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CREAZIONE D’UN GESTO TECNICO OSTEOPATICO SICURO, SEMPLICE ED EFFICACE PER LE ERNIE DISCALI LOMBARI. ALAIN GEHIN, D.O. (BARCELLONA SPAGNA). TECNICA OSTEOPATICA SPECIFICA PER LE ERNIE DISCALI LOMBARI. Che cosa è la scienza? La scienza si basa su evidenze credibili e su un ragionamento logico. Questa evidenza si basa sulla coerenza degli argomenti e le conclusioni devono coincidere con il resto della conoscenza scientifica del momento. MOTIVAZIONE. Con il tempo e la pratica, mi sono reso conto che si tendeva, soprattutto, a preferire basi stabilite dai nostri predecessori, anche se queste erano incomplete. Ciò c’ha spinto verso alcuni settori della patologia (ben al di qua delle reali possibilità dell’osteopatia), a condizione di non riesaminare tutti i dati disponibili, sia di natura fisiologica sia derivanti da studi sperimentali. La scienza ci insegna delle verità, produce una conoscenza affidabile .... ma sempre migliorabile. MOTIVAZIONE. • La pratica di una qualunque abilità manuale richiede dei momenti di pausa per rafforzare le conoscenze acquisite, ma ci lascia anche un tempo sufficiente per osservare la nascita di nuove informazioni in precedenza non considerate. È dunque opportuno studiarle o ri- studiarle per sapere se, a volte, esse non potrebbero modificare o addirittura contraddire alcune nostre vecchie conclusioni. • Non si potrà mai ottenere nulla se non si agisce, né ottenere risultati positivi senza aver compiuto errori in precedenza.

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CREAZIONE D’UN GESTO TECNICO OSTEOPATICO SICURO, SEMPLICE ED EFFICACE PER LE ERNIE DISCALI LOMBARI.

ALAIN GEHIN, D.O. (BARCELLONA – SPAGNA).

TECNICA OSTEOPATICA SPECIFICA PER LE ERNIE DISCALI LOMBARI.

Che cosa è la scienza? La scienza si basa su evidenze credibili e su un ragionamento

logico. Questa evidenza si basa sulla coerenza degli argomenti e le conclusioni devono coincidere con il resto della conoscenza

scientifica del momento.

MOTIVAZIONE. Con il tempo e la pratica, mi sono reso conto che si tendeva,

soprattutto, a preferire basi stabilite dai nostri predecessori, anche se queste erano incomplete. Ciò c’ha spinto verso alcuni settori

della patologia (ben al di qua delle reali possibilità dell’osteopatia), a condizione di non riesaminare tutti i dati disponibili, sia di natura

fisiologica sia derivanti da studi sperimentali. La scienza ci insegna delle verità, produce una conoscenza

affidabile .... ma sempre migliorabile.

MOTIVAZIONE. • La pratica di una qualunque abilità manuale richiede dei momenti di pausa per rafforzare le conoscenze acquisite, ma ci lascia anche un tempo sufficiente per osservare la nascita di nuove informazioni in precedenza non considerate. È dunque opportuno studiarle o ri-

studiarle per sapere se, a volte, esse non potrebbero modificare o addirittura contraddire alcune nostre

vecchie conclusioni. • Non si potrà mai ottenere nulla se non si agisce, né ottenere

risultati positivi senza aver compiuto errori in precedenza.

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INTRODUZIONE AL PROBLEMA DELL’ERNIA DISCALE

LOMBARE.

Il trattamento dell'ernia discale sembra, da un punto di vista medico,

prevedere come soluzione finale quasi obbligatoria, abituale, un

atto chirurgico. Ciò mi pare eccessivo. Si tratta, in realtà, di una

visione parziale raramente rimessa in discussione o, meglio,

raramente ri-studiata.

Non potrebbe esistere un’alternativa a questa decisione

abbastanza unanime?

In effetti, per la maggioranza dei ricercatori sarebbe un problema

biomeccanico che la genera. Tuttavia, non ci potrebbe essere

una soluzione biomeccanica non invasiva possibile, se si

studiassero perfettamente i diversi tempi della sua

installazione ? ! ?

Per una minoranza, è un problema chimico se non addirittura

vascolare. L’osteopatia affronta anche questo tipo di lesione.

Tutto ciò ha motivato la mia ricerca e la sua applicazione pratica da

ormai una decina d’anni.

INTRODUZIONE AL PROBLEMA DELL’ERNIA DISCALE

LOMBARE.

Così, ho pazientemente studiato praticamente tutto ciò che era

stato scritto da un punto di vista medico, su quest’ernia discale

lombare, sul suo processo, sul suo trattamento, ecc ...

Ciò mi ha permesso di constatare tre carenze importanti a riguardo:

1°- Nessun approccio medico si basava sulla possibilità d’un

processo terapeutico inverso a quello che aveva prodotto questa

ernia discale.

2º- Nessun trattamento medico ha cercato di ripristinare un

funzionamento discale che si avvicinasse più o meno a quello

esistente precedentemente all’ernia.

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Tutto era palliativo: ablazione parziale o totale del disco, blocco

funzionale del segmento, protesi sostitutiva, distruzione chimica

della parte del segmento fuoriuscito, ecc ...

3º- Inoltre, nessuna tecnica osteopatica si era focalizzata sulla

possibilità di reintegrare o di ridurre il frammento discale,

intendendo con ciò di fargli ripercorrere il cammino inverso a quello

che aveva creato l’ernia del disco.

LA MIA RIFLESSIONE ALL’ORIGINE.

Su questi tre punti, non sono state poste le necessarie domande.

"Una volta verificata la presenza dell’ernia discale, quali sono le

possibilità fisiche, fisiologiche, biomeccaniche che si conservano a

livello di questo sistema vertebrale? ".

E, inoltre: "E' possibile potenziarle? "

Infine: "L’ernia discale non avrebbe la possibilità di percorrere il

cammino inverso a quello percorso erniandosi?”

Ho trovato una risposta a ciascuna di loro, studiando il problema da

un punto di vista della tensegrità, tanto del segmento erniato quanto

della tensegrità generale della colonna vertebrale. Spiegheremo

questo aspetto più avanti.

Poi, ho sviluppato una posizione correttiva che eliminasse ogni

rischio di aggravamento del problema.

Infine, ho verificato la sua efficienza sul piano pratico e clinico: ne

scaturisce una tecnica specifica assolutamente sicura (alcun

aggravamento noto), semplice ed efficace (81% su più di 400 casi

in dieci anni).

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PERCHE’ E’ STATO NECESSARIO STABILIRE UNA TECNICA

PER LE ERNIE DISCALI?

Torno alla mia precedente riflessione. Il fatto di non aver trovato

alcuna tecnica che rispondesse a tutte le necessità specifiche per

un problema simile e che presentasse allo stesso tempo una totale

innocuità, mi spinse a cercarne una possibile.

Ad esempio, le tecniche dette ad "alta velocità" utilizzate nel

trattamento delle ernie discali hanno come inconveniente:

- di essere state immediatamente criticate dalla professione

medica classica a causa della loro posizione di esecuzione

(Esempio: le statistiche riguardanti l’intervento d’urgenza dopo una

manipolazione eseguita con un certo grado di rotazione della

colonna lombare, con conseguente stress sull’anello fibroso,

sollevarono l’ira di molti autori contro tale tecnica).

- il fatto che la loro esecuzione, non garantendo per nulla la loro

innocuità, possa, al contrario, essere causa di un suo

peggioramento.

- che mancano di specificità rispetto al processo che le ha causate.

PERCHE’ E’ STATO NECESSARIO STABILIRE UNA TECNICA

PER LE ERNIE DISCALI?

Perché era evidente la necessità di trovare una tecnica che fosse:

- semplice, ossia che la sua esecuzione avvenisse entro i limiti

fisiologici di mobilità dell’articolazione in lesione, senza quindi

andare oltre.

- efficace al fine di permettere al paziente di recuperare

rapidamente una condizione accettabile senza dargli il tempo di

strutturare dei compensi (lesioni secondarie) che, fissandosi,

avrebbero potuto complicare il suo problema.

- senza alcun rischio. E’ fondamentale che il gesto tecnico non

aggravi in alcun modo la lesione o ne favorisca il mantenimento.

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Per fare questo, deve agire in maniera specifica sulla lesione.

- Riassumendo: tecnica semplice, efficace e senza rischio.

Questo è quello che ho cercato a partire dall'inizio del 2002.

PERCHE’ E’ STATO NECESSARIO STABILIRE UNA TECNICA

PER LE ERNIE DISCALI?

Oltre a questa tripla esigenza tecnica appena precisata, questo

gesto doveva rispondere ad un insieme di criteri che lo rendessero

adeguato alla pratica osteopatica corrente.

In riferimento alla gravità della condizione patologica trattata, il

gesto così costruito doveva consentire al terapeuta di sapere in

qualunque momento:

- ciò che voleva fare (finalità del gesto),

- ciò che doveva fare (la sua padronanza del gesto),

- quando farlo (temporalità del gesto).

In più, tale gesto doveva rispettare tutti i criteri di tensegrità che

dimostrano scientificamente come l’equilibrio del corpo umano

dipenda prima di tutto dai suoi elementi connettivi interni sia a

livello globale sia in ogni suo singolo costituente.

Nel pieno rispetto di tecniche osteopatiche assodate, ho studiato e

costruito un gesto, una tecnica che risponde alle tre esigenze che

stiamo per spiegare.

RICERCA – SPERIMENTAZIONI.

La certezza della sua efficacia da una parte e della sua sicurezza

assoluta dall’altra, mi permettono oggi di presentarvela e, quindi, di

rendervi partecipi della sua pratica.

La mia ricerca e la mia sperimentazione sono cominciate intorno

all’anno 2002 (più di un decennio tra il 2002 e il 2013), con

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immediata applicazione diretta, modificata ovviamente nel corso

degli anni a fronte di nuove conoscenze.

La sua applicazione pratica diretta è stata effettuata su più di 410

casi, nello stesso momento in cui ero supervisione di un lavoro di

dottorato svolto da uno dei miei allievi, sotto controllo medico

classico, in un ospedale universitario spagnolo.

Entrambe le pratiche convergono ad un risultato identico e

superiore di più dell'82% in entrambi i casi.

TECNICA OSTEOPATICA D’ASSORBIMENTO DELLE ERNIE

DISCALI LOMBARI.

Potendo la pratica di questa tecnica detta osteopatica competere

con i vari approcci medici attuali (chirurgia compresa), insisto

particolarmente sul fatto che, per affermare il suo valore, deve

rispettare i tre seguenti criteri:

SICUREZZA ASSOLUTA,

SEMPLICITÀ,

EFFICACIA.

L’ERNIA DISCALE PER LA MEDICINA CLASSICA.

Per la quasi totalità delle facoltà di medicina e dei ricercatori medici

in biomeccanica, da diversi decenni, l’ernia discale è stata, è e

rimane un problema biomeccanico che evolve in tre stadi successivi

distinti. Li ho riassunti qui di seguito attraverso delle immagini.

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PRIMO STADIO.

Degenerazione discale-Stadio 1.

Disco tipico dell’uomo fra i 15 ed i 35 anni o della donna fino a 40

anni.

SECONDO STADIO.

Degenerazione discale-Stadio 2.

Disco tipico dell’uomo fra i 35 ed i 70 anni. (Disco L2-L3).

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Il nucleo appare fibroso e sono presenti alcune pigmentazioni

tipiche. Tuttavia, la struttura del disco è intatta ed il disco non è

“degenerato”.

TERZO STADIO. LA DEGENERAZIONE DISCALE.

Anteriore - posteriore.

In questo stadio, l'immagine ci mostra dei processi degenerativi. Si

nota che l’anello fibroso si incurva nel nucleo, danneggiando

l'estremità inferiore. Vi è inoltre assenza di pigmentazione in alcune

zone del disco.

Si tratta del disco di un uomo di 31 anni (disco L2-L3).

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ERNIA DISCALE – ADOLESCENTE DI 16 ANNI.

NOZIONI DI BASE (RICHIAMI).

Alcuni aspetti ci sembrano fondamentali per comprendere come e

su quali elementi agisce la nostra tecnica e perché ha degli effetti

positivi. Ci basiamo scientificamente, in modo particolare e

specifico, sulle qualità fisiche del disco ben studiate nella tesi di Arti

e Mestieri di S. Campana (2004).

Rivediamo alcuni elementi di anatomia, di fisiologia e soprattutto di

biomeccanica di ciò che accade in questo spazio vertebrale. Lo

studieremo in seguito sotto il punto di vista della tensegrità.

DISCO INTER-VERTEBRALE (RICHIAMI).

• I dischi intervertebrali costituiscono circa 1/5 dell'altezza totale del

rachide.

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• Oltre i 75 anni, l'altezza dei dischi intervertebrali si dimezza,

riducendo così notevolmente i movimenti del rachide.

• Il rapporto corporeo-discale varia a seconda del segmento del

rachide. Più questo rapporto è alto, più il segmento del rachide sarà

mobile.

• Avremo quindi:

- 1/3 per il rachide cervicale,

- 1/6 per il rachide toracico,

- 1/3 per il rachide lombare.

Per le lombari il disco è di 9 mm di altezza, 5 mm per le toraciche

e 3 mm per le cervicali.

A PROPOSITO DEL DISCO INTERVERTEBRALE.

Questi dischi intervertebrali sono composti da circa il 90% d’acqua.

Essi sono privi di vasi predisposti al loro nutrimento, avendo

tutto il necessario per sopravvivere grazie ad un fenomeno di

impregnazione che parte dall'ambiente in cui sono immersi. Un po'

come le spugne nel mare.

Con il tempo, perdono progressivamente questa carica acquosa,

aspetto che appare in maniera visibile sulle risonanze magnetiche

(dischi sempre più neri, sempre più sottili, sempre più fragili).

A PROPOSITO DEL DISCO INTERVERTEBRALE.

• I - Il nucleo polposo è inestensibile, incomprimibile, idrofilo e

deformabile.

• Contiene: fibre di collagene organizzate in modo molto casuale,

fibre di elastina all'interno di un gel idratato contenente degli

aggreganti.

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• II - L'anello fibroso è fibroso, lamellare, biancastro, rigido ed

elastico, attaccato al labbro marginale della vertebra, alla periferia.

• Delle fibre di elastina sono tese tra le lamelle.

• III - I dischi intervertebrali perdono lentamente acqua, anche

quando sono sottoposti a carichi fisiologici importanti.

• IV- L'idrofilia del disco intervertebrale è direttamente legata alla

pressione osmotica esercitata dai proteoglicani e l’assorbimento

d'acqua è limitato dalla rete di collagene resistente alla trazione.

STRUTTURA DEL NUCLEO POLPOSO.

• Massa biancastra, gelatinosa, ovoide, non enucleabile in vivo.

• 50% del volume del DIV, situato dietro al centro del DIV.

• Mobile durante il movimento del rachide +++.

• Inestensibile, incomprimibile, deformabile, fortemente idrofilo.

Sotto pressione: precompresso.

• Residuo della notocorda.

Ligament longitudinal post.

Substance grise

Lig. supra-épineux

Capsule de l'articulation zygapophysaire

l'articulation

Dure-mère spinale

Processus épineux

Lig. interépineux

Lig jaune

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EMBRIOLOGIA DEL DISCO INTER-VERTEBRALE.

• Alla 24a settimana dopo il concepimento, la parte ectodermica si

frammenta in 33 segmenti, 150 articolazioni e 1000 legamenti.

• Questi nasceranno dalla doccia neurale iniziale, davanti alla quale

si trova la corda neurale che in seguito regredirà parzialmente,

mentre su entrambi i lati, si trovano gruppi di cellule denominate

somiti che formeranno da una parte i miotomi (origine della

muscolatura paravertebrale), dall’altra gli sclerotomi (origine di

formazioni cartilaginee che, ossificandosi, formeranno le vertebre).

EMBRIOLOGIA DEL DISCO INTER-VERTEBRALE.

La doccia neurale andrà in seguito a chiudersi sulla linea mediana,

formando il tubo neurale che conterrà il sistema nervoso, che si

frammenterà in sclerotomi che andranno a dividersi in due. Ogni

vertebra è dunque l'unione di due emi-sclerotomi inferiori e di due

emi-sclerotomi superiori. La formazione di questo nucleo

cartilagineo deriva dunque dall’unione di 4 metà di sclerotomo.

Lo sclerotomo seguente darà luogo a una struttura chiamata disco

intervertebrale. Tale disco consente alla notocorda di persistere

sotto forma di un residuo chiamato nucleo polposo posto al centro

del disco. In periferia avremo, invece, un anello fibroso.

Questo tubo neurale sarà protetto da un arco posteriore e formerà il

midollo spinale. A livello del rachide, dai corpi vertebrali partiranno

dei prolungamenti che andranno a richiudersi e a contenere il tubo

neurale.

In seguito, c'è un’ossificazione completa della vertebra, che si

completa in modo centrifugo, a partire da T10 verso l’alto ed il

basso, come ha dimostrato il professore Laude D’Amiens.

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FORMAZIONE EMBRIOLOGICA VERTEBRA-DISCO.

FORMAZIONE EMBRIOLOGICA VERTEBRA-DISCO.

Sottolineo in particolare, se necessario, che le diverse parti che

compongono l'unità vertebrale (unità funzionale), cioè la metà

inferiore dell’emi-vertebra superiore, il disco intervertebrale nella

sua totalità e la metà superiore dell’emi-vertebra inferiore hanno la

stessa origine embriologica.

Unità funzionale. Embriologia.

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DALL’EMBRIOLOGIA ALL’UNITA’ FUNZIONALE VERTEBRALE.

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DISCO INTERVERTEBRALE.

BIOMECCANICA CLASSICA.

(Consenso generale).

BIOMECCANICA LOMBARE.

BIOMECCANICA LOMBARE CLASSICA.

La mobilità segmentaria dei dischi lombari aumenta in modo

progressivo dall'alto in basso: passa in media da 12º a livello di L1-

L2 a 25º a livello di L4-L5. Il disco L5-S1 è il meno mobile.

In posizione in piedi, il disco rappresenta la zona di

compressione, mentre le articolazioni posteriori sono la sede di una

forza di taglio.

In flessione ed estensione, uno scivolamento arciforme si verifica

tra le superfici articolari.

In flessione, il disco è cuneiforme a base posteriore e triangolare in

estensione.

Le rotazioni assiali impongono delle forze di taglio che sono molto

mal tollerate dal disco. Infatti, possono creare delle lesioni fissulari

a livello dell’anulus se non, addirittura, disinserire i piatti vertebrali.

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Queste variazioni di pressione favoriscono gli scambi liquidi. La

perdita d’acqua diurna è compensata da una reidratazione notturna

favorita dal decubito supino.

COPPIA DISCO-LEGAMENTI.

Accoppiato ai legamenti longitudinali, il disco costituisce un

sistema precompresso (anche se la velocità di applicazione dei

carichi avviene rapidamente, si deforma in maniera graduale).

E' IN EFFETTI UN SISTEMA DI TENSEGRITA’ - UN TRIPLO

STADIO CHE AVRO’ IL PIACERE DI SPIEGARVI UN PO’ PIU’

AVANTI, DATO CHE E’ UNA DELLE BASI DELLA RIFLESSIONE

CHE HA DATO LUOGO ALL’ELABORAZIONE DI QUESTA

TECNICA SPECIFICA.

Ricordiamo che il disco intervertebrale è rinforzato da quattro

legamenti:

1º - Il legamento vertebrale longitudinale anteriore dalla base

del cranio al coccige, estremamente solido, che passa a ponte al di

sopra dei dischi.

2º - Il legamento vertebrale longitudinale posteriore, dal bordo

del foro occipitale al coccige, più stretto, che si collega alla faccia

posteriore dei dischi mediante delle espansioni laterali che si

mescolano con le fibre più superficiali dell’anulus.

Esso è attraversato da sottili rami provenienti dai nervi sinu-

vertebrali. Inoltre, invia delle piccole estensioni (conosciute sotto il

nome di legamenti di Hofman) verso l’indietro attraverso le quali si

unisce al sacco durale.

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COPPIA DISCO-LEGAMENTI.

L.C.V. Posteriore, Legamento giallo, Continuum legamentoso.

3º - I legamenti gialli, i quali devono il loro nome alla loro ricchezza

in fibre elastiche (80% e solamente 20% di collagene). Vanno dal

bordo inferiore di una lamina al bordo superiore della lamina

inferiore. Vengono messi in tensione durante i movimenti di flesso-

estensione. Sono in diretta continuità con le capsule articolari in

avanti e lateralmente, e con i legamenti interspinosi e sovraspinosi.

4º - Il legamento interspinoso prolunga verso l'indietro il

legamento giallo. Le fibre elastiche spariscono a favore di fibre di

collagene disposte a ventaglio.

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DISCO INTERVERTEBRALE.

FISICA CLASSICA E COMPORTAMENTO MECCANICO DEL

DISCO INTERVERTEBRALE.

FISICA DEL DISCO.

Sezione orizzontale di un disco sottoposto ad una forza (in vitro).

FISICA DEL DISCO INTERVERTEBRALE.

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BIOMECCANICA SECONDO LA MEDICINA CLASSICA.

A - la compressione aumenta la pressione sul nucleo polposo.

Questa si esercita radialmente sull’anulus polposo e aumenta la

tensione dell’anulus.

B - La tensione nell'anulus viene esercitata sul nucleo,

impedendogli di espandersi radialmente. La pressione del nucleo

viene in seguito esercitata sui piatti intervertebrali.

C - Il carico è sopportato, in parte, dall’anello fibroso e dal nucleo

polposo. La pressione radiale sul nucleo rafforza l'anulus e la

pressione sui piatti vertebrali trasmette il carico da una vertebra

all'altra.

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FISICA DEL DISCO INTERVERTEBRALE. COMPORTAMENTO

BIOMECCANICO.

La struttura assai particolare del disco gli permette di resistere a

delle elevate sollecitazioni meccaniche. Il nucleo trasmette i carichi

compressivi all'anulus sotto forma di sollecitazioni radiali e

tangenziali e non solo verticali, come si vede ancora scritto in alcuni

libri di medicina (aspetto sottolineato in tutti gli studi fatti in

tensegrità). Sophie Campana, nella sua tesi di dottorato presso la

Scuola Nazionale d’Arti e Mestieri nel 2004, studiò scientificamente

gli effetti puramente fisici di questo comportamento discale.

FISICA DEL DISCO INTERVERTEBRALE. COMPORTAMENTO

BIOMECCANICO.

Scrive che in posizione eretta, il disco intervertebrale è

principalmente sottoposto a delle sollecitazioni compressive. Per il

meccanismo di trasmissione radiale del carico, il nucleo e l'anulus

interno subiscono una compressione, mentre le fibre

dell’anulus esterno vengono messe in tensione (Elementi del

sistema di tensegrità, che svilupperemo più avanti).

Il disco aumenta il suo raggio di 0,75 mm per una forza di

compressione di 1000 N (Hirsch C.Nachemson, A. 1954).

FISICA DEL DISCO INTERVERTEBRALE. COMPORTAMENTO

BIOMECCANICO.

Ha aggiunto che la quantità di fluido all'interno del disco non è

costante, ma dipende dal carico esterno applicato ad esso. Se è

maggiore della soglia di pressione consentita dal nucleo, il fluido

viene trasudato, aumentando la concentrazione di proteoglicani e,

di conseguenza, la pressione nucleare. Il flusso del fluido prosegue

poi fino ad ottenere un equilibrio osmotico e la forza esterna viene,

a questo punto, pareggiata. In una compressione prolungata, il

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nucleo può perdere fino al 20% d’acqua. Viceversa, quando il

carico si riduce, il disco riassorbe il liquido per raggiungere un

nuovo equilibrio osmotico (Johnstone, Bet coll. 1992).

FISICA DEL DISCO INTERVERTEBRALE. COMPORTAMENTO

BIOMECCANICO.

Vediamo ora i processi che portano al comportamento

viscoelastico.

Viscoelasticità: si riferisce ai materiali bifasici che si comportano

come un fluido viscoso (ammortizzatore) e un solido elastico

(molla). Aspetto che trasforma loro stessi in un perfetto sistema di

tensegrità. Questa viscostaticità si traduce in una risposta variabile

nel tempo durante l'applicazione di una sollecitazione o di una

deformazione costante.

Si distinguono due qualità fisiche differenti:

da una parte il flauge, dall’altra il suo rilassamento.

FISICA DEL DISCO INTERVERTEBRALE.

Fluage: fenomeno di deformazione crescente allorchè viene

applicata una forza costante. Si traduce in una diminuzione di

altezza del disco nel corso del tempo, sotto l’applicazione di un

carico compressivo costante e rappresenta la dualità della

composizione tissutale, cioè come abbiamo visto, la presenza di un

liquido viscoso e di un solido elastico. Il primo, paragonabile ad un

ammortizzatore, il secondo ad una molla.

. Durante una sollecitazione compressiva a lungo termine, i dischi

intervertebrali possiedono la proprietà di fluire aumentando

lentamente la deformazione inizialmente generata.

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S.Campana sostiene l'idea che l’associazione in serie e / o in

parallelo di due o più di queste due unità elementari può

riuscire a tradurre la risposta viscoelastica del tessuto

considerato. Ciò si ricollega alla nostra concezione stabilita

secondo il concetto della tensegrità.

FISICA DEL DISCO INTERVERTEBRALE.

Il rilassamento delle forze, secondo aspetto del

comportamento discale fisiologico, rappresenta il fenomeno di

diminuzione delle forze allorchè una deformazione costante viene

inizialmente applicata. Questa non è stata praticamente studiata.

Infatti, il carico richiesto per mantenere un dato spostamento

diminuisce nel tempo. Così, pur rimanendo reversibili, le

deformazioni si accumulano e si restituiscono in modo dipendente

dal tempo; esse sono caratteristiche di un comportamento

viscoelastico, che è accompagnato da curve d’isteresi durante

una compressione.

S.Campana nel suo studio (2004) su 22 dischi lombari in

compressione, fluage e rilassamento ha dimostrato che queste tre

sollecitazioni hanno confermato la somiglianza dei principi fisici dei

dischi lombari inerenti al comportamento viscoelastico.

FISICA DEL DISCO INTERVERTEBRALE. COMPORTAMENTO

BIOMECCANICO.

In sintesi, possiamo scrivere che i dischi vertebrali, composti da

diversi elementi anatomici distinti, formano delle unità funzionali,

come aveva descritto C.Junghans in passato. Ciò corrisponde

perfettamente a quello che la tensegrità ci insegna e dimostra. E’ lei

che ci ha portato a stabilire, a cercare e a trovare un altro approccio

osteopatico, di cui riparleremo più avanti.

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COMPORTAMENTO BIOMECCANICO.

Sappiamo che altri autori, basandosi sulla resistenza dei differenti

materiali compositi della vertebra lombare, vedono le cose un po’

diversamente o, per lo meno, valutano questo meccanismo, in base

alle loro osservazioni. Di seguito, alcuni elementi sui quali

torneremo più avanti.

- Vedremo che D.Robbie, confrontando il corpo vertebrale lombare,

che contiene poco osso compatto, con le articolazioni posteriori che

ne contengono di più, dà un’importanza particolare a queste ultime,

per quanto riguarda questa trasmissione verticale.

- Quanto a Stephen Levin, creatore della biotensegrità, i suoi lavori

di ricerca hanno dimostrato che il carico verticale di una vertebra si

trasmetterà solo parzialmente su quella sotto-giacente.

- Lo studio delle differenti pressioni interne proprie degli elementi

anatomici che circondano e/o che sono aderenti alla colonna

vertebrale mostra un cambiamento della loro tensione interna con

carichi aggiuntivi che la sollecitano.

COMPORTAMENTO BIOMECCANICO.

Non prenderemo in considerazione che lo studio fatto da Izambert e

Milton (2003), il solo utili qui, basato sull'utilizzo di una massa

applicata sulla faccia superiore del disco in condizioni fisiologiche in

vivo.

La mobilità è influenzata da due fattori principali che sono la

geometria e le proprietà delle strutture discali.

Per studiare la mobilità generale del rachide lombare, dobbiamo

valutare il contributo congiunto di architetture macroscopiche come

le faccette articolari posteriori, l’altezza del disco così come la sua

forma sul piano assiale, ma anche di architetture microscopiche

come la sua organizzazione lamellare. A seconda della

sollecitazione, le faccette giocano un ruolo più o meno rilevante, dal

più importante in torsione al meno importante in flessione laterale.

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In più, S.Campana nota che è principalmente il movimento del

fluido intra-discale ad intervenire durante le risposte

viscoelastiche, le quali tenderanno a diminuire durante la sua

degenerazione.

COMPORTAMENTO BIOMECCANICO.

• Ci sembra interessante sottolineare che tutti gli elementi che

questo studio ha mostrato come importanti, dipendono da tre

componenti della tensegrità rachidea che affronteremo più

avanti. Sarà su questi che la nostra tecnica d’assorbimento

andrà ad agire specificatamente.

• Dato che questo lavoro ha come scopo quello di giustificare una

manipolazione specifica che agisca sulla struttura del disco stesso,

pensiamo sia arrivato il momento giusto del nostro studio per

affrontare ciò che succede a livello discale durante la dinamica di

una manipolazione vertebrale. Ciò è quello che ha fatto J-Y. Maigne

(2000), su dei cadaveri, avendo come obiettivo quello di misurare la

pressione intra-discale mediante dei sensori, durante l'impulso di

una manipolazione lombare eseguita dapprima in flessione ed, in

seguito, in estensione.

COMPORTAMENTO BIOMECCANICO.

• Dopo aver sottolineato la riserva che può essere fatta per il fatto

che furono praticate su dei cadaveri, così come per il fatto che

vengano eseguite mediante una torsione tra i due segmenti

superiore e inferiore, cosa che noi stessi proibiamo nella

nostra tecnica, ci sembra interessante sottolineare le differenze

fisiche che l'autore mette in evidenza nella sua conclusione.

Stabilisce che le variazioni di pressione durante le manipolazioni in

flessione furono brevi e veloci, con differenze d’accelerazione in

senso caudo-craniale identiche a quelle rilevate sul piano

orizzontale. Al contrario, durante le manipolazioni in

estensione, queste variazioni furono più lente e prolungate con

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delle differenze d'accelerazione lente e prolungate, ma

maggiori sul piano orizzontale.

COMPORTAMENTO BIOMECCANICO.

Se l'autore ha suggerito che ogni tipo di manipolazione agisca in

maniera specifica (aspetto che la nostra scuola di pensiero ha

sempre sostenuto affermando che esistono a questo livello diversi

tipi di lesione ciascuna delle quali necessita di una manipolazione

specifica per essere ridotta), noi ci permettiamo di sottolineare una

delle sue conclusioni estrappolandola: in estensione - posizione

nella quale noi effettuiamo la nostra specifica manipolazione –

le variazioni di pressione all'interno del disco sono più lente e

prolungate, e per di più maggiori sul piano orizzontale. Aspetto

che ci sembra ideale per il riassorbimento discale.

COSTITUZIONE CHIMICA DEL DISCO.

Sul piano isto-chimico, il disco intervertebrale è costituito da fibre di

collagene in sospensione in un gel di proteoglicani molto idratati.

Questi proteoglicani sono prodotti da alcune cellule localizzate in

prossimità delle placche cartilaginee, il che spiega alcune

rigenerazioni discali.

(Cosa che è particolarmente interessante in una tecnica di

riassorbimento, non è vero?).

Il disco contiene anche una frazione significativa di proteine non

collageniche, implicate nei processi chimici del disco.

CHIMICA DEL DISCO INTER-VERTEBRALE.

Le Chemochine.

. Le ricerche attuali suggeriscono che le chemochine, in particolare

la CXCL.10, reclutano effettivamente le cellule isolate dell’anello

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fibroso. Ciò ci spinge a pensare che siano implicate nell’omeostasi

dell’anello fibroso e, potenzialmente, nei tentativi di riparazione

spontanea dell’anulus. Questo potrebbe presentare importanti

implicazioni nelle strategie di consolidamento biologico dell’anulus.

• Questa ipotesi, che si conferma di giorno in giorno, dà più peso

alla mia tecnica, che non solo riequilibra le pressioni dentro e

attorno al disco, ma permette, eliminando la patologia

rapidamente per il suo effetto biomeccanico, di normalizzare il

disco inter-vertebrale stesso, e di potenziare questo processo

chimico che abbiamo appena descritto favorendo attraverso

l’equilibrio ritrovato, la "cicatrizzazione" delle lamelle che

costituiscono l’anello fibroso.

• Queste ricerche sulle chemochine in HD mostrano che giocano un

ruolo cruciale nella sua patogenesi reclutando cellule infiammatorie

come i macrofagi nella neovascolarizzazione e nel riassorbimento

del tessuto erniato.

• ("Le chemochine CXCL10 e XCL1 reclutano cellule dell’anulus

fibroso umano ”Spine publish head of print”).

ISTOLOGIA E VASCOLARIZZAZIONE DEL DISCO INTER-

VERTEBRALE.

Secondo la medicina classica insegnata in passato, il disco è il più

voluminoso organo avascolare dell’organismo. Alcune cellule del

nucleo sono a più di 8 m / m dell’intero apporto sanguigno.

In piu’, la cartilagine dei piatti vertebrali si calcifica bloccando

qualsiasi penetrazione vascolare.

Sperimentalmente, si sono analizzati 600 dischi vertebrali chirurgici

da un punto di vista istologico, in pazienti con età compresa tra i 12

ed i 77 anni, osservando che presentano dei vasi sanguigni 57 dei

101 casi aventi un prolasso completo del disco erniato (56,4%),

mentre solamente 12 dei 32 casi aventi un prolasso incompleto

(11,3%).

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Facciamo la stessa indagine su 2 campioni post-mortem e ciò ci

permette d’osservare dei vasi sanguigni in 293 su 616 casi.

La maggior parte dei vasi sanguigni si trovano nei dischi

estrusi localizzati nello spazio epidurale, e si ritiene che si siano

formati dopo che l'ernia si sia costituita. L'invasione del disco

intervertebrale da parte dei vasi sanguigni si riscontra in persone di

età avanzata, ma è anche possibile che la loro presenza abbia

preceduto la loro estrusione.

ISTOLOGIA E VASCOLARIZZAZIONE DEL DISCO INTER-

VERTEBRALE.

1 ° - H. D. tipo Lipotrusione. C'è un rigonfiamento posteriore

anormale dell'anello fibroso.---- patologia discale predominante del

nucleo polposo. Le lamelle periferiche restano attaccate al corpo

vertebrale.

2º - H. D. tipo prolasso incompleto. L’anello fibroso periferico si è

in parte distaccato dal margine del piatto vertebrale, esponendo il

tessuto discale allo spazio epidurale. Tuttavia, il tessuto è ancora in

continuità con il disco. Non vi è alcun frammento discale libero.

3 ° - H. D. tipo prolasso completo. In questo caso, la parte

periferica dell’anello fibroso è staccata da una parte del margine del

piatto vertebrale, esponendosi allo spazio epidurale.

L'origine di questi piccoli vasi non è del tutto chiara. Come

detto in precedenza, è possibile che esistessero prima della

protrusione discale, ma, bisogna sottolineare, che questo non è

abituale. Il punto di vista attuale è che la vascolarizzazione di questi

frammenti discali sarebbe la caratteristica dell’ernia discale,

l'oggettiverebbe.

La vascolarizzazione nutritiva del disco intervertebrale ha la sua

origine nella rete capillare densa delle estremità dei piatti vertebrali.

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La diffusione facilita il trasferimento di nutrienti, così come lo

smaltimento dei prodotti di rifiuto. Anche l'innervazione simpatica di

questi canali è stata presa in esame.

("L'istologia dell’erniazione disco intervertebrale lombare" Yasuma

T, Aral K, Yamauchi Y, in Spine- nel 1993 0,18 (3) -1.761-1765).

NUTRIZIONE DEL DISCO INTERVERTEBRALE.

La nutrizione del disco è assicurata, attraverso l’intermediazione dei

piatti vertebrali, per diffusione, ma non c'è vascolarizzazione

propria.

INNERVAZIONE DISCALE LOMBARE.

L’innervazione del disco lombare è assicurata da fibre nervose

propriocettive e nocicettive provenienti dai nervi sinu-vertebrali.

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L'innervazione sensitiva del rachide lombare (dischi, corpi

vertebrali e articolazioni posteriore): le fibre nervose sensitive nate

da queste strutture, da L5 / S1 risalgono improntando il simpatico

prevertebrale fino a L2. A questo livello, lo abbandonano passando

per il nervo L2 e guadagnano il midollo spinale. Questo

spiegherebbe, secondo alcuni, i dolori all'inguine dei dolore discali

(vecchio nervo di Roof).

Il dolore nasce quando viene raggiunta la parte posteriore del

disco, ossia la più innervata.

INNERVAZIONE DISCALE.

-innervazione periferica del solo anulus: terminazioni libere

nocicettive fino a 1 o 2 cm di profondità (propiocezione?);

-i 2 nervi sinu-vertebrali di un livello forniscono dei rami a 2 dischi

adiacenti;

-esistono una neo-vascolarizzazione ed una neo-innervazione in

seno ai dischi degenerati, soprattutto sintomatici, probabilmente

sotto l’influenza di fattori di crescita.

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NEUROLOGIA DISCALE.

(Disegno di Rene Lavatelli).

NEUROLOGIA DISCALE.

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PERCHÉ LA NEUROLOGIA È IMPORTANTE NELL’H.D.

LOMBARE?

Il sistema simpatico è latero-vertebrale nella cassa toracica, i

gangli lombari sono a diretto contatto con il disco, ed il

simpatico è sempre applicato contro la colonna. Nelle

discopatie lombari, le modificazioni infiammatorie del disco o delle

articolazioni vertebrali, vanno ad interessare il tessuto cellulare che

contiene il simpatico.

(Dechainne, Duroux, Antonietti nel Medical Journal di Lione).

EQUILIBRIO ORMONALE DEL DISCO INTER-VERTEBRALE.

A livello dei dischi intervertebrali datati, si forma una fibrosi

provocata dal cambiamento delle proporzioni relative dei diversi tipi

di collagene e da una disidratazione dovuta ad una diminuzione

della sintesi dei glicosaminoglicani con la loro potente attività

idrofila. Ciò porta ad una perdita d’elasticità e ad un pinzamento

discale.

Ciò perchè il 95% delle fratture accertate si localizzano al di

sopra del disco che presenta il pinzamento più importante

(Studio OFELY).

Secondo lo studio di Gambacciani et al. (per assorbimento

bifotonico), dopo la menopausa, si nota una progressiva

diminuzione dello spazio intervertebrale, che sopraggiunge quasi

interamente entro i primi 5-10 anni seguenti. Ciò suggerisce che

sono presenti delle modificazioni endocrine e metaboliche legate

alla menopausa, piuttosto che all’invecchiamento, che giocano un

ruolo di primo piano nella diminuzione.

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DEGENERAZIONE DISCALE.

Vi rimostro le immagini viste all’inizio di questa presentazione, ora

che potete integrare, tra gli altri elementi esaminati, quelli che vi

mancano (eventualmente) ora.

DEGENERAZIONE DISCALE – STADIO 1.

Disco tipico dell’uomo fra i 15 ed i 35 anni o nella donna fino a 40

anni.

DEGENERAZIONE DISCALE – STADIO 2.

Disco tipico dell’uomo fra i 35 ed i 70 anni.

(Disco L2-L3).

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Il nucleo appare fibroso e sono presenti alcune pigmentazioni

tipiche. Tuttavia, la struttura del disco è intatta ed il disco non è

“degenerato”.

DEGENERAZIONE DISCALE – STADIO 3.

Anteriore Posteriore

In questo stadio, l’immagine ci mostra dei processi

degenerativi. Si nota che l’anello fibroso si incurva nel nucleo,

danneggiando l’estremità inferiore. Vi è, inoltre, assenza di

pigmentazione in alcune zone del disco.

Si tratta del disco di un uomo di 31 anni (disco L2-L3).

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DEGENERAZIONE DISCALE – STADIO 4.

Anteriore Posteriore

L’immagine mostra una degenerazione severa.

Si può notare la pigmentazione bruna, la disrupzione dei due piatti ed il collasso interno dell’anulus. Il tutto si accompagna ad una

riduzione di altezza del disco.

Disco L4-L5 di un uomo di 31 anni.