Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva · l˜autoregolazione, la memoria, le...

51
David Mitchell Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva Le strategie basate sull’evidenza Edizione italiana a cura di A. Morganti

Transcript of Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva · l˜autoregolazione, la memoria, le...

Page 1: Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva · l˜autoregolazione, la memoria, le emozioni, il comportamento, la valutazione e il feedback formativi e le tecnologie

David Mitchell

Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusivaLe strategie basate sull’evidenzaEdizione italiana a cura di A. Morganti

Cod

uri

Cos

a fun

zion

a rea

lmen

te n

ella

di

datt

ica s

peci

ale e

incl

usiv

aM

itche

llSintetizzando una vastissima letteratura di ricerca, David Mitchell, uno degli autori più accreditati nel campo, fa il punto su cosa realmente funziona nella didattica speciale e inclusiva individuando strategie di provata alta efficacia per l’insegnamento ad alunni e studenti con bisogni educativi speciali — e a tutti i discenti. Per ognuna di esse indica i fondamenti teorici, i modi e gli strumenti per applicarle con-cretamente, le evidenze sugli effetti positivi e le cautele da adottare nel loro utilizzo.Le strategie riguardano l’ambiente di apprendimento (gruppi co-operativi, tutoring, clima di classe, contesto fisico), la cognizione, l’autoregolazione, la memoria, le emozioni, il comportamento, la valutazione e il feedback formativi e le tecnologie assistive.L’obiettivo è aiutare chi opera in educazione — insegnanti, dirigenti scolastici, pedagogisti, educatori, ecc. — a fondare principalmente la propria attività professionale su accurate evidenze scientifiche e non sul fatto che si è sempre agito in un certo modo o sull’adesione a proposte apparentemente innovative e interessanti ma non supportate da evidenze di efficacia.

David MitchellDavid Mitchell è professore a contratto al College of Education, Università di Canterbury (Nuova Zelanda) e consulente per l’educazione inclusiva.

€ 23,50

Page 2: Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva · l˜autoregolazione, la memoria, le emozioni, il comportamento, la valutazione e il feedback formativi e le tecnologie

David Mitchell

Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusivaLe strategie basate sull’evidenzaEdizione italiana a cura di A. Morganti

Cod

uri

Cos

a fun

zion

a rea

lmen

te n

ella

di

datt

ica s

peci

ale e

incl

usiv

aM

itche

llSintetizzando una vastissima letteratura di ricerca, David Mitchell, uno degli autori più accreditati nel campo, fa il punto su cosa realmente funziona nella didattica speciale e inclusiva individuando strategie di provata alta efficacia per l’insegnamento ad alunni e studenti con bisogni educativi speciali — e a tutti i discenti. Per ognuna di esse indica i fondamenti teorici, i modi e gli strumenti per applicarle con-cretamente, le evidenze sugli effetti positivi e le cautele da adottare nel loro utilizzo.Le strategie riguardano l’ambiente di apprendimento (gruppi co-operativi, tutoring, clima di classe, contesto fisico), la cognizione, l’autoregolazione, la memoria, le emozioni, il comportamento, la valutazione e il feedback formativi e le tecnologie assistive.L’obiettivo è aiutare chi opera in educazione — insegnanti, dirigenti scolastici, pedagogisti, educatori, ecc. — a fondare principalmente la propria attività professionale su accurate evidenze scientifiche e non sul fatto che si è sempre agito in un certo modo o sull’adesione a proposte apparentemente innovative e interessanti ma non supportate da evidenze di efficacia.

David MitchellDavid Mitchell è professore a contratto al College of Education, Università di Canterbury (Nuova Zelanda) e consulente per l’educazione inclusiva.

€ 23,50

Page 3: Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva · l˜autoregolazione, la memoria, le emozioni, il comportamento, la valutazione e il feedback formativi e le tecnologie

I n d i c e

9 Introduzione all’edizione italiana (di Lucio Cottini)

29 Intervista a David Mitchell (a cura di Annalisa Morganti)

43 Prefazione

49 CAP. 1 Introduzione

69 CAP. 2 Un modello di apprendimento e insegnamento

89 CAP. 3 Strategia 1: didattica in gruppi cooperativi

103 CAP. 4 Strategia 2: peer tutoring e ruolo dei pari

115 CAP. 5 Strategia 3: insegnare le abilità sociali

129 CAP. 6 Strategia 4: collaborare

139 CAP. 7 Strategia 5: coinvolgere e sostenere i genitori

157 CAP. 8 Strategia 6: insegnare strategie cognitive

171 CAP. 9 Strategia 7: apprendimento autoregolato

183 CAP. 10 Strategia 8: strategie di memoria

197 CAP. 11 Strategia 9: ripassare e fare esercizio

207 CAP. 12 Strategia 10: insegnamento reciproco di strategie per la comprensione del testo

217 CAP. 13 Strategia 11: approcci comportamentali

231 CAP. 14 Strategia 12: analisi funzionale del comportamento

241 CAP. 15 Strategia 13: terapia cognitivo-comportamentale

255 CAP. 16 Strategia 14: Direct Instruction

267 CAP. 17 Strategia 15: valutazione e feedback formativi

277 CAP. 18 Strategia 16: tecnologie assistive

289 CAP. 19 Strategia 17: Comunicazione Aumentativa e Alternativa

Page 4: Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva · l˜autoregolazione, la memoria, le emozioni, il comportamento, la valutazione e il feedback formativi e le tecnologie

303 CAP. 20 Strategia 18: consapevolezza fonologica ed elaborazione fonologica

313 CAP. 21 Strategia 19: qualità dell’ambiente fisico interno

329 CAP. 22 Strategia 20: Universal Design for Learning

337 CAP. 23 Strategia 21: Response to Intervention

347 CAP. 24 Strategia 22: clima della classe

363 CAP. 25 Strategia 23: strategie che coinvolgono tutta la scuola

387 CAP. 26 Strategia 24: cooperazione tra i servizi

401 CAP. 27 Strategia 25: educazione inclusiva

423 CAP. 28 Strategia 26: studio di caso – il sistema di istruzione finlandese

435 CAP. 29 Strategia 27: opportunità di apprendimento

447 Ringraziamenti

449 Postfazione all’edizione italiana (di Antonio Calvani)

453 Approfondimenti per il lettore italiano

Page 5: Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva · l˜autoregolazione, la memoria, le emozioni, il comportamento, la valutazione e il feedback formativi e le tecnologie

Introduzione all’edizione italianaLe evidenze, le strategie e l’inclusione scolastica

Lucio Cottini (Università degli Studi di Udine)

What really works in special and inclusive education?Il titolo dell’edizione originale del lavoro di Mitchell, articolato in forma

di domanda, contribuisce a orientare lo sguardo verso un elemento centrale, relativo alla ricerca di riscontri a sostegno delle didattiche che vengono ap-plicate ogni giorno, il quale dovrebbe appassionare non solo il ricercatore o l’accademico, ma anche, anzi soprattutto, chi opera direttamente nella scuola, con particolare riferimento agli insegnanti e ai dirigenti.

Questi, infatti, per promuovere le loro prestazioni, sono chiamati ad attin-gere dai «migliori studi disponibili nell’organizzare, nell’attuare e nel valutare il loro insegnamento» (p. 49).

In considerazione di ciò, il dibattito sull’educazione sostenuta dalle evi-denze, conosciuta come Evidence Based Education (EBE), sta assumendo un ruolo sempre più rilevante a livello internazionale, e molto opportunamente la casa editrice Erickson pubblica ora la versione italiana del lavoro di Mitchell sull’educazione speciale, dopo aver proposto il fondamentale lavoro di Hattie sul cosiddetto «apprendimento visibile» (Hattie, 2012).

In questa introduzione, mi soffermo su due elementi che ritengo fon-damentali per inquadrare opportunamente il contributo di Mitchell e per apprezzarne per intero la ricchezza e la profondità:

Page 6: Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva · l˜autoregolazione, la memoria, le emozioni, il comportamento, la valutazione e il feedback formativi e le tecnologie

10 Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva

1. il significato del concetto di evidenza applicato all’educazione speciale e le metodologie di ricerca utilizzabili al fine di produrre una base di conoscenza utile e affidabile per avvalorare come efficaci delle procedure didattiche;

2. l’inquadramento delle strategie considerate all’interno del volume nella pro-spettiva dell’inclusione, che rappresenta l’obiettivo centrale della pedagogia e della didattica speciale, in quanto coniuga la dimensione del riconoscimento della diversità come ricchezza e come valore al perseguimento dell’equità e delle pari opportunità.

In conclusione riassumo alcuni degli elementi che, a mio avviso, quali-ficano il lavoro e che lo rendono fondamentale per avviare al tema dell’EBE coloro che operano all’interno della scuola italiana, chiamati a fare i conti ogni giorno con una complessità sempre crescente e con punti di riferimento metodologici che, in molti casi, sono sostenuti più da convinzioni personali che da un solido ancoraggio sperimentale.

Le evidenze in educazione

Il dibattito sul concetto di evidenza in educazione ha fatto la sua comparsa in maniera decisa nella letteratura pedagogica verso la fine del secolo scorso e si è andato a sviluppare, soprattutto nei Paesi anglosassoni, attraverso contributi di varia natura, non sempre convergenti fra loro. Lo spunto è stato fornito dalla richiesta di avvicinare la ricerca e la pratica educativa a quella medica, vista come un esempio di procedura replicabile fondata su conoscenze condivise e affidabili. A questo orientamento si sono contrapposte posizioni dirette a evidenziare la specificità e complessità dell’ambito educativo, non indagabile attraverso una semplice trasposizione delle metodologie sperimentali usate dalla ricerca clinica.

Non mi soffermo su questo articolato dibattito, rimandando alla letteratura specifica (Hargreaves, 1997; 2007; Zucker, 2004; Hammersley, 2007; Slavin, 2002; 2008; Burton e Chapman, 2004; Biesta, 2007), disponibile anche in lingua italiana (Calvani, 2012; 2015; Vivanet, 2013; Trinchero, 2012; Bonaiuti, 2014; Cottini e Morganti, 2013; 2015).

Va messo in risalto, comunque, che l’obiettivo di fondo condiviso da tutti, al di là delle differenziazioni di approccio, è quello di aiutare chi opera in educazione a fondare la propria professionalità su approcci validati attraverso la ricerca scientifica. A questo proposito, facendo riferimento all’ambito scolasti-co, va evidenziato come gli insegnanti, ma anche i dirigenti e altre figure, siano costantemente chiamati a prendere decisioni e ad assumersi responsabilità di

Page 7: Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva · l˜autoregolazione, la memoria, le emozioni, il comportamento, la valutazione e il feedback formativi e le tecnologie

Introduzione all’edizione italiana 11

tipo organizzativo e didattico, che richiederebbero, data la loro rilevanza, di essere fondate principalmente su accurate evidenze e non soltanto sul fatto che si è sempre agito in quel modo, oppure sull’adesione a proposte apparentemente innovative, che possono magari sembrare interessanti e facili da implementare, anche perché presentate sovente sotto forma di metodo.

Quella del sostegno della ricerca empirica è la prima condizione per costruire un sistema di conoscenze affidabili, da porre a fondamento della validazione di procedure didattiche. A questa si aggiunge la necessità che le stesse facciano da supporto a pratiche replicabili, nel senso che si possa ipotizzare con fondamento che quanto è stato verificato in certe situazioni e contesti, attraverso studi rigorosi, possa essere poi utilizzato in altri con risultati di efficacia simili (Baldacci, 2013).

Una terza condizione da porre a fondamento del concetto di evidenza richiama l’esigenza di una teoria di riferimento che possa spiegare e dare signi-ficato a quanto rilevato sperimentalmente. In concreto, cercare di giustificare dal punto di vista teorico le motivazioni in base alle quali particolari interventi hanno portato a risultati di un certo tipo è fondamentale per la costruzione di un sistema di conoscenze solide a sostegno della prassi, che si presti anche a essere sottoposto a ulteriori ricerche per confermarlo, integrarlo o confutarlo.

L’articolazione del concetto di evidenza e la complessità del contesto scolastico condizionano decisamente la metodologia sperimentale da adottare in un approccio EBE applicato all’educazione speciale per l’inclusione. Basti pensare a quante variabili possono entrare in gioco, alcune assai problemati-che da indagare e isolare, come, ad esempio, la motivazione e l’interesse degli studenti, la preparazione degli insegnanti, le caratteristiche del contesto, il clima della classe, ecc.

La contrapposizione, a questo livello, è fra un orientamento molto rigo-roso, simile a quello adottato in campo medico e fondato sostanzialmente su un modello di ricerca con gruppi selezionati attraverso procedure randomiz-zate (Randomized Controlled Trials, RCT), e uno meno duro, ma comunque sostenuto da criteri di validazione in grado di portare a sistemi di conoscenza affidabili e trasferibili.

Nel primo caso ci si affida a ricerche nelle quali, considerando il modello di base, si prevede un gruppo sperimentale che realizzi un certo intervento educativo, e un gruppo controllo che non lo effettui. I due gruppi, che devono essere costruiti con procedure casuali e risultare equivalenti prima dell’inizio dell’intervento in relazione alle variabili della ricerca, vengono controllati alla conclusione del piano sperimentale per valutare l’entità degli effetti prodotti dall’intervento nel gruppo sperimentale in confronto a quello di controllo. In

Page 8: Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva · l˜autoregolazione, la memoria, le emozioni, il comportamento, la valutazione e il feedback formativi e le tecnologie

12 Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva

sintesi, viene manipolata una variabile indipendente, rappresentata dall’in-tervento educativo, e si controllano gli esiti a livello di variabile dipendente.

Nel secondo orientamento, invece, vengono considerati validi e promossi studi che utilizzano anche ulteriori modelli di ricerca oltre a quello RCT, con particolare riferimento alla metodologia sul soggetto singolo, agli studi sulle correlazioni e ad alcune forme di ricerca qualitativa (Odom et al., 2005). La ricerca sul soggetto singolo prevede di sostituire il numero di soggetti con il numero di misurazioni che vengono effettuate, per monitorare l’evoluzione di competenze e comportamenti nelle fasi di misurazione di base e di applicazione di specifici interventi educativi (Kazdin, 2010; Cottini, 2016).

Ricercare delle correlazioni fra variabili, invece, significa appurare se esistano delle connessioni fra le modalità di variazione di due fenomeni, cioè se gli stessi tendano a modificarsi in maniera associata e con un andamento regolare. In questo caso, quindi, l’obiettivo perseguito non è quello di esami-nare le differenze che si determinano nella variabile dipendente in seguito alla manipolazione di quella indipendente, ma il modo in cui le variabili sono collegate fra loro.

La ricerca qualitativa, nelle sue diverse articolazioni (le più utilizzate in ambito educativo sono il case study, i focus group, la ricerca-azione, le interviste e i questionari), non intende spiegare un fenomeno ma esplorarlo, compren-derlo e interpretarlo.

La scelta di ampliare la visione è legata sia al rigore che possono assumere studi con tali metodologie, quando sviluppati in maniera precisa e controllata, sia alle difficoltà di implementare, nel campo dell’educazione speciale, speri-mentazioni con metodologia RCT. Si pensi, per portare un esempio riferito alla ricerca rivolta a studenti con una particolare situazione di disabilità, alla difficoltà (per non dire impossibilità) connessa alla selezione di campioni omogenei con procedure randomizzate e alle problematiche di natura etica relative ai gruppi di controllo. Come si potrebbe giustificare, infatti, il mancato coinvolgimento di alcuni studenti in un programma educativo ritenuto efficace solo per le esigenze della ricerca? Oltre a ciò, questa metodologia sperimentale potrebbe nascondere, nella valutazione del gruppo, l’effetto dell’intervento sul singolo individuo, che rappresenta, invece, il riferimento di base della ricerca in educazione speciale.

Opportunamente Mitchell, nel suo lavoro, opta in maniera decisa per questo secondo orientamento, ritenendolo più adeguato per la determinazione di evidenze in educazione speciale. Afferma, infatti, di riconoscere per intero il valore degli RCT, ma di riferirsi anche alla ricerca basata su disegni speri-mentali sul soggetto singolo e su studi qualitativi. Oltre a ciò, dichiara di voler

Page 9: Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva · l˜autoregolazione, la memoria, le emozioni, il comportamento, la valutazione e il feedback formativi e le tecnologie

Introduzione all’edizione italiana 13

tenere in considerazione anche studi quasi-sperimentali, intendendo con tale formulazione quelli che possono assumere varie forme, ma che risultano privi di componenti chiave di un RCT, come nel caso dell’analisi delle correlazioni.

Questa scelta di campo lo porta, di fatto, a superare la contrapposizione fra approcci di ricerca quantitativi e qualitativi, che certamente non aiuta nella definizione di un approccio EBE applicato all’educazione speciale. Al contrario, è importante orientarsi sempre più decisamente verso procedure integrate, nelle quali il tentativo di perseguire forme di conoscenza considerando e manipo-lando fattori e variabili, che è tipico degli approcci quantitativi, e l’auspicata comprensione delle ragioni di ogni soggetto in funzione dell’assunzione di decisioni, che contraddistingue gli approcci qualitativi, rappresentano due possibili vie di accesso al reale, da usare in modo interscambiabile o combina-to, in relazione all’obiettivo contingente che il ricercatore si pone. Un sapere realmente valido e attendibile, quindi, può essere ottenuto solo attraverso forme di triangolazione — delle tecniche, dei ricercatori, delle teorie, delle fonti — che permettano di ottenere risultati intersoggettivamente condivisi (Trinchero, 2004).

Tale orientamento va chiaramente ancorato a un approccio operativo pre-ciso e definito, perché la finalità è produrre risultati dotati di validità e significato e questo è possibile solo nel momento in cui, da un lato, si stabilisce una stretta coerenza tra l’obiettivo della ricerca e la strategia utilizzata per raggiungerlo e, dall’altro, si implementa una procedura di lavoro che risponda a precisi dettami tecnico-metodologici, con adeguate modalità di raccolta e di interpretazione dei risultati. Sono stati proposti, a questo riguardo, degli specifici indicatori di qualità da tenere in considerazione relativamente a ciascuna metodologia di ricerca che viene utilizzata (Council for Exceptional Children, 2014; Cottini e Morganti, 2015).

Oltre a fare riferimento a specifici studi sperimentali, per avvalorare le diverse strategie didattiche a livello di efficacia, Mitchell fa ampio uso di meta-analisi.

Si tratta di sintesi quantitative di risultati provenienti da studi indipen-denti, in grado di fornire dati riassuntivi da cui trarre conclusioni molto più significative di quelle che potrebbero essere desunte da ogni singolo studio. In concreto, vengono selezionati gli studi riferiti a un certo argomento, fissando particolari criteri relativi alle metodologie utilizzate, ai soggetti considerati, alla comparabilità dei dati e, eventualmente, ad altri ulteriori elementi. Il parametro che sintetizza tali comparazioni è l’effect size (ES), il quale indica il livello di efficacia medio degli interventi. Per ogni ricerca l’ES si calcola sulla base della differenza dei risultati ottenuti dal gruppo sperimentale in confronto a quello di

Page 10: Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva · l˜autoregolazione, la memoria, le emozioni, il comportamento, la valutazione e il feedback formativi e le tecnologie

14 Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva

controllo, in relazione alla deviazione standard dei gruppi. L’analisi degli effect size provenienti dalle varie ricerche sul medesimo argomento dà origine a una media degli stessi, la quale fornisce un dato significativo di efficacia. In altre parole, un ES negativo indica che si è avuto un peggioramento, valori intorno allo 0 non evidenziano effetti, mentre punteggi positivi stanno a rappresentare un miglioramento. Mitchell, in accordo con Hattie (2012), per ogni strategia considera un’evidenza di efficacia «convincente» quando l’ES è di 0.7 o superiore e «buona» quando lo stesso parametro è compreso fra 0.4 e 0.7.

Le strategie in prospettiva inclusiva

Il lavoro di Mitchell si fonda sull’analisi di 27 strategie di insegnamento riferite direttamente o indirettamente all’educazione speciale. Di ognuna di esse viene presentato l’impianto teorico, inquadrandolo anche alla luce di un modello di insegnamento-apprendimento che descrive le funzioni e i processi, personali e sociali, che intervengono in ogni situazione didattica. Inoltre, ciascuna strategia viene esaminata dal punto di vista pratico, con l’illustrazione dettagliata delle modalità di utilizzo nel contesto scolastico, e vengono presentate le principali ricerche che forniscono evidenze in grado di avvalorarne l’efficacia.

Questa operazione porta poi Mitchell ad attribuire a ogni strategia un giudizio attraverso il conferimento di stelle, fino a un massimo di quattro.

Già da questa presentazione dell’impianto su cui si fonda il libro, se ne comprende l’ampiezza, l’articolazione e l’estrema utilità per chiunque voglia confrontarsi con l’educazione speciale nell’ottica dell’EBE.

Un’ulteriore ricchezza del lavoro deriva, a mio avviso, dalla scelta delle 27 strategie, che si connettono in un quadro integrato e organico non soltanto alla luce del modello di insegnamento-apprendimento descritto da Mitchell, ma anche nella prospettiva dell’inclusione, che, come già detto, rappresenta la dimensione centrale per la scuola delle differenze, dell’equità e delle pari opportunità.

Sviluppando più nel concreto questa affermazione, mi rifaccio a un recente lavoro (Cottini, 2017) nel quale ho preso in considerazione la didattica inclusiva da diversi punti di vista, considerandola su 4 piani: dei principi, organizzativo, metodologico-didattico e dell’evidenza empirica. Restando ancorato al piano organizzativo e a quello più prettamente didattico, mi sembra che le strategie analizzate da Mitchell si inseriscano perfettamente nel modello di riferimento che presento nella figura A.

Page 11: Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva · l˜autoregolazione, la memoria, le emozioni, il comportamento, la valutazione e il feedback formativi e le tecnologie

Introduzione all’edizione italiana 15

Fig. A Piano organizzativo e metodologico-didattico dell’inclusione (Cottini, 2017).

Strategie cooperative

Clima e gestione della classe

Strategie cognitive e

metacognitive

Strategie d’intervento sui bisogni speciali

degli allievi

Educazione socio-emozionale

e prosociale

Piano organizzativo

Piano metodologico- didattico

In estrema sintesi, il piano organizzativo fa riferimento all’interazione e al coordinamento fra i diversi attori che entrano in gioco, sia interni che esterni alla scuola. Tutte le norme e i testi di riferimento pedagogico e didattico ne parlano e ne sottolineano l’importanza, anche se, nella pratica, non sempre queste alleanze si concretizzano e si sviluppano nella maniera più adeguata.

Il coordinamento si gioca, prima di tutto, nella progettualità riferita al contesto classe, che viene sviluppata all’interno del team docenti o del consiglio di classe e che riguarda la condivisione dell’approccio didattico, delle proce-dure di valutazione, del setting organizzativo (orari, monte ore disciplinare, organizzazione degli spazi, ecc.), della progettazione di curricoli inclusivi.

Un ulteriore livello organizzativo si concretizza nell’ambito degli organi collegiali e dei gruppi di lavoro, ai quali sono demandati, tra gli altri, compiti specificamente orientati alla predisposizione del Piano dell’Offerta Formativa e del Piano Annuale per l’Inclusività.

Oltre a questo coordinamento più interno all’istituzione scolastica, non va dimenticato che la costruzione di contesti inclusivi può avvenire solo at-

Page 12: Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva · l˜autoregolazione, la memoria, le emozioni, il comportamento, la valutazione e il feedback formativi e le tecnologie

16 Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva

traverso un lavoro di rete, cioè un coinvolgimento integrato delle famiglie e di tutte le istituzioni interessate.

Venendo al piano che ho definito metodologico-didattico, l’attenzione si concentra sulla necessità di far riferimento a procedure didattiche sostenute da buone prove di efficacia, le quali debbono promuovere il ruolo attivo di ogni studente, facilitando la partecipazione di tutti, oltre a stimolare rapporti interattivi e di supporto reciproco.

Come si può notare dalla schematizzazione della figura A, ritengo sia possibile individuare 5 linee di lavoro, le quali sono tra loro chiaramente integrate e riferite agli specifici argomenti del curricolo. Con questo vo-glio enfatizzare il fatto che la didattica inclusiva non è rappresentata da un insieme di contenuti specifici, ma si caratterizza per un orientamento metodologico, uno stile operativo da adottare nella prassi quotidiana: non si tratta, in altre parole, di dedicare uno spazio del curricolo ai temi della didattica inclusiva, ma di gestire tutti i curricoli disciplinari, opportuna-mente adattati, con un approccio che faciliti la partecipazione e il successo formativo di ogni studente.

Le 5 linee di lavoro si riferiscono a:• la costruzione di un clima adeguato nella classe, intesa come l’atmosfera che

caratterizza il contesto didattico e che incide in maniera importante sulla qualità dell’apprendimento di tutti gli studenti. Si tratta di quell’insieme di atteggiamenti, relazioni e comportamenti che contraddistinguono lo stare insieme e operare in uno spazio condiviso da parte di studenti e insegnanti (Ianes, 2005; D’Alonzo, 2012);

• l’utilizzo di strategie cooperative, le quali enfatizzano il ruolo che possono assumere le interazioni tra compagni per favorire apprendimenti, anche con studenti che presentano bisogni educativi speciali. Le principali strategie che si fondano su tali principi sono l’insegnamento fra pari (peer tutoring) e l’apprendimento cooperativo (cooperative learning);

• il riferimento a strategie cognitive e metacognitive, che si rivolgono a insegnare come si apprende, basandosi sul potenziamento delle funzioni cognitive e sulla consapevolezza dello studente. Sono da includere in tale gruppo pro-cedure come l’autoregolazione, le strategie di memorizzazione, la didattica metacognitiva, il potenziamento delle funzioni esecutive;

• l’attenzione da riservare all’educazione socio-emozionale e prosociale, per pro-muovere negli alunni la capacità di conoscere e controllare le proprie emo-zioni, di gestire le relazioni interpersonali, di leggere i bisogni degli altri e di mettere in atto condotte di aiuto. Tutto questo è alla base della possibilità di dare inizio a una reciprocità positiva e solidale nelle relazioni interpersonali,

Page 13: Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva · l˜autoregolazione, la memoria, le emozioni, il comportamento, la valutazione e il feedback formativi e le tecnologie

Introduzione all’edizione italiana 17

salvaguardando l’identità, la creatività e l’iniziativa delle persone o dei gruppi coinvolti (Morganti e Bocci, 2017);

• la necessità di considerare i bisogni speciali degli studenti attraverso strategie didattiche rivolte direttamente a loro. Non si tratta, chiaramente, di una semplice richiesta di interventi indirizzati al singolo studente, magari con disabilità grave, da promuovere con un rapporto uno a uno, ma della necessaria sottolineatura dell’esigenza di individualizzazione, ricercata pure in contesti collettivi, in un piccolo gruppo, nelle esperienze di tutoring, ecc.

Come detto, le strategie proposte da Mitchell si inseriscono in questo quadro e concorrono a comporre un puzzle operativo che presenta in primo piano la dimensione connettiva dell’inclusione.

In concreto, il piano organizzativo viene sviluppato in maniera specifica nelle Strategie numero 4, 5, 19, 23, 24 e 25.

La Strategia 4, denominata Collaborare, enfatizza l’esigenza di un lavoro congiunto e integrato fra insegnanti, genitori e altre figure specializzate, per affrontare un compito complesso come quello educativo, condividendo le competenze e le responsabilità. Mitchell sollecita gli insegnanti a non essere dei solisti, ma a trasformarsi in componenti di un’orchestra: anzi, proprio in quanto insegnanti, li invita a «essere direttori d’orchestra» (p. 136).

L’importanza della cooperazione tra servizi diversi viene ripresa anche nella Strategia 24, che sollecita a pensare in rete quando si programmano dei servizi per le persone, in una visione integrata che connetta la dimensione educativa a quella clinica e riabilitativa e a quella più prettamente sociale.

Sempre su questa linea, la Strategia 5 si indirizza a presentare le forme per coinvolgere e sostenere i genitori, i quali, per svolgere adeguatamente il proprio ruolo anche all’interno dell’équipe di riferimento dei propri figli, hanno bisogno di essere supportati e aiutati attraverso percorsi di parent training e counselling.

La Strategia 23 propone il concetto di school-wide, scuola intera, riferito a programmi che coinvolgono tutti gli attori presenti nel contesto scolastico e non solo quelli che operano all’interno delle singole classi. Mitchell propone tre esemplificazioni molto significative di questo approccio, dedicate rispettiva-mente alla costruzione di un sistema di valori, credenze e atteggiamenti comuni tra i membri della comunità (una cultura della scuola condivisa); alla gestione, sempre collegiale, di problemi comportamentali; alla promozione del successo per tutti (Success for All), nel senso che, specie nei primi livelli di istruzione, vanno assolutamente orientate tutte le risorse disponibili, organizzative e metodo-logiche, affinché nessuno resti indietro nella costruzione delle abilità di base.

Come la qualità dell’ambiente fisico della scuola e della classe possa in-fluenzare l’apprendimento degli studenti viene analizzato nella Strategia 19,

Page 14: Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva · l˜autoregolazione, la memoria, le emozioni, il comportamento, la valutazione e il feedback formativi e le tecnologie

18 Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva

la quale evidenzia l’importanza di condizioni come gli arredi, l’acustica, le luci, la temperatura, la qualità dell’aria. Purtroppo a questi elementi, la cui significatività è ormai sostenuta da numerose prove, non viene attribuita nel nostro Paese la centralità che meritano, e non solo per questioni di natura prettamente economica.

Con la Strategia 20 il piano organizzativo dell’inclusione viene orientato all’adattamento dei curricoli educativi, attraverso l’approccio denominato Uni-versal Design for Learning. Si tratta di prevedere degli adattamenti ai curricoli didattici senza modificarne i contenuti, in modo che gli stessi, da un lato, risul-tino maggiormente rispondenti alle esigenze dei singoli studenti che possono presentare delle esigenze particolari e, dall’altro, finiscano per costituire delle opportunità per tutti.

Anche in riferimento al piano metodologico-didattico, le strategie proposte nel volume di Mitchell si indirizzano su tutte le cinque linee di lavoro che ho individuato.

Alla costruzione di un adeguato clima della classe, che possa facilitare i pro-cessi di apprendimento, è dedicata la Strategia 22. A questo livello l’attenzione viene indirizzata su tre aspetti principali: le relazioni che si attivano in classe; la misura in cui vengono facilitate la crescita e il miglioramento personale; la gestione della classe, con gli insegnanti chiamati a manifestare elevate aspet-tative sul successo dei loro studenti e a far riferimento a un sistema di regole chiare e condivise, che devono essere rispettate da tutti.

Le dinamiche collaborative sono prese in considerazione direttamente nelle Strategie 1 e 2 e vengono richiamate in molti altri approcci metodologici.

La Strategia 1 si concentra sull’apprendimento cooperativo (cooperative learning), durante il quale gli studenti lavorano insieme in piccoli gruppi e si aiutano vicendevolmente a portare avanti compiti condivisi, assumendo uno specifico ruolo. Si tratta di un approccio importante per la finalità di costru-ire una scuola sempre più inclusiva, in quanto, da un lato, può creare delle condizioni favorevoli all’apprendimento e, dall’altro, concorrere a rendere i compagni maggiormente disponibili all’accettazione e all’aiuto. Infatti, tutti gli studenti, anche quelli in situazione di disabilità o con altri bisogni educativi speciali, chiamati a ricoprire vari ruoli, ora più attivi ora meno, sono facilitati attraverso un contesto estremamente ecologico e non artificiale a progredire nei propri livelli di apprendimento per raggiungere obiettivi comuni agli altri partecipanti al piccolo gruppo.

Coinvolgere i compagni per insegnare e darsi sostegno reciproco è al centro pure della strategia del peer tutoring (Strategia 2), anch’essa molto potente per accrescere l’efficacia complessiva dell’insegnamento nelle classi

Page 15: Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva · l˜autoregolazione, la memoria, le emozioni, il comportamento, la valutazione e il feedback formativi e le tecnologie

Introduzione all’edizione italiana 19

inclusive. Consiste nel coinvolgimento di studenti con funzione di tutor, per favorire l’apprendimento dei compagni, i quali, in questo modo, vengono ad assumere il ruolo di tutee. Possiamo parlare di applicazione della strategia quando il passaggio di competenze tra tutor e tutee avviene all’interno di un piano didattico ben strutturato, che prevede obiettivi, tempi, modi, ruoli e materiali adeguati. Questo trasferimento di competenze non va interpretato in maniera unidirezionale, da tutor a tutee, nel senso che l’interazione e le condotte di sostegno portano benefici anche a chi aiuta, dal punto di vista sia sociale sia cognitivo.

Le strategie cognitive e metacognitive consistono in percorsi didattici per favorire l’acquisizione di conoscenze, abilità e competenze, supportando gli studenti nell’organizzazione delle informazioni, così da ridurne la complessità, e nel collegamento delle stesse con quanto già padroneggiato. Nel lavoro di Mitchell questi principi sono espressi a livello generale nella Strategia 6 e con applicazioni specifiche nelle Strategie 7, 8 e 10.

L’insegnamento di strategie cognitive (Strategia 6) si riferisce alle modalità di supporto agli studenti nel momento in cui sono chiamati a sviluppare ap-prendimenti in tutti gli ambiti curricolari, facilitando l’impiego efficace delle risorse cognitive personali, insieme a una riflessione sulle procedure messe in atto e sull’utilità delle stesse. La maggior parte degli individui sviluppa efficienti ed efficaci abilità cognitive attraverso la loro esperienza di vita, con insegnamenti minimi relativi al come muoversi sui processi di apprendimen-to. Altri, invece, non appaiono capaci di impiegare strategie significative, in grado di supportarli nei processi di apprendimento, perché non conoscono le procedure da utilizzare e pertanto non sono nelle condizioni di servirsene spontaneamente, oppure perché tendono a fare uso di quelle poco adeguate.

La Strategia 7 si riferisce all’autoregolazione cognitiva e considera gli aiuti che vengono forniti agli studenti per definire i propri obiettivi, controllare il proprio comportamento, prendere decisioni e fare scelte che portino al rag-giungimento delle finalità personali. Si tratta, in concreto, di rendere gli alunni maggiormente autonomi nella gestione del loro processo di apprendimento; capaci, cioè, di orientarsi in modo pertinente sulle modalità migliori per af-frontare un compito. Le procedure principali per favorire l’autoregolazione nell’apprendimento sono l’autoistruzione e l’automonitoraggio.

Il potenziamento della memoria, considerata nella Strategia 8, è una di quelle procedure che hanno avuto un punteggio di efficacia più alto nelle ricerche e nelle meta-analisi citate da Mitchell. Si riferisce alla promozione della capacità di utilizzare specifiche strategie di memoria per facilitare l’ac-quisizione e il recupero di informazioni di vario tipo. Su questo argomento

Page 16: Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva · l˜autoregolazione, la memoria, le emozioni, il comportamento, la valutazione e il feedback formativi e le tecnologie

20 Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva

ho avuto modo recentemente di proporre un curricolo educativo specifico, con molte esercitazioni rivolte a studenti con bisogni speciali in contesti fortemente inclusivi (Cottini, 2015).

La strategia dell’insegnamento reciproco (Strategia 10) si indirizza in ma-niera specifica a migliorare la comprensione del testo nella lettura, attraverso un’interazione tra l’insegnante e i suoi studenti che prevede una progressiva attenuazione del ruolo del docente a favore di un’assunzione di responsabilità da parte degli studenti, i quali cooperano fra loro fino a quando non riescano ad autoregolarsi. Si tratta di una procedura nota come scaffolding, che richiama una sorta di impalcatura, un supporto temporaneo che può essere rimosso quando non è più necessario.

L’educazione socio-emozionale e prosociale, pur non essendo trattata in uno specifico capitolo, viene sviluppata all’interno di varie strategie, mostrando come la creazione di un clima positivo, la possibilità di stabilire adeguate relazio-ni e collaborazioni all’interno e fuori della classe e la disponibilità nei confronti degli altri dipendano anche dall’adeguata gestione della dimensione emozionale della persona, che, insieme a quella più prettamente cognitiva, regola, orienta e controlla il comportamento di ogni individuo. In particolare, all’interno della Strategia 22 sul clima della classe, viene illustrata l’utilità e l’importanza dell’edu-cazione socio-emozionale (Social and Emotional Learning), sviluppata sulla scorta del modello di intelligenza emotiva proposto da Goleman (1995) e finalizzata allo sviluppo di cinque competenze di base: autoconsapevolezza delle proprie emozioni, controllo delle emozioni, automotivazione, riconoscimento delle emozioni degli altri, gestione positiva delle relazioni interpersonali.

Nella trattazione riferita all’autoregolazione (Strategia 7), oltre agli aspetti cognitivi viene fatto riferimento anche a quelli emozionali. In concreto, l’autore-golazione emozionale può avvenire a 3 livelli: gestendo le condizioni personali e situazionali che precedono l’attivazione emozionale; operando sull’interpre-tazione cognitiva delle emozioni, al fine di prevenire o modificare una specifica reazione affettiva; cercando di modulare gli aspetti espressivi di un’emozione quando si è verificata, siano essi di tipo fisiologico o comportamentale.

La Strategia 3 sull’insegnamento delle abilità sociali riporta una serie di procedure finalizzate ad aiutare gli studenti a stabilire e mantenere interazioni positive con gli altri. In questo ambito sono affrontati molti temi che fanno riferimento alla sfera socio-emozionale, come nelle esperienze di circle time e nel lavoro sulle storie sociali, oltre ad alcune proposte finalizzate propriamente agli obiettivi prosociali (empatia, considerazione positiva degli altri, ecc.).

La quinta linea operativa indicata nel modello della figura A, che si indi-rizza alla progettazione e implementazione di interventi rivolti direttamente ai

Page 17: Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva · l˜autoregolazione, la memoria, le emozioni, il comportamento, la valutazione e il feedback formativi e le tecnologie

1Introduzione

Insieme ai genitori, gli insegnanti sono fondamentali nel garantire una buona qualità di vita agli studenti con bisogni educativi speciali, indipendente-mente da dove essi studino. L’idea centrale di questo libro è che, per migliorare i loro risultati, gli insegnanti potrebbero, e dovrebbero, basarsi sui migliori studi disponibili nell’organizzare, nell’attuare e nel valutare il loro insegnamento. Per la verità, negli Stati Uniti, la legge No Child Left Behind (NCLB) del 2001 stabilisce che gli insegnanti facciano uso di programmi «scientifici, basati sulla ricerca», che siano (1) fondati sul piano teorico, (2) valutati da terzi, (3) pubblicati su riviste peer reviewed, (4) sostenibili, (5) applicabili in scuole con contesti diversi (6) e che diano prova della loro efficacia. Inoltre, l’NCLB richiede che ciascuno Stato assicuri che tutti gli studenti (compresi quelli con bisogni educativi speciali) compiano «adeguati progressi nel corso dell’anno», cioè «un miglioramento sostanziale e continuo».1 Negli Stati Uniti, la recente istituzione di centri specializzati nella raccolta e nella diffusione di politiche e pratiche educative evidence based fornisce ulteriore forza al crescente impegno verso questo tipo di istruzione.2

Questo impegno si riscontra anche in Gran Bretagna, dove Michael Gove, Segretario di Stato per l’Educazione, ha affermato nel 2010 di «voler vedere più dati prodotti dai professionisti che mostrino cosa funziona davvero, infor-mazioni più chiare riguardo alle tecniche di insegnamento capaci di generare risultati, una ricerca più rigorosa e fondata scientificamente su quali siano le

Page 18: Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva · l˜autoregolazione, la memoria, le emozioni, il comportamento, la valutazione e il feedback formativi e le tecnologie

50 Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva

didattiche più efficaci, e adeguate valutazioni indipendenti sugli interventi ormai obsoleti. Abbiamo bisogno di più politiche evidence based e, perché funzionino, ci servono più evidenze».3

In linea con questo pensiero, nel 2012 il governo britannico ha introdotto l’Achievement for All, un approccio che considera la scuola nel suo insieme e si focalizza sul miglioramento del rendimento di tutti i bambini e i ragazzi, in particolare di quel 20% della popolazione scolastica identificata come avente disabilità o bisogni educativi speciali. Le caratteristiche chiave di questo pro-gramma comprendono un monitoraggio rigoroso dei progressi degli studenti in inglese e in matematica, prevedendo interventi nel caso in cui gli studenti rimangano indietro e colloqui sui risultati scolastici tra l’insegnante che meglio conosce l’alunno e i genitori.4

Similmente, in Australia, nel 2005, la National Inquiry into the Teaching of Literacy ha dichiarato che «l’insegnamento, l’apprendimento, il curricolo e la valutazione devono essere più strettamente collegati ai risultati delle ri-cerche evidence based che indicano le pratiche efficaci, incluse quelle che si sono dimostrate efficaci per i bisogni educativi speciali dei singoli alunni».5

Altre due iniziative sovranazionali possono essere considerate rilevanti. La prima del 2007, quando l’OCSE ha pubblicato un libro dal titolo Evidence in education – Linking Research and Policy, in cui è stato evidenziato come le informazioni disponibili per l’elaborazione delle politiche in materia di istruzione siano spesso inadeguate, o perché non è stata condotta una ricerca rigorosa relativa alle esigenze strategiche o perché le ricerche disponibili sono contraddittorie e non suggeriscono un’unica linea di azione.6 La pubblicazione è stata descritta come un tentativo di organizzare le relazioni tra i decisori po-litici e i ricercatori. La seconda iniziativa si è concretizzata a partire dal 2010, in un progetto (Evidence-informed Policy and Practice in Education in Europe) che ha visto la partecipazione di 34 organizzazioni-partner provenienti da 24 Paesi, insieme a quattro affiliati non europei.7 Questo progetto si propone di allineare le conoscenze utilizzando strumenti e approcci di riferimento comuni e di condividere buone prassi, dati ed evidenze forniti da importanti organizzazioni europee e nazionali.

Sebbene l’insieme dei risultati scientifici nel campo dell’istruzione non sia esente da criticità e molto debba essere ancora studiato, credo che si sia pro-dotta una base di conoscenza utile e affidabile sulle pratiche di insegnamento efficaci per gli studenti con bisogni educativi speciali. Sfortunatamente, è chiaro che esiste un profondo gap tra quello che i ricercatori hanno teorizzato e ciò che gli insegnanti mettono in pratica,8 dal momento che molti professionisti spesso trovano ostacoli nell’adozione di pratiche evidence based.9 Negli Stati

Page 19: Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva · l˜autoregolazione, la memoria, le emozioni, il comportamento, la valutazione e il feedback formativi e le tecnologie

Introduzione 51

Uniti, ad esempio, la Commissione del Presidente sull’Eccellenza nell’Educa-zione Speciale ha lamentato il fatto che non si dà importanza «a un intervento risoluto che usi gli approcci validati dalla ricerca».10 Parte del problema può dipendere dal fatto che raramente gli interventi vengono messi in pratica come erano stati ideati all’inizio, con il risultato che la variabilità nell’applicazione porta a una parallela variabilità nel raggiungimento dei risultati attesi.11 Almeno in parte, il gap tra ricerca e pratica si deve al fatto che molti studi importanti non sono disponibili per gli insegnanti in forma facilmente accessibile – una situazione che spero questo libro aiuti in qualche modo a risolvere.

L’applicazione efficace di una serie di strategie evidence based implica un’attenta progettazione e una buona disponibilità di risorse, nonché cambia-menti da parte degli insegnanti, dei supervisori e del personale amministrativo, così come a livello del sistema scolastico. Un modello applicativo si articola in quattro fasi.12

• Fase 1. Esplorazione e adozione: selezionare il/i programma/i più appropriato/i.• Fase 2. Istituzione: formare gli insegnanti all’applicazione corretta dei nuovi

programmi.• Fase 3. Attuazione iniziale: affrontare, utilizzando i dati, tutte le difficoltà che

il programma pone ai singoli educatori e alla scuola nel suo insieme.• Fase 4. Piena operatività: monitorare la correttezza di attuazione e i risultati

del programma, e apportare gli aggiustamenti eventualmente necessari.

A questo modello alcuni autori hanno aggiunto altre due fasi.13

• Fase 5. Sostenibilità: assicurare risorse a lungo termine e che la cultura sco-lastica promuova il nuovo programma.

• Fase 6. Sviluppo: decidere se, e in che modo, estendere efficacemente il pro-gramma, aumentando il numero di contesti coinvolti.

In breve, definisco strategie di insegnamento evidence based «i metodi di insegnamento individuati e descritti con precisione che, in studi controllati, hanno dimostrato di essere efficaci nel produrre i risultati desiderati in una specifica popolazione di studenti».14

Il mio scopo in questo libro è quello di aiutarvi ad accrescere la vostra efficacia, come educatori, utilizzando le migliori evidenze disponibili per aiutare i vostri studenti ad apprendere in modo più efficace.

In sostanza, l’efficacia del vostro insegnamento può essere giudicata sulla base:• di cosa aggiungete al bagaglio di informazioni, concetti, abilità e valori dei

vostri studenti;

Page 20: Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva · l˜autoregolazione, la memoria, le emozioni, il comportamento, la valutazione e il feedback formativi e le tecnologie

52 Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva

• del grado di autonomia che i vostri studenti raggiungono nella gestione del loro apprendimento, ora e in futuro;

• di quanto riuscite a sviluppare un senso di benessere negli studenti.

Come educatori, rivestite un ruolo cruciale nell’aiutare gli studenti a sviluppare queste dimensioni. Hattie, ad esempio, ha stimato quanto i seguenti fattori influiscano sul rendimento degli studenti:• studenti: sono responsabili per circa il 50% del proprio rendimento, e forse

anche di più nel caso di studenti con bisogni educativi speciali;• insegnanti: sono responsabili per circa il 30%; da qui l’importanza di utiliz-

zare strategie di insegnamento ben fondate, come esposto in questo libro;15

• scuole: sono responsabili per circa il 5-10%. Questa influenza è mediata soprattutto dai dirigenti scolastici;

• compagni: sono responsabili per circa il 5-10%;• famiglie: sono responsabili per circa il 5-10%, soprattutto attraverso le

aspettative e l’incoraggiamento dei genitori.16

Nel descrivere le strategie che presento in questo libro, vorrei sottoline-are fin dall’inizio che non sto propugnando una singola strategia educativa o un singolo programma che tutti gli insegnanti dovrebbero usare con gli studenti con bisogni educativi speciali — o con gli altri studenti. In realtà, questi bisogni sono così diversi (persino all’interno di particolari categorie di disabilità) che un solo modello non può essere adatto a tutti. I programmi più efficaci sono infatti quelli che integrano una varietà di buone pratiche. Vi consiglio perciò caldamente di sviluppare un repertorio di queste strategie alla luce della vostra filosofia, personalità, conoscenza del mestiere, pratica riflessiva, competenza professionale e, soprattutto, della conoscenza delle caratteristiche e dei bisogni dei vostri studenti e del contesto locale. Come ha sostenuto uno studio britannico «per attuare buone pratiche educative non basta accedere ai risultati della ricerca, valutarli criticamente e metterli in pratica: occorre anche integrarli con il giudizio e l’esperienza professionale».17

Benché in questo libro io presenti una serie di singole strategie, riconosco che nella vita reale capita frequentemente che gli insegnanti ne impieghino più di una contemporaneamente. Diverse ricerche hanno esaminato l’impatto di due o più strategie di insegnamento sul rendimento scolastico e sul comporta-mento sociale degli studenti, senza definirle come «programma». La maggior parte di queste ricerche combinava l’insegnamento di strategie cognitive (Strategia 6) ad altri tipi di intervento: Direct Instruction (Strategia 14),18 uso di tecnologie (Strategia 16),19 insegnamento della fonologia (Strategia 18)20 e apprendimento cooperativo (Strategia 1).21 Uno studio canadese

Page 21: Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva · l˜autoregolazione, la memoria, le emozioni, il comportamento, la valutazione e il feedback formativi e le tecnologie

Introduzione 53

ha preso in considerazione la combinazione di tre strategie: apprendimento cooperativo (Strategia 1), collaborazione tra insegnanti (Strategia 4) e coinvolgimento dei genitori (Strategia 5).22 Inoltre, una recente ricerca nel Regno Unito ha rilevato che gli insegnanti abili nel lavorare con gli studenti svantaggiati si dimostrano abili nell’uso di più strategie:• hanno eccellenti capacità organizzative: hanno obiettivi di apprendimento

chiari e si assicurano che i loro studenti li comprendano. Inoltre, organizzano adeguatamente le loro risorse e hanno routine di classe semplici, chiare e consolidate;

• instaurano un clima di classe positivo stabilendo buone relazioni con gli studenti e creano classi serene dove ci sono rispetto reciproco e aspettative positive sul rendimento;

• personalizzano il loro insegnamento: sono sensibili ai bisogni e agli interessi dei loro studenti e forniscono una varietà di risorse adatte per ognuno di essi;

• usano il dialogo nell’insegnamento e nell’apprendimento: gli studenti lavorano in modo collaborativo, ricevono feedback dagli insegnanti (e dai compagni) e dedicano più tempo all’apprendimento;

• usano spesso le «plenarie» adottando metodi che coinvolgono l’intera classe per fornire i feedback e dare spazio a ulteriori discussioni.23

Qualche parola sulla terminologia

Nel decidere quale terminologia usare in questo libro, ho dovuto affron-tare tre decisioni. Primo: era meglio utilizzare «studenti/alunni», «ragazzi/bambini» o «discenti»? Dato che il focus di questo libro sono i bambini e i ragazzi e che «studenti/alunni» potrebbe suggerire un interesse ristretto all’ap-prendimento scolastico, ho optato nella maggior parte dei casi per «discenti» .

Secondo: dovevo parlare di discenti con «disabilità», «bisogni edu-cativi speciali» o «barriere all’apprendimento»? In questo libro mi occupo principalmente di studenti con disabilità (escludendo, pertanto, quelli ad altissimo potenziale, a meno che non presentino anche disabilità). Negli ultimi anni si è sempre più diffuso il modello sociale della disabilità. Lo si ritrova, ad esempio, nella Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità del 2006, in cui si riconosce che «la disabilità è un concetto in evoluzione e che è il risultato dell’interazione tra persone con menomazioni e barriere comportamentali e ambientali che impediscono la loro piena ed effettiva partecipazione alla società su basi di uguaglianza con

Page 22: Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva · l˜autoregolazione, la memoria, le emozioni, il comportamento, la valutazione e il feedback formativi e le tecnologie

54 Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva

gli altri».24 Questo è importante soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, dove vive l’80% delle persone con disabilità e dove solo il 2-3% dei bambini con disabilità frequenta la scuola.25 Senza mettere la disabilità in secondo piano, nel corso della trattazione mi riferirò anche ad altri bisogni speciali, come lo svantaggio sociale. Anche se sono molto attratto dal concetto di «studenti con barriere all’apprendimento e allo sviluppo», per comodità ho optato per l’espressione «bisogni educativi speciali». Riconosco, tuttavia, che in ambito internazionale questo termine è interpretato in modo diverso e che in Inghilterra e in Galles viene ora sostituito da «bisogni educativi speciali e disabilità». (Va osservato che, quando sintetizzo le evidenze relative alle diverse strategie, riprendo la terminologia utilizzata negli articoli originali, anche se questo va a volte contro la mia sensibilità: «Prima le persone»).

Terzo, ho dovuto scegliere tra «insegnanti» e «educatori». Benché in questo libro la mia attenzione sia diretta principalmente agli insegnanti, voglio rivolgermi anche ad altri soggetti che rivestono ruoli educativi, quali psicologi scolastici, assistenti, pedagogisti e genitori; la mia scelta, perciò, è ricaduta nella maggior parte dei casi a favore di «educatori».

Dovrei poi fare un’ulteriore precisazione, riconoscendo che non esiste una terminologia universale: una situazione che potrebbe creare confusione. Ad esempio, il termine «disturbi dell’apprendimento» assume diversi significati in Gran Bretagna, dove è usato in modo molto generale, mentre negli Stati Uniti è generalmente riferito a un gruppo specifico di studenti con bisogni educativi speciali. Nella maggior parte dei casi, seguirò il criterio statunitense, tranne quando il contesto imporrà una scelta diversa.

Avrete notato che ho scelto di scrivere spesso in prima persona, uno stile per certi aspetti insolito per una persona immersa nella tradizione accademica! La ragione di questa scelta sta semplicemente nel fatto che desidero entrare in contatto con voi lettori a un livello personale, per quanto sia possibile at-traverso un testo scritto.

Un’altra questione che vorrei menzionare è il mio approccio alle fonti bibliografiche. Ho tentato di ridurre al minimo le distrazioni inserendole nelle note, piuttosto che nel corpo del testo. A meno che non cerchiate ulteriori informazioni sugli studi che ho consultato o dettagli tecnici, dovreste riuscire a leggere il testo senza far riferimento continuo alle note.

Come sappiamo cosa funziona?

In qualità di insegnanti di studenti con bisogni educativi speciali, imma-gino che vi siate imbattuti in molte strategie didattiche, ma che non vi siate

Page 23: Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva · l˜autoregolazione, la memoria, le emozioni, il comportamento, la valutazione e il feedback formativi e le tecnologie

Introduzione 55

sempre sentiti sicuri della loro efficacia. Immagino anche che siate stati delusi da idee che si sono rivelate essere semplici mode o fantasie, e che vi siate chiesti spesso «cosa dimostra che questa o quella tecnica funziona davvero?». Come educatori, vi trovate a dover scegliere da una lista sempre più lunga di possibili interventi educativi. Spero che questo libro vi aiuti a scegliere bene le strategie da usare con i vostri discenti.

Idealmente, la prova che una particolare strategia didattica funziona dovrebbe basarsi su studi di ricerca rigorosi che rispettano i seguenti criteri.26

• Fedeltà all’intervento. La strategia di intervento è descritta in maniera detta-gliata in un manuale (che sia reperibile, se non pubblicato, nell’articolo di ricerca) e ci sono evidenze che la strategia in questione è stata seguita minu-ziosamente. È quella che a volte viene definita «fedeltà al trattamento». Qui sorgono due domande. La prima: quando si raccolgono evidenze sull’efficacia di specifiche strategie occorre chiedersi «Le strategie esaminate dai vari studi sono effettivamente le stesse?». La seconda: quelle esaminate sono strategie «pure» o combinate con altre? (Rispetto a quest’ultimo punto, non si vuole dire che lo scopo dovrebbe essere quello di sviluppare una forma di strategia «pura». Con alcuni studenti potrebbe essere necessaria una forma mista di intervento; in questo caso, la combinazione dovrebbe essere descritta con precisione.)

• Risultati comportamentali. Lo studio dovrebbe comprendere misure affidabili e valide dei risultati comportamentali: dopotutto, dobbiamo essere sicuri che una particolare strategia abbia un effetto positivo sui comportamenti che vogliamo modificare. Qui devo soffermarmi su due questioni tecniche.

La prima è che la mia selezione di strategie di insegnamento che «funzionano davvero» si basa ampiamente su alcune meta-analisi. Detta brevemente, una meta-analisi sintetizza i risultati di una serie di studi simili per determinare l’effetto medio di un particolare intervento.27 Il suo ideatore la definì l’«analisi delle analisi».28

La seconda questione è che le meta-analisi di solito producono un valore numerico, detto effect size – ES (dimensione dell’effetto) che indica l’entità dell’effetto della strategia:29 maggiore è l’effect size, maggiore è l’impatto della strategia. Si ottiene calcolando la differenza tra la media di un gruppo sperimentale e quella di un gruppo di controllo, dopo avere corretto eventuali differenze al pre-test, e dividendola per la deviazione standard del gruppo di controllo.30

Nell’assegnazione del punteggio alle diverse strategie che descrivo in questo libro, seguo il sistema di classificazione esposto di seguito. Fatta eccezione per due strategie che ho deciso di non valutare, mi sono limitato a quelle

Page 24: Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva · l˜autoregolazione, la memoria, le emozioni, il comportamento, la valutazione e il feedback formativi e le tecnologie

7Strategia 5: coinvolgere e sostenere

i genitori«Rispettare i diritti, le competenze

e i bisogni delle famiglie»Classificazione:

Strategia

I genitori1 rivestono un ruolo importante, se non cruciale, nell’educare e aiutare i discenti con bisogni educativi speciali. Sono innanzitutto genitori, con tutti i diritti e le responsabilità connessi a questo ruolo, ma sono anche fonti di informazioni, interlocutori alla pari nella progettazione e attuazione di interventi per i loro figli, «clienti» della scuola e vostri, per l’istruzione che fornite, e sostenitori dei loro figli. E possono anche avere bisogno di aiuto diretto: formazione, counseling o assistenza psicologica.

Questa strategia riguarda le seguenti componenti del modello di inse-gnamento e apprendimento: contesto, richiesta di un compito dall’esterno e risposte esterne. Si colloca all’interno degli approcci sociali all’apprendimento descritti nel capitolo 2.

L’idea di fondo

Perché collaborare con i genitori?2

Ci sono molte buone ragioni per cui voi, come educatori, dovreste cercare di sviluppare relazioni efficaci con i genitori dei bambini/ragazzi delle vostre

Page 25: Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva · l˜autoregolazione, la memoria, le emozioni, il comportamento, la valutazione e il feedback formativi e le tecnologie

140 Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva

classi, soprattutto quelli con bisogni educativi speciali. Alcune di esse sono particolarmente importanti:• con ogni probabilità, i genitori sono le uniche persone coinvolte nell’edu-

cazione dei loro figli per tutta la durata del periodo scolare. È probabile, perciò, che siano estremamente interessati all’apprendimento dei loro figli in generale e che siano le persone sulle quali le conseguenze delle decisioni prese in relazione alla loro istruzione ricadono in maggior misura;

• i genitori conoscono meglio di chiunque altro lo sviluppo dei loro figli e i fattori che potrebbero avere determinato i loro bisogni educativi speciali. Generalmente sono in grado di dirvi cosa motiva i loro figli e quali strategie di insegnamento e di intervento sul comportamento sono più efficaci;

• vi aiuteranno a comprendere meglio alcuni aspetti del comportamento dei loro figli. È molto importante saper riconoscere il ruolo significativo che i genitori rivestono nell’influenzare il comportamento di un bambino senza considerarli automaticamente responsabili/incolparli. È raro che il com-portamento di un bambino possa essere spiegato semplicemente in termini di causa-effetto e assumere un atteggiamento critico sarebbe sicuramente controproducente. Similmente, dovreste evitare di cadere nell’errore di coinvolgere i genitori soltanto quando ci sono dei problemi;

• lavorare con i genitori aumenta la probabilità che le aspettative riguardo al comportamento del discente siano coerenti sia a casa sia a scuola. Inoltre, aumenta le occasioni per rinforzare i comportamenti appropriati e la varietà di rinforzatori disponibili;

• se opportunamente coinvolti, i genitori avranno la possibilità di comprendere meglio il percorso educativo dei loro figli e la cultura e gli obiettivi della scuo-la. Ricordate, tuttavia, che alcuni genitori conoscono molto poco il sistema scolastico e potrebbero essere addirittura ostili ad esso;

• i contatti regolari con i genitori vi aiuteranno a sentirvi più responsabili;• vedendo collaborare i loro genitori e i loro insegnanti, i ragazzi riceveranno

messaggi positivi sull’importanza della loro istruzione;• infine, in molti Paesi i professionisti della scuola e dei servizi sono tenuti

per legge a coinvolgere i genitori dei discenti con bisogni educativi speciali. Negli Stati Uniti, ad esempio, i genitori devono essere coinvolti nella stesura del Piano Educativo Individualizzato e hanno il diritto di farlo attuare.3

Perché alcuni genitori hanno bisogno di essere sostenuti?

• Avere un figlio con bisogni educativi speciali può essere fonte di gioia ma anche di sofferenza emotiva. Alcuni genitori, pur accettando i figli, a volte

Page 26: Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva · l˜autoregolazione, la memoria, le emozioni, il comportamento, la valutazione e il feedback formativi e le tecnologie

Strategia 5: coinvolgere e sostenere i genitori 141

possono rifiutarli o diventare iperprotettivi nei loro confronti, sulla scia di emozioni quali profondo turbamento, negazione, incredulità, rabbia, senso di colpa e depressione. Queste emozioni possono emergere in ogni momento, soprattutto in corrispondenza di occasioni quali i compleanni e le transizioni scolastiche.4

• In alcune situazioni, i genitori possono provare una profonda vergogna per il fatto di avere un figlio con bisogni speciali e tenerlo perciò nascosto. Ad esempio, in Medio Oriente la vergogna di avere un figlio con disabilità è vissuta talvolta in termini di perdita di onore per una famiglia. In tali circostanze, può accadere che i genitori rimandino o rifiutino le diagnosi e le opportunità di educazione speciale.5

• I genitori dei ragazzi con bisogni educativi speciali devono far fronte a più richieste, a volte anche quando il figlio è ormai diventato adulto. Alcuni di essi diventano sostenitori dei diritti dei loro figli come di altre persone con disabilità, facendosi agenti di cambiamento del sistema scolastico nel suo insieme.6 In questo senso potrebbero trovarsi a dover richiedere pratiche inclusive e a gestire le transizioni scolastiche. Naturalmente, si prendono cura del loro figlio per molto tempo e devono assicurarsi che le altre persone si relazionino a lui con modalità che lo aiutino ad acquisire e a mantenere un comportamento adattivo. Devono inoltre accedere ai servizi specialistici e mantenerli nel tempo. In molte società, la responsabilità di fare fronte a queste richieste ricade molto spesso sulla madre.

• È possibile che i genitori debbano anche apprendere abilità specialistiche. Dato che i loro figli a volte non riescono ad acquisire abilità importanti in modo naturale e autonomo come i fratelli/sorelle, questi genitori devono imparare a usare tecniche di insegnamento sistematico. Se il bambino/ragazzo mostra comportamenti gravemente problematici, è possibile che i genitori debbano imparare tecniche di intervento psicoeducativo (Strategia 11). Inoltre, potrebbero avere bisogno di imparare a usare o insegnare ai loro figli come usare ausili speciali e tecnologie assistive (Strategie 16 e 17).

• I genitori di ragazzi con bisogni educativi speciali devono preoccuparsi di cose che generalmente per gli altri genitori non sono un problema, chiedendosi ad esempio se i loro figli potrebbero farsi male nel cortile della scuola, se gli altri bambini sono gentili o crudeli con loro e se i genitori degli altri bambini potrebbero lamentarsi dei loro figli. Per questo a volte insistono perché la scuola tenga separati i loro figli dai compagni.

• Avere un figlio con bisogni educativi speciali spesso influisce sull’intera famiglia, perché i genitori potrebbero fare fatica a trovare una baby-sitter o a continuare a frequentare la parrocchia o altre associazioni. Gli amici e

Page 27: Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva · l˜autoregolazione, la memoria, le emozioni, il comportamento, la valutazione e il feedback formativi e le tecnologie

142 Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva

i parenti potrebbero iniziare a evitarli o a insinuare che i comportamenti problematici del bambino/ragazzo siano dovuti a scarsa disciplina. In alcune società, i genitori di bambini con disabilità vengono fatti sentire in colpa o indotti a vergognarsi. Infine, i costi degli interventi per il figlio potrebbero gravare pesantemente sul bilancio familiare.

• Sebbene i fratelli e le sorelle possano imparare ad amare e ad accettare i familiari in modo incondizionato e sviluppare un senso di responsabilità, potrebbero anche sviluppare ansia e preoccupazioni per il fratello o la sorella con bisogni educativi speciali, sentirsi esclusi o risentirsi per il tempo che i genitori dedicano tempo al fratello/alla sorella con disabilità.

• Prendersi cura della famiglia può essere emotivamente gravoso per i genitori che hanno un figlio con bisogni educativi speciali. Se e in che misura questo succede può dipendere:− dal numero e dall’entità dei cambiamenti che la nascita di un bambino

con disabilità comporta. Per alcune famiglie, questa può implicare vari adattamenti delle routine quotidiane o cambiamenti radicali in termini di disponibilità economiche e stile di vita. Per altre, può richiedere solo qualche minimo aggiustamento;

− dal grado di adattabilità e resilienza della famiglia, fattori che, a loro volta, dipendono dalle risorse personali di ogni suo componente e in particolare dal livello di istruzione, dalle condizioni di salute, dall’autostima e dalla qualità del sostegno sociale, formale e informale, di cui dispone;

− dalle risorse interne alla famiglia, come ad esempio il numero dei suoi componenti, il fatto che ci siano entrambi e la fede religiosa.7

La pratica

Cosa si intende per «coinvolgimento dei genitori»?

Negli Stati Uniti il coinvolgimento dei genitori è definito come «parteci-pazione a una comunicazione costante, reciproca e significativa sull’apprendi-mento dello studente e sulle altre attività scolastiche».8 Sono stati identificati cinque livelli di coinvolgimento dei genitori:9 – livello 1, informazione: a questo livello, il più basso, la scuola fornisce auto-

nomamente e su richiesta informazioni sui suoi programmi;– livello 2, partecipazione alle attività: a questo livello, i genitori sono coinvolti

nelle attività, ma in misura limitata; ad esempio, possono essere invitati a partecipare a vari eventi;

Page 28: Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva · l˜autoregolazione, la memoria, le emozioni, il comportamento, la valutazione e il feedback formativi e le tecnologie

Strategia 5: coinvolgere e sostenere i genitori 143

– livello 3, dialogo e scambio di opinioni: in questo caso i genitori sono invitati a esaminare gli obiettivi e i bisogni della scuola o della classe;

– livello 4, partecipazione alla presa di decisioni: a questo livello, quando vengono prese decisioni che riguardano il loro figlio, viene chiesto il parere dei genitori. Un esempio tipico di questo livello di coinvolgimento è la stesura del PEI;

– livello 5, responsabilità di azione: a questo livello, il più alto, i genitori pren-dono decisioni insieme alla scuola e sono coinvolti sia nella definizione sia nella valutazione di parti del programma scolastico. Ad esempio, i genitori potrebbero essere coinvolti nell’elaborazione e nella valutazione delle poli-tiche scolastiche o come tutor dei loro figli.

Cosa aiuta a sviluppare collaborazione efficaci?

Oltre ai suggerimenti che ho proposto nella Strategia 4, ci sono diverse cose che potete fare per stabilire buoni rapporti di collaborazione con i genitori:• mostrare attenzione e sensibilità con le famiglie dei discenti provenienti da

background culturali diversi;10

• mantenere contatti regolari con i genitori, che aiutano a stabilire relazioni nelle quali è possibile celebrare i successi anche piccoli e prevedere più facilmente le eventuali difficoltà, che possono quindi essere risolte più rapidamente. I contatti regolari possono essere facilitati dall’uso di brevi note, di un diario per le comunicazioni casa-scuola e di inviti, scritti dai bambini e rivolti ai genitori, a osservare cosa hanno fatto a scuola;

• quando si incontrano i genitori, cercare di aprire il colloquio parlando di al-meno un successo concreto del loro figlio, prima di affrontare altre questioni;

• durante le riunioni, invitare i genitori a contribuire attivamente e dare indi-cazioni su come farlo per aiutarli a dare apporti;

• ricordare che le riunioni con i genitori possono risultare più efficaci se sono ben strutturate. Negli incontri per la stesura del PEI, ad esempio, si può pre-vedere del tempo per rompere il ghiaccio, chiedere informazioni ai genitori e fornirne a propria volta, riepilogare quanto ci si è detti e concordare quando aggiornarsi. Tenete presente che molto spesso lavorano entrambi i genitori, per cui potrebbero non avere tantissimo tempo da dedicare ai figli;11

• ricordare che quando si collabora possono sempre sorgere dei conflitti, che vanno gestiti in maniera positiva e non minacciosa;

• alcune evidenze indicano che coinvolgere efficacemente i genitori è un pro-cesso fatto in buona parte di sfumature. Aspetti come la cordialità, il rispetto e la sensibilità si stanno dimostrando più importanti di procedure specifiche come quelle descritte sopra;12

Page 29: Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva · l˜autoregolazione, la memoria, le emozioni, il comportamento, la valutazione e il feedback formativi e le tecnologie

144 Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva

• infine, bisogna prestare particolare attenzione al coinvolgimento dei genitori con disabilità nell’educazione dei loro figli. Un recente lavoro condotto in Gran Bretagna ha riportato i risultati di 24 studi di casi su genitori con figli con disabilità di vario tipo. Alcuni dei temi che sono emersi erano la percezione dell’importanza e dei vantaggi del coinvolgimento, il bisogno di comunicare efficacemente e l’importanza di una cultura scolastica inclusiva.13

Come si può dare sostegno ai genitori?

Probabilmente non riuscirete a risolvere tutte le specifiche difficoltà che i genitori vorranno condividere con voi; forse non riuscirete a risolverne neanche una. Tuttavia, dedicare loro qualche minuto del vostro tempo potrebbe aiutarli moltissimo a risolverle da sé. L’ascolto attivo è utile perché permette alle persone di fare chiarezza su ciò che pensano e provano; implica mostrare attenzione alle questioni importanti, invitare le persone a spiegare cosa le preoccupa — utilizzan-do brevi frasi come «Mi dica di più» — e aiutarle a riflettere sui propri pensieri e sentimenti e sulle loro idee provando a suggerire cosa, secondo voi, pensano e intendono. È importante, tuttavia, essere consapevoli dei propri limiti: di fronte a problemi molto complessi, invitate la persona a rivolgersi agli specialisti del caso.

In sintesi, i genitori hanno molte conoscenze ed esperienze e potrebbero condividerle con voi più volentieri all’interno di una relazione di collaborazio-ne. Potrebbero essere in grado di aiutarvi ad anticipare, affrontare e superare le barriere all’apprendimento, ma potrebbero anche avere bisogno di aiuto a loro volta. A volte tutto ciò di cui hanno bisogno è essere ascoltati e compresi.

Mentre gli interventi indicati sopra coinvolgono direttamente gli educatori, di seguito descrivo quattro programmi di parent training che di norma vengono sviluppati e proposti da altri professionisti, in particolare psicologi. Li presento perché credo sia importante che li conosciate, sia perché potrebbero coinvolgere qualcuno dei vostri discenti sia per poterli suggerire eventualmente ai genitori che avessero bisogno di questo tipo di aiuto. Nel quadro di questi programmi, potete collaborare con i genitori e gli specialisti descrivendo i comportamenti del discente che vi preoccupano come anche i suoi comportamenti positivi. Inoltre, è fondamentale che le strategie che utilizzate in classe siano coerenti con quelle che i genitori potrebbero usare a casa. Leggendo, potreste cogliere qualche spunto da utilizzare nella gestione della vostra classe.

Il parent training

Generalmente, il parent training aiuta i genitori a utilizzare, a casa, strategie efficaci di intervento sul comportamento. Questo tipo di intervento spesso

Page 30: Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva · l˜autoregolazione, la memoria, le emozioni, il comportamento, la valutazione e il feedback formativi e le tecnologie

Strategia 5: coinvolgere e sostenere i genitori 145

parte dal presupposto che i problemi comportamentali nascano da interazioni non adattive tra genitori e figlio, come quando i genitori prestano attenzione principalmente ai comportamenti inadeguati, fanno richieste in modo ineffi-cace o danno punizioni severe. Ai genitori viene perciò insegnato a definire e monitorare il comportamento del figlio, a evitare le interazioni coercitive, a rinforzare positivamente i comportamenti adeguati e a fornire conseguenze appropriate al livello evolutivo del figlio quando questi mostra comportamenti problematici. A questo scopo vengono utilizzati la didattica frontale, la dimo-strazione dal vivo o per mezzo di materiale video e il role-playing.

La priorità è quella di insegnare strategie comportamentali come quelle descritte nelle Strategie 11 e 12, fornendo informazioni sugli antecedenti e sulle conseguenze del comportamento. Ai genitori viene raccomandato di somministrare i rinforzi in maniera contingente (cioè subito dopo che il figlio ha emesso il comportamento target), immediata e frequente, utilizzando una varietà di rinforzatori di alta qualità che siano significativi per il bambino/ragazzo. Vengono insegnate anche tecniche come lo shaping e il prompting. I genitori imparano a osservare e identificare i comportamenti del figlio che potrebbero essere definiti problematici e a guardarli in modi diversi cercando di cogliere le ragioni che potrebbero stare dietro ad essi.14

Il programma Incredible Years

Il programma Incredible Years è un parent training che ha la particolarità di coinvolgere anche i bambini e gli insegnanti. Rivolto a bambini di 0-12 anni e ai loro genitori, il programma prevede una serie di sessioni settimanali di discussione in gruppo della durata di due ore (almeno 18 sessioni per le famiglie segnalate per abuso e trascuratezza) e sessioni di videomodeling con la presentazione di una selezione di sketch (in totale sono 250) della durata di circa due minuti ciascuno che mostrano genitori mentre interagiscono con i figli in modo appropriato e inappropriato.

Dopo la visione di ogni sketch, il conduttore guida una discussione sulle interazioni rilevanti invitando i genitori a esprimere le loro reazioni. Ai genitori, vengono insegnate abilità di gioco e di rinforzo e viene insegnato a porre limiti in modo efficace, a usare tecniche non violente di disciplina, a utilizzare approcci di problem solving che promuovono l’apprendimento e lo sviluppo e modi di partecipare alla vita scolastica dei figli.15

Inoltre, Incredible Years ha un programma aggiuntivo per insegnare ai genitori ad aiutare i figli nei compiti, un altro da proporre in classe (con più di 60 unità didattiche per alunni/studenti di ogni età)16 e un altro an-cora, rivolto agli insegnanti, sulla gestione di alunni/studenti con disturbi

Page 31: Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva · l˜autoregolazione, la memoria, le emozioni, il comportamento, la valutazione e il feedback formativi e le tecnologie

146 Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva

esternalizzanti e internalizzanti che funziona in modo simile al programma di parent training.17

In Nuova Zelanda, il programma Incredible Years è stato sviluppato ulteriormente allo scopo di aiutare i genitori a ridurre i comportamenti pro-blematici dei figli di 3-8 anni attraverso strategie per gestire comportamenti quali aggressività, capricci, parolacce, lamentosità, urla, tendenza a picchiare e rifiuto di rispettare le regole.

Incredible Years è stato adottato con successo negli Stati Uniti (dove è stato sviluppato) e in Paesi come Inghilterra, Galles, Irlanda, Norvegia, Svezia, Danimarca, Nuova Zelanda e Russia.

La parent-child interaction therapy

Questa strategia è molto simile al parent training, ma non aderisce così strettamente ai principi comportamentali. Si tratta generalmente di un inter-vento di breve durata rivolto a genitori di bambini/ragazzi con un’ampia varietà di problemi comportamentali, emozionali o evolutivi. Il suo scopo principale è aiutare i genitori a sviluppare con i figli rapporti improntati all’attenzione ai bisogni e all’affettuosità e comportamenti appropriati. Utilizza il gioco libero e attività maggiormente guidate su come interagire.18

Il 3P – Programma di parenting positivo (Triple P – Positive Parenting Programme)

È una strategia di sostegno ai genitori e alle famiglie che agisce a più livelli allo scopo di ridurre i problemi comportamentali ed emotivi dei bambini/ragazzi. Prevede cinque livelli di intervento via via più intensivo:

a) una campagna di informazione generale rivolta a tutti i genitori che pro-muove, ad esempio, l’uso di pratiche genitoriali positive all’interno della comunità, una visione non stigmatizzante del chiedere aiuto quando i figli mostrano problemi comportamentali e il contrasto ai messaggi dei media che scaricano troppe responsabilità sui genitori;

b) due livelli di consulenza breve per problemi comportamentali di grado lieve: (i) interventi specifici forniti attraverso i servizi socio-sanitari di base da personale opportunamente formato; (ii) interventi rivolti ai genitori preoccupati per lo sviluppo/il comportamento dei figli (problematiche specifiche e lievi) attraverso quattro sessioni della durata di 20 minuti nelle quali vengono fornite informazioni e insegnate abilità;

Page 32: Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva · l˜autoregolazione, la memoria, le emozioni, il comportamento, la valutazione e il feedback formativi e le tecnologie

Strategia 5: coinvolgere e sostenere i genitori 147

c) due programmi di parent training più intensivo per genitori di bambini/ragazzi a rischio di problemi comportamentali più gravi: (i) un programma in 10 sessioni sui problemi comportamentali in età evolutiva, sulle strategie per favorire lo sviluppo dei bambini/ragazzi e sulla gestione dei comporta-menti inappropriati; (ii) un intervento rivolto alle famiglie che presentano ulteriori fattori di rischio e che non hanno avuto miglioramenti in seguito agli interventi di livello inferiore.19

Le evidenze

Sono state condotte moltissime ricerche sul coinvolgimento dei genitori e sul parent training, la maggior parte delle quali ne riporta l’utilità sia per i genitori sia per i loro figli con bisogni educativi speciali. In questo paragrafo raggrupperò gli studi per principale argomento trattato.

Coinvolgimento dei genitori

• La meta-analisi condotta da Hattie sugli studi che hanno valutato l’impatto delle variabili familiari sul rendimento scolastico dei bambini/ragazzi ha mostrato che la variabile più influente erano le aspirazioni e le aspettative dei genitori (effect size: 0.80), mentre mostrare interesse verso le attività scolastiche dei figli, aiutarli con i compiti e parlare dei progressi scolastici avevano un effect size modesto ( 0.38).20

• Una più recente meta-analisi di 51 studi ha esaminato gli effetti di diverse forme di coinvolgimento dei genitori sul rendimento scolastico dei figli (dalla scuola dell’infanzia alla secondaria di secondo grado). I risultati hanno evidenziato una relazione significativa (1/3 di deviazione standard) tra i programmi volti a favorire il coinvolgimento dei genitori, considerati in generale, e il rendimento scolastico dei figli. Gli autori facevano notare che «le iniziative che sollecitano i genitori a leggere insieme ai figli (lettura condivisa), a controllare i compiti a casa e comunicare e collaborare con gli insegnanti sono sensibilmente correlati ai risultati scolastici».21

• Uno studio precedente ha valutato gli effetti di una combinazione di coinvol-gimento dei genitori e terapia cognitivo-comportamentale (Strategia 13) confrontando 3 condizioni: (a) terapia cognitivo-comportamentale e coinvol-gimento dei genitori (N = 17); (b) terapia cognitivo-comportamentale senza coinvolgimento dei genitori (N = 19); (c) controllo (N = 14). I partecipanti

Page 33: Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva · l˜autoregolazione, la memoria, le emozioni, il comportamento, la valutazione e il feedback formativi e le tecnologie

148 Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva

allo studio, di 7-14 anni, avevano tutti una diagnosi di fobia scolare. Entrambi gli interventi hanno determinato una riduzione dell’ansia sociale e generale, rilevata sia al termine dell’intervento sia ai follow-up a 6 e 12 mesi, mentre il gruppo di controllo non ha evidenziato miglioramenti. Questi risultati, tut-tavia, sembrano essere riconducibili alla terapia cognitivo-comportamentale, dato che il coinvolgimento dei genitori non produceva alcun effetto positivo ulteriore.22

• Un’analisi della relazione tra il coinvolgimento dei genitori nei primi anni di scuola dei figli e i punteggi in lettura da essi ottenuti successivamente (a 15 anni) alle prove PISA ha mostrato che gli studenti i cui genitori riferivano di avere letto libri insieme al figlio «ogni giorno o quasi ogni giorno» durante il primo anno di scuola primaria ottenevano punteggi nettamente superiori rispetto agli studenti che raramente avevano condiviso l’esperienza della lettura con i genitori.In media, nei 14 Paesi per i quali erano disponibili questi dati, la differenza era di 25 punti, equivalente a più di metà di un anno scolastico. Risultati si-mili emergevano anche dal confronto tra studenti con lo stesso background socio-economico.23

Parent training (in generale)

• Una rassegna del 1998 sugli interventi per bambini e adolescenti con disturbi della condotta, che ha considerato gli studi compiuti tra il 1966 e il 1995, ha individuato 29 ricerche metodologicamente accurate. Il parent training (senza ulteriori precisazioni) era una delle due strategie definite «affermate».24

• Un’autorevole revisione del centro Cochrane si è concentrata sui program-mi di parent training di gruppo di matrice comportamentale e cognitivo-comportamentale sui problemi di condotta a esordio precoce. Vale la pena di riportarne un estratto:

Questa rassegna ha considerato 13 studi (10 studi controllati rando-mizzati e 3 studi quasi randomizzati) e due valutazioni economiche basate su di essi. Complessivamente, i partecipanti erano 1.078 soggetti (646 nel gruppo sperimentale e 432 controlli). I risultati indicano che il parent trai-ning determinava una riduzione statisticamente significativa dei problemi di condotta dei soggetti, valutati dai genitori o da terzi. Nei genitori, inoltre, portavano a un miglioramento statisticamente significativo a livello di salute mentale [...] e di abilità di parenting positivo [...]. Il parent training determinava anche una riduzione statisticamente significativa dell’uso di pratiche genitoriali negative o dure, secondo le valutazioni sia dei genitori

Page 34: Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva · l˜autoregolazione, la memoria, le emozioni, il comportamento, la valutazione e il feedback formativi e le tecnologie

Strategia 5: coinvolgere e sostenere i genitori 149

sia di terzi. Inoltre, questo tipo di intervento ha mostrato di avere un buon rapporto costi-benefici. Rispetto ai controlli, il costo che la famiglia doveva sostenere mediamente per portare un figlio con problemi di condotta di livello clinico entro la gamma non clinica era di circa 2.500 dollari americani (2.217 euro), un costo modesto rispetto ai costi sanitari, sociali, educativi e legali a lungo termine associati ai disturbi della condotta in età infantile.25

• In uno studio, molto accurato sul piano metodologico, che ha confrontato gli effetti di alcuni approcci ,159 famiglie sono state assegnate con procedura casuale a 6 condizioni: solo parent training (PT), solo training al bambino (CT: child training), parent training e training agli insegnanti (PT+TT: parent training + teacher training), training al bambino e agli insegnanti (CT+TT), parent training e training al bambino e agli insegnanti (PT+CT+TT), gruppo di controllo. Il principale problema riportato dalle famiglie partecipanti era il disturbo oppositivo-provocatorio mostrato dal figlio (4-8 anni) per almeno 6 mesi. Sia nel contesto domestico sia in quello scolastico sono state raccolte informazioni e condotte osservazioni. A seguito dell’intervento, durato 6 mesi, in tutte le condizioni si è rilevata una diminuzione significativa dei problemi di condotta. Nelle condizioni che avevano previsto il training ai bambini, questi presentavano più abilità prosociali con i pari rispetto ai controlli; in tutte le condizioni che avevano previsto il parent training, le madri mostravano più pratiche di parenting positivo e i padri meno pratiche di parenting negativo rispetto ai controlli. Nelle condizioni che avevano previsto il training ai bam-bini, le madri e gli insegnanti mostravano meno pratiche negative. L’aggiunta del training per gli insegnanti a quello per i genitori o per i bambini migliorava i risultati dell’intervento in termini di intervento sul comportamento in classe da parte dell’insegnante e di segnalazioni per problemi comportamentali.26

Parent training (Parent Management Training – PMT)

• Secondo una rassegna recente, nel caso di disturbi del comportamento sociale ed emozionale, e soprattutto nel caso di disturbi della condotta, il programma Parent Management Training è uno degli interventi di prevenzione per i quali esistono maggiori evidenze.27

• Una rassegna meta-analitica si è proposta di identificare le componenti dei programmi di PMT efficaci nel caso di bambini fino a 8 anni di età. È emerso che le 3 componenti più influenti erano: insegnare a interagire positivamente con il figlio, incoraggiare la comunicazione emozionale ed esercitarsi insieme al bambino. Le meno influenti erano invece quelle che riguardavano l’inse-gnamento di abilità di problem solving, la promozione del successo scolastico

Page 35: Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva · l˜autoregolazione, la memoria, le emozioni, il comportamento, la valutazione e il feedback formativi e le tecnologie

15Strategia 13: terapia cognitivo-

comportamentale«Aiutare i discenti a modificare i loro pensieri negativi»

Classificazione:

La strategia

La terapia cognitivo-comportamentale – TCC (Cognitive Behavioural Therapy , CBT) è un processo attivo di modificazione degli schemi di pensiero negativi di una persona, che a sua volta porta a cambiamenti nel comportamen-to e, da ultimo, a una riduzione o eliminazione del senso di ansia o depressione. Si tratta di una forma di psicoterapia breve e strategica che insegna alle persone a modificare i pensieri che hanno su di sé e il loro comportamento. Non le porta a esaminare le possibili cause all’origine dei loro problemi, cause che potrebbero risiedere nel passato.

La TCC è, in realtà, un insieme di terapie e talora viene estesa fino a includere altri interventi affini, come l’intervento cognitivo-comportamentale, la TCC per le famiglie, la TCC del trauma, la TCC di gruppo, la modificazione cognitivo-comportamentale, la terapia razionale-emotiva-comportamentale, la terapia razionale-comportamentale e la terapia cognitiva.

Inizialmente sviluppata per gli adulti con problemi di ansia o depressione, la TCC è stata poi estesa con successo anche a bambini e adolescenti. Così come per gli adulti, è stata utilizzata per trattare disturbi d’ansia e depressione, aggressività, rifiuto della scuola e disturbi da stress post-traumatico causati da eventi come abuso fisico e sessuale, divorzio, violenza e disastri naturali. Alcuni studi hanno rilevato che la TCC è efficace anche per il trattamento

Page 36: Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva · l˜autoregolazione, la memoria, le emozioni, il comportamento, la valutazione e il feedback formativi e le tecnologie

242 Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva

dell’ADHD, disturbo che crea difficoltà a controllare i propri comportamenti, ma per questo gruppo di soggetti le evidenze non sono unanimi.

In ogni caso, quando la TCC riesce a ridurre o eliminare i deficit o gli eccessi comportamentali, questo si ripercuote positivamente sia sul benessere del discente sia sulle sue relazioni con gli adulti e con i pari.

Questa strategia interessa probabilmente più gli psichiatri e gli psicologi, ma credo che anche gli educatori dovrebbero conoscerne i principi fonda-mentali: (a) perché possono applicarli in alcuni ambiti dell’insegnamento e (b) perché, se un professionista utilizza la TCC con i discenti delle loro classi, dovranno lavorare a stretto contatto con lui/lei.

Riguardo al modello di apprendimento e insegnamento descritto nel capitolo 2, questa strategia si collega soprattutto alle componenti della mo-tivazione, del sistema esecutivo e delle strategie. Come indica il suo nome, la TCC attinge sia dall’approccio cognitivo/costruttivista sia dall’approccio comportamentale descritti nel capitolo 2.

L’idea di fondo

La TCC si basa sulla premessa secondo cui sono i nostri pensieri (di qui l’aspetto cognitivo) a farci sentire e agire (di qui l’aspetto comportamentale) come ci sentiamo e agiamo. Di conseguenza, se abbiamo emozioni e compor-tamenti indesiderati o distruttivi, dobbiamo imparare a sostituire i pensieri che danno origine ad essi con pensieri più realistici o utili che conducono a comportamenti più desiderabili.1 In altre parole, lo scopo della TCC è aiutare le persone a disimparare le loro reazioni indesiderabili, mentre apprendono nuovi modi di reagire alle situazioni.

Ad esempio, se un discente non riesce in matematica, potrebbe pensare «Sono uno schifo in matematica» o, ancora peggio, «Sono uno schifo di persona». Questo potrebbe farlo entrare in un circolo vizioso di insuccesso tale da portarlo a evitare le lezioni di matematica, o addirittura la scuola in ge-nerale, e a sviluppare stati di depressione o perfino comportamenti aggressivi. In alcuni casi, perché i pensieri del tipo «Sono un disastro» possano essere sostituiti con altri più positivi del tipo «Ce la posso fare», può essere neces-saria una terapia cognitivo-comportamentale intensiva. In questa strategia, ai discenti viene insegnato a usare il proprio autodialogo interiore per modificare i pensieri disfunzionali e quindi per controllare il proprio comportamento. L’autoregolazione (Strategia 7) è perciò un elemento chiave.2

Page 37: Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva · l˜autoregolazione, la memoria, le emozioni, il comportamento, la valutazione e il feedback formativi e le tecnologie

Strategia 13: terapia cognitivo-comportamentale 243

Questo approccio trova riscontro, tra l’altro, nei modelli sull’elabo-razione delle informazioni sociali che descrivono il modo in cui i bambini elaborano le informazioni in una situazione sociale prima di mettere in atto un comportamento competente o non competente. Il processo si svolge solitamente secondo le seguenti fasi: (a) rilevare gli indizi sociali, (b) inter-pretare questi indizi, (c) scegliere un obiettivo, (d) considerare le opzioni di risposta, (e) scegliere una risposta e (f) emettere la risposta. Naturalmente, questo processo si compie con tempi diversi, a volte molto brevi a volte più lunghi e meditati.

In alcuni casi può andare storto, dato che in ogni fase è possibile che su-bentrino giudizi errati. La ricerca dimostra, ad esempio, che i bambini aggressivi prestano attenzione a meno indizi sociali e spesso orientano selettivamente la loro attenzione verso quelli ostili; inoltre, hanno più fiducia, rispetto ai bambini non aggressivi, nel fatto che il comportamento aggressivo produca un esito soddisfacente. La TCC mira a modificare questi pensieri disfunzionali.3

Questo approccio terapeutico è piuttosto recente e ha avuto origine dagli studi di Albert Ellis, il quale, come risposta agli approcci psicoanalitici e umanistici, sviluppò negli anni Cinquanta una tecnica nota come terapia razionale-emotiva-comportamentale. Negli anni Sessanta, Aaron Beck la am-pliò attraverso i suoi studi sulla terapia cognitiva. Nella loro forma originaria, le terapie razionali-emotive e cognitive venivano spesso contrapposte agli approcci terapeutici comportamentali, ma successivamente le due prospettive di intervento sono stati fuse nella terapia cognitivo-comportamentale.

La pratica

Benché la TCC sia essenzialmente un approccio di psicoterapia attuato da professionisti con una formazione specifica credo che molte delle sue componenti possano orientare il vostro lavoro di educatori. Ogni giorno lavorate con discenti che potrebbero non stare bene con se stessi a causa di difficoltà che incontrano nell’apprendimento o nelle relazioni con i pari. Il vostro compito è (a) anticipare queste difficoltà e attivarvi per prevenirle e (b) dotare i discenti di abilità utili a gestirle, quando queste difficoltà si presentano, aiutandoli a «pensare» il loro modo per risolvere i problemi. Nei casi più seri, dovreste prestare attenzione al problema e attivarvi per parlarne con i genitori del discente e segnalare il caso per un counseling o una terapia, in questo caso cognitivo-comportamentale, con uno specialista.

Page 38: Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva · l˜autoregolazione, la memoria, le emozioni, il comportamento, la valutazione e il feedback formativi e le tecnologie

244 Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva

La tecnica ABC per i pensieri irrazionali

Negli anni Cinquanta del secolo scorso, Albert Ellis descrisse quella che definì la «tecnica ABC» per intervenire sui pensieri irrazionali. La tecnica parte da un’analisi del problema:A: evento attivante (Activating event), la situazione che conduce ad avere

pensieri negativi (ad esempio, non superare una prova di matematica);B: convinzione (Belief), i pensieri negativi che emergono (ad esempio, «Se non

sono capace di imparare la matematica, non sono capace di fare niente»);C: conseguenza (Consequence), le emozioni negative e i comportamenti

disfunzionali (ad esempio «Davvero non sono capace di fare niente. In realtà io sono un niente» e la persona è perciò a rischio di depressione, rabbia e ansia).

In seguito a questa analisi, il terapeuta lavora con la persona per «ri-strutturare cognitivamente» il problema. A questo scopo occorre mettere in discussione i pensieri negativi per reintepretarli in chiave più realistica, così che — auspicabilmente — conducano a convinzioni più razionali e compor-tamenti più appropriati.4

Il processo a sei fasi

Meichenbaum fu uno dei primi a proporre quello che divenne un precur-sore della TCC e anche dell’insegnamento di strategie cognitive (Strategia 6). Secondo Meichenbaum, le versioni tradizionali del condizionamento operante (Strategia 11) dovevano essere integrate includendo le cognizioni sottostanti. Questo autore e i suoi colleghi sostenevano che alla base dell’autocontrollo c’erano il «pensare ad alta voce» e l’interiorizzazione delle affermazioni su di sé. In questo senso, gli adulti rivestono un ruolo chiave nel fare la dimostra-zione delle abilità cognitive, soprattutto per quanto riguarda il come si pensa ad alta voce e come questi pensieri diventano poi taciti (cioè interiorizzati). Descrissero il seguente processo in sei fasi;5 lo illustrerò facendo riferimento all’insegnamento del corsivo, come ho fatto con i miei studenti. Il corsivo è così: abc.• Fase 1: Modellamento cognitivo. Mostrate il comportamento e lo contempora-

neamente lo descrivete:«La penna va tenuta così. Quando si scrive, la punta è sempre a 45 gradi. Per scrivere la a parti dall’alto, ti sposti verso sinistra, curvi verso il basso e scendi …».

Page 39: Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva · l˜autoregolazione, la memoria, le emozioni, il comportamento, la valutazione e il feedback formativi e le tecnologie

Strategia 13: terapia cognitivo-comportamentale 245

• Fase 2: Guida esterna. Il discente svolge il compito mentre l’educatore de-scrive le azioni da compiere: «Adesso scrivi la a; io ti dico cosa fare passo per passo. Tieni la penna in modo che sia sempre a 45 gradi. Parti dall’alto …».

• Fase 3: Guida interna esplicita. Il discente svolge il compito e contemporanea-mente lo descrive: «Questa volta voglio che tu scriva la lettera e che tu descriva man mano ogni cosa che fai» (fornire aiuto se necessario).

• Fase 4: Guida interna meno esplicita. Il discente svolge il compito e contempo-raneamente lo descrive sottovoce: «Ora fallo di nuovo, ma stavolta descrivi sottovoce quello che fai».

• Fase 5: Guida interna tacita e contemporanea esecuzione del compito. Il discente svolge il compito e contemporaneamente «pensa» le azioni: «Ultima volta! Adesso lo fai di nuovo ma le azioni da fare le pensi soltanto, non le descrivi a voce».

• Fase 6: Autorinforzo. Si riconosce la prestazione fornita: «Finito? Adesso ti rimane solo da congratularti con te stesso perché hai fatto un ottimo lavoro».

Benché questo esempio sia veramente molto distante dal lavoro sui disturbi della condotta o sull’ansia, spero che aiuti a comprendere le componenti chiave della TCC; potrebbe anche essere un modo «neutro» per introdurre i discenti ai passi necessari per affrontare questi disturbi.

Il programma FRIENDS per il benessere emozionale

FRIENDS è un programma manualizzato di TCC in 10 sessioni che utiliz-za strategie comportamentali e cognitive, nonché il lavoro sulle manifestazioni fisiologiche delle emozioni, per insegnare ai bambini a riconoscere l’ansia e a rilassarsi, a identificare i pensieri ansiogeni disfunzionali e a sostituirli con pensieri più utili. Il programma prevede il lavoro in grande e piccolo gruppo, con lo svolgimento di attività carta e matita, role-playing, giochi e quiz.6

Un altro esempio

In un altro tipo di TCC, ai discenti viene insegnato ad affrontare le situazioni problematiche utilizzando una serie di passi. Di seguito quelli per fronteggiare le situazioni che provocano risposte aggressive:1. fermati e pensa prima di agire: frena le risposte aggressive utilizzando l’au-

todialogo interno;

Page 40: Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva · l˜autoregolazione, la memoria, le emozioni, il comportamento, la valutazione e il feedback formativi e le tecnologie

246 Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva

2. identifica il problema: individua gli aspetti specifici di una situazione pro-blematica che potrebbero suscitare una risposta aggressiva;

3. sviluppa soluzioni alternative: elabora almeno due soluzioni alternative alla situazione problematica; ad esempio pensare a qualcos’altro fino a che non riesci a rilassarti e/o allontanarti per evitare ulteriori provocazioni;

4. valuta le conseguenze delle possibili soluzioni considerando i vantaggi di ognuna;

5. scegli e metti in pratica una soluzione.7

E un altro ancora

È stata proposta anche una procedura, articolata in sei passi, per aiutare i discenti a fare «scelte sagge».1. L’insegnante e gli studenti discutono i motivi dell’utilità di una strategia

per gestire la rabbia o altri comportamenti impulsivi.2. Verbalizzando ad alta voce, l’insegnante mostra come utilizzare l’autodia-

logo per guidare il proprio ragionamento.3. Utilizzando una serie di situazioni di role-playing, l’insegnante aiuta gli

studenti a esercitarsi nell’uso della strategia.4. Durante le lezioni, l’insegnante osserva e annota le occasioni in cui gli

studenti possono utilizzare la strategia e registra i casi in cui la usano effi-cacemente.

5. Gli studenti annotano le situazioni in cui, durante il giorno, provano rabbia e utilizzano la strategia e registrano i risultati ottenuti.

6. Si valuta l’efficacia dell’intervento e lo si modifica in base ai progressi com-piuti dagli studenti.8

Le evidenze

La TCC è una delle terapie per bambini e adolescenti sulle quali è stato condotto il maggior numero di studi.9 Di seguito presento i risultati di 4 meta-analisi, 4 rassegne e 9 studi rappresentativi. La principale variabile dipendente era l’ansia, ma la ricerca ha riguardato anche aggressività, autolesionismo, depressione, autismo, comportamento antisociale, problemi di condotta, ADHD e trauma.• Di particolare importanza per gli educatori è una meta-analisi, del 1999, di

23 studi condotti nel contesto scolastico che hanno valutato gli effetti della

Page 41: Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva · l˜autoregolazione, la memoria, le emozioni, il comportamento, la valutazione e il feedback formativi e le tecnologie

Strategia 13: terapia cognitivo-comportamentale 247

TCC sui discenti con iperattività/impulsività e comportamenti aggressivi. L’effect size medio era 0.74, con l’89% degli studi che rilevava progressi maggiori per i soggetti dei gruppi sperimentali rispetto ai controlli. Tutti gli studi prevedevano l’uso di strategie volte ad aiutare i bambini ad aumentare il proprio autocontrollo, principalmente attraverso l’utilizzo dell’autodialogo interno per regolare il comportamento (per una descrizione del metodo si veda sopra).10

• Una meta-analisi ha valutato l’efficacia della TCC nella riduzione dei com-portamenti dirompenti dei bambini a scuola analizzando 27 studi condotti tra il 1987 e il 1997. La meta-analisi ha rivelato che i bambini che seguivano la TCC mostravano meno problemi di comportamento dirompente rispetto a quelli che non la seguivano, con un effect size medio complessivo di 0.29. Usata in combinazione con contingenze gestite dall’insegnante, la TCC non si dimostrava più efficace nel ridurre i comportamenti dirompenti rispetto a quando veniva usata da sola.11

• Una meta-analisi condotta da ricercatori olandesi ha esaminato 30 studi sugli effetti della TCC sul comportamento antisociale nei bambini. Alla fine dell’in-tervento l’effect size medio era 0.48, mentre al follow-up (effettuato in soli 12 studi) era 0.66. Si riscontrava una relazione positiva tra l’età dei bambini e l’effect size, che indicava che la TCC era più efficace con i bambini più grandi. Dati i prerequisiti cognitivi necessari per questo tipo di terapia, questo risultato non sorprende affatto. I ricercatori sottolineavano che, essendo gli effetti ottenuti dalla TCC con i bambini con comportamento antisociale inferiori a quelli ottenuti con il parent training (si veda la Strategia 5), la TCC poteva essere forse più utile all’interno di un approccio multimodale. Accennavano inoltre alla possibilità di combinarla all’uso di psicofarmaci, tema che esula dagli ambiti di interesse di questo libro.12

• Una precedente sintesi di 14 meta-analisi sulla TCC condotte tra il 1983 e il 1991 rilevava effect size compresi tra 0.15 e 0.99, con una media di 0.66.13

• Una rassegna condotta nel Regno Unito ha rilevato risultati positivi simili per la TCC.14 Questa rassegna ha esaminato le evidenze di ricerca riguardo agli effetti di quattro approcci di intervento psicologico per bambini e ragazzi: TCC, counseling centrato sulla persona, terapia psicodinamica e interventi che utilizzavano attività creative. Per la TCC, rispetto agli altri approcci, si riscontravano evidenze migliori.

L’analisi più dettagliata degli studi considerati ha indicato che la TCC era efficace per i disturbi comportamentali e della condotta, l’ansia, problemi scolastici, condotte autolesionistiche e abuso sessuale.

Page 42: Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva · l˜autoregolazione, la memoria, le emozioni, il comportamento, la valutazione e il feedback formativi e le tecnologie

248 Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva

Ad esempio:− ansia: uno studio ha riscontrato evidenze dell’efficacia della TCC su un

campione di bambini dai 6 ai 13 anni con ansia generalizzata, ansia da separazione e disturbi evitanti;15

− depressione: con soggetti di 13-18 anni la TCC dava risultati migliori che non con soggetti di 6-11 anni, probabilmente per effetto dei maggiori livelli di funzionamento cognitivo degli adolescenti;16

− autolesionismo: uno studio ha rilevato che la TCC breve era efficace nel ridurre l’uso di sostanze.17

• Una delle rassegne della Cochrane — che sono considerate tra le più rigorose e prestigiose — evidenziava che i disturbi d’ansia sono relativamente comuni, interessando dal 5% al 18% dei bambini e degli adolescenti. Tali disturbi sono accompagnati da una compromissione significativa del funzionamen-to sociale e scolastico e, quando si protraggono nel tempo, danno luogo al rischio di depressione, tentativi suicidari e abuso di sostanze in età adulta. Questa rassegna ha esaminato 31 studi che avevano coinvolto 498 soggetti sperimentali e 311 controlli. Gli autori hanno rilevato che la TCC risultava efficace, rispetto alla condizione di controllo (lista d’attesa per il trattamento con TCC), per i disturbi d’ansia in bambini e adolescenti. Il 56% dei soggetti sperimentali mostrava miglioramenti rispetto al 28% dei controlli. Non sono state riscontrate evidenze di effetti diversi tra la TCC individuale, di gruppo e per la famiglia. La rassegna si concludeva raccomandando l’uso della TCC per il trattamento dei disturbi d’ansia in età infantile; tuttavia, dato che solo l’età dei partecipanti considerati aveva mostrato miglioramenti, si faceva presente la necessità di sviluppare ulteriormente questo approccio terapeutico.18

• Una rassegna più recente, sempre della Cochrane, si è concentrata sugli effetti della TCC su disturbi della condotta a esordio precoce in bambini dai 3 ai 12 anni, rilevando che gli interventi comportamentali e gli interventi cognitivo-comportamentali di gruppo per i genitori erano efficaci, e vantaggiosi in termini di costi/benefici, nel migliorare i problemi di condotta dei figli, la salute mentale dei genitori e le abilità genitoriali nel breve termine. Venivano auspicati ulteriori studi per la valutazione dei risultati nel lungo termine.19

• Questi risultati sono stati confermati, con una leggera differenza, da uno studio australiano sugli effetti della sola TCC e della TCC più una componente di in-tervento familiare su bambini di 7-14 anni con diagnosi di ansia da separazione, disturbo d’ansia generalizzato o fobia sociale. Al follow-up, effettuato a distanza di sei mesi, è stato rilevato che il 70% dei bambini in entrambe le condizioni di trattamento, a fronte del solo 26% dei controlli, non presentavano più i requisiti per le diagnosi. A differenza della rassegna della Cochrane, questo studio ha

Page 43: Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva · l˜autoregolazione, la memoria, le emozioni, il comportamento, la valutazione e il feedback formativi e le tecnologie

Strategia 13: terapia cognitivo-comportamentale 249

riscontrato che la componente di intervento familiare aveva un suo effetto: dopo 12 mesi, nel gruppo che aveva seguito la sola TCC si era mantenuto il tasso di miglioramento del 70%, mentre in quello della condizione TCC più intervento familiare era migliorato il 95,6% dei soggetti.20

• Una rassegna sulla TCC del trauma ha riportato che più dell’80% dei bambini traumatizzati mostrava miglioramenti significativi con 12-16 settimane di TCC. Le componenti principali di questo intervento consistevano nell’aiutare il bambino ad acquisire abilità di regolazione emotiva, abilità di gestione dello stress, modi di condividere racconti del trauma, un’elaborazione cognitiva ed emozionale adattiva delle esperienze traumatiche e modalità per fronteggiare i futuri ricordi del trauma.21

• Uno studio americano ha confrontato gli effetti della TCC centrata sulla famiglia e della tradizionale TCC centrata sul bambino nei disturbi d’ansia, riscontrando risultati simili a quelli della ricerca descritta sopra. I partecipanti, 40 bambini di 6-13 anni, sono stati assegnati con procedura casuale a una delle due condizioni. La differenza principale tra di esse stava nel fatto che, nella condizione di TCC centrata sulla famiglia, era previsto un training sulla comunicazione per i genitori. Entrambi i gruppi hanno evidenziato miglio-ramenti in tutte le misure di risultato, compresi i sintomi d’ansia, ma la TCC centrata sulla famiglia ha dimostrato di produrre ulteriori benefici.22

• La TCC centrata sulla famiglia e la TCC centrata sul bambino sono state uti-lizzate per aiutare un gruppo di soggetti (età media 11,33 anni) con disturbi bipolari attraverso 12 sessioni di un’ora che coinvolgevano attivamente sia i bambini sia i genitori. Prima e dopo il trattamento sono stati valutati sia la gravità dei sintomi sia il funzionamento. Al termine della terapia, i bambini hanno evidenziato una riduzione significativa nei punteggi di gravità dei sintomi. Purtroppo non è stato utilizzato alcun gruppo di controllo.23

• Un altro studio ha confrontato gli effetti di programmi di TCC individuale e di gruppo coinvolgendo 37 soggetti di 8-14 anni con disturbi d’ansia che sono stati assegnati con procedura casuale a tre condizioni: TCC di gruppo, TCC individuale e gruppo di controllo. Dopo un periodo di 9 settimane di intervento, è risultata migliorata una percentuale significativamente superiore di soggetti dei due gruppi sperimentali (73% di quelli nella condizione individuale e 50% di quelli nella condizione di gruppo) rispetto a quello di controllo (8%). Questi risultati si sono mantenuti al follow-up effettuato tre mesi dopo.24

• Uno studio condotto in Spagna ha valutato l’efficacia della TCC da sola e abbinata a un training sulla gestione della rabbia con 23 bambini con ADHD, con e senza comportamenti aggressivi. Sono quindi stati formati quattro gruppi appaiati che hanno tutti ricevuto il trattamento di TCC, che includeva anche una

Page 44: Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva · l˜autoregolazione, la memoria, le emozioni, il comportamento, la valutazione e il feedback formativi e le tecnologie

250 Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva

componente di potenziamento dell’autocontrollo (per mezzo di autoistruzioni insegnate tramite modellamento e usando contingenze comportamentali). I risultati hanno indicato miglioramenti significativi in numerose misure da parte di tutti i quattro gruppi. Nel caso dei bambini con ADHD e comportamenti aggressivi, i miglioramenti sono stati leggermente superiori nella condizione in cui la TCC era abbinata al training sulla gestione della rabbia.25

• Uno studio canadese ha indagato gli effetti di una variante della TCC, defi-nita Cognitive Orientation to daily Occupational Performance (CO-OP), sulle prestazioni motorie di bambini (età media 9,05 anni) con disturbi della coordi-nazione motoria. Con il programma CO-OP si insegna ai bambini a utilizzare l’autodialogo e strategie di problem solving per risolvere problemi motori. Gli effetti di questo approccio sono stati confrontati con quelli del Contemporary Treatment Approach (CTA), incentrato sugli aspetti motori dell’acquisizione di abilità. Entrambi gli interventi hanno determinato prestazioni migliori, ma i progressi compiuti dal gruppo con il quale era stato utilizzato il CO-OP erano superiori a quelli ottenuti dal gruppo con il quale era stato utilizzato il CTA, vantaggio che si è mantenuto alle misure di follow-up.26

• In una rassegna su un’altra variante della TCC, un gruppo di ricercatori bri-tannici ha riportato i risultati del programma Promoting Alternative Thinking Strategies (PATHS; Promuovere Strategie Alternative di Pensiero), volto a migliorare le competenze sociali ed emozionali e a ridurre l’aggressività in bambini di scuola primaria. Dalla rassegna è emerso che — secondo studi controllati randomizzati condotti negli Stati Uniti, nei Paesi Bassi e nel Regno Unito — il PATHS riduceva i comportamenti aggressivi, migliorava l’autocontrollo e aumentava la tolleranza alla frustrazione e l’empatia.27

• Una ricerca ha indagato gli effetti della TCC sulla depressione negli adolescenti attraverso trattamenti effettuati in quattro scuole secondarie di 2° grado ame-ricane. Applicando un protocollo manualizzato di intervento individuale in 12 sessioni, 8 psicologi hanno trattato un totale di 50 adolescenti. I risultati hanno evidenziato che l’intervento risultava efficace con soggetti di genere, età ed etnia diversi e anche per varie comorbilità (ad esempio esperienze traumatiche e pregressi tentativi suicidari).28

• Un’altra indagine condotta negli Stati Uniti ha valutato — tramite uno studio controllato randomizzato — gli effetti di un intervento su ansia e abilità sociali (Multimodal Anxiety and Social Skill Intervention, MASSI) su 30 adolescenti con disturbi dello spettro autistico e sintomi d’ansia medio-gravi. L’intervento in questione combina terapia individuale, insegnamento delle abilità sociali in gruppo e formazione dei genitori. I partecipanti e i loro genitori hanno riferito di essere stati molto soddisfatti del programma e i soggetti hanno mostrato un miglioramento del 16% nella competenza sociale.29

Page 45: Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva · l˜autoregolazione, la memoria, le emozioni, il comportamento, la valutazione e il feedback formativi e le tecnologie

Strategia 13: terapia cognitivo-comportamentale 251

• Presso l’Università di Bath, Gran Bretagna, Paul Stallard e colleghi hanno valutato a più riprese gli effetti del programma FRIENDS. In uno dei loro studi, un gruppo di infermiere scolastiche sono state formate per sommini-strare il programma a 106 bambini di 9-10 anni. A distanza di tre mesi dal termine del programma, l’ansia si era ridotta significativamente e l’autostima era migliorata, anche per i bambini con i problemi emozionali più gravi.30 Risultati analoghi sono stati ottenuti in un secondo studio che ha coinvolto 213 bambini, anch’essi di 9-10 anni.31 In un terzo studio, 20 studenti di 11-16 anni con depressione o ansia sono stati assegnati con procedura casuale al gruppo sperimentale, che avrebbe seguito un programma di TCC (Think, Feel, Do) mediato dal computer e un gruppo sperimentale. I soggetti del gruppo sperimentale hanno evidenziato miglioramenti in misure quali ansia, depressione e autostima.32

• Infine, una vasta rassegna del 2011 ha presentato i risultati degli studi sulla TCC con soggetti con autismo ad alto funzionamento. Gli autori concludevano che:− sono stati sviluppati diversi programmi di intervento di TCC per bambini

e adolescenti con autismo ad alto funzionamento;− al momento non esiste una base di evidenze definitive a sostegno di questi

programmi, cosa dovuta in misura non irrilevante a limiti metodologici;− sulla base dei dati disponibili, gli effect size variano da piccoli a grandi, a

seconda dello studio e delle misure di esito utilizzate;− molti programmi appaiono potenzialmente validi, ma occorrono ulteriori

valutazioni.33

Gestire i rischi

Tre fattori possono limitare l’uso della TCC.1. Poiché richiede maturità cognitiva per comprendere concetti come quelli

di autodialogo e autoistruzione, la sua efficacia con i bambini piccoli sarà limitata, e perciò, con questo gruppo di età, dovrebbe essere utilizzata con cautela.

2. Il discente deve essere preparato a esercitarsi nelle abilità che vengono inse-gnate nella TCC, il che a sua volta richiede un alto livello di collaborazione da parte dei genitori, alto livello di collaborazione che potrebbe non essere sempre disponibile.

3. Come ho già accennato in precedenza, ci sono alcune perplessità circa l’efficacia della TCC nel trattamento dell’ADHD ed è stato ipotizzato che potrebbe essere più utile combinarla con altri trattamenti, come quello farmacologico o l’intervento comportamentale.34

Page 46: Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva · l˜autoregolazione, la memoria, le emozioni, il comportamento, la valutazione e il feedback formativi e le tecnologie

252 Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva

Conclusioni

La TCC è un intervento d’elezione ben consolidato per molte condizioni, soprattutto per adolescenti con disturbi d’ansia e depressione, aggressività, rifiuto della scuola e disturbi da stress post traumatico. Con i bambini più piccoli può essere utilizzata con alcune cautele. È consigliabile combinare la TCC con il parent training.

Per approfondimenti

Kendall P.C. (a cura di) (2005), Child and adolescent therapy: Cognitive-behavioral procedures, 3rd edition, New York, Guilford Publications.

Mennuti R.B., Freeman A. e Christner R.W. (a cura di) (2006), Cognitive-behavioral interventions in educational settings: A handbook for practice, New York, Routledge.

Reinecke M.A., Dattilio F.M. e Freeman A. (a cura di) (2003), Cognitive therapy with children and adolescents: A casebook for clinical practice, 2nd edition, New York, Guilford Publications.

Note1 National Association of Cognitive-Behavioral Therapists, http://www.nacbt.org/whatiscbt.htm

(consultato il 17 dicembre 2012).2 Meichenbaum D.H. (1977), Cognitive-behavior modification: An integrative approach, New York, Ple-

num Press; Meichenbaum D.H. e Goodman J. (1971), Training impulsive children to talk to themselves: A means of developing self-control, «Journal of Abnormal Psychology», vol. 77, pp. 115-126.

3 Van de Wiel N., Mattys W., Cohen-Kettenis P.C. e Van Engeland W. (2002), Effective treatments of school-aged conduct disordered children: Recommendations for changing clinical and research practices,«European Child and Adolescent Psychiatry», vol. 11, pp. 79-84.

4 Ellis A. (1975), A new guide to rational living, NewYork, Prentice Hall. Trad. it., A ben pensare si vive meglio, Trento, Erickson, 2016.

5 Meichenbaum, 1977; Meichenbaum e Goodman, 1971.6 Stallard P., Simpson N., Anderson S. e Goddard M.(2008), The FRIENDS emotional health prevention

programme, «European Child and Adolescent Psychiatry», vol. 17, n. 5, pp. 283-289. 7 Etscheidt S. (1991), Reducing aggressive behavior and increasing self-control: A cognitive- behavioral

training program for behaviorally disordered adolescents, «Behavioral Disorders», vol. 16, n. 2, pp. 107-115.

8 Robinson T.R. (2007), Cognitive behavioural interventions: Strategies to help students make wise be-havioural choices, «Beyond Behavior», vol. 17, pp. 7-13.

9 Pattison S. e Harris B. (2006), Added value to education through improved mental health: A review of the research evidence on the effectiveness of counselling for children and young people,«The Australian Educational Researcher», vol. 33, n. 2, pp. 97-121.

10 Robinson T.R., Smith S.W., Miller M.D. e Brownell M.T. (1999), Cognitive behavior modification of hyperactivity-impulsivity and aggression: A meta-analysis of school-based studies, «Journal of Educational Psychology», vol. 91, n. 2, pp. 195-203.

11 Ghafoori B. e Tracz S.M. (2001), Cognitive-behavioral therapy as a clinical intervention for childhood disruptive behaviours: A meta-analysis, ERIC Document Reproduction Service, n. ED 457182.

Page 47: Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva · l˜autoregolazione, la memoria, le emozioni, il comportamento, la valutazione e il feedback formativi e le tecnologie

Strategia 13: terapia cognitivo-comportamentale 253

12 Van de Wiel et al., 2002.13 Lipsey M.W. e Wilson D.B. (1993), The efficacy of psychological, educational, and behavioral treatment:

Confirmation from meta-analysis, «American Psychologist», vol. 48, n. 12, pp. 1181-1209.14 Pattison e Harris, 2006.15 Compton S.N.B., Burns B.J., Egger H.L. e Robertson E. (2002), Review of the evidence base for treatment

of childhood psychopathology: Internalising disorders, «Journal of Consulting and Clinical Psychology», vol. 70, n. 6, pp. 1240-1266.

16 Compton et al., 2002.17 Breslin C., Li S., Sdao-Jarvie K., Tupker E. e Ittig-Deland V. (2002), Brief treatment for young substance

abusers: A pilot study in an addiction treatment setting, «Psychology of Addictive Behaviours», vol.16, n. 1, pp. 10-16.

18 James A., Soler A. e Weatherall R. (2005), Cognitive behavioural therapy for anxiety disorders in children and adolescents, «The Cochrane Database of Systematic Reviews», n. 4, art. n. CD004690.

19 Furlong M., McGilloway S., Bywater T., Hutchings J., Donnelly M., Smith S.M. e O’Neill C. (2010), Behavioral/cognitive-behavioral group-based parenting interventions for children age 3-12 with early onset conduct problems, «The Cochrane Library», n. 1.

20 Barrett P.M., Dadds M.R. e Rapee R.M. (1996), Family treatment of childhood anxiety: A controlled trial, «Journal of Consulting and Clinical Psychology», vol. 64, pp. 333-342.

21 National Child Traumatic Stress Network (USA), http://www.NCTSNet.org (consultato il 2 gennaio 2013).

22 Wood J., Piacentini J.C., Southam-Gerow M., Chu B.C. e Sigman M. (2006), Family cognitive be-havioural therapy for child anxiety disorders, «Journal of the American Academy of Child and Adolescent Psychiatry», vol. 45, n. 3, pp. 314-321.

23 Pavuluri M.N., Graczyk P.A., Henry D.B., Carbray J.A., Heidenrich J.L. e Miklowitz D.J. (2006), Child and family-focussed cognitive-behavioral therapy for pediatric bipolar disorder, «Journal of the American Academy of Child and Adolescent Psychiatry», vol. 43, n. 5, pp. 528-537.

24 Flannery-Schroeder E.C. e Kendall P.C. (2000), Group and individual cognitive behavioural treatment for youth with anxiety disorders: A randomized clinical trial,«Cognitive Therapy and Research», vol. 24, n. 3, pp. 251-278.

25 Miranda A. e Presentacion M.J. (2000), Efficacy of cognitive-behavioral therapy in the treatment of children with ADHD, with and without aggressiveness, «Psychology in the Schools», vol. 37, n. 2, pp. 169-182.

26 Miller L.T., Polatajko H.J., Missiuna C.A., Mandich A.D. e MacNab J.J. (2001), A pilot trial of a co-gnitive treatment for children with developmental coordination disorder, «Human Movement Science», vol. 20, pp. 183-210.

27 Bywater T. e Sharples J.(2012), Effective evidence based interventions for emotional well-being: Lessons for policy and practice, «Research Papers in Education», vol. 27, n. 4, pp. 389-408.

28 Shirk S.R., Kaplinski H. e Gudmundsen G. (2009), School-based cognitive-behavioral therapy for ado-lescent depression: A benchmark study, «Journal of Emotional and Behavioral Disorders», vol. 17, n. 2, pp. 106-117.

29 White S.W., Ollendick T., Albano A.M., Oswald D., Johnson C., Southam-Gerow M.A., Kim I. e Scahill L. (2013), Randomized controlled trial: Multimodal Anxiety and Social Skill Intervention for adolescents with autism spectrum disorder, «Journal of Autism and Developmental Disorders», vol. 43, pp. 382-394.

30 Stallard P., Simpson N., Anderson S., Hibbert S. e Osborn C. (2007), The FRIENDS emotional health programme: Initial findings from a school-based project, «Child and Adolescent Mental Health», vol. 12, n. 1, pp. 32-37.

31 Stallard P., Simpson N., Anderson S., Carter T., Osborn C. e Bush S. (2005), An evaluation of the FRIENDS programme: A cognitive behavior therapy intervention to promote emotional resilience, «Ar-chives of Disorders of Childhood», vol. 90, n. 10, pp. 1016-1019.

32 Stallard P., Richardson T., Velleman S. e Attwood M. (2011), Computerized CBT (Think, Feel, Do) for depression and anxiety in children and adolescents: Outcomes and feedback from a pilot randomized controlled trial, «Behavioural and Cognitive Psychotherapy», vol. 39, n. 3, pp. 273-284.

33 Wood J.J., Fujii C. e Renno P. (2011), Cognitive behavioural therapy in high-functioning autism: Re-view and recommendations for treatment development. In B. Reichow, P. Doehring, D.V. Cicchetti e

Page 48: Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva · l˜autoregolazione, la memoria, le emozioni, il comportamento, la valutazione e il feedback formativi e le tecnologie

254 Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva

F.R. Volkmar (a cura di), Evidence based practices and treatments for children with autism, New York, Springer, pp. 197-230.

34 PelhamW.E. e Gnagy E.M.(1999), Psychosocial and combined treatments for ADHD, «Mental Retar-dation and Developmental Disorders», vol. 5, n. 3, pp. 225-236.

Page 49: Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva · l˜autoregolazione, la memoria, le emozioni, il comportamento, la valutazione e il feedback formativi e le tecnologie

16Strategia 14: Direct Instruction

«Dare alle lezioni forte strutturazione, ritmo sostenuto ed efficacia»

Classificazione:

La strategia

La Direct Instruction è una strategia didattica a più componenti incentra-ta sull’insegnamento guidato dal docente, esplicito e sistematico che si basa sull’uso di lezioni pianificate e su una valutazione frequente. Le sue applicazioni più note sono i programmi per insegnare la lettura, la scrittura, l’ortografia e la matematica pubblicati da Scientific Research Associates (SRA). Nonostante la sua efficacia dimostrata, la direct instruction è un approccio controverso e spesso criticato per l’enfasi che pone sull’insegnante «attivatore» anziché «facilitatore».1

Benché non siano esattamente equivalenti alla direct instruction, i seguen-ti approcci hanno molto in comune con esso: precision teaching, insegnamento esplicito, insegnamento strutturato e insegnamento sistematico.

Nel modello di apprendimento e insegnamento, la direct instruction si collega alle richieste esterne di svolgere un compito e alle risposte esterne. Si colloca nell’approccio comportamentista all’apprendimento descritto nel capitolo 2.

L’idea di fondo

La direct instruction nacque negli anni Sessanta negli Stati Uniti dagli studi di Bereiter, Becker ed Engelmann dell’Università dell’Illinois. Rice-

Page 50: Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva · l˜autoregolazione, la memoria, le emozioni, il comportamento, la valutazione e il feedback formativi e le tecnologie

256 Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva

vette un forte impulso quando fu inserito nel progetto Follow Through, una prosecuzione di Head Start, dello US Office for Education e da allora il suo utilizzo si è progressivamente diffuso. Il progetto Follow Through è uno studio molto importante condotto negli Stati Uniti tra il 1968 e il 1976 allo scopo di valutare diverse strategie educative per bambini a rischio provenienti da famiglie a basso reddito. L’obiettivo era quello di aumentare i livelli di prestazione delle scuole più povere dal 20° al 50° percentile, obiettivo che fu in gran parte raggiunto per i discenti con i quali vennero utilizzati la di-rect instruction e l’analisi del comportamento (Strategia 12), ma non per quelli con i quali vennero utilizzati altri approcci definiti in maniera generale «centrati sul bambino».2

La direct instruction ebbe origine da tre tipi di analisi: del comportamento, della comunicazione e dei sistemi di conoscenza.1. L’analisi del comportamento cerca di comprendere come l’ambiente in-

fluenza il comportamento, occupandosi di capire come motivare i discenti, come favorire e rinforzare le risposte e come correggere gli errori.

2. L’analisi della comunicazione cerca di comprendere come impostare sequenze di insegnamento efficaci così da prevenire confusione, scarsa generalizzazione o ipergeneralizzazione.

3. L’analisi dei sistemi di conoscenza cerca di organizzare o classificare la conoscenza in modo logico e di capire come veicolare le abilità al discente.3

La pratica

L’ID ha 12 caratteristiche principali.4

1. Insegnamento esplicito e sistematico

Nella direct instruction, le lezioni sono pianificate nel modo più logico e progressivo possibile. Sono altamente strutturate e l’insegnamento delle abilità target viene pianificato in anticipo. La sequenza delle lezioni si basa su un’attenta analisi dei contenuti dei vari sistemi di conoscenza che com-pongono il curricolo scolastico (ad esempio letto-scrittura, matematica) e sulla scomposizione dei materiali nuovi in piccole unità. Ci si aspetta che gli insegnanti abbiano chiari gli obiettivi di ogni lezione e in particolare cosa i discenti dovrebbero saper e saper fare in seguito all’insegnamento. I discenti dovrebbero essere informati chiaramente su cosa ci si aspetta da loro.

Page 51: Cosa funziona realmente nella didattica speciale e inclusiva · l˜autoregolazione, la memoria, le emozioni, il comportamento, la valutazione e il feedback formativi e le tecnologie

Strategia 14: direct instruction 257

2. Lezioni predefinite

Nella direct instruction, gli educatori propongono una serie di compiti attentamente graduati accompagnati da spiegazioni fornite in momenti precisi. L’educatore sa esattamente cosa dire e cosa chiedere per permettere ai discenti di manifestare cosa hanno compreso o di quale tipo di aiuto hanno bisogno. Le lezioni predefinite (che generalmente, con il tempo, gli insegnanti imparano a memoria) assicurano che gli educatori presentino le attività utilizzando do-mande e osservazioni formulate nel modo più efficace per spiegare il compito in questione. L’insegnante parla il meno possibile. Sono indicate procedure specifiche per la correzione e le modalità con cui l’insegnante dovrebbe mo-strare cosa ci si aspetta dai discenti. Per esempi di lezioni predefinite si veda il sito dell’Università del Kansas.5

3. Importanza del ritmo

Per promuovere al massimo la partecipazione e le potenzialità di ap-prendimento dei discenti, e per evitare che si distraggano, nell’ID le lezioni prevedono per loro molte opportunità di rispondere. Le lezioni procedono a un ritmo sostenuto; 15 opportunità di risposta al minuto sono la norma.

4. Alti livelli di successo

Benché venga mantenuto un ritmo sostenuto, l’obiettivo principale di ogni lezione, nella direct instruction, è la padronanza, cioè che tutti i discenti eseguano l’abilità in maniera autonoma e senza commettere errori. Le lezioni dovrebbero concludersi con un tasso di partecipazione e di successo del 90% o più. Gli educatori vigilano sul livello di comprensione da parte dei discenti, fanno attenzione a rilevare gli errori e insegnano a identificarli e correggerli immediatamente. Si presuppone infatti che, se non vengono corretti immedia-tamente, gli errori si consolidano rendendo sempre più difficile per i discenti acquisire materiali nuovi e più lunghi i tempi per rimediare successivamente. Ai discenti, inoltre, viene richiesto di completare i compiti assegnati. Gli stu-denti con difficoltà di apprendimento o comportamento, proprio perché di rado finiscono i compiti, sono particolarmente esposti al rischio di sviluppare un senso di incapacità o impotenza. Alcuni sviluppano addirittura sofisticati metodi per evitare di finirli! Di conseguenza, non hanno nulla da mostrare ai genitori o agli amici che possano guardare dicendo: «Questo l’ho fatto