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Corte dei conti Consiglio di Presidenza Corso di formazione ed aggiornamento: Spese giudiziali e spese legaliRoma, 8 luglio 2010 Intervento: La regolazione delle spese nel giudizio pensionistico di Piergiorgio Della Ventura

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Corte dei conti

Consiglio di Presidenza

Corso di formazione ed aggiornamento: “Spese giudiziali e spese legali”

Roma, 8 luglio 2010

Intervento: La regolazione delle spese nel giudizio pensionistico

di Piergiorgio Della Ventura

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Sommario: 1. Premessa. La regolamentazione generale delle spese giu-

diziali: spese di giustizia e spese legali. 2. Il regime delle spe-se di lite nelle controversie previdenziali: le spese di giustizia. 3. Le spese legali. La normativa in materia. 4. Le tradizionali posizioni della giurisprudenza contabile sulle spese legali nei giudizi di pensione. 5. Le più recenti pronunzie dei giudici contabili: l’ipotesi di soccombenza del pensionato. 6. La soc-combenza dell’amministrazione e la sentenza n. 4/2009/QM delle Sezioni riunite. Conclusioni.

= ° = 1. Premessa. La regolamentazione generale delle spe-

se giudiziali: spese di giustizia e spese legali

Quando si parla di spese “di lite”, o del giudizio, ci si riferisce (spesso

indifferentemente) a tutti gli oneri che l’attività giurisdizionale comporta: e cioè,

da un lato, le spese relative al compimento degli atti processuali – tasse di bol-

lo, diritti, notifiche, consulenze tecniche d’ufficio, etc. – che costituiscono le

spese di giustizia e, dall’altro, le spese legali, quelle connesse con il pagamen-

to degli onorari dei difensori. I due aspetti, specie per ciò che riguarda il pro-

cesso pensionistico innanzi alla Corte dei conti, vanno tenuti distinti.

E’ noto che, ordinariamente, tutte le spese del giudizio - da intendersi,

appunto, sia quelle relative ai legali patrocinatori delle parti, che quelle pretese

dallo Stato per il servizio "giustizia" - devono essere poste a carico dalla parte

soccombente.

Il principio generale, fissato dall’art. 91 c.p.c., è infatti nel senso che il

giudice condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore

dell’altra parte 1. E’ quindi corretto assumere che il fatto oggettivo della soc-

1 Si riporta il testo completo dell’art. 91 c.p.c. (“Condanna alle spese”), nella sua attuale formu-lazione, a seguito della novella di cui alla legge 18 giugno 2009, n. 69: “[1] Il giudice, con la sentenza che chiude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al rimborso del-

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combenza assurge a criterio generale (e principale) per l’individuazione della

parte tenuta al pagamento delle spese di causa 2: in altri termini, di fronte

all’alternativa tra individuare un criterio genericamente valido per imputare le

spese di giudizio ad una delle parti in causa e mantenere le stesse a carico di

chi le ha anticipate, a prescindere dall’esito dell’azione, il codice di rito ha di-

sposto nel senso di condannare al pagamento degli oneri (propri, dello Stato e

di controparte) il soccombente.

La soluzione adottata dal legislatore, allora, intende far sì che la parte

che ha inutilmente resistito o inutilmente agito pur non avendone diritto, sia

sottoposta ad una sorta di ulteriore sanzione civile. In realtà, più che di una

sanzione, di ambigua configurazione poiché disposta dall’Autorità giudiziaria in

favore di un soggetto privato e non dello Stato, si tratta di uno degli effetti do-

vuti ad una certa condotta processuale; tale criterio ha comunque il pregio di

essere avvertito come socialmente corretto nel maggior numero di casi, pro-

prio perché è normalmente valutato come ingiusto il comportamento di chi ha

resistito, o se attore ha agito, pur non avendone ragione: per ciò stesso, e an-

che per avere inutilmente impegnato le forze della giustizia, egli deve essere in

qualche modo colpito. Per le stesse ragioni, in caso di rinunzia, le spese vanno

poste a carico del rinunziante 3; infine, nell’ipotesi di estinzione del giudizio per

sopravvenuta cessazione della materia del contendere, l’eventuale addebito

delle spese va verificato con il criterio della c.d. “soccombenza virtuale” 4.

le spese a favore dell'altra parte e ne liquida l'ammontare insieme con gli onorari di difesa. Se accoglie la domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa, condanna la parte che ha rifiutato senza giustificato motivo la proposta al pagamento delle spese del pro-cesso maturate dopo la formulazione della proposta, salvo quanto disposto dal secondo com-ma dell’articolo 92 [2] Le spese della sentenza sono liquidate dal cancelliere con nota in mar-gine alla stessa; quelle della notificazione della sentenza, del titolo esecutivo e del precetto sono liquidate dall'ufficiale giudiziario con nota in margine all'originale e alla copia notificata. [3] I reclami contro le liquidazioni di cui al comma precedente sono decisi con le forme previste negli artt. 287 e 288 dal capo dell'ufficio a cui appartiene il cancelliere o l'ufficiale giudiziario”. 2 V. PUNZI, C:, Il processo civile, vol. I, II ed., Torino 2010, pag. 366; SASSANI, B., Lineamenti del processo civile italiano, II ed., Milano 2010, pag. 401. 3 Dispone l’art. 306 c.p.c.: “[1] Il processo si estingue per rinuncia agli atti del giudizio quando questa è accettata dalle parti costituite che potrebbero aver interesse alla prosecuzione. (…) [4] Il rinunciante deve rimborsare le spese alle altre parti, salvo diverso accordo tra loro (…)“. 4 Cfr., per il giudizio contabile, Corte dei conti, Sezione giurisdizionale Lombardia, 31 luglio 2001, n. 1155; v., ancora, Sezione giurisdizionale Lombardia, 18 dicembre 2008, n. 961. In dottrina, v. SCIASCIA M., Diritto processuale contabile, IV ed., Milano 2009, pag. 242.

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Prevede poi l’art. 92 c.p.c. che, nell’ipotesi di reciproca soccombenza,

ovvero per altre “gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella mo-

tivazione” (secondo la nuova formulazione dettata dall’art. 45, comma 11 della

L. 18 giugno 2009, n. 69), il giudice può compensare, in tutto o in parte, le

spese di causa 5; si tratta di tutti quei casi in cui applicando, sic et simpliciter, il

principio della soccombenza, si otterrebbe un risultato ingiusto se fossero ad-

dossate al soccombente, quanto meno totalmente, le spese di causa 6.

In ogni caso, la possibilità di compensazione delle spese tra le parti è

ora molto più circoscritta che nel passato, e legata a quelle gravi ed eccezio-

nali ragioni, delle quali peraltro il giudice è tenuto a dare espressamente conto

nella motivazione della sentenza 7.

La nuova disposizione, ai sensi dell’art. 2, comma 4 della L. 28 dicem-

bre 2005, n. 263, entra in vigore il 1º marzo 2006 8 e si applica ai soli procedi-

menti instaurati successivamente a tale data.

Più in particolare, quanto all’ipotesi di compensazione totale, la giuri-

sprudenza precedente alla legge n. 69/2009 aveva avuto occasione di tipiz-

zarne i casi: a) la peculiarità, in fatto o in diritto, della vicenda; b) l’impossibilità

di decidere il giudizio prima della fase istruttoria; c) la novità della fattispecie

dal punto di vista dei precedenti; d) il contrasto giurisprudenziale sulla specifi-

ca materia; e) l’accoglimento della domanda attorea solo in forza di uno ius

superveniens oppure di sentenza di incostituzionalità; ecc..

5 In origine la norma parlava, più semplicemente, di “altri giusti motivi”; una modifica, prece-dente a quella della legge del 2009, era stata già apportata dall’art. 2 L. 28 dicembre 2005, n. 263, che aveva aggiunto l’inciso “… esplicitamente indicati nella motivazione”. 6 Si riporta il testo completo dell’art. 92 c.p.c., nella sua attuale formulazione: “[1] Il giudice, nel pronunciare la condanna di cui all'articolo precedente, può escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice, se le ritiene eccessive o superflue; e può, indipendentemente dalla soccombenza, condannare una parte al rimborso delle spese, anche non ripetibili, che, per trasgressione al dovere di cui all'art. 88, essa ha causato all'altra parte. [2] Se vi è soc-combenza reciproca o concorrono altre gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti. [3] Se le parti si sono conciliate, le spese si intendono compensate, salvo che le parti stesse abbiano diversamente convenuto nel processo verbale di conciliazione”. 7 DELLA VENTURA P., in AA.VV. (a cura di GARRI F.), I giudizi innanzi alla Corte dei conti, IV ed., Milano 2007, pag. 624. 8 Termine così modificato dall’art. 39-quater del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 273, con-vertito con L. 23 febbraio 2006, n. 51.

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E’ verosimile, peraltro, ritenere che tali “ampie” indicazioni siano da ri-

vedere, alla luce della più severa, attuale formulazione del secondo comma

dell’art. 92 c.p.c., il quale consente un ricorso più limitato, da parte dei giudici,

alla compensazione delle spese di lite.

Sempre con riferimento ai profili generali, occorre tenere presente i prin-

cipi posti dal successivo art. 96 del c.p.c., in tema di responsabilità aggravata

a carico della parte soccombente che abbia agito o resistito in giudizio con ma-

la fede o colpa grave (lite temeraria) e che, su istanza dell'altra parte, va con-

dannata alle spese e al risarcimento dei danni. L’art. 45, comma 12 della legge

n. 69/2009, cit., ha poi aggiunto alla norma in esame un terzo comma, ai sensi

del quale “In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91,

il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pa-

gamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determi-

nata”.

Anche questa disposizione contribuisce a rendere indubbiamente più

difficile la posizione del soccombente, laddove consente al giudice di determi-

nare una somma a suo carico, anche in difetto di richiesta di parte e anche se

non sussistessero tutti i presupposti di una lite temeraria.

2. Il regime delle spese di lite nelle controversie pre-videnziali: le spese di giustizia

Con riferimento alle spese di giustizia, va premesso che le cause di la-

voro e previdenza, per antica tradizione, sono caratterizzate da una tendenzia-

le gratuità e quindi, in primo luogo, dall’esenzione dalle varie imposte.

In particolare, per il processo innanzi alla Corte dei conti occorre fa-

re riferimento, in primo luogo, alla disciplina delle spese di giustizia nel

processo pensionistico di guerra. Quest’ultimo gode di una serie di esen-

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zioni fiscali e contributive, fissate da varie normative succedutesi nel tem-

po:

1. esenzione dall’imposta di bollo sui ricorsi (posta, da ultimo, dall’art.

116 del D.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915 e successive modificazioni);

2. esenzione dalla tassa fissa di ricorso di cui all’art. 5 della legge 21

marzo 1953 n. 161 (attualmente, v. l’art. 257 del testo unico sulle spe-

se di giustizia – D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115);

3. esenzione dall’imposta di bollo per le sentenze e per gli altri atti del

processo (art. 12 della tab. "Allegato B" annessa al D.P.R. 26 ottobre

1972, n. 642, come modificato dall'articolo 28 del D.P.R. 30 dicembre

1982, n. 955);

4. esenzione dalle spese per le consulenze tecniche di ufficio, da ritener-

si implicita nella prefigurazione di organi interni alla pubblica ammini-

strazione deputati a fornire pareri medico-legali al giudice contabile

(Ufficio medico legale presso il Ministero della salute, Collegio medico

legale presso il Ministero della difesa e, oggi, anche gli ospedali civili e

militari: v. art. 2 della legge 8 ottobre 1984, n. 658, richiamato dall’art 1,

comma 3, del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453, convertito in

legge 14 gennaio 1994, n. 19) 9.

Dal complesso di tali previsioni normative, la pacifica giurisprudenza

contabile, quanto alle spese di giustizia, ha tratto la voluntas legis di una

completa gratuità dei giudizi pensionistici di guerra 10.

9 PEZZELLA F., Le spese di giudizio nel processo pensionistico dinanzi la Corte dei Conti, i-nedito, in corso di pubblicazione. Sempre con riferimento alle spese per le consulenze tecni-che d’ufficio, parte della dottrina contesta che esse seguano il generale principio della gratuità e ritiene che debbano, invece, seguire il criterio ordinario della soccombenza, ex art. 91 c.p.c.; in tal senso, v. ORICCHIO M., Il contenzioso previdenziale, Padova 2010, pag. 446 e segg.. In giurisprudenza, v. nello stesso senso Corte dei conti, Sezione giurisdizionale Basilicata, 5 lu-glio 2001, n. 190. 10 Cfr., ex plurimis, Sezione I app., 27 dicembre 2001, n. 389, la quale addirittura esclude ogni possibile condanna alle spese del privato, anche per quanto riguarda le spese legali e nel ca-so di responsabilità aggravata: “Attesa l'essenziale gratuità del processo pensionistico di guer-ra, che esclude l'applicazione analogica dell'art. 96 c.p.c., in nessun caso la parte privata ri-masta soccombente può essere condannata alla rifusione delle spese, ivi comprese quelle le-gali e di difesa sopportate dalla controparte, neppure quando essa abbia agito o resistito in giudizio in mala fede o con colpa grave”.

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Per quel che riguarda la generalità dei giudizi pensionistici (civili, militari

e di guerra) il regime fiscale è parimenti nel senso che tutti gli atti relativi al

processo - quindi i ricorsi, le istanze, le memorie di parte, le certificazioni, le re-

lazioni, ed infine le decisioni stesse – sono esenti dall’imposta di bollo e da

ogni altra tassa, spesa o diritto di qualsiasi natura, e devono essere redatti in

carta semplice: art. unico della legge 2 aprile 1958, n. 319, come sostituito

dall’art. 10 della legge 11 agosto 1973, n. 533 11.

La Corte Costituzionale, con sentenza 6 luglio 2001, n. 227, ha dichia-

rato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 10 della legge

n. 533/1973, cit., sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione,

precisando che la prevista esenzione fiscale si applica a tutti i procedimenti,

anche non formalmente previsti dalla norma (la questione riguardava l’azione

revocatoria esercitata per conservare la garanzia patrimoniale del credito di la-

voro), ma comunque finalizzati alla tutela del credito di lavoro 12.

Si ricorda, inoltre, che l’art. 10 in questione era stato abrogato, con de-

correnza 1° luglio 2002, dall’art. 23, comma 2 della legge 29 marzo 2001, n.

134; pochi mesi dopo, tuttavia, il su detto art. 23, comma 2 è stato sostituito

dall’articolo unico della legge 6 dicembre 2001, n. 437, il quale dispone che “Il

testo della legge sul gratuito patrocinio, approvato con R.D. 30.12.1923, n.

3282 e gli articoli da 11 a 16 della legge 11 agosto 1973, n. 533 sono abrogati

a decorrere dal 1.7.2002”. In conseguenza di quanto sopra, è stato ritenuto

11 Si riporta il testo della norma: “Gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi alle cause per controversie individuali di lavoro o concernenti rapporti di pubblico impiego, gli atti relativi ai provvedimenti di conciliazione dinanzi agli uffici del lavoro e della massima occupazione o previsti da contratti o accordi collettivi di lavoro nonché alle cause per controversie di previ-denza e assistenza obbligatorie sono esenti, senza limite di valore o di competenza, dall’imposta di bollo, di registro e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura. (OMISSIS)”. 12 Sempre con riferimento al processo pensionistico innanzi alla Corte dei conti, è opportuno poi ricordare la sentenza n. 103 del 23 aprile - 6 maggio 1976, con la quale la Corte Costitu-zionale ha dichiarato l'incostituzionalità dell’art. 5 della L. 21 marzo 1953, n. 161, laddove pre-vedeva il versamento di una tassa fissa, inizialmente di L. 3.000. Sono stati in seguito sop-pressi gli ulteriori contributi previsti in proposito: il decreto del Ministero del lavoro e della pre-videnza sociale del 24 dicembre 1988 - emanato ai sensi dell'art. 14 della L. 20 settembre 1980, n. 576 e succ. mod. - ha soppresso, a decorrere dal 1° gennaio 1989, il contributo di L. 10.000 a favore della Cassa avvocati, di cui alla tabella B allegata alla L. 22 luglio 1975, n. 319; sempre il citato art. 14 L. n. 576/1980 ha infine disposto la cessazione, a partire dal 31 dicembre 1984, del contributo oggettivo, previsto per ciascuna decisione della Corte dei conti, di cui alla successiva tabella C della medesima legge n. 319/1975.

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che, non essendo più prevista l’abrogazione dell’art. 10 L. n. 533/1973, per i

giudizi in materia previdenziale sia stata confermata l’esenzione dall’imposta di

bollo e dal contributo unificato 13.

Di recente è però intervenuto l'articolo 24 del D.L. 25 giugno 2008, n.

112, conv. con L. 6 agosto 2008, n. 133 (“Taglia-leggi”), che ha nuovamente

disposto - tra gli altri - l’abrogazione dell’articolo unico della legge n. 319/1958,

così come successivamente modificato e sostituito.

Tuttavia, va chiarito che l’abrogazione dell’articolo unico della legge n.

319/1958 trova la sua ragion d’essere nella circostanza che analoghe esen-

zioni fiscali erano già state trasfuse all’art. 10 del testo unico sulle spese di

giustizia (D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, cit.) con riferimento al contributo uni-

ficato (quindi, si sono trasformate in esenzioni dal contributo unificato); la nor-

ma abrogatrice, però, non ha tenuto conto dei processi - tra i quali quello con-

tabile - ai quali non si applica la disciplina sul contributo unificato.

E’ possibile, allora, ritenere che si tratti di una mera dimenticanza che,

in quanto tale, non può comportare alcun effetto penalizzante per i processi

contabili, anche perché vi sarebbe comunque ampio spazio interpretativo per

ridurre ad unità, sotto i profili qui in considerazione, la disciplina delle esen-

zioni dalle spese di giustizia, senza discriminare i processi non assoggettabili

a contributo unificato 14.

In conclusione, è da ritenere che tuttora, nel contenzioso pensionistico

innanzi al Giudice contabile, non abbiano rilievo alcuno le spese di giustizia,

per l’esenzione “… dall'imposta di bollo, di registro e da ogni spesa, tassa o di-

ritto di qualsiasi specie e natura”, disposta dall’art. unico della L. 2 aprile 1958,

13 Per una ricostruzione completa dell’intera vicenda, v. ORICCHIO, cit., pag. 430 e segg.. 14 E’ la tesi, del tutto condivisibile, di PEZZELLA, cit.. Anche la Sezione III d’appello, con sen-tenza 29 dicembre 2009, n. 609, proprio con riferimento al sopravvenuto art. 24 D.L. n. 112/2008, ha provveduto a ribadire la persistenza del “…principio di gratuità posto, per le cau-se previdenziali, dall’art. 10 della l. n. 533/1973; principio al quale la giurisprudenza di questa Corte attribuisce carattere di generalità (cfr. Sez. 4^ Pens. Mil. n. 73062/1989, n. 76190/1990 e n. 77639/1991), in contrasto con quella del Giudice ordinario (cfr. Corte di cassazione n. 5996/1979), ma in coerenza con la rubrica della predetta disposizione. Va solo chiarito, trat-tandosi di norma abrogata con l’art. 24 d.l. n. 112/2008, convertito in l. n. 133/2008, che il pre-sente giudizio d’appello è stato instaurato in data anteriore alla decorrenza dell’abrogazione stessa e che, comunque, innanzi a questa Corte non trovano applicazione le regole sul contri-buto unificato, il che depone per il sostanziale persistere del principio in parola nell’ambito pro-cessuale che ne occupa”.

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n. 319, come sostituito dall’art. 10 della L. 11 agosto 1973, n. 533. In questo

senso, comunque, si è sempre pronunziata la costante giurisprudenza contabi-

le, anche successiva al su detto D.L. n. 112/2008: v., ex multis, Corte dei conti,

Sezione I app., 18 novembre 2009, n. 642 e 23 novembre 2009, n. 648; Se-

zione III app., 1 ottobre 2007, n. 272; Sezione giurisdizionale Lombardia, 13

aprile 2006, n. 253 e 9 ottobre 2007, n. 481; v., inoltre, Sezione IV pensioni mi-

litari, 9 febbraio 1989, n. 73062 e 27 dicembre 1991, n. 77639 15.

Sempre a proposito delle spese di giustizia, va evidenziato come la

giurisprudenza contabile sia solita regolare tali spese con la formula “spese

compensate“ o altra equivalente: v. Sezione IV pensioni militari, 17 febbraio

1976, n. 43379; Sezione III pensioni civili, 13 maggio 1986, n. 59005; Sezio-

ne giurisdizionale Sardegna, 21 dicembre 1987, n. 734; Sezione I app., 5

maggio 2010, n. 314 e 4 maggio 2010, n. 307; Sezione II app., 6 maggio

2010, n. 175 e 4 maggio 2010, n. 162.

Per la verità, la formula “spese compensate”, riferita alle spese di giu-

stizia, non appare del tutto corretta, giacchè tali spese nei processi pensioni-

stici ordinari non sono dovute (e, allora, non possono essere suscettibili di al-

cuna compensazione). Pertanto, nella prassi, l’espressione “spese compen-

sate” ha lo stesso significato e ha prodotto i medesimi effetti della formula

“nulla per le spese” (non a caso caratteristica dei giudizi per pensioni di guer-

ra, per i quali mai si è dubitato della relativa gratuità): in entrambe le ipotesi il

pensionato soccombente è lasciato esente dall’obbligo del pagamento delle

spese di giustizia.

In ogni caso, nelle pronunzie più recenti si inizia ad adottare, sempre

più di frequente, anche per i processi pensionistici ordinari, la formula “nulla

per le spese”, con espresso richiamo al principio di gratuità delle spese di

giustizia, ritenuto di portata generale: v. Corte dei conti, Sezione III app., 29

dicembre 2009, n. 609 (il cui passaggio argomentativo sulle spese di giustizia

15 In dottrina, v. CORSETTI A., Le pensioni dei dipendenti pubblici – regime sostanziale e tute-la processuale, Padova 2007, pag. 396 e CASO L., in AA.VV. (a cura di TENORE V.), La nuo-va Corte dei conti, Milano 2008, pag. 951.

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è riportato alla nota 14), 19 aprile 2010, n. 299 e 21 aprile 2010, n. 315; Se-

zione II app., 4 maggio 2010, n. 157 e 4 maggio 2010, n. 159.

3. Le spese legali. La normativa in materia

Più articolato e complesso è il problema delle spese legali nel conten-

zioso previdenziale.

La materia è disciplinata in modo diverso rispetto al rito ordinario, poi-

ché, mentre per quest’ultimo la regola generale dell’art. 91 c.p.c. (già in prece-

denza esaminato) è nel senso che la parte soccombente rimborsi le spese di

lite alla controparte vittoriosa, nel processo previdenziale si applica l’art. 152

disp. att. c.p.c. il quale, nella sua originaria formulazione, prevedeva l’esonero

dalle spese di lite per il lavoratore che avesse intrapreso una causa previden-

ziale e fosse poi risultato soccombente nei confronti dell’ente previdenziale 16.

La norma era stata abrogata dall'art. 4 del D.L. 19 settembre 1992, n.

384, conv., con modificazioni, nella L. 14 novembre 1992, n. 438; tale ultima

disposizione veniva, però, dichiarata costituzionalmente illegittima dalla Corte

Costituzionale, con sentenza 13 aprile 1994, n. 134.

Più di recente, l’art. 152 in esame è stato profondamente modificato

dall’art. 42, comma 11, del D.L. 30 settembre 2003 n. 269, convertito in legge

24 novembre 2003 n. 326; quest’ultimo dispone che la parte soccombente,

salva la previsione di cui all’art. 96 c.p.c. (responsabilità processuale aggrava-

ta per lite temeraria), non possa essere condannata alle spese di lite solo ove

sia titolare, nell’anno precedente a quello della pronuncia, di un reddito impo-

nibile ai fini IRPEF, risultante dall’ultima dichiarazione dei redditi, pari o inferio-

re a due volte l’importo del reddito stabilito ai sensi dell’art. 76, commi da 1 a

3, e 77 del T.U. sulle spese di giustizia, di cui al D.P.R. n. 115/2002, cit.. Il rin-

16 L’originaria formulazione dell’art. 152 disp. att. c.p.c. era: “152. Spese, competenze e onora-ri nei giudizi per prestazioni previdenziali — Il lavoratore soccombente nei giudizi promossi per ottenere prestazioni previdenziali non è assoggettato al pagamento di spese, competenze ed onorari a favore degli istituti di assistenza e previdenza, a meno che la pretesa non sia mani-festamente infondata e temeraria”.

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vio operato dalla norma, dunque, è alla legge sul gratuito patrocinio a spese

dello Stato, nei giudizi sia civili che penali; quest’ultima normativa individua lo

stato di non abbienza, ai fini dell’ammissione al gratuito patrocinio, prendendo

a riferimento il reddito del richiedente e, se convivente, dell’intero nucleo fami-

liare risultante dallo stato di famiglia. Ai fini del calcolo del reddito del nucleo

familiare devono essere computati anche i redditi esenti dall’IRPEF (quali ad

esempio pensioni militari esenti, indennità di accompagnamento, rendita Inail,

pensione di guerra, casa di abitazione) o che sono soggetti alla ritenuta alla

fonte a titolo d’imposta, ovvero ad imposta sostitutiva.

La nuova disposizione è entrata in vigore il 1º ottobre 2003 e si applica

ai soli procedimenti instaurati successivamente a tale data 17.

La ratio dell’innovazione normativa va inquadrata in un’ottica di conte-

nimento delle vertenze in materia previdenziale, il cui numero (e onere com-

plessivo) è sempre stato elevato, grazie anche alla sostanziale assenza di

spese di qualsiasi tipo (fiscali, di assistenza – giacchè il ricorrente, almeno in-

nanzi alla Corte dei conti, può costituirsi personalmente – e finanche quelle le-

gate alla soccombenza). Tale tendenza normativa, finalizzata alla deflazione

del contenzioso, è proseguita con la più recente legge 18 giugno 2009, n. 69, il

cui art. 52, comma 6, ha aggiunto un ulteriore, ultimo periodo all’art. 152 disp

att. c.p.c.: “Le spese, competenze ed onorari liquidati dal giudice nei giudizi

per prestazioni previdenziali non possono superare il valore della prestazione

dedotta in giudizio” 18: ciò all’evidente scopo di scoraggiare la proposizione di

17 Come precisato da Cassazione, SS.UU., 1° marzo 2004, n. 4165 e 8 marzo 2004, n. 4657; in dottrina, v. VENTURINI L., Il giudizio pensionistico pubblico, Roma 2009, pag. 205 e ORIC-CHIO, cit., pag. 439. 18 L’art. 152 disp. att. c.p.c., nella sua attuale formulazione, così recita: “152. Esenzione dal pagamento di spese, competenze e onorari nei giudizi per prestazioni previdenziali — Nei giu-dizi promossi per ottenere prestazioni previdenziali o assistenziali la parte soccombente, salvo comunque quanto previsto dall'art. 96, primo comma, del codice di procedura civile, non può essere condannata al pagamento delle spese, competenze ed onorari quando risulti titolare, nell'anno precedente a quello della pronuncia, di un reddito imponibile ai fini IRPEF, risultante dall'ultima dichiarazione, pari o inferiore a due volte l'importo del reddito stabilito ai sensi degli artt. 76, commi da 1 a 3, e 77 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia di cui al d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115. L'interessato che, con rife-rimento all'anno precedente a quello di instaurazione del giudizio, si trova nelle condizioni indi-cate nel presente articolo formula apposita dichiarazione sostitutiva di certificazione nelle con-clusioni dell'atto introduttivo e si impegna a comunicare, fino a che il processo non sia definito, le variazioni rilevanti dei limiti di reddito verificatesi nell'anno precedente. Si applicano i commi 2 e 3 dell'art. 79 e l'art. 88 del citato testo unico di cui al d.p.r. n. 115 del 2002. Le spese, com-

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cause di minimo valore economico, che nel precedente regime di tendenziale

gratuità erano invece frequenti.

Il limite di reddito inizialmente previsto dalla legge n. 326/2003, per rin-

vio alla legge sul gratuito patrocinio, era pari a € 18.592,44 (ovvero due volte €

9.296,22 di cui ai citati artt. 76 e 77), innalzato di € 1.032,91 per ogni familiare

convivente, come risultanti dallo stato di famiglia, ed il cui reddito deve essere

anch’esso computato nel calcolo del reddito del nucleo familiare rilevante sia

nelle controversie previdenziali che nel gratuito patrocinio.

L’art. 77 del d.lgs. n. 115/2002 prevede anche che l’importo complessi-

vo dei redditi debba essere adeguato ogni due anni in relazione alla variazio-

ne, accertata dall’ISTAT, dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di

operai ed impiegati, verificatasi nel biennio precedente.

Un primo adeguamento è avvenuto con D.M. del Ministero della giusti-

zia del 29.12.2005, per cui l’importo dei limiti di reddito si è elevato da €

18.592,44 a € 19.477,68, fermo restando l’elevazione di € 1.032,91 per ogni

familiare convivente. L’ulteriore modifica dei parameri di reddito è avvenuta a

distanza di oltre tre anni dall’ultimo intervento normativo in materia, con ade-

guamento dell’importo dei limiti di reddito previsto per l'ammissione al patroci-

nio a spese dello Stato, elevato da € 9.723,84 a € 10.628,16 annui e, quindi,

per le cause previdenziali a € 21.526,32: v., in proposito, il D.M. del Ministero

della giustizia 20.01.2009, pubblicato sulla G.U. n. 72 del 27 marzo 2009 (“A-

deguamento dei limiti di reddito per l'ammissione al patrocinio a spese dello

Stato”), con il quale è stata ritenuta la necessità di adeguare, per i periodi rela-

tivi al biennio 1°luglio 2004-30 giugno 2006 ed al biennio 1° luglio 2006-30

giugno 2008, il precedente limite di reddito fissato in € 9.723,84, essendosi ve-

rificata una variazione in aumento dell'indice dei prezzi al consumo per le fa-

miglie di operai ed impiegati pari al 9,3% 19.

petenze ed onorari liquidati dal giudice nei giudizi per prestazioni previdenziali non possono superare il valore della prestazione dedotta in giudizio”. 19 Da notare che alla variazione in aumento del reddito del ricorrente non è corrisposta una va-riazione anche dell’importo di elevazione di € 1.032,91 per ognuno dei familiari conviventi (dei quali comunque occorre computare il reddito da essi percepito); tale mancata elevazione ap-pare per la verità poco aderente alla ratio della normativa in materia, sia in considerazione del fatto che tale ultimo importo non è mai variato da quando è stato modificato l’art. 152 disp. att.

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Attualmente, dunque, il beneficio dell’esonero delle spese processuali

permane solo in relazione al reddito del ricorrente e, perché sia possibile usu-

fruirne, la norma prevede che l’interessato che si trovi nelle condizioni specifi-

camente previste, formuli apposita dichiarazione sostitutiva di certificazione

nelle conclusioni del ricorso giudiziario e si impegni a comunicare, finché il

processo non sia definito, le variazioni rilevanti dei limiti di reddito verificatisi

nell’anno precedente. In assenza di tale dichiarazione, il giudice adìto dovreb-

be dunque concludere per il superamento dei limiti di reddito fissati dalla nor-

ma, sopra tutto nei casi in cui l’interessato si sia avvalso di un patrocinatore

legale, che si deve presumere essere edotto degli obblighi di legge 20.

In sintesi, l’attuale regola per le spese legali nei giudizi in materia previ-

denziale è quella secondo cui la condanna alle spese del pensionato ricorrente

è sempre possibile in caso di lite temeraria di cui all’art. 96 c.p.c.; se non ricor-

re tale ipotesi di responsabilità aggravata, la condanna alle spese del privato è

esclusa solamente nell’evenienza di un reddito inferiore a quello innanzi indi-

cato. In tutti gli altri casi, dovrebbe invece operare la regola generale della

soccombenza, di cui agli artt. 91 e 92 c.p.c., già innanzi esaminati 21.

4. Le tradizionali posizioni della giurisprudenza con-tabile sulle spese legali nei giudizi di pensione

Il tema delle spese legali, com’è logico, può riguardare tanto la posizio-

ne del pensionato ricorrente in prime cure, quanto quella dell’amministrazione

(o, comunque, dell’istituto) previdenziale, che resiste nel giudizio innanzi alla

Sezione territoriale e in quello d’appello può essere, a seconda dei casi, parte

c.p.c., e a maggior ragione in una complessiva ottica di effettività della tutela dei diritti di natura previdenziale ed assistenziale. 20 Così VENTURINI, cit., pag. 207. 21 Cfr. Corte dei conti, Sezione giurisdizionale Lombardia, 9 ottobre 2007, n. 481; Sezione giu-risdizionale Valle d’Aosta, 4 ottobre 2006, n. 12. In dottrina, v. ORICCHIO, cit., pag. 439; VEN-TURINI, cit., pag. 205; CORSETTI, cit. pag. 397; SCIASCIA, cit., pag. 883.

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ricorrente o appellata.

Nel caso dell’amministrazione, in passato - vigente il vecchio rito – la

giurisprudenza escludeva decisamente la possibilità di una condanna alle spe-

se, facendo riferimento alla peculiare posizione sia della p.a., che non era par-

te del giudizio, che del PM, figura all'epoca necessaria del processo pensioni-

stico, quale rappresentante della legge: v., ad es., Corte dei conti, Sezione I

pensioni di guerra, 21 febbraio 1987, n. 283470 22, oppure, ancora, Sezione IV

pensioni militari, 12 aprile 1990, n. 75009 23; v., inoltre, Sezione IV pensioni di

guerra, 6 giugno 1991, n. 71429; Sezione IV pensioni militari, 11 febbraio

1991, n. 76064.

Ma anche nei confronti degli stessi pensionati ricorrenti, la giurispru-

denza del tempo enucleava, rendendolo diritto vivente, il principio della gratui-

tà del processo pensionistico, non solo quello di guerra: v., in particolare, Se-

zione IV pensioni militari, 9 febbraio 1989, n. 73062, ove si giudicava infonda-

ta l’istanza del PM, di condanna del ricorrente alle spese legali, sia perché –

argomentavano i giudici - l’allora vigente contesto normativo non prevedeva la

costituzione in giudizio della p.a. interessata, sia (appunto) per la gratuità del

giudizio stesso. Tale posizione era del tutto pacifica 24 e, anzi, è stata soste-

nuta a lungo, anche molto oltre l’entrata in vigore della riforma del 1994-96: v.

ad esempio Sezione I app., 27 dicembre 2001, n. 389, già innanzi riportata al-

la nota 10.

22 Secondo la quale “L'interesse ad agire ex art. 100 c.p.c., se riferito alla posizione processua-le del privato, viene apprezzato di volta in volta dal giudice, mentre se concerne la posizione del PM è apprezzato una volta per tutte dal legislatore, per cui, ove la norma riconosca un po-tere d'azione o di intervento a detto organo, il relativo interesse ad agire è presunto: pertanto, il principio della soccombenza non si applica nei confronti del Procuratore generale della Corte dei conti, stante, appunto, la sua natura di organo pubblico”. 23 Ove si afferma espressamente: “Nei giudizi pensionistici a totale carico dello stato non solo non è previsto da alcuna norma che l'amministrazione debba costituirsi in giudizio ma neppure può ritenersi che sia rappresentata dal Procuratore generale presso la Corte dei conti atteso che le attribuzioni del medesimo - nella sua veste di PM - non tendono alla tutela dell'interesse della p.a. ma perseguono un interesse pubblicistico circa l'esatta applicazione della legge; di conseguenza l'amministrazione, non rivestendo la qualifica di parte processuale, non può neppure essere condannata quale parte soccombente”. 24 Si vedano infatti in proposito, ex plurimis, Sezione I pensioni di guerra, 29 marzo 1988, n. 284825; Sezione IV pensioni militari, 21 novembre 1990, n. 76190; Sezione IV pensioni di guerra, 6 giugno 1991, n. 71429.

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Le leggi di riforma del 1994, come noto, hanno profondamente ridise-

gnato l’impianto del rito pensionistico, con l’eliminazione della figura e delle

funzioni del PM e la trasformazione di esso in un ordinario processo di parti,

inquadrabile nello schema delineato dal codice di procedura civile 25. In con-

seguenza di ciò, anche l’atteggiamento della giurisprudenza in ordine alla re-

golazione delle spese legali è stato rivisto.

Per quel che riguarda in particolare la posizione dell’amministrazione,

hanno precisato alcune pronunzie che il processo pensionistico di primo grado

deve ritenersi gratuito, anche dopo la riforma, ma solo per il pensionato ricor-

rente, non già per l’amministrazione, che può pertanto essere condannata alla

rifusione delle spese, giudiziali e di difesa: v. Corte dei conti, Sezione I app.,

12 maggio 2003, n. 133; Sezione giurisdizionale Sardegna, 6 aprile 1995, n.

224; Sezione giurisdizionale Sicilia, 23 maggio 2006, n. 1855.

Dal lato del ricorrente, la giurisprudenza maggioritaria ha invece conti-

nuato ad affermare la vigenza del principio di gratuità del processo pensioni-

stico, anche rispetto alle spese legali. A questa conclusione qualche pronunzia 26 ha ritenuto di giungere, tra l'altro, anche in base alla constatazione che per il

processo pensionistico non è stato previsto alcun criterio per la determinazio-

ne delle spese legali sostenute dall'amministrazione che agisca o si difenda

con propri funzionari, a differenza di quanto accade per il processo tributario

(nel quale parimenti si prevede che l'amministrazione possa essere rappresen-

tata e difesa in giudizio da propri funzionari), dove le norme espressamente

stabiliscono che “nella liquidazione delle spese a favore dell'ufficio del Ministe-

ro delle finanze, se assistito da funzionari dell'amministrazione, e a favore del-

l'ente locale, se assistito da propri dipendenti, si applica la tariffa vigente per gli

avvocati e procuratori, con la riduzione del venti per cento degli onorari di av-

vocato ivi previsti” (art. 15, comma 2-bis del D.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546).

L’argomento non appare in realtà decisivo poichè, sempre in carenza

di una norma quale quella posta per il contenzioso tributario dall’art. 15,

comma 2-bis del d.lgs. n. 546/1992, la giurisprudenza civile - con riferimento

25 Come del resto precisato, tra le altre, da Sezioni Riunite, 10 giugno 1997, n. 36/QM. 26 Si ricorda Sezione I app., 12 maggio 2003, n. 133, cit..

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alla materia delle sanzioni amministrative di cui alla L. 24 novembre 1981, n.

689, nella quale egualmente la difesa dell’amministrazione in giudizio può

essere assunta da un funzionario - ha ritenuto che la parte soccombente

possa essere condannata al rimborso delle spese vive (e, cioè, delle spese

concretamente affrontate dall’amministrazione per lo svolgimento della dife-

sa, da indicarsi in apposita nota), sempre che esse siano state oggetto di ap-

posita richiesta (cfr. Cassazione civile, Sezione I, 5 giugno 2001, n. 7597; id.,

4 giugno 2001, n. 7540; id., 12 giugno 1999, n. 5809; id., Sezione lavoro, 8

marzo 2000, n. 2642; v. inoltre, in proposito, Corte dei conti, Sezione giurisdi-

zionale Lombardia, n. 253/2006 e n. 481/2007, cit.) 27.

Né sembra che ostino, alla possibilità di una condanna alle spese nei

giudizi pensionistici, ragioni di giurisdizione, apparendo del tutto inconferente

ed isolata la giurisprudenza secondo cui “la questione concernente la quanti-

ficazione delle spese e degli onorari di difesa da rimborsare alla parte attrice,

che sia risultata vittoriosa a seguito del giudizio principale sul diritto pensioni-

stico vantato, va devoluta alla cognizione del giudice ordinario” (così Sezione

giurisdizionale Liguria, 11 dicembre 1995, n. 176)”: ciò in quanto, per effetto

del rinvio dinamico di cui all'art. 26 R.D. 13 agosto 1933, n. 1038, si rendono

immediatamente applicabili ai giudizi pensionistici innanzi alla Corte dei conti

le norme del codice di rito in tema di responsabilità delle parti per le spese

processuali 28.

In ogni caso, lo stesso art. 152 delle disposizioni di attuazione del

c.p.c., nella sua formulazione originaria (in precedenza esaminata), ha trovato

da parte dei giudici contabili scarsa applicazione e, comunque, è stato per lo

più utilizzato non tanto per condannare il pensionato ricorrente temerario alle

spese legali nei confronti dell’amministrazione, quanto per porre un limite

all’applicazione indefinita del principio di gratuità delle spese di giudizio: v.

Corte dei conti, Sezione III app., 6 maggio 2008, n. 153 e 12 gennaio 2004, n.

27 Da evidenziare che il principio della rimborsabilità delle sole spese vive sostenute dall'am-ministrazione, e non anche dell'ammontare dei diritti e degli onorari di avvocato, è stato avalla-to dalla Corte Costituzionale, nelle sentenze 2 aprile 1999, n. 117 e 25 marzo 2005, n. 130. 28 Così, correttamente, PEZZELLA, cit..

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3; Sezione giurisdizionale Umbria, 22 agosto 1996, n. 336 e 4 ottobre 1997, n.

720; Sezione giurisdizionale Veneto, 10 febbraio 1997, n. 74.

Non resta, quindi, che prendere atto che, nell’ipotesi di soccombenza

del pensionato, l’estensione del principio di gratuità anche alle stesse spese

legali, pur dopo la riforma del processo pensionistico, è stata il prodotto di un

“diritto vivente” della giurisprudenza contabile.

Tale tradizione deve tuttavia, ora, essere sottoposta a critica, specie al-

la luce delle più recenti innovazioni normative, in precedenza illustrate: è evi-

dente infatti come il mero riferimento, da parte del giudice contabile, alla natu-

ra pensionistica della controversia non possa costituire, di per sé sola, un vali-

do motivo di compensazione, in quanto ciò significherebbe eludere di fatto la

novella legislativa con cui il legislatore ha chiaramente inteso condurre i giudizi

previdenziali alla regola generale di cui agli artt. 91 e ss. c.p.c..

L'eventuale compensazione delle spese dovrà, quindi, trovare fonda-

mento in circostanze specificamente attinenti il singolo giudizio come, ad e-

sempio, la soccombenza reciproca, la particolare complessità e novità della

questione, la mancanza di giurisprudenza consolidata, particolari ragioni di

equità, ecc. 29.

5. Le più recenti pronunzie dei giudici contabili: l’ipotesi di soccombenza del pensionato

Negli ultimi tempi le applicazioni giurisprudenziali dei principi generali in

materia di spese sono state più puntuali, sopra tutto con riferimento alla nuova

versione delle norme di rito (artt. 91 e 92 c.p.c., ma sopra tutto, appunto, l’art

152 disp. att. c.p.c.) che, come già chiarito in precedenza, non consentono più,

con l’ampiezza di un tempo, la compensazione delle spese legali.

29 Cfr. Corte dei conti, Sezione giurisdizionale Valle d’Aosta, 4 ottobre 2006, n. 12.

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Al riguardo, si possono citare varie pronunzie, nelle quali i giudici con-

tabili hanno provveduto a chiarire e delimitare la portata operativa del nuovo

sistema, sia con riferimento al concetto di responsabilità aggravata ex art. 96

c.p.c., che – più in generale - in ordine al nuovo disposto dell’art. 152 disp. att.

c.p.c., con l’individuazione dei criteri da seguire per la liquidazione delle spese

legali nell’ipotesi – che nella prassi è la regola - in cui la difesa dell’ammini-

strazione sia stata assunta da un funzionario e non da un avvocato 30.

In ordine al concetto di temerarietà ex art. 96 c.p.c., tale fattispecie è

stata ravvisata, secondo la giurisprudenza contabile recente, innanzi tutto nella

palese (o, addirittura, cosciente) infondatezza della domanda 31, ma anche nel

difetto della normale diligenza per l'acquisizione di detta consapevolezza (cioè

nel non aver compiuto alcuna preventiva valutazione in ordine alla ragionevo-

lezza della pretesa) 32; è stato ritenuto inoltre ricorra l’ipotesi della responsabili-

tà aggravata laddove la parte appellante abbia prodotto gravame intempestivo,

avendo ignorato e non espressamente contrastato la giurisprudenza intervenu-

ta in materia di ritualità delle notifiche delle sentenze di primo grado 33; ancora,

è stata affermata la temerarietà della lite nel caso di riproposizione di una

stessa pretesa anche dopo la ripetuta (ed infruttuosa) proposizione di altre

domande giudiziali, sostanzialmente identiche 34; è stata, infine, ravvisata re-

sponsabilità aggravata ai sensi dell'art. 96 del c.p.c. nella (ritenuta) pervicace

resistenza in giudizio, pur in presenza di un chiaro dettato normativo e di un

conforme e consolidato orientamento giurisprudenziale nel senso opposto 35.

La temerarietà del giudizio è stata invece esclusa dalla circostanza che altri

giudici avessero fornito un'interpretazione delle norme in discussione conforme

30 Come consentito, per le amministrazioni statali, dall’art. 3 del R.D. 30 gennaio 1933, n. 1611 e, per gli altri enti pubblici, dall’art. 69, comma 16, L. 23 dicembre 2000, n. 388. 31 Cfr. Sezione giurisdizionale Abruzzo, 11 marzo 2003, n. 120; Sezione giurisdizionale Um-bria, 21 maggio 1998, n. 458; Sezione giurisdizionale Veneto, 10 febbraio 1997, n. 74. 32 Cfr. Sezione giurisdizionale Lombardia, 23 maggio 2007, n. 284; Sezione giurisdizionale Umbria, 15 giugno 2000, n. 305 e 24 agosto 1998, n. 649. 33 Cfr. Sezione I app., 2 agosto 2006, n. 169. 34 Cfr. Sezione giurisdizionale Umbria, 22 agosto 1996, n. 336. 35 Cfr. Sezione giurisdizionale Toscana, 14 gennaio 2005, n. 22. Qui la temerarietà era riferita all’amministrazione, ma si è citato il precedente in quanto espressione di un principio di carat-tere generale.

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alla pretesa pensionistica del ricorrente, circostanza che aveva potuto ingene-

rare nell’interessato il convincimento della fondatezza della tesi da lui propu-

gnata 36.

Sempre in tema di applicazione dell’art. 96 c.p.c, nuovo testo, da parte

dei giudici contabili, va evidenziato come la giurisprudenza recente abbia ini-

ziato ad applicare anche il principio di cui al terzo comma della norma, intro-

dotto dalla legge n. 69/2009 37, e che consente al giudicante di addebitare al

soccombente una somma equitativamente determinata, anche in difetto di ri-

chiesta della controparte: v., al riguardo, Sezione I app., 14 gennaio 2010, n.

21 e 19 febbraio 2010, n. 107; Sezione giurisdizionale Abruzzo, 24 maggio

2010, n. 304 e 25 giugno 2010, n. 351.

Con riferimento invece ai criteri per la liquidazione delle spese legali, si

vedano, in particolare, le già ricordate sentenze della Sezione Lombardia n.

253 del 2006 e n. 481 del 2007, nelle quali il giudice - dopo avere ravvisato gli

estremi della responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c. a carico del privato - ha

pronunziato condanna alle spese a favore dell’INPDAP convenuto nel giudizio,

provvedendo a quantificare le spese da rimborsare a favore dell’ente previ-

denziale: operazione non banale né scontata, giacchè non era possibile fare

riferimento alle tabelle forensi, essendosi l’istituto difeso a mezzo di propri fun-

zionari non appartenenti alla categoria degli avvocati.

In entrambi i casi, il giudicante ha liquidato le sole spese vive di lite, poi-

ché non era stato dimostrato, da parte dell’istituto pubblico resistente, alcun

danno ulteriore, suscettibile di risarcimento. Le spese vive documentate

dall’ente previdenziale, e ritenute meritevoli di risarcimento dal giudice, sono

state allora individuate nei costi sostenuti dall’amministrazione con riferimento

alla specifica controversia, dettagliati per: 1) retribuzione percepita dal funzio-

nario che aveva avuto in cura l’affare; 2) costi di cancelleria e trasporti. La pri-

ma voce (correlata alla retribuzione oraria goduta dal dipendente) è stata ulte-

riormente dettagliata nel tempo impiegato nella gestione del contenzioso nelle 36 Cfr. Sezione III app., 12 luglio 2006, n. 278; in terminis, v. anche Sezione giurisdizionale Lombardia, 27 dicembre 2001, n. 2005. 37 Già esaminato al precedente paragrafo 1, pag. 5.

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sue diverse fasi: studio della causa (n. di ore obiettivamente necessarie allo

scopo), predisposizione della memoria, n. di ore trascorse in udienza.

Uno schema argomentativo analogo a quello appena visto è stato utiliz-

zato in numerose altre decisioni: si possono ricordare, tra le altre, ancora Se-

zione giurisdizionale Lombardia, 31 maggio 2006, n. 314; Sezione giurisdizio-

nale Lazio, 22 novembre 2006, n. 2360 e 9 maggio 2007, n. 688; Sezione I

app., 18 novembre 2009, n. 642 e 23 novembre 2009, n. 648.

Naturalmente – è da chiarire - laddove la parte ricorrente vincitrice si di-

fendesse personalmente e non documentasse specifiche spese, non vi sareb-

be nulla da liquidare a suo favore, nonostante l’altrui soccombenza; alla stessa

conclusione si dovrebbe giungere nel caso in cui fosse la p.a., in caso di vitto-

ria, a non costituirsi o a non documentare alcuna spesa 38.

Un diverso sistema è stato invece adottato nella sentenza della Sezione

giurisdizionale Valle d’Aosta n. 12 del 4 ottobre 2006, la quale ha contestato la

correttezza del criterio di liquidazione seguito dalle pronunzie appena esami-

nate della Sezione lombarda, per la sua incertezza e anche perché esso ri-

schierebbe di addossare indebitamente, al ricorrente, una parte delle spese

generali di funzionamento dell'istituto previdenziale controparte. E’ stato allora

ritenuto preferibile il ricorso ad un parametro predeterminato, alla stregua di

quanto previsto dal ricordato art. 15 d.lgs. n. 546/1992 per il processo tributario

(nel quale, come già accennato, si applica la tariffa vigente per gli avvocati e

procuratori, con la riduzione del venti per cento degli onorari ivi previsti); ciò,

secondo il giudicante, garantirebbe una condizione di effettiva parità tra i con-

tendenti sul piano delle spese processuali, oltre a dirimere ogni dubbio circa i

criteri di liquidazione delle spese in favore della parte pubblica, quantificati sul-

la base di un parametro predeterminato, uniforme e significativo, riconosciuto

valido dalla più recente legislazione e che non discrimina i pensionati soccom-

benti in conseguenza della circostanza accidentale che l'ente di previdenza sia

difeso da un funzionario piuttosto che da un legale.

38 Cfr. Sezione giurisdizionale Lombardia, 31 maggio 2006, n. 313; in dottrina, v. CORSETTI, cit., pag. 398 e VENTURINI, cit., pag. 207.

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Ora, quale che sia il criterio operativo di volta in volta adottato, si può

comunque concludere nel senso che per la giurisprudenza contabile più recen-

te non sembrano sussistere, in linea di massima, ostacoli alla concreta possi-

bilità - nei limiti ricavabili anche ratione temporis dal complesso delle norme

sopra indicate - per una condanna alle spese legali (oltre che

dall’amministrazione, anche) del pensionato che risultasse soccombente in un

processo pensionistico.

6. La soccombenza dell’amministrazione e la senten-za n. 4/2009/QM delle Sezioni riunite. Conclusioni

A seguito dell’entrata in vigore delle norme di riforma del processo

pensionistico innanzi alla Corte dei conti, è stato posto all’attenzione degli

operatori, come innanzi accennato, il problema dell’assoggettabilità o meno

dell’amministrazione, divenuta parte in tutti i processi pensionistici apparte-

nenti alla giurisdizione contabile, al regime di condanna alle spese legali in

caso di soccombenza.

In realtà, però, va detto che il problema ha ricevuto una trattazione e-

splicita solo in poche sentenze 39, mentre la parte maggioritaria della giuri-

sprudenza ha continuato ad utilizzare nel nuovo rito, con riferimento anche

alle spese legali, la formula “nulla per le spese” per i processi pensionistici di

guerra e la formula “spese compensate” per i giudizi pensionistici ordinari.

Tali pronunzie, come già chiarito, comportano, nei loro effetti concreti, il man-

cato rimborso al pensionato delle spese legali, che pure dovrebbero rimanere

a carico dell’amministrazione soccombente secondo il principio generale

dell’art. 91 c.p.c..

39 Si possono ricordare, per quel che riguarda il grado d’appello, Sezione I app., 12 maggio 2003, n. 133, 24 maggio 2005, n. 179 e 12 ottobre 2005, n. 326; Sezione III app., 1° ottobre 2007, n. 272; Sezione app. Sicilia, 8 marzo 2006, n. 61, 2 maggio 2008, n. 175 e 28 maggio 2009, n. 190, citate anche nella sentenza delle SS.RR. n. 4/QM del 2009.

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La Sezione III d’appello, rilevata la sussistenza di un contrasto giuri-

sprudenziale tra le Sezioni giurisdizionali di appello, in particolare all’interno

della Sezione I centrale, in punto di condanna della p.a. alle spese legali nel

processo pensionistico e ritenuto che tale questione presentasse carattere di

generalità ed aspetti di difficile soluzione e di particolare rilevanza, con ordi-

nanza 6 febbraio 2009, n. 66 ha trasmesso degli atti alle Sezioni riunite per la

soluzione della questione di massima concernente la possibilità o meno per il

giudice delle pensioni di condannare, nel giudizio pensionistico di guerra,

l’amministrazione al pagamento delle spese di giudizio e, in particolare, delle

spese legali. Ha rimesso poi, al medesimo organo nomofilattico, di valutare

se la questione, insorta in un processo pensionistico di guerra, fosse suscet-

tibile di una soluzione di carattere più generale, con conseguente estensione

anche al giudizio pensionistico civile e militare.

Le Sezioni Riunite, con sentenza 23 giugno 2009, n. 4/QM, hanno di-

chiarato inammissibile la predetta questione, nell’essenziale rilievo

dell’insussistenza del conflitto di giurisprudenza denunciato. Tale rilievo è sta-

to fondato sulla constatazione che le pronunce giurisprudenziali successive a

quelle indicate dalla Sezione III d’appello remittente “… non evidenziano con-

trasti: alcune concludono, infatti, liquidando le spese legali (Sezione Appello

per la regione Siciliana nn. 61/2006; 175/2008; 190 e 191/2009) altre con la

formula “spese compensate” (1^ Sezione Appello nn. 487/2007; 60/2009; 2^

Sezione appello nn. 303, 329/2008, nn. 87, 154, 180/2009) che, nella sostan-

za, implica la possibilità di una condanna dell’Amministrazione alle spese del-

la specie”.

Tuttavia, va precisato che a parte le sentenze (sopra tutto quelle della

Sezione d’appello per la Sicilia) di esplicita condanna dell’amministrazione, le

altre sentenze citate dalle Sezioni riunite (quelle delle Sezioni I e II d’appello),

con la formula “spese compensate”, più che implicare la possibilità di una

condanna dell’amministrazione alle spese legali, si pongono nel solco di quel-

le pronunce, prima ricordate, che si limitano a trasporre, nel rito riformato dal-

le leggi del 1994, le clausole caratteristiche del vecchio rito (nulla per le spe-

se o spese compensate); tali formule, oggi come allora, sono però riferibili al-

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le spese di giustizia e impropriamente vengono utilizzate – come già eviden-

ziato - per le spese legali.

Oltre a ciò, va anche considerato che le Sezioni riunite non hanno te-

nuto conto - in ciò, forse, condizionate anche dall’impostazione dell’ordinan-

za di deferimento - che il contrasto di giurisprudenza in materia sarebbe stato

da riferire non solo al limitato numero di sentenze che hanno espressamente

affrontato il problema, riconoscendo la possibilità di condanna alle spese del-

la p.a., ma tenendo anche conto, appunto, delle numerose sentenze che, con

l’utilizzo delle formule “spese compensate” o “nulla per le spese” hanno, di

fatto, risolto negativamente il problema: insomma, il ruolo di giurisprudenza

consolidata è stato riconosciuto ad una giurisprudenza che, in realtà, è pro-

babilmente minoritaria 40.

In ogni caso, è auspicabile che anche la sentenza dell’organo nomofi-

lattico, al di là della sua declaratoria di inammissibilità, possa contribuire ad

arricchire il dibattito in materia e a sollecitare la giurisprudenza contabile ad

uscire finalmente dalla zona d’ombra di una sostanziale elusione del proble-

ma della regolazione delle spese nei giudizi di pensione: problema la cui so-

luzione va trovata nel doveroso rispetto della volontà del legislatore delle re-

centi riforme, senza che ciò implichi una minore attenzione per la particolare

posizione delle parti coinvolte in giudizio, tra le quali figurano anche categorie

sociali tradizionalmente deboli.

40 PEZZELLA, cit.