
a livello dell’anulus se non, addirittura, disinserire i piatti vertebrali.
Queste variazioni di pressione favoriscono gli scambi liquidi. La
perdita d’acqua diurna è compensata da una reidratazione notturna
favorita dal decubito supino.
COPPIA DISCO-LEGAMENTI.
Accoppiato ai legamenti longitudinali, il disco costituisce un
sistema precompresso (anche se la velocità di applicazione dei
carichi avviene rapidamente, si deforma in maniera graduale).
E' IN EFFETTI UN SISTEMA DI TENSEGRITA’ - UN TRIPLO
STADIO CHE AVRO’ IL PIACERE DI SPIEGARVI UN PO’ PIU’
AVANTI, DATO CHE E’ UNA DELLE BASI DELLA RIFLESSIONE
CHE HA DATO LUOGO ALL’ELABORAZIONE DI QUESTA
TECNICA SPECIFICA.
Ricordiamo che il disco intervertebrale è rinforzato da quattro
legamenti:
1º - Il legamento vertebrale longitudinale anteriore dalla base
del cranio al coccige, estremamente solido, che passa a ponte al di
sopra dei dischi.
2º - Il legamento vertebrale longitudinale posteriore, dal bordo
del foro occipitale al coccige, più stretto, che si collega alla faccia
posteriore dei dischi mediante delle espansioni laterali che si
mescolano con le fibre più superficiali dell’anulus.
Esso è attraversato da sottili rami provenienti dai nervi sinu-
vertebrali. Inoltre, invia delle piccole estensioni (conosciute sotto il
nome di legamenti di Hofman) verso l’indietro attraverso le quali si
unisce al sacco durale.
COPPIA DISCO-LEGAMENTI.
L.C.V. Posteriore, Legamento giallo, Continuum legamentoso.
3º - I legamenti gialli, i quali devono il loro nome alla loro ricchezza
in fibre elastiche (80% e solamente 20% di collagene). Vanno dal
bordo inferiore di una lamina al bordo superiore della lamina
inferiore. Vengono messi in tensione durante i movimenti di flesso-
estensione. Sono in diretta continuità con le capsule articolari in
avanti e lateralmente, e con i legamenti interspinosi e sovraspinosi.
4º - Il legamento interspinoso prolunga verso l'indietro il
legamento giallo. Le fibre elastiche spariscono a favore di fibre di
collagene disposte a ventaglio.
DISCO INTERVERTEBRALE.
FISICA CLASSICA E COMPORTAMENTO MECCANICO DEL
DISCO INTERVERTEBRALE.
FISICA DEL DISCO.
Sezione orizzontale di un disco sottoposto ad una forza (in vitro).
FISICA DEL DISCO INTERVERTEBRALE.
BIOMECCANICA SECONDO LA MEDICINA CLASSICA.
A - la compressione aumenta la pressione sul nucleo polposo.
Questa si esercita radialmente sull’anulus polposo e aumenta la
tensione dell’anulus.
B - La tensione nell'anulus viene esercitata sul nucleo,
impedendogli di espandersi radialmente. La pressione del nucleo
viene in seguito esercitata sui piatti intervertebrali.
C - Il carico è sopportato, in parte, dall’anello fibroso e dal nucleo
polposo. La pressione radiale sul nucleo rafforza l'anulus e la
pressione sui piatti vertebrali trasmette il carico da una vertebra
all'altra.
FISICA DEL DISCO INTERVERTEBRALE. COMPORTAMENTO
BIOMECCANICO.
La struttura assai particolare del disco gli permette di resistere a
delle elevate sollecitazioni meccaniche. Il nucleo trasmette i carichi
compressivi all'anulus sotto forma di sollecitazioni radiali e
tangenziali e non solo verticali, come si vede ancora scritto in alcuni
libri di medicina (aspetto sottolineato in tutti gli studi fatti in
tensegrità). Sophie Campana, nella sua tesi di dottorato presso la
Scuola Nazionale d’Arti e Mestieri nel 2004, studiò scientificamente
gli effetti puramente fisici di questo comportamento discale.
FISICA DEL DISCO INTERVERTEBRALE. COMPORTAMENTO
BIOMECCANICO.
Scrive che in posizione eretta, il disco intervertebrale è
principalmente sottoposto a delle sollecitazioni compressive. Per il
meccanismo di trasmissione radiale del carico, il nucleo e l'anulus
interno subiscono una compressione, mentre le fibre
dell’anulus esterno vengono messe in tensione (Elementi del
sistema di tensegrità, che svilupperemo più avanti).
Il disco aumenta il suo raggio di 0,75 mm per una forza di
compressione di 1000 N (Hirsch C.Nachemson, A. 1954).
FISICA DEL DISCO INTERVERTEBRALE. COMPORTAMENTO
BIOMECCANICO.
Ha aggiunto che la quantità di fluido all'interno del disco non è
costante, ma dipende dal carico esterno applicato ad esso. Se è
maggiore della soglia di pressione consentita dal nucleo, il fluido
viene trasudato, aumentando la concentrazione di proteoglicani e,
di conseguenza, la pressione nucleare. Il flusso del fluido prosegue
poi fino ad ottenere un equilibrio osmotico e la forza esterna viene,
a questo punto, pareggiata. In una compressione prolungata, il
nucleo può perdere fino al 20% d’acqua. Viceversa, quando il
carico si riduce, il disco riassorbe il liquido per raggiungere un
nuovo equilibrio osmotico (Johnstone, Bet coll. 1992).
FISICA DEL DISCO INTERVERTEBRALE. COMPORTAMENTO
BIOMECCANICO.
Vediamo ora i processi che portano al comportamento
viscoelastico.
Viscoelasticità: si riferisce ai materiali bifasici che si comportano
come un fluido viscoso (ammortizzatore) e un solido elastico
(molla). Aspetto che trasforma loro stessi in un perfetto sistema di
tensegrità. Questa viscostaticità si traduce in una risposta variabile
nel tempo durante l'applicazione di una sollecitazione o di una
deformazione costante.
Si distinguono due qualità fisiche differenti:
da una parte il flauge, dall’altra il suo rilassamento.
FISICA DEL DISCO INTERVERTEBRALE.
Fluage: fenomeno di deformazione crescente allorchè viene
applicata una forza costante. Si traduce in una diminuzione di
altezza del disco nel corso del tempo, sotto l’applicazione di un
carico compressivo costante e rappresenta la dualità della
composizione tissutale, cioè come abbiamo visto, la presenza di un
liquido viscoso e di un solido elastico. Il primo, paragonabile ad un
ammortizzatore, il secondo ad una molla.
. Durante una sollecitazione compressiva a lungo termine, i dischi
intervertebrali possiedono la proprietà di fluire aumentando
lentamente la deformazione inizialmente generata.
S.Campana sostiene l'idea che l’associazione in serie e / o in
parallelo di due o più di queste due unità elementari può
riuscire a tradurre la risposta viscoelastica del tessuto
considerato. Ciò si ricollega alla nostra concezione stabilita
secondo il concetto della tensegrità.
FISICA DEL DISCO INTERVERTEBRALE.
Il rilassamento delle forze, secondo aspetto del
comportamento discale fisiologico, rappresenta il fenomeno di
diminuzione delle forze allorchè una deformazione costante viene
inizialmente applicata. Questa non è stata praticamente studiata.
Infatti, il carico richiesto per mantenere un dato spostamento
diminuisce nel tempo. Così, pur rimanendo reversibili, le
deformazioni si accumulano e si restituiscono in modo dipendente
dal tempo; esse sono caratteristiche di un comportamento
viscoelastico, che è accompagnato da curve d’isteresi durante
una compressione.
S.Campana nel suo studio (2004) su 22 dischi lombari in
compressione, fluage e rilassamento ha dimostrato che queste tre
sollecitazioni hanno confermato la somiglianza dei principi fisici dei
dischi lombari inerenti al comportamento viscoelastico.
FISICA DEL DISCO INTERVERTEBRALE. COMPORTAMENTO
BIOMECCANICO.
In sintesi, possiamo scrivere che i dischi vertebrali, composti da
diversi elementi anatomici distinti, formano delle unità funzionali,
come aveva descritto C.Junghans in passato. Ciò corrisponde
perfettamente a quello che la tensegrità ci insegna e dimostra. E’ lei
che ci ha portato a stabilire, a cercare e a trovare un altro approccio
osteopatico, di cui riparleremo più avanti.
COMPORTAMENTO BIOMECCANICO.
Sappiamo che altri autori, basandosi sulla resistenza dei differenti
materiali compositi della vertebra lombare, vedono le cose un po’
diversamente o, per lo meno, valutano questo meccanismo, in base
alle loro osservazioni. Di seguito, alcuni elementi sui quali
torneremo più avanti.
- Vedremo che D.Robbie, confrontando il corpo vertebrale lombare,
che contiene poco osso compatto, con le articolazioni posteriori che
ne contengono di più, dà un’importanza particolare a queste ultime,
per quanto riguarda questa trasmissione verticale.
- Quanto a Stephen Levin, creatore della biotensegrità, i suoi lavori
di ricerca hanno dimostrato che il carico verticale di una vertebra si
trasmetterà solo parzialmente su quella sotto-giacente.
- Lo studio delle differenti pressioni interne proprie degli elementi
anatomici che circondano e/o che sono aderenti alla colonna
vertebrale mostra un cambiamento della loro tensione interna con
carichi aggiuntivi che la sollecitano.
COMPORTAMENTO BIOMECCANICO.
Non prenderemo in considerazione che lo studio fatto da Izambert e
Milton (2003), il solo utili qui, basato sull'utilizzo di una massa
applicata sulla faccia superiore del disco in condizioni fisiologiche in
vivo.
La mobilità è influenzata da due fattori principali che sono la
geometria e le proprietà delle strutture discali.
Per studiare la mobilità generale del rachide lombare, dobbiamo
valutare il contributo congiunto di architetture macroscopiche come
le faccette articolari posteriori, l’altezza del disco così come la sua
forma sul piano assiale, ma anche di architetture microscopiche
come la sua organizzazione lamellare. A seconda della
sollecitazione, le faccette giocano un ruolo più o meno rilevante, dal
più importante in torsione al meno importante in flessione laterale.
In più, S.Campana nota che è principalmente il movimento del
fluido intra-discale ad intervenire durante le risposte
viscoelastiche, le quali tenderanno a diminuire durante la sua
degenerazione.
COMPORTAMENTO BIOMECCANICO.
• Ci sembra interessante sottolineare che tutti gli elementi che
questo studio ha mostrato come importanti, dipendono da tre
componenti della tensegrità rachidea che affronteremo più
avanti. Sarà su questi che la nostra tecnica d’assorbimento
andrà ad agire specificatamente.
• Dato che questo lavoro ha come scopo quello di giustificare una
manipolazione specifica che agisca sulla struttura del disco stesso,
pensiamo sia arrivato il momento giusto del nostro studio per
affrontare ciò che succede a livello discale durante la dinamica di
una manipolazione vertebrale. Ciò è quello che ha fatto J-Y. Maigne
(2000), su dei cadaveri, avendo come obiettivo quello di misurare la
pressione intra-discale mediante dei sensori, durante l'impulso di
una manipolazione lombare eseguita dapprima in flessione ed, in
seguito, in estensione.
COMPORTAMENTO BIOMECCANICO.
• Dopo aver sottolineato la riserva che può essere fatta per il fatto
che furono praticate su dei cadaveri, così come per il fatto che
vengano eseguite mediante una torsione tra i due segmenti
superiore e inferiore, cosa che noi stessi proibiamo nella
nostra tecnica, ci sembra interessante sottolineare le differenze
fisiche che l'autore mette in evidenza nella sua conclusione.
Stabilisce che le variazioni di pressione durante le manipolazioni in
flessione furono brevi e veloci, con differenze d’accelerazione in
senso caudo-craniale identiche a quelle rilevate sul piano
orizzontale. Al contrario, durante le manipolazioni in
estensione, queste variazioni furono più lente e prolungate con
delle differenze d'accelerazione lente e prolungate, ma
maggiori sul piano orizzontale.
COMPORTAMENTO BIOMECCANICO.
Se l'autore ha suggerito che ogni tipo di manipolazione agisca in
maniera specifica (aspetto che la nostra scuola di pensiero ha
sempre sostenuto affermando che esistono a questo livello diversi
tipi di lesione ciascuna delle quali necessita di una manipolazione
specifica per essere ridotta), noi ci permettiamo di sottolineare una
delle sue conclusioni estrappolandola: in estensione - posizione
nella quale noi effettuiamo la nostra specifica manipolazione –
le variazioni di pressione all'interno del disco sono più lente e
prolungate, e per di più maggiori sul piano orizzontale. Aspetto
che ci sembra ideale per il riassorbimento discale.
COSTITUZIONE CHIMICA DEL DISCO.
Sul piano isto-chimico, il disco intervertebrale è costituito da fibre di
collagene in sospensione in un gel di proteoglicani molto idratati.
Questi proteoglicani sono prodotti da alcune cellule localizzate in
prossimità delle placche cartilaginee, il che spiega alcune
rigenerazioni discali.
(Cosa che è particolarmente interessante in una tecnica di
riassorbimento, non è vero?).
Il disco contiene anche una frazione significativa di proteine non
collageniche, implicate nei processi chimici del disco.
CHIMICA DEL DISCO INTER-VERTEBRALE.
Le Chemochine.
. Le ricerche attuali suggeriscono che le chemochine, in particolare
la CXCL.10, reclutano effettivamente le cellule isolate dell’anello
fibroso. Ciò ci spinge a pensare che siano implicate nell’omeostasi
dell’anello fibroso e, potenzialmente, nei tentativi di riparazione
spontanea dell’anulus. Questo potrebbe presentare importanti
implicazioni nelle strategie di consolidamento biologico dell’anulus.
• Questa ipotesi, che si conferma di giorno in giorno, dà più peso
alla mia tecnica, che non solo riequilibra le pressioni dentro e
attorno al disco, ma permette, eliminando la patologia
rapidamente per il suo effetto biomeccanico, di normalizzare il
disco inter-vertebrale stesso, e di potenziare questo processo
chimico che abbiamo appena descritto favorendo attraverso
l’equilibrio ritrovato, la "cicatrizzazione" delle lamelle che
costituiscono l’anello fibroso.
• Queste ricerche sulle chemochine in HD mostrano che giocano un
ruolo cruciale nella sua patogenesi reclutando cellule infiammatorie
come i macrofagi nella neovascolarizzazione e nel riassorbimento
del tessuto erniato.
• ("Le chemochine CXCL10 e XCL1 reclutano cellule dell’anulus
fibroso umano ”Spine publish head of print”).
ISTOLOGIA E VASCOLARIZZAZIONE DEL DISCO INTER-
VERTEBRALE.
Secondo la medicina classica insegnata in passato, il disco è il più
voluminoso organo avascolare dell’organismo. Alcune cellule del
nucleo sono a più di 8 m / m dell’intero apporto sanguigno.
In piu’, la cartilagine dei piatti vertebrali si calcifica bloccando
qualsiasi penetrazione vascolare.
Sperimentalmente, si sono analizzati 600 dischi vertebrali chirurgici
da un punto di vista istologico, in pazienti con età compresa tra i 12
ed i 77 anni, osservando che presentano dei vasi sanguigni 57 dei
101 casi aventi un prolasso completo del disco erniato (56,4%),
mentre solamente 12 dei 32 casi aventi un prolasso incompleto
(11,3%).
Facciamo la stessa indagine su 2 campioni post-mortem e ciò ci
permette d’osservare dei vasi sanguigni in 293 su 616 casi.
La maggior parte dei vasi sanguigni si trovano nei dischi
estrusi localizzati nello spazio epidurale, e si ritiene che si siano
formati dopo che l'ernia si sia costituita. L'invasione del disco
intervertebrale da parte dei vasi sanguigni si riscontra in persone di
età avanzata, ma è anche possibile che la loro presenza abbia
preceduto la loro estrusione.
ISTOLOGIA E VASCOLARIZZAZIONE DEL DISCO INTER-
VERTEBRALE.
1 ° - H. D. tipo Lipotrusione. C'è un rigonfiamento posteriore
anormale dell'anello fibroso.---- patologia discale predominante del
nucleo polposo. Le lamelle periferiche restano attaccate al corpo
vertebrale.
2º - H. D. tipo prolasso incompleto. L’anello fibroso periferico si è
in parte distaccato dal margine del piatto vertebrale, esponendo il
tessuto discale allo spazio epidurale. Tuttavia, il tessuto è ancora in
continuità con il disco. Non vi è alcun frammento discale libero.
3 ° - H. D. tipo prolasso completo. In questo caso, la parte
periferica dell’anello fibroso è staccata da una parte del margine del
piatto vertebrale, esponendosi allo spazio epidurale.
L'origine di questi piccoli vasi non è del tutto chiara. Come
detto in precedenza, è possibile che esistessero prima della
protrusione discale, ma, bisogna sottolineare, che questo non è
abituale. Il punto di vista attuale è che la vascolarizzazione di questi
frammenti discali sarebbe la caratteristica dell’ernia discale,
l'oggettiverebbe.
La vascolarizzazione nutritiva del disco intervertebrale ha la sua
origine nella rete capillare densa delle estremità dei piatti vertebrali.
La diffusione facilita il trasferimento di nutrienti, così come lo
smaltimento dei prodotti di rifiuto. Anche l'innervazione simpatica di
questi canali è stata presa in esame.
("L'istologia dell’erniazione disco intervertebrale lombare" Yasuma
T, Aral K, Yamauchi Y, in Spine- nel 1993 0,18 (3) -1.761-1765).
NUTRIZIONE DEL DISCO INTERVERTEBRALE.
La nutrizione del disco è assicurata, attraverso l’intermediazione dei
piatti vertebrali, per diffusione, ma non c'è vascolarizzazione
propria.
INNERVAZIONE DISCALE LOMBARE.
L’innervazione del disco lombare è assicurata da fibre nervose
propriocettive e nocicettive provenienti dai nervi sinu-vertebrali.
L'innervazione sensitiva del rachide lombare (dischi, corpi
vertebrali e articolazioni posteriore): le fibre nervose sensitive nate
da queste strutture, da L5 / S1 risalgono improntando il simpatico
prevertebrale fino a L2. A questo livello, lo abbandonano passando
per il nervo L2 e guadagnano il midollo spinale. Questo
spiegherebbe, secondo alcuni, i dolori all'inguine dei dolore discali
(vecchio nervo di Roof).
Il dolore nasce quando viene raggiunta la parte posteriore del
disco, ossia la più innervata.
INNERVAZIONE DISCALE.
-innervazione periferica del solo anulus: terminazioni libere
nocicettive fino a 1 o 2 cm di profondità (propiocezione?);
-i 2 nervi sinu-vertebrali di un livello forniscono dei rami a 2 dischi
adiacenti;
-esistono una neo-vascolarizzazione ed una neo-innervazione in
seno ai dischi degenerati, soprattutto sintomatici, probabilmente
sotto l’influenza di fattori di crescita.
NEUROLOGIA DISCALE.
(Disegno di Rene Lavatelli).
NEUROLOGIA DISCALE.
PERCHÉ LA NEUROLOGIA È IMPORTANTE NELL’H.D.
LOMBARE?
Il sistema simpatico è latero-vertebrale nella cassa toracica, i
gangli lombari sono a diretto contatto con il disco, ed il
simpatico è sempre applicato contro la colonna. Nelle
discopatie lombari, le modificazioni infiammatorie del disco o delle
articolazioni vertebrali, vanno ad interessare il tessuto cellulare che
contiene il simpatico.
(Dechainne, Duroux, Antonietti nel Medical Journal di Lione).
EQUILIBRIO ORMONALE DEL DISCO INTER-VERTEBRALE.
A livello dei dischi intervertebrali datati, si forma una fibrosi
provocata dal cambiamento delle proporzioni relative dei diversi tipi
di collagene e da una disidratazione dovuta ad una diminuzione
della sintesi dei glicosaminoglicani con la loro potente attività
idrofila. Ciò porta ad una perdita d’elasticità e ad un pinzamento
discale.
Ciò perchè il 95% delle fratture accertate si localizzano al di
sopra del disco che presenta il pinzamento più importante
(Studio OFELY).
Secondo lo studio di Gambacciani et al. (per assorbimento
bifotonico), dopo la menopausa, si nota una progressiva
diminuzione dello spazio intervertebrale, che sopraggiunge quasi
interamente entro i primi 5-10 anni seguenti. Ciò suggerisce che
sono presenti delle modificazioni endocrine e metaboliche legate
alla menopausa, piuttosto che all’invecchiamento, che giocano un
ruolo di primo piano nella diminuzione.
DEGENERAZIONE DISCALE.
Vi rimostro le immagini viste all’inizio di questa presentazione, ora
che potete integrare, tra gli altri elementi esaminati, quelli che vi
mancano (eventualmente) ora.
DEGENERAZIONE DISCALE – STADIO 1.
Disco tipico dell’uomo fra i 15 ed i 35 anni o nella donna fino a 40
anni.
DEGENERAZIONE DISCALE – STADIO 2.
Disco tipico dell’uomo fra i 35 ed i 70 anni.
(Disco L2-L3).
Il nucleo appare fibroso e sono presenti alcune pigmentazioni
tipiche. Tuttavia, la struttura del disco è intatta ed il disco non è
“degenerato”.
DEGENERAZIONE DISCALE – STADIO 3.
Anteriore Posteriore
In questo stadio, l’immagine ci mostra dei processi
degenerativi. Si nota che l’anello fibroso si incurva nel nucleo,
danneggiando l’estremità inferiore. Vi è, inoltre, assenza di
pigmentazione in alcune zone del disco.
Si tratta del disco di un uomo di 31 anni (disco L2-L3).
DEGENERAZIONE DISCALE – STADIO 4.
Anteriore Posteriore
L’immagine mostra una degenerazione severa.
Si può notare la pigmentazione bruna, la disrupzione dei due piatti ed il collasso interno dell’anulus. Il tutto si accompagna ad una
riduzione di altezza del disco.
Disco L4-L5 di un uomo di 31 anni.