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Corso di Formazione Specifica in Medicina Generale LA GESTIONE DEL MALATO IPERTESO Terapia farmacologica Dott. Arrigo Menozzi MMG

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Corso di Formazione Specifica in Medicina GeneraleLA GESTIONE DEL MALATO IPERTESO

Terapia farmacologica

Dott. Arrigo Menozzi MMG

TERAPIA FARMACOLOGICA OBIETTIVI DEL TRATTAMENTO

L’obiettivo primario del trattamento del paziente iperteso è quello di ottenere la massima riduzione del rischio cardiovascolare globale a lungo termineQuesto obiettivo richiede il trattamento di tutti i fattori di rischio reversibili e identificabili, nonché il trattamento degli elevati valori pressoriLa PA dovrebbe essere ridotta a valori < 140/90 mm Hg ed eventualmente a valori inferiori, se tollerati

Linee Guida ESH/ESC 2007

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TERAPIA FARMACOLOGICA

Soglia di trattamento “flessibile” in relazione al rischio cardiovascolareTarget pressorio “flessibile” in relazione al rischio cardiovascolare

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Valori soglia di pressione arteriosa clinici, domiciliari e delle 24 ore per la definizione di

Ipertensione Arteriosa

Metodica di rilevazione PAS (mm Hg) PAD (mm Hg)

Clinica 140 90

Monitoraggio ambulatoriale 24 ore 125-130 80

Domiciliare 130-135 85

Periodo diurno 130-135 85

Periodo notturno 120 70

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Obiettivi terapeutici nel paziente iperteso

Generalità dei pazienti ipertesi: PA < 140/90Pazienti diabetici: PA < 130/80Pazienti nefropatici: PA < 130/80Pazienti nefropatici PA < 125/75con proteinuria > 1 gr. /die

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TERAPIA DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA

Benefici della terapiaSoglia pressoria di trattamentoTarget pressori di terapiaObiettivi della terapiaModalità di trattamento

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TERAPIA DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA

MODALITA ‘ DI TRATTAMENTO

Trattamento non farmacologicoTrattamento farmacologico

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TERAPIA NON FARMACOLOGICA

Calo ponderale e stabilizzazione del pesoRiduzione dell’apporto di sodioRiduzione dell’eccessivo consumo alcolicoIncremento dell’apporto di frutta e verduraEsercizio fisicoAbolizione del fumoNon deve procrastinare l’intervento farmacologicospecie nei pazienti a rischio più elevato

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TERAPIA FARMACOLOGICA BENEFICI

Conclusione basata sulle evidenze:Numerosi farmaci anti-ipertensivi sono efficaciLa riduzione della PA riduce gli eventi cardiovascolari

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TERAPIA FARMACOLOGICA BENEFICI

I principali benefici della terapia anti-ipertensiva sono in gran parte legati alla riduzione pressoria e in maniera assai minore alle caratteristiche dei farmaci utilizzati.Simili riduzioni pressorie indotte da diversi farmaci antipertensivi si associano a simili riduzioni di eventi.

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TERAPIA FARMACOLOGICA SCELTA TERAPEUTICA

La scelta terapeutica deve tener conto di numerosi fattori fra cui:

1. Esperienza favorevole o sfavorevole che il paziente ha accumulato in precedenza con l’impiego di una determinata classe di farmaci in termini di efficacia anti-ipertensiva e di effetti collaterali.

2. Gli effetti del farmaco sui fattori di rischio cardiovascolare in relazione al profilo di rischio del singolo paziente

3. La presenza di danno d’organo e di patologie cardiovascolari renali o di diabete clinicamente manifesto che possono trarre beneficio dal trattamento con alcuni farmaci rispetto ad altri

4. La presenza di patologie concomitanti che possono favorire o limitare l’impiego di specifiche classi di farmaci anti-ipertensivi

5. La possibilità di interazione con farmaci che il paziente assume per altre patologie

6. Il costo dei vari farmaci sia a carico del singolo paziente che della struttura pubblica

7. Il profilo di efficacia e di tollerabilità del farmaco

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Scelta dei farmaci antipertensivi sulla base di concomitantipatologie o danno d’organo

Danno d’organo subclinico:• Ipertrofia ventricolare sinistra: ACEI, CA, ARB• Aterosclerosi asintomatica: CA, ACEI• Microalbuminuria: ACEI,ARB• Danno renale: ACEI, ARB

ACEI: ACE inibitori; ARB: bloccanti recettoriali dell’angiotensina II; CA:calcio-antagonisti; BB: beta-bloccanti

Scelta dei farmaci antipertensivi sulla base di concomitantipatologie o danno d’organo

Eventi patologici

• Pregresso ictus : qualsiasi farmaco dotato di efficacia antipertensiva

• Pregresso infarto miocardico: BB, ACEI, ARB

• Angina pectoris: BB, CA

• Scompenso cardiaco: Diuretici, BB, ACEI, ARB, antialdosteronici

• Fibrillazione atriale:

Parossistica : ARB, ACEI

Permanente: BB, CA non-diidropiridinici

• Insufficienza renale / proteinuria: ACEI, ARB, diuretici d’ansa

• Vasculopatia periferica : CA

ACEI: ACE inibitori; ARB: bloccanti recettoriali dell’angiotensina II; CA:calcio-antagonisti; BB: beta-bloccanti

Scelta dei farmaci antipertensivi sulla base di concomitantipatologie o danno d’organo

Condizioni particolariIpertensione sistolica isolata (anziano): Diuretici, CASindrome metabolica: ACEI, ARB, CADiabete mellito: ACEI, ARBGravidanza: CA, metildopa,BBRazza negra: Diuretici, CA

ACEI: ACE inibitori; ARB: bloccanti recettoriali dell’angiotensina II; CA:calcio-antagonisti; BB: beta-bloccanti

FARMACI ANTIPERTENSIVI

CLASSE INDICAZIONI CONTROINDICAZIONIassolute relative

Scompenso cardiacoAnzianiIpertensione sistolica isolataRazza negra

GottaDIURETICITiazidici

DIURETICI dell’ansa

Insufficienza renaleScompenso cardiaco

DIURETICIAnti-aldosterone

Scompenso cardiacoCardiopatia post-IMA

Insufficienza renaleIperkaliemia

Gravidanza

FARMACI ANTIPERTENSIVI

CLASSE INDICAZIONI CONTROINDICAZIONIassolute relative

Vasculopatiaperiferica

Intoll. glicidicaAtleti

AsmaBPCOBlocco AV II-III

β-BLOCCANTI Angina pectorisPost-IMA Scompenso cardiaco

congestizio GravidanzaTachiaritmie

TachiaritmieScompenso cardiaco

CALCIOANTAGONISTIDiidropiridinici

Anziani Ipertensione sistolica isolataAngina pectorisVasculopatia perifericaAterosclerosi carotideaGravidanza

FARMACI ANTIPERTENSIVI

CLASSE INDICAZIONI CONTROINDICAZIONIassolute relative

Blocco AV II-IIIScompensocardiaco

CALCIO-ANTAGONISTIVerapamil, Diltiazem

Angina pectorisAterosclerosicarotideaTachicardia sopraventricolare

GravidanzaIperkaliemiaStenosi bilateraleart. renali

Scompenso cardiacoDisfunzione

ventricolare sxPost-IMAProteinuriaNefropatia non-diabeticaNefropatia in diabete tipo 1

ACE-I

FARMACI ANTIPERTENSIVI

CLASSE INDICAZIONI CONTROINDICAZIONIassolute relative

AT1-ANTAGONISTI

GravidanzaIperkaliemiaStenosi bilaterale

art. renali

Nefropatiadiabete tipo 2

Microalbuminuria diabetica

ProteinuriaIVSTosse da ACE-I

α-BLOCCANTI Ipotensioneortostatica

Scompensocardiaco

Iperplasiaprostatica

Dislipidemia

TERAPIA FARMACOLOGICA SCELTA TERAPEUTICA

Si dovrebbero preferire farmaci o formulazioni a lunga durata d’azione che in monosomministrazione siano in grado di garantire una efficacia terapeutica lungo tutto l’arco delle 24 ore.

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Beta Bloccanti

Meccanismo d'azione• Inibizione competitiva effetti delle catecolamine sui

beta recettori miocardici

• Ridotta risposta cardiaca a stimolazione adrenergica < frequenza e contrattilità cardiache soprattutto durante sforzo e stress: < MVO2

Beta Bloccanti

Indicazioni• Angina stabile ed instabile (la maggior parte degli

episodi anginosi è dovuta ad incremento del consumo miocardico di ossigeno ed è scatenata da sforzo, stress...)

• Post-infarto (< eventi ischemici e mortalità)• Tachiaritmie sopraventricolari• Ipertensione arteriosa• Insufficienza cardiaca (II-III classe NYHA)

Caratteristiche Differenziali dei Beta Bloccanti (1)

• Cardioselettività (es. metoprololo, atenololo, bisoprololo...)Minori effetti collaterali extracardiaci (bronchi, vasi)

• Attività simpaticomimetica intrinseca (es. oxprenololo, acebutololo, pindololo)< bradicardia, < broncospasmo, vasodilatazione

• Liposolubilità (es.metoprololo) / Idrosolubilità (es. atenololo)• Metabolismo epatico (effetto primo passggio) i liposolubili• Eliminazione urinaria (gli idrosolubili)• Effetti sul sistema nervoso (?)

Caratteristiche Differenziali dei Beta Bloccanti (2)

Azioni associate• Antiaritmica per rallentamento ripolarizzazione

(Sotalolo)• Vasodilatatrice periferica• Alfa1 antagonista (labetalolo, carvedilolo)• Beta2 agonista (celiprololo)• Diretta (bucindololo)• Antiossidante (carvedilolo)

Farmacocinetica• Lunga durata d'azione (nadololo)• Breve durata d'azione (esmololo)

Effetti Collaterali dei Beta Bloccanti

CardiaciBradicardiaBlocchi seno-atriali ed atrio-ventricolariEffetto inotropo negativo

AsteniaBroncospasmoVascolari

Sindrome di RaynaudPeggioramento arteriopatia periferica

Effetti Collaterali dei Beta Bloccanti

Sistema nervoso centrale

Depressione mentaleIncubi notturniImpotenza(Psicosi)

Gastrointestinali (nausea, diarrea o stipsi)Metabolici

Ipoglicemia in diabetici (< glicogenolisi / assenza di sintomi da stimolazione simpatica)

Rash cutaneiSindrome da sospensione improvvisa

Calcioantagonisti

Meccanismo d'AzioneBlocco ingresso del calcio all'interno della cellulaRiduzione frequenza cardiaca e conduzione AVRiduzione contrattilità miocardicaVasodilatazione coronarica (rilascio spasmo)Vasodilatazione periferica Calo PA

Implicazioni fisiopatologicheIn numerosi episodi anginosi uno spasmo coronarico contribuisce a determinare ischemiaL'effetto bradicardizzante, inotropo negativo e vasodilatatore periferico riducono il MVO2

Effetti dei Principali Calcio-antagonisti

Diidropiridinici Verapamil Diltiazem

Freq. Cardiaca (=)

Contrattilità (=)

Conduzione AV =

Vasodilatazione

Meccanismo d’azione dei calcioantagonisti

Aumento dell’apporto miocardico di ossigenoVasodilatazione coronaricaAbolizione del vasospasmo coronaricoAumento della perfusione subendocardica ed alle aree ischemiche

Riduzione consumo miocardico di ossigenoVasodilatazione periferica / riduzione PARiduzione contrattilità miocardica (verapamil, diltiazem)Riduzione frequenza cardiaca (verapamil, diltiazem)

Effetti collaterali dei calcio-antagonisti

Verapamil (10%)StipsiBlocco AV, bradicardiaInsufficienza cardiacaVertigini, Cefalea

Diltiazem (5%)Blocco AV, bradicardiaVertigini, Cefalea, rash cutaneo

Effetti collaterali dei calcio-antagonisti

Nifedipina (18%)

Edemi malleolariCefaleaVertiginiRash cutaneoIpotensioneCardiopalmoAggravamento dell’angina

Formulazioni di Nifedipina

Capsule

Rapida insorgenza d’azione (< 1 ora)

Frequente attivazione simpatica riflessa

Possibili effetti indesiderati

‘Coat core’ (CC)

Rivestimento esterno con nifedipina a lento rilascio (SR) + interno a rapido-rilascio

Duplice picco di concentrazini plasmatiche, a 2.5-5 ore ed a 6-12 ore

‘Gastrointestinal system’ (GITS)

Basato su pompa osmotica che rilascia un’infusione costante per 24 ore

I livelli plasmatici raggiungono lentamente un plateau in 6 ore e lo mantengono per > 24 ore

EFFETTI COLLATERALI DEGLI ACE-INIBITORI

Ipotensione (alle prime dosi)Deplezione sodicaTerapia anti-ipertensiva con più farmaciPazienti con reninemia elevataInsufficienza cardiaca congestizia

TosseAngioedemaIperpotassiemiaInsufficienza renaleSomministrati nel secondo e nel terzo mese di gravidanza possono causare

anomalie fetali

EFFETTI COLLATERALI DEGLI INIBITORI DEL RECETTORE PER

L’ANGIOTENSIVA II (SARTANI)

Le principali controindicazioni riportate per tutti gli inibitori dei recettori dell’angiotensina II

consistono nella ipersensibilità nota ai componenti della formulazione e nelle condizioni di

gravidanza ed allattamento. I principi attivi eprosartan, telmisartan, candesartan, valsartan riportano

in scheda tecnica la specifica controindicazione d’uso nei pazienti con insufficienza epatica

grave e/o colestasi; per l’irbesartan non ci sono dati clinici di impiego in questa popolazione

di pazienti e per losartan sono comunque raccomandate riduzioni di dosaggio anche in caso di

insufficienza epatica lieve/moderata. Sono previste precauzioni d’uso per tutti gli inibitori dei

recettori dell’angiotensina II per quanto riguarda l’impiego nei pazienti con insufficienza renale;

in particolare il valsartan risulta, da scheda tecnica, controindicato in caso di insufficienza renale

grave (Ccr < 10 ml/min) e in caso di pazienti sottoposti a dialisi; analoga controindicazione è

riportata per il telmisartan per pazienti con Ccr < 30 ml/min.

ANNA MARIA MARATA, ANNALISA CAMPOMORIper il gruppo di lavoro “Farmaci Cardiovascolari” AVEN*

EFFETTI COLLATERALI DEGLI ALFA-ADRENERGICI

• Vertigine • Tachicardia riflessa (più frequente dopo la prima dose)• Ipotensione posturale (più frequente dopo la prima dose)• Aumento ponderale• Disfunzioni sessuali

Bryson C.L. Psaty BM, Curr. Control Trials Cardiovasc. Med. 2002: 3:7-14

TERAPIA FARMACOLOGICA TERAPIA DI ASSOCIAZIONE

Nella maggior parte dei trial clinici si è riusciti a raggiungere l’obiettivo pressorio solo grazie all’impiego di una terapia di associazione tra due o più farmaci antipertensivi.Il ricorso alla terapia di associazione è frequente nei pazienti affetti da diabete, insufficienza renale o con profilo di rischio cardiovascolare elevato e, in genere ogni qual volta devono essere raggiunti obiettivi pressori ambiziosi.Uno svantaggio è legato al fatto che si somministri un farmaco di cui il paziente non ha bisogno.

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TERAPIA FARMACOLOGICA TERAPIA DI ASSOCIAZIONE - VANTAGGI

Utilizzando una terapia di associazione è possibile impiegare due farmaci a basso dosaggio, avendo così maggiori probabilità di evitare la comparsa di effetti collaterali.Le associazioni fisse e disponibili consentono, impiegando due farmaci in una sola compressa, di semplificare lo schema terapeutico e di ottimizzare la compliance alla terapia.E’ più probabile ottenere un adeguato controllo pressorio in un tempo più breve rispetto alla monoterapia (dato particolarmente importante in soggetti a rischio cardiovascolare elevato).

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TERAPIA FARMACOLOGICA TERAPIA DI ASSOCIAZIONE - VANTAGGI

Nello studio VALUE la maggior riduzione pressoria (-3,8/-2,2 mm Hg) ottenuta nei primi sei mesi di terapia nei pazienti trattati con amlodipina rispetto a quelli trattati con valsartan è risultata associarsi ad una minor incidenza di eventi cardiovascolari.La terapia di associazione dovrebbe essere considerata di prima scelta nei pazienti a rischio cardiovascolare elevato, ossia in caso di valori pressori elevati (pressione sisto-diastolica che superi rispettivamente i 20 mm Hg e i 10 mm Hg la soglia di definizione di uno stato ipertensivo) o moderatamente elevati ma associati a più fattori di rischio, danno d’organo sub-clinico, diabete, malattie cardiovascolari o renali.

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TERAPIA FARMACOLOGICA POSSIBILI ASSOCIAZIONI

Diuretici tiazidici e ACE-inibitoriDiuretici tiazidici e bloccanti recettoriali dell’angiotensina IICalcio antagonisti e ACE-inibitoriCalcio antagonisti e bloccanti recettoriali dell’angiotensina IICalcio antagonisti e diuretici tiazidiciBeta-bloccanti e calcio antagonisti (diidropiridinici)Beta-bloccanti e diuretici tiazidici

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Possibili combinazioni tra diverse classi di farmaci antipertensivi

DIURETICI

β-BLOCCANTI

α-BLOCCANTI

AT1-ANTAGONISTI

CALCIO-ANTAGONISTI

ACE-INIBITORI

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TERAPIA FARMACOLOGICA MONOTERAPIA SEQUENZIALE

Questo approccio terapeutico, noto con il termine “monoterapia sequenziale”premette di identificare il composto a cui il singolo paziente risponde nel migliore dei modi sia in termini di efficacia e di tollerabilità.

Tuttavia, anche se il cosiddetto “tasso di responder”(cioè quella percentuale di pazienti che presentano una riduzione pressoria sisto-diastolica rispettivamente ≥ 20 e ≥ 10 mm Hg ) alla monoterapia è approssimativamente pari al 50%, tale approccio terapeutico è in grado di raggiungere l’obiettivo pressorio (inferiore a 140/90 mm Hg.) in non più del 20-30% degli ipertesi, esclusi i pazienti con ipertensione di grado 1.

Questo approccio risulta inoltre di difficile attuazione, in grado di ridurre la compliance del paziente stesso alla terapia e di ritardare il raggiungimento del target pressorio desiderato nei pazienti a rischio elevato.

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TERAPIA FARMACOLOGICA

Poiché nella maggior parte dei pazienti ènecessario impiegare in associazione due o piùfarmaci antipertensivi per raggiungere il goal pressorio, non è utile sul piano pratico definire quale sia la classe di farmaci di prima scelta.Le cinque classi di farmaci possono differenziarsi fra loro per alcune proprietà terapeutiche e caratteristiche specifiche.

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TERAPIA FARMACOLOGICA

Vi sono condizioni in cui alcuni farmaci sono preferibili come trattamento iniziale o in una terapia di associazione.

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Criteri di scelta tra monoterapia e terapia di associazioneCriteri di scelta tra monoterapia e terapia di associazione

Scegliere tra

Se non si riesce ad ottenerel’obiettivo pressorio

Se non si riesce ad ottenerel’obiettivo pressorio

Monoterapia a basso dosaggio

Associazione di 2 farmaci a

basso dosaggio

Associare tra loro tre farmaci

a dosaggio pieno

Raggiungere il dosaggio pieno

Modifica del farmaco iniziando a basso

dosaggio

Raggiungere il dosaggio pieno

dell’associazione

Aggiungere un terzo farmaco a basso

dosaggio

Associare tra loro 2-3 farmaci a

dosaggio pieno

--Lieve incremento pressorio-Rischio CV basso/moderato

-Obiettivo pressorio convenzionale

--Marcato incremento pressorio -Rischio CV elevato o molto

elevato -Obiettivo pressorio più

ambizioso

Monoterapia a dosaggio pieno

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TERAPIA FARMACOLOGICA REQUISITI PER LA TERAPIA DI ASSOCIAZIONE

I farmaci anti-ipertensivi possono essere associati fra loro, se:1. Presentano meccanismi d’azione diversi e complementari2. L’effetto anti-ipertensivo dell’associazione è superiore a quello dei

singoli composti3. Presentano un buon profilo di tollerabilità

Linee Guida ESH/ESC 2007

TERAPIA FARMACOLOGICA BETA-BLOCCANTI

Due grandi trial (Ascot, LIFE)hanno evidenziato come i beta-bloccanti non abbiano alcun effetto in termini di protezione cerebro-vascoalare nonostante gli effetti favorevoli sugli eventi coronarici morbosi e mortali.Pertanto la terapia con beta-bloccanti dovrebbe essere riservata a quei pazienti con storia di angina pectoris, scompenso cardiaco e recente infarto del miocardio.

Linee Guida ESH/ESC 2007

TERAPIA FARMACOLOGICA BETA-BLOCCANTI

I beta bloccanti non dovrebbero essere prescritti nei pazienti ipertesi con sindrome metabolica o in presenza di obesità addominale, alterata glicemia a digiuno, intolleranza ai carboidrati o rischio diabetogeno elevato, in quanto inducono: aumento del peso corporeo, hanno effetti sfavorevoli sul metabolismo glico-lipidico e favoriscono più spesso rispetto ad altre classi di farmaci antipertensivi lo sviluppo di diabete.

Linee Guida ESH/ESC 2007

TERAPIA FARMACOLOGICA BETA-BLOCCANTI

Queste considerazioni tuttavia, non necessariamente riguardano i beta-bloccanti di nuova generazione: carvedilolo e nebivololo che, rispetto ai classi beta-bloccanti dimostrano un minor effetto diabetogeno.

Linee Guida ESH/ESC 2007

TERAPIA FARMACOLOGICA

La variazione metabolica che è ritenuta associata in misura maggiore ai farmaci anti-ipertensivi, èl’insulino-resistenza.Essa è indotta da diversi meccanismi combinati che includono:

1.Riduzione della microcircolazione nel muscolo2.Riduzione della velocità di utilizzazione

intracellulare di glucosio

Josep Redon et al. Journal of Hypertension 2009

TERAPIA FARMACOLOGICA BETA-BLOCCANTI

La riduzione di microcircolazione nel muscolo è una conseguenza dell’uso dei beta-bloccanti, la cui attività di β-blocco non è contrastata dai recettori α.I beta-bloccanti con proprietà aggiuntive possono diminuire l’impatto del β-blocco puro e perfino esercitare effetti benefici.L’ α-blocco simultaneo operato da carvedilolo o l’incremento della biodisponibilità di ossido nitrico dovuto a nebivololo hanno mostrato un effetto neutro sugli indicatori del metabolismo glucidico e un effetto tendenzialmente favorevole sul profilo lipidico.

Josep Redon et al. Journal of Hypertension 2009

TERAPIA FARMACOLOGICA BETA-BLOCCANTI

I beta-bloccanti tendono a incrementare il peso corporeo come conseguenza di una riduzione della spesa energetica (Shama et. Al. Hypertension 2001; 37-250-254)

L’utilizzazione del glucosio peggiora quando diminuisce la secrezione insulinica. Questo può verificarsi come diretta conseguenza del blocco dei recettori β che riduce la risposta delle cellule β del pancreas e per l’ipopotassiemia indotta da diuretici simil-tiazidici.Nello studio ELSA l’incidenza di sindrome metabolica èrisultata significativamente maggiore nei pazienti trattati con atenololo rispetto a quelli trattati con lacidipina.

Josep Redon et al. Journal of Hypertension 2009

TERAPIA FARMACOLOGICA ACE-INIBITORI

L’inibizione del sistema renina-angiotensina-altosterone è in grado di:1. Migliorare il flusso ematico nei muscoli2. Diminuire l’attività del sistema nervoso simpatico3. Potenziale la trasduzione del segnale insulinico4. Abbassare i livelli di FFA5. Aumentare l’adiponectina plasmatica6. Migliorare l’utilizzazione del glucosio7. Potrebbe migliorare la sensibilità insulinica, attraverso gli effetti sui

PPAR-γ, che è inibito dall’angiotensina II

Josep Redon et al. Journal of Hypertension 2009

TERAPIA FARMACOLOGICA ANTAGONISTI DEL RECETTORE PER L’ANGIOTENSINA II

Nello studio VALUE il trattamento a base di Valsartan ha ridottosignificativamente il tasso dei nuovi casi di diabete in confronto con amlodipina, un calcio-antagonista.I meccanismi che hanno portato al miglioramento del metabolismo glucidico era l’aumento della microcircolazione e della disponibilità del trasportatore Glut4.

Josep Redon et al. Journal of Hypertension 2009

TERAPIA FARMACOLOGICA ACE-INIBITORI

La sommistrazione contemporanea di un tiazidico con un ACE-inibitore o un ARB riduce l’ipopotassiemia e non modifica significativamente il profilo lipidico e quello glicemico

Josep Redon et al. Journal of Hypertension 2009

TERAPIA FARMACOLOGICA ACE-INIBITORI

Gli ACE-inibitori e gli antagonisti recettoriali dell’angiotensina si sono dimostrati in grado di favorire la regressione dell’ipertrofia ventricolare sinistra, inclusa la componente fibrotica, di ridurre la microalbuminuria e la proteinuria e di rallentare la progressione della disfunzione endoteliale. I calcio –antagonisti si sono rilevati più efficaci nel rallentare la progressione del processo aterogeno e l’ipertrofia vascolare a livello delle carotidi.

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TERAPIA FARMACOLOGICA ALFA-BLOCCANTI

Non sono a tutt’oggi disponibili informazioni sul rapporto rischio/beneficio legato all’impiego degli alfa1-bloccanti, in quanto l’unico trial finalizzato a tale obiettivo (il braccio in trattamento con doxasosina dello studio ALLHAT) è stato interrotto prima che potesse fornire risultati utili.

Gli alfa-bloccanti dovrebbero essere impiegati nei pazienti ipertesi con ipertrofia prostatica benigna.

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TERAPIA FARMACOLOGICA ALFA-BLOCCANTI

L’α-bloccante doxasosina che agisce a livello periferico, migliora il profilo lipidico riducendo l’insulino –resistenza, aumentando di conseguenza il colesterolo-HDL e diminuendo i trigliceridi.Il meccanismo principale coinvolto nelle variazioni positive operate dagli α-bloccanti sembra essere mediato dall’aumento della microcircolazione.

Linee Guida ESH/ESC 2007

TERAPIA DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA

MONOTERAPIA VS TERAPIA DI ASSOCIAZIONE

L’approccio terapeutico iniziale può essere monoterapia o con combinazione fissa di farmaci a basse dosi, con successivo adattamento posologicoLa monoterapia è preferibile come trattamento iniziale in caso di ipertensione arteriosa lieve con rischio cardiovascolare basso o moderato

Linee Guida ESH/ESC 2007

TERAPIA DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA

MONOTERAPIA VS TERAPIA DI ASSOCIAZIONE

Una combinazione di due farmaci a basse dosi dovrebbe essere preferita come primo step nell’ipertensione di grado 2 o 3 quando il rischio cardiovascolare globale è elevato o molto elevatoIn molti pazienti, il controllo pressorio non viene raggiunto neanche con due farmaci ed è richiesta l’associazione di due o più molecole

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TERAPIA DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA

MONOTERAPIA VS TERAPIA DI ASSOCIAZIONE

Nei pazienti non complicati e negli anziani la terapia dovrebbe essere cominciata gradualmenteNei pazienti ipertesi a rischio cardiovascolare piùelevato, il target pressorio dovrebbe essere raggiunto più rapidamente

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TERAPIA DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA

SCELTA DELLA TERAPIA FARMACOLOGICA ANTIPERTENSIVA

La scelta di uno specifico farmaco o di una combinazione di più farmaci dovrebbe tener conto di diversi fattori:Il precedente impiego di un determinato farmaco antipertensivoL’effetto dei farmaci sui fattori di rischio cardiovascolare, in relazione al profilo di rischio globale di un singolo paziente

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TERAPIA DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA

SCELTA DELLA TERAPIA FARMACOLOGICA ANTIPERTENSIVA

La presenza di un danno d’organo sub-clinico, malattia coronarica, malattia renale o diabete mellito, cioè in condizioni cliniche possono trarre maggior vantaggio dall’impiego di alcune classi di farmaci rispetto ad altreLa presenza di patologie concomitanti che possono limitare l’uso di una particolare classe di farmaci antipertensiviLa possibilità di interazione con farmaci impiegati per il trattamento di altre patologie

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TERAPIA DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA

SCELTA DELLA TERAPIA FARMACOLOGICA ANTIPERTENSIVA

Valutare il costo dei farmaci sia a carico del paziente sia a carico del SSNLa valutazione del costo economico della terapia non deve predominare sulle considerazioni legate all’efficacia, alla tollerabilità e alla protezione cardiovascolare fornita dalla terapia nel pazienteUna volta instaurato un trattamento, bisogna tenere sotto controllo eventuali effetti collaterali, in quanto sono la causa più frequente di scarsa compliance terapeutica

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TERAPIA DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA

I GRANDI TRIAL CLINICI

Valutare gli effetti del trattamento farmacologico attivo vs placebo sugli eventi cardiovascolariParagonare gli effetti di riduzione pressorie più o meno marcate sugli eventi cardiovascolariParagonare fra loro gli effetti delle diverse classi di farmaci antipertensivi

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TERAPIA DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA

TRATTAMENTO FARMACOLOGICO ATTIVO VS PLACEBO

Gli effetti favorevoli della terapia antipertensiva sugli eventi del paziente ipertesoLa maggior efficacia nel ridurre gli eventi cerebrovascolari (30-40%) rispetto agli eventi coronariciLa riduzione dei casi di scompenso cardiacoI benefici nel paziente anziano

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TERAPIA DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA

OBIETTIVI DELLA RIDUZIONE PRESSORIA

Una maggiore riduzione pressoria si associa a maggiori benefici clinici e maggiore riduzione degli eventi Tale dato è ancora più evidente nei pazienti ipertesi diabetici

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TERAPIA DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA

EFETTI DELLE DIVERSE CLASSI DI FARMACI

I trial clinici dimostrano come sia importante la riduzione pressoria per la diminuzione degli eventi, indipendentemente dal farmaco con cui si ottieneI calcio-antagonisti sembrano esercitare maggiori effetti di protezione cerebrovascolareGli ACE-inibitori sembrano esercitare maggiori effetti di protezione coronaricaGli ACE-inibitori e i sartani sembrano essere più efficaci nella prevenzione dello scompenso

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TERAPIA DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA

DANNO D’ORGANO

I risultati dei trial clinici basati sulla valutazione degli effetti sui markers di danno d’organo, hanno consentito di evidenziare importanti differenze fra le diverse classi di farmaci, in termini di cardioprotezione, nefroprotezione, cerebroprotezione e protezione vascolare (proprietàantiaterogene)

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TERAPIA DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA

CARDIOPROTEZIONE E REGRESSIONE DELL’IPERTROFIA CARDICA

Tutte le classi di farmaci antipertensivi, riducendo i valori pressori, favoriscono una regressione dell’ipertrofia cardiacaI farmaci più potenti in questo caso, sono: ACE inibitori, sartani e calcio-antagonistiAlcuni farmaci (sartani in particolare) sono in grado di contrastare lo sviluppo e/o la progressione della fibrosi miocardica

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TERAPIA DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA

NEFROPROTEZIONE E REGRESSIONE DELLA PROTEINURIA

Uno dei principali obiettivi della terapia antipertensiva nei pazienti nefropatici è la riduzione della pressione a valori inferiori a 130/80I sartani sono più efficaci dei beta-bloccanti, calcio-antagonisti e diuretici nel ridurre la proteinuriaACE-inibitori e sartani sembrano garantire maggiori effetti di nefroprotezione

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TERAPIA DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA

CEREBROTEZIONE E DEMENZA

Allo stato attuale, è difficile definire se e quali farmaci antipertensivi ritardino o migliorino il deterioramento cognitivo spesso associato all’ipertensioneAlcuni studi suggeriscono un maggiore effetto di ACE-inibitori e calcio-antagonisti

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TERAPIA DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA

VASCULOPROTEZIONE E PROPRIETA’ ANTIATEROGENE

E’ possibile che la riduzione pressoria di “per sé”abbia un certo effetto anti-aterogenoUna maggior riduzione pressoria potrebbe esercitare maggiori effetti di vasculoprotezioneI calcio-antagonisti e , in alcuni studi, gli ACE-inibitori garantiscono una maggior vasculoprotezione rispetto a diuretici e beta-bloccanti

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FOLLOW-UP

Durante la fase di titolazione della terapia farmacologica, i pazienti dovrebbero essere di frequente sottoposti a visita medica (ogni due o quattro settimane) per adeguare il regime terapeutico scelto (incremento del dosaggio, aggiunta di altri farmaci, riduzione del dosaggio o sospensione del farmaco) in base all'obiettivo pressorio o alla comparsa di effetti collaterali.

In questa prima fase i pazienti dovrebbero essere sollecitati ad effettuare automisurazioni pressorie a domicilio.

Una volta raggiunti gli obiettivi del trattamento, che includono il controllo della pressione e degli altri fattori di rischio, è possibile ridurre la frequenza delle visite mediche.

I pazienti che presentano un basso profilo di rischio e valori pressori moderatamente elevati possono essere sottoposti a visita medica ogni sei mesi, mentre quelli che presentano uno stato ipertensivo di maggiore gravità o un rischio cardiovascolare elevato o molto elevato dovrebbero essere visitati ad intervalli di tempo piùravvicinati.

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FOLLOW-UP

È importante che anche i pazienti non trattati farmacologicamente siano sottoposti frequentemente ad una visita di controllo perché:

1) la compliance alle modifiche dello stile di vita è ridotta

2) la risposta pressoria è variabile

3) è necessario stimolare il paziente ad adottare questo approccio terapeutico, il cui fallimento richiede una terapia farmacologica.

L'automisurazione pressoria domiciliare può essere utile per dilazionare nel tempo l'intervallo tra le visite mediche.

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FOLLOW-UP

Anche se la tempistica di valutazione del danno d'organo rimane a tutt'oggi non definita. èutile ricordare elle le modifiche della proteinuria indotte dal trattamento si verificano nell'arco di alcune settimane, mentre la regressione dell'ipertrofia ventricolare sinistra si riscontra dopo oltre un anno di terapia.

È tuttavia possibile che dopo un prolungato periodo caratterizzato da un buon controllo pressorio si possa tentare di ridurre la posologia (dose e/o numero) dei farmaci assunti, specialmente se il paziente segue in maniera rigorosa le misure non farmacologiche. Il razionale di questo intervento terapeutico è basato sul fatto che il raggiungimento del controllo pressorio può favorire la regressione delle alterazioni strutturali vascolari (cioè il rimodellamento arteriolare) responsabili degli elevati valori pressori. Nel ridurre la posologia dei farmaci antipertensivi è raccomandato effettuare un accurato controllo dei valori pressori, utilizzando anche quelli rilevati a domicilio del paziente.

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TERAPIA DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA

IPERTENSIONE NELL’ANZIANO

I benefici della terapia antipertensiva in termini di riduzione della morbilità e della mortalità cardiovascolare, sono evidenti nel paziente ultrasessantenne e ultrasettantenne. Il beneficio del trattamento si estende anche agli ultraottantenni e risulta chiaro, in termini di riduzione dei eventi, nel paziente con ipertensione sisto-diastolica e sistolica isolata.Diuretici tiazidici, calcioantagonisti, ACE-inibitori, sartani e beta-bloccanti sono indicati come farmaci di prima scelta nel trattamento dell’ipertensione nell’anziano.

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TERAPIA DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA

IPERTENSIONE NELL’ANZIANO

Alcuni trial hanno fornito evidenza specifica di efficacia terapeutica, sia nell’ipertensione sisto-diastolica che nell’ipertensione sistolica isolata, da parte di diuretici e calcio-antagonistiI sartani possono garantire una protezione specifica cerebro-vascolare, riducendo significativamente l’incidenza di ictus non fatali in pazienti ipertesi d’età ≥ 70 anni.

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TERAPIA DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA

OBIETTIVO PRESSORIO NELL’ANZIANO

L’obiettivo pressorio è una pressione arteriosa ≤ 140/90 mm Hg, come nel paziente più giovane.E’ importante utilizzare, nelle fasi iniziali, un basso dosaggio del farmaco, misurando la pressione in clino e ortostatismo, allo scopo di evitare l’ipotensione posturale.Può risultare difficile il controllo pressorio sistolico. Spesso ènecessario ricorrere a una terapia farmacologica di associazione.La scelta del farmaco con cui iniziare il trattamento dipende dalla presenza di altri fattori di rischio, di danno d’organo e di patologie cardiovascolari associate.Non vi sono evidenze univoche sui benefici del trattamento anti-ipertensivo nei pazienti di età pari o superiore agli 80 anni. Se ben tollerata ed efficace, la terapia può essere proseguita oltre questa età.

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TERAPIA DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA

IPERTENSIONE ASSOCIATA AL DIABETE

Il riscontro di elevati valori pressori è più frequente nel diabete di tipo 2 rispetto alla forma clinica di tipo 1, con unaprevalenza di ipertensione arteriosa pari al 70-80 %.La coesistenza di ipertensione e diabete (di tipo 1 o 2) aumenta in modo spiccato il rischio cardiovascolare, incrementando gli eventi coronarici e cerebrovascolari o favorendo lo sviluppo e la progressione del danno d’organo cardiaco, vascolare e renale.

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TERAPIA DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA

IPERTENSIONE ASSOCIATA AL DIABETE

L’obiettivo del trattamento anti-ipertensivo è la riduzione dei valori pressori al di sotto dei 130/80 mm Hg.Il trattamento andrebbe iniziato prima di quanto comunemente si fa nell’iperteso non diabetico, ovvero quando i valori pressori sono ancora nel range normale-alto.Al fine di ottenere l’obiettivo pressorio vengono impiegate tutte le classi di farmaci dotati di efficacia terapeutica.L’obiettivo pressorio è difficile da raggiungere e, spesso, ènecessario l’impiego della terapia di associazione.

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TERAPIA DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA

IPERTENSIONE ASSOCIATA AL DIABETE

Vi è evidenza che i benefici della terapia dipendono dalla riduzionepressoria. A questo scopo, se necessario, si possono utilizzare anche diuretici, dei quali è noto l’effetto dismetabolico.Il risconto di microalbuminuria è un’indicazione clinica all’instaurazione della terapia anti-ipertensiva, anche quando i valori pressori sono nella norma.In presenza di microalbuminuria o di nefropatia diabetica, il trattamento antipertensivo dovrebbe essere iniziato con un farmaco che agisce sul sistema renina-angiotensina (ACE-inibitori e sartani).La misurazione della pressione arteriosa deve essere eseguita anche in ortostatismo, a causa dell’elevata probabilità di riscontro di ipotensione posturale.

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TERAPIA DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA

IPERTENSIONE ASSOCIATA AL DIABETE

Spesso è importante ricorrere ad un intervento terapeutico integrato, che include:Misure non farmacologiche finalizzate a ridurre il peso corporeo nel diabete di tipo 2.Impiego di farmaci ipolipemizzanti e statine.Impiego della terapia antiaggregante (se presente danno d’organo, storia od evidenza di coronaropatia)

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TERAPIA DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA

IPERTENSIONE ASSOCIATA A NEFROPATIA

La nefropatia e l’insufficienza renale sono caratterizzate da un rischio cardiovascolare molto elevato.La nefroprotezione nel paziente diabetico si deve basare su:

1. Un rigoroso controllo pressorio (valori pressori inferiori a 130/80 o addirittura più bassi se è presente una proteinuria > 1 gr. /die).

2. Una riduzione, se possibile, una normalizzazione della proteinuria

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TERAPIA DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA

IPERTENSIONE ASSOCIATA A NEFROPATIA

Per ottenere un efficace riduzione pressoria è, di solito, necessario ricorrere ad una terapia di associazione fra diversi farmaci (inclusi i diuretici dell’ansa).

Per ridurre la proteinuria, è necessario l’impiego di un bloccante recettoriale dell’angiotensina, di un ACE-inibitore o di entrambi.

Fatta eccezione per i pazienti afro-americani, non è chiaro se il blocco del sistema renina-angiotensina sia in grado di prevenire o ritardare lo sviluppo di nefrosclerosi nei pazienti ipertesi non diabetici e non proteinurici. E’ comunque utile includere nello schema terapeutico di associazione un farmaco che agisca sul sistema renina-angiotensina.

Spesso nei pazienti nefropatici deve essere preso in considerazione un intervento terapeutico integrato (farmaci antipertensivi, statine e antiaggreganti piastrinici) in quanto il rischio cardiovascolare di questi pazienti è estremamente elevato.

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Antonio Santoro; Cardiovascular Risk on target n.2, 2008

TERAPIA DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA

IPERTENSIONE ASSOCIATA A PATOLOGIE CEREBROVASCOLARI

L’intervento terapeutico finalizzato da ridurre i valori pressori rappresenta un’efficace strategia di prevenzione secondaria nei pazienti con pregressi eventi cerebrovascolari.I benefici sono evidenti anche quando i valori pressori sono inferiori a 140/90.I benefici del trattamento sono chiari, sia nel paziente con storia di ictus ischemico che emorragico, e come nel caso di altre condizioni cliniche associate o della presenza di danno d’organo dipendono strettamente dall’entità della riduzione pressoria ottenuta con la terapia.

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TERAPIA DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA

IPERTENSIONE ASSOCIATA A PATOLOGIE CEREBROVASCOLARI

Anche se l’obiettivo pressorio del trattamento non è stato ancora inequivocabilmente definito, si ritiene utile ridurre la pressione arteriosa a valori < 130 mm Hg.I benefici sono evidenti anche quando i valori pressori sono inferiori a 140/90.I benefici del trattamento sono chiari, sia nel paziente con storia di ictus ischemico che emorragico, e come nel caso di altre condizioni cliniche associate o della presenza di danno d’organo dipendono strettamente dall’entità della riduzione pressoria ottenuta con la terapia.

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TERAPIA DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA

IPERTENSIONE ASSOCIATA A PATOLOGIE CEREBROVASCOLARI

In alcuni trial clinici, è stato evidenziato che i sartani potrebbero garantire una maggiore protezione dalle recidive ictali.Il dato non è tuttavia univoco.

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TERAPIA DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA

IPERTENSIONE ASSOCIATA A PATOLOGIE CEREBROVASCOLARI

E’ opportuno non ridurre troppo bruscamente la pressione arteriosadopo un evento cerebrovascolare acuto.Una riduzione pressoria troppo rapida potrebbe compromette ulteriormente i meccanismi di autoregolazione cerebrale e favorire l’estensione dell’infarto cerebrale.Spesso gli elevati valori pressori rilevati nelle prime ore dopo un evento cerebrovascolare tendono a ridursi spontaneamente nei giorni seguenti.La riduzione farmacologica della pressione arteriosa si associa a un miglioramento delle funzioni mnemoniche e cognitive.Le informazioni relative agli effetti della terapia antipertensiva sulla demenza sono scarse.

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TERAPIA DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA

IPERTENSIONE ASSOCIATA A MALATTIA CORONARICA

Il rischio di recidive di eventi coronarici fatali e non fatali è in stretta relazione con i valori pressori.Nell’analizzare l’impatto della terapia farmacologica antipertensiva nel paziente con pregresso evento coronarico, è opportuno distinguere gli effetti legati alla riduzione pressoria da quelli specifici legati alle proprietà di cardioprotezione delle diverse classi di farmaci.

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TERAPIA DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA

IPERTENSIONE ASSOCIATA A MALATTIA CORONARICA

Dai trial eseguiti emerge l’importanza della riduzione della pressione arteriosa di “per sé” nel paziente coronaropatico.Target pressori pari a 140/90 mm Hg o anche 130/80 mm Hg si sono dimostrati in grado di garantire una migliore protezione cardiovascolare.Nei pazienti con pregresso infarto del miocardio, l’impiego precoce dei beta-bloccanti, ACE inibitori e sartani riduce la mortalità e le recidive. Questi effetti dipendono dalle proprietà di cardioprotezione esercitate da questi farmaci e, in parte, dalla riduzione pressoria.

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TERAPIA DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA

IPERTENSIONE ASSOCIATA A SCOMPENSO CARDIACO

La storia clinica del paziente affetto da scompenso cardiaco spesso evidenzia in anamnesi la presenza di uno stato ipertensivo non trattato o misconosciuto.I farmaci più indicati sono: diuretici tiazidici, i beta-bloccanti, gli ACE-inibitori, i sartani e gli anti-aldosteronici.Nei pazienti ipertesi non è infrequente il riscontro di una disfunzione diastolica del ventricolo sinistro, che ha implicazioni prognostiche sfavorevoli.Ancora non sufficienti le informazioni raccolte sui benefici della terapia antipertensiva su questa condizione. In uno studio è stata evidenziata l’efficacia dei sartani.

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TERAPIA DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA

IPERTENSIONE E FIBRILLAZIONE ATRIALE

Il riscontro di elevati valori pressori rappresenta uno dei principali fattori di rischio per lo sviluppo della fibrillazione atriale che, come noto, ha un impatto particolarmente sfavorevole sugli eventi cardiovascolari, specie di natura tromboembolica.Due alterazioni morfologiche cardiache, strettamente connesse allo stato ipertensivo, rappresentano fattori di rischio per questa patologia aritmica: l’incremento del diametro atriale sinistro e della massa ventricolare sinistra.I pazienti ipertesi che presentano alla valutazione ecocardiografica un incremento delle dimensioni atriali e/o della massa ventricolare sinistra devono essere sottoposti a trattamento antipertensivo aggressivo.

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TERAPIA DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA

IPERTENSIONE E FIBRILLAZIONE ATRIALE

Due studi clinici condotti in pazienti con storia di fibrillazione atriale, hanno documentato una minor incidenza di recidive aritmiche con l’impiego di sartani associati all’amiodarone.In presenza di terapia anticoagulante è necessario ottenere un ottimale controllo pressorio, capace di prevenire lo sviluppo di eventi ictali o emorragici cerebrali, più frequenti in presenza di valori > 140 mm Hg.

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TERAPIA DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA

IPERTENSIONE E FIBRILLAZIONE ATRIALE

Alcuni trial hanno evidenziato che sartani e, in parte ACE inibitori sono in grado di ridurre le recidive di questa così comune patologica aritmica.

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IPERTENSIONE E FIBRILLAZIONE ATRIALE

L’impiego di sartani e/o ACE-inibitori a scopo profilattico viene ritenuto valido sia nei pazienti ipertesi che con scompenso cardiaco.Un’ulteriore priorità della terapia medica della fibrillazione atriale è il controllo della frequenza cardiaca. Sono indicati a questo scopo beta-bloccanti e calcio-antagonisti non diidropiridinici.

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IPERTENSIONE E SINDROME METABOLICA

L’ipertensione arteriosa è inclusa nella classificazione della sindrome metabolica, anch’essa caratterizzata da alterazioni del metabolismo glucidico, lipidico e da obesità viscerale.La prevalenza della sindrome metabolica è correlata all’età: negli individui di mezza età attorno al 16-20%, fino al 30-40 % nell’anziano.Morbilità e mortalità cardiovascolare sono molto elevati, vista la frequente associazione a danno d’organo sub-clinico con alterazioni della funzione renale e vascolare. Frequente è il riscontro di ipertrofia ventricolare sinistra e disfuzione diastolica.

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IPERTENSIONE E SINDROME METABOLICA

La finalità principale dell’approccio terapeutico della sindrome metabolica è legata alla riduzione del rischio cardiovascolare.Interventi farmacologici e non rappresentano le due principali strategie terapeutiche.Dieta ipocalorica e incremento dell’attività sono le due forme di intervento non farmacologico consigliate.L’intervento farmacologico è indicato in pazienti con sindrome metabolica in presenza di stato ipertensivo, diabete o dislipemia.

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IPERTENSIONE E SINDROME METABOLICA

I pazienti con sindrome metabolica presentano un profilo di rischio cardiovascolare elevato e quindi il goal della terapia antipertensiva è il raggiungimento di valori inferiori a 130/80 mm Hg. I farmaci indicati sono: sartani, Ace-inibitori, calcio-antagonisti, ovvero classi di farmaciaventi chiari effetti antidiabetogeni (prime due) o metabolicamente attivi (terza).Controindicati, per gli effetti pro-diabetogeni, sono diuretici e beta-bloccanti. Spesso si deve ricorrere alla terapia di associazione.

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IPERTENSIONE E SINDROME METABOLICA

I tiazolinedioni sono farmaci che stimolano i recettori PPARγmigliorando l’insulino-sensibilità (come alcuni sartani).Sebbene promettenti, questi farmaci inducono un incremento ponderale, rendendo la valutazione del rischio/beneficio del loro impiego non chiara.

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IPERTENSIONE NELLA DONNA

I valori pressori risultano solitamente inferiori nel sesso femminile rispetto a quello maschile sino alla menopausa, quando si assiste a una inversione del fenomeno.La terapia antipertensiva si è dimostrata di efficacia terapeutica simile nei due sessi sia in termini di riduzione pressoria che di protezione cardiovascolare.Uno dei possibili problemi terapeutici nel sesso femminile è la potenziale teratogenicità di alcuni antipertensivi. E’ consigliabile non utilizzare in età fertile e in gravidanza i farmaci che agiscono sul sistema renina-angiotensiva.

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TERAPIA DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA

IPERTENSIONE NELLA DONNA FERTILE

I contraccettivi orali determinano nella maggior parte delle donne un lieve incremento pressorio di patogenesi non ben definita.Nel 5% dei casi si sviluppa uno stato ipertensivo, peraltro reversibile nell’arco di 6-8 mesi dalla sospensione. L’impiego di contraccettivi orali altera la distensibilità vascolare, favorisce la comparsa di microalbuminuria e si associa ad aumentata incidenza di eventi cerebrovascolari e coronarici.Anche le formulazioni a basso dosaggio di estrogeni non sono scevre da effetti cardiovascolari deleteri, incluso un incremento pressorio.La pillola a esclusivo contenuto progestinico potrebbe costituire un’alternativa valida.

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IPERTENSIONE NELLA DONNA IN MENOPAUSA

La menopausa si associa ad un aumento del rischio cardiovascolare e determina un modesto incremento pressorio.Controverse le informazioni acquisite negli anni sugli effetti della terapia ormonale sostitutiva.Contrariamente a quanto evidenziato in passato, diversi studi condotti negli ultimi anni hanno documentato che la terapia ormonale sostitutiva incrementa il rischio cardiovascolare e quello neoplastico.A tutt’oggi la terapia ormonale sostitutiva non è raccomandata ai fini della cardioprotezione nella donne in menopausa.

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IPERTENSIONE IN GRAVIDANZA

In condizioni fisiologiche la pressione arteriosa tende a subire un lieve incremento alla fine del primo trimestre di gravidanza per poi ridursi nel secondo e quindi aumentare nel terzo.

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IPERTENSIONE IN GRAVIDANZA

La definizione si basa sul riscontro di valori pressori ≥ 140/90 mmHg (effettuato in diverse occasioni) nell’arco di nove mesi di gravidanza.La diagnosi andrebbe confermata con monitoraggio ambulatorio delle 24 ore che ha rilevanza prognostica, essendo correlato allo sviluppo di proteinuria, parto prematuro e complicanze materno-fetali.Nella valutazione del danno d’organo è essenziale la ricerca della microalbuminuria

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IPERTENSIONE IN GRAVIDANZA

Si identificano quattro diverse condizioni cliniche:

Ipertensione pre-esistente alla gravidanza, definita come riscontro di valori pressori ≥140/90 mm Hg prima della gravidanza o comunque entro la 20° settimana. Puòpersistere dopo il parto e associarsi a proteinuria.

Ipertensione in gravidanza: si sviluppa dopo la 20° settimana di gestazione. Se presente proteinuria si configura il quadro della pre-eclampsia.

Ipertensione pre-esistente alla gravidanza associata a ipertensione gravidica e proteinuria. Presente dopo la 20° settimana, si associa a danno d’organo renale.

Ipertensione gestazionale non classificabile: si basa sul riscontro di incremento pressorio patologico dopo la 20° settimana di gravidanza, senza informazioni sui valori precedenti.

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TERAPIA DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA

IPERTENSIONE IN GRAVIDANZA

E’ dibattuto se continuare una terapia con farmaci anti-ipertensivi in donne gravide affette da ipertensione di grado lieve o moderato.

1. In primo luogo queste pazienti presentano un rischio ridotto di sviluppare complicanze cardiovascolari durante la gestazione.

2. In secondo luogo, la riduzione pressoria può compromettere la perfusione utero-placentare e ripercuotersi negativamente sullo sviluppo fetale.

Si ritiene tuttavia ragionevole iniziare un trattamento anti-ipertensivo in presenza di valori sistolici pari o superiori a 150 mm Hg. o diastolici pari a 95 mm Hg.

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TERAPIA DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA

IPERTENSIONE IN GRAVIDANZA

L’intervento terapeutico si articola secondo l’entità dell’incremento pressorio e la gravitàdell’ipertensione:

Valori pressori sisto-diastolici compresi fra 140-149/90-99 mm Hg.

Indicato il trattamento non farmacologico con impiego di basse dosi di acido acetilsalicilico, se anamnesi positiva per pre-eclampsia.

Valori pressori sisto-diastolici ≥ 170/110 mm Hg in gravidanza rappresentano un‘emergenza ipertensiva e richiedono l’immediata ospedalizzazione. In tali casi la riduzione pressoria richiede l’impiego e.v. di labetalolo e nitroprussiato di sodio. Trovano ancora indicazione metildopa e nifedipina (per os).

In caso di ipertensione lieve-moderata i farmaci di scelta includono: metildopa, labetalolo, beta-bloccanti (escluso atenololo), calcio-antagonisti.

Controindicati ACE-inibitori e sartani. Anche i diuretici non trovano impiego clinico, in quanto in queste forme di ipertensione il volume plasmatico è ridotto.

Linee Guida ESH/ESC 2007

TERAPIA DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA

IPERTENSIONE IN GRAVIDANZA

Nell’edizione 2007 delle linee guida, si dà particolare risalto all’ipertensione in gravidanza, e all’importanza di tale condizione clinica in termini di morbilità e mortalità materna, fetale e neonatale.

Il documento della Task Force Europea dà risalto al rischio cardiovascolare in pazienti che hanno presentato una forma di ipertensione in gravidanza.

Ciò richiede un attento monitoraggio post-partum, con follow-up prolungato negli anni.

Linee Guida ESH/ESC 2007

TERAPIA DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA

IPERTENSIONE E ALLATTAMENTO AL SENO

La letteratura fornisce limitate notizie sulla sicurezza degli antipertensivi assunti durante il periodo dell’allattamento al seno. Un’ampia review sull’argomento , conclude che i sottoelencati farmaci antipertensivi sembrano avere un rapporto di concentrazione latte/plasma (M:P) sufficientemente basso da rendere la qualità del latte accettabile per un sicuro allattamento:β-bloccanti ad alto legame con le proteine plasmatiche;

alcuni Ca-antagonisti;

metildopa;

ACE inibitori.

Sicurezza dei farmaci antipertensivi durante l’allattamento.(Anna Gentile ed Achille P. Caputi, Dipartimento Clinico e Sperimentale di Medicina e Farmacologia dell’Università di Messina)

TERAPIA DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA

IPERTENSIONE E ALLATTAMENTO AL SENO

β-bloccantiPer questa categoria il valore di M:P risulta variabile. Oxoprenololo e propranololo, per il loro alto legame proteico, hanno un rallentato passaggio nel latte materno.Per atenololo e acetobutolo il rapporto è più alto a causa del basso legame con le proteine plasmatiche. Esistono infatti due case report che descrivono eventi avversi indotti da questi due β-bloccanti assunti durante l’allattamento.Per quanto riguarda il labetololo, il più comunemente β-bloccante utilizzato, non sono riportati casi di tossicità neonatale, per quanto un report ne abbia evidenziato i livelli potenzialmente significativi nel latte materno[.

Ca antagonistiAnche questa è una categoria di farmaci comunemente usata nel periodo postnatale. Il più comunemente usato di questi, la nifedipina, è stato trovato in piccola quantità nel latte materno dall’unico studio condotto sull’argomento (comunque in questo caso il bambino non era allattato al seno). Altre diidropiridine hanno mostrato di essere escrete nel latte materno in quantità minime.

Sicurezza dei farmaci antipertensivi durante l’allattamento.(Anna Gentile ed Achille P. Caputi, Dipartimento Clinico e Sperimentale di Medicina e Farmacologia dell’Università di Messina)

TERAPIA DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA

IPERTENSIONE E ALLATTAMENTO AL SENO

MetildopaAnche la metildopa viene escreta in piccole quantità nel latte materno e per essa non sono noti eventi avversi in bambini allattati . Comunque questo farmaco non viene normalmente impiegato nel periodo dell’allattamento.

ACE inibitoriNon sono noti report di eventi avversi in neonati da madri che allattano e che hanno assunto ACE inibitori a breve durata d’azione tipo: captopril ed enapril. Per quanto riguarda gli ACE-inibitori a lunga durata d’azione, non si hanno a disposizione notizie attendibili.

DiureticiPer quanto il passaggio nel latte materno dei diuretici sia rallentato, considerazioni teoriche porterebbero a ritenerli causa di diminuzione della produzione di latte

Sicurezza dei farmaci antipertensivi durante l’allattamento.(Anna Gentile ed Achille P. Caputi, Dipartimento Clinico e Sperimentale di Medicina e Farmacologia dell’Università di Messina)

TERAPIA DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA

IPERTENSIONE RESISTENTE AL TRATTAMENTODefinizione e Diagnosi

Condizione clinica di non raro riscontro nella pratica clinica(15-18% dei casi di ipertensione), caratterizzata dalla persistenza di valori pressori sisto-diastolici elevati nonostante l’impiego di almeno 3 farmaci ipertensivi in associazione di cui almeno un diuretico.

La diagnosi richiede che vengano escluse condizioni spurie, quali: la pseudo-ipertensione, l’ipertensione “da camice bianco” e l’impiego di bracciali non adeguati.

Confermata la forma clinica (anche con impiego del monitoraggio pressorio delle 24 ore), può essere utile la valutazione del danno d’organo (non raramente l’ipertensione resistente si associa a ipertrofia cardiaca).

Linee Guida ESH/ESC 2007

TERAPIA DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA

IPERTENSIONE RESISTENTE AL TRATTAMENTOEziologia

Le principali cause di ipertensione resistente comprendono:

Scarsa compliance del paziente alla terapia e incapacità di instaurare modifiche del lo stile di vita, con particolare riguardo alle condizioni di obesità e all’elevato consumo di alcool

Utilizzo di farmaci (steroidi, FANS) o sostanze (liquirizia, cocaina) in grado di esercitare effetti pressori

Sindrome delle apnee notturne

Presenza concomitante di danno d’organo o diabete

Ipervolemia plasmatica, associata a insufficienza renale ingravescente, iperaldosteronismo, terapia diuretica inadeguata, elevato introito di sodio con la dieta.

Linee Guida ESH/ESC 2007

TERAPIA DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA

IPERTENSIONE RESISTENTE AL TRATTAMENTO

Uno degli aspetti irrisolti, peraltro ancora poco valutati da studi clinici controllati, riguarda il trattamento dell’ipertensione resistente.

Anche le linee guida 2007 evidenziano le difficoltà terapeutiche in questo specifico settore tuttavia, suggeriscono due modalità di approccio:

La prima ,di tipo diagnostico, finalizzata ad accertare la reale presenza di una ipertensione resistente, possibilmente definendone la causa.

La seconda, di tipo terapeutico, relativa alla potenzialità di impiego della terapia anti-aldosteronica. In ogni caso è di estrema importanza l’impiego di una terapia di associazione basata su diversi farmaci anti-ipertensivi.

Linee Guida ESH/ESC 2007

TERAPIA DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA

IPERTENSIONE SECONDARIA

Le ipertensioni secondarie comprendono:

• Ipertensione nefroparenchimale e nefrovascolare

• Iperaldosteronismo primitivo

• Sindrome di Cushing

• Feocromocitoma

• Coartazione aortica

Linee Guida ESH/ESC 2007

TERAPIA DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA

IPERTENSIONE SECONDARIA

Uno screening finalizzato a diagnosticare una forma di ipertensione secondaria si basa su tre elementi:

• Accurata raccolta della storia clinica

• Esame obiettivo

• Test di laboratorio “ad hoc”

Linee Guida ESH/ESC 2007

TERAPIA DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA

IPERTENSIONE SECONDARIA

Segni suggestivi di ipertensione secondaria includono:

• Spiccato aumento pressorio

• Rapidità di comparsa dello stato ipertensivo

• Scarsa risposta alla terapia

Linee Guida ESH/ESC 2007

TERAPIA DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA

IPERTENSIONE NEFROVASCOLARE

• La prevalenza è pari a circa il 2% dei pazienti ipertesi adulti

• Per lo più legata a stenosi renale mono o bilaterale Spesso associata a fibrodisplasia muscolare dell’arteria renale

• Riscontro diagnostico legato al reperto di ipertensione poco sensibile alla terapia, ipokaliemia, reperto auscultatorio di soffio addominale, deterioramento della funzione renale

• Essenziale , a scopo diagnostico, l’esame eco-color-doppler renale. Il reperto patologico può richiedere conferma angiografica

• L’angioplastica renale elettiva rappresenta il trattamento di scelta, specie in presenza di malattia fibrodisplasica

• Può essere necessario, anche dopo correzione chirurgica della stenosi ricorrere al trattamento anti-ipertensivo (calcio-antagonista, diuretico, ACE-inibitore o sartano), a terapia anti-aggregante piastrinica e a statine.

Linee Guida ESH/ESC 2007

TERAPIA DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA

FEOCROMOCITOMA

• Il trattamento di scelta per il feocromocitoma è la resezione chirurgica completa. Un’attenta preparazione pre-operatoria è di importanza cruciale per il successo del trattamento. La maggior parte dei tumori secernenti catecolamine è benigna ed è suscettibile di completa escissione, a seguito della quale, in genere l’ipertensione guarisce.

• In tutti i pazienti con neoplasie secernenti catecolamine è indicata una preparazione pre-operatoria. Tuttavia non è stato condotto alcun studio randomizzato e controllato per porre a confronto diversi approcci. Uno di questi è il blocco α- e β- adrenergico allo scopo di controllare la pressione arteriosa del paziente e prevenire le crisi ipertensive intraoperatorie.

• Il blocco α-adrenergico deve essere eseguito 7-10 giorni prima dell’intervento, per normalizzare la pressione arteriosa ed espandere la volemia ridotta.

• Il 2° e il 3° giorno dopo l’avvio del blocco adrenergico, i pazienti sono invitati a iniziare una terapia a elevato contenuto di sodio, a causa della contrazione della volemia indotta dalle catecolamine e dall’ipotensione ortostatica associata al blocco α- adrenergico.

• Una volta raggiunto un adeguato blocco α- adrenergico, si può procedere a un blocco beta-adrenergico, tipicamente 2-3 giorni prima dell’intervento.

William F.Young Jr. Ipertensione; 126-127

Bloccanti Bloccanti αα--adrenergiciadrenergici Non selettiviNon selettivi

FentolaminaFentolaminaFenossibenzaminaFenossibenzamina

Selettivi Selettivi αα--11PrazosinaPrazosinaTerazosinaTerazosinaDoxazosinaDoxazosina

Bloccanti Bloccanti ββ--adrenergiciadrenergici Propranololo, Atenololo Propranololo, Atenololo MetoprololoMetoprololo

αα//ββ--bloccantibloccanti LabetaloloLabetalolo

FARMACI USATI NELLA TERAPIA DEL FEOCROMOCITOMA

FARMACI USATI NELLA TERAPIA DEL FEOCROMOCITOMA

CalcioCalcio--antagonistiantagonistiNifedipinaNifedipina

NimodipinaNimodipinaVerapamilVerapamil

Vasodilatatori direttiVasodilatatori diretti Nitroprussiato di NaNitroprussiato di NaNitroglicerinaNitroglicerina

Inibitori della sintesi delle Inibitori della sintesi delle catecolaminecatecolamine

αα--metilmetil--paratirosinaparatirosina

FEOCROMOCITOMA TERAPIA CRISI IPERTENSIVE

FENTOLAMINA (Regitin) 1 fl da 5 mg diluita in 10 ml SFIniettare lentamente 1 cc e monitorare PA

Attendere 5 min.In base alla risposta iniettare altri 1-3 cc.

Se la FC >120 bpmSomministrare Propranololo (solo dopo fentolamina!!)

1 fl da 1 mg diluita in 10 cc SFIniettare lentamente 1 cc e monitorare PA

Attendere 5 min.In base alla risposta iniettare altri 1-3 cc.

TERAPIA DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA

IPERALDOSTERONISMO

• La terapia medica è indicata nei pazienti con iperplasia surrenale, in quelli con adenoma che hanno un elevato rischio chirurgico e in quelli con adenomi surrenalici bilaterali che possono richiedere una surrenalectomia bilaterale.

• La surrenalectomia totale bilaterale non trova posto nel trattamento dell’aldosteronismo primario poiché l’insufficienza surrenale può essere difficile da trattare rispetto all’ipertensione causata da aldosteronismo.

• L’ipertensione associata ad aldosteronismo primario è sodio e acqua-dipendente ed ètrattata in modo ottimale da una deplezione sostenuta di sale ed acqua.

• Usualmente i diuretici sono: idroclortiazide (12,5-50 mg. /die) o furosemide (80-180 mg/die), in combinazione o con spironolattone (100-200 mg./die) o con amiloride (10-20 mg. /die)

• In alcuni casi può essere necessaria l’aggiunta di un beta-bloccante o di un vasodilatatore per normalizzare la pressione arteriosa.

Emmanuel L.Bravo. Ipertensione; 113-114: 2008

TERAPIA DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA

SINDROME DI CUSHING

• Fino a quando non si attui una terapia definitiva, l’ipertensione deve essere trattata con farmaci antipertensivi.

• Dal momento che il principale meccanismo patogenetico è rappresentato dall’eccesso di liquidi, un’appropriata scelta iniziale è rappresentata da un diuretico tiazidico in associazione con un antagonista dell’aldosterone.

Ehud Grossman, F.H. Meserli. Ipertensione; pag.149; 2008

Terapia della malattia di Cushing(adenoma ipofisario ACTH - secernente)

Terapia della malattia di Cushing(adenoma ipofisario ACTH - secernente)

Chirurgia transfenoidaleChirurgia transfenoidale

Non curati 20%Non curati 20% Curati 80 %Curati 80 %

20-30%20-30%Non curatiNon curati

RadioterapiaRadioterapia

Curati 70-80% (Recidiva 10-30%)

Curati 70-80% (Recidiva 10-30%)

Surrenalectomia totale bilateraleSurrenalectomia totale bilaterale

TERAPIA DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA

SINDROME DA APNEE OSTRUTTIVE NOTTURNE

• Attualmente il trattamento di scelta nell’OSAS èl’applicazione notturna, classica o modificata, di una pressione positiva continua per via nasale (CPAP, Continuos Positive Airway Pressure) sulle vie respiratorie.

• Aumentando la pressione nelle vie respiratorie, la CPAP evita il collabimento delle pareti delle prime vie respiratorie e il verificarsi di apnee ostruttive.

• Ciò porta a una importante riduzione della frequenza delle apnee e alla scomparsa dei picchi di pressione arteriosa e di frequenza cardiaca legati alle apnee.

G.Parati, G. Mancia; Ipertensione; pag.140; 2008

TERAPIA DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA

SINDROME DA APNEE OSTRUTTIVE NOTTURNE

• Dato che l’aumento dell’attività simpatica sembra costituire uno dei meccanismi chiave, si è ipotizzato un possibile beneficio derivante dalla somministrazione di agenti che inducono un blocco del sistema adrenergico.

• Sebbene alcuni dati sembrino confermare questa ipotesi, essi nonappaiono sufficienti a giustificare una definitiva raccomandazione di questa classe di farmaci per il trattamento dell’ipertensione legata all’OSAS, soprattutto alla luce di un possibile aggravamento delle alterazioni metaboliche spesso presenti nei pazienti con OSAS. Altre proposte si riferiscono, in particolare, all’uso di farmaci che interferiscono con il sistema renina-angiotensina-aldosterone o di calcio-antagonisti a lunga durata d’azione, appartenenti alla sottoclasse dei derivati diidropiridinici.

G.Parati, G. Mancia; Ipertensione; pag.141 2008

TERAPIA DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA

IPERTENSIONE MALIGNA

Con il termine ipertensione maligna si definisce l’associazione fra un incremento pressorio di grado severo (pressione arteriosa diastolica solitamente ma non sempre superiore a 140 mm Hg. con comparsa divasculopatia, essudati e/o papilledema.

L’ipertensione essenziale severa o trattata in modo adeguato è solitamente la causa più comune dell’ipertensione maligna anche se in numerosi studi è stata sottostimata la presenza di una causa secondaria di ipertensione. La parete vascolare presenta aree di proliferazione miointimale e di necrosi fibrinoide.

L’ipertensione maligna dovrebbe essere considerata un’emergenza ipertensiva.

L’impiego di farmaci per via orale ha l’obiettivo di ridurre la pressione diastolica a valori inferiori a 100 mm Hg nell’arco delle 24 ore.

Linee Guida ESH/ESC 2007

CRISI IPERTENSIVE EPIDEMIOLOGIA

25-30% della popolazione è ipertesa 70% presenta ipertensione lieve20% presenta ipertensione moderata10% presenta ipertensione severa1-2% sviluppa una emergenza ipertensiva

TERAPIA DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSACRISI IPERTENSIVE

DEFINIZIONE E CLASSIFICAZIONE

Si definisce “crisi ipertensiva” il riscontro di valori di pressione arteriosa (PA) notevolmente elevati. Non vi sono limiti ben definiti al di sopra dei quali si parla unanimemente di crisi ipertensiva, in quanto i valori di PA di per sé sono solo un elemento, e non il più importante, che concorre a determinare la prognosi del soggetto con crisi ipertensiva.

Tre fattori principali concorrono a determinare il significato clinico e prognostico della crisi ipertensiva:

• i valori pressori: in genere si definisce crisi ipertensiva una PA sistolica > 220 mm Hg e/o una PA diastolica > 120-130 mm Hg;

• la rapidità dell’insorgenza dei valori pressori elevati: la prognosi è peggiore in assenza di un’ipertensione precedente (come ad esempio spesso accade in caso di glomerulonefrite acuta o preeclampsia);

• l’evidenza (all’esame clinico o agli esami strumentali o di laboratorio) di danno acuto d’organo.

Giuseppe Schillaci, et al. Ital Heart J 2000; 1 (Suppl 5): 79-81

TERAPIA DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSACRISI IPERTENSIVE

In presenza di danno acuto d’organo si parla infatti di emergenza ipertensiva, in sua assenza si parla di urgenza ipertensiva o (in alcune condizioni particolarmente a basso rischio) di pseudourgenza ipertensiva.

L’emergenza ipertensiva richiede una pronta riduzione dei valori pressori.

Al contrario, nell’urgenza e pseudourgenza un’immediata riduzione della pressione non èindicata.

Giuseppe Schillaci, et al. Ital Heart J 2000; 1 (Suppl 5): 79-81

EMERGENZE IPERTENSIVE

INFARTO CEREBRALE 24,5%EDEMA POLMONARE ACUTO 22,5%ENCEFALOPATIA IPERTENSIVA 16,3%INSUFFICIENZA CARDIACA 14,3%SINDROME CORONARICA ACUTA 12%STROKE EMORRAGICO 4,5%ECLAMPSIA 4,5%DISSECAZIONE AORTICA 2%

URGENZE IPERTENSIVE

Ipertensione severa sintomaticaIpertensione accelerata/malignaIpertensione perioperatoriaPre-eclampsia

PSEUDOURGENZE IPERTENSIVE

Ipertensione severa asintomaticaAttacco di panico con ipertensioneIpertensione sistolica isolataPseudo-ipertensione

PSEUDOIPERTENSIONE

Con questo termine si indica la marcata sovrastima dei valori di pressione arteriosa alla tradizionale misura indiretta (sfigmomanometrica), rispetto ai valori di pressione intravascolare misurati con metodo cruento.

Essa è dovuta al fatto che, in presenza di sclerosi della tonaca arteriosa media, tipica dell’anziano e del diabetico, la pressione di insufflazione del manicotto necessaria a far collabire il vaso arterioso deve essere aumentata, poiché la resistenza che vi si oppone dipende più dalla rigidità della parete del vaso che dalla pressione che vige al suo interno.

La possibilità di una pseudo-ipertensione deve essere considerata tutte le volte che si verifica una delle seguenti condizioni:

• presenza, in modo persistente, di valori pressori sistolici abnormemente elevati;

• scarso controllo pressorio in seguito a trattamento farmacologico massimale;

• dimostrazione radiologica di estese calcificazioni delle grandi arterie.

A.Ungar., E.Salti; Giorn.Gerontol. 2000; 48: 197-203

PSEUDOIPERTENSIONE

Le metodiche diagnostiche specifiche per riconoscere questa condizione sono:

– confronto tra misure pressorie ottenute con metodo cruento e sfigmomanometrico:rappresenta l’unica procedura disponibile per una diagnosi di certezza, che tuttavia, per la sua stessa natura invasiva, non può essere proposta come tecnica di routine. Spence et al. hanno descritto una discrepanza tra i valori pressori rilevati con lo sfigmomanometro a mercurio e quelli intra-arteriosi da 10 a 64 mmHg;

– rilievo del segno di Osler: positivo quando, gonfiando il manicotto del bracciale dello sfigmomanometro al di sopra del valore di pressione arteriosa sistolica, l’arteria radiale risulta ancora palpabile come un cordoncino, anche se non pulsante. Purtroppo il rilievo del segno di Osler è altamente soggetto ad errori derivanti dall’operatore, ma la sua estrema semplicità lo rende comunque utile;

– misurazione automatica ad ultrasuoni: tecnica non invasiva, utile, se non per una diagnosi di certezza, almeno per uno screening iniziale, poiché è in grado di approssimare in maniera accurata i valori pressori intraarteriosi nei casi di pseudoipertensione.

A.Ungar., E.Salti; Giorn.Gerontol. 2000; 48: 197-203

CRISI IPERTENSIVEANAMNESI

È opportuno indagare su:

durata ed entità dell’ipertensione arteriosa eventualmente preesistentegrado di efficacia della terapia farmacologica antiipertensiva eventualmente in attoaltre terapie farmacologiche, compresi i farmaci da bancoeventuale utilizzo di droghe illecitepresenza anamnestica di danno d’organo

CRISI IPERTENSIVEANAMNESI

Ricercare i sintomi compatibili con un coinvolgimento acuto degli organi bersaglio:

sintomi neurologici (alterazione dello stato mentale, convulsioni, ...)

dolore toracico

dolore dorsale

dispnea

anuria

modificazioni della acuità visiva o del campo visivo

Nelle pazienti gravide da più di 20 settimane (e fino a 14 giorni dopo il parto) ricercare i sintomi di pre-eclampsia (modificazioni della vista, cefalea, oliguria e alterazione dello stato mentale).

CRISI IPERTENSIVEESAME OBIETTIVO

Valutare se sia presente un danno specifico a carico degli organi bersaglio. Eseguire:• un esame fundoscopico (papilledema, emorragie o essudati)• un accurato esame neurologico (stato mentale, campo visivo, deficit

neurologici)• un attento esame cardiopolmonare (segni di scompenso cardiaco,

aumento della pressione venosa giugulare, rantoli polmonari, terzo tono, polsi periferici)

• valutare lo stato di idratazione del paziente (un sovraccarico di volume può essere il segno di un’insufficienza renale o cardiaca).

ENCEFALOPATIA IPERTENSIVA

sintomi di tipo nervosocefalea intensaobnubilamento del sensorio stupore stato confusionale sonnolenza deficit motori focali (emiparesi, afasia)

convulsioni

coma

sintomi visiviemorragie retiniche essudati papilledema cecità temporanea per intenso

spasmo arteriolare retinicoQuesti sintomi sono dovuti ad un’alterata perfusione cerebrale legata ad un danno della barriera emato-encefalica con perdita della sua integrità, determinato dall’elevata pressione arteriosa media.

CRISI IPERTENSIVEVALUTAZIONE CLINICA

Il paziente va innanzitutto messo in una situazione confortevole, eliminando eventuali fattori concomitanti (dolore, ipossia, distensione vescicale) che possono concorrere ad innalzare i valori pressori.La pressione arteriosa va misurata in modo accurato (paziente seduto per alcuni minuti a 45°, bracciale a livello del cuore, manicotto dello sfigmomanometro di dimensioni adeguate - almeno l’80% della circonferenza del braccio -, fase I e V di Korotkoff come indici rispettivamente della pressione sistolica e diastolica), in entrambe le braccia e con un apparecchio adeguato.I valori pressori vanno rivalutati dopo un breve (10 – 30 min) periodo di osservazione

CRISI IPERTENSIVEMODALITA’ DI TRATTAMENTO

Nel paziente con urgenza ipertensiva va eseguita una accurata valutazione delle terapie assunte:

se il problema è legato alla mancata assunzione regolare degli antiipertensivi, è indicato il ripristino del trattamento antiipertensivo precedente;

se il paziente assumeva regolarmente la terapia, è consigliabile aumentare la dose dell’antiipertensivo, o aggiungere un altro farmaco;

se il paziente non era in trattamento, va iniziata una terapia con un farmaco antiipertensivo a lunga durata di azione, scegliendolo in base alle comorbidità presenti ed ai potenziali effetti collaterali (ad es. ACE-inibitori nel paziente diabetico con nefropatia, beta-bloccanti senza ISA e ACE-inibitori nel paziente con cardiopatia ischemica, ACE-inibitori e diuretici nel paziente con scompenso cardiaco, calcio–antagonisti a lunga durata di azione nel paziente anziano con pregressi TIA/ictus).

CRISI IPERTENSIVE

Alle ore 9 del mattino si presenta al Pronto Soccorso dell'ospedale una signora di 70 anni che aveva accusato al risveglio temporaneo impaccio motorio agli arti di sinistra. L'esame obiettivo neurologico risulta normale come pure una TAC. Si riscontra, però, una pressione arteriosa di 230/140 mm Hg .

Fausto AvanziniDipartimento di Ricerche Cardiovascolari

Istituto "Mario Negri", Milano

CRISI IPERTENSIVE

Viene così somministrata della nifedipina, 10 mg sublinguali.

Fausto AvanziniDipartimento di Ricerche Cardiovascolari

Istituto "Mario Negri", Milano

CRISI IPERTENSIVE

Si tratta, come acutamente osservato da Grossman, di un intervento “semplice, dal successo immediato, che in genere impressiona il paziente e fornisce una certa gratificazione al medico.

Tuttavia, il successo nel correggere i numeri è da considerare una mera cosmesi della PA”.

Grossman et al. JAMA 1996; 276: 1328-31.

CRISI IPERTENSIVE

I valori pressori si abbassano rapidamente a 180/85 mm Hg ma compare un quadro di franca emiparesi sinistra.

Fausto AvanziniDipartimento di Ricerche Cardiovascolari

Istituto "Mario Negri", Milano

La nifedipina s.l. nelle crisi ipertensive può provocare severa ipotensione, stroke, infarto, disturbi della conduzione cardiaca, morte.

A causa di ciò e della mancanza di documentazione che ne attesti il beneficio, il suo uso deve essere abbandonato.

GROSSMAN E. ET AL, JAMA, 1996, 276: 1328-31

CRISI IPERTENSIVE

Raramente sono i valori di pressione in sé, per quanto alti, a definire questo rischio quanto piuttosto il contesto clinico nel quale si sviluppano e in particolare: la pressione arteriosa usuale del paziente e la presenza di danni d'organo a livello degli organi bersaglio dell'ipertensione (cervello, cuore, rene).

É di fondamentale importanza cioè, prima di iniziare qualsiasi trattamento farmacologico indagare e tenere in considerazione:

1. lo stato pressorio usuale del paziente: è ben più grave una condizione di marcata ipertensione in un soggetto con storia di normotensione rispetto a quella di un paziente cronicamente esposto a valori pressori alti.

2. la presenza di danni d'organo sviluppatisi acutamente: ad esempio, edema della papilla all'esame del fondo dell'occhio nell'ipertensione cosiddetta maligna;

3. la presenza di complicanze cliniche a livello degli organi bersaglio dell'ipertensione (ad esempio, infarto miocardico acuto, angina instabile, edema polmonare, dissecazione aortica, encefalopatia ipertensiva, ...), o nel corso di una gravidanza, lo sviluppo di un'eclampsia

Fausto AvanziniDipartimento di Ricerche Cardiovascolari

Istituto "Mario Negri", Milano

CRISI IPERTENSIVE

Non è inutile ricordare la presenza della cosiddetta "autoregolazione" dei flussi sanguigni a livello dei diversi circoli distrettuali, in particolare di quello cerebrale, che tende a mantenere una costanza di perfusione a fronte di variazioni pressorie. Questo meccanismo di salvaguardia della funzione dei diversi organi può essere messo in crisi per variazioni estreme (in entrambi i sensi) dei valori pressori. In particolare, una elevazione critica dei livelli di pressione arteriosa può superare il limite superiore dell'autoregolazione e creare uno stato di iperperfusione che, a livello cerebrale, puòcausare edema (con i segni ed i sintomi dell'encefalopatia ipertensiva) e, se non trattato adeguatamente, portare anche a morte il paziente. In condizioni di cronica elevazione dei valori pressori, l'organismo ritara verso l'alto i limiti dell'autoregolazione: è questo ovviamente un meccanismo di difesa, ma espone il paziente ai rischi di ipoperfusione nel caso di un eccessivo (anche se a valori "normali") e troppo rapido abbassamento dei valori pressori

Fausto AvanziniDipartimento di Ricerche Cardiovascolari

Istituto "Mario Negri", Milano

CRISI IPERTENSIVEIn presenza cioè di "crisi ipertensiva" nel contesto di un quadro clinico acuto, è ovviamente critico abbassare (non

necessariamente normalizzare!) rapidamente i valori pressori; sono queste le situazioni in cui è raccomandabile l'uso di farmaci (quali il nitroprussiato o la nitroglicerina) per via endovenosa, a rapido inizio di azione ed altrettanto breve emivita così da poterne dosare l'effetto ed evitare il sovradosaggio. Nei casi di evidenza di danno d'organo acuto èinvece, in genere, sufficiente una riduzione della pressione arteriosa nel corso di qualche ora, con preparati somministrati per via orale e con azione non immediata, quali ad esempio, i diuretici dell'ansa, gli ACE inibitori o i calcio antagonisti a lunga durata di azione. Nella stragrande maggioranza dei casi, però, in assenza di segni o sintomi riferibili all'ipertensione, pur in presenza di valori pressori elevati, non è necessaria una riduzione immediata; anzi, talvolta, è proprio la brusca riduzione della pressione a causare più di un guaio.Per l'effetto ipotensivo, talora assai marcato, rapido e protratto, l'uso della nifedipina in formulazione pronta in corso di "crisi ipertensive" è stata associata a numerose segnalazioni in letteratura di gravi effetti indesiderati quali ischemia cerebrale transitoria o ictus, ischemia miocardica o infarto, grave ipotensione, disturbi di conduzione, ecc...In questo contesto le più recenti raccomandazioni (riprese dall'ultima autorevole versione delle linee guida americane del Joint National Committee on Detection, Evaluation, and Treatment of High Blood Pressure1 sconsigliano l'uso della nifedipina sublinguale nel trattamento delle emergenze/urgenze ipertensive. La stessa Food and Drug Administration non ha mai approvato l'uso della nifedipina in formulazione a pronto rilascio, non solo nel trattamento delle "crisi ipertensive", ma per qualsiasi forma di ipertensione! Usata, infatti, nel contesto della vera emergenza ipertensiva, la nifedipina sublinguale non garantisce la velocità di azione, l'entità dell'effetto e la durata dei preparati per infusione endovenosa; nel ben più frequente utilizzo in presenza di "pseudoemergenza ipertensiva", la nifedipina è stata, invece, addirittura causa di alcuni gravi inconvenienti quali ictus cerebrale o infarto miocardico2.

Fausto AvanziniDipartimento di Ricerche Cardiovascolari

Istituto "Mario Negri", Milano

45 pazienti trattatti con captopril s.l., nifedipina s.l. nifedipina retard.

Tutti i trattamenti si sono dimostrati efficaci.La forma redard della Nifedipina è sicura perché

non provoca le brusche cadute pressorie della forma a pronto rilascio.

DAMASCENO A. ET AL. - J HUM HYPERTENS, 1997, 11: 471-6

CRISI IPERTENSIVE

Considerando la bassa probabilità che una crisi ipertensiva in assenza di segni di danno acuto d’organo provochi complicazioni cliniche nelle successive 24-48 ore, la riduzione rapida della PA non è da considerarsi indicata nell’urgenza ipertensiva. Alcuni consigli sulla condotta da tenere sono riportati di seguito:

se il paziente era in trattamento ma non assumeva con regolarità la terapia, può essere indicato il ripristino del trattamento precedente;

se il paziente assumeva regolarmente la terapia, è consigliabile aumentare la dose o aggiungere un altro farmaco;

se il paziente non era in trattamento, va iniziata una terapia, privilegiando una terapia con un farmaco a lunga durata d’azione;

in tutti i casi, va programmato un controllo ravvicinato (in genere entro 1 settimana), per verificare l’aderenza al trattamento ed eseguire gli opportuni aggiustamenti terapeutici.

Giuseppe Schillaci, et al. Ital Heart J 2000; 1 (Suppl 5): 79-81