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Dipartimento di Ingegneria CivileLaurea Magistrale in Ingegneria per l’Ambiente ed il Territorio ANNO ACCADEMICO 2014-2015 Corso di Frane Docente: Prof. ing. Michele Calvello ESERCITAZIONE No. 6 Analisi di un caso di studio descritto in un articolo scientifico in lingua inglese Relazione Carmine Di Grezia Matricola : 0622500215

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Dipartimento di Ingegneria Civile Laurea Magistrale in Ingegneria per l’Ambiente ed il Territorio

ANNO ACCADEMICO 2014-2015

Corso di Frane

Docente: Prof. ing. Michele Calvello

ESERCITAZIONE No. 6

Analisi di un caso di studio descritto in un articolo scientifico in lingua inglese

Relazione

Carmine Di Grezia

Matricola : 0622500215

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Sommario  

1.   Introduzione  _________________________________________________________________________________________  3  1.1   Strumentazione  di  monitoraggio  ______________________________________________________________________  3  1.1.1  Differential  GPS  (DGPS)  ________________________________________________________________________________  3  1.1.2  Inclinometro   ____________________________________________________________________________________________  5  

2.   Illustrazione  del  caso  di  studio  ___________________________________________________________________  6  

3.   Presentazione  del  lavoro  scientifico  sviluppato  dagli  autori  ________________________________  8  3.1   Analisi  geologiche  e  geomorfologiche  ________________________________________________________________  9  3.2   Monitoraggio  DGPS  ____________________________________________________________________________________  10  3.3   Monitoraggio  con  inclinometri  ______________________________________________________________________  11  

4.   Analisi  critica  del  lavoro  svolto  dagli  autori  __________________________________________________  13  

Sitografia  ________________________________________________________________________________________________  15  

Bibliografia  _____________________________________________________________________________________________  15  

 

 

 

 

 

 

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1. Introduzione

Il seguente lavoro consiste in un’analisi critica di un caso studio descritto in un articolo in lingua inglese. L’articolo a cui si fa riferimento è intitolato “A deep, stratigraphically and structurally controlled landslide: the case of Mount La Civita (Molise, Italy)”, autori: Pietro P. C. Aucelli et al pubblicato il 29 agosto 2012 sulla rivista scientifica Landslides (2013)1.

1.1 Strumentazione di monitoraggio

La strumentazione di monitoraggio, usata dagli autori nello sviluppo del lavoro di indagine eseguito sul Monte La Civita, consiste in due sistemi principali, entrambi in grado di fornire importanti informazioni circa le caratteristiche peculiari del fenomeno franoso in esame.

Gli spostamenti orizzontali e verticali esibiti in vengono quantificati facendo riferimento a 18 punti di controllo, monitorati facendo uso del Sistema Differenziale di Posizionamento Globale DGPS.

L’individuazione della superficie di scorrimento e dei relativi piani di rottura è effettuata attraverso l’uso di 4 inclinometri alloggiati nei rispettivi fori di sondaggio, precedentemente usati per fornire informazioni sul piano geologico e stratigrafico dell’area d’esame.

1.1.1 Differential GPS (DGPS)

Il GPS differenziale (DGPS) 2 è un sistema che permette di migliorare il posizionamento basato sul Global Positioning System. Questa tecnica si basa sulla costruzione di particolari combinazioni di osservazioni fra due ricevitori, ottenendo l'eliminazione di errori e di disturbi del segnale.

Questo sistema permette ai ricevitori GPS che sono compatibili con questa tecnologia di migliorare la precisione di geo-localizzazione, trasferendo a questi dispositivi i dati per correggere il segnale inviato dal sistema GPS.

1 Volume 10; pag.645-656 Link: http://link.springer.com/article/10.1007/s10346-012-0351-7 DOI 10.1007/s10346-012-0351-7 2 Fonte Wikipedia: http://it.wikipedia.org/wiki/GPS_differenziale

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Il normale sistema GPS è soggetto a un certo margine di errore di circa 3-5 metri. Anni fa, il ministero della difesa americano "aggiungeva" volutamente un certo errore ai dati GPS, riservandosi di sfruttarne la massima precisione ("Selective Availability") (l'errore introdotto da questo sistema poteva essere di decine di metri). Da qualche anno tale politica è cambiata e il GPS è ricevibile senza errori introdotti di proposito. Tuttavia le diverse fonti di errore rendono la precisione del sistema GPS non sufficiente per varie applicazioni (settori come costruzioni, servizi pubblici idrici ed elettrici ecc.).

Per ottenere una precisione massima (dell'ordine del centimetro), esistono postazioni fisse la cui posizione è stata determinata per via geodetica e con altri mezzi con la massima precisione. Queste postazioni ricevono il segnale GPS e "si accorgono" (essendo state appunto misurate con alta precisione con altri mezzi) dell'errore della posizione comunicata dal GPS, in particolare non calcola la differenza di posizione, bensì calcola la differenza tra distanza Terra-satellite calcolata nota la distanza Terra-satellite vera. Tale errore viene comunicato via radio a speciali apparecchi GPS in grado di riceverlo che potranno così correggere l'errore originario della misura fatta tramite i satelliti.

L'unione di più stazioni permanenti

(solitamente almeno 4) crea l'entità solitamente definita RETE GPS. Una rete GPS (o GNSS se consideriamo anche le costellazioni GLONASS, GALILEO e COMPASS) è un insieme di stazioni di riferimento, omogeneo per caratteristiche di precisione e qualità dei sensori utilizzati, costantemente connesse tramite linee ad alta velocità ed affidabilità, ad una infrastruttura informatica costituita da hardware e software dedicati. L'infrastruttura dovrà essere in grado di gestire il flusso dati proveniente dalle stazioni di riferimento e di erogare servizi all'utenza sotto forma di correzioni real-time in formato RTCM e dati in formato RINEX.

Figura 1- Schema di funzionamento del DGPS

Figura 2- Postazione fissa usata per il DGPS

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1.1.2 Inclinometro3

Il metodo tradizionalmente usato per il monitoraggio dei corpi di frana è quello dell'inclinometro. L'apparecchiatura è costituita da tubi in genere di alluminio (tubi inclinometrici, figura 3)4 introdotti in fori di sondaggio. Il primo elemento deve essere chiuso al fondo da un tappo semplice o dalla valvola di fondo, a seconda delle modalità di riempimento dell'intercapedine. Detti tubi inclinometrici vengono installati in fori di sondaggio opportunamente preparati e resi solidali con il terreno attraversati, iniettando una miscela di cementazione tra l'intercapedine creatasi tra lo scavo e i tubi inclinometrici. I tubi al loro interno presentano (a seconda del tipo scelto) due o quattro binari nei quali viene fatto correre una slitta che costituisce il rilevatore delle deformazioni (inclinometro) che si producono sul tubo per effetto del movimento franoso. Il segnale elettrico viene inviato ad una centralina che registra le eventuali

deformazioni e la profondità alla quale è stata rilevata. Il tubo inclinometrico5 è uno speciale tubo provvisto di quattro scanalature con funzione di guida per la sonda inclinometrica. Viene generalmente installato in fori di sondaggio subverticali perforati attraverso la massa di terreno, oppure preinstallato in fase di costruzione, nel caso di opere di contenimento come pali, paratie, diaframmi, ecc. Una tubazione inclinometrica è costituita dai seguenti elementi: spezzoni di tubo della lunghezza di 3-6 metri, manicotti di giunzione che permettono il

3 Fonte: Progeo s.r.l. 4 Fonte: Geomatica Polimi Como 5 Fonte: Extratech instrument

Figura 3- Schema di sonda inclinometrica fissa biassiale per controllo di movimenti

profondi

Figura 4- Tubo inclinometrico con chiusure di testa e di fondo in PVC

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collegamento degli spezzoni di tubo (mantenendo l’orientamento delle guide), tappo di fondo che impedisce l’ingresso della boiacca durante la fase di cementazione, tappo protettivo di testa.

2. Illustrazione del caso di studio

Oggetto del presente lavoro è lo studio della deformazione causa frana del pendio di Monte La Civita, che colpisce la porzione occidentale del suo versante meridionale e si estende verso valle fino a circa 1 km dal comune di Civitanova del Sannio (IS).

Il settore dell’appennino molisano in cui è situato il Monte La Civita è tipicamente caratterizzato da un paesaggio eterogeneo, variabile tra collinare e montuoso fondato su rocce dalla eterogenea composizione e friabilità, dove l'erosione selettiva ha generato l’alternarsi di ripidi pendii, generati da intagli a rocce più dure, in contrasto

con le colline adiacenti, caratterizzate da pendii tipicamente più arrotondati e dolci dovuti all’azione su rocce pelitiche, maggiormente erodibili.

Secondo un recente inventario di eventi franosi su scala nazionale (APAT 2007), la regione Molise, in Italia centrale, risulta interessata da almeno 22.500 frane6, principalmente rappresentate da complessi e compositi eventi superficiali7, i quali, generalmente, mostrano estensioni piuttosto elevate. Frane di tipo profondo risultano meno frequenti e, di solito, si verificano laddove sistemi tettonici causano la

6 (Rosskopf e Aucelli 2007) 7 (sensu WP/WLI 1993)

Figura 5- Inquadramento territoriale di Monte La Civita

Figura 6- Carta Geologica dell'area oggetto di studio

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giustapposizione di unità di roccia friabili a unità pelitiche maggiormente duttili e erodibili.

Nella zona del molisano, frane profonde, spesso interpretate come scorrimenti gravitazionali derivanti da grandi deformazioni (DSGSD)8 sono state individuate

nelle aree di Monacilioni, Monte Pizzi e al Monte La Civita. L'aumento dei movimenti del terreno nel 2002 ha portato ad un progressivo

danneggiamento della strada che collega Civitanova del Sannio con i paesi limitrofi (Strada Provinciale Bagnolese fig.6), e ha delineato una potenziale situazione di rischio per gli abitanti di Civitanova. Questa situazione ha esortato l'amministrazione locale alla promozione e al finanziamento di uno studio volto a sostenere il processo decisionale riguardante sia il possibile rischio di un crollo improvviso del pendio, sia di interventi di riparazione.

Avendo individuato la profondità della superficie di rottura (circa 20 m) e dell’estensione della zona interessata (20.000 m2), si attesta che il materiale spostato potrebbe approssimarsi a 400.000 m3 in caso di improvvisa caduta, quindi, potenzialmente rappresenta una significativa condizione di rischio per il vicino comune di Civitanova del Sannio.

8 (DSGSD sensu Zaruba e Mencl 1969; Mahr 1977; Ter-Stephanian 1977; Sorriso-Valvo 1988; Dramis e Sorriso-Valvo 1994;. Agliardi et al 2001)

Figura 6- Perimetrazione dei contorni di frana

Monte la Civita

Strada Provinciale Bagnolese

Civitanova del Sannio

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Indagini sul campo condotte alla fine del 2010 hanno messo in luce che, da un punto di vista qualitativo, il fenomeno è ancora in lenta evoluzione e, quindi, i recenti lavori di riparazione (2007-2008), che consistevano principalmente nella rimodellazione superficiale dei pendii tramite brillamenti o riempimenti parziali delle fessure, non hanno potuto contrastare il movimento franoso.

L'analisi dei dataset acquisiti ha permesso agli autori di interpretare il fenomeno franoso studiato come una traslazione di blocchi di roccia con scorrimento retrogrado, che è caratterizzato, inoltre, da una rotazione in senso antiorario, come si vedrà in seguito dalle direzioni degli spostamenti orizzontali forniti dagli inclinometri. La frana del Monte La Civita può anche essere classificata (Cruden e Varnes 1996) come una frana di classe 2, molto lenta, che colpisce quasi tutto il pendio (Fig.8).

Figura 7- Classificazione dei fenomeni franosi (Cruden e Varnes 1996)

3. Presentazione del lavoro scientifico sviluppato dagli autori L’approccio utilizzato dagli autori è di tipo integrato e si compone di:

1. Analisi dettagliate geologico-strutturali e geomorfologiche del versante meridionale di Monte La Civita e zone limitrofe attraverso indagini dirette del sottosuolo (fori di sondaggio e misure inclinometriche);

2. monitoraggio dei movimenti del terreno mediante DGPS; 3. monitoraggio delle superfici di scorrimento mediante inclinometri.

In particolare, il primo punto ha permesso agli autori la formazione di una chiara idea circa le conformazioni geologiche dei pendii, le stratigrafie, e quindi, come si vedrà in seguito, di risalire alle cause responsabili del movimento franoso; il secondo punto, invece, ha permesso di quantificare gli spostamenti, orizzontali e verticali, in

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determinati punti di controllo rappresentati dall’installazione di basi per il controllo tramite DGPS; infine, nel terzo e ultimo punto, vengono interpretati i dati forniti da misure inclinometriche, le quali, accoppiate alle considerazioni effettuate nei punti precedenti, hanno consentito l’individuazione della superficie di scorrimento relativa al fenomeno.

3.1 Analisi geologiche e geomorfologiche

La conformazione geologica del pendio è stata ricostruita nel dettaglio attraverso indagini sul campo e la trivellazione di quattro pozzi (S1-S4). Indagini sul campo, in particolare, hanno permesso di definire il grado di assestamento delle unità affioranti di roccia, la tettonica e/o contatti stratigrafici e le successioni stratigrafiche locali coinvolte nel movimento franoso. La successione che costituisce la maggior parte della cresta del Monte La Civita è porzione dell'unità tettonica Agnone9. La sua porzione basale è composta da calcari detritici (DL) che formano letti di spessore con macroforaminifera e frammenti di crostacei, che possono essere collegati alla formazione Langhiano-Tortoniano Gamberale-Pizzoferrato-Tufillo 10 . Questi calcari detritici sono stratigraficamente sovrastati da calcari marnosi del Tortoniano con intercalazioni di argille verdi-grigiastre [calcari marnosi (ML)].

Il contatto stratigrafico tra DL e ML si verifica all'interno della zona di cresta del Monte La Civita, ed è conforme e ben definito, sia a livello regionale che locale. Dettagliate indagini geologiche e mappature della cresta e di alcune fessure, indicano che la base dell'intervallo ML è caratterizzata da uno spessore dai 4 ai 5 metri di argille marnose verde-bruno (ML1), sovrastato da un unico e imponente strato di calcare di 10 m con frammenti di rudiste, briozoi e titotamnio (ML2). 9 (Patacca et al. 1992) 10 (Vezzani et al 2004; Festa et al., 2006)

Figura 8- Stratigrafia tipo di uno dei quattro pozzi

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La parte medio-bassa del versante meridionale, e l'intera sella E-W che separa Monte La Civita dai crinali a sud, è occupata da una successione di argille grigio-bluastro con sporadica presenza di strati calcarenitici e di arenarie micacee Flysch del Molise (MF), appartenente al tardo Miocene11. Su scala regionale, questa unità terrigena, prevalentemente argillosa, copre in eterogeneamente le unità Agnone e Frosolone, ed è tettonicamente sovrastato dalla falda bacinale del Sannio.

L'attività tettonica all'interno di questa fascia di deformazione ha prodotto l'aumento ascendente (push-up) dei calcari marnosi dell'unità Agnone (ML), che sono ora in contatto tettonico con i depositi argillosi del MF. Una di queste cime calcaree di origine tettonica, come vedremo in seguito, ha svolto un ruolo importante nel confinamento verso est della parte più bassa della frana.

3.2 Monitoraggio DGPS

La morfologia del versante meridionale è anche fortemente influenzato dalla deformazione. Le caratteristiche principali di questa deformazione di pendio, definite sulla base di entrambe le analisi geomorfologiche e l’attività di monitoraggio (DGPS e misure inclinometriche, vedi sotto), che evidenzia il coinvolgimento di quasi tutto il pendio, sono incentrate su un’area di circa 20.000 m2. Il monitoraggio DGPS, svolto da ottobre 2002 a novembre 2004, insieme con le misure inclinometriche (vedi paragrafo successivo), ha permesso la raccolta di importanti dati riguardanti il perimetro di frana, delle direzioni e delle velocità di spostamenti orizzontali e verticali che interessano il corpo

11 (ISPRA 2012a, 2012b; Pappone et al 2012;. Sgrosso e Naso 2012)

Figura 9- Tavola riassuntiva dei risultati ottenuti mediante monitoraggio DGPS

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principale attraverso l’installazione di 18 Control Point (CP). Nella parte superiore del pendio rispetto alla fessura principale non sono stati

registrati spostamenti, fatta eccezione per il punto di controllo CP3, che è stato coinvolto nel movimento retrogrado della corona della frana. I punti di controllo CP7, CP8, CP9 e CP10, situati nella parte superiore del corpo principale, sono stati sottoposti a spostamenti verticali e orizzontali. In particolare, CP9 e CP10, anche se entrambi non monitorati durante l'intero periodo di rilevazione, hanno evidenziato spostamenti verticali e orizzontali ben definiti. Quest'ultimo, in particolare, si è verificato in direzione SW, quasi perpendicolare alle fessure minori, orientate in direzione NW-SE. Gli spostamenti di CP9 e CP10 hanno verificato un ordine di grandezza superiore rispetto a quelli di CP7, con tassi verticali spostamento di 0,59 e 0,39 m/anno e orizzontali di 0,42 e 0,55 m/anno. Il punto di controllo CP8 ha registrato piccoli spostamenti orizzontali verso sud, ma evidentemente stabile in verticale. La fessura principale, situata immediatamente al di sopra di questi punti di controllo, durante il periodo di indagine ha mostrato un drastico allargamento del settore occidentale, ma spostamenti molto modesti nel suo settore orientale.

All'interno della parte basale del pendio, i punti di controllo CP11, CP13, CP14, CP17 e CP18 hanno mostrato essenzialmente solo spostamenti orizzontali verso SE. Il punto di controllo CP11, in particolare, ha mostrato una velocità di spostamento di circa 0,8 m/anno durante gli 8 mesi di monitoraggio. I punti di controllo CP12, CP15 e CP16, invece, sono risultati stabili per l’intero periodo di osservazione.

3.3 Monitoraggio con inclinometri

Le misurazioni degli inclinometri installati nei fori S1, S2 e S3 dal marzo 2003 all'aprile 2004, fino alla profondità di 30m, hanno evidenziato marcate deformazioni del sottosuolo. In particolare, hanno mostrato significativi spostamenti per profondità che vanno dai 16 ai 22 m, mentre al di sotto di tali profondità non si registrano movimenti significativi. Superati i 3/6 mesi, sforzi di taglio hanno causato la rottura dei tubi di alloggiamento per gli inclinometro dapprima in S2 e successivamente in S1, ad una profondità rispettivamente di 19 e 17 m. Le misure successive, proseguite

Figura 10- Scorrimenti ottenuti mediante monitoraggio con inclinometri

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fino all'aprile 2004, sono state quindi limitate a tali profondità. I dati relativi all’inclinometro S3 confermano la presenza di una zona di taglio

tra 16 e 19 m di profondità (Fig.11) e movimenti di flusso ai primi 5 m di profondità.

Tuttavia, l’assetto geologico e le informazioni sulla profondità delle strutture tensionali situati sovrapendio suggeriscono, da metà porzione fino alla parte superiore della frana, una geometria della superficie di rottura che diventa leggermente meno profonda, fino ad affiorare all'interno della fessura principale, per poi svilupparsi lungo lo strato ML1.

Le sezioni in Fig.11 illustrano la superficie di rottura ricostruita e la sua relazione con l'assetto

geologico del pendio. Qui, due elementi possono essere considerati come predisponenti chiave e

fattori di controllo. Un primo fattore è la presenza locale di un consistente strato di argille marnose dallo spessore di 4/5 m (ML1) alla base dell'unità ML, che è considerato come alloggiamento per la superficie di rottura, permettendo all'enorme letto calcare (ML2) e al sovrastante strato calcareo marnosi (ML) di dissociarsi dal loro substrato (DL).

Il secondo fattore è rappresentato dalla rottura di faglia che mette in contatto le varie unità di calcari prevalentemente argillosi, depositi plastici del Flysch del Molise (MF). Questa rottura provoca discontinuità nelle rigide, inclinate successioni carbonatiche e loro giustapposizioni configurandosi come uno sperone deformabile alla base del pendio, che consiste di materiale argilloso relativamente debole e duttile (MF).

Il contatto tettonico così descritto, come la presenza degli intervalli ML e ML1, che possono essere considerati come piani relativamente impermeabili, in grado, inoltre, di generare una condizione di cella idrogeologica per il letto calcare ML2.

Figura 11- Sezione trasversale geologica per interpretazione superfici di scorrimento

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Questo delinea una possibile configurazione di accumulo di pressioni interstiziali lungo il letto ML2 che si ipotizza scivoli sull'intervallo ML1 (Fig.11).

La presenza di una superficie di rottura sotto della parte bassa della frana è dimostrata dai profili inclinometrici dei carotaggi S1, S2 e S3 (vedere Fig.10) che testimoniano, inoltre, nel settore ovest, deformazioni flusso della sua porzione meno profonda.

Nelle sezioni trasversali di Fig.11 è illustrata un'ipotesi ragionevole della stratigrafia del tratto discendente della superficie di rottura ricavata dalle letture dei dati inclinometrici (S1, S2 e S3). A causa del fatto che durante indagini sul campo non è stata trovata alcuna superficie visibile di rottura emergente in questo settore, l’interpretazione della stratigrafia si basa principalmente su considerazioni geometriche e cinematiche (in particolare sui dati del CP14 del DGPS).

4. Analisi critica del lavoro svolto dagli autori Il lavoro svolto dagli autori consta di indagini sul campo, raccolta e analisi di banche dati provenienti da precedenti studi sul sito di interesse, le quali, accoppiate alla progettazione di un efficiente sistema di monitoraggio, hanno permesso di ottenere una buona comprensione del fenomeno franoso, che si presenta, in questo modo, “facilmente” affrontabile in caso di futura pianificazione di interventi di mitigazione o di ulteriori campagne di monitoraggio.

La scelta del duplice sistema di monitoraggio impiegato presenta, senza dubbio un’elevata efficienza e, visto il caso in esame, un’elevata affinità alla problematica geologico-strutturale e cinematica della frana in questione. Discutendone i risultati ottenuti, infatti, gli autori tendono ad enfatizzare sin dalle prime pagine della pubblicazione l’elevata accuratezza del metodo, esaltando, nelle conclusioni, l’elevata precisione dei dati raccolti.

Lo studio, tuttavia, presenta determinati punti “deboli” o aspetti sul quale sarebbe suggeribile soffermarsi e fare qualche considerazione.

La problematica geologica e geomorfologica, è curata in modo dettagliato, riportando analogie tra i risultati ottenuti mediante indagini sul campo con altri lavori svolti nello stesso sito di studio; viene, tuttavia, trascurato un importante aspetto geotecnico che, come si può notare dalla trattazione, è soltanto accennato e avrebbe richiesto attenzioni particolari, vista l’importanza mostrata nelle cause del cinematismo: l’aspetto idrogeologico. Di fatto, le indagini geologiche, accoppiate alle misure inclinometriche, hanno evidenziato la generazione, nell’interazione stratigrafica tra le unità ML1 e ML2 (considerati piani relativamente impermeabili), di particolari condizioni idrogeologiche, determinanti, nei periodi di pioggia l’aumento delle pressioni interstiziali, tali da ampliarne gli scorrimenti relativi. A tal motivo, ulteriori indagini

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mediante piezometri avrebbero permesso il raggiungimento di risultati maggiormente esaustivi con una maggiore comprensione del fenomeno di scorrimento.

Sarebbe stato molto interessante, inoltre, ipotizzare una progettazione preventiva di un eventuale sistema di allerta basato sulle rilevazioni scaturenti dagli strumenti di monitoraggio utilizzati durante il periodo di indagine, o mediante installazione di utleriori strumenti quali fessurimetri, distometri, estensimetri; strumenti che, vista l’elevata presenza di fessure (principale e minori) caratterizzanti il fenomeno, avrebbe evidenziato un’elevata affinità alla problematica in questione.

Infine, in alternativa al sistema di monitoraggio DGPS, una differente tecnica di misurazione, molto affine alla problematica della frana di Monte La Civita, avrebbe presentato un’ottima alternativa all’utilizzo del già molto efficiente sistema di posizionamento differenziale globale, vista l’elevata estensione dell’area soggetta a scorrimento e l’indeterminazione iniziale dei contorni di frana (5 punti di controllo non hanno registrato spostamenti in quanto ubicati oltre il perimetro soggetto a movimento franoso): la tecnica LiDAR12 (Light Detection And Ranging).

Tale tecnica di rilevamento aereo che permette di determinare le coordinate spaziali e la quota dei punti a terra in base al tempo di ritorno di un impulso laser, fornendo una maglia di dati topografici di grande densità ed alta precisione in tempi molto ridotti, anche su aree vaste, consentendo l’individuazione, la caratterizzazione e la mappatura delle morfologie presenti, sia naturali che antropiche. L’elaborazione della maglia di coordinate fornite dal LiDAR consente la formazione dei Modelli Digitali del Terreno (DTM), di superficie (DSM), di Elevazione (DEM), dell’Edificato (DBM). È inoltre possibile la valutazione qualitativa e quantitativa dell’evoluzione di cave, discariche, nonché la rilevazione di linee aeree di trasmissione di energia.

12 Fonte: http://www.avioriprese.it/

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Sitografia http://it.wikipedia.org/wiki/GPS_differenziale http://www.progeosrl.it http://www.geomatica.como.polimi.it http://www.extratech.it

Bibliografia Rosskopf CM, Aucelli PPC (2007) Analisi del dissesto da frana in Molise. In: Rapporto sulle frane in Italia. Il progetto IFFI—Metodologia, risultati e rapporti regionali. Rapporti APAT 78:493–508 WP/WLI (International Geotechnical Societies'—UNESCO—Working Party on World Landslide Inventory) (1993) Multilingual landslide glossary. Bitech Pubblishers, Richmond, p 59 Zaruba Q, Mencl V (1969) Landslides and their control. Elsevier Academia, Prague, pp 85–91 ISPRA (2012a) Carta Geologica d'Italia alla scala 1:50.000. Foglio 405 ‘Campobasso’. Servizio Geologico d'Italia (ISPRA), Roma, in press ISPRA (2012b) Carta Geologica d'Italia alla scala 1:50.000. Foglio 393 ‘Trivento’. Servizio Geologico d'Italia (ISPRA), Roma, in press Sgrosso I, Naso G (2012) Note illustrative della Carta Geologica d'Italia in scala 1:50.000, Foglio n. 393, Trivento. Servizio Geologico d'Italia (ISPRA), Roma, in press Patacca E, Scandone P, Bellatalla M, Perilli N, Santini U (1992) La zona di giunzione tra l'arco appenninico settentrionale e l'arco appenninico meridionale nell'Abruzzo e nel Molise. Studi Geologici Camerti, volume speciale (1991/2). CROP 11:417– 441 Vezzani L, Ghisetti F, Festa A (2004) Carta Geologica del Molise. Scala 1:100.000. S.E.L.C.A. Firenze Festa A, Ghisetti F, Vezzani L (2006) Note illustrative della carta geologica del Molise in scala 1:100.000. Regione Molise 93 p