Corso di Laurea Triennale in Servizio Sociale La...

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1 Corso di Laurea Triennale in Servizio Sociale La mediazione familiare come strumento di risoluzione dei conflitti familiari. Analisi del rapporto professionale tra servizio sociale e mediatore familiare Relatore: Beatrice Rovai Candidato: Mario Pio Papagno Anno Accademico 2016/2017

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Corso di Laurea Triennale in

Servizio Sociale

La mediazione familiare come strumento di risoluzione dei conflitti

familiari. Analisi del rapporto professionale

tra servizio sociale e mediatore familiare

Relatore: Beatrice Rovai Candidato: Mario Pio Papagno

Anno Accademico 2016/2017

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A mio padre, mia madre e mia sorella,

per aver creduto nelle mie scelte……

3

Indice

Introduzione 5

Capitolo I

Il sistema coppia: dalla nascita alla crisi

1.1. L’evoluzione della struttura familiare nella società contemporanea 7

1.2. Innamoramento e scelta del partner 9

1.3. La famiglia di origine e le appartenenze 11

1.4. Il sistema coppia funzionale e disfunzionale 13

1.5. La crisi di coppia 15

1.6. La separazione 19

1.7. I figli separati 23

Capitolo II

La mediazione familiare: metodologia, prassi e ambiti di intervento

2.1. La mediazione: origini ed elementi fondanti 26

2.2. Il conflitto 28

2.3. Il processo generico di mediazione dei conflitti 29

2.4. Il mediatore 32

2.5. Storia e differenti modelli di mediazione familiare 35

2.6 Aspetti generali, campi di applicazione e limiti della mediazione familiare 39

2.7. Domanda di mediazione e primo colloquio 41

2.8. Metodi e tecniche di conduzione delle sedute 43

2.9. I figli nel percorso di mediazione familiare 45

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Capitolo III

Ricerca sul campo: intervista ai professionisti

3.1. Metodologia e obiettivi della ricerca 47

3.2. Soggetti intervistati 49

3.3. Interviste 49

3.4. Conclusioni della ricerca 61

Conclusioni 64

Bibliografia 66

Sitografia 67

Ringraziamenti 68

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Introduzione

Questa tesi di laurea si propone di analizzare oltre ai principi e le funzioni della mediazione

familiare in materia di divorzio o di separazione, anche il rapporto che intercorre tra la figura

professionale del mediatore familiare e quella dell’assistente sociale.

La mediazione familiare è un processo di risoluzione dei conflitti familiari dove le coppie,

coniugate o no, richiedono o accettano l’intervento di una terza persona, neutrale e qualificata: il

mediatore familiare, investito nel ruolo di condurre i membri della coppia a costruire da soli le basi

di un accordo durevole e mutamente accettabile, tenendo conto dei bisogni di ciascun componente

della famiglia e in particolare di quelli dei figli in uno spirito di corresponsabilità e di uguaglianza

dei ruoli genitoriali1.

La mediazione familiare è una “prassi d’aiuto”2 che si concretizza in un setting preciso di sedute

che hanno finalità e metodi propri utilizzabili nelle diverse fasi del processo di crisi: fase di presa

di decisione, fase legale, fase post sentenza, durante il lungo processo di elaborazione psicologica

del lutto, in occasione della revisione dell’affidamento dei figli (Marzotto, 1994; pag. 143).

Il modo in cui i genitori gestiscono il conflitto emozionale e la ristrutturazione dei rapporti familiari

può influire sul benessere psicologico dei bambini per cui, la mediazione può essere uno strumento

di aiuto in questa direzione3.

Nella parte iniziale del primo capitolo, si affrontano le modalità attraverso le quali si costituisce il

sistema coppia. A partire dalla descrizione dell’evoluzione della struttura familiare e della nascita

di nuove tipologie di coppia nella società contemporanea, si analizzano i fattori che hanno

comportato una maggiore fragilità all’interno del sistema famiglia. Si descrivono i processi che

caratterizzano la fase dell’innamoramento e della scelta del partner, in particolare le componenti

emotive tipiche di questa fase per poi analizzare i principi della teoria generale dei sistemi

attraverso cui viene concepito il concetto di sistema coppia. Nei paragrafi a seguire, viene

affrontato il tema dell’influenza della famiglia di origine nella scelta del partner e nella costruzione

del rapporto di coppia per poi proseguire con l’analisi e il confronto delle caratteristiche della

coppia funzionale e disfunzionale. Nei paragrafi finali, si analizza la crisi di coppia, la separazione

1 C.Bogliolo,A.M. Bacherini, Manuale di mediazione familiare proteggere i figli nella separazione, Franco Angeli

editore, pp.112. 2 J.M.Haynes e I. Buzzi, Introduzione mediazione familiare, principi fondamentali e sua applicazione, Giuffrè

editore, pp. 3. 3 Ivi, p.4.

6

e le reazioni dei figli rispetto a questi particolari processi che se non gestiti adeguatamente da parte

della coppia genitoriale possono comportare effetti psicologici e sociali deleteri per i minori.

Nel secondo capitolo si analizza nello specifico lo strumento della mediazione familiare dal punto

di vista storico-metodologico ed applicativo. Nella prima parte del capitolo si descrivono le origini

e lo sviluppo della mediazione come strumento di risoluzione delle controversie in vari contesti

(lavorativo, sociale, commerciale, civile e penale), si definisce dal punto di vista teorico il conflitto,

considerato non solo come contesto di lotta ma anche come occasione di evoluzione e

cambiamento, si descrivono dettagliatamente le fasi del processo generico di mediazione conflitti

e la figura del mediatore, professionista adeguatamente formato che facilita, ascolta, non giudica,

promotore di empowerment e autodeterminazione. L’ultima parte della tesi viene dedicata

all’analisi della pratica di mediazione familiare, dalla nascita negli Usa alla diffusione in Europa e

in particolar modo in Italia. Si prosegue con la classificazione dei diversi approcci di mediazione

familiare (approccio strutturale, integrato, interdisciplinare, terapeutico e negoziale) dei principi,

ambiti specifici, limiti di applicazione del percorso nonché le diverse modalità attraverso le quali

gli ex coniugi giungono in mediazione. Si procede con la differenziazione tra la mediazione

familiare e altri tipi di servizi (percorso di psicoterapia) e in particolare, viene posta l’attenzione

sugli obiettivi della prima seduta di mediazione familiare, momento in cui il mediatore raccoglie

diverse informazioni e esplicita gli obiettivi del percorso agli ex coniugi, per proseguire con la

descrizione dettagliata di alcune tecniche di conduzione delle sedute. Nell’ultimo paragrafo si

affronta il tema dei figli, in particolare sulla possibilità di coinvolgerli o meno nel percorso di

mediazione di familiare attraverso l’analisi dei vari punti di vista dei professionisti del settore.

Nell’ultimo capitolo si analizza il rapporto tra assistente sociale e mediatore familiare utilizzando

la metodologia dell’intervista non strutturata che ho sottoposto a due mediatori familiari e tre

assistenti sociali dell’area Nord Ovest del territorio fiorentino. Scopo della ricerca è quello di

raccogliere il punto di vista di due figure professionali che seppur appartenenti ad ambiti differenti

molto spesso si trovano a collaborare nella pratica lavorativa quotidiana. Gli obiettivi specifici della

ricerca sono quelli di indagare alcuni aspetti come la modalità di invio della coppia in mediazione

da parte dei servizi sociali, i criteri utilizzati, tipologia di utenza, rapporti tra servizi e scambio di

informazioni, numero di invii di coppie in mediazione nell’arco di due anni.

7

Capitolo I

Il sistema coppia: dalla nascita alla crisi

1.1. L'evoluzione della struttura familiare nella società contemporanea

" La famiglia è il primo ambiente in cui il singolo individuo è inserito e permane nella maggior

parte dei casi per tutto l’arco della vita, fornisce buona parte degli strumenti fondamentali per

l’inserimento nella comunità più vasta e condiziona il rapporto con le altre forme di

socializzazione".4

Nell'attuale società contemporanea la struttura familiare ha subito una serie di trasformazioni

causate dalla sua messa in discussione dal punto di vista strutturale e identitario. Nel corso del

tempo si è assistito al passaggio da un sistema famiglia patriarcale, tipico di un contesto socio

economico fondato sull'agricoltura, caratterizzato da forme di convivenza allargata di varie

generazioni e livelli (zii, nonni, genitori, figli) presente ancora nella prima metà del 900 , ad un

sistema famiglia nucleare ( a partire dalla rivoluzione industriale per poi avere una rapida

diffusione) sviluppatosi intorno agli anni 60 nel periodo del cosiddetto boom economico dove la

famiglia è composta esclusivamente da genitori e figli5 . In questa tipologia di famiglia, entrambi

i genitori lavorano sia per esigenze di carattere economico sia per un importante cambiamento

sociale inerente il ruolo della donna, protagonista di una fase di emancipazione molto sofferta e

combattuta che alcuni studiosi chiamano nuovo ruolo sociale della donna che l’ha resa vulnerabile

rispetto al difficile compito di conciliazione tra lavoro e famiglia6

Secondo Giddens (1975) 7sociologo inglese, la famiglia è definita come “un gruppo di persone

legate da rapporti di parentela, all’interno del quale i membri adulti hanno la responsabilità di

allevare i bambini”, a dimostrazione che nel pensiero comune la famiglia esiste solo quando ci

sono figli, raffigurazione derivante dell’influenza della cultura cattolica che ha per molto tempo

considerato il matrimonio come strumento per fini di natura procreativa. Attualmente, si assiste ad

4 http://www.studenti.it/la-famiglia.html. 5 http://www.storiologia.it/famiglia/evoluzione.htm. 6S.Negrelli, Sociologia del lavoro, Edizione Laterza, pp. 29. 7 Anthony Giddens (Londra, 18 gennaio 1938) è un sociologo e politologo britannico. Considerato uno dei più

importanti ed eminenti critici della sociologia contemporanea, ha raggiunto la fama mondiale nel 1976 con la

pubblicazione del libro Nuove regole del metodo sociologico. Chiaro l'intento, fin dal titolo che richiama

ironicamente la celebre opera di Durkheim, di dare nuova linfa alla metodologia sociologica.

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una diminuzione del valore formale del matrimonio a favore di significati affettivi8 per cui, oggi

si parla di “coppie affettive, ossia coppie centrate sull'amore ma socialmente irregolari"9 che

hanno comportato un importante cambio di prospettiva rispetto alla propensione culturale degli

anni 70 a causa della comparsa nuove strutture familiari definite coppie diverse, in seno ad un

“sensibile recupero dei valori e dei legami affettivi duraturi"10. Ricordiamo:

le coppie di fatto o conviventi: sono l'esempio lampante di coppia che si distacca dal

modello culturale preponderante nei secoli scorsi; caratteristiche di questa tipologia di coppia sono

parità e dignità dovuta all'evoluzione della pratica del matrimonio a favore della libera scelta e

autonomia dei vincoli per cui, " la famiglia di fatto è una società naturale senza la legalizzazione

tradizionale"11; questi nuclei, si distinguono per una marginale ufficialità e proprio per questo

assicurano un maggiore legame affettivo;

le famiglie ricomposte: scaturiscono da unioni o matrimoni passati che conducono alla

formazione di comunità allargate con i figli dell'uno e dell'altro coniuge di primo o di secondo

letto12;

le unioni miste: sono la conseguenza dell'espansione delle diversità sociali, culturali,

religiose e della globalizzazione caratterizzanti la nostra società; nella maggior parte dei casi si

verifica l'unione di persone appartenenti a culture diverse e questo può comportare non pochi

problemi inerenti a scelte di coppia o sui figli13;

le coppie omosessuali: subiscono ancora oggi una notevole discriminazione, considerate

diverse da quelle cosiddette normali in quanto ledono la "tradizione religiosa della coppia fondata

sulla differenza di genere e sula funzione generativa"14: le questioni più discusse attualmente nella

nostra società in tema di coppie omosessuali sono le unioni civili e la possibilità di adozione.

Ritengo opportuno a questo proposito citare la riflessione di uno psicologo che ha dato un

‘importante contributo alla psicologia dello sviluppo: Urie Bronfenbrenner15 secondo cui " il

8 Ivi, p. 33. 9 Ivi, p. 34. 10 C.Saraceno, M.Naldini, Sociologia della famiglia, il Mulino, 2007 pp.18. 11 Ibidem. 12 Ibidem. 13 Ibidem. 14 Ibidem. 15 è stato uno psicologo statunitense famoso per il suo " modello ecologico" in cui sostiene che l'ambiente di

sviluppo del bambino è caratterizzato da una serie di cerchi concentrici interdipendenti fra di loro. Distingue quattro

livelli : microsistema, mesosistema, esosistema, macrosistema.

9

bambino ha bisogno di una figura di attaccamento con cui possa avere una relazione emozionale

e di un’altra figura che dia supporto e appoggio e risalto alla persona che interagisce con il

bambino e che sia utile ma non necessario che questa persona sia di sesso diverso alla prima”.16

La famiglia si è trasformata nel corso del tempo ma resta legittimo il principio secondo cui, " è

proprio a partire dalla famiglia che si programma il destino di un essere umano"17.

Ho ritenuto opportuno affrontare il tema della trasformazione familiare nella società odierna per

dimostrare come la comparsa dei fattori sociali descritti possano in qualche modo rendere più

fragile e vulnerabile il sistema familiare.

1.2. Innamoramento e scelta del partner

L’inizio di una relazione è caratterizzata dalla fase dell’innamoramento; G. Salonia (1998) scrive

che “nell’innamoramento si è totalmente catturati dall’altro e, in modo più preciso, da ciò che

l’altro suscita in noi”18: in questa particolare fase, entrambi i soggetti coinvolti allargano i propri

confini dell’io e sentono di essere completi grazie al riconoscimento nell’altro seguendo

esclusivamente la cosiddetta ragione emotiva; le “componenti emotive” 19 nella fase

dell’innamoramento sono molto accentuate e a questo proposito ritengo opportuno richiamare una

distinzione tra “ sè reale e pseudo sè” di M. Bowen (1979): con il se reale si intendono quei principi

e pensieri definiti che scaturiscono dall’esperienze mentre, lo pseudo sè è strettamente connesso ad

una condizione emotiva e si manifesta non solo in campo amoroso e sentimentale ma anche nella

famiglia, nel sociale e in tutti quei contesti caratterizzati da vincoli o persone da cui il soggetto non

riesce a emanciparsi per cui, si deduce che la fase dell’innamoramento è dominata dallo pseudo

se. L’innamoramento viene vissuto dagli individui come “un’esperienza inspiegabile e positiva che

mette in moto l’animo”20: in questa fase, i due amanti cominciano ad abbozzare le prime regole del

rapporto che col passare del tempo sarà maggiormente strutturato mentre, la dominanza emozionale

caratteristica di questa fase diminuirà nel corso del tempo. In seguito alla fase dell’innamoramento,

16 C.Bogliolo,A.M. Bacherini, Manuale di mediazione familiare proteggere i figli nella separazione, Franco Angeli

editore, pp.38. 17 http://www.studenti.it/la-famiglia.html. 18 Ibidem. 19 Ibidem. 20 Ibidem.

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si attiva un “ reciproco trasferimento sentimentale in cui gli spazi emotivi si stabiliscono e i

soggetti stabiliscono una giusta distanza emotiva dove sviluppano l’attitudine a stabilire un

controllo biunivoco delle esperienze affettive” 21: lo sviluppo di una giusta distanza emotiva

comporta la nascita di una relazione armoniosa e funzionale per cui ,se questa distanza non viene

elaborata in maniera consona le previsioni e i bisogni di entrambi i coniugi possono non essere

soddisfacenti e ciò può comportare uno sviluppo negativo della relazione22: il rischio, è quello che

i coniugi “potrebbero incombere nell’esperienza di essere pervaso dall’altro, o viceversa sentirsi

del tutto staccato, ignorato e quindi non più amato”23 . Come già approfondito nei paragrafi

precedenti, i motivi che spingono verso la scelta di unirsi in una relazione possono essere i più vari

come ad esempio il forte desiderio di realizzare una “propria immagine integrata”24 oppure per

slegarsi da una dinamica familiare complicata.

Nel momento in cui si instaura un legame stabile” le persone cominciano a maturare una scelta

definitiva dove si realizzano intensi valori affettivi che coinvolgono molto spesso importanti parti

cognitive come anticipazioni, attese condivise, capacità di costruire progetti insieme”25: nella

cosiddetta fase della scelta duratura, i coniugi effettuano una serie di supposizioni sul tempo in cui

staranno insieme, sulla vicinanza fisica, sessuale, emotiva e sulla possibilità di avere un giorno dei

figli e, nel momento in cui il rapporto diventa maggiormente strutturato, si avviano verso la

scoperta della vita in comune dove i “flussi emozionali perdono via via il carattere di sorpresa o

novità pur continuando a restare un aspetto fortemente soddisfacente”26. In questa fase, la coppia

comincia a realizzare una matura elaborazione della relazione dove i coniugi cominciano a

conoscersi fino in fondo in maniera tale da poter comprendere reciprocamente i comportamenti e

renderli maggiormente prevedibili: questa prevedibilità, porta ad una maggiore rassicurazione

reciproca che può in alcune situazioni causare monotonia e deterioramento del rapporto27.

Quando una relazione muta e si sviluppa, si perfezionano le regole della coppia e i comportamenti

da attuare sia nel contesto sociale che nei confronti delle famiglie di origine di entrambi, ci sarà

una maggiore consapevolezza della vita quotidiana in comune, dei ritmi, dei modi di esprimere la

sessualità, di costruire i progetti o nel modo di affrontare le difficoltà dove verrà costituito una

21 C.Bogliolo A.Maria Bacherini, Manuale di mediazione familiare, cit., p.25. 22 Ibidem. 23 Ibidem. 24 Ibidem. 25 Ivi, p. 27. 26 Ibidem. 27 Ivi, p.29.

11

sorta di “sistema competitivo-difensivo” 28in cui nasce e si sviluppa l’identità della coppia. Tutto

questo, può essere descritto come il passaggio all’amore duraturo in cui ciascuno ha messo in gioco

la propria personalità, ha delineato chiaramente la propria posizione verso il partner ed entrambi

hanno accettato critiche e giudizi29. Questo amore duraturo si esprime nella sua totalità attraverso

un “forte coinvolgimento emotivo, un modello di attaccamento di protezione e dipendenza

reciproca, un’alternanza tra la fusione ancora presente dalla fase di innamoramento e nella

reciproca capacità di differenziarsi rispetto all’altro e quindi , in definitiva la relazione sarà

soddisfacente quando entrambi riusciranno a rispondere ai bisogni affettivi ed emotivi dell’altro,

soprattutto quando accetteranno la visione del mondo del partner senza avere pregiudizi e, ad

elaborare i propri preesistenti vincoli affettivi e le proprie relazioni”30.

1.3. La famiglia di origine e le appartenenze

La scelta del partner è dettata da una particolare mescolanza tra mito familiare, mandato inerente

ad esso e ricerca del soddisfacimento dei propri bisogni: se il mito familiare è preponderante

rispetto ai bisogni individuali, è più probabile che un soggetto possa ricercare un legame avendo

aspettative implicite o esplicite coerenti con il proprio mito familiare mentre, nel caso in cui ci

fosse un’ opposizione rispetto alla propria famiglia di origine, la scelta sarà indirizzata verso un

partner con caratteristiche sociali e personali diametralmente opposte al proprio mito familiare ,

come se fosse una sorta di protesta contro “vincoli relazionali che in qualche modo hanno privato

il soggetto della libertà personale”31. Sul piano dei contenuti, “il mito familiare suggerisce le

caratteristiche che devono essere in grado di soddisfare aspettative implicite o esplicite negli

elementi del mito o del mandato e crea delle aspettative rispetto all’evoluzione del legame e dà

delle prescrizioni di comportamenti”32. Diversi autori si sono espressi in merito all’influenza che

la famiglia di origine apporta nella scelta del partner e nella costruzione del rapporto di coppia;

secondo A.M. Nicolò Corigliano (1990) “la coppia è costituita da due corpi, ma sulla relazione

pesano elementi fantastici o reali dell’uno o dell’altro partner, o le dinamiche delle coppie

28 Ibidem. 29 Ibidem. 30 Ibidem. 31 Ibidem. 32 Ivi, p. 27.

12

genitoriali che si ripropongono nella nuova relazione”33e ancora, G.Bateson (1973) fa riferimento

al concetto di apprendimento secondo cui, nonostante ogni individui nella propria vita quotidiana

è inserito in molteplici contesti di apprendimento, la famiglia resta il luogo dove si apprendono

maggiormente le modalità di relazione con gli altri: “le famiglie d’origine hanno funzione di

matrice di pensiero, anche attraverso più generazioni”34. E’opportuno ricordare anche A. Ferreira

(1963) secondo cui “i miti familiari sono un insieme di idee e sentimenti, condivisi

aprioristicamente dai membri della famiglia, sintesi acritica delle tradizioni e delle attese di

questa”35;

C. Angelo (1988) afferma che “nella coppia la decisione di avviare una vita comune acquista senso

e stabilità in rapporto a quanto accade nel progressivo incontro dei rispettivi miti familiari”36. Un

altro studioso, M.Brow37riprende il concetto di differenziazione e individualizzazione secondo cui,

per la costruzione di una relazione è necessario che l’individuo sia riuscito a realizzare un buon

grado di individuazione emotiva dalla propria famiglia di origine:” per formare nuove famiglie

gli individui dovrebbe aver ottenuto un buon livello di individuazione e differenziazione, come

preludio alla separazione della famiglia d’origine per cui per cui, se il livello di differenziazione

individuale è alto, i due partner hanno la prospettiva di un sano adattamento reciproco; se invece

prevale l’indifferenziazione ci sarà una tendenza a mantenere il livello fusionale anche nella nuova

relazione”38.

In definitiva, l’eccessiva fusione mette a rischio l’identità individuale che, in questo caso, dipenderà

esclusivamente dal rapporto con il proprio partener, rischiando di instaurare meccanismi di

dipendenza- subordinazione, limitando la propria personalità e la propria esistenza.

33 C.Bogliolo, A.M. Bacherini, Manuale di mediazione familiare, cit., p.34. 34 Ivi, p. 35. 35 Ivi,p.36. 36 Ibidem. 37 Ibidem. 38 Ivi,p. 36.

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1.4. Il sistema coppia funzionale e disfunzionale a confronto

Secondo la teoria generale dei sistemi di Bertanlanffy39, per sistema si intende una unità composta

da elementi dove al proprio interno si instaurano relazioni interdipendenti tendenti all’equilibrio.

Il sistema, non è dato dalla semplice somma delle sue parti in quanto, qualunque cambiamento

generato da un qualsiasi elemento facente parte del sistema influenza l’intero sistema nel suo

complesso: la famiglia, è considerata come un sistema aperto che funziona in relazione al suo

contesto socio-culturale e che si evolve durante il ciclo vitale.40. Ritengo interessante descrivere

brevemente i punti cardine dell’ottica sistemica prendendo come riferimento la definizione di

Walsh (1982) secondo cui “la famiglia utilizza i principi della teoria sistemica, le regole

applicabili a tutti i sistemi interattivi”. Il primo punto cardine della teoria sistemica è l’abbandono

del principio di causalità lineare (x causa y che causa z) a favore del principio di causalità circolare

(x causa y che rinforza x) secondo cui ogni azione corrisponde ad una reazione e il cambiamento

di un individuo facente parte del sistema influenza il sistema nel suo complesso; un ulteriore

elemento fondamentale dell’ottica sistemica è il principio di non sommatività, già accennato

all’inizio del paragrafo, secondo cui la famiglia non è una semplice somma dei componenti ma è

un sistema caratterizzato da interdipendenza e connessione fra i suoi elementi mentre , il

principio di omeostasi afferma che il sistema tende a mantenere un equilibrio solido; ultimo

concetto dell’ottica sistemica è quello della morfogenesi secondo cui la famiglia detiene al proprio

interno le giuste risorse per affrontare e superare in maniera positiva i cambiamenti e in base a

questo assunto la famiglia è intesa come sistema evolutivo41

Tornando alla coppia, questa secondo l’ottica sistemica non rappresenta una somma di individui

ma un corpo sociale costituito da un patto, una propria identità e delle proprie regole da cui

scaturisce un terzo soggetto, il cosiddetto noi che genererà interdipendenza, sogni e pensieri

circolari per cui, se si considera la coppia come sistema , lo strutturarsi di una relazione dipende

dalla capacità che i due soggetti hanno nel sostenere ed affrontare i cambiamenti a cui è sottoposto

il ciclo vitale della famiglia.42. Secondo Walsh (1982), quando la coppia si costituisce instaura una

sorta di contrattazione dove verrà stabilita nel tempo una nuova normativa composta dalle regole

39 Ludwig von Bertalanffy (Vienna, 19 settembre 1901 – New York, 12 giugno 1972) è stato un biologo austriaco,

nonché il fondatore della teoria generale dei sistemi. 40 http://studiopsynerghia.com/la-famiglia-come-sistema. 41 Ibidem. 42 Ibidem.

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della convivenza e della relazione.

Per definire gli elementi che caratterizzano una coppia funzionale, è utile citare un intervento di

Virginia Sartir (1988) ad un congresso intitolato “La coppia in crisi” del 1988 dove sottolinea

alcune caratteristiche che una coppia deve possedere per essere definita sana; secondo la

Satir(1988) costruire una coppia sana significa avere ben saldo il principio di uguaglianza rispetto

all’altro (principio opposto al concetto di dominanza-sottomissione), significa eliminare la

distinzione tra parte cognitiva (funzione attribuita alla donna), e parte intuitiva (funzione attribuita

all’uomo) dove l’obiettivo deve essere quello di diventare un tutt’uno e ancora, secondo la Sartir

(1988), avere una positiva autostima verso sè stessi è fondamentale per la costruzione di una coppia

sana in quanto coloro che hanno una bassa autostima possono rischiare di rimanere imprigionati

l’uno nell’altro in un incastro psicologico che ricorda i loro modelli infantili 43

Secondo S.M Minunich (1976, 1982) la famiglia funzionale è quella famiglia che nei momenti di

crisi e di difficoltà continua ad adempire alle sue funzioni44. In una famiglia funzionale, le regole

si costruiscono mediante un processo di differenziazione correlata45 : in base a questo processo,

ogni coniuge dovrebbe sviluppare degli aspetti esclusivi di se mentre l’altro dovrebbe detenere una

funzione integrativa in quanto ,nella coppia funzionale ognuno deve possedere la propria idea ed

essere libero di esprimerla senza che questa libertà rappresenti un minaccia per la coppia; essere

una coppia funzionale vuol dire creare uno spazio comune dove comunicare, condividere,

confrontarsi, rispettarsi e quindi differenziarsi mentre, nella coppia disfunzionale la fusione

rappresenta l’elemento centrale di questa tipologia di coppia dove i coniugi non detengono

consapevolezza dei propri confini, non esiste dialogo, condivisione e soprattutto differenziazione46.

Per riassumere quanto detto, è bene citare la distinzione realizzata da R. Beaves47 dove confronta

gli aspetti principali della coppia funzionale e non funzionale:

soggettività della realtà e dei punti di vista: secondo questo aspetto, la costruzione della

visione di coppia e quindi il passaggio dell’io al noi avviene quando entrambi riconoscono la

soggettività dei punti di vista mentre nelle coppie disfunzionali il riconoscimento del punto di vista

43 Ibidem. 44 Ibidem. 45 Ibidem. 46 Ibidem. 47 Ivi, p. 32.

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altrui non avviene in quanto ognuno si preoccupa di affermare il proprio48;

la conferma del se e i sentimenti negativi: nella coppia funzionale i sentimenti negativi

come rabbia, rancore non destabilizzano il rapporto ma sono liberamenti accettati mentre nella

coppia disfunzionale le emozioni negative possono rappresentare un rischio per la sopravvivenza

del rapporto 49;

cause ed effetto: la coppia funzionale ragiona prendendo in considerazione le diverse

variabili del comportamento mentre la coppia disfunzionale attua una tipologia di ragionamento

lineare dove è forte la percezione che la colpa è dell’altro e questo è causa di notevoli

incomprensioni50

il potere: nella coppia funzionale non esiste uno scontro in merito al potere in quanto al suo

interno esiste una buona contrattazione tra i coniugi, un ‘attribuzione delle responsabilità

rispettivamente accettate e dalla delega che entrambi si attribuiscono soprattutto nella gestione

della famiglia mentre nelle coppie disfunzionali si crea un meccanismo di controllo dell’altro;

confini individuali e di coppia: i coniugi della coppia sana riescono ad esprimere le proprie

emozioni facendole rientrare nel contesto di vita della coppia51.

1.5. La crisi di coppia

Nella vita di coppia possono presentarsi dei momenti in cui i coniugi si confrontano sotto forma di

discussione o contrasto; che possono dare adito a situazioni conflittuali di notevole intensità e

durata anche se, non sempre litigi e discussioni causano la rottura definitiva del rapporto in quanto

molto spesso rappresentano per la coppia occasione di confronto, trasformazione ed evoluzione

che permette di stabilire un nuovo modello di relazione basata sul reciproco compromesso: “ tra

una discussione e l’altra è possibile condividere spazi di appagante convivenza e di sostegno

reciproco e si accettano serenamente i limiti della relazione”52. Tensione e stress all’interno di una

coppia possono essere causati da una serie di avvenimenti e cambiamenti e, a tal proposito

48 Ibidem 49 Ibidem 50 Ibidem. 51 Ibidem. 52 Ivi, p.39.

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ricordiamo la distinzione proposta da Terkelson (1980) tra eventi normativi e para normativi: i

primi si riferiscono ad eventi inerenti la transazione del ciclo vitale della famiglia come nascita dei

figli, distacco da figli ecc. mentre i secondi riguardano eventi come disabilità, disoccupazione e

malattia53. In alcune circostanze, l’innocuo litigio è parte della fisiologia di coppia mentre in altre

il può trasformarsi in una vera e propria crisi poiché sono contrasti maggiormente legati all’aspetto

intrapsichico dei singoli individui. già analizzati nei precedenti paragrafi. Ritengo importante

riprorre Virginia Sartir (1980) e il suo concetto di “self- esteem” 54secondo cui una bassa stima di

sé può causare problematiche interne alla coppia, come ad esempio il tentativo di mascherarsi

attraverso la creazione di difese che portano l’individuo a rappresentare un personaggio costruito

e finto rispetto alla propria vera personalità come se venisse meno il senso di autenticità55: in questa

circostanza, entrambi i coniugi cercano di rappresentare una personalità finta, apparentemente

forte, stabile e sicura dinanzi all’altro ma, quando col trascorrere del tempo le debolezze e i bisogni

reciproci emergeranno, la coppia entrerà in una fase di crisi in quanto” le reciproche aspettative

possono essere fatte fallire all’interno di un nascondersi la verità, un meta-comunicare sulla

propria reale natura”56; altra situazione a rischio crisi si ha quando “la definizione che ogni

partner da di se e dell’altro non è accolta senza riserve ma viene criticata o rifiutata in quanto

ognuno intende interpretare il rapporto secondo la propria prospettiva e il proprio punto di vista

escludendo il pensiero dell’altro”57:molto spesso, i coniugi rischiano di restare intrappolati in

convinzioni, principi e abitudini dove un confronto potrebbe portare o alla riapertura dei canali di

comunicazione o dare adito a chiari segnali disfunzionali. Anche il rapporto con la famiglia

d’origine rappresenta un aspetto importante da sviscerare per limitare il rischio di approdare in una

fase critica: quando uno dei due coniugi non riesce a considerare la relazione con il partner come

“relazione privilegiata”58 a dimostrazione di una lealtà mantenuta verso la famiglia di origine. A

tal proposito, ripropongo la metafora effettuata da A. Canevaro ( 1994 ) secondo cui, quando il

completo distacco con la famiglia di origine non è avvenuto sta a significare che “ l’individuo è

partito con le valigie troppo vuote”59 nel senso di aver subito una lacuna dal punto di vista

affettivo: è questo secondo l’autore il motivo che molto spesso spinge gli individui a tornare

53 L. Parkinson, Separazione, divorzio e mediazione familiare, Erickson, p.33. 54 Ivi, p. 34. 55 C.Bogliolo, A.M. Bacherini, Manuale di mediazione familiare, cit., p.40 56 Ibidem. 57 Ibidem. 58 Ibidem. 59 Ibidem.

17

indietro dalla propria famiglia d’origine, per colmare un vuoto affettivo non ricevuto in passato.60

Il momento in cui queste dialettiche si attivano, con le loro componenti di tensione o di disagio, è

denominata come “ fase critica, o crisi che esprime la rottura di un equilibrio già acquistato e

l’irruzione di una differenza negli schemi abitali di comportamento, essa prelude solitamente a un

cammino evolutivo e trasformativo ma, in quanto tale, può indurre anche una frattura del

legame”61: le fasi critiche sono di natura fisiologica nella relazione di coppia infatti, il maggior

rischio è rappresentato non tanto dalla crisi in sè ma dal modo in cui questa particolare fase viene

affrontata dai coniugi. La principale problematica che la coppia in crisi si trova ad affrontare è la

difficoltà di restare ancorati al proprio punto di vista e alla propria visione dei fatti, senza nessun

tentativo di conciliazione; secondo Haley (1976)” l’emergere del disagio di coppia corrisponde al

tentativo di controllare la relazione e, emerge quel meccanismo chiamato interpunizione arbitraria

da cui emergeranno messaggi di colpa e/o di cattiveria”62. Secondo i teorici della teoria della crisi

(Parad e Caplan, 1965; Rapoport, 1965; Caplan , 1985) questa fase critica implica:

- una situazione di stress in cui è presente la difficoltà a trovare la soluzione immediata;

- un cambiamento della percezione di sè e dell’altro, una grave minaccia all’identità e alla routine

come sinonimo di difficoltà passate o remote;

- un processo di disorganizzazione e sviluppo di emozioni negative (rabbia, angoscia, paura,

tristezza, solitudine,)63.

In base al tipo di conflitto è possibile stilare una classificazione di modelli di conflitto64:

coppie semi staccate, caratterizzate da coniugi che si sono staccati tra loro nel corso del

tempo, in maniera graduale e probabilmente ancora legati da un sentimento emotivo dove però le

discussioni posso portare ad un punto comune;

conflitto a porte chiuse, caratterizzato da un ritiro fisico e psicologico dal quale scaturiscono

sentimenti come rabbia, angoscia, paura, frustrazione e ritiro dal proprio amore: in questa

circostanza, i figli sono quelli che subiscono maggiormente gli effetti del conflitto poiché essendoci

questo atteggiamento di silenzio e evitamento, non verrà loro comunicato che il genitore è andato

60 Ibidem. 61 Ibidem. 62 C.Bogliolo, A.M. Bacherini, Manuale di mediazione familiare, cit., p.43. 63 L. Parkinson, Separazione, divorzio, cit., p.34. 64 Ibidem.

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via, quando, come e dove potrà vederlo;

lotta per il potere, nel caso in cui uno dei coniugi prende iniziativa del divorzio per tentare

di sovvertire l’equilibrio e ottenere una posizione dominante nel conflitto;

dipendenza ostinata, quando uno dei due coniugi cerca di restare legato mentre l’altro lo

respinge: il coniuge ancora ancorato all’altro, può utilizzare diversi strumenti come ricatto di

suicidio, lesioni fisiche e, molte volte siccome il rischio è molto alto, alcuni coniugi si sentono

obbligati a fare un passo indietro ritornando col partner;

confronto, riferito a confronti di natura fisica e violenta come schiaffi, pugni del tutto

inusuale, scene molto comuni nelle crisi di separazione65.

A monte di questa importante classificazione, ritengo opportuno dedicare un piccolo spazio alle

relazioni disfunzionali, in cui non esiste un vincitore, dove i coniugi non hanno la consapevolezza

che questa dinamica sta portando alla totale distruzione reciproca non riuscendo ad allontanarsi

l’uno dall’altro mettendo in atto una guerra insanabile66; le coppie disfunzionali quasi mai si

lasciano, addirittura possono trascorrere tutta la vita insieme pur di farsi del male e far prevalere i

propri principi tant’è che molto spesso la crisi può assumere connotati insuperabili e addirittura

può trasformarsi in un conflitto fine a sè stesso ossia in “escalation simmetrica dove non si tratta

più di aver torto o ragione, ma solo colpire e distruggere, configurando strutture francamente

patologiche67”. Queste coppie cosiddette “malate “, sono il fulcro da cui possono insorgere disturbi

gravi per entrambi i coniugi come depressione, alcolismo, disordine del comportamento

alimentare, ansia, malattie psicosomatiche ma anche forte aggressività e violenza fisica: tutto

questo, è la risultante di un legame distruttivo e patologico che non riesce a sciogliersi e coinvolge

come una tempesta di sabbia genitori, parenti e figli68

La crisi di coppia coinvolge anche gli stessi figli tant’è che secondo una ricerca effettuata da I.V.

Zussman (1980), durante il conflitto i genitori mettono in atto atteggiamento di disinteresse nei

confronti dei figli ,addirittura mostrandosi più severi nei confronti dei più piccoli e maggiormente

disinteressati nei confronti dei più grandi; altre ricerche invece rilevano che i bambini che vivono

in famiglie caratterizzate da conflittualità sono maggiormente esposti al rischio di incombere in

disturbi del comportamento come aggressività, iperattività, opposizione, violenza, depressione,

65Ivi, p.44-47. 66 Ibidem. 67 C.Bogliolo, A.M. Bacherini, Manuale di mediazione familiare, cit., p.47. 68 Ivi, p.48.

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ritiro sociale, problemi di adattamento e comportamenti antisociali (Grych e Fincham, 1990). Sono

numerose le ricerche (svolte soprattutto negli Stati Uniti) che confermano la correlazione tra

problemi di coppia e problemi psicologici dei bambini (Hubbard e Adams, 1936, Towle, 1931,

Wallace, 1935). In generale quindi, la crisi tra i genitori può rappresentare per il bambino un evento

che lo renderà meno sereno e più ansioso perché percepirà la perdita della garanzia di sicurezza, il

terrore per l’abbandono che porterà con sè probabilmente per tutta la sua esistenza69. Le crisi

disfunzionali portano al configurarsi di una struttura del sistema famiglia-coppia distorta: un

esempio è rappresentato dalla situazione di parent child in cui il bambino si pone in posizione

sostitutiva dove il minore diventa bambino-marito o bambina-moglie da cui scaturisce un rapporto

del tutto innaturale 70 ; un altro caso estremo è rappresentato dalla sindrome di alienazione

parentale71 che colpisce i bambini coinvolti in contesti di conflitto e separazione genitoriale. Gli

effetti e le reazioni dei figli cosiddetti separati o divorziati saranno approfonditi nei successivi

paragrafi.

1.6. La separazione

“L’atto della separazione, suffragato da una sentenza o comunque socializzato in due conviventi,

formalmente annulla gli eventuali vincoli collusivi che mantenevano in piedi una relazione ormai

finita, ma che potevano aver costituito l’estrema difesa di un sistema coppia”72; secondo F.W.

Kaslow (1991) si possono distinguere 3 fasi della separazione:

pre-separazione, fase dominata da sentimenti differenti dei coniugi, soprattutto quando è

solo un partner a prende la decisione e l’altro a subirla: il partner che decide sperimenta sentimenti

come disillusione, intolleranza, desiderio di fuga, perdita di interessa mentre l’altro sarà connotato

da sentimenti differenti come rabbia, desiderio di vendetta, perdita della stima di sè, disperazione,

69 Ivi, p.49. 70 C.Bogliolo, A.M. Bacherini, Manuale di mediazione familiare, cit., p.50. 71 La sindrome da alienazione genitoriale (o PAS, dall'acronimo di Parental Alienation Syndrome) è una ipotetica e

controversa dinamica psicologica disfunzionale che, secondo le teorie dello psichiatra statunitense Richard Gardner,

si attiverebbe sui figli minori coinvolti in contesti di separazione e divorzio conflittuale dei genitori, non

adeguatamente mediate. La PAS è oggetto di dibattito ed esame ― sia in ambito scientifico sia giuridico ― fin dal

momento della sua proposizione nel 1984; essa non è, infatti, riconosciuta come un disturbo psicopatologico dalla

grande maggioranza della comunità scientifica e legale internazionale. 72 C.Bogliolo, A.M. Bacherini, Manuale di mediazione familiare, cit., p.70.

20

paura, ansia inadeguatezza;

separazione in atto, fase in cui i sentimenti di entrambi sono sempre più intensi ed estremi;

post-separazione, rappresenta la fase in cui entrambi i coniugi cercano di ricostruire la

propria identità e la propria vita non più legata al partner dove sorgono sentimenti altalenanti di

indecisione, rassegnazione, rimpianto ecc73. In definitiva, anche se la decisione proviene da un

coniuge, il percorso della separazione investe e coinvolge entrambi i partner e, a questo proposito

è utile citare un ulteriore classificazione disposta da C.A. Everett e S.S. Volgy (1995) secondo cui

dal punto di vista relazionale la separazione è caratterizzata da tre momenti distinti:

de connessione strutturale: momento in cui avviene il disimpegno l’uno dall’altro che

porterà ad un cambiamento dei rispettivi ruoli esistenti precedentemente, sia in merito alla coppia

sia rispetto alla genitorialità74

connessioni di rete: in questa fase, entrambi i coniugi sono consapevoli di aver perso il

sistema famigliare precedente, cercano di stabilire dei rapporti o delle comunicazioni sia con la rete

sociale che con quella famigliare allargata con il tentativo inserirsi in nuovi sistemi, con la

possibilità di riaprire un legame con la famiglia d’origine; è una fase molto spesso dominata dalle

fantasie di creare una vita nuova , immaginando una nuova esistenza attraverso legami sicuri

(famiglia o amici)75.

riconnessione: è un processo riguardante il sottosistema figli-genitori in quanto, nonostante

il sistema coppia si sia sfaldato, il rapporto con i figli dovrebbe riconnettersi e ridefinirsi al fine di

proteggere questi ultimi76. Everett e Volgy (1995) parlano di “blocco della riorganizzazione del

sistema” quando i due coniugi non riescono a gestire il cambiamento che porta giustappunto ad un

blocco che impedisce qualsiasi tipo di decisione77.

Ogni percorso di separazione è caratterizzato dalla sua unicità e specificità in quanto sono

molteplici i fattori che possono influenzare .A tal proposito, è possibile far riferimento ad una

ulteriore classificazione che descrive le tappe che intercorrono all’interno di questo percorso :

parliamo di “ ridimensionamento affettivo, incertezze, riconciliazioni, punto di non ritorno”78 a

73 Ivi, p.71. 74 Ibidem. 75 Ibidem. 76 Ibidem. 77 Ivi, p.72. 78 Ivi, p.73.

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dimostrazione di molteplici sentimenti, emozioni e stati d’animo che investono i due coniugi in

questo processo.

Il ridimensionamento affettivo, sta ad indicare quella fase caratterizzata da un forte senso di

delusione, rabbia e rancore inerenti alle aspettative create nei confronti dell’altro che sono percepite

nel corso del tempo inizialmente come sensazioni passeggere ma che poi porteranno ad una vera e

propria modifica del comportamento e ad un “affievolirsi dell’interesse mentre compare un senso

d’estraniazione reciproca e la percezione di un distacco affettivo”79. Secondo Little, (1982) il

ridimensionamento affettivo è connotato da un forte contrasto tra l’immagine del partner

idealizzato e il suo comportamento oggettivo; anche secondo Bradbury e Fincham (1990) il

pensiero sul come poteva essere rappresenta un elemento di infelicità nella vita degli individui. In

questo contesto, i figli cominciano a percepire che qualcosa sta cambiando, si pongono interrogativi

ai quali i genitori non sempre hanno la lucidità di rispondere negando molto spesso la realtà dei

fatti.

La fase dell’incertezza è caratterizzata da un periodo altalenante in cui i coniugi hanno difficoltà

ad accettare che ormai il rapporto di coppia è agli sgoccioli tant’è cha alcune coppie molto spesso

“fanno le prove a lasciarsi” , a dimostrazione di forti dubbi ed incertezza nonostante abbiamo la

consapevolezza che la relazione è diventata insostenibile80; i coniugi, hanno la sensazione di

perdere qualcosa, motivo per cui molto spesso questo lasso di tempo di forte indecisione può durare

anche anni81. Secondo le ricerche sui tempi condotte da G. Spanier e L. Thompson (1984) ci

vogliono meno di sei mesi per il 50% delle donne e per il 65% degli uomini per decidere di chiudere

una relazione. La fase dell’incertezza alimenta sentimenti di instabilità, confusione che col tempo

verranno meno grazie ad una maggiore consapevolezza per entrambi i coniugi che ormai la

relazione è arrivata all’epilogo.

Le prove di riconciliazione sono strettamente connesse al sentimento di dubbio e ripensamento

dovuti al senso di colpa nei confronti dei figli e della persona abbandonata da cui scaturiscono

“tentativi di riconciliazione e ricostruzione d’edifici ormai crollati”82: in questa fase , si tenta di

ricostruire la base di un rapporto ormai distrutto che non possiede più le fondamenta, provocando

l’emergere di stati d’animo e di emozioni vissute in precedenza dove chi è stato lasciato proverà

79 Ibidem. 80 Ivi, p.73 81 Ivi, p.74. 82 Ivi, p.76.

22

ansia, apprensione e timore di essere nuovamente abbandonato mentre nell’altro si ripresenteranno

fantasie di libertà , di autonomia; nei figli , queste pseudo riconciliazioni porteranno una falsa

speranza dove la delusione di una nuova separazione sarà ancora più dolorosa e deludente83. I

momenti di incertezza e di ripensamento possono esserci anche se la separazione è ormai giunta

alla fase conclusiva, come affermano gli autori Everett e Volgy (1995) che parlano di “ambivalenza

tardiva”84 dovuta a sentimenti di smarrimento, incertezza, paura dove anche a distanza di anni

sussiste una mancata rielaborazione della separazione.

Per concludere, l’ultima fase è quella del “ punto di non ritorno”85 dove non si parla più di coppia

in crisi ma di “ separazione in corso e di separandi” : in questa fase, i due separandi sono arrivati

alla consapevolezza che il rapporto è ormai terminato, caratterizzato da un allontanamento fisico

che nei matrimoni ha inizio con l’avvio delle pratiche legali; parliamo di coppia separata nel

momento in cui entrambi i coniugi decidono di mettere fine ad un’unione che ormai non ha più

motivo di esistere per cui, la separazione può essere vista come un evento funzionale che se

accettato in maniera coerente e razionale conferisce la possibilità ad entrambi i separati di poter

ricostruire una propria vita come se fosse una vera e propria opportunità86 .In definitiva, “la

separazione presuppone la riorganizzazione della famiglia in due unità separate, e un

riadattamento dei figli” 87 anche se, molto spesso i coniugi sono così coinvolti nella conflittualità

che non riescono a focalizzare l’attenzione sulla protezione dei rispettivi figli coinvolgendoli nella

loro guerra: è questo, il fulcro della mediazione familiare, sostenere i coniugi nella riapertura del

canale comunicativo per il benessere dei loro figli. Lo strumento della mediazione familiare sarà

approfondito nel secondo capitolo di questi tesi.

83 Ibidem. 84 Ibidem. 85 Ibidem. 86 Ivi, p.88. 87 C.Bogliolo, A.M. Bacherini, Manuale di mediazione familiare, cit., p.78

23

1.7. I figli separati

La separazione può portare nei figli una grande sofferenza se coinvolti nella conflittualità dei

genitori in quanto il bambino durante la separazione attraversa un periodo complicato, sente che la

base sicura su cui poteva far leva sta venendo meno, sperimenta privazione ed abbandono non

riuscendo a gestire i suoi “processi di identificazione e l’immagine di sè”88. I minori, sono molto

spesso in balia delle decisioni dei genitori e, se per questi ultimi la separazione può rappresentare

un‘opportunità per cambiare vita per il bambino la famiglia è l’unica cosa che possiede, il suo unico

mondo. Nelle separazioni fortemente conflittuali o irrisolte, molto spesso i genitori possono agire

sui figli cercando indirettamente di colpire l’ex partner: sono molteplici gli esempi che possiamo

richiamare a tal proposito come quando uno dei genitori cerca di dimostrare all’altro di essere il

genitore indispensabile, premuroso e protettivo o quando un genitore si allea con il proprio figlio

a tal punto che questo diventa il proprio confidente e protettore oppure ancor più grave, quando il

bambino viene incaricato di spionaggio nei confronti del genitore che porterà a delle importanti

conseguenze in quanto il genitore sorvegliato sarà meno naturale e spontaneo con il bambino

perché consapevole del fatto che il figlio ripoterà tutto all’altro genitore mentre l’altro utilizzerà il

bambino per ricevere notizie tendendo a distaccarsi da un rapporto emotivo e a disinteressarsi dei

bisogni di lui89. Le situazioni appena descritte portano alla comparsa di strutture disfunzionali che

poco giovano al benessere psicologico del bambino; le reazioni dei figli alla separazione non sono

tutte uguali ma si differenziano in base a diverse fattori: sesso, età, livello di maturità, ruolo

occupato nella famiglia, livello di preparazione emotiva ricevuto in precedenza 90 . A questo

proposito, è utile proporre una ricerca effettuata da J.Wallerstain e J.Kelly (1980) attraverso cui

hanno osservato le reazioni dei bambini alla separazione in base all’età attraverso una suddivisione

in base al periodo: infanzia (0-8 anni), preadolescenza (9-12 anni) e infine

adolescenza 91 .Nell’infanzia, sono prevalenti manifestazioni come ansia, timore, depressione,

fantasie sul ritorno dei genitori, angoscia e paura di essere abbandonati in quanto in questa fascia

di età, i bambini non possiedono la capacità di elaborare il proprio dolore, subiscono la totale

disperazione essendo privi di modelli di pensiero e strumenti verbali per cui, se gli adulti possono

esprimere verbalmente il loro dolore, i bambini attuano comportamenti denotati da aggressività,

iperattività, violenza, o addirittura il loro disagio si esprime tramite incubi e sogni terribili ad

88 C.Bogliolo, A.M. Bacherini, Manuale di mediazione familiare, cit., p.81. 89 Ivi, p.84. 90 Ibidem. 91 Ibidem.

24

esempio sull’uccisione dei loro genitori92. Nei bambini di questa età, emergono “somatizzazioni di

tipo regressivo, con distacco emotivo, rifiuto del gioco, perdita del gioco, perdita del controllo

sfinterico, caduta dei capelli, irritabilità, pianto irrefrenabile, balbuzie, mal di pancia”93. Alcuni

bambini possono reagire attraverso:

negazione;

pensiero magico, dove addirittura alcuni bambini invocano la “madonna o Gesù”

promettendo di fare delle buone azioni pur di sperare una riconciliazione dei propri genitori;

rabbia, come se il bambino si sentisse derubato del suo mondo, della sua famiglia;

atteggiamenti aggressivi nei confronti del genitore violento, rifiutante o a cui attribuiscono

la colpa della separazione;

ansia e angoscia, perennemente presente in questi bambini in quanto vivono la separazione

come una “deprivazione affettiva”, non riescono ad accettarla e la vivono come una disgrazia che

ha inondato l’esistenza;

senso di colpa, reazioni tipica di questi bambini, si autoconvincono di essere gli artefici

della separazione dei genitori dovuti a comportamenti inopportuni e disubbidienti considerandosi

“cattivi e indegni di essere amati”94: questa convinzione potrà avere effetti disfunzionali durante

la crescita poiché i bambini sentiranno il bisogno di essere puniti o di rischiare di essere

abbandonati da un ipotetico partner;

senso di solitudine;

depressione, caduta verticale della self-estreem95 in quanto i bambini molto spesso si

identificano con il genitore a cui sono affidati e le sensazioni e gli stati d’animo provati dal bambino

possono essere tendenzialmente simili a quelli del genitore;

rassegnazione, nel senso di accettare passivamente la situazione96.

Nella preadolescenza, le reazioni sono tendenzialmente simili a quelle dell’infanzia ma con la

differenza che in questa fase di sviluppo i bambini comprendono maggiormente ciò che sta

92 Ivi, p.83. 93 Ivi, p.84. 94 Ibidem. 95 Ibidem. 96 Ivi, p.88.

25

succedendo non potendo mettere in atto risposte di negazione ma assumendo un comportamento

che in apparenza è abbastanza controllato e razionale anche se in fondo “il bambino è pervaso da

un forte disorientamento”97. Nell’adolescenza invece, “ i processi di rielaborazione cognitiva ed

emotiva diventano difficili, o molto ardui, quando il ragazzo si trova alle prese anche coi propri

genitori in crisi “98 in cui emergeranno comportamenti trasgressivi: l’adolescente rispetto al

bambino e al preadolescente, “difficilmente subirà lo shock improvviso della separazione dai

genitori”99 in quanto molto spesso ha vissuto in prima persona esperienze simili di amici o parenti

oppure è stato coinvolto direttamente nel conflitto genitoriale, assistendo a litigi o addirittura

intervenendo per frenare le risse; l’adolescente può esprimere il suo disagio attraverso rabbia,

aggressività nei confronti del genitore che ritiene colpevole del fallimento matrimoniale, attraverso

il rifiuto di vedere il padre o la madre e la pretesa di vivere con il genitore che lui stesso ha prescelto,

assumendo comportamenti devianti come uso di sostanze, abbandono della scuola, fughe da

casa100. Per concludere, nonostante le reazioni risultano differenti in base all’età, l’evento della

separazione rappresenta un momento significativo nella vita di ciascun bambino che non sempre è

del tutto negativo e rischioso per la loro vita in quanto, se la separazione è gestita in maniera

funzionale dai genitori può rappresentare un’opportunità per ristabilire un equilibrio perduto da

tempo101.

97 Ivi, p.90. 98 Ivi, p.91. 99 Ibidem. 100 Ivi, p.94. 101 Ibidem.

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Capitolo II

La mediazione familiare: metodologia, prassi e ambiti di intervento

2.1. La mediazione: origini ed elementi fondanti

La mediazione come tecnica di risoluzione delle controversie si sviluppa intorno agli anni 80 in un

contesto sociale in cui i conflitti tendono ad essere risolti non più esclusivamente attraverso la via

giudiziale ma attraverso uno strumento che permette alle parti di comprendersi e riaprire un canale

comunicativo poiché, nell’ambito della giustizia i conflitti venivano risolti solitamente secondo la

logica binaria del vincitore/ perdente ma con lo sviluppo dello strumento della mediazione si

sviluppa una “ logica terniaria , orizzontale e non verticale, vicino alle parti in causa “102 .

Lo spirito della mediazione verte su un concetto di risoluzione del conflitto in cui le parti possano

essere sostenute da un terzo neutrale che si pone in posizione orizzontale, imparziale, senza

detenere potere decisionale, con il compito di facilitare la comunicazione; la mediazione nel tempo

si è nettamente distinta da altre tipologie di intervento come l’arbitrato, conciliazione, negoziazione

in cui il terzo è posto in posizione verticale e quindi al di sopra delle parti. La mediazione è uno

strumento che si è sviluppato dapprima nei contesti popolari, nei quartieri delle grandi città come

Lione, Parigi, San Francisco, Montreal in cui sorgevano conflitti di natura razziale, di caseggiato

per poi svilupparsi in altri ambiti come quello lavorativo, penale, scolastico, educativo,

internazionale, ambientale fino ad arrivare all’ambito familiare103.

Nel contesto sociale moderno, la mediazione si sviluppa nell’ambito del commercio e del lavoro

in relazione alle dispute sindacali tra lavoratori e datori di lavoro: nel 1913, nasce negli Stati Uniti

un’attività di mediazione denominato “Servizio di Conciliazion, seguito poi dal Servizio Federale

di Mediazione e Conciliazione”104, a dimostrazione che le prime esperienze dei mediatori familiari

come J.M. Haynes 105 vertevano sulle dispute nei contesti lavorativi.

In generale, la mediazione parte dal presupposto che il conflitto sia “addomesticabile “( Babu,

1997) ossia un’occasione di cambiamento, di crescita ed evoluzione, limitando il rischio di non

102 C.Marzotto , R. Telleschi, Comporre il conflitto genitoriale, la mediazione familiare: metodi e strumenti,

edizione Unicopoli, pp. 21. 103 Ivi, p. 22. 104 C. Bogliolo , A. M. Bacherini, Manuale di mediazione familiare, cit.,p. 108. 105 Ibidem.

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riuscire ad andare oltre il conflitto e di restare bloccati nei propri schemi di pensiero; la mediazione

è uno strumento che per la messa in pratica necessita del consenso di tutti gli attori del conflitto, la

cosiddetta “onesta intenzione delle parti”106: non ha un approccio valutativo, richiede flessibilità

ed è un metodo dove tutto è condiviso; obiettivo fondamentale della mediazione è giungere ad un

accordo senza farsi carico di altre questioni. Esistono vari tipi di mediazione che si differenziano

fra di loro come la mediazione penale, civile, scolastica e familiare: nella mediazione civile

l’obiettivo è quello di ottenere un accordo che non implica però sentimenti come nella mediazione

familiare mentre nei casi di mediazione scolastica e penale lo scopo non è l’accordo ma il

riconoscimento che nell’ambito penale corrisponde al riconoscimento del reato mentre in ambito

educativo-scolastico al riconoscimento dell’atto di violenza nei confronti di una persona (ad

esempio nel caso di bullismo).

Si possono distinguere due tipi di mediazione, una che tende all’accordo o alla negoziazione e

un’altra in cui il mediatore diventa un promotore sociale.

La mediazione detiene tre elementi chiave alla base della sua teoria e pratica. Non è una disciplina

pura ma è uno strumento per conoscere 3 ambiti: psicologico, sociale e giuridico. Nell’ambito

psicologico l’obiettivo è quello di realizzare desideri, in quello sociale il fulcro è il bisogno mentre

sul piano giuridico si verifica se i desideri e bisogni sono compatibili con la norma; la spinta verso

la mediazione si ha quando c’è un interesse superiore rispetto a quello individuale (ad esempio i

figli nella mediazione familiare) anche se delle volte è inteso come un processo poco dignitoso,

come se fosse un cedere all’altro. Il risultato della mediazione non finisce mai con un compromesso

(non è una trattativa) ma con un accordo che in passato mai si sarebbe pensato di raggiungere: ha

una funzione sociale, serve a responsabilizzare gli individui, è un ‘esperienza pro-sociale che

risalda il legame sociale.

106 Ibidem.

28

2.2. Il conflitto

Secondo alcune teorie sociologiche, la conflittualità è un elemento naturale della società 107 .

Il conflitto è una dinamica oppositiva, una divergenza di interessi, una relazione connotata da

alcune caratteristiche: è considerato una battaglia, una lotta, una disputa, un blocco, un nodo, uno

stallo un momento di egoismo e di incomprensione connotato da assenza di dialogo da cui possono

scaturire alcuni effetti come evoluzione, trasformazione, dinamica, movimento. Molti autori

affermano che la società contemporanea è più complessa e conflittuale rispetto al secolo precedente

nonostante l’inizio del 900 sia stato caratterizzato da due conflitti mondiali: le possibili cause che

hanno portato a questo alto tasso di conflittualità sono: aumento della complessità, aumento

dell’individualizzazione, maggior distacco degli individui dal nucleo primario, cambiamento di

valori e dei ruoli sociali; si parla di una società individualizzata in cui l’individuo è più libero e più

solo a negoziare. La mediazione consente alle parti di sottolineare la dimensione relazionale del

conflitto permettendo loro di divenire protagonisti del conflitto stesso e di riappropriarsi delle

proprie scelte; una tesi considerata non veritiera è quella che il conflitto sia un momento di lotta,

astio, battaglia ma in molti casi apporta degli effetti che conducono una trasformazione ed

evoluzione in senso positivo: “la nostra percezione del conflitto dipende dalla nostra cultura

psicologica di appartenenza” (Spaltro, 1993). E’possibile distinguere 3 stili di risposta al conflitto

(Deutsh, 1979): stile di evitamento, orientato alla soluzione dei problemi o cooperativo,

antagonistico o distruttivo ma più in generale, se un soggetto percepisce il conflitto come un

qualcosa di negativo, cercherà in tutti i modi di evitarlo108. Le strategie che vengono utilizzate in

mediazione per la gestione dei conflitti sono riconducibili ad alcuni assunti teorici109:

risoluzione cooperativa dei conflitti, il cui esponente principale fu Marton Deucht (1956)

che basa la sua teoria sulla contrattazione e la negoziazione;

getting to eyes che letteralmente vuol dire “arrivare al si” in cui l’obiettivo è quello di far

convergere gli interessi reciproci in cui vincano entrambe le parti (win-win solutions). Teoria di

Roger Fisher e Bill Ury (1988);

processo di risoluzione basato sugli interessi in riferimento ai sistemi di risoluzione della

disputa di Bill Ury e coll (1988);

107 http://www.tesionline.it/v2/appunto-sub.jsp?p=24&id=145. 108 J.M.Haynes e I. Buzzi, Introduzione alla mediazione familiare , principi fondamentali e sua applicazione,

Giuffrè editore, p.23. 109 Ivi p.26.

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influenzamento alla cooperazione attraverso lo spostamento dalla competizione alla

cooperazione nella risoluzione delle dispute di Marlyn McNight-Erikson e Stephan Erikson

(1988). Gli assiomi cardini della teoria sono: la comunicazione, che deve essere aperta, onesta non

accusativa, le attitudini e il processo.110.

2.3. Il processo generico di mediazione dei conflitti

La mediazione è un processo di negoziazione in cui un soggetto terzo aiuta le parti a trovare un

accordo nel contesto di una disputa; esistono degli step applicabili a tutti i contesti di negoziazione

per cui si possono distinguere dieci fasi inerenti il processo generico di mediazione111:

1) Ammissione del problema: il primo passo per la riuscita di una negoziazione si ha quando le

parti sono consapevoli di essere in crisi e sono intenzionati a voler risolvere la disputa poiché molto

spesso può capitare che una delle parti non è d’accordo nemmeno sul fatto di trovarsi in una

controversia per cui per la risoluzione condivisa è fondamentale che entrambe le parte riconoscano

di avere un problema112;

2) Scelta del campo: in seguito all’ammissione dell’esistenza di una problematica occorre che le

parti scelgano gli strumenti e il contesto dove affrontare la controversia. (nel mondo occidentale il

luogo maggiormente utilizzato per comporre controversie è la mediazione); nell’ambito familiare

molto spesso sono i tribunali a prescrivere la mediazione come contesto di risoluzione alternativo

dei conflitti familiari rispetto alle aule di Tribunale; la scelta della mediazione come campo di

risoluzione dei conflitti è basato su alcuni fattori che spingono verso il suo utilizzo: la mediazione

è un confronto amichevole, avviene in privato, costa meno ed è più veloce113;

3) Selezione del mediatore;

4) Raccolta dei dati: il processo di negoziazione comincia con la raccolta delle informazioni che

concernono la lite in quanto, l’interesse del mediatore e quello di comprendere il punto di vista

delle parti e permettere che tutte le informazioni vengano recapitate dai soggetti in lite per cui,

propenderà per uno scambio di informazioni aperto, permettendo alle parti di conoscere il punto di

110 Ivi.p.27. 111 Ivi, p. 62. 112 Ivi, p.63. 113 Ivi.p.66.

30

vista dell’altro in quanto fino a prima del confronto entrambi erano concentrati sulle proprie

argomentazioni per cui “ascoltare la versione dell’altro e tutte le informazioni fornite dall’altro

aiuta a valutare la propria situazione in maniera più realistica”114; il mediatore assicura uno

scambio aperto delle informazioni per:

permettere a tutte le parti della lite essere al corrente di tutte le informazioni;

accertarsi che tutte le parti della lite abbiano le stesse informazioni;

migliorare la capacità delle parti di scegliere la giusta soluzione115;

5) Definizione congiunta del problema: in seguito alla raccolta e alla condivisione del problema, il

mediatore deve lavorare al fine di costruire una definizione del problema congiunta e condivisa

dalle parti coinvolte nella lite a fin che nessuno tragga vantaggio dalla definizione del problema e

si eviti una esplicitazione del problema unilaterale116.

6) Creare comprensione profonda dei bisogni delle parti: per poter giungere ad un accordo

duraturo, le parti devono impegnarsi a comprendere i bisogni dell’altro in quanto solo in questo

modo potranno affrontare le questioni che hanno portato alla diatriba: “Il conflitto non viene

delegato ma resta di proprietà delle parti”117. In molti casi, i protagonisti della diatriba sono

confusi e non sono ancora del tutto consapevoli dei loro bisogni, si concentrano principalmente su

cosa non vogliono più e in questo caso il mediatore avrà il compito di sostenere le parti a fare

chiarezza sui loro bisogni e desideri; un buon risultato di mediazione si ha quando si giunge ad un

accordo duraturo, quando ha avuto luogo un’approfondita conoscenza dei bisogni dell’altro, senza

incombere in trattative acerbe:

7)Ideare delle opzioni: in seguito alla condivisione delle informazioni, del problema e la

conoscenza dei bisogni, il mediatore aiuta le parti ad elaborare delle opzioni condivise per la

risoluzione del problema mediante la tecnica del brainstorming118 , letteralmente “tempesta del

cervello”, una tecnica per lo sviluppo della creatività caratterizzata da alcune regole che permettono

lo sviluppo e l’elaborazione di nuove idee:

condivisione di qualsiasi idea che venga in mente, anche se sembra strana;

114 Ivi. p. 67. 115 Ivi, p. 68. 116 Ibidem. 117 Ivi, p. 69. 118 Ivi, p. 70.

31

nessuna idea può essere scartata;

nessuno può criticare un’idea119;

8) Ridefinizione delle posizioni iniziali: quando il processo di mediazione comincia, le parti

detengono una posizione personale sulla definizione del problema denominata “posizione iniziale”

connotata da un clima negativo che contrasta con la posizione iniziale dell’altro per cui, è

necessario che l’interesse individuale si computi in interesse reciproco, a monte di una definizione

del problema condiviso, già sperimentato nelle fasi precedenti. Il compito del mediatore sarà quello

di condurre le parti a costruire delle soluzioni condivise e accettabili da tutti mediante l’utilizzo di

un meccanismo psicologico che induca a proporre una soluzione che sia conveniente per sé stessi

ma che viene posta in maniera tale che l’altro non possa rifiutare permettendo ad entrambi di

percepire il raggiungimento dell’obiettivo120

9) Contrattazione: in questa fase si progetta la concreta attuazione delle opzioni; le parti possono

contrattare solo quando sono a conoscenza di:

tutti i fatti e i dati relativi al problema;

una congiunta definizione del problema;

una profonda conoscenza dei propri e degli altrui bisogni/valori;

gamma di opzioni per risolvere il problema;

una o più opzioni come loro obiettivo primario121.

Il mediatore condurrà la contrattazione ad “imbuto, ossia senza aggiungere argomenti, elementi,

fatti, esigenze, persone o altri problemi”122 e, quando le parti si sentiranno sicure, cominceranno

a stipulare i primi accordi mediante il “meccanismo dell’offerta” dove il mediatore avrà il compito

di bilanciare “l’offerta e la contro-offerta” per evitare che siano troppo accentrate sui propri bisogni

personali e, nel momento opportuno si proseguirà alla chiusura dell’accordo. E’ importante

precisare, che il mediatore prima di giungere a questa fase dovrà ricapitolare tutti i punti

dell’accordo per far sì che le parti comprendano le condizioni, al fine di evitare la riapertura del

119 Ibidem. 120 Ibidem. 121 Ivi, p. 73. 122 Ibidem.

32

negoziato in futuro; Il mediatore spinge psicologicamente all’impegno123;

10) Stesura dell’accordo: al termine del processo di negoziazione, il mediatore elabora una bozza

dell’accordo consegnando una copia alle parti; la stesura dell’accordo va effettuata con un

linguaggio chiaro e comprensibile e, una volta riletto e approvato dalle parti,si passerà alla

redazione del documento definitivo che verrà firmato avrà effetto vincolante ; il documento deve

contenere:

tutte le informazioni riguardati i partecipanti e l’accaduto;

definizione del problema;

le opzioni scelte e i motivi che hanno portato alla scelta di queste;

obiettivo dell’accordo124.

2.4. Il mediatore

Il mediatore è un professionista adeguatamente formato che facilita, ascolta, non giudica, è

neutrale, favorisce l’empowerment e l’autodeterminazione, è dotato di una predisposizione

personale, favorisce un processo di pensiero, si rivolge a entrambe le parti, lascia trasparire le

logiche che soggiacciono all’interno delle persone, non è detentore di potere, crea il setting della

mediazione. E’importante sottolineare che l’assunzione di un atteggiamento neutrale da parte del

mediatore non è sinonimo di passività o apatia ma denota un coinvolgimento nella discussione:

“neutralità non è equivalente a remissività e mancanza di coinvolgimento” 125 . Il mediatore

mantiene la sua neutralità mediante alcune strategie come l’astensione al giudizio, mantenimento

dell’equilibrio, controllo del processo piuttosto che del contenuto, non accetta la definizione

unilaterale di nessuno dei due aiutandoli a sviluppare delle opzioni, non detiene segreti con nessuno

delle parti, vieta il trattenimento delle informazioni (Haynes, 1994),cerca di costruire una

definizione condivisa del problema126 . Per mantenere il suo ruolo neutrale, il mediatore dovrà

concentrarsi sul presente piuttosto che sul passato in quanto ogni qual volta si affronteranno temi

123 Ivi, p.74. 124 Ibidem. 125 Ivi, p. 33. 126 Ibidem.

33

sul passato il mediatore incomberà nel rischio di assumere atteggiamenti giudicanti; è definito

come un “promotore di realtà” nel senso che il suo compito è quello di porre le parti in contrasto

dinanzi alle loro realtà, ai loro bisogni, alle loro esigenze, alle loro capacità e potenzialità e dinanzi

anche ai loro limiti: la promozione delle realtà avviene quando c’è condivisione delle informazioni

che permetterà alle parti di poter analizzare la propria realtà127. Per il lavoro del mediatore, è

fondamentale elaborare delle ipotesi che permettono di selezionare le domande che risultano più

opportune alla risoluzione del problema; attraverso le ipotesi, il mediatore può comprendere in

quale direzioni muoversi per far sì che le parti raggiungano un accordo. Come già accennato

all’inzio del paragrafo, nel suo lavoro il mediatore deve astenersi dal giudizio anche se in quanto

professionista può produrre dei “bias professionali” che non rappresentano sempre un qualcosa di

negativo ma sono ritenuti molto spesso inevitabili proprio in relazione alla modalità che il

mediatore ha di percepire la realtà dei fatti; bisogna far attenzione ai “biases di tipo personale”

che molto spesso possono essere in conflitto con la professione stessa di mediatore per cui egli

deve porre attenzione alle sue reazioni professionali piuttosto che a quelle personali128. Un ulteriore

aspetto rilevante riguarda il gender del mediatore che generalmente non ha particolare rilevanza

per l’intervento di mediazione ma ci sono situazioni in cui persiste un così alto livello di disagio di

una delle parti che il mediatore può essere scelto anche in base al gender129

Come già accennato, nello specifico il mediatore deve:

condurre le parti ad un processo di normalizzazione del problema: quando arrivano in

mediazione, i soggetti sono convinti che il problema sia grave e unico per cui, il compito del

mediatore non è quello di svilire i problemi ma “normalizzare gli stati d’animo piuttosto che le

situazioni che li hanno originati”130;

ridefinire il problema nei sui termini di reciprocità: nella maggior parte dei casi, in

mediazione le parti si accusano fra di loro, riversando la colpa sull’altro e il mediatore dovrà porre

la problematica in termini reciproci, attuando un processo di “reciprocizzazione”, in cui le parti

potranno considerare la problematica da un altro punto di vista con la messa in discussione del

proprio punto di partenza; in questo senso, il mediatore dovrà condurre le parti a considerare le

127 Ibidem. 128 Ivi, p.35. 129 Ivi,p. 36. 130 Ivi, p.81.

34

alternative131;

concentrarsi sul futuro: soprattutto all’inizio, quando le parti giungono in mediazione sono

concentrate su comportamenti e azioni del passato in cui sono sorte le problematiche che hanno

spinto le parti a recarsi in mediazione: il mediatore dovrà concentrare l’azione professionale sul

futuro piuttosto che sul passato ( non è un terapeuta) nonostante le questioni passate fanno luce sui

bisogni delle rispettive parti e i motivi che hanno portato alla rottura; in mediazione non ci si

concentra sulle emozioni negative del passato in quanto la sua funzione non è quella di cura come

in psicoterapia: “La soluzione è nel futuro”132. Scopo della mediazione è quello di giungere ad un

accordo e non di stabilire chi ha torto o ragione poichè il mediatore non è un giudice ma colui che

spinge le parti a comprendere cosa vogliono dal loro futuro piuttosto che comprendere le dinamiche

del passato; parlare del futuro in mediazione comporta un innalzamento delle recriminazioni e

dell’astio133.

uso del reframing: durante la seduta il mediatore utilizza molto spesso il processo di sintesi

che chiarisce ed esplica le aspettative delle parti a aiuta ad adottare correttamente il loro ruolo di

clienti nella mediazione. Il mediatore non riassume tutto ma sceglie precisi argomenti mentre

decide di ignorarne altri. Il mediatore utilizza il processo del riassunto per “rallentare il ritmo della

seduta e controllare il processo, controllare se le parti hanno bene compreso quanto da loro

espresso, far sentire le parti ascoltate e capite, ignorare le informazioni superflue, concentrarsi

sugli aspetti utili, ignorare i tentativi di indurre il mediatore ad assumere una funzione valutativa

o diagnostica”134;

fare delle ipotesi professionali: tutti i professionisti formulano delle ipotesi in relazione alle

questioni che riguardano i loro clienti e lo fa anche il mediatore per avere una linea di pensiero

attraverso la quale condurre le sedute; quando il mediatore ha assunto tutte le informazioni formula

delle ipotesi per inquadrare la situazione e in base a queste sceglie le domande che intende porre135.

131 Ivi, p.82. 132 Ivi, p. 85. 133 Ibidem. 134 Ivi, p. 88. 135 Ivi, p.89.

35

2.5. Storia e differenti modelli di mediazione familiare

La mediazione familiare come strumento di risoluzione delle controversie nasce e si sviluppa alla

fine degli anni 70 negli Stati Uniti come modalità alternativa al giudizio di gestione dei conflitti

familiari dove l’aspetto giuridico era nettamente prevalente rispetto alla relazione tra le parti136.

I più importanti precursori della mediazione familiare negli Stati Uniti sono Coogler, Hynes, Irving

137, artefici dello sviluppo della mediazione in molti contesti nazionali, compreso quello Europeo.

O.J. Coogler 138 nel 1974 fondò il Family Mediation Center ad Atlanta, Georgia, nel 1975 la

Family Mediation Association e nel 1978 pubblicò un libro intitolato Structured Mediation in

Divorce Settlements 139: in questo testo l’autore espone una tipologia di mediazione denominata

strutturata in quanto, essendo un avvocato e avendo avuto personalmente un ‘esperienza di

separazione, si rifà ad un modello di mediazione che prevede la collaborazione tra un avvocato ed

un mediatore140.

Negli stessi anni, H. Irving e M. Benjamin141 strutturano invece una metodologia di mediazione

cosiddetta terapeutica secondo la quale l’esito positivo della mediazione può ottenersi solo se nelle

sedute si affrontano aspetti di tipo relazionale ed emotivo142. Nel 1974 Irving costituisce in Canada

il Toronto Conciliation Project143. Altro importante pioniere della mediazione fu Hynes144 che

propose un modello di mediazione cosiddetto “ negoziale” e nel 1981 pubblica un libro intitolato

Divorce Mediation145.

Nel contesto europeo, la mediazione comincia a diffondersi verso la fine degli anni 70 inizio anni

80 : in Gran Bretagna, nel 1974 venne costituito l’Istituto della conciliazione , nel 1978 a Bristol

venne aperto il primo servizio di mediazione, nel 1987 un’importante Assistente Sociale , Lisa

Parkinson 146 si impegnò nella redazione di un codice deontologico dei mediatori con la

collaborazione degli avvocati esperti in diritto di famiglia; in Francia, Annie Babu147 con la

136 C. Bogliolo , A. M. Bacherini, Manuale di mediazione familiare, cit.,p. 109. 137 Ivi, p. 109. 138 Ibidem. 139 Ibidem. 140 Ibidem. 141 Ibidem. 142 Ibidem. 143 Ibidem. 144 Ibidem 145 Ibidem. 146 C.Marzotto, Riccardo Telleschi, Comporre il conflitto genitoriale, cit., p. 23. 147 Ivi, p. 24.

36

collaborazione di altri professionisti, costituì negli anni 80 l’ Association pour la promotion de la

Mèdiation Familiale, avente lo scopo di espandere a macchia d’olio la pratica della mediazione

nell’Europa Francofona: fu proprio questo organismo che nel 1992 a costituire la Charte

Europeènne de la formation des mèdiateurs familiaux exercant dans le situations de divorce et de

separation , che rappresenta il primo codice deontologico dei mediatori familiari a cui si

rifaranno in Europa tutti i professionisti che si occuperanno di mediazione148. Nel 1995 attraverso

una legge la pratica della mediazione viene inserita nel sistema giuridico francese.

Nel contesto italiano, lo strumento della mediazione si inserisce con estremo ritardo rispetto agli

altri paesi europei in quanto i primi servizi di mediazione si costituiscono nel 1987 a Milano presso

il Centro GEA ( genitori ancora), nel 1988 a Roma si realizza una cooperazione fra il Centro Studi

di Psicologia giuridica dell’età evolutiva e della famiglia dell’università la Sapienza e l’Ufficio

Tutele della Pretura di Roma mentre nel 1993 ebbe luogo a Roma per la prima volta “ il Convegno

internazionale sulla mediazione familiare in Italia e all’estero”149. Attualmente, gli studi sulla

mediazione familiare in Italia e in Europa fanno capo al “Forum Europeo di Formazione e Ricerca

in Mediazione Familiare” ; nel territorio italiano sono presenti associazione nazionali di mediatori

familiari registrati presso il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro come L’AIMeF

(associazione italiana Mediatori familiari) registrata nel 2003 e la SIMeF ( Società Italiana di

Mediazione Familiare) fondata nel 1995 dall’Associazione GeA di Milano, il centro per l’età

evolutiva di Roma, l’IRMEF di Roma, la scuola Genovese di formazione alla mediazione familiare

e il Centro studi e ricerche sulla famiglia dell’Università di Milano150.

Esistono diversi modelli di mediazione familiare che si differenziano in base ad alcune variabili

come il paradigma teorico di riferimento, il ruolo del mediatore, il setting di lavoro, il rapporto tra

gli attori coinvolti sulla scena, le iniziative da prendere in caso di impasse151. Secondo alcuni

studiosi, il modello di mediazione utilizzato in un determinato paese è riconducibile oltre che ad

aspetti culturali anche da come alcune professioni (avvocato, giudice, assistente sociale,

psicologo,) vengono intese e considerata in quel determinato assetto istituzionale nonché in

corrispondenza della legislazione previgente in quel contesto nazionale152. I quattro modelli di

mediazione familiare più rilevanti sono quello strutturato, integrato, interdisciplinare, terapeutico,

148 Ibidem. 149 C. Bogliolo , A. M. Bacherini, Manuale di mediazione familiare, cit.,p.110. 150 Ibidem. 151 C.Marzotto, Riccardo Telleschi, Comporre il conflitto genitoriale, cit., p. 30. 152 Ivi, p.31.

37

negoziale153:

1) modello strutturato: il pioniere fu O.J. Coogler 154 , che delineò un modello improntato

all’approccio sistemico che si occupa di aspetti di natura educativa e patrimoniale; può essere

definito come un “processo globale” dove il mediatore detiene una posizione di neutralità ma con

funzione direttiva, con l’obiettivo di controllare la simmetria tra le parti, di imporre il rispetto

reciproco, ponendosi come obiettivo un lavoro comune e cooperativo ( Killman e Thomas, 1977);

in questo modello di mediazione sono vietati i colloqui singoli e la consultazione ; il modello

strutturato si basa sullo “schema di risoluzione del problema”155 che è caratterizzato da una serie

di fasi specifiche:

definizione del problema;

raccolta delle informazioni e delle preoccupazioni sulla situazione globale;

redazione di un accordo temporaneo che vada a identificare le difficoltà a breve termine e

quelle a lungo termine;

scelta dell’alternativa più idonea alla soluzione del problema, stabilendo la modalità di

attuazione della stessa;

stesura di un documento d’accordo la cui sintonia con la legge può essere verificata

dall’apporto professionale di un legale156.

Per concludere, l’obiettivo di questo modello si dirige verso l’autodeterminazione delle parti e la

risoluzione dei problemi;

2) modello integrato: è un modello sviluppatosi negli Stati Uniti che vede come maggior esponenti

L. Marlow e D. Sauber 157 , rispettivamente avvocato e mediatore familiare. È un modello di

mediazione che si basa sul concetto di integrazione tra due professionalità in cui i problemi dei

separandi vengono affrontati su due piani differenti (relazionale-affettivo e legale) dove primi

aspetti vengono affrontati con il mediatore mentre gli aspetti pratici e legali con l’avvocato; i due

professionisti operano in sedi diversi anche se in modo integrato158;

153 C. Bogliolo , A. M. Bacherini, Manuale di mediazione familiare, cit.,p.112. 154 Ivi, p. 113. 155 Ibidem. 156 Ibidem. 157 Ivi, p. 114. 158 Ibidem.

38

3) modello interdisciplinare: il maggior esponente è Gold (1988). E’ un modello che detiene le

stesse caratteristiche del modello strutturato ma si differenzia dal fatto che la mediazione è un

intervento svolto in co-presenza dei due professionisti, avvocato e mediatore dove il primo si

occuperà di aspetti legati al diritto di famiglia mentre l’altro si occuperà della relazione affettiva e

di contenere le dinamiche conflittuali per cui, il contesto della mediazione è composto da 4 soggetti

che collaborano e cooperano verso un unico obiettivo, trovare un ‘accordo; è ’un modello utilizzato

principalmente in Germania;

4) modello terapeutico: è un modello riconducibile a Irving e Benjamin (1994) secondo cui prima

di dar inizio ad un processo di mediazione è necessaria una fase preliminare chiamata “pre-

mediazione”: secondo gli autori, la pre- mediazione è importante per il superamento di aspetti

disfunzionali legati alla separazione come il grado di conflittualità, la condizione psicologica, la

consapevolezza, problemi concernenti i figli, intromissione della famiglia d’origine o altri soggetti

come avvocati, amici ecc.; la mediazione terapeutica si basa su un intervento centrato sul sostegno

emotivo mediante l’utilizzo di tecniche di problem solving159;

5) modello negoziale: è il modello di Hynes160che si sviluppa nel contesto delle le trattive di lavoro

e si basa su una definizione unificata della controversia che viene considerata dall’autore come “un

evento sano e non patologico”: l’assunto di base del modello e che gli ex coniugi detengono la

maggiore quantità di informazioni per poter superare il conflitto per cui su punta principalmente

sulle loro risorse positive (Hynes e Buzzi, 1996). Secondo Hynes (1994) per evitare il sorgere di

giochi relazionali è fondamentale lavorare su un “area comune” concentrando la problematica su

un ambito operativo ridotto in quanto, l’accordo su un aspetto poco rilevante permette alle parti di

avvicinarsi ed essere consapevoli della possibilità di poter arrivare ad un accordo, il cosiddetto

“accordo minimale” da cui partire per poter arrivare ad un accordo globale; il modello di

mediazione negoziale si concentra sul futuro, su aspetti pratici legati alla separazione, divorzio,

affidamento e mantenimento dei figli, questioni economiche, piuttosto che sul passato

interpersonale; non sussiste la possibilità di incontri individuali e i figli possono partecipare alle

sedute in alcuni casi , se ritenuto opportuno dal mediatore ; la mediazione negoziale viene

considerata una mediazione globale che si conclude con la stesura di un accordo scritto161.

159 Ivi, p. 116. 160 Ibidem. 161 Ibidem.

39

2.6. Aspetti generali, campi di applicazione e limiti della mediazione familiare

La mediazione familiare ha come focus di intervento situazioni di separazioni o divorzi di coppie

che hanno esaurito le possibilità di arrivare ad un accordo, prive di tutte le alternative per risolvere

le problematiche che hanno portato alla rottura del rapporto. Gli ex coniugi devono accordarsi su

aspetti fondamentali che riguardano la loro vita futura e i loro figli: “devono decidere l’uno insieme

all’altro sia come ex coniugi che come persone che continueranno ad essere genitori per tutta la

vita”162. La mediazione familiare si pone l’obiettivo di colmare sia aspetti di natura emotiva

pratiche ed economiche, si svolge in uno spazio-tempo riservato allo scopo per cui è necessario

che per questo lasso di tempo debbano interrompersi eventuali operazioni peritali esistenti; I. Buzzi

(1992) sostiene che la mediazione è un processo in cui si passa da una giustizia imposta ad una

giustizia negoziata, aprendo uno spazio di collaborazione tra interdisciplinare fra tecnici giuridici

e psico-sociali. E’ necessario sottolineare distinzione tra mediazione globale e mediazione parziale

dove nel primo caso si affronteranno tutte le problematiche scaturite dalla separazione riguardanti

i figli, aspetti patrimoniali, lavorativi ecc. , mentre la mediazione parziale si occuperà solo di

problematiche inerenti ai figli (contese riguardanti affido condiviso o assegnato ad un genitore,

presenza del genitore non affidatario, calendario delle visite, organizzazione delle vacanze, rapporti

dei figli con le famiglie d’origine, relazioni con i nuovi compagni dei genitori, questioni in cui

emerge difficoltà di attuazione dei rispettivi compiti o diritti oppure quando è necessario rivedere

e aggiornare le prescrizioni del tribunale)163. Implicitamente, la mediazione familiare si pone come

obiettivo, per le parti, quello dell’essere ancora genitori anche se separati, offrendo uno spazio

d’incontro dove rendere queste persone protagoniste e responsabili in un‘ottica di reciprocità,

accompagnandoli nella ricerca di soluzioni soddisfacenti per sé e per i propri figli164.

La separazione è un evento che si pone come epilogo di una vicenda in cui le problematiche ed i

contrasti tra i coniugi si sono susseguiti per molto tempo per cui, è molto probabile che le persone

che giungono in mediazione siano ancora amareggiate, tendenti a controllare le pretese dell’altro

ritenute assurde e lesive (Kaslow,1984); l’epilogo di una crisi può lasciare tracce sui singoli

membri, sulla famiglia allargata, sulla rete sociale esterna (Weiss, 1975; Luepnitz, 1983). Tutto

questo per affermare che in mediazione tendenzialmente giungono ex coppie con residui della

connessione preesistente che possono influenzare in maniera positiva o non l’andamento del

162J.M. Hynes e Isabella Buzzi, Introduzione alla mediazione familiare, cit., p. 117. 163 Ivi, p.119. 164 Ibidem.

40

processo di mediazione: il residuo, è un aspetto inevitabile in quanto di rado le coppie dopo la

separazione riescono a mantenere un rapporto cooperativo; in mediazione nella maggior parte dei

casi riemergono le diversità nel modo di pensare e di agire, soprattutto sull’ambito dell’educazione

dei figli e della loro gestione: “ i residui concernono un quantum di componenti della relazione

presenti dopo la fine di un rapporto, e non il segnale di una relazione disfunzionale”165 . Il

mediatore tra tutte le sue competenza deve avere la capacità di valutare le coppie che possono

intraprendere un processo di mediazione da quelle che necessitano di un altro percorso come quello

psicoterapeutico in quanto come già detto, il focus della mediazione non è quello di curare le coppie

o lavorare per la loro riconciliazione per cui, mediatore dovrà distinguere il “residuo” presente in

una coppia, considerato come una normale e naturale componente storica di una relazione, da

valutare come ingrediente del processo mediatorio è una “relazione persistente” considerata come

aspetto patologico e non coerente con i principi e obiettivi della mediazione: J.Wallerstein e J.Kelly

(1980) definiscono la relazione persistente come il prolungarsi di una relazione disfunzionale anche

dopo la separazione, di un vero e proprio conflitto irrisolto che perdura nel tempo ,caratterizzato

da interminabilità166. Distinguere i residui di una coppia da una relazione persistente è funzionale

per poter differenziare la mediazione familiare da altri processi di aiuto come la psicoterapia; il

primo concetto che distingue questi due processi è quello di cura: la psicoterapia si occupa di

curare le coppie, di lavorare sulla relazione originaria e di affrontare l’incompiuto divorzio psichico

delle parti, mentre la mediazione ha come scopo quello di cercare un accordo tra due soggetti che

non fungono più da coppia pur mantenendo un legame significativo; in mediazione non si parla di

coppia ma di persone separate, divisi, ex o coppia di genitori. “Il principio fondante della

mediazione rimane quello di promuovere le genitorialità, mentre la coniugalità deve essere

considerata distinta dalla sfera dell’intervento; se presente, e irrisolta, essa non compete alla

mediazione”167.

Alcune differenze tra psicoterapia e mediazione:

la mediazione si pone l’obiettivo risolvere problemi che sorgono in seguito alla separazione

e divorzio (divisione dei beni, gestione ed educazione dei figli, periodi di visita per il genitore non

affidatario) mentre la psicoterapia si occupa del passato, ossia del periodo anteriore alla

165 Ibidem. 166 Ivi, p.125. 167 Ivi, p. 127.

41

separazione, con l’obiettivo di lavorare sulla coppia e sulla risoluzione dei nodi relazionali168;

la mediazione non agisce sulla gestione del conflitto ma sull’interesse dei figli e sulla

genitorialità, mentre la psicoterapia sui vissuti psichici ed emotivi169;

la mediazione si fonda su un alto livello di motivazione e di reciprocità delle parti per la

buona riuscita del processo (raggiungimento di un accordo) mentre la psicoterapia agisce su un

sistema coppia disfunzionale e può realizzarsi anche con un basso livello di motivazione delle

parti170.

Per concludere, la psicoterapia è un intervento sulla riesumazione della coppia mentre la

mediazione si concentra sul mandato genitoriale delle parti171.

2.7. Domanda di mediazione e primo colloquio

In mediazione le coppie possono giungere in maniera spontanea da parte di entrambi o di uno solo,

su suggerimento degli avvocati da cui sono assistiti , su invio da parte dell’assistente sociale che si

occupa del caso oppure, nei casi in cui il contenzioso legale è cominciato, può il giudice stesso

prescrivere alla coppia un percorso di mediazione familiare: l’invio del giudice può avvenire in

qualsiasi momento del processo di separazione legale della coppia ossia prima che vengano prese

decisioni riguardanti la riorganizzazione della famiglia per far sì che la coppia sperimenti l’utilizzo

di risorse congiunte, in seguito a provvedimenti già attuati, dove la coppia ha la possibilità di

riflettere su possibili alternative alle decisioni del giudice in quanto in mediazione possono essere

rivisti e perfezionati le decisioni del giudice oppure dopo una consulenza tecnica in cui il giudice

da direttive rigide per diminuire il conflitto e tutelare i minori172.

La seduta inziale di mediazione familiare ha quattro obiettivi fondamentali:

dare alla coppia maggiori informazioni dettagliate sul processo di negoziazione in

mediazione familiare e sui contenuti della separazione coniugale attraverso la mediazione

168 Ivi, p.128. 169 Ibidem. 170 Ivi, p.133. 171 Ibidem. 172 J.M. Hynes e Isabella Buzzi, Introduzione alla mediazione familiare, cit., p. 123.

42

familiare;

dare alla coppia l’opportunità di porre qualsiasi domanda sul processo di mediazione e sui

contenuti;

dare loro l’opportunità di valutare il mediatore

dare al mediatore l’opportunità di valutare se la coppia è adatta alla mediazione173.

Le domande che pone il mediatore nel primo colloquio non saranno troppo specifiche, onde evitare

una possibile riapertura del litigio e non saranno concentrate su una sola persona in quanto questo

potrebbe determinare uno squilibrio in quanto, molto probabilmente i due ex esordiranno con la

loro tipica modalità comunicativa caratterizzata da giudizio e intransigenza verso l’altro piuttosto

che concentrarsi sul racconto dei fatti 174.

Nella prima seduta e a seguire nelle successive, il mediatore raccoglierà alcuni dati riguardanti:175

nome dei figli, età, posizione scolastica;

se c’è chi è il genitore affidatario;

epoca della cessazione della coabitazione;

procedimenti in corso, sentenze ottenute, dispositivi vigenti;

nel caso di separandi, quando è prevista la separazione;

se c’è stato un evento scatenante la separazione;

se ci sono un “lasciatore” e un lasciato”;

se e come sono stati informati i figli, quali sono le loro reazioni;

se ci sono nuovi legami;

se esistono figli avuti da una successiva relazione176.

173 Ivi, p. 132. 174 Ibidem. 175 C. Bogliolo , A. M. Bacherini, Manuale di mediazione familiare, cit.,p.147. 176 Ibidem.

43

2.8. Metodi e tecniche di conduzione delle sedute

Come già descritto nei paragrafi precedenti, la mediazione familiare si pone come obiettivo il

raggiungimento di un accordo fra le parti che non può essere imposto e raggiunto in maniera forzata

da parte del mediatore perché costituirebbe un atto controsistemico177. Il compito del mediatore è

quello di “aiutare le persone a confrontarsi sul quantum attuale di disponibilità, consapevoli di un

loro passato più o meno difficile” sostenendo la coppia nello sviluppare scenari alternativi al

conflitto, controllando e tutelando il processo di mediazione 178 . Durante le sedute, non si

somministrano soluzioni, si introduce un tema, una ipotesi di lavoro, una congettura sul percorso

da fare, non la formula per l’uscita dal contenzioso; il mediatore non si schiera, non pone domande

che si riferiscono alla relazione e non stimolerà emozioni positive o negative e, attraverso un

ascolto empatico parteciperà alle difficoltà, ai principi comuni o divergenti179. Gli incontri di

mediazione tendenzialmente hanno luogo ogni due settimane e all’inizio di ogni colloquio il

mediatore esporrà il riassunto dell’incontro precedente, chiederà alle parti se ci sono stati eventi

nuovi e di esporre pensieri e rispettive riflessioni in merito agli argomenti trattati nell’ultimo

incontro; in particolare, durante le sedute il mediatore dovrà provvedere ad annotare e ad osservare

alcuni aspetti: gli argomenti che fanno reagire in maniera aggressiva uno o l’altro, gli atteggiamenti

emotivi di ciascuno, i rispettivi bisogni, la loro singola percezione della genitorialità, la tipologia

di simmetria; è’ fondamentale che il mediatore sappia gestire il timing , ossia la capacità di saper

introdurre i discorsi nel momento più opportuno 180 . I soggetti che si recano in mediazione

detengono modalità di comunicative piuttosto aggressive e diffidenti per cui in mediazione è

necessario “saper dare spazio alla lite” per comprendere quanto litigano, come litigano e quali

sono i contenuti che danno maggiormente adito ai contrasti: in caso di forte litigi il mediatore deve

mantenere una posizione di “neutralità e autocontrollo”, senza farsi coinvolgere nella vicenda ;

un metodo utilizzabile dal mediatore per controllare la lite è quello di portare le parti a concentrarsi

su questioni semplici e pratiche (ad esempio la compatibilità tra gli impegni dei bambini e il lavoro

dei rispettivi genitori, abitudini ecc.) al fine di poter conoscere i rispettivi stili di vita oppure,

potrebbe proporre alle parti una “tregua” ossia chiedere alle parti di sospendere i litigi e le

recriminazioni per un determinato numero di incontri oppure far leva su una “preoccupazione

condivisa da entrambi” (ad esempio la febbre del bambino) o optare per uno “slittamento di

177 Ivi, p. 147. 178 Ibidem. 179 Ivi, p. 148. 180 Ibidem.

44

contesto” ossia spostare l’attenzione su un altro argomento eludendo l’interazione in corso181.

Come già accennato, il mediatore dovrà tutelare e controllare il processo ma nel caso in cui durante

una seduta sia impossibile proseguire a causa di un alto livello di litigiosità difficile da contenere,

dovrà interrompere la seduta : in situazione di stallo, il mediatore potrebbe effettuare una sorta di

provocazione, il “fare down” dove esprime il suo pessimismo su come sta evolvendo la situazione,

apparendo piuttosto propenso a sospendere definitivamente il processo di mediazione oppure,

potrebbe optare per la riformulazione del progetto iniziale182.

Come già più volte accennato, il focus della mediazione è quello di far leva sul mandato genitoriale

piuttosto che su quello coniugale per cui il mediatore cercherà di focalizzare le argomentazioni

delle sedute sull’affetto e l’amore che le parti provano verso i figli attraverso la raccolta delle

informazioni su di essi, ponendo domande inerenti alle abitudini, i caratteri personali, il rapporto

con la scuola, i giochi preferiti, e le amicizie dei rispettivi bambini183. Raccontare dei figli può

portare le parti a criticarsi a vicenda sulle rispettive modalità genitoriali per cui il mediatore dovrà

far leva su aspetti legati ai figli che però riguardano ricordi lontani, ossia momenti in cui il rapporto

di coppia non era conflittuale come ad esempio la nascita dei bambini, proseguendo con la

rilevazione delle aree di interesse che il bambino ha in comune con ciascuno dei genitori e sul

rapporto che i minori hanno mantenuto con le rispettive famiglie di origine di ciascun genitore ;

affrontare il tema dei figli e dei lori bisogni emotivi è un modo per deviare da argomentazioni che

provocano scontri ad un terreno che implica un forte coinvolgimento delle parti, in cui potranno

discutere di contenuti riguardanti aspetti dei figli che suscitano un senso di protezione: il mediatore

farà leva su questo sentimento e istinto protettivo al fine di cercare un terreno di condivisione per

“allontanarsi dalla dimensione dove la trattativa è annullata dal persistere degli schemi personali,

per cercare ambiti a forte coinvolgimento emozionale”184.

In generale, nelle sedute di mediazione il tecnico cercherà di gratificare e di elogiare tutte le azioni

che si conformano con il percorso che le parti metteranno in atto senza elogiare uno o screditare

l’altro ma esprimendo una valutazione positiva su entrambi185.

Il percorso di mediazione nel corso del suo svolgimento può essere ostacolato da alcuni fattori

esterni, in particolar modo dalla presenza di terzi che sono coinvolti nella diatriba (avvocati, nuovi

181 Ibidem. 182 Ivi, p.149. 183 Ivi, p.154. 184 Ibidem. 185 Ivi, p.156.

45

partner, famiglie d’origine, figli adolescenti): in questo caso, è necessario che il mediatore specifici

che gli ex coniugi hanno autonomia e libertà di scegliere come gestire queste interferenze.

Non è detto che il percorso di mediazione avrà un buon esito e raggiungerà gli obiettivi prefissati

in quanto il fallimento è abbastanza frequente. I motivi del fallimento possono essere i più vari, da

una difficile connessione tra aspettative e nuovi eventi, da circostanze fortuite, quando sussiste

nella coppia un conflitto irrisolto che delinea una relazione disfunzionale, quando una delle parti è

affetta da problemi psicologici per cui resta bloccata nelle sue posizioni186.

In seguito ad un percorso di mediazione, la coppia non è vincolata giuridicamente in quanto può

decidere se gestire la propria vita in maniera autonoma oppure rivolgersi ad un avvocato per

trasformare i contenuti della mediazione in un atto giuridico; i mediatori familiari sono vincolati

da un codice deontologico che impone loro il segreto professionale per cui le conclusioni del

processo di mediazione potranno essere comunicati al giudice o all’avvocato tramite le parti187:

questo per sottolineare la posizione extragiudiziale del mediatore familiare” 188 . Concludere

positivamente un processo di mediazione non vuol dire riconciliarsi o riappacificarsi, significa

“acquisire le capacità di agire una migliore tutela dei figli nel rispetto reciproco”189; “ il processo

di mediazione può concludersi con un maggior livello di comprensione, e in particolare, di

tolleranza, talvolta con il riuscire a prendere coscienza dei propri schemi irrigiditi, rinunciare ad

attese impossibili, a inutili rancori”.190

2.9. I figli nel percorso di mediazione familiare

Sono molteplici le discussioni in merito alla opportuna o meno presenza dei figli nel percorso di

mediazione. Secondo alcuni studiosi (Ardone, 1994), la presenza dei figli potrebbe comportare un

cambiamento nelle dinamiche familiari e mettere al corrente i genitori dei reali e concreti bisogni

e sofferenze dei figli; per altri invece dovrebbero effettuarsi delle sedute solo con i figli, con il

singolo genitore e poi con l’intero nucleo mentre esistono studiosi (Bernardini, 1994;1994b) che

186 Ivi, p.169. 187 Ivi, p.171. 188 Ivi, p.172. 189 Ibidem. 190 Ibidem.

46

sostengono che la presenza dei figli in mediazione sia inopportuna in quanto ci sarebbe il rischio

di coinvolgere i bambini nuovamente in dinamiche conflittuali e provocare un ‘illusione sulla

possibile riconciliazione dei propri genitori :questo è l’approccio generale anche se sussistono dei

casi particolari in cui il bambino vive con angoscia e ansia il fatto che la mamma e il babbo

andranno a parlare, immaginando litigi fuori dal loro controllo191: in questi casi, il mediatore dovrà

comprende la situazione e valutare la possibilità di convocare i figli per permettere loro di

conoscere l’ambiente, il mediatore stesso, rassicurarli e sollevarli sulla non minacciosità del

contesto di mediazione; la convocazione dei figli va concordata con i genitori che dovranno in

presenza dei bambini evitare di discutere192. Durante l’incontro in presenza del minore, il mediatore

cercherà di mettere a suo agio il bambino, non ponendo domande chiuse ma esordendo con dei

commenti positivi; la seduta sarà condotta non concentrandosi sul bambino ma continuando a

lavorare sui genitori: “il mediatore non deve assolutamente servirsi del bambino” ma porre la

seduta come un’occasione per educare alla genitorialità193.

191 Ibidem. 192 Ibidem. 193 Ibidem.

47

Capitolo III

Ricerca sul campo: intervista ai professionisti

3.1. Metodologia e obiettivi della ricerca

Per costruire la ricerca ho utilizzato come strumento di lavoro l’intervista non strutturata.

L'intervista è lo strumento di raccolta delle informazioni più diffuso nelle scienze sociali, è

un’importante oggetto di studio, in quanto costituisce "una forma di conversazione nella quale due

persone (e di recente più di due) s'impegnano in un'interazione verbale e non verbale nell'intento

di raggiungere una meta precedentemente definita"(v.Brenner, 1980, p.115; analogamente Khan e

Cannel, 1968, p.149).

L'intervista presenta dunque alcune caratteristiche:

ha come scopo la rilevazione di situazioni, comportamenti, atteggiamenti opinioni;

intende rilevare, non alterare, gli stati degli intervistati sulle proprietà che interessano;

si svolge nel quadro di una ricerca194 .

Il carattere volontario può invece essere considerato un requisito fondamentale: l'intervistatore non

dovrebbe in alcun modo costringere l'intervistato ad accettare l'intervista (v. Kahan e Cannell 1968,

p.149; v. Hyman, 1973, p.337).

In genere, si classificano le interviste sulla base di due criteri:

la presenza o meno di un contatto diretto (visivo) tra intervistatore e intervistato;

il "grado di libertà" concesso ai due attori (v. Statera, 1982, p. 141).

Combinando queste due classificazioni si possono ottenere quattro tipi di intervista:

1) Intervista non strutturata: implica che l'intervistatore si ponga in una condizione di ascolto,

limitandosi per lo più a fornire una serie di” segnali” diretti a rassicurare l'interlocutore sul suo

livello di attenzione e di comprensione; l'intervistatore guida il discorso solo in modo indiretto195;

194 http://www.me-teor.it/marr_opere/italiano/articoli/Intrvst.pdf. 195 http://www.me-teor.it/marr_opere/italiano/articoli/Intrvst.pdf.

48

2) Intervista parzialmente strutturata: l'intervistatore dispone di una lista di temi fissati in

precedenza sui quali deve raccogliere tutte le informazioni richieste [con] la facoltà di adattare ai

singoli intervistati sia le domande, sia l'ordine in cui le pone. Un'intervista si può considerare

parzialmente strutturata anche quando, sebbene la raccolta delle informazioni sia stata operata

tramite domande aperte, il ricercatore prevede di organizzare le informazioni stesse in una matrice

dei dati (v.Pitrone, 1984, p.33);

3) Intervista strutturata: lo strumento che caratterizza l'intervista strutturata è il questionario,

composto dai seguenti elementi: una breve presentazione della ricerca, una serie di domande da

sottoporre all'intervistato, un’ insieme di istruzioni che "hanno la funzione di suggerire il

comportamento da adottare di fronte a risposte o reazioni dell'intervistato"(v.Pitrone, 1984, p.33),

che mostrano chiaramente che egli non ha capito la domanda o il compito che gli viene richiesto

una serie di domande all'intervistatore stesso (che possono riguardare la durata dell'intervista, le

reazioni dell'intervistato alla situazione di intervista, le caratteristiche dell'ambiente in cui

l'intervista ha luogo(v .Pitrone, 1984, p.33)

4) Intervista telefonica: non consente il ricorso a tecniche che comportano strumenti da sottoporre

visivamente all'intervistato. L'intervistatore dispone di meno informazioni per valutare se

l'intervistato ha capito davvero la domanda e di conseguenza tenderà a ridurre gli interventi

opportuni per chiarire il testo. Non è possibile integrare il resoconto dell'intervista con informazioni

relative all'ambiente fisico in cui essa ha luogo e al comportamento non verbale dell'intervistato.

Inoltre, la presenza dell'intervistatore facilita la concessione dell'intervista: non a caso i sondaggi

telefonici sono caratterizzati da un elevatissimo tasso di rifiuti196.

L’obiettivo del lavoro di ricerca è quello di analizzare le dinamiche sottostanti al rapporto tra il

servizio sociale e l’ambito della mediazione familiare mediante un’intervista non strutturata che ho

sottoposto a due mediatori familiari e tre assistenti sociali. Lo scopo è quello di rilevare il punto di

vista di queste due figure professionali che seppur appartenenti ad ambiti differenti molto spesso

si trovano a collaborare nella pratica lavorativa quotidiana. Gli obiettivi specifici della ricerca sono

quelli di indagare alcuni aspetti come la modalità di invio della coppia in mediazione da parte dei

servizi sociali, i criteri utilizzati, tipologia di utenza, rapporti tra servizi e scambio di informazioni,

numero di invii di coppie in mediazione nell’arco di due anni.

196 Ibidem.

49

3.2. Soggetti intervistati

Per realizzare la ricerca ho intervistato due mediatori familiari e tre assistenti sociali dell’area

minori appartenenti alla zona Nord-Ovest del territorio fiorentino. Per quanto riguarda i mediatori

familiari, mi sono recato a Sesto Fiorentino(FI) presso il centro affidi e mediazione familiare (in

appalto alla cooperativa di Vittorio) dove ho intervistato la Dott.ssa Tilenni, responsabile del

servizio e la dott.ssa Loredana Spaccaterra, mediatrice familiare del servizio di mediazione mentre,

presso l’associazione mediamente di Firenze ho intervistato un’altra mediatrice familiare, la

Dott.ssa Ana Maria Sanchez.

Gli assistenti sociali che ho intervistato sono:

Dott.ssa Rossella Benedetti, assistente sociale area minori e famiglie presso Casa della

Salute di Calenzano (FI);

Dott.ssa Vanessa Chiari, assistente sociale area minori presso l’Asl di Campi Bisenzio (FI);

Dott. Paolo Prisco, assistente sociale area minori presso comune di Signa (FI).

Gli assistenti sociali intervistati collaborano con il centro affidi e mediazione familiare di Sesto

Fiorentino in appalto alla cooperativa di Vittorio.

3.3. Interviste

Nel testo che segue riporto integralmente le domande (D) da me formulate con le rispettive risposte

(R).

Il giorno 27 febbraio 2017 ho intervistato la Dott.ssa Tilenni, responsabile centro affidi e

mediazione familiare di Sesto Fiorentino (FI).

D: come è organizzato il servizio di mediazione familiare?

R: non è un centro di mediazione ma un servizio in appalto gestito dalla cooperativa di Vittorio

chiamato appunto servizio centro affidi e mediazione familiare di cui la committenza è la società

della salute. Il raggio di azione è su 8 comuni, con 150 ore all’anno per la mediazione familiare.

E’un servizio che inizialmente era rivolto solo a quei casi inviati dal Tribunale ma col tempo si è

fatto un lavoro in base a degli indicatori e dei requisiti ben precisi del nucleo che si inviava al

50

servizio e si è aperto anche a utenti non inviati dal Tribunale ma comunque seguiti dal servizio

sociale dell’area minori. Dal punto di vista teorico, la tipologia di percorso di mediazione del centro

non è una mediazione pura sia perché la mediatrice è anche una psicoterapeuta ma anche perché i

nuclei sono molto problematici, caratterizzati da problemi di stalking, violenze denunce. Nello

specifico mi occupo del primo colloquio con la coppia in cui spiego in cosa consiste la mediazione

familiare, rilevo alcune informazioni, sottopongo la coppia ad un questionario per rilevare i primi

elementi (da quanto tempo si sono separati, perché si sono separati, chi ha preso la decisione, i

legami di riferimento, udienze). Può capitare di incontrare separatamente gli ex coniugi per poi

fissare un appuntamento con il mediatore del servizio. In definitiva ci sono due tipi di invii:

Tribunale e Servizi sociali a seguito di una valutazione.

Il giorno 27 febbraio 2017 ho intervistato la Dott.ssa Loredana Calcattera, psicoterapeuta,

mediatrice familiare ad approccio sistemico-relazionale del centro affidi e mediazione familiare.

D: qual è la differenza tra servizio di mediazione familiare pubblico e privato?

R: gli invii da parte del Servizio Sociale e quelli del Tribunale sono un po' diversi perché il

Tribunale in teoria non potrebbe fare un invio diretto in quanto in realtà è una sollecitazione,

indicazione posta nel decreto del giudice per cui non è un obbligo di mediazione familiare ma

essendo un contesto giudiziario queste sollecitazione da parte del Tribunale vengono accolte. La

prima differenza tra un servizio di mediazione familiare privato e un servizio che accoglie coppie

inviate dal tribunale e che non è detto che ci sia una motivazione e una consapevolezza delle coppie

al percorso mentre in un contesto privato gli ex coniugi arrivano in maniera volontaria.

In questo servizio si lavora principalmente sull’analisi della domanda, sul cercare di capire se

sussistono i prerequisiti per iniziare il percorso di mediazione o comunque si lavora nella fase

iniziale con una sorta di pre-mediazione. Il numero di colloqui di pre- mediazione sono dipesi dal

tipo di problematica. I minori si portano nel contesto di mediazione solo in caso di necessità (ad

esempio rifiuto del minore di vedere il padre), di conflitto non acuto e in fase finale del percorso

per elaborare un nuovo disegno della famiglia a seguito della separazione. Il minore generalmente

non viene comunque coinvolto nel processo. Gli incontri di mediazione sono circa dodici di cui

due-tre di valutazione per comprendere se la coppia è realisticamente motivata e i restanti per la

mediazione.

Per quanto riguarda l’invio della coppia in mediazione, c’è un’apposita modulistica che

generalmente compila l’assistente sociale a seguito del decreto da parte del Tribunale. L’AS può

51

anche senza decreto decidere di inviare la coppia in mediazione ma essendo le ore destinate alla

mediazione molto ristrette si fa una selezione. La richiesta dell’AS viene prima inviata al

responsabile del servizio sociale professionale per poi essere inviata al servizio di mediazione.

L’AS per inviare il modulo al servizio di mediazione deve aver fatto sottoscrivere un consenso agli

ex coniugi per cui si presume che il Servizio Sociale abbia fornito loro un quadro generale sulla

mediazione familiare. Generalmente il SS rappresenta un contesto più protetto rispetto a quello

giudiziario.

D: è possibile presentare il servizio di mediazione familiare in maniera congiunta (ex coniugi,

mediatore familiare e AS inviante)?

R: nel mio contesto lavorativo non è mai capitato ma può essere fatto nel miglioramento della

metodica.

D: quali informazioni si scambiano il SS e il Mediatore Familiare?

R: la mediazione dal punto di vista teorico è uno spazio a sè, totalmente separato dal contesto

valutativo ma in questo ambito già il semplice invio dal SS o dal Tribunale rappresenta una

valutazione stessa. Questo per dire che il contesto mediatorio è in un certo senso “inquinato”,

ponendo la coppia realisticamente nella condizione di non poter scegliere se partecipare o meno,

essendo sempre presente la tematica della valutazione. In qualche modo, la presenza del SS e tutte

le comunicazioni che passano al SS rappresentano uno dei problemi principali : il SS quando invia

la coppia perde i contatti con un nucleo che ha necessità di monitorare mentre dall’ altra parte il

mediatore deve cercare di modulare le informazioni che passano al SS sulla base del fatto che

queste non devono essere utilizzate per la valutazione poiché inevitabilmente si andrebbe a mettere

a repentaglio il rapporto di fiducia che il mediatore ha instaurato con la coppia .A proposito di

questo aspetto, durante il primo colloquio di presentazione del servizio di mediazione, viene

appunto esplicato alla coppia che tutto quello che accade nella mediazione non verrà utilizzato

come valutazione perché è uno spazio privato della coppia, l’unica cosa che può uscire dall’ambito

della mediazione sono degli accordi firmati dalla coppia e condivisi con i rispettivi avvocati solo

sotto il consenso degli ex coniugi. Quando il percorso di mediazione si conclude i coniugi possono

decidere di condividere gli accordi con il Tribunale o SS. Le informazioni che il mediatore fornisce

al SS sono molto generiche ad esempio se la coppia è in mediazione oppure se ha terminato il

percorso o se sta stilando degli accordi mentre quando il SS per questioni di monitoraggio chiede

informazioni, il mediatore condivide con la coppia il fatto che verranno fornite alcune informazioni

52

all’AS. Secondo la Dottoressa questa condivisione delle informazioni viene letta dalla coppia come

rassicurante e permette al mediatore di mantenere un ruolo di neutralità. A monte di quanto detto,

evince un conflitto tra la natura neutrale, privata e non valutativa dello spazio di mediazione

familiare e il contesto inviante (Tribunale o SS) coatto e valutativo. Per quanto riguarda il rapporto

tra SS e il Mediatore durante il percorso di mediazione dipende molto dai casi in quanto ad esempio

alcuni AS hanno bisogno di avere un monitoraggio costante sulla coppia in base ad un mandato del

Tribunale per cui in questo caso il SS ha come unico interlocutore il mediatore. Delle volte, il

mediatore può chiedere al SS di competenza di rivedere la coppia dopo un certo periodo di tempo

dall’ l’inizio del percorso al fine di permettere di valutare se il conflitto è più acquietato oppure se

il conflitto è ancora acuto. Ci sono situazioni in cui è il mediatore stesso che si attiva per fornire

informazioni al SS soprattutto nel momento particolarmente critico di conclusione del percorso di

mediazione in cui la coppia passa da una fase in cui si è sentita contenuta ad una fase in cui è di

nuova sola e le responsabilità tornano a loro. Questa particolare fase può portare a delle crisi o

regressioni e a quel punto il mediatore fornisce informazioni SS al fine di poter leggere quello che

sta succedendo all’interno della coppia per evitare che vengono redatte segnalazioni o relazioni che

non tengano conto del percorso fatto.

D: quali informazioni fornisce il SS al mediatore?

R: sussistono due fasi, la prima si ha quando l’Assistente sociale indica all’interno del modulo

l’oggetto per il quale invia la coppia in mediazione e fornisce informazioni di carattere generale. Il

motivo dell’invio può essere quello reale, quando c’è stata un’analisi della domanda oppure un

motivo di cornice perché poi ad una analisi più attenta è probabile che quel problema per cui la

coppia è stata inviata è sintomo di qualcosa di più complesso.

D: capita delle volte che un AS invia la coppia in mediazione perché non ha più altre soluzioni?

R: accade molto spesso, più che da parte del SS è generalmente il Tribunale. Quando questo accade

è la mediazione familiare in difficoltà perché può capitare che nel percorso della coppia ci sono

stati già troppi fallimenti, soprattutto in situazioni in cui il conflitto è acuto e ci sono bisogni forti

e profondi e in questi casi, generalmente la coppia in passato si è rivolta ai propri legali, a percorsi

di Terapia, al SS per cui giungono in mediazione con un approccio non motivato. In questi casi di

molteplici fallimenti, il rischio alla regressione è molto alto.

Inoltre, è di fondamentale importanza il fattore tempo cioè da quando emerge il decreto da parte

del Tribunale a quando inizia la mediazione familiare. Se i tempi di attivazione del servizio sono

53

immediati , gli ex coniugi e come se sentissero che c’è stata una risposta efficace al loro bisogno

quando invece c’è lassismo dal decreto del Tribunale a quando comincia il percorso di mediazione

(a volte passano 4-5 mesi) in questo caso è molto difficile costruire un rapporto di fiducia e delle

volte può accadere che in questo lasso di tempo siano già partiti altri procedimenti legali ( denunce

ecc.) per cui è importante che i tempi siano rispettati al fine di conferire un’ informazione efficace.

I tempi hanno un grande significato perché i procedimenti giudiziari creano delle ferite.

D: con quali modalità il SS invia la coppia in mediazione? Con una domanda definita?

R: a volte c’è una domanda ben precisa e a volte no ma indipendentemente da questo, la coppia

nei primi colloqui con il mediatore condivide gli oggetti su cui lavorare. Il SS ad esempio può dire

che ci sono delle problematiche sul minore o che si necessita di un lavoro sul conflitto genitoriale

insomma può effettuare una descrizione del problema ma quando la coppia arriva in mediazione si

cerca di comprendere quali sono gli oggetti sottesi al conflitto.

D: quanti casi inviati dal SS o in mediazione in 2 anni?

R: in generale, in 2 anni il numero di casi inviati dal SS sono circa 20.

D: come si sono conclusi questi percorsi?

R: un 40-50% riesce a chiudere con degli accordi globali il percorso di mediazione, un 10%

conclude con degli accordi parziali mentre la restante parte dei casi sono situazioni in cui gli accordi

erano già presenti ma non riuscivano ad essere rispettati per cui non era necessario trovare l’accordo

ma far sì che ad esempio il decreto del Tribunale venisse rispettato oppure in altre situazioni non

arrivano ad un accordo.

Il giorno 1 marzo 2017 mi seno recato presso l’associazione Intervista presso l’associazione

Mediamente di Firenze:

L’Associazione Mediamente-Centro di ricerca e sviluppo per la Mediazione Familiare ed il

Counseling nella relazione d'aiuto nasce nel 2007 dall'esperienza pluriennale di tre mediatrici

familiari ( Paola Barletti, Francesca Fabbri, Anna Maria Sanchez) con l'intento di diffondere la

cultura della Mediazione dei Conflitti (intra e interfamiliari) e del Counseling nella relazione

d’aiuto, come strumenti di promozione del benessere individuale, familiare, sociale e di

prevenzione del disagio; E' un’associazione senza fini di lucro, iscritta dal 31/10/2008 al n. 352 del

Registro Regionale Toscano delle APS che svolge attività di utilità sociale, collaborando

attivamente con i servizi sociali e con le Reti di Solidarietà del Comune di Firenze, l’associazione

54

è impegnata dalla sua nascita alla formazione ed aggiornamento professionale di Mediatori dei

conflitti e counselors; tra i collaboratori si annoverano Lisa Parkinson, Marino Maglietta, Luigi

Zammuto, Paolo Chellini, Giovanni di Bari, Facoltà di giurisprudenza dell'Università di Messina,

Gaia Onlus di Catanzaro, associazione “Un altro modo” della Facoltà di Giurisprudenza

dell'Università di Firenze197.

Il giorno 1 marzo ho intervistato la Dott.ssa Ana Maria Sanchez, avvocato, mediatrice familiare

dell’Associazione:

D: quando comincia la collaborazione professionale tra il Comune di Firenze e l’associazione

mediamente?

R: il rapporto tra l’associazione e il Comune di Firenze comincia nel marzo del 2009 fino a

dicembre del 2012 con il quartiere 5/SIAST 5 in cui i SS segnalavano i casi da inviare in

Mediazione. Successivamente questa collaborazione si è interrotta. Nel 2014 a novembre si è

firmata una nuova convenzione che è durata fino al 2015 comprendente tutto il territorio Fiorentino.

La convenzione era più ambiziosa di quella precedente perché oltre al servizio di mediazione in

caso di conflitti c’era qualcosa in più, ossia l’attivazione di gruppi di parola per bambini figli delle

famiglie affidataria. Attualmente è in corso una convenzione firmata nel novembre del 2016. Il

numero di casi inviati dal SS al servizio di mediazione familiare sono:

- 10 casi da Marzo 2009 a Dicembre 2012;

- 6 casi da Marzo 2010 a Dicembre 2010,

- 6 casi nel 2011;

- 5 casi nel 2012.

Per quanto riguarda l’invio da parte del SS, l’AS del caso individua la coppia da mandare in

mediazione, delle volte si tratta di sostegno alla genitorialità per cui può essere segnalato anche un

solo genitore. Al servizio di mediazione viene segnalata la coppia che a sua volta individua il

mediatore a cui affidare il caso. L’invio dal SS avviene attraverso un’apposita modulistica. Il centro

di mediazione fornisce delle informazioni al SS attraverso degli incontri di presentazione in cui

specificano alcuni indicatori che gli AS possono utilizzare come criterio per l’invio. I dati presenti

nella modulistica sono quelli anagrafici ma c’è qualcosa in più, contiene una descrizione breve

197 http://associazionemediamente.org/lassociazione.html.

55

della situazione da parte dell’AS che sottolinea le aree di conflitto che poi saranno affrontate con

il mediatore.

D: quali informazioni il servizio di mediazione riferisce all’AS?

R: le informazioni sono prevalentemente di tipo scritto, non sotto forma di relazione ma di

descrizione molto generica in cui non si entra nei contenuti (ad esempio si può dire che c’è un alto

livello di conflittualità oppure il caso è stato interrotto, senza specificare i motivi) cercando di

proteggere e garantire la confidenzialità. Il SS necessita di informazioni sulla coppia ai fini del

controllo e monitoraggio (se ad esempio l’AS deve valutare la capacità genitoriale) ma il mediatore

cerca di garantire che ciò che si affronta nel setting di mediazione non sarà oggetto di valutazione

da parte di SS o Tribunale tenendo ben presente il codice deontologico dell’AIMEF. Questa è

un’area contrastante che va gestita in una certa forma, tenendo in considerazione sia i bisogni del

SS che il codice deontologico del mediatore familiare.

D: i figli vanno inclusi nel percorso mediazione?

R: inizialmente, io e le mie colleghe mediatrici ci basavamo sull’approccio teorico che non

includeva i figli in mediazione ma nel tempo la cornice è cambiata soprattutto dal punto di vista

normativo. Abbiamo avvertito la necessita di dare un posto ai figli dove possano parlare ed

esprimersi liberamente sempre però in un’ottica di protezione del bambino. A questo proposito, nel

2016 con Lisa Parkinson, abbiamo partecipato ad una formazione riservata a mediatori familiari

esperti sulle modalità operative di coinvolgimento dei figli nel percorso, garantendo loro

protezione. Dopo questa formazione, abbiamo cominciato a tener presente la possibilità di

includere il minore facendolo sentire parte attiva del percorso di mediazione ma senza attribuirli

una carica emotiva (come potrebbe capitare ad esempio dinanzi ad un giudice). Per quanto mi

riguarda, la mediazione familiare è come una “chiacchierata protetta, neutrale “in cui il bambino

può comprendere che la mediazione è uno spazio dove i genitori lavorano per lui, per il suo

benessere. E’ questo il messaggio che io e le mie colleghe cerchiamo di trasmettere ai bambini.

D: il SS invia la coppia in mediazione seguendo un criterio oppure si ricorre alla mediazione solo

quando non ci sono più altre strade da perseguire?

R: il servizio sociale fa da filtro in questo ambito ma è meglio che lo faccia in maniera limitata.

L’associazione ha un concetto molto aperto, non può dire se una coppia non è idonea alla

mediazione, ovviamente se non sono casi particolari (disturbi di personalità ecc.). Se gli AS hanno

un dubbio sull’invio di un caso in mediazione, è meglio che facciano comunque l’invio, saranno

56

poi le mediatrici ad approfondire la questione. Il modello seguito dall’associazione non è

terapeutico per cui non prevede degli incontri di pre-mediazione in cui si valuta il prerequisito alla

mediazione. Il modello seguito è quello eclettico-negoziale con alcuni aspetti riguardanti la

mediazione umanistica. A volte, la sensazione che sento come mediatore è quella come se la

mediazione fosse “l’ultima spiaggia” poiché molto spesso si lavora con coppie che sono passate

da molti servizi (terapia, servizi sociali ecc.) o cause giudiziarie. Questo aspetto da un forte senso

di pesantezza al mediatore perché da l’idea che la mediazione sia l’ultima risorsa della coppia per

cui si fa molta fatica a rimandare gli ex coniugi pur essendoci questioni (ad esempio la mancata

rielaborazione della separazione) che non competono alla mediazione ma ad un percorso di

psicoterapia. Il dialogo tra SS e mediatore dovrebbe esserci ad un livello più alto ma non solo,

anche con gli altri attori (avvocati ecc.) Nel lavoro quotidiano, ho potuto osservare che sono sempre

gli stessi AS che inviano le coppie in mediazione rispetto ad altre questo perché probabilmente non

tutti gli AS conoscono bene l’esistenza del servizio di mediazione familiare.

Ho effettuato un’intervista non strutturata anche ad alcuni AS dell’area Minori dell’area Nord

Ovest del territorio Fiorentino che collaborano con i Servizi di Mediazione Familiare.

Il giorno 2 marzo 2017 ho intervistato la Dott.ssa Rossella Benedetti, Assistente Sociale area minori

e famiglie presso Casa della Salute di Calenzano (FI).

D: come avviene l’invio dal SS al centro di mediazione?

R: c’è un protocollo, un regolamento che disciplina l’invio da parte dell’AS al servizio di

mediazione che della zona Nord Ovest è il Centro affidi e mediazione familiare in appalto alla

cooperativa di Vittorio. Il modulo di richiesta di invio viene inviato alla responsabile del Servizio

Sociale Professionale dell’AS che lo deve avallare per un discorso di copertura budget per poi

essere inviato alla cooperativa di Vittorio che a seguito dell’autorizzazione amministrativa

contatterà la coppia. Al momento, in questo servizio per motivi di budget economico vengono

inviate in mediazione solo le coppie destinatarie di un provvedimento del Tribunale, che li

“obbliga” a intraprendere un percorso di Mediazione.

D: è capitato di aver fatto richiesta di invio in mediazione per una coppia non soggetta al decreto

del Tribunale?

R: è accaduto, anche perché c’era un residuo di ore destinato alla mediazione (sono circa 150

all’anno su 8 Comuni). Tempo fa, ho inviato in mediazione un caso non sottoposto a decreto del

Tribunale ma c’era già aperto un iter presso la procura. Il caso riguardava un padre naturale e i

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nonni materni del minore dove vi erano litigi interni e, vista la situazione particolare hanno fatto

una eccezione al regolamento. La mediazione familiare non è riservata solo a coppie genitoriali ma

anche a conflitti familiari in generale.

D: con quali obiettivi il SS invia la coppia in mediazione? Con una domanda definita oppure no?

R: dipende molto da situazione a situazione. In generale, sussistono dei requisiti minimi o delle

regole che il servizio sociale ha intenzione di porre all’interno del ruolo genitoriale della coppia

(ad esempio le visite, o la semplice carta di identità del minore che il padre si rifiuta di fare,).

Possono essere obiettivi semplici (ad esempio le visite, o la semplice carta di identità del minore

che il padre si rifiuta di fare) o più complessi. Generalmente, si danno degli obiettivi di massima

che delle volte sono di difficile realizzazione per mancanza di tempo.

D: quali tipologie di informazioni fornisce il SS al Mediatore?

R: nel mio operato, al modulo di richiesta di mediazione allego il decreto del Tribunale dove viene

esplicitata brevemente la storia familiare e genitoriale e delineati i termini e regole imposte dal

Tribunale (ad esempio il diritto di visita del padre è stabilito il martedì e giovedì, questo dato è

molto importante per il mediatore) che per il mediatore sono una base e un punto di partenza su cui

lavorare. Con il mediatore, ho un rapporto di confronto durante tutto il percorso, soprattutto dopo

la conclusione di questo in quanto molte coppie tendono a mantenere maggiori rapporti con il

mediatore piuttosto che con il SS. Alla fine del percorso di mediazione, le informazioni che il

mediatore riferisce ai SS sono condivise con la ex coppia, questo per rispettare un codice etico e

deontologico di trasparenza e neutralità.

D: i casi sono inviati per una mediazione “pura”?

R: tutte le coppie sono inviate in mediazione a seguito di un decreto del Tribunale. La sensazione

che maggiormente riscontro è quella che molto spesso il Tribunale decreti l’invio per non prendersi

la responsabilità. Delle volte, non sussiste una selezione approfondita sui requisiti per l’invio in

mediazione tant’è che in un caso specifico, con la mediazione familiare la situazione degli ex

coniugi è peggiorata poiché i due, in sede di mediazione, ritiravano fuori una serie di conflitti

rispetto alla tutela del bambino per cui era controproducente andare avanti.

D: è possibile fare un primo incontro di presentazione tra AS, mediatore familiare e partecipanti

alla mediazione?

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R: la mediazione familiare è uno spazio neutrale per cui tendo a dare i riferimenti telefonici del

servizio di mediazione alla coppia genitoriale, per far si che gli ex coniugi si attivino da soli e

sviluppino un minimo di motivazione. La mediazione è uno spazio per i genitori per cui è

fondamentale che si autodetermino. Ai genitori viene comunicato che intorno alle terza-quarta

seduta di mediazione l’AS avrà contatti con il mediatore per sapere se sono stati raggiunti alcuni

obiettivi minimi e successivamente alla fine del percorso il SS verrà messo a conoscenza

dell’accordo raggiunto in mediazione. Ci sono anche delle coppie che nonostante il decreto del

Tribunale non si attivano mai per intraprendere il percorso di mediazione oppure lo fa solo un

genitore. In definitiva, il “contrasto” tra SS e mediazione familiare è di tipo deontologico. Il numero

di casi nell’arco di due anni inviati in mediazione è 4.

Il giorno 9 marzo 2017 ho intervistato la Dott.ssa Vanessa Chiari, Assistente Sociale area minori

presso l’Asl di Campi Bisenzio:

D: con quali modalità avviene l’invio della coppia in mediazione familiare?

R: viene fatta una valutazione in base alla situazione dopo di che procedo nella compilazione di

una modulistica e faccio firmare il consenso alla coppia. In seguito, questo modulo viene inviato

al responsabile del servizio sociale professionale per essere protocollato e successivamente inviato

al servizio di mediazione.

D: chi effettua la valutazione?

R: molto spesso l’invio viene prescritto dal Tribunale, in altre occasione è il SS a valutare

l’opportunità di accedere al servizio, quando sussistono i requisiti per la mediazione familiare per

evitare la prosecuzione della separazione giudiziaria.

D: è possibile fare un primo incontro di presentazione tra mediatore familiare, AS e coppia?

R: il mediatore preferisce vedere da solo la coppia, generalmente viene fatto un primo colloquio

con il responsabile del servizio di mediazione che si occuperà di reperire i dati generici dei due ex

coniugi per poi fissare un primo appuntamento con la coppia.

D: è mai capitato di inviare una coppia in mediazione senza un decreto del Tribunale?

R: si è capitato.

D: con quali obiettivi il SS sociale invia la coppia? Con una domanda definita oppure perché si

sono esaurite le risorse e le soluzioni da intraprendere?

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R: al servizio di mediazione familiare vengono inviate anche coppie che non sono mediabili con

la finalità di acquisire un minimo di obiettivi ad esempio sul come comunicare, i giorni di frequenza

delle visite del genitore non affidatario al fine di giungere ad un accordo parziale. L’obiettivo che

si persegue è quello di arrivare ad un accordo consensuale di separazione.

D: come si intrattiene la collaborazione professionale tra AS e mediatore familiare?

R: sento regolarmente il mediatore familiare durante il percorso di mediazione, ma il mediatore

preferisce avere pochi colloqui con il SS perché preferisce risultare più come esterno e quindi ad

esempio i colloqui congiunti con me vengono fatti solo con l’accordo delle parti.

D: quali informazioni riferisce l’AS al mediatore familiare e viceversa?

R: nel modulo che invio al servizio di mediazione, vengono esposte pochissime informazioni (dati

anagrafici, numero di figli, esistenza di un provvedimento del Tribunale). In alcuni casi, io e il

mediatore ci siamo sentiti preliminarmente subito dopo l’invio per uno scambio di informazioni

più ordinarie, altre volte lo scambio avviene alla fine del percorso di mediazione. Le informazioni

che il servizio di mediazione rilascia al SS riguarda quello che è stato rilevato nei colloqui, ma non

in forma scritta.

D: quali sono le riflessioni dell’AS sul “contrasto “dal punto di vista deontologico tra il SS,

contesto coatto e la mediazione familiare, contesto neutrale?

R: quando effettuo l’invio della coppia in mediazione, volutamente mantengo solo il monitoraggio

sui figli poiché in quel caso i genitori sono seguiti dal mediatore al fine di lasciare” depurato “il

contesto mediatorio ed è questo il motivo per cui non vengono fatti colloqui congiunti soprattutto

nel primo periodo del percorso. Le criticità che rilevo e che il SS non ha nessun riscontro sull’esito

positivo o negativo del percorso di mediazione. Sarebbe opportuno che ad esempio nel caso in cui

la mediazione fallisse il mediatore desse un riscontro scritto perché sono elementi su cui come

assistente sociale posso lavorare in quanto l’esito del percorso andrebbe comunicato al Tribunale.

E’ fondamentale lasciare il luogo di mediazione neutro anche se il SS inviante dovrebbe avere un

riscontro almeno finale. Le coppie inviate dal SS in mediazione familiare dal 2014 al 2016 sono

tre. L’accordo non è stato raggiunto in nessuno dei tre casi anche se in realtà uno è ancora in corso.

Il giorno 13 marzo 2107 ho intervistato il Dott. Paolo Prisco, Assistente Sociale area minori

comune di Signa (Fi):

D: come avviene l’invio da SS al servizio di mediazione familiare?

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R: sono state adottate alcune modalità operative come ad esempio la chiamata che effettuo

direttamente al mediatore familiare soprattutto in alcuni casi quando c’è un decreto del Tribunale

per chiarire alcuni aspetti della coppia, seguito dall’invio della modulistica protocollata dal

responsabile del servizio sociale professionale. Ci sono alcuni casi in cui,a seguito di una

valutazione, ritengo opportuno l’invio della coppia in mediazione.

D: quali criteri utilizza l’AS per l’invio della coppia in mediazione?

R: generalmente sono coppie che si recano spontaneamente al servizio sociale per cui già questo

aspetto può essere considerato come criterio e capita molto spesso che chi si reca al SS è soltanto

un partner per chiedere una consulenza sulla gestione della separazione in presenza dei minori. Nei

casi in cui ci sono denunce o altri provvedimenti il ricorso alla mediazione è limitato. Ai fini della

valutazione, mi concentro sul livello di conflitto e sulla capacità della coppia di poter lavorare sul

proprio vissuto. Può succedere che la coppia rifiuti il percorso di mediazione familiare da me

proposto perché ha già sperimentato in maniera autonoma le risorse per risolvere il conflitto. Nella

mia esperienza lavorativa, ho effettuato alcuni invii al SS ma la maggior parte avvengono su

decreto del Tribunale.

D: con quali obiettivi il SS invia la coppia? Con una domanda definita oppure no?

R: no, spesso non sono domande ben precise bensì quelle che riesco ad elaborare durante il

colloquio. Molto spesso, si avvia la mediazione a fin che nei primi colloqui il mediatore possa

definire gli obiettivi della coppia anche se questi vengono in qualche modo definiti piuttosto

superficialmente durante il colloquio che la coppia affronta con la responsabile del servizio di

mediazione familiare (dott.ssa Tilenni).

D: come si intrattiene la collaborazione tra AS e mediatore familiare?

R: spesso è il mediatore che mi contatta per una restituzione e uno scambio, principalmente per via

telefonica. Ho seguito un caso in cui è avvenuto un incontro tra AS, il mediatore, coppia e avvocati

per una separazione molto difficile. I casi inviati in mediazione in due anni sono cinque, due inviati

dall’AS e tre dal Tribunale. Per quanto mi riguarda, non risulta rilevante la valutazione della

mediatrice (che in realtà non può fare) per cui, le informazioni che riferisco al Tribunale riguardano

prettamente la partecipazione o meno della coppia e l’esito del percorso; queste informazioni

possono essere tenute in considerazione del giudice per cui l’aspetto valutativo rientra in minima

parte nel contesto mediatorio. Sicuramente, scrivere che la mediazione è fallita può cambiare il

giudizio e ciò comporta delle conseguenze per la coppia. Ritornando al discorso della valutazione,

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deontologicamente il mediatore non può fare valutazione ma allo stesso tempo in questo contesto

cosa dovrebbe valutare il mediatore? Se uno è un buon genitore o meno? Questo compito è affidato

ai servizi specialistici per cui per me AS l’andamento e l’esito del percorso di mediazione non

rappresentano elementi fondamentali da tenere in considerazione. Ciò su cui mi concentro è

l’andamento della relazione tra un genitore e il minore e non il rapporto di coppia. Un’importante

lavoro di “pre-mediazione” viene fatta dal servizio sociale che conduce la coppia verso il percorso

di mediazione familiare.

3.4. Conclusioni della ricerca

L’obiettivo del lavoro di ricerca è quello di analizzare le dinamiche sottostanti al rapporto tra il

servizio sociale e l’ambito della mediazione familiare mediante un’intervista non strutturata che ho

sottoposto a due mediatori familiari e tre assistenti sociali. Lo scopo è quello di raccogliere il punto

di vista di queste due figure professionali che seppur appartenenti ad ambiti differenti molto spesso

si trovano a collaborare nella pratica lavorativa quotidiana. Intervistando i mediatori familiari ho

rilevato alcuni aspetti:

il confronto tra un servizio di mediazione privato e pubblico. Dal punto di vista teorico, la

motivazione e la volontà delle parti sono principi cardini della mediazione familiare. La prima

differenza tra un servizio di mediazione familiare privato e un servizio che accoglie coppie inviate

dal Tribunale e che non è detto che ci sia una motivazione e una consapevolezza delle coppie al

percorso mentre, in un contesto privato gli ex coniugi arrivano in maniera volontaria;

differenti approcci teorici di mediazione familiare. Ho intervistato due mediatrici familiari

che si sono formate secondo diversi approcci, una inerente alla teoria sistemico relazionale e l’altra

alla teoria eclettica-negoziale: nell’approccio sistemico relazionale si lavora sul prerequisito alla

mediazione familiare dove vengono effettuati i cosiddetti incontri di “pre-mediazione” in cui si

lavora sul passato della coppia e sulla idoneità di questa al percorso di mediazione; nell’approccio

negoziale si lavora fin da subito su aspetti concreti ed inerenti al presente concreto della ex coppia

venendo meno il lavoro sui pre-requisiti;

rapporto di collaborazione tra SS e mediatore familiare e scambio di informazioni. Questo

aspetto rappresenta il nocciolo della questione. La mediazione dal punto di vista teorico è uno

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spazio a se, totalmente separato dal contesto valutativo ma in questo ambito già il semplice invio

dal SS o dal Tribunale rappresenta una valutazione stessa. Questo per dire che il contesto

mediatorio è in un certo senso “inquinato e in qualche modo la presenza del SS e tutte le

comunicazioni che passano al SS rappresentano uno dei problemi principali in quanto, quando il

SS invia la coppia perde i contatti con un nucleo che ha necessità di monitorare mentre dall’ altra

parte il mediatore deve cercare di modulare le informazioni che passano al SS sulla base del fatto

che queste non devono essere utilizzate per la valutazione poiché inevitabilmente si andrebbe a

mettere a repentaglio il rapporto di fiducia che il mediatore ha instaurato con la coppia. Le

informazioni che il mediatore fornisce al SS sono molto generiche ad esempio se la coppia è in

mediazione, se ha terminato il percorso o se sta stilando degli accordi mentre quando il SS per

questioni di monitoraggio chiede informazioni, il mediatore le condivide con la coppia. Dalle

interviste ai mediatori familiari si può arrivare alla conclusione che sussiste un conflitto tra la natura

neutrale e non valutativa dello spazio di mediazione familiare e il contesto inviante (Tribunale o

SS), coatto e valutativo.

criteri dell’invio della coppia in mediazione familiare. Mi sono chiesto se l’invio da parte

del Tribunale o dai SS della coppia avviene perché sussistono i requisiti oppure perché non ci sono

più soluzioni da intraprendere. Può succedere che nel percorso della coppia ci sono stati già troppo

fallimenti (terapia familiare, servizi sociali) per cui gli ex coniugi giungono in mediazione con un

approccio non motivato. Si ha la sensazione che la mediazione familiare sia un po' “l’ultima

spiaggia” o che addirittura il Tribunale la utilizzi perché “va di moda” o per non prendersi la

responsabilità. Sarebbe opportuno che prima dell’invio ci fosse un’attenta analisi dei requisiti

poichè la mediazione familiare ha dei confini e ambiti ben definiti che molto spesso non sono

rispettati;

numero di invii delle coppie in mediazione. Il numero di invii delle coppie da parte dei

servizi è molto limitato. Secondo i mediatori familiari, sono sempre gli stessi AS che effettuano gli

invii; la sensazione è che lo strumento della mediazione familiare sia poco conosciuto nel contesto

dei servizi sociali.

Dall’intervista agli AS ho rilevato alcuni aspetti:

scambio di informazioni tra AS e mediatore familiare. Gli AS inviano la coppia in

mediazione familiare tramite la compilazione di un modulo dove riportano informazioni generiche

sulla coppia (dati anagrafici, decreti del tribunale, breve storia della coppia ecc.) .L’idea principale

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è quella che la mediazione rappresenta uno spazio neutrale per la coppia per cui gli AS tendono a

restare esterni al percorso pur mantenendo dei contatti con il mediatore nei casi in cui ci sia un

decreto di monitoraggio da parte del Tribunale. L’AS deve concentrarsi sulla relazione tra il minore

e il genitore piuttosto che sul rapporto di coppia. Secondo alcuni, il contrasto tra AS e mediatore

familiare è di tipo deontologico anche se alcuni AS lamentano la mancata restituzione mediante

relazione scritta da parte dei mediatori familiare alla fine del percorso;

criteri utilizzati per l’invio della coppia in mediazione. La maggior parte dei casi inviati sono da

parte del Tribunale mentre quelli inviati dai singoli AS sono limitati. In questo ultimo caso

sussistono dei requisiti minimi e obiettivi semplici o complessi che valuta l’AS; si tende ad inviare

in mediazione coppie mediabili, in base al livello di conflitto e alle capacità della coppia di poter

lavorare sul proprio vissuto. La sensazione di alcuni AS e che gli invii da parte del Tribunale molto

spesso siano effettuati senza un preciso criterio.

Per concludere, ciò che evince dalle interviste e che il rapporto tra queste due figure professionali

è caratterizzato da alcune criticità in relazione a diversi aspetti. Dal punto di vista etico-

professionale, sia il mediatore familiare che l’assistente sociale devono attenersi ad un codice

deontologico che indirizza e delimita i principi cardini delle rispettive professioni per cui, è

fondamentale che entrambi riconoscano i rispettivi ruoli al fine di poter collaborare correttamente

nell’interessa del minore. A tal proposito, è necessario che gli assistenti sociali abbiano una

formazione specifica sui requisiti e i confini dello strumento della mediazione familiare per evitare

aspettative scorrette e invii di coppie non mediabili. Proprio perché il servizio sociale è investito

nella tutela del minore, dovrebbe essere capace di indirizzare i casi al servizio più idoneo in base

alla tipologia di problematica, utilizzando lo spazio della mediazione familiare in maniera

consapevole al fine di evitare possibili danni.

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Conclusioni

Questa tesi di laurea si propone di analizzare oltre ai principi e le funzioni della mediazione

familiare in materia di divorzio o di separazione, anche il rapporto che intercorre tra la figura

professionale del mediatore familiare e quella dell’assistente sociale.

Nel primo capitolo si parte dall’analisi dei fattori che hanno scaturito un’evoluzione e allo stesso

tempo fragilità all’interno della struttura familiare: il passaggio da un sistema famiglia di tipo

patriarcale a nucleare, l’immigrazione, nuove tipologie di coppie, ruolo della donna dimostrano

come i nuclei familiari della nostra società necessitino di sostegno. Successivamente, l’attenzione

è rivolta alle fasi che portano alla costruzione di una coppia ossia innamoramento e scelta del

partner che inizialmente sono connotate da componenti emotive che poi si trasformano in qualcosa

di più razionale dove la relazione muta e si sviluppa, a dimostrazione che una relazione sarà

soddisfacente solo quando entrambi i partner riusciranno a soddisfare i bisogni emotivi ed affettivi

dell’altro. Nei paragrafi a seguire, ci si concentra sull’analisi del mito familiare e di come questo

possa influenzare la scelta del partner: ciò che è emerso dallo studio e che la famiglia di origine

influenza fortemente la scelta del partner in quanto una coppia decide di costruire una relazione in

maniera stabile in base a rispettivi miti familiari ed, in particolare, è fondamentale che si sia

realizzato in entrambi i coniugi il processo di individuazione e differenziazione dalla famiglia di

origine. Si procede con l’analisi della coppia dal punto di vista sistemico per dimostrare che questa

non è caratterizzata da una somma di individui ma è composta da soggetti interdipendenti fra di

loro e che qualsiasi cambiamento generato da un elemento del sistema influenza l’intero sistema

nel suo complesso: lo strutturarsi di una relazione funzionale dipende da come i soggetti riescono

ad affrontare i cambiamenti che sopraggiungono durate il ciclo vitale della famiglia. A proposito

di relazione funzionale, si prosegue con la distinzione tra coppia funzionale e disfunzionale per

dimostrare i molteplici fattori che influiscono sulla costruzione di una coppia cosiddetta “sana”:

passaggio da parte di entrambi dall’ io al noi, accettazione dei sentimenti di rabbia, considerare

diverse variabili del comportamento piuttosto che avere una visione rigida, nessuno dei coniugi

detiene potere e controlla l’altro, riuscire ad esprimere le proprie emozioni. Negli ultimi paragrafi

si analizza la crisi di coppia, la separazione e gli effetti che questi eventi possono creare sui figli.

Il fulcro del primo capitolo è proprio questo, dimostrare che se la separazione non viene gestita in

maniera funzionale può provocare effetti psicologici nocivi sui bambini. Sono state analizzate le

possibili reazioni dei minori in tre fasce di età: infanzia, adolescenza e preadolescenza in cui si

arriva alla conclusione che, nonostante le reazioni risultano differenti in base all’età, l’evento della

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separazione rappresenta un momento significativo nella vita di ciascun bambino: la mediazione

familiare si pone come obiettivo quello di tutelare il minore durante questo particolare evento,

sostenendo i genitori a riappropriarsi della loro funzione genitoriale al fine di limitare il

ripercuotersi gli effetti dannosi della separazione sui bambini stessi.

Nel secondo capitolo si analizza dettagliatamente la mediazione familiare come metodologia di

risoluzione dei conflitti familiari dal punto di vista storico-metodologico e applicativo. L’obiettivo

è quello di dimostrare che la mediazione è uno spazio neutro, extra-giudiziale, non valutativo

destinato agli ex coniugi per riorganizzare la loro relazione a seguito dell’evento della separazione

tenendo presente la funzione genitoriale. Nella maggior parte dei casi, il livello di conflittualità tra

i coniugi dopo la separazione è molto alto per cui si rileva la necessità di un sostegno: la mediazione

familiare rappresenta lo strumento adatto a fin che il conflitto diventi un’occasione di ricostruzione

piuttosto che di distruzione del nucleo familiare.

Nel terzo capitolo, ciò che evince dalle interviste e che il rapporto tra queste due figure professionali

è caratterizzato da alcune criticità in relazione a diversi aspetti. Dal punto di vista etico, sia il

mediatore familiare che l’assistente sociale devono attenersi ad un codice deontologico che

indirizza e delimita i principi cardini delle rispettive professioni per cui è fondamentale che

entrambi riconoscano i rispettivi ruoli al fine di poter collaborare correttamente nell’interessa del

minore. A tal proposito, è necessario che gli assistenti sociali abbiano una formazione specifica sui

requisiti e i confini dello strumento della mediazione familiare per evitare aspettative scorrette e

invii di coppie non mediabili. Proprio perché il Servizio Sociale è investito nella tutela del minore,

dovrebbe essere capace di indirizzare i casi al servizio più idoneo in base alla tipologia di

problematica, utilizzando lo spazio della mediazione familiare in maniera consapevole al fine di

evitare possibili danni.

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Bibliografia

C. Bogliolo , A.M Bacherini, Manuale di mediazione familiare proteggere i figli nella separazione,

Franco Angeli editore;

J.M.Haynes e I. Buzzi, Introduzione mediazione familiare, principi fondamentali e sua

applicazione, Giuffrè editore;

S.Negrelli, Sociologia del lavoro, edizione Laterza;

C. Saraceno, M.Naldini, Sociologia della famiglia, il Mulino, 2007 ;

M. Adinolfi, La crisi della coppia, una prospettiva sistemico- relazionale, Raffaello Cortina

editore;

L. Parkinson, Separazione, divorzio e mediazione familiare, Erickson editore;

R. Ardone, S.Mazzoni, La mediazione familiare per una regolazione della conflittualità nella

separazione e nel divorzio, Giuffrè editore;

C. Marzotto , R. Telleschi, Comporre il conflitto genitoriale, la mediazione familiare: metodi e

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V. Cigoli, Psicologia della separazione e del divorzio, il Mulino editore;

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http://www.studenti.it/la-famiglia.html;

http://www.storiologia.it/famiglia/evoluzione.htm;

http://studiopsynerghia.com/la-famiglia-come-sistema;

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http://www.me-teor.it/marr_opere/italiano/articoli/Intrvst.pdf;

http://www.tesionline.it/v2/appunto-sub.jsp?p=24&id=145;

https://www.wikipedia.org/.

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Ringraziamenti

Vorrei dedicare un ringraziamento alla mia relatrice, la professoressa Beatrice Rovai, per aver dato

consenso alla stesura di questa tesi, per la gentile autonomia concessami e per il paziente sostegno

offertomi. Ringrazio di cuore la mia tutor di tirocinio, la Dott.ssa Simona Guerrini per avermi

accompagnato nel lungo percorso di tirocinio e per avermi donato gli strumenti, le metodologie e

la motivazione per poter diventare un giorno un vero professionista. Ringrazio i miei genitori e mia

sorella per avermi sostenuto in questo lungo percorso, per aver creduto in me e per la stima che ho

sempre sentito da parte vostra, senza di voi io non sarei qui. Ringrazio i miei nonni e il mio angelo

custode che ho sempre sentito vicino da quando è volato via. Ringrazio tutti i miei amici di Firenze

per essermi stati vicini e avermi sostenuto e sopportato nei momenti di studio e di scelte importanti.

Ringrazio i miei coinquilini per i momenti di vita quotidiana trascorsi insieme. Ringrazio le mie

amiche d’infanzia che sono sempre state li ad aspettarmi ogni volta che tornavo a casa. Ringrazio

chi ha scelto di non esserci e chi avrei voluto ci fosse. Ringrazio gli amici che sono all’estero che

seuppur distanti mi hanno sempre sostenuto . Ringrazio tutti gli utenti che ho incontrato durante i

tirocini per avermi permesso di conoscere le loro storie che, seppur difficili, mi hanno arricchito

tanto sia professionalmente che personalmente. Ringrazio Firenze per avermi accolto, grazie a

questa città ho capito chi vorrei essere un giorno. Ringrazio Roma e gli amici romani perché

nonostante tanti miei cambiamenti, oggi sono quello che sono grazie a quella difficile ma magnifica

esperienza. Ringrazio me stesso per aver avuto il coraggio di cambiare rotta, per l’impegno e la

dedizione agli studi. Ringrazio tutti coloro che hanno preso parte a questo mio intenso percorso.

con affetto,

Papagno Mario