Costume - rochester.edupo’ il “logo” di un mito, un’eredità di antiche credenze germaniche...

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Sta per uscire nelle sale americane l'ultimo film sul ladro che “rubava ai ricchi per dare ai poveri”... ma era davvero così? Cosa sappiamo del “vero” Robin Hood? Quanto c'è di leggenda e quanto di verità nelle numerose storie che si raccontano su di lui? di Giovanni Godio Le ballate da cui sono tratti i frammenti pubblicati in queste pagine e un saggio sulle origini del mito-leggenda di Robin Hood si trovano nel volume “Le ballate di Robin Hood” a cura di Nicoletta Gruppi (Einaudi) n I TANTI VOLTI DI Barnsdale e Inglewood verso la fine del ‘200; un «famoso assassi- no» che con l’inseparabile Little John compì misfatti verso la metà dello stesso secolo; un «passator cortese» che rubava ai ricchi per dare ai poveri, attivo però alla fine del XII secolo, quando re Riccar- do Cuor di Leone era prigioniero in Germania. Peccato che quest’ultima ver- sione sia emersa ormai nel ‘500, quando in certi ambienti Robin Hood era ormai un eroe “addo- mesticato” e innocuo. Tanto in- nocuo che ci si poteva anche gio- care. Sì, giocare: alla corte di re Enrico VIII, nel 1515, dedicarono al bandito una festa a tema, con tanto di torneo di tiro con l’arco e banchetto all’aria aperta. Passa- no pochi decenni, e in due dram- mi teatrali ritroviamo un baldo Robin di sangue blu, nientemeno che con il titolo di conte di Hun- tington, costretto a farsi uccel di bosco per colpa di Giovanni Sen- zaterra. Inchino e reverenza, ec- coci omai sbarcati sulle rive della letteratura edificante. Bisogna aspettare due secoli e mezzo perché, nell’‘800, a qualcu- no venga un’idea brillante: cerca- re un qualche signor Robin Hood, o Robert Hood (Robin è un dimi- nutivo) nei documenti medievali conservati negli archivi. Ebbene, di Robin Hood ne saltano fuo- ri fin troppi. Ma risulta che solo quattro di questi ebbero problemi con la giustizia. Attorno al 1230 c’è un Robin Hood «fugitivus» al quale confi- scano i beni nella città di York. Vent’anni prima ce n’è un altro che uccide un uomo nel giardino generale, di opachi chiari di luna. Ma, paradossalmente, questo film potrebbe contenere, senza render- sene conto, anche schegge di au- tenticità antiche, molto antiche. Già, perché prima del film-pa- rodia Robin Hood: un uomo in calzamaglia di Mel Brooks (1993), prima del Robin Hood perfettino impersonato da Kevin Costner nel 1991 (mai un capello fuori po- sto!), prima del cult La leggenda di Robin Hood con Errol Flynn (1938) e prima del romanzo Ivan- hoe (1819) di sir Walter Scott (il cui romantico e rassicurante Ro- bin Hood si è riversato nel cinema e nella letteratura per ragazzi), insomma, prima di tutto questo il bandito inglese della foresta era soprattutto un puzzle inquietante e affascinante disperso in mille tessere. Miei signori date orecchio se di sangue franco siete, del valente Robin Hood or le imprese ascolterete. Fu bandito e fuorilegge finché visse sulla terra, cortesia com’egli usava mai fu vista in Inghilterra. (dalla “Piccola canzone di Robin Hood”) NEL LABIRINTO DELLA STORIA Tre storici scozzesi che vissero fra il Medioevo e il Rinascimento tramandano ognuno la propria versione. Robin Hood sarebbe stato rispettivamente: un bandito «di gran reputazione» che con un tal Little John infestò i territori di «L A STORIA MAI RAC- CONTATA DI COME QUEST’UOMO è diven- tato una leggenda». Mai raccon- tata... beh, insomma. Comunque Ridley Scott e Russell Crowe ci riprovano: il loro kolossal Robin Hood arriverà nelle sale america- ne nei prossimi mesi. A giudicare dal trailer, dal- le prime immagini e dai testi di presentazione, il regista Scott e Russell Crowe nel ruolo dell’eroe promettono una versione dark della leggenda: cupe foreste, cie- li di piombo, scene di scontri e battaglie che quanto a violenza lasceranno ben poco all’imma- ginazione… Non mancheranno il dispotico sceriffo di Nottingham né lady Marion (Cate Blanchett). E lui, Robin, sarà ovviamente animato «dallo spirito d’avventu- ra e dalla voglia di giustizia», di- venterà «un simbolo di libertà per la sua gente» ecc. ecc. Ma anche l’allegra compagnia della foresta potrebbe essere ben poco allegra, perché «Robin radu- na una banda di seguaci le cui le- tali abilità mercenarie sono egua- gliate solo dalla fame di vita». Parola di sito ufficiale. In una parola, il Robin Hood della ditta Scott & Crowe si an- nuncia come una storia discre- tamente adatta ai nostri tempi. Tempi di incertezze (come dire?) etiche, di sicurezze in crisi e, in Russell Crowe nell'ultimo film su Robin Hood, diretto da Ridley Scott, prossimamente in uscita nei cinema americani 3/2010 IL CENACOLO - 17 Costume 16 - IL CENACOLO 3/2010

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Sta per uscire nelle sale americane l'ultimo film sul ladro che “rubava ai ricchi per dare ai poveri”... ma era davvero così? Cosa sappiamo del “vero” Robin Hood? Quanto c'è di leggenda e quanto di verità nelle

numerose storie che si raccontano su di lui?

di Giovanni Godio

Le ballate da cui sono tratti i frammenti pubblicati in queste pagine e un saggio sulle origini del mito-leggenda di Robin Hood si trovano nel volume “Le ballate

di Robin Hood” a cura di Nicoletta Gruppi

(Einaudi) n

I tantI voltI dI

Barnsdale e Inglewood verso la fine del ‘200; un «famoso assassi-no» che con l’inseparabile Little John compì misfatti verso la metà dello stesso secolo; un «passator cortese» che rubava ai ricchi per dare ai poveri, attivo però alla fine del XII secolo, quando re Riccar-do Cuor di Leone era prigioniero in Germania.

Peccato che quest’ultima ver-sione sia emersa ormai nel ‘500, quando in certi ambienti Robin Hood era ormai un eroe “addo-mesticato” e innocuo. Tanto in-nocuo che ci si poteva anche gio-care. Sì, giocare: alla corte di re Enrico VIII, nel 1515, dedicarono al bandito una festa a tema, con tanto di torneo di tiro con l’arco e banchetto all’aria aperta. Passa-no pochi decenni, e in due dram-mi teatrali ritroviamo un baldo Robin di sangue blu, nientemeno che con il titolo di conte di Hun-tington, costretto a farsi uccel di bosco per colpa di Giovanni Sen-zaterra. Inchino e reverenza, ec-coci omai sbarcati sulle rive della letteratura edificante.

Bisogna aspettare due secoli e mezzo perché, nell’‘800, a qualcu-no venga un’idea brillante: cerca-re un qualche signor Robin Hood, o Robert Hood (Robin è un dimi-nutivo) nei documenti medievali conservati negli archivi. Ebbene, di Robin Hood ne saltano fuo-ri fin troppi. Ma risulta che solo quattro di questi ebbero problemi con la giustizia.

Attorno al 1230 c’è un Robin Hood «fugitivus» al quale confi-scano i beni nella città di York. Vent’anni prima ce n’è un altro che uccide un uomo nel giardino

generale, di opachi chiari di luna. Ma, paradossalmente, questo film potrebbe contenere, senza render-sene conto, anche schegge di au-tenticità antiche, molto antiche.

Già, perché prima del film-pa-rodia Robin Hood: un uomo in calzamaglia di Mel Brooks (1993), prima del Robin Hood perfettino impersonato da Kevin Costner nel 1991 (mai un capello fuori po-sto!), prima del cult La leggenda di Robin Hood con Errol Flynn (1938) e prima del romanzo Ivan-hoe (1819) di sir Walter Scott (il cui romantico e rassicurante Ro-bin Hood si è riversato nel cinema e nella letteratura per ragazzi), insomma, prima di tutto questo il bandito inglese della foresta era soprattutto un puzzle inquietante e affascinante disperso in mille tessere.

Miei signori date orecchiose di sangue franco siete,del valente Robin Hoodor le imprese ascolterete.Fu bandito e fuorileggefinché visse sulla terra,cortesia com’egli usava

mai fu vista in Inghilterra.(dalla “Piccola canzone di Robin Hood”)

Nel labiriNto della Storia

Tre storici scozzesi che vissero fra il Medioevo e il Rinascimento tramandano ognuno la propria versione. Robin Hood sarebbe stato rispettivamente: un bandito «di gran reputazione» che con un tal Little John infestò i territori di

«LA SToRIA MAI RAC-ConTATA dI CoME quEST’uoMo è diven-

tato una leggenda». Mai raccon-tata... beh, insomma. Comunque Ridley Scott e Russell Crowe ci riprovano: il loro kolossal Robin Hood arriverà nelle sale america-ne nei prossimi mesi.

A giudicare dal trailer, dal-le prime immagini e dai testi di presentazione, il regista Scott e Russell Crowe nel ruolo dell’eroe promettono una versione dark della leggenda: cupe foreste, cie-li di piombo, scene di scontri e battaglie che quanto a violenza lasceranno ben poco all’imma-ginazione… non mancheranno il dispotico sceriffo di nottingham né lady Marion (Cate Blanchett). E lui, Robin, sarà ovviamente animato «dallo spirito d’avventu-ra e dalla voglia di giustizia», di-venterà «un simbolo di libertà per la sua gente» ecc. ecc.

Ma anche l’allegra compagnia della foresta potrebbe essere ben poco allegra, perché «Robin radu-na una banda di seguaci le cui le-tali abilità mercenarie sono egua-gliate solo dalla fame di vita». Parola di sito ufficiale.

In una parola, il Robin Hood della ditta Scott & Crowe si an-nuncia come una storia discre-tamente adatta ai nostri tempi. Tempi di incertezze (come dire?) etiche, di sicurezze in crisi e, in

Russell Crowe nell'ultimo film su Robin Hood, diretto da Ridley Scott, prossimamente in uscita nei cinema americani

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Costume

16 - IL CENACOLO 3/2010

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del suo datore di lavoro, l’abate di Cirencester. Alla metà del ‘300 un altro ancora finisce in carcere per i crimini commessi nella fore-

sta di Rockingham. E sempre nel ‘300 c’è un tal Robin Hood di Wa-kefield, probabilmente coinvolto in una ribellione e poi, si crede-

va, perdonato da re Edoardo II (ma alla fine si è scoperto che la seconda parte della storia non ha fondamento).

Robin Hood a Sherwood stava,coperto e incappucciato,

calzato e stivalato,e ventiquattro frecce in mano si portava. (Frammento su un codice

del tardo medioevo)

Quello StraNo SigNor “robehod”

Piuttosto, dagli archivi dell’età di mezzo salta fuori a sorpresa anche un altro nome, o meglio cognome: Robinhood, tutto at-taccato, con varianti molto simili. Chi si è dato la briga di schedare otto persone con questo bizzarro family name ha fatto una scoperta sconcertante: cinque di loro era-no banditi di professione. uno, William Smith detto William Ro-behod, alla metà del ‘200 coman-dava una banda di briganti, tre uomini e due donne. Alla metà del ‘200: questo significa che già a quell’epoca, ben prima della fissa-zione delle ballate più antiche che conosciamo, Robin Hood era un soprannome di bandito. non un bandito preciso da stanare in una determinata regione e in una de-terminata foresta, ma il Bandito. Vale a dire, già una leggenda!

questo porta acqua al mulino di vari folkloristi, mitologi e an-tropologi, secondo i quali Robin Hood non è mai esistito, ma è un po’ il “logo” di un mito, un’eredità di antiche credenze germaniche e scandinave, l’ultima incarnazio-ne di misteriose divinità incap-pucciate (hood significa appunto cappuccio) o di guizzanti spiriti della foresta (hood non è molto diverso da wood, bosco), oppure la “maschera” dell’uomo verde che impersonava la rinascita della primavera, o l’archetipo dell’eroe che sfugge le regole sociali…

Castelli in aria e ipotesi in li-bertà non mancano, come quelle avanzate dell’antropologa Mar-garet Murray: per lei il vecchio Robin era una versione di un fantomatico “dio delle streghe”. E tuttavia, come scrive l’anglista nicoletta Gruppi, curatrice di un’insuperata edizione italiana de Le ballate di Robin Hood uscita da Einaudi del 1991 (e alla quale questo articolo deve gratitudine), «è senz’altro vero che nella storia di Robin Hood affiorano a tratti le ombre di una struttura narrati-

va molto arcaica: ci sono dei con-ti che non tornano, dei momenti che sembrano vagamente allude-re a una dimensione rituale».

Ad esempio in una delle balla-te più antiche, La morte di Robin Hood, l’eroe perde la vita per un dissanguamento inquietante e “sacrificale”. In un’altra ballata “nera” del ciclo, Robin affronta un micidiale duello con un tetro “cacciatore di taglie” vestito con una pelle di cavallo. ne esce vin-citore per un pelo e, dopo aver ucciso l’avversario e dopo avergli tagliato la testa, indossa il suo manto cavallino. «C’è di che far fischiare le orecchie ad antropo-logi molto più cauti di Margaret Murray».

A dire il vero, osserva ancora nicoletta Gruppi, in un giorno lontano un bandito inglese in carne e ossa e con il fiuto per il marketing avrebbe sempre potu-to darsi lo pseudonimo di “Robin del Bosco” o “del Cappuccio”, uno pseudonimo che, lo abbiamo vi-sto, doveva essere non poco sugge-stivo... Però il mistero dell’origine di Robin Hood rimane irrisolto, mito o leggenda che sia.

E Robin Hood disse: “Io sono quell’arciere

che vestirà a lutto le mogli.Rimpiante saranno

le vostre parole:il segno di certo non cogli”.(dalla ballata “Robin Hood andò

a Nottingham”)

uN eroe per la NoStra foreSta

oggi ci resta qualche fram-mento di pochi versi, un pugno di ruspanti ballate medievali quasi intere, un bel po’ di ballate suc-cessive e poi, naturalmente, tutto il resto, da Errol Flynn a Kevin Costner, da Mel Brooks a Russell Crowe... Senza dimenticare quello che rimane tutt’ora, forse, il film d’animazione più bello, sorriden-te e avventuroso del XX secolo: il Robin Hood della Walt disney (1973), dove a vestire i verdi panni di Robin era una giovane volpe.

Ma una cosa è certa: il curricu-lum di Robin Hood è sfaccettato e spettacolare fin dalle ballate più antiche. La Gruppi dice che non si sa mai bene «che cosa farà».

Bandito di strada e in foresta con i suoi allegri compagni, cerca av-venture ed è devoto alla Vergine. Compie incursioni nella città del nemico, tira d’arco sul campo di battaglia e nei tornei. Intrattiene ospiti a cena come un signore, è tutt’altro che infallibile e invinci-bile, ma sa anche perdere spor-tivamente. Il ciclo di ballate non nasconde nemmeno il volto più saturnino del brigante di Sherwo-od, segnato dalla testardaggine e, a volte, da un’incredibile crudel-tà. Ma c’è dell’altro: «Fino a che l’‘800 non nobilitò le sue motiva-zioni, introducendo il tema della ribellione anglosassone al giogo normanno, tutti sapevano molto bene qual era stata, in realtà, “la prima impresa di Robin Hood”. L’esplosione della follia omicida in un ragazzo insicuro, raccontata senza reticenze nella ballata “Ro-bin Hood andò a nottingham”, ri-verbera sull’intera leggenda una luce sinistra». In questa ballata un Robin di appena 15 anni si vanta della sua abilità con arco e frecce e ne dà prova, ma viene deriso e umiliato da un gruppo di guardacaccia: li ucciderà a uno a uno con la sua mira infallibile.

Eppure, alla fine, il vero “segno particolare” del bandito più fa-moso d’Europa è un altro. «C’era una volta un “famoso assassino” che si sforzò di diventare qual-cun altro, di darsi delle regole, di sottrarre la propria vita a una dimensione negativa apparente-mente ineluttabile – tira le som-me nicoletta Gruppi –. È questo continuo conflitto fra un vivere degradato e il bisogno di dignità che per sette secoli ha indotto la gente a interessarsi a una banda di ladri. naturalmente le tecniche per uccidere sono cambiate, ma tutti noi sappiamo perfettamen-te che la foresta di Robin Hood è ancora la nostra foresta». E molto probabilmente anche la foresta di Russell Crowe.

Giovanni Godio

E così lo sceriffo, il vasaio e il bandito finiron nel bosco la storia.Che di Robin Iddio

possa aver compassionee ogni prode ricevere gloria.

(dalla ballata “Robin Hood e il vasaio”)

E oggi abbiamo Robin Obama…«Robin Hood? È una creatura dei media». La pensa così Thomas Hahn, 63 anni, americano e pro-

fessore di Letteratura inglese all’Università di Rochester (Stato di New York), dove nel 1997 ha

organizzato il primo convegno dell’International Association for Robin Hood Studies. Professor Hahn, come e perché ha iniziato a occuparsi di Robin Hood?«Robin Hood abita in quel “territorio” che deve essere coperto da chiunque prenda un dottorato di

ricerca in Letteratura medievale. Ciò che è cambiato negli ultimi 30 anni, e specialmente negli ultimi

10, è che Robin Hood, da prevedibile eroe popolare celebrato da secoli di poesia, si è trasformato in

una creatura mutevole, le cui varie forme ci dicono molto sugli interessi popolari e i conflitti in un dato

momento culturale». Insomma, ad ognuno il suo Robin Hood… Può farci un paio di esempi?«Nelle storie più antiche, Robin a volte è un benefattore che aiuta la povera gente, ma più spesso

è un violento fuorilegge, mosso da capricci improvvisi e che ricorre volentieri all’aggressione fine a

se stessa. Non sappiamo bene se questi due diversi aspetti del bandito erano apprezzati da gruppi

differenti oppure se piacevano al medesimo pubblico. Per quanto riguarda le contraddizioni di que-

sta figura nel mondo d’oggi, in particolare negli Stati Uniti, la più interessante è forse quella legata

a un’appropriazione politica di Robin Hood: mi riferisco all’immagine di “Robin Hood Obama”, visto

ora come un eroe di sinistra che vuole ridistribuire la ricchezza per mezzo della sua riforma sanitaria e di “pacchetti” per stimolare l’economia, ora come un “fuorilegge di sinistra” fallito, che vuole lasciare ai gran-di papaveri della finanza i soldi che hanno rubato alla gente con le loro speculazioni».

Da noi di Obama si parla molto e spesso, ma questa è abbastanza nuova…

«Il fatto è che questa forma di appropriazione appa-re sui “media” più disparati: dai bottoni agli adesivi per paraurti, dalle bobble head dolls (le statuette-caricatu-ra con la testa mobile, ndr) a internet, ecc.».

Si è già fatto un’idea di come sarà il film Robin Hood di Ridley Scott e Russell Crowe, che uscirà a maggio nel vostro Paese?

«A quanto pare replicherà la contraddizione che si è inaugurata con Douglas Fairbanks nel 1922 (già allora protagonista di un Robin Hood kolossal, ndr): avremo cioè la celebrazione di un eroe di popolo in una pelli-cola sulla quale i produttori investiranno fiumi di dollari, contando su un redditizio successo al botteghino. Da un lato, per quello che abbiamo potuto vedere, il nuovo Robin Hood si preannuncia come un film molto “medie-vale”, violento, virile, tutt’altro che hi-tech nel suo arma-mentario guerresco, ma dall’altro lo schieramento di star e di sceneggiatori coinvolti nella produzione potrebbe renderlo persino un po’ troppo sofisticato e patinato».

Lei si occupa di come la gente vede Robin Hood. Ma per Thomas Hahn chi è il bandito più famoso

d’Occidente? Una persona che è diventata leggenda, oppure un mito che è diventato persona? «Io sono dell'idea che nessun individuo – né tanto meno un eroe locale – possa fare abbastanza,

nel tempo di una vita, per generare narrazioni così numerose e spettacolari. La figura di questo fuori-

legge (resistente, anarchico o burlone, comunque si dipinga il suo rifiuto della società) è diventata un

utile contenitore per la creazione di storie appaganti che riguardano non solo il raddrizzamento dei

torti o il sostegno alla monarchia, ma anche l’incontro duro, fisico, tra uomo e uomo, in una maniera

in fondo analoga all’odierno wrestling internazionale e mediatico. I tanti volti di Robin Hood, combat-

tente per la libertà, luogotenente del re, uccel di bosco, organizzatore di burle, tagliagole, virtuoso

combattente per la giusta causa, non possono che confermarlo: è impossibile ancorare la sua fama a

una persona in particolare. Dal suo debutto fino ad oggi, è una creatura dei media, le cui mille forme

sgomitano fra loro in una sorta di mito a maglie larghe». n

Thomas Hahn, docente all’Università di Rochester, con un'immagine di Robin Hood dipinta nell’800 su un vetrino e fatta per essere proiettata con l'ausilio di una fonte luminosa

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