CORSO DI STUDIUM E 2001-2002 UNA IDEA SEMPLICE. LA … · 84 Personaggi s-pensierati o la...

22
Maria Delia Contri 1. Da Schopenhauer a Nietzsche: la bestia precede l’uomo Il sottotitolo di oggi fa riferimento a uno degli ultimi testi di Nietzsche, L’Anticristo e la maledizione del cristianesimo del 1888. La scelta degli autori che abbiamo compiuto - alcuni sono poeti, altri filosofi e apparentemente risultano disparati sia per collocazione nel tempo sia per attività - lungi dall’essere casuale, mira a ricostruire una costellazione di pensieri che si sono imposti e fissati nella cultura grazie alla loro rielaborazione. Ha ragione Freud quando dice che un pensiero, una volta pensato, non scompare più. Nome file data Contesto Relatori Liv. revisione 020323SC3.pdf 23/03/2002 ENC A Colombo GB Contri MD Contri Pubblicazione CORSO DI STUDIUM ENCICLOPEDIA 2001-2002 UNA IDEA SEMPLICE. LA PIETRA SCARTATA. IL PENSIERO «COMMEDIE» DEL PENSIERO 23 MARZO 2002 5° LEZIONE PERSONAGGI S-PENSIERATI O LA DECAPITAZIONE DELLA CIVILTÀ L’ANTICRISTO E LA MALEDIZIONE DEL CRISTIANESIMO SECONDO NIETZSCHE

Transcript of CORSO DI STUDIUM E 2001-2002 UNA IDEA SEMPLICE. LA … · 84 Personaggi s-pensierati o la...

Maria Delia Contri

1. Da Schopenhauer a Nietzsche: la bestia precede l’uomo

Il sottotitolo di oggi fa riferimento a uno degli ultimi testi di Nietzsche, L’Anticristo e la maledizione del cristianesimo del 1888. La scelta degli autori che abbiamo compiuto - alcuni sono poeti, altri filosofi e apparentemente risultano disparati sia per collocazione nel tempo sia per attività - lungi dall’essere casuale, mira a ricostruire una costellazione di pensieri che si sono imposti e fissati nella cultura grazie alla loro rielaborazione.

Ha ragione Freud quando dice che un pensiero, una volta pensato, non scompare più.

Nome file data Contesto Relatori Liv. revisione

020323SC3.pdf 23/03/2002 ENC A Colombo GB Contri MD Contri

Pubblicazione

CORSO DI STUDIUM ENCICLOPEDIA 2001-2002 UNA IDEA SEMPLICE. LA PIETRA SCARTATA. IL PENSIERO

«COMMEDIE» DEL PENSIERO

23 MARZO 2002

5° LEZIONE

PERSONAGGI S-PENSIERATI

O LA DECAPITAZIONE DELLA CIVILTÀ

L’ANTICRISTO E LA MALEDIZIONE DEL CRISTIANESIMO SECONDO

NIETZSCHE

Maria Delia Contri 81

Come si sarebbe detto un tempo, Nietzsche fa parte di quel “programma di ricerca” che già Dante formula con il famoso verso “fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”, il cui contenuto è anche e-spresso da un’altra immagine dantesca, quella secondo cui gli uomini sono “vermi nati a formar l’angelica farfalla”. Per Dante dunque a precedere l’uomo ci sarebbe dapprima un verme e in seguito l’angelica farfalla oppure, che è lo stesso, il bruto, cioè la bestia. La stessa idea, senza sostanziali diffe-renze, viene riproposta da chi sostiene che questa pretesa naturalità umana debba essere frenata, educata, ridotta in nome di virtù o valori o, all’opposto, debba essere sfrenata, perché essa è la libertà. Se non è zuppa è pan bagnato: resta che nell’uomo c’è una bestia.

È lo schema di Nietzsche, che Freud dice di non aver voluto leggere per mantenere la propria autonomia di elaborazione di pensiero, avvertendo la vicinanza delle questioni. Credo in realtà che ne abbia letto a sufficienza per raccoglierne certe formulazioni.

Freud riconosce invece di aver letto Schopenhauer e di averne raccolto le questioni. Quanto alla formulazione moderna e contemporanea della questione del bruto in relazione alla virtù e conoscenza, Schopenhauer è in effetti il primo autore ad aver posto la tematica dell’Io scisso tra ragione e animalità o istinto, scissione che corrisponde poi alla distinzione tra malattia e sanità. Prima di Schopenhauer si parlava di peccaminosità dell’essere umano e di ricerca di salvezza.

Senza Schopenhauer non si può capire Nietzsche che rovescia, senza cri-ticare, l’impostazione di Schopenhauer.

2. Freud contro Schopenhauer

Secondo Schopenhauer, che esclude la conoscenza puramente contempla-tiva, l’uomo conosce il mondo attraverso l’azione. Persino spazio e tempo vengono posti dall’esistenza di un’azione. Proprio questo introduce nella conoscenza un elemento di disordine, di scissione e di contraddizione. Perché l’azione, come è comprensibile, è mossa dalla volontà. Ma la volontà non è razionale - è il passaggio su cui si inserisce la critica freudiana - , essa trae origine non dalla ragione ma dal corpo, che è il principio di individuazione dell’ente uomo. Poiché il corpo è soggetto all’istinto, la volontà pesca nell’irrazionalità dell’istinto. Ciò equivale a sostenere che l’istinto è irraziona-le e privo di ragione, anche se, a ben osservare, neanche l’istinto animale è irrazionale. Secondo questa impostazione, l’istinto è a sua volta contraddittorio in quanto, spingendo l’individuo verso la sopravvivenza individuale, di fatto lo

82 Personaggi s-pensierati o la decapitazione della civiltà

pone in continua lotta con gli altri individui. Ma la lotta di ciascuno contro tutti per la propria sopravvivenza, lotta nella quale sopravvive il più forte, produce la sopravvivenza della specie. Anche nella natura esisterebbe dunque un istinto di sopravvivenza della specie.

La logica secondo cui è la volontà a muovere l’azione e l’azione è la base si cui si costruisce la conoscenza introduce quindi un elemento di tensione mortale e dunque di dolore, turbamento, odio, ostilità, pericolosità e, per con-seguenza, il problema della liberazione da questo stato.

Ma anche questo elemento è contraddittorio al suo interno. Se vuole libe-rarsi da questa logica, l’individuo deve abbandonare, allontanarsi, congedarsi dal corpo e quindi abbandonare la propria natura individuale, il proprio prin-cipio di individuazione. Solo così potrà diventare un soggetto di pura cono-scenza. Ma affermare questo equivale a far cadere qualsiasi ragione di media-zione tra sé e la realtà. Abolito l’istinto, non resta più niente. Perché l’individuo dovrebbe continuerebbe ad agire? Se anche continuasse a muover-si, non potrebbe neppure più conoscere. Per diventare puri soggetti di cono-scenza è praticamente necessario privarsi della ragione stessa della conoscen-za, anzi del fondamento stesso della conoscenza.

La conclusione di Schopenhauer è chiara. Egli afferma: occorre congedar-si dalla volontà. Meglio, la volontà deve cedere il posto alla nolontà, dal latino nolo, “non voglio”. La volontà non si regolerà più a partire dal corpo, ma a partire da valori.

Il discorso dei valori è cibo comune che oggi rintracciamo dappertutto. Sono valori la giustizia, che riconosce l’uguaglianza fra sé e gli altri; la bontà, che è amore e compassione per gli altri riconosciuti come propri simili; l’ascesi che parte dall’orrore per la propria natura istintuale, dall’essere zim-belli dell’istinto che muove l’azione. L’orrore per la propria natura istintuale renderà poi casti: cedere all’amore, e soprattutto all’amore tra persone di sesso diverso che implica il beneficio dei sessi, equivale infatti ad accettare di di-ventare gli zimbelli della specie, della sopravvivenza della specie, della volon-tà di vivere. Da qui la castità, rassegnazione, povertà, sacrificio.

Facendo proprio il programma di ricerca dantesco, “fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”, Schopenhauer ne trae le conseguenze di annullamento e immiserimento che derivano dalla riduzione del soggetto a un momento puramente contemplativo e conoscitivo. Povertà, sacrificio, castità significano miseria di vivere. Freud dirà miseria psichica, prima che economica. Sarà Freud, infatti, a far crollare come un castello di carte questo programma di ricerca con una semplice osservazione al limite del buon senso: non è vero che gli uomini sono dei bruti a cui si debba imporre un compito di liberazione dall’animalità. La liberazione indicata dal metodo di

Maria Delia Contri 83

Schopenhauer costa la miseria psichica ed economica e, in nome della pace, condanna gli uomini a rinunciare all’amore e al principio di piacere, senza contare che il puro e semplice balenare di questa rinuncia produce la guerra, l’ostilità e lo scontro.

È in Al di là del principio di piacere (1920) che Freud dichiara di aver let-to Schopenhauer e di aver molto imparato da lui, ma imparato la questione, non la risposta. In questo testo Freud afferma esplicitamente che il corpo u-mano non è mosso da un istinto né individuale né della specie. Se fino a un certo punto Freud ammette l’esistenza delle pulsioni libidiche, ovvero delle pulsioni che entrano in rapporto con l’altro in base al principio di beneficio, e se fin dall’inizio riconosce il corpo umano come corpo pulsionale, in quanto l’individuo si costituisce come essere di rapporto che cerca fin dall’inizio la propria soddisfazione grazie all’apporto pacifico di un altro, nega tuttavia l’esistenza di pulsioni di autoconservazione e dunque di pulsioni di afferma-zione. Se non esistono pulsioni di autoconservazione, non dobbiamo neppure far conto che nell’essere umano esistano pulsioni di affermazione di sé, tanto più che nella logica di Schopenhauer e di tutti coloro che lo hanno seguito, l’autoaffermazione non è mai concepita come desiderio di realizzazione di sé, ma è sempre autoaffermazione nella lotta per la vita, per la sopravvivenza. Come si giustifica allora l’odio? Con un inganno, con una menzogna simile a quella teorizzata da Schopenhauer ad esempio, il quale nega questa costitu-zione originaria, la distorce e la perverte, pretendendo di trattare i corpi come organismi animali da costruire in base a valori, regole e leggi simili a comandi sostitutivi della competenza iniziale già costituita. Trattiamo un corpo umano come un corpo animale da sottomettere a “seguir virtute e canoscenza”, e si ottiene l’odio, perché così facendo si distrugge qualcosa che c’è. Le virtù saranno una pura mascheratura dell’odio che questa operazione condotta su un essere già ben orientato non può non produrre. Si scatena l’odio perché si trattano gli uomini come animali da addestrare nel loro istinto a “seguire vir-tute e canoscenza” e non perché gli uomini siano originariamente in guerra e dunque vadano addestrati.

3. Nietzsche: l’invidia come fonte del principio di comando

Anche Nietzsche prende le mosse da Schopenhauer di cui rovescia la pro-spettiva senza però criticare l’impostazione. Sappiamo tutti che l’esatto con-trario è uguale a ciò di cui si pone come contrario. Non fa grande differenza dire che dobbiamo frenare la bestia che è in noi e dire che dobbiamo compri-merla!

84 Personaggi s-pensierati o la decapitazione della civiltà

In che senso Nietzsche rovescia l’impostazione di Schopenhauer? Nel titolo L’Anticristo. Maledizione del cristianesimo, maledizione sta a dire “dir male di…”. Il rovesciamento di Schopenhauer riguarda il cristiane-simo. Ma la sua critica al cristianesimo potrebbe benissimo essere applicata allo stesso Schopenhauer, perché di fatto, nel cristianesimo - la più grande e rappresentativa delle maledizioni sociali - egli critica una serie di posizioni che appartengono all’intera cultura occidentale.

Qualcuno osservava che all’uscita di questo libro di Nietzsche molti che già parlavano male del cristianesimo si rallegrarono, pensando che una nuova voce si unisse al loro coro. Ma i critici del cristianesimo non poterono che essere delusi da questo libro in cui non poterono non riconoscere proprio sé stessi e per le stesse ragioni per cui viene criticato il cristianesimo.

Perché il cristianesimo? Perché è una falsificazione della natura, anzi: “Falsificazione di ogni natura, dell’intero mondo, esteriore come interiore”. A proposito del cristianesimo Nietzsche parla di “dinamite cristiana”. La chiesa cristiana ha fatto di ogni valore un dis-valore, di ogni verità una menzogna, di ogni onestà un’abiezione dell’anima, producendo con ciò la decadenza dell’ordine sociale. Qual è il punto di critica al cristianesimo, che è poi lo stesso punto di critica a Schopenhauer? Tu cristianesimo, tu Schopenhauer, disprezzi gli istinti buoni e onesti ovvero quell’istinto di sopravvivenza che porta alla lotta per la propria affermazione.

Da Nietzsche credo Freud raccolga l’idea della critica alle posizioni che falsificano la natura, falsificazione che il cristianesimo raccoglie peraltro dall’ebraismo e che consiste nell’avere introdotto un falso concetto di Dio. Secondo tale falsificazione esisterebbe una volontà divina stabilita una volta per tutte in ordine a quel che l’uomo deve o non deve fare; il valore di un popolo e di un individuo si misurerebbe nella maggiore o minore obbedienza alla volontà di Dio, che si dimostra come dominante, cioè come punitore o remuneratore a seconda del grado di obbedienza. Sia pure in nome di Dio, il cristianesimo porterebbe dunque dentro la realtà sociale l’idea di un ordine da sovrapporre agli istinti buoni e onesti che vengono dalla natura stessa e porte-rebbe ancora la prospettiva dell’individuo posto fin dall’inizio come colpevole e quindi costretto a invocare Dio, dapprima come instauratore e autorità di un ordine costituito a cui si deve obbedienza, poi come punitore e sanzionatore della disobbedienza e quindi come fonte del senso di colpa, della necessità della riparazione ecc.

Secondo Nietzsche questa falsificazione degli istinti buoni e onesti produ-ce la decadenza dell’ordine sociale. Se per Schopenhauer si trattava di stron-care questi istinti e di vincerli nell’ascesi, per Nietzsche questa prospettiva produce decadenza dell’ordine sociale e malattia.

Maria Delia Contri 85

Freud non può non avere raccolto anche l’idea che si tratti di malattia. Nietzsche illustra un’aggiunta, estranea a Schopenhauer. Si chiede: da dove proviene l’idea che alla bestia che è in noi occorre sovrapporre un ordine che ha la sua chiave di volta in Dio? Da dove viene l’idea di questo ordine, di questi valori che costringono a rinunciare agli istinti buoni e onesti? Vengono a loro volta da un istinto, dall’istinto di sopravvivenza dei mal-riusciti, dei falliti, dei servi, che proprio trovandosi in questa posizione producono risen-timento verso chi è riuscito nella sua affermazione e quindi attuano la vendet-ta. Per vendicarsi dei potenti, c’è qualcosa di meglio che imbrigliare i forti nei loro istinti sani e nel farli ammalare?

Dire che il principio di comando non ha affatto un’origine né nobile né al-ta e individuare l’invidia come fonte di tale principio che impone un’autorità per fermare gli altri che si muovono è un passaggio molto interessante. Certo, per Nietzsche anche l’invidia è un istinto altrettanto originario dell’istinto del forte - nella selezione della specie si è forti o deboli per natura - ma essa è ciò che resta una volta che sia sparito il principio di piacere. Se la realtà non è fonte di beneficio, sarà guardata con invidia e odio. Credo che anche questo passaggio abbia dato un’idea a Freud.

4. Il Cristo catatonico di Nietzsche

Un’ultima osservazione. Di fatto in L’Anticristo. Maledizione del cristia-nesimo si parla pochissimo di Cristo. Quanto se ne dice, è però interessante. Anche Cristo, a sua volta, è un essere di istinto, e del resto, in una teorizzazio-ne di questo tipo, non esiste alcun pensiero che abbia origine diversa dall’istinto. L’istinto originario di Cristo - si tratta di una deduzione piuttosto che di un concetto esplicito - sembrerebbe quello di un invidioso. Anche Cristo è un fallito, un rappresentante dei falliti, dei mal-riusciti, ma in lui c’è una novità. Nietzsche arriva a dire che egli è l’unico cristiano che sia mai esistito. È stato messo in croce e non se ne parla più. Ma Cristo soffre a tal punto della sua povertà invidiosa, che la realtà per lui è urtante e piena di ostilità - per l’invidioso la realtà è sempre insopportabile - tanto che preferisce isolarsi in un mondo interiore da cui ama, senza venire più a contatto con nessuno e con nessuna realtà. Non giudica, non parla, ha talmente paura di entrare in contra-sto con qualcuno che non resiste a nessuno e dice sempre di sì. Odio istintivo per ogni realtà, fuga nell’inafferrabile, ripugnanza per ogni regola e per tutto ciò che è stabile, isolamento in un mondo puramente interio-re, considerato come vero ed eterno, questo sarebbe secondo Nietzsche il

86 Personaggi s-pensierati o la decapitazione della civiltà

significato della frase: “Il regno di Dio è in voi”. Il Regno di Dio sarebbe un mondo fantastico, “esperienza di un cuore”, ma allora, ancora una volta - già lo osservavamo per Kierkegaard -, Cristo sarebbe catatonico.

È Nietzsche stesso a qualificare come morbosa questa soluzione di Cri- sto.

Gli istinti buoni e onesti portano alla salute; altri istinti, quali l’invidia,portano alla morbosità.

È forse l’idea di questo personaggio tutto chiuso in se stesso all’interno di un suo mondo fantastico ad aver suscitato l’idea che occorrano gli oggetti transizionali per stabilire i rapporti con qualcuno? Se facessimo un’indagine troveremmo che Winnicott è uno degli autori più letti. Il suo bambino chiuso in un mondo fantastico totalmente interiore - è Winnicott a parlare della “soli-tudine fondamentale dell’essere umano” - ha bisogno di oggetti intermedi per entrare in rapporto con gli altri. Possiamo mettere a disposizione di questo bambino degli oggetti, ma sarà lui a doverli trovare interessanti per sé: fra lui e me non c’è nessun rapporto. È l’oggetto transizionale.

Cristo era forse uno che aveva i suoi oggetti transizionali. E dunque non sarebbe l’unico cristiano esistito, se tutti i catatonici si comportano come lui.

Cristo risulta poi essere anche una specie di handicappato. Perché non si difende? Perché non si sdegna, non attribuisce responsabili-

tà, non resiste al malvagio? Se il regno di Dio è l’esperienza di un cuore, esi-ste ovunque e in nessun luogo, quindi è pura utopia… Chi può far così? Dice Nietzsche: il caso di Cristo è quello di un’innocenza fanciullesca ricondotta alla sfera spirituale, quello di una pubertà ritardata e non sviluppatasi nell’organismo, in quanto conseguente al fenomeno della degenerazione. È proprio un caso patologico, familiare se non altro ai fisiologi. “Una tale fede - … dice Nietzsche - non si sdegna, non rimprovera, non contrasta, non porta la spada, non presagisce affatto fino a che punto potrebbe un giorno arrivare a dividere. Questa fede non si formula neppure. Si oppone a ogni specie di paro-la, di formula, di legge, di credenza e di dogma e gli parla semplicemente di quello che è più interiore”.

Nietzsche e i Nichilismi nel Nichilismo Cristianesimo, maledizione e innocenza del divenire

Alberto Colombo 1. Le origini greche del Nichilismo

Introduco questa trattazione con due indicazioni concernenti la sua sa-gomatura. La prima ne indica una carenza, che segnalo ricordando che, se Nietzsche è stato un pensatore che, nella Modernità, ha dato un eccezionale e

88 Personaggi s-pensierati o la decapitazione della civiltà

peculiare contributo all’innalzamento del rilievo e della portata dell’ “interpre-tare” e del concetto d’interpretazione, egli è anche lo scrittore, che, nel ‘900 e soprattutto a partire dalle più recenti stagioni culturali caratterizzate da una “Nietzsche renaissance”, è diventato l’oggetto ed è teatro, come pochi, di un “conflitto delle interpretazioni”.

Dico, subito, allora che, dinnanzi alla ormai smisurata letteratura seconda-ria che lo riguarda e alla moltitudine di letture, anche fortemente divergenti, delle sue opere, mi sono esentato dal rendere conto della storia della critica e dal compito di presentare una rassegna ordinata, sia pure sommaria, di essa.

Né questa esposizione è stata preparata in ragione di un rapporto esclusivo con una delle versioni interpretative della posizione di Nietzsche che si ac-campano nello scenario culturale contemporaneo. Essa, a causa del suo carat-tere di semplice suggerimento per un accostamento ad alcune tematiche nie-tzscheane, si mantiene entro una soglia di relativa autonomia o di “parziale imparzialità” - mi si passi questo dichiarato ossimoro - rispetto alle contese esegetico-ermeneutiche su Nietzsche, anche se non nascondo un’attenzione all’indagine heideggeriana della sua opera.

La seconda indicazione concerne i confini tematici ovvero la linea secan-te, secondo i quali viene qui interrogata l’opera di Nietzsche. Questi è un pensatore che, almeno sul piano architettonico-redazionale, per così dire, dei suoi scritti e della loro compagine, non procede secondo lo stile della collau-data sistematicità filosofica, ma, al contrario, se ne disfa radicalmente, a favo-re di una scrittura ora aforistica, ora poetica, talvolta fortemente simbolica, altrove di intonazione polemico-giornalistica, in una libera frequentazione di molti ed intrecciati registri. Ciò non significa necessariamente che nell’impresa di Nietzsche non siano riconoscibili, insieme a novità e a scarti, anche linee di continuità e coesioni, ma esse non si prestano ad agevoli e i-noppugnabili ricostruzioni.

Ne consegue uno scenario intellettuale e concettuale che non si offre ad una comprensione sinottica, ma è distribuito attorno a molti fulcri, policentri-co, quasi caratterizzato da diversi inizi e da molte traiettorie. Anche per ciò ritengo inagibile, includere, nei limiti temporali disponibili, in questa illustra-zione una sorta di ritratto riepilogativo di tutte le polarità, di tutte le nozioni cruciali, di tutti i nuclei argomentativi dell’apporto nietzscheano. Ricorro, invece, a una soluzione drastica e, in accordo con il titolo della sessione o-dierna del Corso, raccolgo l’intera disamina attorno a un solo asse per il quale scelgo un solo concetto, certo pregnantissimo, cardinale e poliedrico: il con-cetto di Nichilismo. Un titolo intonato infatti, che può essere assegnato a que-sta esposizione, è: Nietzsche e i nichilismi nel Nichilismo.

Alberto Colombo 89

Maledizione, cristianesimo e innocenza del divenire; ciò che dirò può es-sere considerato la risposta alla domanda “Che cosa è Nichilismo in Nie-tzsche?”.

Comincio subito con il ricordare che con questa parola egli non nomina, riduttivamente, né una corrente di pensiero, né una concezione filosofica, né un modo di vedere sostenuto da qualcuno o un movimento spirituale fra gli altri. Giustamente Heidegger nello scritto La sentenza di Nietzsche: “Dio è morto” afferma che il Nichilismo è “un movimento storico”, che “muove la storia in seno al destino dei popoli occidentali”. Mi servo di questa connota-zione heideggeriana, che si attaglia al caso di Nietzsche, per tracciare un pri-mo schizzo del Nichilismo imperniato sui due termini, Occidente e destino, in attesa di raggiungere e coinvolgere anche il terzo termine, i popoli.

Innanzi tutto va rimarcato che il nesso tra Nichilismo e Occidente non è un nesso accidentale o fortuito, ma un nesso essenziale. Più ancora, per Nie-tzsche, il Nichilismo definisce l’Occidente, l’Occidente è essenzialmente Nichilismo e storia del Nichilismo. Il nome stesso di Occidente, la terra dell’occaso, del tramonto, risulta avere una puntuale pertinenza, per così dire, geo-storico-politica. Occidere significa cadere, posarsi. L’Occidente è, costi-tutivamente, ciò in cui “ac-cade” il Nichilismo, in cui il Nichilismo si articola estendendosi e distendendosi storicamente, attraverso le proprie metamorfosi, e, infine, si esaurisce, finisce.

L’Occidente è quindi la vicenda sia del declinarsi sia del declinare, occi-dere, tramontare del Nichilismo. Ma a sua volta, questa vicenda non è un che di casuale, di contingente o di liberamente variabile, al contrario essa è il dispiegarsi di una parabola che ha una sua carica di inesorabilità, che è un “destino”, appunto.

Quanto osservato consente di segnalare una prima distinzione circa il ter-mine “Nichilismo”. A me pare che in Nietzsche esso nomini sia l’intera para-bola, l’intero processo storico dell’Occidente sia ciascuna delle cadenze e dei momenti attraverso i quali tale parabola si snoda. Inoltre nell’indicare ciascu-no di questi momenti l’accezione di “Nichilismo” assume una valenza seman-tica diversa, varia nell’atteggiarsi concettualmente.

Enumero subito, allora, le scansioni o i momenti in cui l’intero del Nichi-lismo si fraziona, secondo la lettura che qui si presenta. Reputo che una riepi-logazione completa del corso del Nichilismo possa essere ottenuta raccoglien-dola in tre momenti di cui l’ultimo si biforca a sua volta in due esiti antitetici. Il secondo momento, però, segna anche il trascendimento del Nichilismo stesso, il suo oltrepassamento e, in questo senso, si pone, sottraendosi, nella seria nichilistica a cui appartiene. Per questa sua peculiarità questo secondo

90 Personaggi s-pensierati o la decapitazione della civiltà

esito del terzo momento ha uno statuto autonomo che scarta rispetto agli altri momenti, tanto da renderlo un quarto tempo a sé stante. Chiamo i tre momenti a , b e g , quest’ultimo caratterizzato da due esiti, ap-punto.

a è il tempo dell’origine del Nichilismo, dell’origine greca del Nichili-smo. Ma se il Nichilismo è greco per Nietzsche, ciò non significa che esso sia soltanto greco (Nietzsche, per esempio, qualifica come Nichilismo anche il Buddismo e, inoltre, Zarathustra stesso è stato nichilista); soprattutto, ciò non significa che tutto ciò che è greco sia Nichilismo.

Invero la nascita greca del Nichilismo è l’irrompere di un evento che rompe, spacca lo stesso universo greco, scindendo il tempo del mito, del pa‘qos, della comprensione dionisiaca del mondo, il tempo dei pensatori presocratici, in altre parole, l’età tragica dei greci, dal levarsi a dominare del lógos nemico del pa’qos, del tragico imbastardito dalla sua contaminazione da parte del lógos, del dispotismo dei valori che assoggettano la terra e la vita.

Come ho ricordato, il Nichilismo non è una semplice posizione filosofica né un semplice atteggiamento esistenziale, ma un movimento storico; ciò non significa che esso non abbia radici e sedi filosofiche, le quali, in particolare, datano i suoi inizi. Per Nietzsche essi sono nominabili e identificabili, soprat-tutto nella parola di tre auctores decisivi: Socrate, Platone, Euripide, tra i quali, per altro, la responsabilità massima spetta alla potenza dell’influsso platonico.

È in Platone che il Nichilismo, pur principiante, consegue già una maturi-tà sicura, riceve i lineamenti costanti della sua essenza e una sua definitezza strutturale. È quindi guardando a Platone che si può rispondere alla domanda: “Che cosa è Nichilismo?”.

Dov’è, dunque, il Nichilismo in Platone? Esso sta nel gesto fondamentale della teoresi platonica, per mezzo del

quale la totalità della realtà viene rappresentata secondo un’architettura onto-logica scomposta su due piani gerarchicamente ordinati: l’uno originario, l’altro derivato; l’uno ontologicamente perfetto, l’altro difettivo; l’uno esem-plare, l’altro esemplato; l’uno preminente, l’altro subordinato. La dicotomia metafisica di Platone pensa il mondo in conformità a una cesura per la quale da un lato si erge una dimensione trascendente e separata, dall’altro si stende la svilita esistenza di enti menomati.

Questo piano scadente e sprezzato è, peraltro, la stessa realtà della terra, della vita, delle cose materiali e dei corpi, del divenire e della molteplicità sterminata della natura. È lo stesso mondo sensibile, da Platone umiliato nella

Alberto Colombo 91

sua sudditanza al mondo intelligibile e alla maestà di esso; solo questo è, in realtà, mondo vero, cioè effettivamente essente óntwsón ; il primo, il mondo sensibile, è piuttosto un mondo apparente, un quasi nulla, una nullità travesti-ta da entità.

Tutti i dualismi che governeranno non solo l’Occidente filosofico, ma l’intera civiltà occidentale sono nuclearmente iscritti nel compaginamento platonico della totalità: vero - apparente, soprasensibile - sensibile; eterno - transeunte; immateriale - materiale; necessario - contingente; sostanziale - accidentale; originario - derivato; assoluto - relativo.

Ma con ciò è anche stabilita una disposizione intellettuale e morale fatta di calunnia e biasimo riversati contro il mondo sensibile (contemptus mundi sensibilis) segnato dall’indignata svalutazione di esso sino al disconoscimento della sua stessa reale consistenza.

Privi di verità, la terra, la vita, il divenire, i corpi, il corpo vivente, i suoi sensi e i suoi appetiti, i suoi bisogni sono portati innanzi all’ordine trascenden-te della verità, ordine eterno e divino, che, come modello o paradigma, è ciò mediante cui si misura lo scarto del mondo sensibile rispetto alla verità.

Ma in quanto modello o paradigma il mondo intelligibile è anche criterio e norma del mondo sensibile, ne è l’ideale, cui il mondo sensibile deve con-formarsi, ancorché non possa adempiere integralmente a tale destinazione. Ora, per quel tanto che la vita riesce ad alludere al suo ideale essa non è re-denta, ma è tollerata; tuttavia il mondo sensibile manca sempre il suo ideale e questa mancanza lo rende un mondo colpevole.

Per Nietzsche la dottrina platonica dei due piani ontologici, sovrastante e sottostante, comporta il diniego dell’innocenza del divenire, del quale ad un tempo si pretende la giustificazione ed insieme se ne decreta il fallimento.

Ora, perché questa concezione platonica è una concezione in cui, eminen-temente, si trovano le scaturigini del Nichilismo?

La risposta di Nietzsche è perspicua; la metafisica platonica è nihchilistica perché mistifica essere e nulla, in quanto scambia l’uno con l’altro: tratta ciò che è (i viventi, il molteplice, il divenire, le potenze della natura) come se fosse nulla e innalza, viceversa, le finzioni dell’immaginarismo filosofico, le sue illusioni (le idee, gli intelligibili, le verità eterne, le essenze, gli ideali) alla dignità di ciò che effettivamente è essente; tratta il nulla come essere. Questa mistificazione è l’essenza del Nichilismo nella prima accezione del termine. È un’essenza per la quale il “divino”, trasferito nella trascendenza illusoria degli enti ideali, che altro non sono che ipostatizzazioni di un errore, diventa da aggettivo nome, che è il sostantivo di una presunta realtà sostanziale; nel Nichilismo platonico occidentale il “divino” si fa Dio. In questo senso, si potrebbe dire, Platone è l’inventore, o uno degli inventori, di Dio.

92 Personaggi s-pensierati o la decapitazione della civiltà

Ma nel Nichilismo non solo si stringono indissolubilmente ontologia e te-ologia (ontoteologia), ma esse, altrettanto indissolubilmente, si vincolano a una morale, a una etica e informano la prassi. Una morale, un’etica in cui i fini, gli scopi, il senso, cioè ciò che dà valore e rende buone le azioni, le ope-re, gli atti, le esistenze sono incastonati già da sempre nell’ordinamento gerar-chico delle totalità, sono iscritti, in particolare, nell’essere della stessa dimen-sione trascendente che sovrasta la vita, il divenire di essa e il vivere degli uomini.

Nella trascendenza sono depositati i valori supremi e, poiché sono ontolo-gicamente iscritti, essi sono, per ciò stesso, prescritti. L’uomo stesso è definito da tale sottomissione ai valori supremi, al piano normativo degli ideali, a Dio nell’accezione nietzscheana del termine. Di essi egli è chiamato a essere un inadeguato ministro e traduttore nella vita sensibile.

Se è così, si capisce perché Nietzsche reputi che ogni etica e ogni morale che abbiano una genealogia platonica siano da considerarsi una “morale di schiavi” nel duplice senso di morale che rende schiavi e una morale da schia-vi, adatta agli schiavi. Morale che rende schiavi perché è una morale che chiama alla sottomissione al giogo dei “valori supremi”, cioè dei fini, degli scopi, di un senso che sono già là da sempre dati e indisponibili e che si tratta soltanto di “dover volere”. Ma anche morale da schiavi perché è una morale adatta a chi, essendo già decaduto a spirito servile, non sa porre e stabilire i propri fini e attende che gli vengano prescritti.

Sono gli schiavi che inventano la morale che rende schiavi. 2. Dopo Platone. Il dispiegamento occidentale del Nichilismo e il cristiane-

simo Orbene, ammesso che il Nichilismo abbia avuto, in ultima istanza, una na-

scita platonica, il Nichilismo non si ferma a Platone. La dottrina filosofica platonica, essendone quella inaugurale, è soltanto una delle versioni o confi-gurazioni del Nichilismo. Vi è nel Nichilismo, un’attitudine a tradursi in una pluralità di figure e, quindi, a percorrere una storia che, nella lettura di Nie-tzsche, è a un tempo vicenda attraverso la quale il Nichilismo si attua, attuan-do le sue singole flessioni, e vicenda attraverso la quale il Nichilismo si logo-ra, si consuma, si va annichilendo. È questa la seconda accezione (b ) del termine Nichilismo: il Nichilismo come processo di annichilimento del Nichi-lismo.

È in questo avvicendamento che avviene anche il dispiegamento del Ni-chilismo, cioè la sua espansione che modella la civiltà occidentale e coinvolge i popoli e le masse.

Alberto Colombo 93

Se esso fosse rimasto soltanto platonico sarebbe rimasto riservato alla ri-stretta cerchia di una aristocrazia intellettuale di filosofi. Solo in quanto il Nichilismo si fa cristiano esso muove e assoggetta le genti e forma il destino dei popoli. Il cristianesimo è precipuo nel Nichilismo, poiché ne esalta la potenza storica di modo che esso, nel cristianesimo, si assesta in una più che millenaria durata.

Certo per Nietzsche nelle sue transizioni il Nichilismo non cambia la sua indole; la sua natura rimane la stessa nel trapassare dal platonismo al cristia-nesimo. Il dualismo metafisico, la separazione gerarchica tra due piani, la contrapposizione tra mondo vero e mondo apparente si replicano nell’era cristiana del Nichilismo. Ciò rende conto dell’opinione di Nietzsche secondo la quale, in fondo, il cristianesimo altro non è se non platonismo popolarizza-to, è divulgazione del platonismo, giacché il cristianesimo è propagazione di massa del platonismo.

In questo Nietzsche si associa alla tesi di chi sul piano storiografico so-stiene che, dopo i primi albori, il cristianesimo è stato subitaneamente cattura-to e colonizzato dall’apparato categoriale e culturale ellenico e che, quindi, la sorte del cristianesimo è segnata dall’ellenizzazione del cristianesimo stesso o, anche che il cristianesimo è ebraismo ellenizzato.

Il Dio cristiano è il successore, sostituendolo e ricevendone l’eredità, dell’ordinamento divino delle idee, delle eterne essenze e degli ideali di Pla-tone, che nel Dio cristiano vengono riassorbiti. Questa è la prima successione, dal Dio platonico al Dio cristiano, della dinastia degli Iddii del Nichilismo, che, dato il loro carattere illusorio, per Nietzsche sono idoli (Crepuscolo degli Idoli è il titolo di uno degli scritti più rappresentativi della dottrina nietzsche-ana sul Nichilismo).

Nuova trasposizione del Nichilismo, il cristianesimo, salvaguardandone l’essenziale, mantiene il tratto della maldicenza, cioè “del dir male” del mon-do sensibile, delle sue energie, del suo divenire. Anzi la maldicenza platonica risulta amplificata nella nuova religione e, con ciò, sono amplificati i tratti detestabili della morale nichilistica che cova risentimento, rancore, invidia e spirito di vendetta. Questa “maldicenza calunniosa”, che assume le fattezze di un’ascetica santità, è la maledizione nel cristianesimo che è maledizione del cristianesimo in quanto esso deforma nichilisticamente l’umanità.

La critica del cristianesimo che attraverso tutta l’opera di Nietzsche rag-giunge i toni e i ritmi più parossistici, è, forse, nel testo L’Anticristo. Maledi-zione del cristianesimo.

Si tratta di un pamphlet carico di invettive, sferzante, non privo di molte concessioni a luoghi comuni e in cui la passione accusatrice prevale sull’impegno argomentativo. In esso, comunque, si può cogliere come Nie-

94 Personaggi s-pensierati o la decapitazione della civiltà

tzsche ravvisi nel configurarsi del cristianesimo quale “religione di Chiesa” uno straordinario potenziamento del Nichilismo e della sua presa storica.

In quanto istituzione, struttura, organizzazione, apparato che produce e ri-produce i propri agenti intellettuali organici (i preti, la gerarchia sacerdotale), la religione nichilistica di Chiesa si afferma storicamente come dominio, pote-re, etica e moralità collettiva. È per questa via che il Nichilismo si erge a h’qos dell’Occidente e ciò non solo nel tempo della respublica christiana medioevale, ma nella lunga durata che comprende l’intera Modernità.

A questo proposito si può sostenere che è presente in Nietzsche una teoria della secolarizzazione per la quale la modernità è a un tempo un processo in cui il cristianesimo permane mediante una successione di proprie metamorfosi e, insieme, un processo attraverso il quale il cristianesimo si estenua e si dis-solve. E in tale estenuarsi e dissolversi del cristianesimo si compie anche la dissoluzione del Nichilismo medesimo.

Per un verso c’è, dunque, in Nietzsche la tesi, destinata ad aver fortuna nel ’900, secondo la quale la modernità è cristianesimo secolarizzato. Essa è, infatti, solidale col platonismo e col cristianesimo in quanto essa conserva la dicotomia platonico-cristiana tra “mondo vero” e “mondo apparente”, tra un piano superiore e un piano inferiore, di cui il primo detta il senso al secondo.

Certamente è vero anche per Nietzsche che la modernità diviene pro-gressivamente critica delle Chiese, dei loro dogmi, dei loro ordinamenti, della loro immagine di Dio.

Ma è pur vero che, nel mentre che la modernità cresce come critica del Dio cristiano e, infine, mira a toglierlo di mezzo, essa conserva anche e presi-dia il posto di Dio. Non solo, ma essa non lascia vuoto il posto di Dio, lo rim-piazza, di volta in volta, con nuovi Iddii, con quelli che, per Nietzsche, sono gli idoli della modernità. Essi altro non sono che i “valori supremi” di essa.

Inoltre questi “valori supremi” hanno essi stessi una genealogia cristiana, sono annidati nel cristianesimo, dal quale nel corso del tempo si rendono au-tonomi. Per esempio è dalla “dinamite cristiana” - l’espressione è di Nietzsche - dell’idea di eguaglianza che procedono, in ultima istanza, i progetti moderni più detestati da Nietzsche, la democrazia e il socialismo. Per questo verso, la critica e l’erosione moderna del cristianesimo sono esse stesse cristiane e configurano un’autocritica del cristianesimo. Il “disincanto” moderno del mondo è, in realtà, assai poco disincantato, ma rimane sotto l’ “incantesimo cristiano”.

Gli Iddii, dunque, della modernità formano una dinastia cristiana e si pre-sentano, per così dire, in una teogonia storica. Essi, come ho detto, sono i “valori supremi” della modernità, talvolta compresenti, talvolta più gli uni che gli altri alla ribalta. Con una certa libertà, ma sulla scorta delle indicazioni di

Alberto Colombo 95

Nietzsche, essi possono essere così, parzialmente indicati: lo Stato, la ragione, il progresso, la nazione, la classe, l’umanità, la civiltà tecnico-scientifica.

Scrive Heidegger nel saggio citato: Al posto dell’autorità di Dio dileguata e dello ammaestramento della Chiesa su-bentra l’autorità della coscienza, si impone l’autorità della ragione. Contro di que-sta si leva l’istinto sociale. L’evasione nel mondo soprasensibile è surrogata dal progresso storico. Il fine ultraterreno della beatitudine eterna si trasforma nella fe-licità terrena universale. Le cure del culto religioso sono sostituite dall’entusiasmo per le creazioni culturali e per la diffusione della civiltà. La creatività, riservata un tempo al Dio biblico, caratterizza ora l’agire umano. Il suo fare finisce per risol-versi nell’affare. Ebbene è importante, ora, notare che, se attraverso i “valori supremi” del

moderno si replica il Nichilismo platonico-cristiano degli ideali del mondo ideale, accade anche che questi “valori supremi” siano sempre più impari, sempre meno all’altezza rispetto alle figure primigenie del Nichilismo occi-dentale, sia essa quella platonica sia essa quella biblico-cristiana. Rispetto alla maestà di queste quelli sono sempre più scialbi, impalliditi, devitalizzati.

Non penso di forzare il giudizio di Nietzsche se affermo che, nel loro susseguirsi moderno, i “valori supremi” risultano essere sempre più una repli-ca goffa, quasi una caricatura rispetto ai prototipi e che il loro avvicendamento assume sempre più l’andatura di un’improbabile parodia.

3. Fine e oltrepassamento del Nichilismo Ma ciò significa appunto che, attraverso l’età moderna, il Nichilismo stes-

so si consuma, cioè il Nichilismo si annichilisce, è “decadente”. Fino a quan-do? Per Nietzsche fino all’età presente. In essa questo processo giunge al termine e si determina l’avvento del Nichilismo nella terza accezione (g ) delle tre all’inizio distinte, il Nichilismo come fine del Nichilismo. La definizione nietzscheana di esso è: “Tutti i valori supremi hanno perso valore”. Di essi non è più nulla. Il suo annuncio è nel detto “Dio è morto”. E Dio significa l’ordine trascendente degli ideali e dei valori. La sua morte è ciò a cui condu-ce la civiltà dell’umanità occidentale e, perciò, si può dire che sono gli uomini dell’Occidente i responsabili della morte di Dio, ne sono gli assassini.

In effetti nello scritto La gaia scienza (1882) l’uomo folle cui Nietzsche affida il compito di annunciare la morte di Dio, grida in mezzo al mercato: “Che ne è di Dio? Io ve lo dirò. Noi l’abbiamo ucciso – io e voi! Noi siamo i

96 Personaggi s-pensierati o la decapitazione della civiltà

suoi assassini”. Nietzsche indica la tremenda portata del Nichilismo terminale. Esso non è una frivola faccenda di miscredenza, adatta a circoli filosofici razionalisti o a uno scanzonato ateismo da liberi pensanti. Al contrario esso è un evento epocale, è un fatto di civiltà e di popoli che scuote e sconvolge l’Occidente.

Sempre nella Gaia scienza (1876) egli scrive: Il più importante degli eventi recenti, che “Dio è morto”, che la fede nel Dio cristiano è diventata inattendibile, comincia già a gettare le sue prime ombre sull’Europa; e l’uomo folle, dopo l’annuncio di morte, grida le seguenti domande: Che facemmo sciogliendo la terra dal suo sole? Dove va essa, ora? Dove andiamo noi, lontani da ogni sole? Non continuiamo a precipitare: e indietro e dai lati e in avanti? C’è ancora un alto e un basso? Non andiamo forse errando in un infinito nulla? Non ci culla forse lo spazio vuoto? Non fa sempre più freddo? Non è sem-pre notte e sempre più notte? L’Occidente, vissuto di Dio, per Dio e con Dio, è gettato nel disorienta-

mento e nell’anomia, nella inquietudine e nel terrore, nell’esaltazione e nella inazione. Per usare le parole di un celebre giurista contemporaneo, la “morte di Dio” è lo “stato di eccezione dell’Occidente”. Il Nichilismo non può com-piersi senza l’attraversamento di un momento di catastrofe.

Scrive Nietzsche: Sta venendo il tempo in cui dovremo pagare di essere stati cristiani per due mil-lenni; perdiamo il centro di gravità che ci faceva vivere; per un certo tempo non sapremo come cavarcela. Precipitiamo rovinosamente nei valori opposti con la stessa massa di energia con la quale siamo stati cristiani. Il Nichilismo che si conclude ha, quindi, inevitabilmente, un volto brutto.

La bruttezza e le brutture di esso già sono riconoscibili nella società contem-poranea. Nietzsche individua alcuni aspetti di questa decadenza: uomini com-passionevoli, deboli, parassiti; istituzioni politiche e sociali corrette; cattivo gusto; massificazione e livellamento; egualitarismo amorfo; frenesia di suc-

Alberto Colombo 97

cesso e di denaro; prevalenza del linguaggio tecnico-scientifico sulle humani-tates.

Dinnanzi alle rovine portate dal Nichilismo della fine del Nichilismo, cioè della “morte di Dio”, due sono, allora, gli esiti possibili, cui corrispondono due posizioni antropologiche. Da un lato c’è la posizione di chi, pur consape-vole del fatto che “tutti i valori supremi hanno perso valore”, arretra dinnanzi all’orrore e nutre nostalgia per Dio, che pure è morto.

È questo un modo malinconico di trattenersi nel Nichilismo, dopo il Ni-chilismo; è una resistenza nichilistica alla fine del Nichilismo, che non vuole lasciarlo finire. In questo senso Nietzsche lo qualifica come “Nichilismo in-compiuto”. L’altro esito è quello di chi pure vede e sa lo sfacelo portato dalla “morte di Dio”, ma non se ne fa atterrire, non subisce il richiamo della nostal-gia, e assume la perdita di Dio, “lasciando perdere Dio”.

Questo secondo esito è quello di chi è in grado di oltrepassare l’orizzonte stesso del Nichilismo. Esso è la via che insegna lo Zarathustra di Nietzsche, lungo la quale, congedandosi da Dio e cioè da tutti i “valori supremi”, ci si congeda anche dall’uomo in quanto esso stesso valore supremo. È la via, quindi, di colui che Nietzsche chiama “super-uomo” e che, più esattamente, oggi viene detto “oltre-uomo”. Egli è il soggetto capace di un nuovo inizio che, non a caso, nella metafora nietzschiana è raffigurato da un bambino nel quale lo sguardo sul mondo è finalmente, liberamente dionisiaco.

Scrive Nietzsche: “Il Dioniso dei Greci: la religiosa affermazione della vi-ta, di tutta la vita, non dimezzata, non negata”. L’oltre-uomo, nel dionisiaco, è un incondizionato “dir di sì alla vita”, è la benedizione che pronuncia un totale amen sul mondo. Il suo è un disporsi senza pretese sulla vita: egli sa dell’insensatezza del divenire, sa che il mondo non ha iscritto ontologicamen-te un senso, ma poiché non pretende che ci sia già dato un senso, egli è anche il riconoscimento dell’ “innocenza del divenire”.

Proprio nell’assenza di pretesa di senso (che ci sia un senso) l’altro uomo non è più preda del risentimento, del rancore e dello spirito di vendetta e di odio verso l’insensatezza della vita, non è più preda di quella nostalgia ranco-rosa che Nietzsche qualifica come “Nichilismo reattivo”.

Anche per l’oltre-uomo Nietzsche spende ancora il termine Nichilismo, ma si tratta di un “Nichilismo attivo” che, abbandonato l’ideale di un senso già dato, sa che un senso può essere posto e ne è capace. Sotto questo profilo l’oltre uomo, cui in Nietzsche si connettono le figure dell’ “eterno ritorno” e della “volontà di potenza”, è il soggetto della cosiddetta “trasmutazione dei valori”. Essa è l’atto proprio dell’oltre-uomo. Essa non significa un capovol-gimento dei valori tale per cui, abbandonando la tavola dei “valori supremi”

98 Personaggi s-pensierati o la decapitazione della civiltà

della tradizione, l’oltre-uomo avrebbe un’altra tavola dei valori, antitetici a quelli della prima.

Se così fosse, egli rimarrebbe impigliato nella logica dei “valori supremi”. Così non è perché la “trasmutazione” non concerne propriamente i contenuti dei valori o del senso, ma la loro fonte.

La “trasmutazione” indica il fatto che la fonte del senso non giace più nell’essere degli enti, sia pure l’essere dei “divenienti” come loro proprietà ontica, ma che la fonte è l’atto del soggetto che pensa, pone e dà senso. Non è più la verità dell’essere che detta le coordinate del senso.

Per questo aspetto si può certamente sostenere che Nietzsche chiama all’abbandono del “regime della verità”.

Giacomo B. Contri

1. Potere e volere e Impotenza

Serve sapere, senza fare gli intelligentini - non conviene mai - che nella formula della pietra scartata dalla spensieratezza esisteva già nel 1996 -1997, e abbastanza esplicitamente, un importante riferimento a Nietzsche. In quegli anni avevo letto il Nietzsche di Heidegger ed ero stato aiutato nel perfeziona-mento della nostra “formula della clessidra” da quelle pagine in cui Heidegger chiarisce che la volontà di potenza di Nietzsche è la condensazione, la coinci-denza, l’unione in un medesimo individuo di volere e potere. Ossia, fuori da ogni rapporto.

Ricordo di aver scritto nella nostra formula “potere” sulla freccia g e “vo-lere” sulla freccia d. Nella volontà di potenza non ci sono volere e potere - buona cosa il poter potere, buona cosa il poter volere - non ci sono poter pote-

100 Personaggi s-pensierati o la decapitazione della civiltà

re, né poter volere, né poter potere. Il poter potere e il poter volere sono l’ennesimo caso di divisione del lavoro. Nel suo atto il soggetto mette un altro in condizione di potere e un altro mette il primo in condizione di volere.

Dicendo questo avevamo già utilizzato Nietzsche e Heidegger e con una certa sollecitudine eravamo passati un po’oltre. Basta questa premessa per scoprire sia clinicamente sia osservativamente sia inferenzialmente che cosa è l’impotenza: l’impotenza intellettuale di non riuscire neanche a leggere un libro, l’impotenza sessuale… Unite potere e volere in un medesimo individuo e avrete i fenomeni clinici dell’impotenza.

2. Padre Nostro

Anche un miscredente abbastanza sano, ossia con quella specie di razio-nalità, acquisita o riconquistata, reciterebbe il Padre nostro come preghiera del mattino.

Nel Padre nostro troviamo: “Venga il tuo regno” seguito da “sia fatta la tua volontà”.

Come è stato letto questo nel corso dei tempi? “Venga il tuo regno”: potere di Dio; “sia fatta la tua volontà”: volere di

Dio. Risiamo alla condensazione di volere e potere in una stessa persona e Dio stesso sarebbe il primo degli impotenti. Per di più è stata data un’articolazione ulteriore: “Venga il tuo regno”, disegno generale; “sia fatta la tua volontà”, la volontà individuale di Dio su me come individuo. Mani e piedi legati, non solo in Dio ma anche in me. Impotenza universale. Il pensie-ro di Cristo è stato reinterpretato in chiave diciamo nichilista. Proviamo inve-ce, a mo’ di esercitazione, a scrivere sulla freccia γ “Venga il tuo regno” e sulla freccia δ “Sia fatta la tua volontà”: le conseguenze sono notevoli e deci-samente rallegranti. Che altro è il Padre nostro, se non il pensiero di Cristo? E il pensiero di Cristo è “venga il tuo regno” nella freccia γ, “Sia fatta la tua volontà” nella freccia δ. Detto non solo a Dio, ma a qualsiasi individuo con cui si abbia o si desideri statuire rapporto.

3. Bruto Pensiero significa che non c’è bruto né mai c’è stato. “Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”.

“Bruto” è la più filosofica delle parole. Non è una constatazione empiri-ca. L’animale nell’uomo non è mai esistito e in questo un poco Aristotele si era avvicinato e il buon S. Tommaso aveva lievemente perfezionato… benché senza nessuna conseguenza.

Giacomo B. Contri 101

Chi ha perfezionato il presupposto dell’animale - come usiamo l’espressione “amore presupposto” possiamo dire “animale presupposto”: di presupposto si tratta - ha solo voluto dare copertura a un altro dualismo, il massimo dei dualismi, quello che ci infama da tutta la storia del Nichilismo: il dualismo psicologia-filosofia. Il pensiero di natura, grazie a Freud per primo, è la fine di questo dualismo, l’abbattimento di questo divide et impera. C’è un solo pensiero capace di discutere di Nietzsche, Kant, Heidegger e Gesù Cristo e al tempo stesso di curare e conoscere cosa è un sintomo.

“Allattandomi mia madre …” non presuppone neppure per un istante di bruto. “Allattandomi…” significa che l’immediata conseguenza è l’inizio del pensiero di natura, senza passaggio per un momento animale. Non esiste il bisogno allo stato puro.

Per scoprire queste cose avevamo bisogno dell’anoressia o dell’autismo infantile precocissimo, a tre o quattro mesi. Basta guardare un bambino auti-stico per sapere che non esiste bruto, ma un aldilà, un aldilà disastroso. Il bambino sano potrebbe ancora ancora far pensare a un momento di bruto, ma il bambino autistico no: è una catastrofe, ma integralmente umana.

4. La pietra scartata Un’ultima osservazione sulla duplicità della pietra scartata. Pietra scartata è il pensiero di natura, in quanto quel pensiero che la fa finita con la divisione, anche disciplinare, fra filosofia e psicologia, la massima operazione compiuta e perfezionata da Kant, fino a quella che io chiamo “la fanatica” e che egli, con termine più pulito, chiama “ascetica”. Ricordo l’articolo di Morpurgo-Tagliabue che diceva come Kant possa cercare di de-marcarsi da Swedenborg, ma come alla fin fine stia dalla stessa parte. Questa la duplicità di pietra scartata: scartato è sempre il pensiero di natura, ma idem è la psicopatologia, ossia quel pensiero che si nega per affermarsi come teoria, quella conoscenza senza la quale non c’è neanche conoscenza. La psicopato-logia è, e sempre più diventa, la pietra scartata dallo stato attuale della cono-scenza e della teoria della conoscenza. È stato uno dei nostri contributi di tutti questi anni.

Esiste una sola morale - proprio quelle morali che dicono cosa si fa e cosa non si fa - che non sia assertrice dei due classici istinti inesistenti: l’istinto di conservazione individuale e l’istinto di conservazione della specie, o istinto sessuale, o sessualità che dir si voglia? Tutte le morali, anche le più sante, devono partire da una bugia sulla costituzione umana.

© Studium Cartello – 2007

Vietata la riproduzione anche parziale del presente testo con qualsiasi mezzo e per qualsiasi fine

senza previa autorizzazione del proprietario del Copyright