Angina Cronica Stabile > Angina pectoris Stabile ESC 2006

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535 Tradotto da Guidelines on the management of stable angina pectoris: executive summary. The Task Force on the Management of Stable Angina Pectoris of the European Society of Cardiology. Eur Heart J 2006; 27: 1341-81. Per la corrispondenza: Prof. Paolo Golino Cattedra di Cardiologia Seconda Università di Napoli Dipartimento di Scienze Cardiologiche A.O. San Sebastiano Via Tescione 81100 Caserta E-mail: [email protected] Dr. Stefano Savonitto Dipartimento Cardiovascolare “A. De Gasperis” A.O. Niguarda Ca’Granda Piazza Ospedale Maggiore, 3 20162 Milano E-mail: stefano.savonitto@ fastwebnet.it Linee guida Linee guida per il trattamento dell’angina pectoris stabile: riassunto esecutivo Task Force per il Trattamento dell’Angina Pectoris Stabile della Società Europea di Cardiologia Autori/Membri della Task Force Kim Fox (Chairperson), Maria Angeles Alonso Garcia (Madrid, Spagna), Diego Ardissino (Parma, Italia), Pawel Buszman (Katowice, Polonia), Paolo G. Camici (Londra, UK), Filippo Crea (Roma, Italia), Caroline Daly (Londra, UK), Guy De Backer (Gent, Belgio), Paul Hjemdahl (Stoccolma, Svezia), José Lopez-Sendon (Madrid, Spagna), Jean Marco (Tolosa, Francia), João Morais (Leiria, Portogallo), John Pepper (Londra, UK), Udo Sechtem (Stoccarda, Germania), Maarten Simoons (Rotterdam, Olanda), Kristian Thygesen (Aarhus, Danimarca) Commissione della Società Europea di Cardiologia per le Linee Guida Pratiche Silvia G. Priori (Chairperson) (Italia), Jean-Jacques Blanc (Francia), Andrzej Budaj (Polonia), John Camm (UK), Veronica Dean (Francia), Jaap Deckers (Olanda), Kenneth Dickstein (Norvegia), John Lekakis (Grecia), Keith McGregor (Francia), Marco Metra (Italia), João Morais (Portogallo), Ady Osterspey (Germania), Juan Tamargo (Spagna), José L. Zamorano (Spagna) Revisori del Documento José L. Zamorano (Coordinatore) (Spagna), Felicita Andreotti (Italia), Harald Becher (UK), Rainer Dietz (Germania), Alan Fraser (UK), Huon Gray (UK), Rosa Ana Hernandez Antolin (Spagna), Kurt Huber (Austria), Dimitris T. Kremastinos (Grecia), Attilio Maseri (Italia), Hans-Joachim Nesser (Austria), Tomasz Pasierski (Polonia), Ulrich Sigwart (Svizzera), Marco Tubaro (Italia), Michael Weis (Germania) Revisione italiana a cura di Paolo Golino e Stefano Savonitto (G Ital Cardiol 2006; 7 (8): 535-583) PREFAZIONE ............................................ 536 INTRODUZIONE ........................................ 537 DEFINIZIONE E FISIOPATOLOGIA................. 537 EPIDEMIOLOGIA........................................ 537 STORIA NATURALE E PROGNOSI ................. 537 DIAGNOSI E VALUTAZIONE......................... 538 Sintomi e segni ....................................... 538 Test di laboratorio............................... 540 Radiografia del torace ........................ 541 Esami cardiaci non invasivi .................... 541 Elettrocardiogramma a riposo ............ 541 Elettrocardiogramma da sforzo .......... 542 Test da sforzo associato a tecniche di imaging .......................................... 543 Tecniche non invasive per la valutazione delle calcificazioni e dell’anatomia coronariche ................. 546 Tecniche invasive per la valutazione dell’anatomia coronarica ....................... 546 Coronarografia ................................... 546 Stratificazione del rischio ...................... 547 Stratificazione del rischio mediante valutazione clinica ............................. 547 Stratificazione del rischio mediante test provocativi .................................. 548 Stratificazione del rischio mediante valutazione della funzione ventricolare 550 Stratificazione del rischio mediante coronarografia ................................... 550 Considerazioni diagnostiche particolari: angina con coronarie “normali” ............ 551 Sindrome X ........................................ 551 Diagnosi di sindrome X ..................... 554 Angina variante/vasospastica ............ 554

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Tradotto da Guidelines onthe management of stableangina pectoris: executivesummary. The Task Forceon the Management ofStable Angina Pectoris ofthe European Society ofCardiology. Eur Heart J2006; 27: 1341-81.

Per la corrispondenza:

Prof. Paolo Golino

Cattedra di CardiologiaSeconda Università diNapoliDipartimento di Scienze CardiologicheA.O. San SebastianoVia Tescione81100 CasertaE-mail:[email protected]

Dr. Stefano Savonitto

DipartimentoCardiovascolare“A. De Gasperis”A.O. NiguardaCa’GrandaPiazza OspedaleMaggiore, 320162 MilanoE-mail:[email protected]

Linee guidaLinee guida per il trattamento dell’anginapectoris stabile: riassunto esecutivoTask Force per il Trattamento dell’Angina Pectoris Stabiledella Società Europea di Cardiologia

Autori/Membri della Task ForceKim Fox (Chairperson), Maria Angeles Alonso Garcia (Madrid, Spagna),Diego Ardissino (Parma, Italia), Pawel Buszman (Katowice, Polonia),Paolo G. Camici (Londra, UK), Filippo Crea (Roma, Italia), Caroline Daly (Londra, UK),Guy De Backer (Gent, Belgio), Paul Hjemdahl (Stoccolma, Svezia),José Lopez-Sendon (Madrid, Spagna), Jean Marco (Tolosa, Francia),João Morais (Leiria, Portogallo), John Pepper (Londra, UK),Udo Sechtem (Stoccarda, Germania), Maarten Simoons (Rotterdam, Olanda),Kristian Thygesen (Aarhus, Danimarca)

Commissione della Società Europea di Cardiologia per le Linee Guida PraticheSilvia G. Priori (Chairperson) (Italia), Jean-Jacques Blanc (Francia),Andrzej Budaj (Polonia), John Camm (UK), Veronica Dean (Francia),Jaap Deckers (Olanda), Kenneth Dickstein (Norvegia), John Lekakis (Grecia),Keith McGregor (Francia), Marco Metra (Italia), João Morais (Portogallo),Ady Osterspey (Germania), Juan Tamargo (Spagna), José L. Zamorano (Spagna)

Revisori del DocumentoJosé L. Zamorano (Coordinatore) (Spagna), Felicita Andreotti (Italia),Harald Becher (UK), Rainer Dietz (Germania), Alan Fraser (UK), Huon Gray (UK),Rosa Ana Hernandez Antolin (Spagna), Kurt Huber (Austria),Dimitris T. Kremastinos (Grecia), Attilio Maseri (Italia), Hans-Joachim Nesser (Austria),Tomasz Pasierski (Polonia), Ulrich Sigwart (Svizzera), Marco Tubaro (Italia),Michael Weis (Germania)

Revisione italiana a cura di Paolo Golino e Stefano Savonitto

(G Ital Cardiol 2006; 7 (8): 535-583)

PREFAZIONE ............................................ 536INTRODUZIONE ........................................ 537DEFINIZIONE E FISIOPATOLOGIA................. 537EPIDEMIOLOGIA........................................ 537STORIA NATURALE E PROGNOSI ................. 537DIAGNOSI E VALUTAZIONE......................... 538Sintomi e segni ....................................... 538

Test di laboratorio............................... 540Radiografia del torace ........................ 541

Esami cardiaci non invasivi .................... 541Elettrocardiogramma a riposo ............ 541Elettrocardiogramma da sforzo .......... 542Test da sforzo associato a tecnichedi imaging .......................................... 543Tecniche non invasive per lavalutazione delle calcificazioni edell’anatomia coronariche ................. 546

Tecniche invasive per la valutazionedell’anatomia coronarica ....................... 546

Coronarografia ................................... 546Stratificazione del rischio ...................... 547

Stratificazione del rischio mediantevalutazione clinica ............................. 547Stratificazione del rischio mediantetest provocativi .................................. 548Stratificazione del rischio mediantevalutazione della funzione ventricolare 550Stratificazione del rischio mediantecoronarografia ................................... 550

Considerazioni diagnostiche particolari:angina con coronarie “normali” ............ 551

Sindrome X ........................................ 551Diagnosi di sindrome X ..................... 554Angina variante/vasospastica ............ 554

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PREFAZIONE

Le linee guida e i documenti di consenso degli espertihanno l’obiettivo di presentare raccomandazioni di ge-stione basate sulle evidenze disponibili in merito ad unaspecifica materia al fine di facilitare i medici nella scel-ta della migliore strategia per ciascun paziente, affettoda una determinata patologia, tenendo in considerazio-ne non solo l’impatto sull’outcome, ma anche il rap-porto rischio-beneficio connesso ad una particolareprocedura diagnostica o terapeutica. Numerosi studihanno dimostrato un miglioramento dell’outcomeclinico ogniqualvolta le raccomandazioni delle lineeguida, fondate sulla valutazione rigorosa di indagini ba-sate sull’evidenza, sono state applicate nella pratica cli-nica.

Negli ultimi anni la Società Europea di Cardiologia(ESC), diverse organizzazioni scientifiche ed altre so-cietà affiliate hanno emanato numerose linee guida edocumenti di consenso. Questa profusione rischia di ri-durre l’autorevolezza e la validità delle linee guida,specialmente quando emergono discrepanze fra varidocumenti su uno stesso argomento che possono esse-re fonte di confusione fra i medici. Per evitare questoinconveniente, l’ESC congiuntamente ad altre organiz-zazioni ha emanato delle raccomandazioni per la stesu-ra e l’emissione di linee guida e documenti di consen-so. Tali raccomandazioni sono disponibili sul sito webdell’ESC (www.escardio.org) e se ne riportano le piùimportanti in questa prefazione.

Brevemente, l’ESC incarica gli esperti di una mate-ria di compiere un’approfondita rassegna della lettera-tura per una disamina critica dell’uso delle procedureterapeutiche e diagnostiche e per una valutazione delrapporto rischio-beneficio associato alle terapie racco-mandate per il trattamento e/o la prevenzione di una de-terminata condizione clinica. Laddove esistano dati di-sponibili, sono incluse anche le stime degli outcome at-tesi. La forza dell’evidenza a favore o contro una parti-colare procedura o trattamento è soppesata sulla base discale predefinite per la classificazione delle raccoman-

dazioni e dei livelli di evidenza, come riportato piùavanti.

I membri della Task Force incaricati della stesura edi revisori del documento devono fornire dichiarazionipubbliche su ogni loro rapporto che possa rappresenta-re un reale o potenziale conflitto di interesse. Queste di-chiarazioni sono conservate alla European Heart Hou-se, quartiere generale dell’ESC, e possono essere mes-se a disposizione del Presidente dell’ESC, previa ri-chiesta scritta. Qualsiasi variazione di conflitto di inte-resse che si verifichi durante il periodo di stesura deldocumento deve essere notificata all’ESC.

Le linee guida e le raccomandazioni sono presenta-te in un formato facilmente interpretabile, giacché de-vono essere di ausilio ai medici nella loro pratica clini-ca quotidiana, fornendo una descrizione dei possibiliapprocci diagnostico-terapeutici. Tuttavia, il giudiziofinale relativo alla cura del singolo paziente spetta almedico curante.

La Commissione ESC per le Linee Guida Pratichesupervisiona e coordina la preparazione di nuove lineeguida e di documenti di consenso prodotti dalle TaskForce e dai gruppi di esperti. La Commissione è altresìresponsabile dell’approvazione di queste linee guida edi questi documenti.

Una volta definito ed approvato da tutti gli espertidella Task Force, il documento viene sottoposto per re-visione a specialisti esterni oppure, in alcuni casi, vie-ne presentato per discussione e revisione critica ad unpanel di autorevoli opinion leaders europei, specialistidella materia in esame. Se necessario, il documentoviene nuovamente revisionato ed infine approvato dal-la Commissione per le Linee Guida Pratiche e da alcu-ni membri selezionati del Board dell’ESC e viene suc-cessivamente pubblicato.

Dopo la pubblicazione, è di estrema importanzadiffonderne il contenuto e, in tal senso, risulta utile larealizzazione di riassunti esecutivi e di versioni pockete scaricabili. Tuttavia, alcune indagini hanno dimostra-to che l’utente finale è spesso ignaro dell’esistenza del-le linee guida o più semplicemente non le mette in pra-

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G Ital Cardiol Vol 7 Agosto 2006

TRATTAMENTO ......................................... 555Obiettivi del trattamento ........................ 555Trattamento generale ............................. 555Ipertensione, diabete e altre affezioni .. 556Attività sessuale ................................. 556

TRATTAMENTO FARMACOLOGICO DEI PAZIENTI

CON ANGINA PECTORIS STABILE ................ 556Terapia farmacologica volta almiglioramento della prognosi ................ 556Trattamento farmacologico dei sintomie dell’ischemia ....................................... 561Considerazioni terapeutiche particolari:sindrome X e angina vasospastica ......... 565Rivascolarizzazione miocardica ............ 565

Bypass aortocoronarico ..................... 566

Intervento coronarico percutaneo ...... 566Rivascolarizzazione versusterapia medica .................................... 567Intervento coronarico percutaneoversus intervento chirurgico .............. 568Particolari sottogruppi di pazientie lesioni .............................................. 569Indicazioni alla rivascolarizzazione ... 569

Particolari categorie di pazienti ............. 571Donne ................................................ 571Pazienti diabetici ............................... 572Pazienti anziani .................................. 572Angina cronica refrattaria .................. 573

CONCLUSIONI E RACCOMANDAZIONI ......... 574BIBLIOGRAFIA ......................................... 575

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tica. Si rendono, pertanto, necessari dei programmi diattuazione, che costituiscono una componente impor-tante della diffusione delle raccomandazioni. Alcuniconvegni organizzati dall’ESC sono rivolti alle Societàmembri e agli opinion leaders europei. Similmente, ta-li convegni possono essere organizzati anche a livellonazionale, una volta che le linee guida siano state ap-provate dalle Società membri dell’ESC e, se necessa-rio, tradotte in lingua madre.

Classi delle raccomandazioni.

Classe I Evidenza e/o consenso generale che un ap-proccio diagnostico/trattamento sia vantag-gioso, utile ed efficace

Classe II Evidenza contrastante e/o divergenza di opi-nione circa l’utilità/efficacia del trattamento

Classe IIa Il peso dell’evidenza/opinione è a favoredell’utilità/efficacia

Classe IIb L’utilità/efficacia risulta meno chiaramentestabilita sulla base dell’evidenza/opinione

Classe III Evidenza o consenso generale che il tratta-mento non sia utile/efficace e che in talunicasi possa essere dannoso

Complessivamente, il compito di redigere linee guida odocumenti di consenso prevede sia l’integrazione delleevidenze più recenti sia l’istituzione di mezzi formativie di programmi di attuazione delle raccomandazioni.La chiusura del cerchio composto dalla ricerca clinica,la stesura delle linee guida e la loro attuazione nellapratica clinica può ottenersi solo se siano organizzatistudi e registri volti a verificare che la reale pratica cli-nica sia in linea con quanto raccomandato dalle lineeguida. Tali studi e registri consentono altresì di valuta-re l’impatto di un’attuazione rigorosa delle linee guidasull’outcome dei pazienti.

Livelli di evidenza.

Livello di evidenza A Dati derivati da numerosi trial clini-ci randomizzati o metanalisi

Livello di evidenza B Dati derivati da un singolo trial cli-nico randomizzato o da ampi studinon randomizzati

Livello di evidenza C Consenso degli esperti e/o studi dipiccole dimensioni, studi retrospetti-vi e registri

INTRODUZIONE

L’angina pectoris stabile è un’affezione di frequente ri-scontro e, in taluni casi, disabilitante. Lo sviluppo dinuovi strumenti di valutazione diagnostica e prognosti-ca, unitamente alle crescenti evidenze disponibili rela-tive a differenti strategie terapeutiche, ha fatto sì che si

rendessero necessari una revisione ed un aggiornamen-to delle attuali linee guida1. Pertanto, ottenuto il pareredi un’ampia gamma di esperti, la Task Force ha cerca-to di raggiungere un accordo circa i migliori approcciattuali per la cura dell’angina pectoris stabile in termi-ni sia di efficacia e tollerabilità dei trattamenti sia di co-sti e risorse disponibili. Secondo l’intendimento dellaTask Force, queste linee guida prendono in considera-zione la fisiopatologia e il trattamento dell’angina pec-toris causata dall’ischemia miocardica secondaria a co-ronaropatia (CAD), comunemente di origine macrova-scolare, ma talvolta anche microvascolare. Inoltre, que-sta Task Force non prende in esame la prevenzione pri-maria, già oggetto di altre linee guida recentementepubblicate2, ma si limita alla trattazione della preven-zione secondaria. Recenti linee guida e dichiarazioni diconsenso che collimano in modo sostanziale con quan-to riportato in questo documento sono elencati nellaversione in extenso di queste linee guida, disponibileon-line.

DEFINIZIONE E FISIOPATOLOGIA

L’angina stabile è una sindrome clinica tipicamente ca-ratterizzata da dolore al torace, alla mascella, alle spal-le, alla schiena o alle braccia, che insorge generalmen-te in seguito a sforzo fisico o stress emotivo e cessa conil riposo o l’assunzione di nitroglicerina. Meno tipica èla localizzazione del dolore nella zona epigastrica. Conil termine angina pectoris si è soliti definire quei casi incui questa sindrome è causata da ischemia miocardica,sebbene sintomi sostanzialmente simili possono essereprovocati da disturbi all’esofago, ai polmoni o alla pa-rete toracica. Per quanto l’ischemia miocardica sia piùcomunemente secondaria ad aterosclerosi coronarica, ilsuo riscontro può anche essere dovuto alla presenza dicardiomiopatia dilatativa o ipertrofica, stenosi aortica oaltre rare condizioni cliniche in assenza di aterosclero-si ostruttiva, che non sono contemplate in questo docu-mento.

EPIDEMIOLOGIA

La prevalenza dell’angina aumenta drasticamente inentrambi i sessi con l’avanzare dell’età, da 0.1-1% nel-le donne di età 45-54 anni a 10-15% in quelle di età 65-74 anni e da 2-5% negli uomini di età 45-54 anni a 10-20% in quelli di età 65-74 anni. Pertanto, si calcola chenella maggior parte dei paesi europei 20 000-40 000soggetti per milione di abitanti siano affetti da angina.

STORIA NATURALE E PROGNOSI

Le informazioni prognostiche relative all’angina stabi-le cronica derivano da studi di popolazione prospettici

Task Force per il Trattamento dell’Angina Pectoris Stabile della Società Europea di Cardiologia

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a lungo termine, da trial clinici sulla terapia antiangi-nosa e da registri osservazionali con bias di selezioneda tenere in debita considerazione nella valutazione ecomparazione dei dati disponibili. In soggetti di en-trambi i sessi con quadro clinico iniziale di angina sta-bile, i risultati del Framingham Heart Study3,4 hannodocumentato una incidenza a 2 anni di infarto miocar-dico (IM) non fatale e di morte per cause coronaricherispettivamente, del 14.3 e 5.5% negli uomini e del6.2 e 3.8% nelle donne. Dati più recenti di trial clinicisulla terapia antianginosa e di rivascolarizzazione in-dicano una mortalità ad 1 anno dello 0.9-1.4%5-9 conuna incidenza ad 1 anno di IM non fatale tra lo 0.5%(INVEST)8 e il 2.6% (TIBET)6. Questi dati sono in li-nea con quelli dei registri osservazionali10.

Tuttavia, nell’ambito della popolazione affetta daangina stabile, la prognosi del singolo soggetto puòvariare considerevolmente, fino a 10 volte, a secondadei fattori clinici, funzionali ed anatomici, il che sot-tolinea l’importanza di un’accurata stratificazione delrischio.

DIAGNOSI E VALUTAZIONE

La diagnosi e la valutazione dell’angina comprendonol’esame clinico, test di laboratorio e esami cardiaci spe-cifici. In questa sezione vengono trattati la valutazioneclinico-diagnostica e i test laboratoristici di base. Gliesami specifici cardiaci possono essere di tipo non in-vasivo o invasivo e possono essere utilizzati per confer-mare la diagnosi di ischemia miocardica in pazienti consospetta angina stabile, per identificare o escluderecondizioni concomitanti o fattori precipitanti ai finidella stratificazione del rischio e per valutare l’efficaciadel trattamento. In pratica, la valutazione diagnostica equella prognostica vengono condotte congiuntamente,piuttosto che separatamente, e molte delle indagini ef-fettuate a scopo diagnostico forniscono informazionianche di tipo prognostico. Ai fini della descrizione edella presentazione dell’evidenza, ciascuna metodicainvestigativa con le relative raccomandazioni diagno-stiche sarà discussa più avanti. Gli esami specifici car-diaci routinariamente impiegati per la stratificazionedel rischio sono discussi singolarmente nella sezionesuccessiva. La Figura 1 illustra un algoritmo per la va-lutazione iniziale dei pazienti con sintomi clinici sug-gestivi di angina.

Sintomi e segni

Un’accurata anamnesi rimane il caposaldo della dia-gnosi di angina pectoris. Nella maggioranza dei casi èpossibile porre diagnosi certa sulla base della solaanamnesi, anche se sono necessari esami obiettivi diconferma e di valutazione della severità della patologiasottostante.

Le caratteristiche del dolore associato all’ischemiamiocardica (angina pectoris) sono state ampiamentedescritte e possono dividersi in quattro categorie, a se-conda della localizzazione, della natura, della durata ecorrelazione con l’esercizio, e di altri fattori riacutiz-zanti o lenitivi. Il dolore provocato dall’ischemia mio-cardica è generalmente localizzato al torace, in prossi-mità dello sterno, ma può essere avvertito ovunque fral’epigastrio e la mascella inferiore o i denti, fra le sca-pole o in entrambe le braccia, al polso e alle dita. Il do-lore viene solitamente riferito come un senso di pres-sione, compressione o pesantezza, talvolta soffocante,opprimente o pungente. La severità del dolore è estre-mamente variabile e non è correlata con la severità del-la CAD sottostante. La dispnea può accompagnarsi al-l’angina e il dolore toracico può anche essere associatoa sintomi meno specifici quali affaticamento o debolez-za, nausea, eruttazione, irrequietezza o senso di cata-strofe imminente.

Il dolore, la cui durata è breve e non supera nellamaggior parte dei casi i 10 min se non meno, si associapropriamente all’esercizio, allo svolgimento di attivitàspecifiche o a stress emotivo. Infatti, la sintomatologiatende a peggiorare con l’aumentare del livello di impe-gno fisico, come camminare in salita o controvento, escompare rapidamente nell’arco di pochi minuti conl’affievolirsi dei fattori scatenanti. La riacutizzazionedei sintomi dopo un pasto pesante o nelle prime ore delmattino è tipica dell’angina. L’assunzione di nitrati pervia orale o sublinguale allevia prontamente l’angina;pari effetto può essere ottenuto con compresse di nife-dipina sotto forma di gomma da masticare.

Il dolore di origine non anginosa è privo delle carat-teristiche sopra descritte, può coinvolgere solo parzial-mente l’emitorace sinistro e dura per alcune ore o per-sino giorni. Generalmente non regredisce mediantesomministrazione di nitroglicerina (se non in caso dispasmo esofageo) e può essere provocato dalla palpa-zione. In tali circostanze, non è necessario valutareeventuali cause extracardiache.

Le definizioni di angina tipica e atipica sono già statepubblicate11 e sono riassunte nella Tabella 1. Al momen-to dell’anamnesi, è importante identificare i pazienti af-fetti da angina instabile, potenzialmente associata a rottu-ra di placca, che sono in maniera significativa ad elevatorischio di un evento coronarico acuto a breve termine.L’angina instabile si manifesta in una delle seguenti treforme: a) angina a riposo, caratterizzata da dolore loca-lizzato che si sviluppa a riposo e per tempi prolungati, fi-no a 20 min; b) angina ingravescente, che si sovrapponead un’angina stabile con graduale aumento della severitàe dell’intensità e una ridotta soglia del dolore nell’arco di4 settimane o meno; c) angina di recente insorgenza, chesi sviluppa nei 2 mesi precedenti comportando rilevantilimitazioni allo svolgimento delle attività abituali. Le in-dagini e le strategie terapeutiche da adottare in presenzadi sospetta angina instabile sono riportate nelle linee gui-da sul trattamento delle sindromi coronariche acute.

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Nei pazienti con angina stabile, è inoltre utile avvaler-si dei sistemi di stadiazione, come quello della CanadianCardiovascular Society (CCS) (Tabella 2)12, per una cor-retta classificazione della sintomatologia. Alternativamen-te, possono essere impiegati il Duke Specific Activity In-dex13 e il Seattle Angina Questionnaire14 per determinare ilgrado di danno funzionale e quantificare la risposta alla te-rapia, con valore prognostico potenzialmente superiore15.

In caso di (sospetta) angina pectoris, l’esame obiet-tivo è essenziale per determinare l’eventuale presenza

di ipertensione, valvulopatia e cardiomiopatia ipertrofi-ca ostruttiva. Esso deve comprendere la valutazionedell’indice di massa corporea e della circonferenza vi-ta per facilitare la documentazione di sindrome meta-bolica16,17, patologia vascolare extracardiaca asintoma-tica e altre comorbilità. Durante o subito dopo un epi-sodio di ischemia miocardica, la presenza di un terzo oquarto tono cardiaco all’auscultazione può essere sug-gestivo di insufficienza mitralica. Tuttavia, questi segnisono elusivi e aspecifici.

Task Force per il Trattamento dell’Angina Pectoris Stabile della Società Europea di Cardiologia

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Figura 1. Algoritmo per la valutazione iniziale del paziente con sintomi clinici di angina. CABG = bypass aortocoronarico; CAD = coronaropatia; DM= diabete mellito; ECG = elettrocardiogramma; IM = infarto miocardico; PCI = intervento coronarico percutaneo; RM = risonanza magnetica; SCA= sindrome coronarica acuta.

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Test di laboratorioComplessivamente, le indagini di laboratorio si suddi-vidono tra quelle in grado di fornire informazioni sullepossibili cause di ischemia, quelle impiegate per defi-nire i fattori di rischio cardiovascolare e le concomitan-ti condizioni cliniche e quelle di valore prognostico.

I valori dell’emoglobina e degli ormoni tiroidei incaso di sospetta patologia tiroidea forniscono informa-zioni sulle possibili cause di ischemia. Un emocromocompleto, comprensivo della conta leucocitaria e deivalori emoglobinici, consente di ottenere dati progno-stici aggiuntivi18. La misurazione dei livelli di creatini-na sierica è un modo semplice oltre che banale di valu-tazione della funzione renale ed è consigliata nelloscreening iniziale dei pazienti con sospetta angina. Incaso di sospetta instabilità clinica, i marker biochimicidi danno miocardico, come la troponina e la creatinchi-nasi-MB massa, possono essere utilizzati per escluderela presenza di lesioni miocardiche. Qualora i valori ditali marker siano elevati, si deve procedere al tratta-mento configurando un quadro di sindrome coronaricaacuta piuttosto che di angina stabile. Dopo la valuta-zione iniziale, non si consiglia di eseguire routinaria-mente questi esami nei successivi controlli.

In tutti i pazienti con sospetta patologia ischemica,inclusa l’angina stabile, al fine di determinarne il profi-lo di rischio e l’eventuale intervento terapeutico, è ne-cessario valutare i livelli di glicemia plasmatica a di-giuno e il profilo lipidico a digiuno, comprensivo deivalori di colesterolo totale, colesterolo correlato alle li-poproteine ad alta (HDL) e bassa densità (LDL) e di tri-gliceridi. Per verificare l’efficacia del trattamento e lapossibile insorgenza di diabete in pazienti non diabeti-ci, il profilo lipidico e la glicemia devono essere valu-tati periodicamente. Malgrado non siano disponibilidati atti a definire raccomandazioni sulle modalità del-le successive valutazioni, si consigliano misurazioniannuali o più ravvicinate nel caso di pazienti con eleva-ti valori lipidici e glicemici nei quali sia necessario mo-nitorare l’andamento dell’intervento terapeutico.

È stato dimostrato che elevati valori glicemici a di-giuno o dopo test da carico ed elevati valori di emoglo-bina glicosilata costituiscono indici predittivi di outco-me sfavorevole, indipendentemente dalla presenza deiclassici fattori di rischio. L’obesità e in particolar modola sindrome metabolica rappresentano fattori di aumen-tato rischio cardiovascolare tanto in pazienti con pato-logia nota quanto in quelli asintomatici. La presenza disindrome metabolica può essere accertata mediante lamisurazione della circonferenza vita (o indice di massacorporea), della pressione arteriosa, del colesteroloHDL, dei trigliceridi e dei valori glicemici a digiuno,fornendo informazioni prognostiche supplementari aquelle derivabili dal tradizionale calcolo del rischio conil punteggio di Framingham, senza comportare alcuncosto aggiuntivo degli esami di laboratorio.

Si è discusso molto circa l’utilità di eseguire ulte-riori indagini laboratoristiche, quali la misurazione del-le apoliporoteine A e B, dell’omocisteina, della lipo-proteina(a), delle alterazioni dell’emostasi20 e dellaproteina C-reattiva con metodica ad alta sensibilità21

che potrebbero migliorare il calcolo del rischio21,22.Tuttavia, i marker di infiammazione possono rivelarsifattori predittivi di rischio poco attendibili a lungo ter-mine, in considerazione della loro ampia variabilità neltempo23. Studi recenti hanno dimostrato che la frazioneN-terminale del peptide natriuretico di tipo B è un im-portante fattore predittivo di mortalità a lungo termine,indipendentemente dall’età, dalla frazione di eiezione edai classici fattori di rischio24. Al momento, non sonodisponibili prove convincenti sul valore aggiunto chetali marker biochimici possono fornire alle attuali stra-tegie terapeutiche, tali da raccomadarne l’impiego intutti i pazienti, specialmente alla luce di considerazionieconomiche e di disponibilità. Ciononostante, tali mi-surazioni possono trovare impiego in casi particolari,ad esempio per l’analisi delle alterazioni emostatiche inpazienti con pregresso IM senza fattori di rischio25 ocon evidente anamnesi di CAD, o quando vi sia dispo-nibilità di risorse. Si richiedono nuove ricerche atte avalutare il loro utilizzo clinico.

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Tabella 1. Classificazione clinica del dolore toracico.

Angina tipica Soddisfa tre delle seguenti caratteristiche:(certa) - dolore toracico retrosternale di tipo e dura-

- ta tipici- provocata da esercizio fisico o stress emo-- tivo- regredita a riposo e/o con nitroglicerina

Angina atipica Soddisfa due delle precedenti caratteristiche(probabile)Dolore toracico Soddisfa una o nessuna delle precedenti ca-non cardiaco ratteristiche

Tabella 2. Classificazione della severità dell’angina secondo laCanadian Cardiovascular Society.

Classe Livello dei sintomi

Classe I “Le attività abituali non provocano angina”Insorgenza di angina solo dopo intenso o rapido oprolungato esercizio fisico

Classe II “Moderata limitazione delle attività abituali”Insorgenza di angina camminando e salendo lescale rapidamente, camminando in salita, dopopranzo, con il freddo, per stress emotivo o nelleprime ore del mattino

Classe III “Marcata limitazione delle attività fisiche abituali”Insorgenza di angina camminando in piano peruno o due isolati* o salendo un piano di scale adandatura e in condizioni normali

Classe IV “Impossibilità a svolgere qualunque attività fisicasenza dolore” o “angina a riposo”

* pari a 100-200 m.

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Raccomandazioni per l’esecuzione di indaginidi laboratorio nella valutazione iniziale dei pazienticon anginaClasse I (in tutti i pazienti)1) Profilo lipidico a digiuno, comprensivo di colestero-lo totale, colesterolo LDL, colesterolo HDL e triglice-ridi (livello di evidenza B).2) Glicemia a digiuno (livello di evidenza B).3) Emocromo completo, comprensivo della misurazio-ne dei valori emoglobinici e della conta leucocitaria (li-vello di evidenza B).4) Creatinina (livello di evidenza C).

Classe I (se indicato in base alla valutazione clinica)1) Marker di danno miocardico, se la valutazione sug-gerisce instabilità clinica o sindrome coronarica acuta(livello di evidenza A).2) Funzione tiroidea, se opportuno dal punto di vistaclinico (livello di evidenza C).

Classe IIa1) Test di tolleranza orale al glucosio (livello di eviden-za B).

Classe IIb1) Proteina C reattiva ad alta sensibilità (livello di evi-denza B).2) Lipoproteina(a), apolipoproteine A e B (livello dievidenza B).3) Omocisteina (livello di evidenza B).4) Emoglobina glicosilata (livello di evidenza B).5) Frazione N-terminale del peptide natriuretico di tipoB (livello di evidenza B).

Raccomandazioni per l’esecuzione di test ematicinella valutazione routinaria dei pazienti con anginastabile cronicaClasse IIa1) Profilo lipidico e glicemia a digiuno da effettuare 1volta l’anno (livello di evidenza C).

Radiografia del toraceL’Rx-torace è di uso frequente nella valutazione dei pa-zienti con sospetto di malattie cardiache. Tuttavia, inconsiderazione del fatto che nei pazienti con anginastabile l’Rx-torace non è in grado di fornire informa-zioni specifiche di tipo diagnostico o utili ai fini dellastratificazione del rischio, questo esame deve essereeseguito unicamente in presenza di sospetto scompen-so cardiaco, valvulopatia o malattia polmonare. Il ri-scontro di cardiomegalia, congestione polmonare, dila-tazione atriale e calcificazioni cardiache ha rilevanzaprognostica.

Raccomandazioni per l’esecuzione della radiografiadel torace nella valutazione iniziale dei pazienticon anginaClasse I

1) Rx-torace in pazienti con sospetto scompenso car-diaco (livello di evidenza C).2) Rx-torace in pazienti con riscontro clinico di malat-tia polmonare significativa (livello di evidenza B).

Esami cardiaci non invasivi

Questa sezione è dedicata alle indagini utilizzate per lavalutazione dell’angina e si limita alle raccomandazio-ni per il loro impiego a fini prognostici e valutativi del-l’efficacia terapeutica, mentre le raccomandazioni vol-te alla stratificazione del rischio saranno riportate nellasezione successiva. In ragione dell’esiguità del numerodi trial che abbiano preso in esame la misura degli out-come dei test diagnostici, le evidenze disponibili sonostate raggruppate in base ai dati degli studi non rando-mizzati o delle metanalisi di questi studi.

Elettrocardiogramma a riposoTutti i pazienti con sintomatologia tipica per sospettaangina pectoris devono essere sottoposti a un elettro-cardiogramma (ECG) a riposo a 12 derivazioni. Occor-re sottolineare che un tracciato ECG a riposo normalenon è infrequente persino in pazienti con angina severae non esclude la presenza di ischemia. Tuttavia, l’ECGa riposo può documentare segni di CAD, quali un pre-gresso IM o alterazioni della ripolarizzazione. Se regi-strato durante la comparsa del dolore, l’ECG può esse-re utile nella diagnosi differenziale, consentendo diidentificare modificazioni dinamiche del tratto ST inpresenza di ischemia e segni di patologia pericardica.Ancor più innegabile è la sua utilità in caso di sospettovasospasmo, sempre se registrato durante la comparsadel dolore. L’ECG può evidenziare anche altre anoma-lie come, ad esempio, ipertrofia ventricolare sinistra,blocco di branca, preeccitazione, aritmie o disturbi del-la conduzione. Le informazioni che ne derivano posso-no essere di ausilio nell’identificazione dei meccanismiresponsabili del dolore toracico, nella prescrizione diopportune indagini integrative e nella personalizzazio-ne del trattamento. L’ECG a riposo riveste un ruolo fon-damentale anche nella stratificazione del rischio, comesottolineato nella successiva relativa sezione. Non esi-stono dati sufficienti a favore dell’esecuzione routinariaripetuta nel tempo dell’ECG a riposo, salvo che per lanecessità di una registrazione durante la comparsa deldolore o per il verificarsi di un cambiamento di classefunzionale.

Raccomandazioni per l’esecuzionedell’elettrocardiogramma a riposo nella valutazionediagnostica iniziale dei pazienti con anginaClasse I1) ECG a riposo in assenza di dolore (livello di eviden-za C).2) ECG a riposo durante la comparsa del dolore (se pos-sibile) (livello di evidenza B).

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Raccomandazioni per l’esecuzionedell’elettrocardiogramma a riposo nei successivicontrolli di routine in pazienti con anginastabile cronicaClasse IIb1) ECG periodico di routine in assenza di variazioni cli-niche (livello di evidenza C).

Elettrocardiogramma da sforzoL’ECG da sforzo ha una maggiore sensibilità e specifi-cità rispetto all’ECG a riposo nel rilevare l’ischemiamiocardica e, per motivi di disponibilità ed economici,rappresenta il test d’elezione nella maggioranza dei pa-zienti con sospetta angina stabile per identificare l’i-schemia inducibile. Sono stati condotti numerosi studie metanalisi sulle modalità di esecuzione dell’ECG dasforzo per porre diagnosi di CAD26-29. Adottando il ri-scontro di sottoslivellamento del tratto ST durante eser-cizio come soglia di positività del test, sono state ripor-tate una sensibilità e una specificità nell’identificazionedi CAD significativa rispettivamente del 23-100% (me-dia 68%) e del 17-100% (media 77%). Gran parte deglistudi includono popolazioni di pazienti senza significa-tive alterazioni ECG di base e non in trattamento an-tianginoso o con terapia anginosa sospesa al momentodell’esecuzione del test. L’ECG da sforzo non ha pote-re diagnostico in presenza di blocco di branca sinistro,ritmo da pacemaker e sindrome di Wolff-Parkinson-White, che non consentono di valutare le alterazioniECG. Inoltre, risultati falsi positivi sono di più fre-quente riscontro in pazienti con alterato ECG a riposoin presenza di ipertrofia ventricolare sinistra, disturbielettrolitici, anomalie della conduzione intraventricola-re e uso di digitale. Nelle donne l’ECG da sforzo ha unaminore sensibilità e specificità30.

Per l’interpretazione diagnostica dell’ECG da sfor-zo viene adottato l’approccio Bayesiano che, coniugan-do una determinata probabilità pre-test di malattia coni risultati dei test diagnostici, determina una probabilitàpost-test di malattia individuale, specifica per ciascunpaziente. La probabilità pre-test dipende dalla preva-lenza della patologia nella popolazione di studio e dal-le caratteristiche cliniche del paziente31. Ne deriva che,nell’ottica di identificare la presenza di CAD, la proba-bilità pre-test è influenzata dall’età e dal sesso e si mo-difica in base alla natura della sintomatologia di cia-scun paziente prima che i risultati del test da sforzo sia-no impiegati per definire la probabilità post-test o pro-babilità a posteriori di CAD.

Nell’analizzare i risultati della prova da sforzo, ol-tre alle alterazioni ECG devono essere presi in conside-razione il carico di lavoro, l’aumento della frequenzacardiaca, la risposta pressoria, la fase di recupero e ilcontesto clinico32. È stato riportato che la valutazionecongiunta delle modificazioni del tratto ST e della fre-quenza cardiaca può migliorare l’attendibilità delleinformazioni prognostiche33, ma tale osservazione puònon estendersi alle popolazioni sintomatiche34.

Il test da sforzo deve essere eseguito solo dopo at-tenta valutazione clinica della sintomatologia e dopoesame obiettivo, incluso l’ECG a riposo. Non deve, in-vece, essere effettuato routinariamente in pazienti af-fetti da documentata stenosi aortica severa o cardio-miopatia ipertrofica, se non in casi selezionati e sottostretta sorveglianza allo scopo di valutare la capacitàfunzionale.

Devono essere annotate le cause che hanno indottoall’interruzione della prova da sforzo e i sintomi e la lo-ro severità al momento dell’interruzione, così come de-vono essere valutati il tempo di insorgenza delle altera-zioni ECG e/o dei sintomi, il tempo complessivo diesercizio, la risposta pressoria e della frequenza cardia-ca, l’entità e la severità delle alterazioni ECG e l’entitàdella loro regressione, e la frequenza cardiaca nella fa-se di recupero. In caso di test da sforzo ripetuti, può es-sere utilizzata la scala di Borg, o metodi analoghi di va-lutazione dell’intensità dei sintomi, per procedere aduna comparazione dei risultati35. Le cause di interru-zione di una prova da sforzo sono elencate nella Tabel-la 3.

In alcuni pazienti, l’ECG da sforzo può non esseredirimente, come quando non viene raggiunto l’85%della frequenza cardiaca massima in assenza di sintomio ischemia, quando l’esecuzione della prova è condi-zionata da problemi extracardiaci od ortopedici, o inpresenza di alterazioni ECG dubbie. Un test da sforzodai risultati non risolutivi deve essere seguito da altroesame diagnostico non invasivo, a meno che il pazien-te non abbia una probabilità pre-test di CAD estrema-mente bassa (< 10%). Inoltre, un test “normale” in unpaziente in terapia antischemica non necessariamenteesclude la presenza di CAD significativa36. A scopodiagnostico, la prova da sforzo deve essere eseguita inpazienti non in terapia antischemica, anche se questonon è sempre possibile e scevro da rischi.

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Tabella 3. Cause di interruzione del test da sforzo.

Il test da sforzo può essere interrotto per una delle seguenti mo-tivazioni:1. Insorgenza di sintomi, quali dolore, affaticamento, dispnea e

claudicatio2. Associazione dei sintomi come il dolore con significative al-

terazioni del tratto ST3. Ragioni di sicurezza quali:

a) marcato sottoslivellamento del tratto ST (> 2 mm indica-zione relativa e ≥ 4 mm indicazione assoluta per l’interru-zione del test)

b) sopraslivellamento del tratto ST ≥ 1 mmc) aritmie significatived) repentina diminuzione della pressione arteriosa sistolica

> 10 mmHge) marcata ipertensione (pressione sistolica > 250 mmHg o

pressione diastolica > 115 mmHg)4. Il raggiungimento della frequenza cardiaca massima teorica

può costituire motivo di interruzione del test, a discrezione delmedico responsabile, in pazienti con ottima tolleranza allosforzo che non siano stanchi

Page 9: Angina Cronica Stabile > Angina pectoris Stabile ESC 2006

Il test da sforzo può essere utile anche per valutarel’efficacia terapeutica di controllo dell’angina in segui-to a terapia medica o rivascolarizzazione o per definirela prescrizione dell’esercizio dopo adeguato controllosintomatologico, anche se l’effetto sull’outcome di testda sforzo eseguiti periodicamente non è stato ancoramai formalmente analizzato.

Raccomandazioni per l’esecuzionedell’elettrocardiogramma da sforzo nella valutazionediagnostica iniziale dei pazienti con anginaClasse I1) Pazienti con sintomatologia anginosa e probabilitàpre-test di CAD intermedia-alta sulla base dell’età, delsesso e dei sintomi, a meno che siano inabili all’eserci-zio o sviluppino alterazioni ECG tali da rendere l’ECGnon interpretabile (livello di evidenza B).

Classe IIb1) Pazienti con sottoslivellamento del tratto ST ≥ 1 mmall’ECG a riposo o in trattamento con digossina (livel-lo di evidenza B).2) Pazienti con probabilità pre-test di CAD bassa(< 10%) sulla base dell’età, del sesso e dei sintomi (li-vello di evidenza B).

Raccomandazioni per l’esecuzionedell’elettrocardiogramma da sforzo nei successivicontrolli di routine in pazienti con anginastabile cronicaClasse IIb1) ECG da sforzo periodico di routine in assenza di va-riazioni cliniche (livello di evidenza C).

Test da sforzo associato a tecniche di imagingL’ecocardiografia e la scintigrafia perfusionale sono frale tecniche di imaging più diffuse. Entrambe possonoessere utilizzate in associazione al test da sforzo o dastress farmacologico e molti studi ne hanno documen-tato il potere prognostico e diagnostico. Le più recentitecniche di imaging cardiaco includono anche la riso-nanza magnetica che, per motivi logistici, viene gene-ralmente eseguita utilizzando uno stress farmacologicopiuttosto che da sforzo.

Le tecniche di imaging presentano svariati vantaggirispetto al tradizionale ECG da sforzo, che consistonoin un maggiore potere diagnostico (Tabella 4) nel ri-scontrare CAD ostruttiva, nella possibilità di documen-tare l’estensione e la localizzazione delle zone ischemi-che, nella capacità di fornire informazioni diagnostichea fronte di anomalie ECG a riposo o quando il pazientesia inabile all’esercizio. Tali metodiche vengono spes-so privilegiate in pazienti precedentemente sottopostiad intervento coronarico percutaneo (PCI) o bypassaortocoronarico (CABG) in virtù della loro superiorecapacità di localizzare le zone ischemiche. In pazienticon lesioni coronariche di intermedia severità docu-mentate angiograficamente, il riscontro di ischemia è

predittivo di eventi cardiaci futuri, laddove un test diimaging negativo può identificare quei pazienti a bassorischio che possono essere rassicurati.

Test da sforzo associato ad ecocardiografiaL’ecocardiografia da stress è stata sviluppata come me-todica alternativa al “tradizionale” ECG da sforzo e co-me indagine supplementare per determinare la presen-za e il grado di severità dell’ischemia miocardica du-rante sforzo. Prima del test massimale, generalmenteeseguito su cicloergometro, viene acquisito un ecocar-diogramma a riposo; ulteriori immagini ecocardiogra-fiche vengono acquisite, quando possibile, durante ognifase della prova da sforzo e al picco dell’esercizio; l’e-same si può rivelare tecnicamente difficile37. Sono ri-portate una sensibilità e una specificità per CAD signi-ficativa pari, rispettivamente, al 53-93% e al 70-100%.A seconda delle metanalisi, la sensibilità e specificitàcomplessiva relativa all’ecocardiografia da sforzo è, ri-spettivamente, dell’80-85% e dell’84-86%38-41. Recen-ti progressi tecnologici hanno condotto ad un migliora-mento della definizione del bordo endocardico median-te l’uso di mezzi di contrasto, che facilitano l’identifi-cazione delle anomalie segmentarie della cinesi parie-tale, e di preparati iniettabili per l’esame della perfu-sione miocardica42. I progressi nel campo del Dopplertissutale e di strain rate imaging sono ancora più pro-mettenti.

Il Doppler tissutale fornisce informazioni quantita-tive sulle velocità miocardiche regionali, e lo strain e lostrain rate misurano la deformazione miocardica regio-nale, in particolare lo strain rappresenta la differenza divelocità fra due regioni contigue e lo strain rate la dif-ferenza nell’unità di tempo. Entrambe le metodiche delDoppler tissutale e dello strain rate imaging hanno por-tato ad un miglioramento del potenziale diagnosticodell’ecocardiografia da stress43 con conseguente incre-mento della capacità di identificazione precoce dell’i-schemia prima che si inneschi la cascata ischemica. Nederiva che, data la natura quantitativa di tali tecniche, lavariabilità interosservatore e la soggettività di interpre-

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Tabella 4. Riassunto delle caratteristiche dei test diagnostici perl’angina stabile.

Diagnosi di coronaropatia

Sensibilità (%) Specificità (%)

ECG da sforzo 68 77Ecocardiografia da sforzo 80-85 84-86Scintigrafia perfusionaleda sforzo 85-90 70-75Ecocardiografia da stresscon dobutamina 40-100 62-100Ecocardiografia da stresscon vasodilatatori 56-92 87-100Scintigrafia perfusionaleda stress con vasodilatatori 83-94 64-90

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tazione dei risultati sono ridotte. Pertanto, si prevedeche il Doppler tissutale e lo strain rate imaging giun-geranno ad integrare le attuali tecniche ecocardiografi-che impiegate per determinare la presenza di ischemiae miglioreranno l’accuratezza e la riproducibilità del-l’ecocardiografia da stress nel più ampio contesto clini-co. Esistono anche dati che dimostrano come il Dopplertissutale possa rafforzare il potere prognostico dell’e-cocardiografia da stress44.

Test da sforzo associato a scintigrafia miocardicaperfusionaleIl tallio-201 e il tecnezio-99m sono i traccianti radioat-tivi più comunemente impiegati nella tomografia com-puterizzata ad emissione di fotone singolo (SPECT) as-sociata a test massimale eseguito su cicloergometro otreadmill. Le immagini multiplanari inizialmente uti-lizzate nella scintigrafia miocardica perfusionale sonostate via via sostituite da quelle SPECT, giacché supe-riori in termini di qualità e di capacità di localizzazionee quantificazione. In seguito alla captazione del trac-ciante, le immagini generate con scintigrafia perfusio-nale SPECT consentono una valutazione del flusso co-ronarico regionale. Mediante tale metodica, l’ipoperfu-sione miocardica è caratterizzata da una ridotta capta-zione durante stress rispetto a quella osservabile a ripo-so, mentre un’aumentata captazione del tracciante per-fusionale nei polmoni identifica quei pazienti con CADsevera e diffusa. La perfusione miocardica analizzatacon tecnica SPECT ha un valore predittivo della pre-senza di CAD molto più sensibile e specifico rispettoall’ECG da sforzo. Senza correzione del bias di sele-zione, la scintigrafia da sforzo ha una sensibilità ed unaspecificità, rispettivamente, del 70-98% e 40-90%, convalori medi pari a 85-90% e 70-75% a seconda dellemetanalisi40,41,45,46.

Test da stress farmacologico associato a metodichedi imagingSebbene, laddove possibile, sia preferibile il test dasforzo associato ad una metodica di imaging che con-sente una riproduzione più fisiologica dell’ischemia euna valutazione della sintomatologia, in alcuni casi puòessere utilizzato lo stress farmacologico. Quest’ultimo,associato sia alla scintigrafia perfusionale sia all’eco-cardiografia, è indicato nei pazienti inabili all’esercizioo come alternativa alla prova da sforzo. Due sono gliapprocci impiegati: a) infusione di farmaci simpatico-mimetici a breve durata d’azione, come la dobutamina,somministrati a dosi crescenti, che aumentano il consu-mo miocardico di ossigeno e simulano gli effetti dell’e-sercizio fisico; b) infusione di vasodilatatori, come l’a-denosina e il dipiridamolo, che mettono in evidenza dauna parte i territori irrorati da arterie coronarie sane conaumentata perfusione e, dall’altra, territori irrorati daarterie coronarie stenotiche emodinamicamente signifi-cative con ridotto incremento o diminuzione di perfu-sione (fenomeno di “furto”).

In generale, lo stress farmacologico è privo di rischie ben tollerato dai pazienti. Particolare attenzione deveessere rivolta ad assicurarsi che i pazienti destinati a ri-cevere un vasodilatatore (adenosina o dipiridamolo)non stiano già assumendo dipiridamolo a scopo antiag-gregante o per altri motivi e che si astengano dall’assu-mere caffeina nelle 12-24 h precedenti per i noti effettisul metabolismo. L’adenosina può causare vasospasmoin soggetti asmatici, ma in questi casi può essere im-piegata la dobutamina come stimolo alternativo. Il po-tere diagnostico della scintigrafia perfusionale da stresse dell’ecocardiografia da stress è simile a quello delleprove da sforzo. Sono riportate una sensibilità e unaspecificità per l’eco-dobutamina e per l’eco-stress convasodilatatori, rispettivamente, del 40-100% e 62-100% e del 56-92% e 87-100%39,40. La sensibilità e laspecificità per la presenza di CAD mediante SPECTcon adenosina sono dell’83-94% e del 64-90%40.

Nel complesso, l’ecocardiografia da stress e la scin-tigrafia perfusionale da stress, sia che utilizzino unostress farmacologico, sia che vengano eseguite durantetest da sforzo, trovano applicazioni similari e la sceltadell’una o dell’altra metodica dipende per lo più dallestrutture locali e dall’abilità degli operatori. L’eco-stress presenta alcuni vantaggi rispetto alla scintigrafiaperfusionale da stress, che si traducono in una specifi-cità più elevata, nella possibilità di un’analisi più esau-stiva della funzione e dell’anatomia cardiaca, una di-sponibilità maggiore e costi più contenuti, oltre a nonimplicare l’esposizione a radiazioni. Tuttavia, almeno il5-10% dei pazienti presenta una finestra ecocardiogra-fica inadeguata. Lo sviluppo di tecniche ecocardiogra-fiche quantitative, come il Doppler tissutale, rappresen-ta un passo in avanti verso un aumento della concor-danza interosservatore e dell’attendibilità dell’ecocar-diografia da stress.

Sebbene esistano dati a supporto della superiorità intermini diagnostici delle tecniche di imaging rispettoall’ECG da sforzo, i costi per l’impiego di tali metodi-che come indagini di prima scelta sono rilevanti. Cio-nonostante, l’uso delle tecniche di imaging gioca unruolo importante nella valutazione dei pazienti con bas-sa probabilità pre-test di CAD, con test da sforzo nondirimente, in particolar modo di sesso femminile47,48,nell’identificazione delle lesioni da rivascolarizzare enella valutazione dell’ischemia post-rivascolarizzazio-ne49,50.

Una descrizione delle metodologie volte all’analisidella vitalità miocardica va al di là dello scopo di que-ste linee guida, ma un gruppo di lavoro ESC ha prece-dentemente pubblicato un report sulle metodiche diimaging impiegate per individuare il miocardio iberna-to51. Infine, ancorché le tecniche di imaging consenta-no di valutare accuratamente le variazioni di localizza-zione e il grado di severità dell’ischemia nel tempo e inrisposta al trattamento, non si raccomanda come prassidi eseguire esami periodici in assenza di modifiche del-lo stato clinico.

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Raccomandazioni per l’esecuzione del test da sforzoassociato a tecniche di imaging (ecocardiografiae scintigrafia perfusionale) nella valutazionediagnostica iniziale dei pazienti con anginaClasse I1) Pazienti con alterazioni dell’ECG a riposo, blocco dibranca sinistro, sottoslivellamento del tratto ST > 1 mm,ritmo da pacemaker o sindrome di Wolff-Parkinson-White, in quanto impediscono un’accurata interpreta-zione delle modificazioni ECG durante stress (livello dievidenza B).2) Pazienti con ECG da sforzo non dirimente, ma conun’accettabile tolleranza allo sforzo, che non presenti-no elevata probabilità di CAD significativa e con dia-gnosi ancora dubbia (livello di evidenza B).

Classe IIa1) Pazienti con pregressa rivascolarizzazione (PCI oCABG) nei quali sia determinante localizzare l’ische-mia (livello di evidenza B).2) Come alternativa all’ECG da sforzo quando le strut-ture, i costi e la disponibilità di personale lo consenta-no (livello di evidenza B).3) Come alternativa all’ECG da sforzo in pazienti conbassa probabilità pre-test di CAD quali donne con do-lore toracico atipico (livello di evidenza B).4) Per valutare la severità funzionale di lesioni corona-riche intermedie identificate alla coronarografia.5) Per localizzare l’ischemia qualora sia necessarioprendere in considerazione una procedura di rivascola-rizzazione in pazienti già sottoposti a coronarografia(livello di evidenza B).

Raccomandazioni per l’impiego di stressfarmacologico associato a tecniche di imaging(ecocardiografia e scintigrafia perfusionale)nella valutazione diagnostica iniziale dei pazienticon anginaPer le classi I, IIa e IIb valgono le stesse raccomanda-zioni precedentemente riportate, qualora il paziente siainabilitato all’esercizio.

Risonanza magnetica cardiaca con stress farmacologicoLa risonanza magnetica cardiaca con stress farmacolo-gico associata all’infusione di dobutamina può essereeseguita per identificare anomalie della cinesi parietalesecondarie all’ischemia o zone di alterata perfusione.In virtù di una migliore qualità dell’immagine, il ri-scontro di anomalie della cinesi parietale è stato ripor-tato essere pari a quello dell’eco-dobutamina52. Sebbe-ne l’impiego nella pratica clinica della risonanza ma-gnetica cardiaca quale metodica per lo studio perfusio-nale sia ancora in fase di sviluppo, i risultati ad oggi ot-tenuti sono incoraggianti se paragonati all’angiografiacoronarica, alla tomografia ad emissione di positroni ealla SPECT.Un recente consensus panel incaricato della revisionedelle attuali indicazioni alla risonanza magnetica car-

diaca ha attribuito una classe di raccomandazione II perlo studio perfusionale e della cinesi parietale (la classeII fornisce rilevanti informazioni cliniche ed è spessoutile; simili informazioni possono essere ottenute conaltre tecniche, ma i dati a sostegno sono scarsi)53.

Ecocardiografia a riposoL’ecocardiografia Doppler e bidimensionale a riposo èutile per identificare o escludere la presenza di valvulo-patia54 o cardiomiopatia ipertrofica55 quali patologieassociate responsabili dei sintomi o per valutare la fun-zione ventricolare38. A fini meramente diagnostici, l’e-cocardiografia trova valido impiego in pazienti con sof-fio patologico all’esame clinico, con storia ed altera-zioni ECG suggestive di cardiomiopatia ipertrofica opregresso IM e segni o sintomi di scompenso cardiaco.La risonanza magnetica cardiaca può anche essere ese-guita per determinare alterazioni cardiache strutturali eper valutare la funzione ventricolare, malgrado l’esecu-zione routinaria dell’esame sia limitata dalla disponibi-lità della metodica.

Nonostante i recenti progressi del Doppler tissutalee della misurazione dello strain rate nella valutazionedella funzione diastolica, le implicazioni terapeutiche ediagnostiche della disfunzione diastolica isolata resta-no ancora da chiarire. Sebbene la valutazione diagno-stica della struttura e della funzione cardiaca in pazien-ti con angina sia per lo più focalizzata su particolari sot-togruppi, l’analisi della funzione ventricolare rivesteun’importanza fondamentale ai fini della stratificazio-ne del rischio per la quale l’ecocardiografia (o metodi-che alternative di valutazione della funzione ventricola-re) è sempre più indicata.

Raccomandazioni per l’esecuzionedell’ecocardiografia nella valutazione diagnosticainiziale dei pazienti con anginaClasse I1) Pazienti con sospetta valvulopatia o cardiomiopatiaipertrofica all’auscultazione (livello di evidenza B).2) Pazienti con sospetto scompenso cardiaco (livello dievidenza B).3) Pazienti con pregresso IM (livello di evidenza B).4) Pazienti con blocco di branca sinistro, onde Q pato-logiche o altre alterazioni ECG, incluso l’emibloccoanteriore sinistro (ipertrofia ventricolare sinistra) (livel-lo di evidenza C).

Monitoraggio elettrocardiografico ambulatorialeCon il monitoraggio ECG ambulatoriale (Holter) èpossibile rilevare la presenza di ischemia miocardicadurante lo svolgimento delle normali attività quotidia-ne, anche se raramente tale riscontro nel contesto del-l’angina pectoris stabile fornisce dati prognostici odiagnostici aggiuntivi rispetto al test da sforzo59,60.Tuttavia, il monitoraggio ambulatoriale può rivelarsiutile in pazienti con sospetta angina vasospastica e ha,inoltre, un importante valore diagnostico in pazienti

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con angina stabile e sospetta aritmia grave. Non si rac-comanda l’esecuzione di ripetuti monitoraggi ECGambulatoriali per la valutazione di pazienti con anginastabile cronica.

Raccomandazioni per l’esecuzione dell’elettrocardio-gramma ambulatoriale nella valutazione diagnosticainiziale dei pazienti con anginaClasse I1) Angina con sospetta aritmia (livello di evidenza B).

Classe IIa1) Sospetta angina vasospastica (livello di evidenza C).

Tecniche non invasive per la valutazione delle calcifi-cazioni e dell’anatomia coronaricheTomografia computerizzataLa tomografia computerizzata a fascio di elettroni equella multidetettore o multistrato si sono dimostratemetodiche di imaging efficaci nella rilevazione del cal-cio coronarico e nella quantificazione delle calcifica-zioni coronariche. Il punteggio di Agatston61, calcolatomediante software dedicati, è il metodo più diffuso perla quantificazione dei depositi di calcio a livello dellecoronarie in base al volume e alla densità delle placchecalcifiche. Studi di popolazione hanno dimostrato cheil calcio coronarico può essere utile per identificare pa-zienti a rischio elevato di CAD significativa; tuttavia,tale indagine non è raccomandata di routine per la va-lutazione diagnostica dei pazienti con angina stabi-le62,63.

I tempi di acquisizione delle immagini e la risolu-zione spaziale della tomografia computerizzata a fasciodi elettroni e di quella multidetettore si sono ridotti a talpunto che l’angio-tomografia può essere eseguita uti-lizzando mezzi di contrasto64. Nell’ambito di questedue tecniche, la tomografia computerizzata multidetet-tore o multistrato si è dimostrata quella più prometten-te in termini di imaging non invasivo e studi prelimina-ri hanno evidenziato un’ottima risoluzione e la possibi-lità di esaminare la parete arteriosa e le caratteristichedi eventuali placche aterosclerotiche. Per la tomografiacomputerizzata a 16 strati è stata riportata una sensibi-lità e una specificità per il riscontro di CAD, rispettiva-mente, del 95% e 98%65, mentre studi che hanno utiliz-zato la tomografia computerizzata a 64 detettori hannoriportato una sensibilità e una specificità pari a, rispet-tivamente, 90-94% e 95-97% e, ancora più importante,un valore predittivo negativo del 93-99%66,67. L’angio-tomografia può essere presa in considerazione nel trat-tamento conservativo di pazienti con bassa probabilitàpre-test di CAD (<10%) e con test funzionale dubbio(ECG da sforzo o stress test con metodiche di imaging).

Raccomandazioni per l’esecuzionedell’angio-tomografia nei pazienti con angina stabileClasse IIb1) Pazienti con bassa probabilità pre-test di CAD, con

test da sforzo o stress test associato a metodiche di ima-ging non dirimente (livello di evidenza C).

Angio-risonanza magneticaCome nel caso della tomografia computerizzata, i mi-glioramenti nelle tecniche di risonanza magnetica con-sentono oggi di eseguire l’esame con mezzo di contra-sto in modo non invasivo53. Tuttavia, allo stato attuale,tale metodica rappresenta solamente un valido stru-mento di analisi e non se ne raccomanda l’impiegoroutinario nella valutazione diagnostica dell’anginastabile.

Tecniche invasive per la valutazionedell’anatomia coronarica

CoronarografiaLa coronarografia viene solitamente eseguita nell’am-bito di una serie di indagini volte a definire una dia-gnosi e le relative opzioni terapeutiche. I risultati di unesame non invasivo possono rivelarsi sufficientementeprobativi della presenza di CAD ostruttiva e un’ade-guata stratificazione del rischio può contribuire a deter-minare la necessità di eseguire una coronarografia perulteriori approfondimenti. Tuttavia, questa può esserecontroindicata in casi di inabilità o di severa comorbi-dità o può fornire risultati non conclusivi. In pazientisopravvissuti ad un arresto cardiocircolatorio o conaritmie ventricolari minacciose, è importante giungeread una diagnosi che confermi o escluda inequivocabil-mente la presenza di CAD68,69. Inoltre, gli esami non in-vasivi non consentono di valutare l’idoneità all’inter-vento di rivascolarizzazione che può rendersi necessa-rio per motivi prognostici o in pazienti sintomatici. Lacoronarografia svolge un ruolo fondamentale nella va-lutazione di pazienti con angina stabile, giacché è ingrado di fornire informazioni attendibili sull’anatomiacoronarica, tali da evidenziare la presenza o meno distenosi luminale, definire la strategia terapeutica (tera-pia medica o rivascolarizzazione miocardica) e stabili-re la prognosi. Il rischio di complicanze maggiori asso-ciato a cateterismo diagnostico è dell’1-2%, mentre ilrischio composito di morte, IM o ictus è dello 0.1-0.2%70.

Sebbene la coronarografia standard consenta diquantificare il grado di severità delle occlusioni coro-nariche, altre tecniche invasive, quali l’ecografia intra-vascolare o le misure fisiologiche intracoronariche, so-no in grado di fornire una analisi più approfondita del-le lesioni coronariche. L’ecografia intravascolare e lamisurazione della velocità di flusso coronarico (riservavasodilatatrice coronarica) o della pressione arteriosaintracoronarica (riserva di flusso frazionaria), che pos-sono rivelarsi particolarmente utili nel trattamento deipazienti con lesioni alla coronarografia di severità in-termedia o come supporto ad un intervento percutaneo,non sono di prassi necessarie in corso di valutazione

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dell’angina stabile (vedere documento integrale suwww.escardio.org).

Raccomandazioni per l’esecuzione dellacoronarografia a fini diagnostici nei pazienticon angina stabileClasse I1) Angina stabile severa (classe CCS III o superiore)con elevata probabilità pre-test, specialmente in caso disintomatologia refrattaria alla terapia medica (livello dievidenza B).2) Pazienti sopravvissuti ad un arresto cardiocircolato-rio (livello di evidenza B).3) Pazienti con aritmie ventricolari gravi (livello di evi-denza C).4) Pazienti già sottoposti a rivascolarizzazione miocar-dica (PCI, CABG) con recidive di angina pectoris mo-derata o severa (livello di evidenza B).

Classe IIa1) Pazienti a rischio medio-elevato di CAD con dia-gnosi non dirimente ai test non invasivi o con risultaticontraddittori a diversi esami non invasivi (livello dievidenza C).2) Pazienti ad elevato rischio di restenosi dopo PCI,qualora la procedura sia stata eseguita in sede progno-sticamente rilevante (livello di evidenza C).

Stratificazione del rischio

La prognosi a lungo termine dell’angina stabile è varia-bile e le diverse alternative terapeutiche si sono estesenotevolmente, spaziando dal semplice controllo dellasintomatologia a strategie altamente efficaci, ma spes-so costose. In riferimento alla stratificazione del rischionell’angina stabile, per rischio ci si riferisce innanzitut-to al rischio di morte cardiovascolare, anche se tale ter-mine viene spesso indistintamente usato per definirnel’associazione con l’IM o, in alcuni casi, con combina-zioni più vaste di endpoint cardiovascolari. La stratifi-cazione del rischio risponde ad un duplice obiettivo, dauna parte quello di fornire esaurienti risposte agli inter-rogativi sulla prognosi formulati dai pazienti stessi, da-gli impiegati, dagli assicuratori e dagli specialisti noncardiologi per condizioni di comorbilità, dall’altroquello di essere di ausilio nella scelta del trattamentopiù appropriato.

Nel caso di alcuni interventi terapeutici, in partico-lare la rivascolarizzazione miocardica e/o una terapiafarmacologica intensiva, i benefici che si ottengono intermini prognostici in alcune categorie di pazienti adelevato rischio sono solo apparenti, se non addiritturanulli in quelli con prognosi favorevole. Ne deriva, per-tanto, la necessità di identificare nella fase iniziale divalutazione dell’angina stabile quei pazienti a più ele-vato rischio che maggiormente possono trarre beneficioda un trattamento aggressivo.

Ai fini dell’applicazione delle linee guida sulla pre-venzione primaria, una mortalità a 10 anni > 5%(> 0.5%/anno) definisce una condizione ad elevato ri-schio71. Ciononostante, a causa della difficoltà di para-gonare diversi sistemi di predizione del rischio fra levarie popolazioni, di determinare l’accuratezza di pre-visioni individualizzate e di sintetizzare le molteplicicomponenti del rischio, spesso analizzate separatamen-te, nel calcolo del rischio individuale, non esistonochiare indicazioni in termini assoluti delle condizionida considerarsi ad elevato o basso rischio in pazienticon documentata malattia cardiovascolare72,73. Inoltre,negli ultimi 40-50 anni (da quando sono stati identifi-cati i primi predittori di rischio), la percezione profes-sionale e collettiva di ciò che costituisce un elevato obasso rischio è andata continuamente mutando e ciòrende ragione del perché non sia facile colmare tale la-cuna.

Tuttavia, nell’attesa che si realizzi un modello rigo-roso e versatile di predizione del rischio che racchiudaogni potenziale aspetto della stratificazione del rischio,esiste un approccio pragmatico alternativo, desunto daidati dei trial clinici. Al di là dei possibili bias nell’in-terpretazione ed estrapolazione dei risultati, i dati deitrial clinici forniscono una stima dei livelli di rischio as-soluto attraverso l’impiego degli attuali interventi tera-peutici standard anche in pazienti con documentata pa-tologia vascolare. Ciò, d’altro canto, facilita la defini-zione di elevato, basso e medio rischio in un modernocontesto allo scopo di determinare il valore soglia di ri-ferimento per le procedure invasive o per una terapiafarmacologica intensiva.

Il rischio di morte cardiovascolare a 1 anno nellostudio PEACE74 era < 1%, mentre in popolazioni ad“elevato rischio”, come quella di pazienti diabetici delMICRO-HOPE75 o quella dello studio IONA76, si è di-mostrato essere > 2%. Ai fini di queste linee guida esalvo diversamente specificato, un paziente affetto daangina con un tasso di mortalità ad 1 anno > 2%, sullabase di un modello di predizione del rischio validato, èconsiderato ad elevato rischio, laddove un valore < 1%identifica un paziente a basso rischio e un valore 1-2%un paziente a rischio intermedio.

La valutazione clinica, la risposta ai test provocati-vi, la quantificazione della funzione ventricolare e delgrado di severità della CAD rappresentano i quattroelementi chiave per stratificare il rischio cardiovascola-re di un paziente. Generalmente, il processo di stratifi-cazione del rischio ha una struttura piramidale in basealla quale i pazienti vengono in prima istanza sottopo-sti a valutazione clinica, seguita nella maggior parte deicasi da una valutazione non invasiva dell’ischemia edella funzione ventricolare, fino a giungere all’esecu-zione della coronarografia in gruppi selezionati.

Stratificazione del rischio mediante valutazione clinicaL’anamnesi e l’esame obiettivo sono in grado di forni-re informazioni prognostiche estremamente importanti.

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In questa fase di stratificazione del rischio, è opportunoeseguire un ECG e gli esami di laboratorio riportati nel-la sezione precedente possono fornire dati supplemen-tari per la stima del rischio. È stato dimostrato che ildiabete, l’ipertensione, la sindrome metabolica, il fumoed elevati livelli di colesterolo (non controllato o eleva-to malgrado la terapia) sono fattori predittivi di outco-me sfavorevole in pazienti con angina stabile o affettida CAD documentata. Altri fattori importanti da pren-dere in considerazione sono l’età avanzata, un pregres-so IM77,78, sintomi e segni di scompenso cardiaco77-79 eil pattern di sviluppo (di recente insorgenza o progres-sivo), e la severità dell’angina, in particolare se refrat-taria alla terapia80-82.

La presenza di angina tipica rappresenta un fattoreprognostico significativo nei pazienti sottoposti a coro-narografia, sebbene dipendente dal grado di severitàdella CAD. Al contrario, il decorso clinico dell’angina,la sua frequenza e le alterazioni ECG a riposo sono ri-sultati fattori predittivi indipendenti di sopravvivenza edi sopravvivenza libera da IM e i relativi dati possonoessere integrati in un punteggio (Figura 2) per la stimadell’outcome, soprattutto nel primo anno dalla valuta-zione. Il valore prognostico dello score di angina di-venta nullo dopo 3 anni e risulta superiore in presenzadi conservata funzione ventricolare72,80.

Anche l’esame obiettivo può essere utile ai fini del-la determinazione del rischio. Il riscontro di vasculopa-tia periferica (sia degli arti inferiori sia carotidea) iden-tifica pazienti ad alto rischio di eventi cardiovascolarinell’angina stabile, Inoltre, la presenza di segni discompenso cardiaco (indice di funzionalità ventricola-re) conferisce una prognosi avversa.

Pazienti affetti da angina stabile con alterazioniECG a riposo, quali evidenza di pregresso IM, bloccodi branca sinistro, emiblocco anteriore sinistro, ipertro-fia ventricolare sinistra, blocco atrioventricolare di se-condo o terzo grado o fibrillazione atriale, sono a piùelevato rischio di eventi cardiovascolari rispetto a quel-li con normale tracciato ECG. In popolazioni non sele-zionate di pazienti affetti da angina stabile, è possibileche la probabilità di rischio alla prima osservazione siainferiore a quella riportata in molti degli studi citati, inconsiderazione del fatto che la maggior parte di questistudi fa riferimento a casistiche sottoposte a successiveindagini angiografiche.

Raccomandazioni per la stratificazione del rischiomediante valutazione clinica, comprensivadi elettrocardiogramma e test di laboratorio,nei pazienti con angina stabileClasse I1) Anamnesi dettagliata ed esame obiettivo, che inclu-da la misurazione dell’indice di massa corporea e dellacirconferenza vita in tutti i pazienti, oltre ad una com-pleta descrizione dei sintomi, una quantificazione deldanno funzionale, pregressa anamnesi medica e profilodi rischio cardiovascolare (livello di evidenza B).2) ECG a riposo in tutti i pazienti (livello di evidenzaB).

Stratificazione del rischio mediante test provocativiLe informazioni prognostiche desumibili da un testprovocativo, sia esso di tipo ergometrico o farmacolo-gico, eventualmente associato ad una metodica di ima-ging, riguardano non solo la dimostrazione di ischemia,ma anche la valutazione della soglia ischemica, l’esten-sione e il grado di severità dell’ischemia (nel caso del-le tecniche di imaging) e la capacità funzionale (nel ca-so del test ergometrico). I test provocativi da soli nonsono in grado di stimare il rischio di eventi futuri, inparticolare la prova da sforzo dovrebbe essere parte in-tegrante di un programma di valutazione clinica ed i re-lativi risultati non devono essere considerati separata-mente. Ne deriva, pertanto, che i test provocativi hannolo scopo di fornire informazioni supplementari ineren-ti alla stima del rischio di un paziente.

Tranne che in caso di cateterismo cardiaco imme-diato, i pazienti sintomatici con sospetta o documenta-ta CAD devono essere sottoposti a test provocativo perstimare il rischio di eventi futuri. L’attuale indicazionesi basa unicamente su dati provenienti da studi osser-vazionali, in quanto ad oggi non sono stati ancora pub-blicati trial randomizzati in materia. La scelta del testprovocativo iniziale dipende dall’ECG a riposo, dallacapacità fisica all’esercizio, dalla competenza dell’o-peratore e dalla disponibilità delle metodiche nellastruttura.

Elettrocardiogramma da sforzoL’utilità dell’ECG da sforzo nella stratificazione del ri-schio in pazienti sintomatici con CAD documentata osospetta è stata ampiamente dimostrata. I predittoriprognostici sono costituiti dalla capacità di esercizio edal rilievo di ischemia (clinica ed ECG) inducibile conlo sforzo. Un indice prognostico rilevante è rappresen-tato dalla massima tolleranza all’esercizio, che è deter-minata non solo dal grado di disfunzione ventricolare ariposo e dall’entità dell’eventuale disfunzione ventrico-lare sinistra provocata dallo sforzo29,83, ma anche dal-l’età, dalle condizioni fisiche generali, dalle comorbi-lità e dallo stato psicologico. La capacità di esercizio sipuò misurare in base alla massima durata dell’eserci-zio, al massimo livello di MET raggiunto, al massimocarico di lavoro espresso in Watt, alla massima fre-

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Score = evoluzione dell'angina x (1 + frequenza) + alterazioni ST/T

Stabile = 0 (fino a 5) (6 punti) Progressiva = 1Dolore notturno = 2Instabile = 3

Figura 2. Punteggio (score) prognostico per l’angina. L’andamento del-l’angina80 può essere usato a scopo prognostico.

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quenza cardiaca e al doppio prodotto (frequenza car-diaca � pressione arteriosa). La singola variabile adot-tata per misurare la capacità di esercizio riveste minoreimportanza in rapporto all’inclusione di tale predittoreprognostico nella valutazione clinica. In pazienti conCAD nota e funzione ventricolare normale o legger-mente ridotta, la sopravvivenza a 5 anni è superiore inquelli che presentano una maggiore tolleranza allo sfor-zo29,77,84-86.

Alcuni studi hanno cercato di inglobare più variabi-li del test da sforzo in un unico score prognostico, di-mostrando che il valore clinico del test aumenta consi-derevolmente quando siano incluse nell’analisi multi-variata diverse variabili, quali la frequenza cardiaca alpicco dell’esercizio, il sottoslivellamento del tratto ST,l’eventuale insorgenza di angina, il massimo carico dilavoro e lo slope del tratto ST84,87-89.

Il Duke treadmill score rappresenta lo score mag-giormente utilizzato per il test ergometrico al treadmille attribuisce un punteggio in base alla durata dell’eser-cizio, all’entità della deviazione del tratto ST e all’e-ventuale insorgenza di angina durante sforzo per calco-lare la probabilità di rischio di un determinato pazien-te84,88 (Figura 3). Nella prima applicazione di questoscore ad una popolazione di soggetti con sospetta CAD,i due terzi dei pazienti con valori di score indicativi dibasso rischio mostravano una sopravvivenza a 4 annidel 99% (mortalità media a 1 anno pari allo 0.25%),mentre il 4% di quelli con valori di score indicativi dialto rischio presentava una mortalità a 4 anni del 79%(mortalità media a 1 anno pari al 5%). È stato dimo-strato che l’associazione di parametri clinici ed ergo-metrici, unitamente o meno a punteggi come il Duketreadmill score, rappresenta un metodo efficace di clas-sificazione dei soggetti ad alto e basso rischio nell’am-bito di popolazioni di pazienti con sospetta o documen-tata CAD.

Ecocardiografia da sforzoL’ecocardiografia da sforzo risulta efficace nella strati-ficazione del rischio di eventi cardiovascolari futuri41,90

con un ottimo valore predittivo negativo91,92 secondo ilquale i pazienti con test negativo presentano una inci-denza ad 1 anno di eventi “hard” (morte o IM) < 0.5%.

Il rischio di eventi futuri dipende dall’entità delle ano-malie della cinesi regionale a riposo e dalle anomaliedella cinesi parietale indotte dallo sforzo, risultando adelevato rischio quei pazienti con maggiori alterazioni ariposo e con più estesa ischemia inducibile38. L’identi-ficazione dei pazienti ad alto rischio consente di piani-ficare in modo adeguato le successive indagini e/o stra-tegie interventistiche.

Scintigrafia perfusionale da stressSulla base dei risultati di diversi studi relativi a migliaiadi pazienti, un esame scintigrafico normale è altamentepredittivo di prognosi favorevole, con una incidenza dimorte e IM ad 1 anno < 1%, valore simile a quantoriportato per la popolazione generale. Fanno eccezionei pazienti con esame scintigrafico normale ma con sco-re all’ECG da sforzo su treadmill suggestivi di altorischio o con severa disfunzione ventricolare sinistraa riposo93.

Diversamente, il riscontro di alterazioni alla scinti-grafia perfusionale è associato alla presenza di severaCAD e al rischio di eventi cardiaci futuri. Ampi difettidi perfusione indotti dal test provocativo, difetti di per-fusione in più territori vascolari, una transitoria dilata-zione ischemica della cavità ventricolare sinistra du-rante stress e, in pazienti valutati mediante tallio-201,un’aumentata captazione polmonare dopo stress ergo-metrico o farmacologico, rappresentano fattori progno-stici avversi46,94.

Il valore prognostico del test da sforzo associato ametodiche di imaging è superiore a quello dei test pro-vocativi farmacologici, in virtù dei dati aggiuntivi chepuò fornire rispetto alla sola scintigrafia perfusionale oall’ecocardiografia circa la sintomatologia, la tolleran-za all’esercizio e la risposta emodinamica all’esercizio.

Raccomandazioni per la stratificazione del rischiomediante elettrocardiogramma da sforzo nei pazienticon angina stabile che possono eseguire un eserciziofisicoClasse I1) Tutti i pazienti con alterazioni ECG a riposo alla pri-ma osservazione (livello di evidenza B).2) Pazienti con CAD stabile dopo significativa varia-zione dei sintomi (livello di evidenza C).

Classe IIa1) Pazienti sottoposti a rivascolarizzazione con signifi-cativo peggioramento della sintomatologia (livello dievidenza B).

Raccomandazioni per la stratificazione del rischiomediante test da sforzo associato a metodiche diimaging (scintigrafia perfusionale o ecocardiografia)nei pazienti con angina stabile che possono eseguireun esercizio fisicoClasse I1) Pazienti con alterazioni ECG a riposo, blocco di

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Figura 3. Punteggio (score) di Duke al test ergometrico su treadmill88.

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branca sinistro, sottoslivellamento del tratto ST > 1 mm,ritmo da pacemaker o sindrome di Wolff-Parkinson-White in quanto impediscono un’accurata interpreta-zione delle modificazioni ECG durante stress (livello dievidenza C).2) Pazienti con ECG da sforzo non dirimente ad alta ointermedia probabilità di CAD (livello di evidenza B).

Classe IIa1) Pazienti sottoposti a rivascolarizzazione con peggio-ramento della sintomatologia (livello di evidenza B).2) Come alternativa all’ECG da sforzo quando le strut-ture, i costi e la disponibilità di personale lo consenta-no (livello di evidenza B).

Raccomandazioni per la stratificazione del rischiomediante stress farmacologico associato a tecnichedi imaging (scintigrafia perfusionale oecocardiografia) nei pazienti con angina stabileClasse I1) Pazienti inabilitati all’esercizio.

Per le altre indicazioni di classe I e II, si rimanda a quel-le riportate per il test da sforzo associato a metodiche diimaging (scintigrafia perfusionale o ecocardiografia) inpazienti con angina stabile che possono eseguire unesercizio fisico, fatta eccezione per le strutture localiche non dispongono di metodiche di imaging.

Stratificazione del rischio mediante valutazione dellafunzione ventricolareLa funzione ventricolare sinistra rappresenta il maggio-re fattore predittivo di sopravvivenza a lungo termine inquanto, in pazienti con angina stabile, la mortalità au-menta con il decrescere della frazione di eiezione ven-tricolare sinistra. Una frazione di eiezione a riposo< 35% è associata ad una mortalità ad 1 anno> 3%77,79,95,96. I dati di follow-up a lungo termine dellostudio CASS hanno dimostrato che il 72% della morta-lità totale si era verificata nel 38% della popolazioneesaminata caratterizzata da disfunzione ventricolare si-nistra e severa CAD. La sopravvivenza a 12 anni in pa-zienti con frazione di eiezione > 50, 35-4996 e < 35%era, rispettivamente, del 73, 54 e 21% (p < 0.0001).D’altro canto, la prognosi dei pazienti con ECG nor-male e basso rischio di severa CAD è ottima82 e la va-lutazione della funzione ventricolare consente di otte-nere informazioni prognostiche supplementari relativeall’anatomia coronarica.

Come sottolineato in precedenza, la valutazione cli-nica può essere utile per identificare i pazienti conscompenso cardiaco e, pertanto, ad aumentato rischiodi eventi cardiovascolari futuri. Tuttavia, occorre consi-derare la prevalenza non trascurabile di disfunzioneventricolare asintomatica97-99, che è stata riportata esse-re 2 volte più elevata di quella di scompenso cardiaco,per lo più determinata dalla presenza di cardiopatiaischemica.

Ad un follow-up di 2 anni in pazienti con anginastabile, le dimensioni ventricolari hanno dimostratopossedere un valore prognostico incrementale rispettoalla prova da sforzo100. In uno studio su pazienti iper-tesi senza angina, l’ecocardiografia, eseguita per valu-tare la funzione e struttura ventricolare, ha portato aduna riclassificazione del 37% della popolazione esami-nata dalla categoria a medio/basso rischio a quella adelevato rischio101 al punto che le linee guida europeesul trattamento dell’ipertensione ne raccomandano oral’esecuzione nei pazienti ipertesi102. Particolare atten-zione deve essere rivolta ai pazienti diabetici affetti daangina, nei quali l’ecocardiografia consente di identifi-care la presenza di ipertrofia ventricolare sinistra e di-sfunzione ventricolare sia sistolica sia diastolica, difrequente riscontro in questa popolazione. In conclu-sione, è consigliabile procedere ad una valutazionedella funzione ventricolare per la stratificazione del ri-schio dei pazienti con angina stabile, così come ad unaverifica della presenza di ipertrofia ventricolare sini-stra (mediante ecocardiografia o risonanza magnetica)e ad una valutazione della funzione ventricolare in pa-zienti ipertesi o diabetici. Nella maggior parte degli al-tri casi, la scelta della modalità di valutazione dellafunzione ventricolare dipenderà dai risultati dei test giàeseguiti o da eseguire o dalla stima del rischio ottenu-ta mediante altre metodiche. Ad esempio, i pazienti giàsottoposti a test provocativo associato a metodiche diimaging non necessitano di ulteriori indagini, mentrein pazienti che devono sottoporsi a coronarografia a se-guito di test da sforzo inequivocabilmente positivo abasso carico di lavoro, in assenza di pregresso IM o dialtre indicazioni all’ecocardiografia, la funzione ven-tricolare sistolica può essere valutata nel corso dell’e-same.

Raccomandazioni per la stratificazione del rischiomediante valutazione ecocardiografica della funzioneventricolare nei pazienti con angina stabileClasse I1) Ecocardiografia a riposo in pazienti con pregressoIM, sintomi o segni di scompenso cardiaco, o alterazio-ni ECG a riposo (livello di evidenza B).2) Ecocardiografia a riposo in pazienti ipertesi (livellodi evidenza B).3) Ecocardiografia a riposo in pazienti diabetici (livel-lo di evidenza C).

Classe IIa1) Ecocardiografia a riposo in pazienti con normaleECG a riposo in assenza di pregresso IM altrimenti noncandidabili a coronarografia (livello di evidenza C).

Stratificazione del rischio mediante coronarografiaAl di là delle indiscusse limitazioni della coronarogra-fia nell’identificare le placche vulnerabili suscettibili diprovocare eventi coronarici acuti, è stato chiaramentedimostrato che l’estensione, il grado di severità delle

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occlusioni coronariche e la localizzazione della CADalla coronarografia rappresentano importanti fattoriprognostici79,95,103,104.

Sono stati utilizzati svariati indici prognostici percorrelare la severità della patologia con il rischio di svi-luppare eventi cardiaci, il più semplice e diffuso deiquali consiste nella classificazione della CAD in base alnumero e al tipo dei vasi coinvolti (malattia di 1, 2 o 3vasi o del tronco comune). Nello studio CASS, relativoa pazienti in terapia medica, la sopravvivenza a 12 an-ni dei pazienti con coronarie normali era del 91% con-tro il 74% di quelli con malattia monovasale, il 59% diquelli con malattia bivasale e il 50% di quelli con ma-lattia trivasale (p < 0.001)96. I pazienti in terapia medi-ca con stenosi severa a livello del tronco comune han-no generalmente una prognosi sfavorevole, così comeuna stenosi critica dell’arteria discendente anteriore si-nistra (LAD) prossimale riduce significativamente lepercentuali di sopravvivenza. Infatti, è stata riportatauna sopravivenza a 5 anni del 54 e 79% in pazienti af-fetti da malattia trivasale rispettivamente con o senzastenosi della LAD prossimale > 95%104.

Se eseguiti in modo appropriato, i test non invasivihanno un discreto valore predittivo di eventi avversi,soprattutto in presenza di una bassa probabilità pre-testdi severa CAD. Di fronte ad un rischio di mortalità car-diovascolare ad 1 anno ≤ 1%, non è consigliabile ese-guire la coronarografia per identificare i pazienti passi-bili di un miglioramento della prognosi. Al contrario, lacoronarografia è consigliabile in pazienti con un rischiodi mortalità cardiovascolare ad 1 anno > 2%. Relativa-mente all’opportunità di eseguire la coronarografia neipazienti a rischio intermedio, di fronte ad un rischio dimortalità cardiovascolare ad 1 anno dell’1-2%, la deci-sione deve basarsi sull’analisi di una molteciplità di fat-tori, quali la sintomatologia, lo stato funzionale, lo sti-le di vita, l’attività lavorativa, la presenza di comorbi-lità e la risposta alla terapia iniziale.

Grazie al crescente interesse collettivo e dei massmedia nei confronti delle attuali tecnologie e dell’ac-cesso sempre più diffuso ad internet e ad altre fonti diinformazione, i pazienti hanno oggi la possibilità di do-cumentarsi piuttosto esaurientemente circa gli esami ele strategie terapeutiche disponibili per la loro condi-zione. È compito del medico accertarsi che il pazientesia adeguatamente informato sui rischi e i potenziali be-nefici, laddove presenti, di una qualsiasi procedura e in-dirizzare opportunamente le loro decisioni. Alcuni pa-zienti potrebbero optare per un trattamento medicopiuttosto che per una procedura interventistica o averequalche dubbio in merito alla diagnosi che potrebbe ri-velarsi inaccettabile indipendentemente dall’evidenzaloro fornita. La coronarografia non deve essere esegui-ta in pazienti affetti da angina che rifiutano di sottopor-si a procedura invasiva, che preferiscono evitare un in-tervento di rivascolarizzazione, che non sono candidatia PCI o CABG o nei quali non si otterrebbe un miglio-ramento della loro qualità di vita.

Raccomandazione per la stratificazione del rischiomediante coronarografia in pazienti conangina stabile1) Pazienti ad elevato rischio di outcome sfavorevolesulla base del test non invasivo anche se con sintomato-logia anginosa lieve-moderata (livello di evidenza B).2) Angina stabile severa (classe CCS III), specialmentese i sintomi non rispondono bene alla terapia medica(livello di evidenza B).3) Angina stabile in pazienti candidati ad interventochirurgico non cardiaco maggiore, in particolare di chi-rurgia vascolare (riparazione di aneurisma aortico, by-pass femorale, endoarteriectomia carotidea) con carat-teristiche di rischio intermedio o elevato al test non in-vasivo (livello di evidenza B).

Classe IIa1) Pazienti con diagnosi non dirimente al test non inva-sivo o con risultati contraddittori a differenti test noninvasivi (livello di evidenza C).2) Pazienti ad elevato rischio di restenosi dopo PCI,qualora la procedura sia stata eseguita in sede progno-sticamente rilevante (livello di evidenza C).

Un riassunto delle raccomandazioni per l’impiego rou-tinario delle indagini di valutazione dell’angina stabilecon i relativi livelli di evidenza in rapporto alla diagno-si e alla prognosi è riportato nelle Tabelle 5 e 6.

Considerazioni diagnostiche particolari:angina con coronarie “normali”

Buona parte dei pazienti, in particolare di sesso femmi-nile, che vengono sottoposti a coronarografia per sinto-mi di dolore toracico non presentano CAD significati-va105. In questi pazienti, la tipologia del dolore è indi-cativa delle seguenti tre possibilità: a) dolore non angi-noso, b) angina atipica, inclusa l’angina vasospastica, ec) sindrome X.

Sindrome XQuadro clinicoPer quanto non esista una definizione universalmenteaccettata di sindrome X, la classica descrizione richie-de il riscontro delle seguenti tre componenti:1) angina tipica da sforzo (associata o meno ad anginaa riposo e dispnea);2) ECG da sforzo positivo o altro test da sforzo positi-vo associato a metodiche di imaging;3) coronarie normali.

Per le sue caratteristiche di dolore toracico frequen-te, di attacchi anginosi ricorrenti nell’arco di 1 settima-na e dell’andamento stabile, la sindrome X è compara-bile all’angina stabile cronica. Tuttavia, la presentazio-ne clinica dei pazienti inclusi negli studi sulla sindromeX è estremamente variabile e il rilievo di angina a ripo-

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Task Force per il Trattamento dell’Angina Pectoris Stabile della Società Europea di Cardiologia

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Page 20: Angina Cronica Stabile > Angina pectoris Stabile ESC 2006

so oltre che di dolore toracico da sforzo è piuttosto fre-quente107. Alcuni pazienti con sindrome X possono pre-sentare disfunzione microvascolare, condizione questache viene definita angina microvascolare108.

L’ipertensione arteriosa associata o meno ad iper-trofia ventricolare è di frequente riscontro nei pazienticon dolore toracico e arterie coronarie normali. La car-diopatia ipertensiva è caratterizzata da disfunzione en-doteliale109, ipertrofia ventricolare sinistra, fibrosi peri-vascolare e interstiziale in presenza di disfunzione dia-stolica110, alterazioni ultrastrutturali coronariche e mio-cardiche111 e ridotta riserva coronarica112. Tali modifi-cazioni, singolarmente o in combinazione tra loro, pos-sono compromettere il flusso coronarico in risposta al-la domanda di ossigeno miocardico, provocando cosìangina. Nella maggior parte dei casi, il trattamento do-vrebbe essere rivolto al controllo dell’ipertensione al fi-ne di ripristinare l’integrità funzionale e strutturale delsistema cardiovascolare113.

PrognosiIn termini di mortalità, la prognosi dei pazienti con sin-drome X è buona114; tuttavia, il tasso di morbilità ri-mane elevato115,116, comportando ripetuti episodi di do-lore toracico e frequenti ospedalizzazioni117. Numeroseevidenze dimostrano che il riscontro di disfunzione en-doteliale in questa categoria di pazienti può identifica-re quelli a rischio di sviluppare malattia ateroscleroticacon conseguente peggioramento della prognosi116.

Diagnosi di sindrome XLa diagnosi di sindrome X si basa sul riscontro di angi-na da sforzo con arterie coronarie normali o con lesio-ni non ostruttive alla coronarografia, associato a segniobiettivi di ischemia da sforzo (sottoslivellamento deltratto ST all’ECG da sforzo, alterazioni ischemiche al-la scintigrafia). È necessario escludere eventuali altrecause di dolore toracico simil-anginoso di origine noncardiaca, come le alterazioni della motilità esofagea, lafibromialgia e la costocondrite. È altresì importanteescludere la presenza di spasmo coronarico attraversoopportuni test provocativi. La presenza di disfunzioneendoteliale può essere accertata mediante osservazionedella risposta delle arterie epicardiche all’acetilcolina.Infatti, l’esecuzione di test provocativi invasivi con in-fusione di acetilcolina assolve il duplice scopo di esclu-dere, da un lato, la presenza di vasospasmo e di rileva-re, dall’altro, un’eventuale disfunzione endoteliale, en-trambi responsabili di un peggioramento della progno-si. In alcuni casi, come ad esempio in presenza di este-si difetti di perfusione e di anomalie della cinesi parie-tale durante test provocativo o ancora di arterie corona-rie angiograficamente alterate, può anche essere effet-tuata un’ecografia intravascolare per evidenziare lesio-ni ostruttive non diagnosticate in precedenza. Occorresottolineare la prognosi eccellente in assenza di disfun-zione endoteliale e il paziente deve essere informato erassicurato circa il decorso favorevole della sua condi-zione.

Raccomandazioni per la valutazione dei pazienticon sindrome XClasse I1) Ecocardiografia a riposo in pazienti con angina e ar-terie coronarie normali o lesioni non ostruttive, alloscopo di verificare la presenza di ipertrofia ventricola-re e/o disfunzione endoteliale (livello di evidenza C).

Classe IIb1) Acetilcolina intracoronarica durante coronarografiacon caratteristiche di normalità all’analisi visiva, alloscopo di verificare le variazioni di flusso coronarico en-dotelio-dipendenti e di escludere la presenza di vaso-spasmo (livello di evidenza C).2) Ecografia intravascolare e misurazione della riservacoronarica o della riserva di flusso frazionaria allo sco-po di evidenziare lesioni ostruttive non diagnosticate inprecedenza, quando le immagini angiografiche sonosuggestive della presenza di lesioni non ostruttive e i te-st provocativi associati a metodiche di imaging eviden-zino un’estesa area ischemica (livello di evidenza C).

Angina variante/vasospasticaQuadro clinicoI pazienti con angina variante o vasospastica presenta-no dolore tipico localizzato, che si verifica solitamentea riposo e solo raramente è provocato dall’esercizio. Ildolore si risolve generalmente con l’assunzione di ni-trati nell’arco di pochi minuti. Il termine di angina va-riante o vasospastica viene applicato per descriverequesta tipologia di sintomi, che rispondono anche alladefinizione di “angina di Prinzmetal”119. Per l’angina ariposo con normale tolleranza all’esercizio e associataa malattia coronarica ostruttiva in assenza di vasospa-smo si applica lo stesso trattamento dell’angina tipica,mentre in caso di dolore toracico in assenza di CAD si-gnificativa o vasospasmo occorre valutare le cause deldolore anginoso di origine non cardiaca e procedere altrattamento previsto nell’usuale prevenzione primaria.

Buona parte dei pazienti con anamnesi suggestiva diangina vasospastica presentano malattia coronaricaostruttiva e, in questi casi, l’angina vasospastica può as-sociarsi ad angina tipica da sforzo secondaria a lesionicoronariche critiche. Il vasospasmo può essere precipi-tato dal fumo, da alterazioni dell’equilibrio elettrolitico(potassio, magnesio), dall’uso di cocaina, dall’esposi-zione al freddo, da patologie autoimmuni, dall’iperven-tilazione o dall’insulino-resistenza.

Storia naturale e prognosiLa prognosi dell’angina vasospastica dipende dall’en-tità della CAD sottostante. Eventi quali morte e IM so-no estremamente rari in pazienti con coronarie angio-graficamente normali, anche se sono stati riportati al-cuni casi120. Percentuali di mortalità ad 1 anno intornoallo 0.5% sono state riscontrate in pazienti con lesioninon ostruttive121, mentre percentuali meno favorevolisono state riferite in pazienti con spasmo coronarico so-vrapposto a lesioni stenotiche122.

554

G Ital Cardiol Vol 7 Agosto 2006

Page 21: Angina Cronica Stabile > Angina pectoris Stabile ESC 2006

Diagnosi di angina vasospasticaELETTROCARDIOGRAMMA. La componente caratteristicadell’ECG in corso di vasospasmo è costituita dal ri-scontro di sopraslivellamento del tratto ST119. In alcunicasi, sono stati documentati un sottoslivellamento deltratto ST123 oppure la totale assenza di una qualsiasi de-viazione del tratto ST124,125. Tuttavia, in considerazionedel fatto che gli attacchi anginosi tendono a risolversirapidamente, la conferma all’ECG a 12 derivazioni ri-sulta piuttosto difficoltosa. È consigliabile, pertanto,procedere a monitoraggi ECG ripetuti delle 24 h chepossono identificare eventuali alterazioni del tratto STin corso di angina126.

CORONAROGRAFIA. Sebbene il riscontro di sopraslivel-lamento del tratto ST in corso di angina associato adesame coronarografico normale renda la diagnosi di an-gina variante estremamente attendibile, permangonospesso dubbi diagnostici in casi non altrettanto ben do-cumentati o clinicamente meno evidenti. Inoltre, nonesiste una definizione universalmente accettata di vaso-spasmo coronarico.

In pazienti con sintomi suggestivi di angina vaso-spastica, il riscontro di spasmo spontaneo in corso dicoronarografia è occasionale e ciò spiega il frequentericorso a test provocativi. La sensibilità dell’iperventi-lazione e del cold pressor test nell’identificare lo spa-smo coronarico è alquanto limitata127 e, pertanto, nellamaggioranza dei casi si procede ad infusione intracoro-narica di acetilcolina128 o talvolta di ergonovina129,130,che fornisce risultati analoghi. Non si raccomanda l’e-secuzione di test provocativi senza coronarografia o inpazienti con lesioni ostruttive severe alla coronarogra-fia.

Raccomandazioni per l’esecuzione dei testdiagnostici in pazienti con sospetta anginavasospasticaClasse I1) ECG in corso di angina, quando possibile (livello dievidenza B).2) Coronarografia in pazienti con dolore toracico occa-sionale tipico e alterazioni del tratto ST che regredisco-no dopo assunzione di nitrati e/o calcioantagonisti alloscopo di determinare l’estensione della CAD sottostan-te (livello di evidenza B).

Classe IIa1) Test provocativi allo scopo di identificare la presen-za di spasmo coronarico in pazienti con esame corona-rografico normale o con lesioni non ostruttive alla co-ronarografia e quadro clinico di spasmo coronarico (li-vello di evidenza B).2) Monitoraggio ECG ambulatoriale allo scopo di iden-tificare eventuali alterazioni del tratto ST (livello di evi-denza C).

TRATTAMENTO

Obiettivi del trattamento

Migliorare la prognosi mediante prevenzionedell’infarto miocardico e della morteLe azioni di prevenzione dell’IM e della morte devonoessere fondamentalmente rivolte a ridurre l’incidenzadi eventi trombotici acuti e lo sviluppo di disfunzioneventricolare. Le modificazioni dello stile di vita e dellaterapia farmacologica rivestono un ruolo di primariaimportanza nel condizionamento del processo atero-sclerotico e nella stabilizzazione delle placche corona-riche, così come contribuiscono a ridurre l’attivazionepiastrinica e le alterazioni infiammatorie e della fibri-nolisi, fattori favorenti la rottura di placca e l’occlusio-ne trombotica. Tali azioni possono altresì impedire laprogressione o portare alla regressione dell’ateroscle-rosi coronarica. In alcuni casi, come nei pazienti consevere lesioni delle arterie coronarie che irrorano un’a-rea estesa di miocardio danneggiato, l’intervento di ri-vascolarizzazione può rappresentare un’opportunitàsupplementare ai fini del miglioramento della progno-si, incrementando la perfusione miocardica esistente ofornendo vie alternative di perfusione.

Minimizzare o eliminare i sintomiLe modificazioni dello stile di vita, i farmaci e gli in-terventi di rivascolarizzazione rivestono un ruolo im-portante nel tentativo di minimizzare o eliminare i sin-tomi di angina, senza che per questo debbano essere si-multaneamente attuati nel medesimo paziente.

Trattamento generale

I pazienti e i loro congiunti devono essere informatidella natura dell’angina pectoris, delle implicazioni diquesta diagnosi e dei trattamenti consigliati. Inoltre, ipazienti devono essere invitati ad astenersi, almeno perun breve periodo di tempo, dallo svolgere l’attività cheha provocato l’angina ed istruiti all’impiego dei nitratisublinguali per alleviare i sintomi. È utile anche segna-lare loro la necessità di evitare episodi ipotensivi, con-sigliando di assumere i nitrati in posizione seduta, e lapossibilità di effetti collaterali, in particolare l’emicra-nia. Si suggerisce di assumere i nitrati a scopo preven-tivo, onde evitare probabili episodi anginosi in rispostaallo sforzo. I pazienti devono essere informati della ne-cessità di richiedere assistenza medica qualora l’anginapersista per oltre 10-20 min, malgrado il riposo e l’as-sunzione di nitrati sublinguali.

Particolare attenzione deve essere rivolta alle com-ponenti dello stile di vita che possono aver contribuitoallo sviluppo di tale condizione patologica e che posso-no influenzare la prognosi, come l’attività fisica, il fu-mo e il regime dietetico, e per le quali si rimanda alleraccomandazioni riportate nella Third Joint European

Task Force per il Trattamento dell’Angina Pectoris Stabile della Società Europea di Cardiologia

555

Page 22: Angina Cronica Stabile > Angina pectoris Stabile ESC 2006

Societies’ Task Force sulla prevenzione delle malattiecardiovascolari nella pratica clinica71.

Il fumo di sigaretta deve essere assolutamente sco-raggiato e i pazienti devono essere invitati ad adottareuna dieta di tipo mediterraneo, costituita fondamental-mente da verdura, frutta, pesce e pollame. Eventuali va-riazioni da apportare alla dieta sono subordinate ai li-velli di colesterolo totale e LDL e ad altre alterazioni li-pidiche131. Coloro che sono in sovrappeso devono se-guire una dieta dimagrante. Un moderato consumo al-colico può rivelarsi benefico, laddove un eccessivo in-troito risulta dannoso. L’assunzione di olio di pesce ric-co di acidi grassi polinsaturi omega-3 è utile per ridur-re l’ipertrigliceridemia, ed i risultati del trial GISSI-Prevenzione hanno dimostrato che un supplementogiornaliero di olio di pesce in capsule riduce il rischiodi morte improvvisa in pazienti con recente IM133. Siraccomandano interventi dietetici volti a conseguire unconsumo almeno settimanale di pesce134,135, mentrenon si raccomandano supplementazioni di antiossidan-ti o di altre vitamine.

In base alle individuali capacità all’esercizio, i pa-zienti devono essere incoraggiati a svolgere attività fi-sica, in quanto questa può incrementare la tolleranza al-lo sforzo, ridurre i sintomi e avere ripercussioni positi-ve su peso, lipidi plasmatici, pressione arteriosa, intol-leranza al glucosio e sensibilità insulinica. Se, da un la-to, esistono dati controversi sul ruolo dello stress nellosviluppo di CAD, dall’altro è indubbio che i fattori psi-cologici esercitino una grossa influenza nel provocaregli attacchi anginosi. Si aggiunga, poi, che la diagnosidi angina è spesso fonte di eccessiva ansia: è perciò es-senziale rassicurare opportunamente i pazienti, i qualipossono anche trarre vantaggio dalle tecniche di rilas-samento e da altri metodi di controllo dello stress.

Ipertensione, diabete e altre affezioniLe patologie concomitanti come il diabete e l’iperten-sione devono essere adeguatamente trattate. Vale qui ri-cordare che il report della Task Force sulla prevenzionedelle malattie cardiovascolari71 suggerisce di adottareun valore soglia di pressione arteriosa più basso per l’i-stituzione della terapia farmacologica antipertensiva(130/85 mmHg) in pazienti con CAD nota (pazienti af-fetti da angina con CAD documentata ai test invasivi onon invasivi). Per i pazienti con associato diabete e/opatologia renale tale valore soglia è < 130/80 mmHg102.Il diabete rappresenta un importante fattore di rischioper complicanze cardiovascolari e deve essere accura-tamente trattato mediante un ottimo controllo della gli-cemia e degli altri fattori di rischio102,136,137. A tal ri-guardo, un intervento multifattoriale nei pazienti diabe-tici contribuisce a ridurre considerevolmente sia lecomplicanze cardiovascolari sia quelle connesse al dia-bete138. Recenti dati hanno documentato una riduzionedel 16% dell’incidenza di morte, IM o ictus in pazienticon diabete di tipo 2 mediante l’aggiunta di pioglitazo-ne alla terapia ipoglicemizzante, benché l’endpoint pri-

mario, che includeva anche vari tipi di complicanze va-scolari, non sia risultato significativamente ridotto139.Laddove presenti, anche l’anemia e l’ipertiroidismo de-vono essere corretti.

Attività sessualeUn rapporto sessuale può innescare l’angina e la pre-ventiva assunzione di nitroglicerina può essere di aiuto.Gli inibitori delle fosfodiesterasi, come il sildenafil, iltadafil o il vardenafil, generalmente impiegati nel trat-tamento della disfunzione erettile, possono conferiredei benefici in termini di durata dell’esercizio e posso-no essere prescritti in uomini affetti da CAD che nonassumono nitrati a lunga durata d’azione140.

TRATTAMENTO FARMACOLOGICO DEI PAZIENTI

CON ANGINA PECTORIS STABILE

Gli obiettivi del trattamento farmacologico dell’anginapectoris stabile sono il miglioramento della qualità del-la vita, attraverso una riduzione della severità e/o dellafrequenza dei sintomi, e il miglioramento della progno-si dei pazienti.

Terapia farmacologica voltaal miglioramento della prognosi

AntitromboticiIn virtù del favorevole rapporto rischio-beneficio in pa-zienti con CAD stabile, si raccomanda la terapia an-tiaggregante per la prevenzione della trombosi corona-rica. Nella maggior parte dei casi, il farmaco di primascelta è l’aspirina a basse dosi, mentre il clopidogrelpuò essere preso in considerazione in alcuni pazienti.

Aspirina a basse dosiL’aspirina è tutt’oggi il caposaldo del trattamento far-macologico per la prevenzione della trombosi arteriosa.Attraverso l’inibizione irreversibile della ciclossigena-si (COX)-1 piastrinica, l’aspirina impedisce la forma-zione di trombossano già alla dose ≥ 75 mg/die141. Ildosaggio antitrombotico ottimale è 75-150 mg/die, inquanto un dosaggio inferiore o superiore si traduce inun minore effetto dell’aspirina nel ridurre il rischio re-lativo142.

Diversamente da quanto riportato per gli effetti an-tipiastrinici, gli effetti collaterali gastrointestinali del-l’aspirina aumentano per dosaggi maggiori141. Il rischiorelativo di andare incontro ad emorragia intracranicaaumenta del 30%, ma il rischio assoluto di tale compli-canza ascrivibile alla terapia antipiastrinica con aspiri-na ≥ 75 mg/die è inferiore all’1 per 1000 pazienti-an-no141,144. Non vi è evidenza che il rischio di sanguina-mento intracranico sia dose-dipendente quando l’aspi-rina sia somministrata nel range di efficacia terapeuti-ca. In pazienti con malattia vascolare aterosclerotica,

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nella quale l’eziologia dell’ictus è per lo più di naturaischemica, gli effetti della terapia con aspirina sonoinequivocabilmente positivi141,144. In conclusione, l’a-spirina deve essere somministrata al minimo dosaggioefficace, al fine di ottenere, nell’impiego cronico, uncompromesso ottimale tra i benefici terapeutici e gli ef-fetti gastrointestinali.

Inibitori della ciclossigenasi-2 e farmaciantinfiammatori non steroideiL’inibizione della COX-2 riduce la produzione di pro-staciclina, dotata di azione vasodilatatrice ed antiaggre-gante. La ridotta formazione di prostaciclina può predi-sporre ad elevati valori di pressione arteriosa, ateroge-nesi accelerata e trombosi nel caso di rottura di plac-ca145. Il recente ritiro dal commercio del rofecoxib(Vioxx), un potente inibitore selettivo della COX-2, èstato determinato dal riscontro di un elevato rischio dieventi coronarici maggiori in un trial controllato da pla-cebo sulla prevenzione oncologica146. Un aumentato ri-schio di andare incontro a IM fatale o non fatale è statoanche documentato in una metanalisi di altri trial ran-domizzati che hanno impiegato il rofecoxib147. Ne deri-va, pertanto, che gli inibitori della COX-2 aumentano ilrischio di eventi trombotici in popolazioni di pazienti adifferente livello di rischio cardiovascolare. Inoltre, l’i-nibizione della COX-2 aumenta il rischio di ictus,scompenso cardiaco e ipertensione148 e, quindi, l’im-piego dei soli inibitori della COX-2 (cioè non associatiad un’efficace concomitante inibizione della COX-1piastrinica) deve essere evitato in pazienti con anginapectoris stabile.

Quando prescritto per altre finalità terapeutiche, iltrattamento con inibitori non selettivi, reversibili delleCOX (farmaci antinfiammatori non steroidei [FANS])deve essere associato ad aspirina a basse dosi allo sco-po di garantire un’efficace inibizione piastrinica in pa-zienti con angina pectoris stabile. In questi casi, deveessere evitato l’uso di ibuprofen, in quanto questoFANS, così come il naproxene, impedisce all’aspirina diinibire in modo irreversibile la COX-1 piastrinica me-diante acetilazione. Il diclofenac è un inibitore relativa-mente selettivo nei confronti della COX-2 e, pertanto,dotato di scarso potere antipiastrinico149; tuttavia, essonon interferisce con le capacità antiaggreganti dell’a-spirina e può essere impiegato in associazione ad essa.

ClopidogrelIl clopidogrel e la ticlopidina sono due tienopiridineche agiscono da inibitori non competitivi dell’aggrega-zione piastrinica indotta dall’adenosina difosfato edhanno proprietà antitrombotiche simili all’aspirina141.La ticlopidina è stata sostituita dal clopidogrel a causadel rischio di neutropenia e trombocitopenia e dei mag-giori sintomi collaterali. Il principale studio sull’usodel clopidogrel nella CAD stabile è il CAPRIE150, cheha arruolato tre gruppi numericamente omogenei di pa-zienti con pregresso IM, pregresso ictus o vasculopatia

periferica. In questo studio, clopidogrel 75 mg/die è ri-sultato lievemente più efficace dell’aspirina 325 mg/die(riduzione del rischio assoluto 0.51%/anno; p = 0.043)nel prevenire le complicanze cardiovascolari nei pa-zienti ad alto rischio150. Paragonando gli outcome deitre gruppi, il beneficio del clopidogrel era più evidenteunicamente nei pazienti affetti da vasculopatia periferi-ca150. Gli episodi di emorragia gastrointestinale si sonorivelati solo di poco meno frequenti con la terapia conclopidogrel rispetto a quella con aspirina, malgrado ildosaggio relativamente elevato di quest’ultima (1.99 vs2.66% in 1.9 anni di trattamento)150. Non avendo ar-ruolato pazienti con intolleranza all’aspirina, lo studioCAPRIE non consente di stabilire il rischio di sangui-namento gastrointestinale durante terapia con clopido-grel rispetto a quella con placebo. Anche se il clopido-grel è più costoso dell’aspirina, la somministrazione diquesto farmaco può essere presa in considerazione neipazienti intolleranti all’aspirina con rischio significati-vo di trombosi arteriosa. L’intolleranza gastrointestina-le può essere in ogni modo controllata diversamente(vedere sotto). Dopo stenting coronarico o una sindro-me coronarica acuta, il clopidogrel può essere associa-to all’aspirina per un determinato periodo di tempo, matale terapia di associazione non è attualmente consi-gliata nell’angina pectoris stabile.

Relativamente alla variabilità della risposta antiag-gregante al clopidogrel, una delle argomentazioni mag-giormente dibattute riguarda le interazioni farmacolo-giche, dato che i metaboliti attivi di clopidogrel vengo-no formati attraverso la via del citocromo epaticoCYP3A4; tuttavia i dati a disposizione non sono univo-ci. Finora, non si sono osservate differenze di outcomeall’analisi post-hoc di studi osservazionali su pazientiin terapia di mantenimento con clopidogrel associato astatine che interferiscono con CYP3A4 e non sono di-sponibili studi prospettici adeguati che prendano in esa-me la questione.

Terapia antiaggregante in pazienti con intolleranzagastrointestinale all’aspirinaL’aspirina provoca un’infiammazione della mucosa ga-strica dose-correlata che si accompagna a sintomi e adun aumento dell’incidenza di sanguinamento gastroin-testinale. Il clopidogrel può rappresentare un antiaggre-gante alternativo privo di effetti diretti sulla mucosa ga-strica, e può causare meno frequentemente sintomi di-speptici; tuttavia, qualsiasi trattamento antiaggregantepuò predisporre ad un aumento degli eventi emorragicigastrointestinali. L’entità di tali eventi con la sommini-strazione di clopidogrel non è nota, in quanto non esi-stono dati di trial placebo-controllati a riguardo. In ca-so di lesioni mucosali secondarie all’assunzione diaspirina o FANS, queste possono essere alleviate neu-tralizzando la secrezione di acido gastrico. Quando pre-sente, l’eradicazione dell’infezione da Helicobacterpylori conduce ad una riduzione del rischio di sangui-namento gastrointestinale da aspirina151. Un recente

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studio ha dimostrato che l’aggiunta di esomeprazolo al-l’aspirina (80 mg/die) è risultata più efficace della so-stituzione di quest’ultima con clopidogrel nel preveni-re le recidive di sanguinamento in pazienti con ulcere emalattia vascolare152.

Dipiridamolo e anticoagulantiIl dipiridamolo non è raccomandato quale trattamentoantitrombotico nell’angina stabile per la scarsa effica-cia antitrombotica142 e per il rischio di peggioramentodella sintomatologia anginosa conseguente a fenomenidi furto coronarico. Gli anticoagulanti (warfarin o ini-bitori della trombina), che sono somministrati in asso-ciazione all’aspirina in alcune categorie di pazienti adalto rischio, ad esempio nel postinfarto, non sono gene-ralmente consigliati nei pazienti con angina stabile senon in presenza di specifica indicazione come nel casodella fibrillazione atriale.

Resistenza all’aspirinaEventuali problemi connessi alla resistenza all’aspiri-na153,154 come pure al clopidogrel155 sono di indubbiointeresse, ma in assenza di chiare conclusioni in questoambito della ricerca e senza la definizione di un goldstandard di riferimento, sono necessari altri studi primache si possano attuare degli schemi comportamentali.

IpolipemizzantiIl trattamento con statine riduce il rischio di complican-ze cardiovascolari aterosclerotiche nel contesto dellaprevenzione sia primaria sia secondaria156. In pazienticon malattia vascolare aterosclerotica è stata riscontratauna riduzione di circa il 30% dell’incidenza di compli-canze cardiovascolari maggiori mediante l’impiego disimvastatina e pravastatina157-159. Nelle analisi per sotto-gruppi sono stati evidenziati effetti favorevoli anche inpazienti diabetici affetti da malattia vascolare ed i bene-fici della terapia con statine sono stati dimostrati anchenell’anziano (> 70 anni)160,161. In pazienti diabetici sen-za evidente vasculopatia, la simvastatina 40 mg/die el’atorvastatina 10 mg/die hanno dimostrato efficacia si-milare nella prevenzione primaria di eventi cardiova-scolari maggiori. Una riduzione di tali eventi è stata an-che osservata nello studio placebo-controllato Anglo-Scandinavian Cardiac Outcomes Trial-Lipid LoweringArm (ASCOT-LLA)164, che ha valutato gli effetti deltrattamento con atorvastatina nella prevenzione prima-ria di CAD in ipertesi con livelli di colesterolo totale≤ 250 mg/dl. Benché non sia stato realizzato nessun trialspecifico su pazienti con angina pectoris stabile, questapopolazione costituiva una parte considerevole nei trialcitati. Nello studio HPS, ad esempio, il 41% dei pazien-ti era sopravvissuto ad un IM e il 24% era affetto da al-tra patologia cardiovascolare.

Le statine abbassano i livelli di colesterolo in ma-niera efficace156, ma al di là dell’inibizione della sinte-si di colesterolo esistono altri meccanismi dotati di ef-fetti antinfiammatori e antitrombotici che possono con-

tribuire alla riduzione del rischio cardiovascolare. Inpazienti con angina stabile sottoposti a PCI è stato di-mostrato che un trattamento pre-intervento con atorva-statina 40 mg/die della durata di 7 giorni, rispetto alplacebo, ha determinato una riduzione del danno mio-cardico procedurale, valutato in base ai marker biochi-mici165. Tale protezione miocardica mediante tratta-mento a breve termine con alte dosi di atorvastatina puòessere riconducibile agli effetti non lipidici delle stati-ne. Benefici relativi simili della terapia a lungo terminecon statine sono stati osservati in pazienti con differen-ti livelli di colesterolo sierico pre-trattamento, anchenel range di “normalità”. Pertanto, le raccomandazioniper istituire una terapia con statine si basano per quan-to possibile sulla valutazione del rischio cardiovascola-re del singolo paziente e del suo livello di colesterolo(nel range da normale a moderatamente elevato). Il ri-schio associato al colesterolo aumenta in maniera espo-nenziale a partire da livelli normali-bassi156, il che ren-de difficile valutare l’importanza relativa degli effettiipocolesterolemizzanti e degli altri effetti del tratta-mento con statine per i benefici osservati nei pazientitrattati.

Le attuali linee guida europee sulla prevenzionesuggeriscono un valore target di colesterolo totale < 4.5mmol/l (175 mg/dl) e di colesterolo LDL 2.5 mmol/l(96 mg/dl) in pazienti con CAD documentata o in quel-li che permangono ad elevato rischio multifattoriale (ri-schio > 5% di eventi cardiovascolari fatali a 10 anni).Tuttavia, una terapia mirata esclusivamente al raggiun-gimento di livelli target di colesterolo rischia di nongiovarsi appieno dei benefici derivanti dall’impiegodelle statine.

Una terapia con statine deve essere sempre presa inesame in pazienti con CAD stabile e angina stabile,considerati l’elevato livello di rischio e l’evidenza di unchiaro beneficio della riduzione del colesterolo nel ran-ge di normalità166. La terapia deve essere condotta condosaggi di statine dimostratisi efficaci nel ridurre lamortalità/morbosità nei trial controllati. Qualora il do-saggio delle statine dovesse risultare inadeguato al con-seguimento dei valori target di colesterolo totale e LDLsopra riportati, questo può essere incrementato fino aquello massimo tollerato. Con riferimento alla dimo-strazione di provata efficacia che deriva dagli studi ci-tati, i dosaggi ottimali delle statine sono 40 mg/die perla simvastatina, 40 mg/die per la pravastatina e 10mg/die per l’atorvastatina. Recentemente, è stata docu-mentata una riduzione del rischio di eventi cardiova-scolari in pazienti con CAD stabile mediante tratta-mento con atorvastatina ad alte dosi (80 mg/die)167, chesi accompagnava ad un aumento di 6 volte superiore(da 0.2 a 1.2%; p < 0.001) dei livelli enzimatici di dan-no epatico in assenza di riscontro di mialgia. La terapiacon atorvastatina ad alte dosi deve essere riservata aipazienti ad alto rischio.

Per quanto gli effetti collaterali del trattamento constatine siano limitati, talvolta possono verificarsi altera-

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zioni a carico dell’apparato muscolo-scheletrico (dolo-re muscolare, aumento della creatinchinasi e, raramen-te, rabdomiolisi) ed occorre monitorare i livelli deglienzimi epatici dopo l’instaurazione della terapia. I di-sturbi gastrointestinali possono influenzare il dosaggiodelle statine e, in caso di ridotta tolleranza ad alte dosio al mancato conseguimento del controllo lipidico conil dosaggio massimo, una diminuzione del dosaggiocon l’aggiunta di ezetimibe, l’inibitore dell’assorbi-mento del colesterolo, può tradursi in un’adeguata ri-duzione dei livelli colesterolemici168. Gli effetti sullamortalità e sulla morbilità di tale terapia d’associazio-ne non sono tuttavia stati ancora documentati.

Per controllare i livelli lipidici in pazienti con disli-pidemia severa, possono rendersi necessari altri ipoli-pemizzanti, quali fibrati e acido nicotinico a rilascioprolungato associati o meno a statine o altri farmaciipolipidemici, in particolare in presenza di bassi livellidi colesterolo HDL e ipertrigliceridemia. Il torcetrapibè un nuovo farmaco che si è dimostrato efficace nel-l’aumentare il colesterolo HDL169; tuttavia non sono di-sponibili ad oggi dati sufficienti per formulare racco-mandazioni generali inerenti ai livelli target di coleste-rolo HDL e trigliceridi da raggiungere con terapia far-macologica in pazienti affetti da angina. Una terapiacombinata con statine può essere presa in esame su ba-se individuale in pazienti con dislipidemia severa e chepermangano ad alto rischio malgrado gli usuali provve-dimenti (mortalità cardiovascolare stimata ad 1 anno> 2%).

Inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensinaGli inibitori dell’enzima di conversione dell’angioten-sina (ACE-inibitori) sono farmaci di provata efficacianel trattamento dell’ipertensione e dello scompensocardiaco. In virtù della riduzione di IM e mortalità car-diaca osservata nei trial sugli ACE-inibitori in pazientipostinfarto e con scompenso cardiaco, questi farmacisono stati testati anche nella terapia di prevenzione se-condaria in pazienti con CAD non affetti da scompen-so170-174.

La riduzione del rischio relativo di endpoint prima-ri compositi osservata con l’impiego degli ACE-inibi-tori è stata dell’ordine del 20% negli studi HOPE edEUROPA contro nessuna significativa riduzione nellostudio PEACE. Sfortunatamente, i risultati di questi tretrial non sono direttamente paragonabili a causa dei dif-ferenti endpoint.

Una possibile spiegazione di questa discrepanza ri-siede nelle differenti proprietà dei tre ACE-inibitori im-piegati e dei loro relativi dosaggi. Complessivamente, ipazienti arruolati nello studio PEACE erano a rischioassoluto più basso rispetto a quelli dell’HOPE e del-l’EUROPA e tale difformità nel rischio basale e nel trat-tamento terapeutico rappresentano verosimilmente laspiegazione della diversità riscontrata nell’outcomecardiovascolare. Gli effetti relativi del ramipril e del pe-rindopril sull’outcome cardiovascolare si sono dimo-

strati simili in pazienti, rispettivamente, ad alto rischioe a rischio intermedio, anche se ovviamente la riduzio-ne del rischio assoluto era maggiore nella popolazionea rischio assoluto più elevato.

Negli studi HOPE ed EUROPA, l’efficacia antiper-tensiva del ramipril e del perindopril rispetto al placeboha probabilmente contribuito alla riduzione del rischioin aggiunta alle proprietà cardioprotettive di questi far-maci172. Inoltre, gli ACE-inibitori hanno una provata ef-ficacia nel trattamento dello scompenso cardiaco e del-la disfunzione ventricolare sinistra173 così come neltrattamento dei pazienti diabetici136. Pertanto, è oppor-tuno tenere presente l’impiego degli ACE-inibitori inpazienti con angina pectoris stabile e concomitanteipertensione, diabete, scompenso cardiaco, disfunzioneventricolare sinistra asintomatica e nel postinfarto. Inassenza di patologie concomitanti, l’uso di ACE-inibi-tori in pazienti con angina nell’ottica di un’eventuale ri-duzione del rischio assoluto deve essere vagliato a fron-te di una valutazione dei costi e dei rischi di possibili ef-fetti collaterali connessi al farmaco e al dosaggio diprovata efficacia per tale indicazione.

Terapia ormonale sostitutivaDati epidemiologici indicano un sostanziale beneficiocardiovascolare derivante dalla terapia ormonale sosti-tuiva nel periodo postmenopausale. Più recentemente,tuttavia, specifici trial prospettici, in doppio cieco e pla-cebo-controllati hanno dimostrato che la terapia ormo-nale sostitutiva a base di estrogeni associati a progesti-nici non conferisce alcun beneficio cardiovascolare indonne con CAD nota174,175 e, anzi, determinerebbe unincremento del rischio di sviluppare malattia cardiova-scolare in prevenzione primaria e del rischio di cancroalla mammella176. Anche la terapia con soli estrogeniutilizzata in prevenzione primaria in donne isterecto-mizzate non ha dimostrato alcun effetto favorevole intermini di cardioprotezione177. Le nuove linee guida,pertanto, sconsigliano l’uso routinario della terapia or-monale sostitutiva nelle malattie croniche178 e suggeri-scono di ridurne gradualmente il dosaggio in coloro chene fanno uso fino alla completa interruzione179.

BetabloccantiIn trial condotti su pazienti nel postinfarto, i betabloc-canti si sono dimostrati in grado di ridurre di circa il30% il rischio di morte cardiovascolare e di IM180. Unarecente metanalisi relativa agli effetti di diversi beta-bloccanti sulla mortalità ha dimostrato un beneficionon significativo del trattamento acuto, ma una signifi-cativa riduzione della mortalità pari al 24% con tratta-mento a lungo termine in prevenzione secondaria181. Ibetabloccanti dotati di attività simpaticomimetica in-trinseca sono risultati avere un limitato potere cardio-protettivo ed è stata sottolineata la scarsità dei dati di-sponibili circa l’effetto dell’atenololo, attualmente ilfarmaco più frequentemente prescritto, sulla mortalitàdopo IM181. Sulla base delle evidenze fornite dai trial su

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pazienti postinfartuati, i betabloccanti sembrano eserci-tare un effetto cardioprotettivo anche in pazienti conCAD stabile, anche se tale riscontro non è stato confer-mato da un trial placebo-controllato. I trial che hannoimpiegato i betabloccanti nel postinfarto vennero con-dotti prima dell’introduzione di altre terapie di preven-zione secondaria, come le statine e gli ACE-inibitori,lasciando ora qualche incertezza circa la loro efficaciase impiegati in associazione alle “moderne” terapie.

Ampi studi sull’utilizzo dei betabloccanti nell’angi-na stabile, come l’APSIS7 e il TIBET6, non hanno di-mostrato una significativa differenza nell’outcome tra ipazienti trattati con questi farmaci e quelli che assume-vano calcioantagonisti, sia nifedipina sia verapamil.Uno studio di dimensioni inferiori (circa 300 anni-pa-ziente) di confronto tra atenololo e placebo in pazienticon sintomi anginosi minimi o assenti (ASIST) ha ri-portato una maggiore incidenza dell’endpoint combi-nato, che includeva sintomi tali da richiedere tratta-mento, nel gruppo placebo182. Questo risultato ha con-fermato gli effetti antianginosi del betabloccante senza,tuttavia, dimostrare un’eventuale impatto del tratta-mento sulla prognosi dei pazienti con angina pectorisstabile.

I betabloccanti che agiscono sui recettori beta-1, co-me il metoprololo e il bisoprololo, si sono dimostratiefficaci nel ridurre gli eventi cardiaci in pazienti conscompenso cardiaco congestizio183,184. Il carvedilolo,un betabloccante non selettivo dotato di azione antago-nista anche nei confronti dei recettori alfa-1, è risultatoefficace nel ridurre il rischio di morte e il numero diospedalizzazioni per cause cardiovascolari in pazienticon scompenso cardiaco185. In conclusione, i dati di-sponibili indicano un beneficio prognostico derivantedall’impiego dei betabloccanti in pazienti affetti da an-gina sopravvissuti ad un IM o con concomitante scom-penso cardiaco e sulla base di tali evidenze questi far-maci sono consigliati come terapia antianginosa di pri-ma scelta in assenza di controindicazioni.

CalcioantagonistiIn base ai risultati dello studio DAVIT II con verapa-mil186 e dell’analisi per sottogruppi in pazienti senzasegni di scompenso cardiaco arruolati nello studioMDPIT con diltiazem187, la somministrazione di cal-cioantagonisti bradicardizzanti si accompagna ad unmiglioramento della prognosi nei pazienti postinfartua-ti. Ciononostante, precedenti trial sull’uso della nifedi-pina a breve durata d’azione non hanno riportato alcunbeneficio sugli endpoint hard in pazienti con CAD, eaddirittura un aumento della mortalità con dosaggioelevato del farmaco188. Questa discordanza di dati hagenerato un acceso dibattito intorno ai calcioantagoni-sti, enfatizzando l’inadeguatezza del trattamento convasodilatatori a breve durata d’azione come i calcioan-tagonisti diidropiridinici. Una metanalisi sulla nifedipi-na in pazienti con angina stabile ha dimostrato che que-sto farmaco è ben tollerato189.

Il recente trial ACTION190, che ha paragonato gli ef-fetti della somministrazione di nifedipina a lunga dura-ta d’azione vs placebo a 4.9 anni di follow-up in 7665pazienti con angina pectoris stabile, non ha riscontratoalcun beneficio nel gruppo trattato per quanto riguardagli endpoint compositi di morte, IM, angina refrattaria,ictus invalidante e scompenso cardiaco. La terapia connifedipina si traduceva, da un lato, in un aumento delleprocedure di rivascolarizzazione periferica (hazard ra-tio = 1.25; p = 0.073), dall’altro in una riduzione degliinterventi di CABG (hazard ratio = 0.79; p = 0.0021).Gli autori hanno concluso per la sicurezza del tratta-mento con nifedipina evidenziandone la capacità di ri-durre gli interventi coronarici190. Tuttavia, l’assenza dibenefici sugli endpoint hard non consente di considera-re questo trattamento privo di rischi cardiovascolari. Idati dello studio CAMELOT191, che ha paragonato iltrattamento con amlodipina, enalapril e placebo in1991 pazienti con CAD stabile e valori pressori norma-li ad un follow-up di 2 anni, hanno dimostrato l’effica-cia dei due farmaci nel ridurre in egual misura la pres-sione arteriosa e in modo similare l’incidenza di end-point hard, anche se i risultati non raggiungevano la si-gnificatività statistica.

In conclusione, non esistono dati sufficienti a sup-porto dell’impiego dei calcioantagonisti a fini progno-stici nell’angina stabile non complicata, sebbene quelliin grado di ridurre la frequenza cardiaca possono esse-re somministrati in alternativa ai betabloccanti in pa-zienti postinfartuati senza scompenso cardiaco intolle-ranti ai betabloccanti.

Raccomandazioni per la terapia farmacologica voltaal miglioramento della prognosi in pazienti conangina stabileClasse I1) Aspirina 75 mg/die in tutti i pazienti in assenza dispecifiche controindicazioni (ad esempio, sanguina-mento gastrointestinale, allergia o precedente intolle-ranza all’aspirina) (livello di evidenza A).2) Terapia con statine in tutti i pazienti con CAD (livel-lo di evidenza A).3) Terapia con ACE-inibitori in pazienti con concomi-tante indicazione a tale trattamento per ipertensione,scompenso cardiaco, disfunzione ventricolare sinistra,pregresso IM con disfunzione ventricolare sinistra odiabete (livello di evidenza A).4) Terapia con betabloccanti in pazienti postinfartuati ocon scompenso cardiaco (livello di evidenza A).

Classe IIa1) Terapia con ACE-inibitori in tutti i pazienti affetti daangina e con CAD nota (livello di evidenza B).2) Clopidogrel come farmaco antiaggregante alternati-vo in pazienti con angina stabile che non possono assu-mere aspirina perché, ad esempio, allergici a tale far-maco (livello di evidenza B).3) Terapia con statine ad alte dosi in pazienti ad eleva-

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to rischio (mortalità cardiovascolare ad 1 anno > 2%)con CAD documentata (livello di evidenza B).

Classe IIb1) Terapia con fibrati in pazienti con bassi livelli di co-lesterolo HDL e ipertrigliceridemia affetti da diabete oda sindrome metabolica (livello di evidenza B).

Trattamento farmacologico dei sintomi edell’ischemia

I sintomi di angina pectoris e i segni di ischemia (in-clusa l’ischemia silente) possono essere alleviati conl’utilizzo di farmaci in grado di ridurre la richiesta mio-cardica di ossigeno e/o di aumentare il flusso coronari-co all’interno delle zone ischemiche. I farmaci antian-ginosi comunemente impiegati sono i betabloccanti, icalcioantagonisti e i nitrati organici.

Nitrati a breve durata d’azioneLa nitroglicerina in formulazione a rapido rilascio è ef-ficace nell’alleviare i sintomi associati ad un attaccoanginoso e può essere utilizzata nella “profilassi con-tingente”. Gli effetti antischemici e di remissione deisintomi sono secondari alla sua azione venodilatatrice ealla riduzione del riempimento ventricolare diastolico(ridotta pressione intracardiaca) che favoriscono la per-fusione endoteliale. A questo si aggiunge anche un’a-zione vasodilatatrice coronarica e antagonista allo spa-smo coronarico. La tolleranza ai nitrati (vedere sotto)attenua la risposta alla nitroglicerina a breve durata d’a-zione e deve pertanto essere evitata.

La nitroglicerina provoca effetti collaterali vasodi-latatori dose-dipendenti, quali emicrania e arrossamen-to cutaneo, e un eventuale sovradosaggio può causareipotensione posturale e attivazione simpatica associataa tachicardia riflessa promuovendo l’angina “parados-sa”. Un attacco anginoso che non risponde alla nitro-glicerna a breve durata d’azione deve indurre il sospet-to di IM e, pertanto, i pazienti devono essere adeguata-mente istruiti circa le modalità di impiego di tale so-stanza. L’assunzione di nitrati a breve durata d’azionecostituisce un semplice e valido strumento di misura-zione degli effetti terapeutici in associazione ad altrifarmaci antianginosi.

Nitrati a lunga durata d’azioneIl trattamento con nitrati a lunga durata d’azione riducela frequenza e la severità degli attacchi anginosi e puòaumentare la tolleranza all’esercizio. Studi condotti inpazienti postinfartuati che assumevano nitrati a lungadurata d’azione non hanno dimostrato alcun beneficioin termini prognostici.

In conseguenza dello sviluppo di tolleranza, in pa-zienti trattati con nitrati a lunga durata d’azione è ne-cessario prevedere un intervallo di sospensione del far-maco allo scopo di garantirne l’efficacia terapeutica. A

questo scopo, occorre definire un appropriato schemaposologico che contempli la somministrazione di iso-sorbide dinitrato a durata d’azione intermedia o isosor-bide mononitrato in formulazione atta ad assicurareun’adeguata concentrazione plasmatica. La terapiatransdermica continua con nitroglicerina non è efficacee si richiede che i pazienti rimuovano i cerotti duranteparte del giorno o durante la notte per ottemperare allanecessità di un intervallo di sospensione da nitrati.

BetabloccantiI betabloccanti sono efficaci nel ridurre la sintomatolo-gia anginosa e l’ischemia40,192-194. Essi riducono la ri-chiesta di ossigeno riducendo la frequenza cardiaca, lacontrattilità e la pressione arteriosa. Una riduzione del-la frequenza cardiaca sia a riposo sia durante eserciziopuò essere ottenuta con la maggior parte dei betabloc-canti, ad eccezione di quelli dotati di attività simpatico-mimetica intrinseca che agiscono solo sulla frequenzacardiaca durante esercizio. Un miglioramento dellaperfusione nelle aree ischemiche può essere conseguitomediante allungamento della durata della diastole (cioèdel tempo di perfusione), con annullamento del furtocoronarico dovuto ad un aumento del tono vascolarenelle regioni non ischemiche.

I betabloccanti che agiscono sui recettori beta-1 so-no da prediligere rispetto ai betabloccanti non selettivi,in virtù dei loro vantaggi in termini di effetti collateralie precauzioni da adottare. I più comunemente usati conprovata efficacia antianginosa sono il metoprololo, l’a-tenololo e il bisoprololo. Al fine di garantire l’efficaciaper 24 h, può essere usato un betabloccante beta-1 se-lettivo con lunga emivita plasmatica, come il bisopro-lolo, o una formulazione che assicuri un’elevata con-centrazione plasmatica, come il metoprololo a rilasciocontrollato. Per quanto concerne l’atenololo (con emi-vita plasmatica di 6-9 h), è consigliabile una duplicesomministrazione giornaliera, tenuto conto che un in-cremento del dosaggio si traduce in una maggiore du-rata d’azione. Le dosi target per un’efficacia antiangi-nosa totale sono 10 mg/die per il bisoprololo, 200mg/die per il metoprololo a rilascio controllato e 100mg/die (o 50 mg bid) per l’atenololo. L’entità del beta-blocco può essere verificata al test da sforzo. I beta-bloccanti sono farmaci antianginosi efficaci in grado diaumentare la tolleranza all’esercizio e di ridurre la fre-quenza dei sintomi e il consumo di nitrati a breve dura-ta d’azione; tuttavia, in pazienti con angina vasospasti-ca può verificarsi un incremento dei sintomi.

Gli effetti collaterali dei betabloccanti sono costi-tuiti da freddo alle estremità e bradicardia sintomatica,entrambi correlati all’inibizione cardiaca, e da un ag-gravamento del quadro respiratorio in pazienti asmaticio affetti da broncopneumopatia cronica ostruttiva (me-no frequente con i betabloccanti beta-1 selettivi). È sta-to anche riportato affaticamento, anche se tale segno harappresentato motivo di interruzione del trattamentosolo nello 0.4% dei pazienti arruolati nei trial195. Ana-

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logamente, non è stato riscontrato alcun incrementodella depressione in pazienti in terapia betabloccante esolo in 5 per 1000 pazienti-anno è stata osservata di-sfunzione sessuale (rappresentando motivo di interru-zione del trattamento in 2/1000)196. La qualità della vi-ta, oggetto di ampie indagini sul trattamento dell’iper-tensione, risulta ben preservata in pazienti ipertesi in te-rapia betabloccante197,917, anche se questo parametronon è mai stato sistematicamente valutato in pazienticon angina stabile198.

CalcioantagonistiAnche i calcioantagonisti hanno una provata efficaciaantianginosa40,191-194. Essi costituiscono un’eterogeneaclasse di farmaci capace di dilatare le arterie coronariee i vasi periferici, interferendo con il passaggio di cal-cio attraverso i canali lenti della membrana cellulare. Icalcioantagonisti non selettivi o in grado di ridurre lafrequenza cardiaca, come il verapamil e il diltiazem,sono anche dotati di un certo effetto inibitorio dellacontrattilità miocardica e di rallentamento della condu-zione atrioventricolare40,192. Analogamente, i calcioan-tagonisti diidropiridinici con prevalente effetto vasco-lare, come la nifedipina, l’amlodipina e la felodipina,provocano anch’essi una riduzione della contrattilitàmiocardica a fronte, tuttavia, di un’attivazione simpati-ca riflessa associata a moderato incremento della fre-quenza cardiaca che si attenua nel tempo. Segni di atti-vazione simpatica possono essere osservati anche dopomesi di trattamento con un calcioantagonista diidropi-ridinico199.

Al fine di minimizzare le variazioni di concentra-zione plasmatica e gli effetti cardiovascolari, sono daprediligere i calcioantagonisti a lunga durata d’azione,come l’amlodipina, o formulazioni a rilascio prolunga-to di quelli a breve durata d’azione, come la nifedipina,la felodipina, il verapamil e il diltiazem200. Gli effetticollaterali sono concentrazione-dipendenti, per lo piùconnessi alla risposta vasodilatatoria (emicrania, arros-samento cutaneo e edema alle caviglie), e sono mag-giori con i calcioantagonisti diidropiridinici. Il verapa-mil può causare costipazione.

L’efficacia antianginosa dei calcioantagonisti è cor-relata alla riduzione del lavoro cardiaco per vasodilata-zione sistemica, alla vasodilatazione coronarica e all’a-zione contrastante il vasospasmo40,192 ed è particolar-mente apprezzabile in pazienti con angina vasospastica(angina di Prinzmetal)40, anche se in taluni casi è statoriscontrato un aumento dell’area ischemica201.

Lo studio CAMELOT191 ha evidenziato come l’ef-ficacia antianginosa dell’amlodipina rispetto al placebosi sia tradotta in una riduzione significativa del numerodi ospedalizzazioni per angina e degli interventi di ri-vascolarizzazione a 2 anni di follow-up. Il trattamentocon enalapril non ha prodotto risultati simili in terminidi outcome correlati all’ischemia. Nello studioCAPE202, il trattamento con amlodipina ha determina-to, rispetto al placebo, una lieve ma significativa ridu-

zione dell’ischemia al monitoraggio Holter (gli effettidel placebo erano piuttosto evidenti) dopo 7 settimanedi trattamento. A 10 settimane, i pazienti in trattamen-to hanno riportato una sostanziale diminuzione degli at-tacchi anginosi (70 vs 44%) e una decisa riduzione delconsumo di nitroglicerina (67 vs 22%). Il profilo deglieffetti collaterali dell’amlodipina è risultato favorevolesia nel CAMELOT sia nel CAPE. Nello studioACTION, la terapia con nifedipina ha determinato una ri-duzione degli interventi di CABG (hazard ratio = 0.79;p = 0.002), anche se tale riscontro non era associato aduna riduzione dell’endpoint primario (morte, IM acuto,angina refrattaria, scompenso cardiaco conclamato, ic-tus invalidante e rivascolarizzazione periferica)190.

In quasi tutti i pazienti, l’efficacia antischemica eantianginosa dei calcioantagonisti si aggiunge a quelladei betabloccanti. I calcioantagonisti diidropiridinicisono adatti per una terapia di associazione con i beta-bloccanti, che contrastano l’attivazione simpatica ri-flessa, mentre i calcioantagonisti che riducono la fre-quenza cardiaca possono causare disturbi della condu-zione in pazienti predisposti in terapia betabloccante.Tutti i calcioantagonisti possono precipitare lo scom-penso cardiaco in pazienti predisposti e i tentativi diimpiegare i calcioantagonisti diidropiridinici per la lo-ro azione vasodilatatrice nello scompenso cardiaco sisono rivelati inconcludenti. Ciononostante, l’amlodipi-na può essere prescritta nel trattamento dell’angina edell’ipertensione in pazienti con scompenso cardiacostabile quando non controllato da altra terapia (adesempio, nitrati e betabloccanti)203.

Confronto tra il trattamento con betabloccanti equello con calcioantagonisti in pazienti conangina stabileLo studio IMAGE204 ha paragonato a 6 settimane il trat-tamento con metoprololo a rilascio controllato (200mg/die) con quello con nifedipina a lento rilascio (20mg bid) in pazienti con angina stabile (n = 140 in en-trambi i gruppi). Ambedue i farmaci hanno prodottouna maggiore tolleranza all’esercizio rispetto ai livellibasali, più evidente nei pazienti che assumevano meto-prololo (p < 0.05). Le risposte alle due terapie sono sta-te variabili e difficilmente prevedibili. Nello studioAPSIS, il trattamento con verapamil a lento rilascio per1 mese si è dimostrato lievemente superiore rispetto almetoprololo a rilascio controllato nell’incrementare latolleranza all’esercizio205. Tuttavia, anche se in questostudio l’ischemia da sforzo costituiva fattore predittivodi eventi cardiovascolari, l’efficacia del trattamento abreve termine sull’ischemia da sforzo non si è rivelatafattore predittivo indipendente di miglioramento del-l’outcome a lungo termine.

Lo studio TIBBS206 ha dimostrato l’efficacia anti-schemica e antianginosa del bisoprololo e della nifedi-pina, con una netta superiorità del primo sulla seconda.Il TIBET ha confrontato l’efficacia dell’atenololo, del-la nifedipina e della loro associazione sull’ischemia da

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sforzo e sul carico ischemico totale con disegno dellostudio in doppio cieco parallelo. Entrambi i trattamen-ti, da soli in associazione, hanno prodotto, rispetto alplacebo, un significativo miglioramento dei parametriergometrici e una significativa riduzione dell’attivitàischemica durante lo svolgimento delle attività quoti-diane, ma non sono state riscontrate differenze tra igruppi dei parametri di valutazione dell’ischemia. Mol-ti più pazienti nel gruppo nifedipina hanno interrotto iltrattamento a causa degli effetti collaterali rispetto algruppo atenololo o a quello in terapia di associazio-ne6,207. Le metanalisi che hanno preso in esame l’effi-cacia dei betabloccanti e dei calcioantagonisti nell’an-gina pectoris stabile indicano una superiorità dei beta-bloccanti nel ridurre gli episodi anginosi208, mentre en-trambe le categorie di farmaci sono risultate efficaci nelmigliorare la tolleranza all’esercizio e l’ischemia40,208.

In conclusione, in assenza di pregresso IM, alla lu-ce dei dati disponibili, la scelta tra il trattamento beta-bloccante o con calcioantagonisti deve basarsi sulla tol-leranza individuale e sulla presenza di concomitanti pa-tologie o terapie e, a parità di rilevanza di questi fatto-ri, i betabloccanti sono raccomandati come trattamentodi prima scelta.

Confronto tra nitrati associati a betabloccanti o cal-cioantagonistiSolamente pochi studi hanno valutato l’efficacia anti-schemica e antianginosa dei nitrati a lunga durata d’a-zione associati a betabloccanti o calcioantagonisti enon sono disponibili dati relativi ai possibili effetti deinitrati sulla morbilità nell’angina pectoris stabile208. Lametanalisi di Heidenreich et al.208 ha riportato solo unatendenza non significativa ad una riduzione dell’uso dinitroglicerina con i betabloccanti e degli episodi angi-nosi settimanali con i calcioantagonisti, entrambi asso-ciati ai nitrati a lunga durata d’azione. Ne deriva che initrati a lunga durata d’azione non presentano alcunvantaggio terapeutico rispetto ai betabloccanti o ai cal-cioantagonisti.

Attivatori del canale del potassioIl principale farmaco appartenente a questa classe è ilnicorandil (non in commercio in Italia), dotato di unduplice meccanismo d’azione in quanto è un attivatoredei canali del potassio con una componente nitrato econ efficacia simile ai nitrati209. Viene solitamente som-ministrato alla dose di 20 mg bid per la prevenzionedell’angina e a dosaggi cronici può svilupparsi tolle-ranza all’efficacia antianginosa che, tuttavia, non sem-brerebbe interferire con la tolleranza ai nitrati. Oltre al-le sue proprietà antianginose, il nicorandil esercita an-che un’azione cardiprotettiva. Il trial Impact of Nico-randil in Angina (IONA) ha dimostrato una significati-va riduzione degli eventi coronarici maggiori nei pa-zienti con angina stabile trattati con l’aggiunta di nico-randil alla terapia standard rispetto al gruppo placebo76.Tuttavia, tale riscontro derivava dall’osservazione degli

effetti del nicorandil sui “ricoveri ospedalieri per dolo-re toracico di natura cardiaca”, laddove la riduzione delrischio di morte cardiaca e IM non fatale a 1.6 anni ri-sultava non significativa76 al punto che ne è stata messain discussione l’efficacia terapeutica210. Il nicorandilnon è disponibile in tutti i paesi.

Altri farmaciI modulatori del nodo del seno, come l’ivabradina, han-no effetti cronotropi negativi sia a riposo sia duranteesercizio così come una provata efficacia antianginosae possono essere impiegati come farmaci alternativi inpazienti che non tollerano i betabloccanti171,211,212.

I modulatori metabolici esercitano un’azione anti-schemica mediante un aumento del metabolismo gluci-dico a spese di quello degli acidi grassi. Sia la trimeta-zidina sia la ranolazina si sono dimostrate efficaci nelprevenire l’angina e possono essere impiegate in asso-ciazione con agenti terapeutici emodinamici, giacché laloro efficacia primaria non si esplica attraverso una ri-duzione della frequenza cardiaca né della pressione ar-teriosa. La trimetazidina è disponibile da alcuni anni,ma non in tutti i paesi. La ranolazina non è stata anco-ra approvata dall’EMEA, anche se tuttora soggetta adintensa valutazione. Deve comunque essere ancora de-finito se tali farmaci possono influenzare la prognosidei pazienti con angina stabile. La molsidomina è unvasodilatatore con efficacia simile ai nitrati organici e,se somministrata a dosaggi appropriati, è un valido far-maco antischemico e antianginoso217. Non è disponibi-le in tutti i paesi, inclusa l’Italia.

Raccomandazioni per la terapia farmacologicaIl trattamento farmacologico antianginoso deve essereindividualizzato in base alle specifiche esigenze del pa-ziente e deve essere strettamente monitorato. La terapiacon nitrati a breve durata d’azione deve essere prescrit-ta in tutti i pazienti al massimo dosaggio tollerato ai fi-ni di un’immediata remissione dei sintomi acuti. Perquanto i dati derivanti dai trial clinici abbiano eviden-ziato l’efficacia antianginosa di diversi farmaci, questidevono essere valutati nel singolo paziente. Un tratta-mento antianginoso intensivo può causare complica-zioni e, a tal riguardo, è stato dimostrato che l’associa-zione di tre farmaci antianginosi può tradursi in una mi-nore prevenzione dei sintomi rispetto alla combinazio-ne di due farmaci218,219. Pertanto, il dosaggio del farma-co deve essere ottimizzato prima di associarne un altroed è consigliabile variare la terapia di combinazioneprima di procedere ad instaurare un regime terapeuticocon tre farmaci. In caso di inefficacia del trattamento,occorre prendere in considerazione la scarsa aderenzaalla terapia.

L’algoritmo illustrato nella Figura 4 indica la strate-gia raccomandata per il trattamento farmacologico an-tianginoso in pazienti ritenuti idonei alla terapia medi-ca sulla base della valutazione iniziale e della stratifi-cazione del rischio. Per quanto riguarda le raccoman-

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dazioni qui sotto riportate, i livelli di evidenza indicatisi riferiscono all’efficacia antianginosa o antischemica,salvo quando diversamente specificato.

Raccomandazioni per la terapia farmacologica voltaal miglioramento della sintomatologia e/o allariduzione dell’ischemia in pazienti con angina stabileClasse I1) Prescrivere nitroglicerina a breve durata d’azione perottenere la remissione dei sintomi acuti e come profi-lassi contingente, istruendo adeguatamente il pazientesulle modalità di impiego del trattamento (livello di evi-denza B).2) Verificare l’efficacia di un betabloccante che agiscesui recettori beta-1 ed aggiustare al dosaggio pieno;prendere in considerazione l’opportunità di garantirnel’efficacia per 24 h per un effetto preventivo sull’ische-mia (livello di evidenza A).3) In caso di intolleranza ai betabloccanti o di scarsa ef-ficacia della terapia betabloccante, provare una mono-terapia con calcioantagonista (livello di evidenza A),nitrati a lunga durata d’azione (livello di evidenza C) onicorandil (livello di evidenza C).

4) Se la monoterapia con betabloccante non è suffi-cientemente efficace, aggiungere un calcioantagonistadiidropiridinico (livello di evidenza B).

Classe IIa1) In caso di intolleranza ai betabloccanti, provare unmodulatore del nodo del seno (livello di evidenza B).2) Se la monoterapia o la terapia di associazione (cal-cioantagonista più betabloccante) non produce risulta-ti, sostituire il calcioantagonista con un nitrato a lungadurata d’azione o con il nicorandil, facendo attenzionead evitare che si sviluppi tolleranza al nitrato (livello dievidenza C).

Classe IIb1) Se disponibili, possono essere usati i modulatori me-tabolici in aggiunta alla terapia standard o in sostitu-zione della terapia in presenza di intolleranza ai farma-ci tradizionali (livello di evidenza B).

Considerare l’associazione di tre farmaci esclusiva-mente nel caso in cui il regime di combinazione sia in-sufficiente, dopo attenta disamina degli effetti del far-

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Figura 4. Algoritmo per la terapia medica dell’angina stabile. I pazienti ad alto rischio in base alla prognosi e candidati alla rivascolarizzazione de-vono essere identificati e appropriatamente indirizzati. I livelli di evidenza relativi ai sintomi si riferiscono alla riduzione degli interventi di rivascola-rizzazione necessari e del numero di ospedalizzazioni per dolore toracico. IM = infarto miocardico; MCV = malattia cardiovascolare. * le controindi-cazioni relative ai betabloccanti comprendono l’asma, vasculopatia periferica sintomatica e blocco atrioventricolare di primo grado; ** evitare cal-cioantagonisti diidropiridinici a breve durata d’azione quando non associati a betabloccanti. I livelli di evidenza relativi alla prognosi si riferiscono alriscontro di riduzione del rischio cardiovascolare o di morte cardiovascolare/IM.

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maco aggiuntivo. I pazienti con sintomi scarsamentecontrollati dalla terapia combinata devono essere valu-tati per un possibile intervento di rivascolarizzazione,specialmente quelli che dimostrano di prediligere net-tamente la rivascolarizzazione alla terapia farmacologi-ca. Occorre altresì circostanziare su base individualel’opportunità della terapia medica in corso mirata ad unmiglioramento della prognosi, indipendentemente dal-l’idoneità alla rivascolarizzazione e a fronte della valu-tazione dei rischi e dei benefici. Malgrado la varietàdelle opzioni terapeutiche riportate, il trattamento del-l’angina refrattaria rappresenta ancora un ostacolo e lerelative strategie da adottare sono riportate in una se-zione separata.

Considerazioni terapeutiche particolari: sindrome Xe angina vasopasticaTrattamento della sindrome XIl trattamento deve mirare alla remissione dei sinto-mi220 e, poiché i nitrati si dimostrano efficaci nella metàdei pazienti, è ragionevole iniziare il trattamento con initrati a lunga durata d’azione. Qualora i sintomi persi-stano, possono essere aggiunti calcioantagonisti o beta-bloccanti. I bloccanti alfa-adrenergici sono inefficaci dalpunto di vista clinico, anche se in pazienti con sindro-me X aumentano la riserva vasodilatatrice221,222. Vi so-no segnalazioni che altri farmaci, come il nicorandil ela trimetazidina, possano essere utili in alcuni pazienti.

Gli ACE-inibitori e le statine possono rivelarsi utilinel far regredire la disfunzione endoteliale sottostante edevono essere assolutamente presi in esame nei pazien-ti con sindrome X per il trattamento dei loro fattori dirischio. Alcuni dati suggeriscono che gli ACE-inibitorie le statine sono anche efficaci nel ridurre l’ischemia dasforzo.

La difficoltà di ottenere benefici terapeutici duratu-ri in pazienti con sindrome X richiede un approcciomultidisciplinare223, che può prevedere l’impiego dianalgesici come l’imipramina o l’aminofillina, inter-venti psicologici, tecniche di elettrostimolazione e alle-namento fisico. Alcuni studi sull’uso della terapia or-monale sostitutiva in pazienti nel periodo postmeno-pausale hanno dimostrato un miglioramento della fun-zione endoteliale e della sintomatologia, ma tale terapiadeve essere prescritta con precauzione alla luce dei re-centi trial che ne hanno evidenziato outcome cardiova-scolari avversi.

Raccomandazioni per la terapia farmacologica voltaal miglioramento della sintomatologia in pazienti consindrome XClasse I1) Terapia con nitrati, betabloccanti e calcioantagonistida soli o in associazione (livello di evidenza B).2) Terapia con statine in pazienti con iperlipidemia (li-vello di evidenza B).3) ACE-inibitori in pazienti ipertesi (livello di evidenzaC).

Classe IIa1) Tentativo con altri farmaci antianginosi come il ni-corandil ed i modulatori metabolici (livello di evidenzaC).

Classe IIb1) Aminofillina in caso di persistenza del dolore mal-grado i provvedimenti di classe I (livello di evidenzaC).2) Imipramina in caso di persistenza del dolore malgra-do i provvedimenti di classe I (livello di evidenza C).

Trattamento dell’angina vasospasticaLa rimozione dei fattori precipitanti, come la cessazio-ne del fumo, è essenziale226 e i maggiori componentidella terapia medica sono costituiti da nitrati e cal-cioantagonisti. Se, da un lato, i nitrati sono estrema-mente efficaci nel contrastare il vasospasmo coronari-co, dall’altro hanno una minore capacità di prevenzio-ne degli attacchi anginosi a riposo129. I calcioantagoni-sti sono maggiormente efficaci nel far regredire i segnie sintomi dello spasmo coronarico e il trattamento devequanto più possibile essere instaurato ad alte dosi (finoa 480 mg/die per il verapamil, fino a 260 mg/die per ildiltiazem e fino a 120 mg/die per la nifedipina), anchese tali farmaci ottengono una completa remissione deisintomi solo nel 38% dei pazienti129. Nella maggiorparte dei casi, il miglioramento della sintomatologiapuò essere raggiunto mediante una terapia di combina-zione con nitrati a lunga durata d’azione e calcioanta-gonisti ad alte dosi. Il ruolo degli alfabloccanti è con-troverso, anche se sporadicamente sono stati riportatidei benefici terapeutici227. Il nicorandil, un attivatoredei canali del potassio, può talvolta rivelarsi utile in pa-zienti con angina vasospastica refrattaria228.

Una remissione spontanea delle manifestazioni va-sospastiche si verifica in circa la metà dei pazienti oc-cidentali in terapia medica per almeno 1 anno229 e, per-tanto, è possibile procedere ad una progressiva riduzio-ne fino all’interruzione del trattamento nei 6-12 mesisuccessivi alla scomparsa dell’angina. In presenza divasospasmo associato a CAD significativa, bisogna at-tenersi alle raccomandazioni per il trattamento volto amigliorare la prognosi e di prevenzione secondaria.

Raccomandazioni per la terapia farmacologica inpazienti con angina vasospasticaClasse I1) Trattamento con calcioantagonisti e nitrati, se neces-sario, in pazienti con esame coronarografico normale ocon lesioni non ostruttive alla coronarografia (livello dievidenza B).

Rivascolarizzazione miocardica

Esistono due approcci di provata efficacia alla rivasco-larizzazione coronarica per il trattamento dell’angina

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stabile cronica secondaria ad aterosclerosi: la rivasco-larizzazione chirurgica (CABG) e quella mediante PCI.Entrambi i metodi stanno attualmente subendo rapidicambiamenti a seguito dell’introduzione della chirurgiamini-invasiva e off-pump e degli stent medicati. Analo-gamente alla terapia farmacologica, l’intervento di ri-vascolarizzazione deve assolvere un duplice obiettivo,quello di migliorare la sopravvivenza totale e la so-pravvivenza libera da IM e quello di ridurre od ottene-re la remissione dei sintomi. Inoltre, la valutazione delrischio individuale e delle condizioni sintomatologichedi ciascun paziente deve costituire parte integrante delprocesso decisionale.

Bypass aortocoronaricoLe indicazioni all’intervento di CABG sono sia di tipoprognostico sia relative alla sintomatologia. I beneficiprognostici consistono fondamentalmente nella ridu-zione della mortalità cardiaca, perché di fatto pochi so-no i dati a dimostrazione di una diminuzione deglieventi di IM230,231. Rispetto alla terapia medica, non so-no stati riscontrati effetti favorevoli in pazienti a bassorischio (mortalità ad 1 anno < 1%)231. Una metanalisi ditrial chirurgici ha evidenziato che l’intervento diCABG ha prodotto un miglioramento della prognosinei pazienti a medio-alto rischio, sebbene anche i pa-zienti a medio rischio in terapia medica abbiano mo-strato una mortalità a 5 anni del 13.9% e una mortalitàad 1 anno del 2.8%, percentuali piuttosto elevate se pa-ragonate agli standard contemporanei. Ulteriori dati os-servazionali derivanti dal registro Duke hanno confer-mato che i benefici associati all’intervento chirurgico intermini di mortalità a lungo termine erano limitati ai pa-zienti ad alto rischio232. Le analisi condotte sui risultatidei trial randomizzati controllati hanno dimostrato chela presenza di una determinata anatomia coronarica siassocia ad una prognosi migliore con l’intervento chi-rurgico rispetto al trattamento farmacologico104,231,specificatamente nel caso delle seguenti patologie:1) stenosi significativa del tronco comune;2) stenosi prossimale significativa delle tre arterie co-ronarie maggiori;3) stenosi significativa di due arterie coronarie maggio-ri, compresa la stenosi critica della LAD prossimale.

Sulla base di questi studi, una stenosi era definitivasignificativa se ≥ 70% per le arterie coronarie maggio-ri o ≥ 50% per il tronco comune. Alla luce di quantoemerso da due dei maggiori trial randomizzati, lo Eu-ropean Coronary Artery e il North AmericanCASS103,233, la presenza di disfunzione ventricolare si-nistra aumenta in termini assoluti il beneficio progno-stico dell’intervento chirurgico rispetto alla terapia me-dica in tutte le categorie di pazienti.

È stato inequivocabilmente dimostrato che l’inter-vento chirurgico in pazienti con angina cronica risultain una riduzione dei sintomi e dell’ischemia oltre che inun miglioramento della qualità di vita e questi beneficisi estendono ad un numero di gran lunga superiore di

pazienti rispetto a quelli nei quali è stato documentatoun miglioramento della sopravvivenza230. Pertanto, i ri-schi e i benefici individuali devono essere accurata-mente valutati tanto nei pazienti a basso rischio, neiquali l’intervento chirurgico viene programmato in ba-se alla sola sintomatologia, quanto in quelli ad alto ri-schio.

La mortalità procedurale totale per CABG è dell’1-4% a seconda della popolazione esaminata ed esistonovalidi metodi di stratificazione del rischio che consen-tono di stimare il rischio individuale218. Negli ultimi 20anni, la procedura standard viene eseguita mediantegraft della LAD con arteria mammaria interna o convena safena per altri tipi di bypass aortocoronarico. Larecrudescenza dei sintomi dovuta a malattia del graftvenoso continua a rappresentare un dilemma clinico.Ampi studi osservazionali hanno dimostrato che l’uti-lizzo del graft della LAD si traduce in un miglioramen-to della sopravvivenza e in una riduzione dell’inciden-za di successivi IM, angina ricorrente e del ricorso asuccessive procedure cardiache239. Altri graft arteriosiutilizzano l’arteria gastroepiploica destra ma soprattut-to l’arteria radiale, che è stata riportata avere percen-tuali di pervietà di oltre il 90% nei primi 3 anni post-in-tervento.

L’approccio più comunemente adottato per esegui-re un intervento di CABG è mediante uso della circola-zione extracorporea (bypass cardiopolmonare), anchese la tecnica cosiddetta “off-pump” si è dimostrata ingrado di ridurre la mortalità e morbilità periprocedura-le. Sono oggi disponibili i dati di trial randomizzati diconfronto tra la tecnica off-pump e la procedura stan-dard, che non riportano alcuna differenza di outcomefra i due approcci nei primi 1-3 anni post-interven-to240,241. Più recentemente, in un altro trial randomizza-to con follow-up angiografico a 6 mesi, Khan et al.242

hanno dimostrato una significativa riduzione della per-vietà del graft (90 vs 98%) nel gruppo off-pump. Que-sti studi suggeriscono che l’intervento off-pump noncostituisce un rimedio universale, ma al contrario deveessere eseguito con estrema prudenza e selettivamentein pazienti con vasi target in ottime condizioni e co-morbilità significative.

Intervento coronarico percutaneoSebbene, nelle sue prime fasi, l’angioplastica translu-minale percutanea sia stata unicamente impiegata per iltrattamento della malattia monovasale, i progressi intermini di esperienza, armamentario, con particolare ri-ferimento agli stent, e terapia adiuvante ne hanno este-so ampiamente il range di applicazione. In pazienti conangina stabile e adeguata anatomia coronarica, l’impie-go di stent associato ad un’appropriata terapia adiuvan-te consente di eseguire, in mani esperte, PCI mono- omultivasale con un’elevata probabilità di successo pro-cedurale iniziale e con un rischio accettabile243. Il ri-schio di morte correlato con una routinaria procedura diangioplastica è circa 0.3-1%, anche se sono possibili

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variazioni consistenti. La procedura di PCI può esserepresa in considerazione come alternativa al CABG pra-ticamente in quasi tutti i pazienti allo scopo di allevia-re i sintomi. Sulla base dell’evidenza disponibile, la ri-vascolarizzazione percutanea non sembra fornire, ri-spetto alla terapia medica, sostanziali benefici in termi-ni di mortalità in pazienti con angina stabile244.

L’evidenza dei trial indica che l’angioplastica è piùefficace della terapia medica nel ridurre gli eventi chepregiudicano la qualità di vita (angina pectoris, di-spnea, riospedalizzazioni o limitazione della capacitàdi esercizio). Gli sperimentatori dello studio ACME245

hanno riportato un maggiore controllo dei sintomi eduna migliore capacità di esercizio nei pazienti sottopo-sti a PCI che in quelli in terapia medica. L’incidenza dimorte e IM era simile in entrambi i gruppi, ma i risul-tati a medio termine nei pazienti con malattia bivasale,a differenza di quelli con malattia monovasale, non di-mostravano un migliore controllo dei sintomi rispettoal gruppo in terapia medica (simile miglioramento del-la durata di esercizio, libertà da angina, miglioramentodella qualità di vita a 6 mesi di follow-up)246. Questostudio di piccole dimensioni (n = 328) suggerisce che,in pazienti con angina stabile e malattia bivasale, l’an-gioplastica può essere meno efficace nel controllare isintomi rispetto a quanto si verifica in quelli con malat-tia monovasale.

Il trial RITA-2247 ha dimostrato che l’angioplasticaè più efficace della terapia medica nel controllare i sin-tomi di ischemia con un concomitante miglioramentodella capacità di esercizio, ma si associa ad un più ele-vato endpoint composito di morte e IM periprocedura-le. In questo studio, 1018 pazienti con angina stabile(dei quali il 62% con CAD multivasale e il 34% con pa-tologia significativa della LAD prossimale) sono statirandomizzati a PCI o terapia medica con un follow-upmedio di 2.7 anni. Ai pazienti con inadeguato controllodella sintomatologia malgrado terapia medica ottimaleveniva concesso di passare al gruppo PCI. Lo studioAVERT248 ha arruolato 341 pazienti con CAD stabile,normale funzione ventricolare sinistra e angina in clas-se I e/o II, sottoposti a PCI o terapia medica con ator-vastatina (80 mg/die). A 18 mesi di follow-up, il 13%dei pazienti del gruppo terapia medica aveva manife-stato eventi ischemici contro il 21% del gruppo PCI (p= 0.048), mentre il sollievo dall’angina era più eviden-te nel gruppo PCI. Questi dati suggeriscono che in pa-zienti a basso rischio con CAD stabile, il trattamentofarmacologico inclusivo di terapia ipolipidemizzanteaggressiva è efficace quanto l’angioplastica nel ridurregli eventi ischemici. Nel gruppo PCI si era riscontratoun miglioramento più marcato dei sintomi anginosi.

Impianto elettivo di stent e stent medicatiDa una metanalisi di 29 trial che includeva 9918 pa-zienti non è emersa alcuna differenza tra lo stenting co-ronarico e l’angioplastica standard con palloncino perquanto concerne la mortalità, l’IM o il ricorso a CABG.

Ciononostante, lo stenting coronarico riduce l’inciden-za di restenosi e la necessità di PCI ripetute, come con-fermato da una più recente metanalisi250. La restenosiintrastent è, tuttavia, un limite nell’efficacia della pro-cedura di PCI in pazienti con CAD stabile, comportan-do la necessità di una rivascolarizzazione della lesionetarget nel 5-25% dei casi.

In seguito ai dati forniti dallo studio RAVEL251, glistent medicati sono ora al centro dell’attenzione perquanto riguarda le procedure interventistiche coronari-che. Attualmente sono tre i farmaci che hanno dimo-strato effetti positivi in studi prospettici randomizzati,paclitaxel, sirolimus e il suo derivato, everolimus. Adoggi, i trial randomizzati riguardano solo pazienti conmalattia monovasale e con angina stabile o instabile.L’uso di stent medicati ha prodotto un maggiore bene-ficio terapeutico rispetto ai tradizionali stent metallici,riducendo il rischio di restenosi e gli eventi cardiacimaggiori avversi, inclusa la rivascolarizzazione dellalesione target. È stata riportata un’incidenza di eventicardiaci maggiori avversi a 9 mesi che variava dal 7.1al 10.3% con l’utilizzo degli stent medicati contro il13.3-18.9% nei gruppi di controllo. Linee guida piùspecifiche sull’uso degli stent medicati sono riportatenelle linee guida ESC sulle procedure di PCI252.

Rivascolarizzazione versus terapia medicaAl di là degli studi che hanno analizzato esclusivamen-te gli effetti della PCI vs terapia medica o del CABG vsterapia medica, numerosi studi ibridi hanno paragonatogli esiti della rivascolarizzazione mediante PCI oCABG con la terapia medica. È il caso dello studioAsymptomatic Cardiac Ischaemia Pilot253, condotto inpazienti con CAD nota e ischemia asintomatica, che hafornito dati aggiuntivi avvalendosi del test da sforzo edel monitoraggio ECG ambulatoriale. Questo studio dipiccole dimensioni ha randomizzato 558 pazienti, consintomatologia non rilevante ed evidenza di ischemia altest da sforzo candidati a rivascolarizzazione tramitePCI o CABG, alle seguenti tre strategie di trattamento:terapia medica guidata dai sintomi, terapia medica gui-data dall’ischemia e rivascolarizzazione. A 2 anni difollow-up, la mortalità o l’incidenza di IM è stata del4.7% nei pazienti randomizzati alla rivascolarizzazio-ne, 8.8% in quelli randomizzati alla terapia guidata dal-l’ischemia e 12.1% in quelli randomizzati alla terapiaguidata dai sintomi (p < 0.01 per il gruppo sottoposto arivascolarizzazione vs i gruppi sottoposti a terapia me-dica). Questi risultati indicano che i pazienti a più ele-vato rischio, asintomatici o paucisintomatici, conischemia documentabile possono giovarsi maggior-mente dell’intervento di rivascolarizzazione rispetto aquelli sottoposti a terapia medica.

Uno studio svizzero (TIME)254 ha paragonato i ri-sultati della terapia medica con quelli della rivascola-rizzazione sia interventistica (52%) sia chirurgica(21%) in pazienti anziani (età media 80 anni) con angi-na severa. La terapia invasiva è risultata associata ad un

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miglioramento significativo della sintomatologia a 6mesi, ma non ad 1 anno, probabilmente in ragione del48% dei pazienti inizialmente sottoposti a terapia me-dica che sono stati successivamente rivascolarizzati. Lamortalità e l’incidenza di IM non presentavano diffe-renze significative tra le due strategie terapeutiche. Gliinvestigatori del trial Medicine, Angioplasty or Surgery(MASS)255 hanno randomizzato pazienti con anginastabile e malattia isolata della LAD a terapia medica oPCI (incluso lo stenting) o CABG con endpoint com-posito di morte cardiaca, IM, rivascolarizzazione chi-rurgica per angina refrattaria. A 3 anni di follow-up,questo endpoint composito si è verificato nel 24, 17 e3% dei pazienti sottoposti, rispettivamente, a PCI, tera-pia medica e CABG, fondamentalmente senza nessunadifferenza significativa della mortalità totale fra i tregruppi. Eventi di morte o IM sono stati riscontratinell’1% del gruppo CABG, nel 2% del gruppo PCI enell’1.4% del gruppo in terapia medica.

Intervento coronarico percutaneo versus interventochirurgicoNumerosi trial clinici, condotti sia prima sia dopo ladiffusione dello stenting coronarico236,256,257 e in pa-zienti con malattia sia multivasale sia monovasale, han-no confrontato la procedura di PCI con quella chirurgi-ca al fine di definire la tecnica di rivascolarizzazionemigliore. Le metanalisi dei trial antecedenti al 1995258,appartenenti quindi all’era pre-stent, non hanno docu-mentato alcuna differenza significativa fra le due stra-tegie terapeutiche relativamente alla mortalità o al-l’endpoint composito di morte o IM. La mortalità tota-le durante la prima ospedalizzazione per l’intervento èrisultata dell’1.3% nei pazienti sottoposti a CABG edell’1% in quelli sottoposti a PCI. Il ricorso a successi-ve procedure di rivascolarizzazione si è dimostrato si-gnificativamente più elevato nel gruppo PCI e, perquanto i pazienti sottoposti a bypass chirurgico rispettoa quelli candidati a PCI fossero a rischio significativa-mente inferiore di sviluppare angina ad 1 anno post-in-tervento, tale differenza non era più significativa a 3 an-ni. I dati dello studio BARI, il più ampio trial rando-mizzato di confronto tra la procedura di PCI e quellachirurgica e non incluso nella metanalisi, hanno sostan-zialmente confermato questi risultati, documentandotuttavia un miglioramento della mortalità nei pazientidiabetici sottoposti a CABG259.

I trial più recenti, come l’ARTS260 e il SOS256, han-no introdotto l’uso degli stent come parte integrante del-la PCI. In particolare, l’ARTS-1260 ha paragonato l’in-tervento di CABG con l’impianto di stent per il tratta-mento di pazienti con malattia multivasale. Nell’ambitodei gruppi randomizzati rispettivamente ad impianto distent e ad intervento chirurgico, il 37 e 35% erano affet-ti da angina instabile, il 57 e 60% da angina stabile e il6 e 5% da ischemia silente. Nei 12 mesi successivi allaprocedura, non sono state riscontrate differenze in ter-mini di mortalità, incidenza di ictus e IM, anche se nel

gruppo stent è stato evidenziato un maggior ricorso asuccessive procedure di rivascolarizzazione.

Sulla base di una metanalisi di trial condotti con l’u-tilizzo di stent234, la procedura di CABG rispetto a quel-la di PCI si traduce in un miglioramento della mortalitàa 5 anni che persiste a 8 anni nei pazienti con malattiamultivasale, così come in una riduzione degli episodianginosi e del ricorso a successivi interventi di rivasco-larizzazione. Un’analisi per sottogruppi dei trial con-dotti in era pre- e post-stent ha dimostrato una signifi-cativa eterogeneità, evidenziando una tendenza versouna riduzione della mortalità con la procedura diCABG nei trial pre-stent che non era, viceversa, docu-mentabile, in quelli appartenenti all’era post-stent. Unametanalisi più recente inerente a quattro trial rando-mizzati controllati di confronto fra PCI associato adimpiego di stent e CABG (n = 3051) non ha riportatoalcuna differenza tra i due trattamenti per quanto con-cerne l’endpoint primario di morte, IM o ictus ad 1 an-no. Ciononostante, dati osservazionali di follow-up a 3anni, relativi ad oltre 60 000 pazienti arruolati nel NewYork Cardiac Registry, hanno evidenziato che l’inter-vento di CABG in pazienti con malattia bivasale o mul-tivasale era associato a tassi di sopravvivenza aggiusta-ti a lungo termine più elevati rispetto a quelli ottenuticon impianto di stent.

In conclusione, dai risultati dei trial emerge che, adeccezione dei pazienti ad alto rischio per i quali è statoriportato un innegabile miglioramento della prognosimediante intervento chirurgico, sia la PCI che il CABGvanno considerate opzioni terapeutiche efficaci nel trat-tamento dei sintomi. Dopo aver istituito una terapia far-macologica iniziale, l’intervento di rivascolarizzazionepuò essere raccomandato in pazienti con idonea anato-mia coronarica che non rispondono in maniera adegua-ta alla terapia o in quei particolari pazienti che, indi-pendentemente dall’età, aspirano a rimanere fisicamen-te attivi (in grado di svolgere attività fisica regolare).

In pazienti non diabetici con malattia mono- o biva-sale e senza stenosi critica della LAD prossimale, neiquali l’angioplastica dimostra un’elevata percentuale disuccesso nel trattamento di una o più lesioni, la proce-dura d’elezione è in prima istanza la PCI in virtù dellaminore invasività, del minore rischio e della mancanzadi benefici del CABG in termini di sopravvivenza neipazienti a più basso rischio. Nella fase di pianificazio-ne del tipo di strategia terapeutica da adottare, è neces-sario valutare attentamente le condizioni cliniche e lepreferenze di ciascun paziente.

In pazienti asintomatici, l’intervento di rivascolariz-zazione non produce alcun miglioramento della sinto-matologia mentre l’unica indicazione appropriata peruna rivascolarizzazione mediante PCI sarebbe al fine diridurre la probabilità di complicanze ischemiche futu-re. I dati a supporto di tale strategia sono limitati ai pa-zienti con evidenza obiettiva di estesa ischemia nei qua-li l’intervento di rivascolarizzazione (sia mediante PCIche CABG) può condurre ad una riduzione della mor-

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talità in confronto a terapia medica guidata dai sinto-mi253. La procedura di PCI può essere presa in conside-razione in pazienti con sintomatologia lieve, ma ad ele-vato rischio di ischemia e CAD severa esclusivamentea fronte di un’elevata probabilità di successo e un bas-so rischio di mortalità e morbilità.

Particolari sottogruppi di pazienti e lesioniNel valutare le possibili opzioni di rivascolarizzazione,particolare attenzione deve essere rivolta ai pazienticon severa disfunzione ventricolare sinistra e/o ad ele-vato rischio chirurgico, ai pazienti con malattia deltronco comune, diabetici o affetti da malattia multiva-sale e ai pazienti con pregresso CABG.

I pazienti a rischio chirurgico eccessivamente eleva-to possono trarre vantaggio dalla PCI, soprattutto inpresenza di vitalità miocardica residua nel territoriorifornito dal vaso sede della lesione, come dimostratoda due ampi trial randomizzati, lo STICH261 el’HEART UK262.

Anche se le procedure di PCI si sono dimostrate fat-tibili in pazienti con malattia del tronco comune e sonostati riportati esiti favorevoli in registri che hanno con-frontato gli stent medicati con quelli metallici, fino aquando non saranno disponibili i risultati di nuovi triall’intervento chirurgico rimane l’approccio da prediligere.

In pazienti diabetici con malattia multivasale, leanalisi per sottogruppi di trial randomizzati hanno evi-denziato una maggiore riduzione della mortalità con ilCABG rispetto alla PCI264,265. Il trial BARI è il più am-pio di questi studi e l’unico ad aver rilevato una diffe-renza statisticamente significativa di mortalità tra duetrattamenti nei pazienti diabetici. Un limite di questistudi risiede nel fatto di essere stati condotti tutti primadella diffusione degli stent medicati e della terapia an-tipiastrinica adiuvante periprocedurale. Due grandi stu-di sono attualmente in corso per valutare questa proble-matica, il BARI 2 Diabetes (BARI 2D) e il FREEDOM(Future Revascularization Evaluation in Patients withDiabetes Mellitus). Allo stato attuale, occorre comun-que tenere in debito conto le evidenze disponibili e laPCI deve essere eseguita con riserva nei pazienti diabe-tici affetti da malattia multivasale per lo meno fino ache non vengano resi noti i risultati di ulteriori studi.

Non sono disponibili trial controllati randomizzatidi confronto tra le varie opzioni terapeutiche in pazien-ti con pregresso CABG. Successivi interventi chirurgi-ci possono essere eseguiti su base sintomatologica inpresenza di idonea anatomia coronarica, malgrado il ri-schio perioperatorio risulti 3 volte superiore a quellodel primo intervento ed esista un rischio aggiuntivo didanneggiamento del graft in pazienti con pervietà delgraft in arteria mammaria interna. D’altro canto, ai finidi una riduzione della sintomatologia, i pazienti conpregresso CABG possono anche essere sottoposti a PCIsia sui graft venosi sia arteriosi o dei vasi nativi, qualevalida alternativa al reintervento chirurgico.

Infine, il caso di un’occlusione cronica totale chenon può essere superata: in pazienti con malattia multi-

vasale, il mancato trattamento dell’occlusione totale ri-sulterebbe in una rivascolarizzazione incompleta chepuò essere evitata se il paziente viene inviato a CABG.

Indicazioni alla rivascolarizzazioneGeneralmente i pazienti con indicazione alla coronaro-grafia e con evidenza di stenosi severa durante cateteri-smo sono potenziali candidati alla rivascolarizzazionemiocardica. Un paziente è inoltre potenzialmente eleg-gibile a rivascolarizzazione se:1) la terapia medica non è efficace nel controllare la sin-tomatologia in maniera soddisfacente per il paziente;2) i test non invasivi documentano un’area estesa dimiocardio a rischio;3) la probabilità di successo è elevata e il rischio dimortalità e morbilità è accettabile;4) il paziente esprime di prediligere l’approccio inter-ventistico piuttosto che medico, a patto che sia adegua-tamente informato dei rischi di tale scelta in rapportoalle relative condizioni cliniche.

Se la risposta alla terapia sia adeguata deve esserestabilito dopo aver consultato il paziente. Per alcuni diessi, i sintomi di classe I (angina causata esclusiva-mente da sforzo strenuo, ma che non insorge durante leconsuete attività) sono definiti accettabili, altri ne au-spicano la totale regressione. Le raccomandazioni perla rivascolarizzazione in pazienti sintomatici, riportatenella Tabella 6 ed elencate qui sotto, prendono in con-siderazione l’intero spettro sintomatologico che emer-ge dall’insieme delle evidenze disponibili e come talinon devono essere interpretate come indicazioni adeseguire sistematicamente tale procedura in presenza diciascuna delle evenienze descritte. Se il rischio di mor-bilità e mortalità sia accettabile deve essere valutato inciascun paziente su base individuale. In linea di massi-ma, un paziente non deve essere sottoposto a rivascola-rizzazione qualora la mortalità periprocedurale sia su-periore a quella stimata ad 1 anno, a meno che non esi-sta un reale beneficio prognostico a più lungo termineo la gravità dei sintomi sia tale da influenzare negativa-mente la qualità di vita malgrado appropriata terapiamedica.

La scelta della modalità di rivascolarizzazione mio-cardica deve basarsi sui seguenti parametri:1) il rischio di morbilità e mortalità periprocedurale;2) la possibilità di successo, inclusa la valutazione del-l’idoneità delle lesioni all’angioplastica o all’interven-to di bypass;3) il rischio di restenosi o di occlusione del graft;4) la completezza della rivascolarizzazione. Nel casodi PCI per malattia multivasale, esiste un’elevata pro-babilità che tale procedura possa conseguire una com-pleta rivascolarizzazione o quanto meno una rivascola-rizzazione pari a quella ottenibile con CABG?5) la presenza di diabete;6) l’esperienza delle strutture ospedaliere locali in am-bito cardiochirurgico e di cardiologia interventistica;7) le preferenze del paziente.

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Le controindicazioni alla rivascolarizzazione mio-cardica comprendono:1) pazienti asintomatici o paucisintomatici con CADmono- o bivasale senza significativa stenosi della LADprossimale che non abbiano ricevuto un’appropriata te-rapia medica o senza evidenza di ischemia o con limi-tata area ischemica/vitale ai test non invasivi;2) stenosi coronarica borderline (50-70%), ad eccezio-ne di quelle localizzate nel tronco comune, senza evi-denza di ischemia ai test non invasivi;3) stenosi coronarica non significativa (< 50%);4) elevato rischio di morbilità o mortalità procedurale(rischio di mortalità > 10-15%), a meno che il rischioprocedurale non sia controbilanciato da un significati-vo miglioramento della sopravvivenza a lungo termineo la qualità di vita sia estremamente scadente.

I continui e rapidi progressi nelle procedure diCABG e PCI, così come nel trattamento medico e nel-la prevenzione secondaria dell’angina stabile, hannocondotto all’esigenza di ampi trial di confronto fra ledifferenti strategie terapeutiche in diverse categorie dipazienti. Molti interrogativi inerenti al trattamento del-l’angina stabile rimangono tuttora irrisolti e molti altriderivano dallo sviluppo di nuove modalità terapeutiche,comportando una continua revisione ed aggiornamentodi queste linee guida e la necessità da parte del medicodi tenersi al passo con l’attuale letteratura disponibilein questa fase di transizione.

Raccomandazioni per la rivascolarizzazionemiocardica ai fini di un miglioramento dellaprognosi in pazienti con angina stabileClasse I1) CABG in pazienti affetti da CAD significativa deltronco comune o equivalente (stenosi severa del trattoostiale/prossimale della LAD e dell’arteria circonflessa(livello di evidenza A).2) CABG in pazienti affetti da malattia dei tre vasi estenosi significativa della LAD prossimale, in partico-lare con ridotta funzione ventricolare sinistra o precoceo estesa ischemia reversibile ai test funzionali (livellodi evidenza A).3) CABG in pazienti affetti da malattia mono- o biva-sale e stenosi severa della LAD con ischemia reversibi-le ai test non invasivi (livello di evidenza A).4) CABG in pazienti affetti da CAD significativa con ri-dotta funzione ventricolare sinistra ed evidenza di mio-cardio vitale ai test non invasivi (livello di evidenza B).

Classe IIa1) CABG per CAD mono- o bivasale senza stenosi si-gnificativa della LAD prossimale in pazienti rianimatidopo un episodio di morte cardiaca improvvisa o so-pravvissuti ad una tachicardia ventricolare sostenuta(livello di evidenza B).2) CABG per malattia trivasale significativa in pazien-ti diabetici con ischemia reversibile ai test funzionali

(livello di evidenza C).3) PCI o CABG in pazienti con ischemia reversibile aitest funzionali ed evidenza di frequenti episodi ischemi-ci durante le attività quotidiane (livello di evidenza C).

Raccomandazioni per la rivascolarizzazionemiocardica ai fini di un miglioramentodella sintomatologia in pazienti con angina stabileClasse I1) CABG per malattia multivasale in presenza di ana-tomia coronarica idonea alla rivascolarizzazione chi-rurgica in pazienti con sintomatologia moderata-severanon controllata dalla terapia, nei quali il rischio chirur-gico non sia superiore ai potenziali benefici (livello dievidenza A).2) PCI per malattia monovasale in presenza di anatomiacoronarica idonea alla rivascolarizzazione percutaneain pazienti con sintomatologia moderata-severa noncontrollata dalla terapia, nei quali il rischio procedura-le non sia superiore ai potenziali benefici (livello di evi-denza A).3) PCI per malattia monovasale in presenza di anatomiacoronarica non ad alto rischio e idonea alla rivascola-rizzazione percutanea in pazienti con sintomatologiamoderata-severa non controllata dalla terapia, nei qualiil rischio procedurale non sia superiore ai potenziali be-nefici (livello di evidenza A).

Classe IIa1) PCI per malattia monovasale in presenza di anatomiacoronarica idonea alla rivascolarizzazione percutaneain pazienti con sintomatologia lieve-moderata non tol-lerata, nei quali il rischio procedurale non sia superioreai potenziali benefici (livello di evidenza A).2) CABG per malattia monovasale in presenza di ana-tomia coronarica idonea alla rivascolarizzazione chi-rurgica in pazienti con sintomatologia moderata-severanon controllata dalla terapia, nei quali il rischio chirur-gico non sia superiore ai potenziali benefici (livello dievidenza A).3) CABG per malattia multivasale in presenza di ana-tomia coronarica idonea alla rivascolarizzazione chi-rurgica in pazienti con sintomatologia lieve-moderatanon tollerata, nei quali il rischio chirurgico non sia su-periore ai potenziali benefici (livello di evidenza A).4) PCI per malattia multivasale in presenza di anatomiacoronarica idonea alla rivascolarizzazione percutaneain pazienti con sintomatologia lieve-moderata non tol-lerata, nei quali il rischio procedurale non sia superioreai potenziali benefici (livello di evidenza A).

Classe IIb1) CABG per malattia monovasale in presenza di ana-tomia coronarica idonea alla rivascolarizzazione chi-rurgica in pazienti con sintomatologia lieve-moderatanon tollerata, nei quali il rischio chirurgico non sia su-periore alla mortalità stimata ad 1 anno (livello di evi-denza B).

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Particolari categorie di pazienti

DonneSotto molteplici punti di vista, la valutazione del doloretoracico nelle donne è meno immediata rispetto agli uo-mini a causa delle diversità di presentazione e manife-stazione della patologia267 e per la preponderanza deidati disponibili in letteratura relativi al genere maschile.

Esistono numerose differenze tra gli uomini e ledonne in merito all’epidemiologia e alle manifestazio-ni primarie della CAD. La manifestazione iniziale diCAD più frequente nelle donne è costituita dall’anginastabile, laddove negli uomini è rappresentata dall’IM odalla morte improvvisa3,268,269. Inoltre, per quanto l’in-cidenza di morte cardiaca sia superiore negli uomini atutte le età, l’incidenza di angina nelle donne nel perio-do postmenopausale è più elevata di quella degli uomi-ni mentre è più bassa nelle decadi di età inferiori. Nonè, pertanto, sorprendente il fatto che studi di popolazio-ne abbiano riportato una prevalenza ancor più elevata diangina valutata con il questionario di Rose in donne dimezza età o anziane rispetto a uomini di pari età270-274.Tuttavia, in questi studi l’incidenza di CAD fatale ri-sulta superiore negli uomini affetti da angina piuttostoche nelle donne con la stessa patologia, in parte in ra-gione di un’errata classificazione dell’angina comeCAD in buona parte delle donne.

La diagnosi di angina nel sesso femminile è più dif-ficile rispetto al sesso maschile per svariati motivi. Isintomi atipici sono di più frequente riscontro nelledonne, ma questo è “atipico” in rapporto ai sintomi ti-pici riferiti dagli uomini, in quanto la percezione deldolore e il linguaggio impiegato per descrivere la sinto-matologia differiscono tra i sessi275.

Per focalizzare il problema, la correlazione tra i sin-tomi e un’ostruzione luminale “significativa” alla coro-narografia risulta meno evidente nelle donne rispettoagli uomini. Nel Coronary Artery Surgery Study276 il62% delle donne con angina tipica presentava stenosicoronarica significativa contro il 40% di quelle con an-gina atipica e il 4% di quelle senza dolore di origineischemica a dimostrazione di una minore prevalenza diCAD documentata all’angiografia rispetto agli uominiper tutte le forme di dolore toracico, inclusi l’angina ti-pica e atipica e il dolore di origine non cardiaco.

Nelle donne, l’ECG da sforzo eseguito allo scopo diidentificare la presenza di CAD significativa ha unamaggiore incidenza di falsi positivi (38-67%) rispettoagli uomini (7-44%)277 – principalmente a causa dellapiù bassa probabilità pre-test di CAD31 – ma una mino-re incidenza di falsi negativi278, implicando un maggio-re valore predittivo negativo a fronte del quale un testnon invasivo negativo esclude verosimilmente la pre-senza di CAD. Le difficoltà nell’eseguire un ECG dasforzo per diagnosticare la presenza di CAD ostruttivanelle donne ha portato a ritenere che i test provocativiassociati a metodiche di imaging potessero essere di

più facile impiego rispetto ai test da sforzo convenzio-nali, come nel caso dell’aggiunta della scintigrafia per-fusionale o dell’ecocardiografia al test su treadmill.Tuttavia, la sensibilità della scintigrafia con tallio puòrivelarsi inferiore nelle donne rispetto agli uomini279 acausa di artefatti come l’attenuazione dovuta alla mam-mella che si verifica solitamente nella parete anterioree che condiziona in modo considerevole l’interpreta-zione delle immagini scintigrafiche. Analogamente,l’ecocardiografia da sforzo o con stress farmacologicopuò parimenti rivelarsi utile nell’evitare gli artefatti,specialmente quelli secondari ad attenuazione dovutaalla mammella. Numerosi studi hanno evidenziato ilvalore dell’ecocardiografia da stress quale fattore pre-dittivo indipendente di eventi cardiaci nelle donne conCAD nota o sospetta45,280,281.

L’ECG da sforzo di routine, per quanto non scevrodi limitazioni nelle donne, si è dimostrato in grado di ri-durre il numero di procedure diagnostiche necessarie,senza per questo perdere di accuratezza. Infatti, sola-mente il 30% delle donne nelle quali non era stato pos-sibile diagnosticare o escludere con ragionevole atten-dibilità la presenza di CAD si è dovuto sottoporre ad ul-teriori indagini282. Per quanto debba essere ancora defi-nita la strategia ottimale per diagnosticare la presenzadi CAD ostruttiva nelle donne, la Task Force ritiene chenon esistano allo stato attuale dati sufficienti per racco-mandare di sostituire la prova da sforzo convenzionalecon quella associata a metodiche di imaging per valuta-re la presenza di CAD nelle donne. In molte di loro conbassa probabilità pre-test di CAD, un test negativo èsufficiente e non comporta il ricorso a procedure diimaging282.

È importante sottolineare che le donne con eviden-za obiettiva di ischemia moderata-severa ai test non in-vasivi devono essere sottoposte a coronarografia allastregua degli uomini. Inoltre, la scarsa rappresentativitàdel sesso femminile nei trial clinici di prevenzione se-condaria non deve spingere ad applicare differentemen-te le linee guida ai due sessi allorquando è stata dia-gnosticata una CAD.

È stato dimostrato che, in seguito ad IM, le donnepresentano una maggiore morbilità e mortalità degliuomini ed è stato ipotizzato che un trattamento menointensivo nelle donne risulti in una minore sopravvi-venza postinfarto283. Secondo le conclusioni di una ras-segna di 27 studi, l’elevata mortalità precoce nelle don-ne deriverebbe dall’età avanzata e dalla presenza di al-tre sfavorevoli caratteristiche cliniche di base284. Suc-cessive indagini hanno evidenziato una correlazione trasesso ed età a dimostrazione di un aumento della mor-talità nelle pazienti più giovani (< 50 anni) che tende adiminuire con l’avanzare dell’età285.

Altrettanto contrastanti sono gli studi che hannoanalizzato l’impatto del sesso sull’utilizzo delle indagi-ni diagnostiche e sui relativi outcome clinici in condi-zioni stabili. Un recente studio tedesco ha valutato

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1894 pazienti (1526 maschi, 368 femmine) con CADdocumentata all’angiografia per un periodo di 16 anni(1981-1997), evidenziando nel corso del tempo un au-mento delle procedure di angioplastica da 11.6 a 23.2%negli uomini e da 17.6 a 28.0% nelle donne a fronte diuna riduzione degli interventi di CABG da 34.9 a29.5% negli uomini e da 42.6 a 30.6% nelle donne286.Ciononostante, l’interpretazione di questo come di altriregistri sull’utilizzo della coronarografia, è inficiata daun bias di selezione intrinseco. I dati dell’Euro HeartSurvey of Stable Angina del 2003 suggeriscono l’esi-stenza di un bias significativo nelle donne a sfavore del-l’utilizzo non solo della coronarografia, ma anche del-la prova da sforzo, persino dopo aggiustamento per età,comorbilità, severità della sintomatologia e, nel casodella coronarografia, per i risultati del test non invasi-vo287. Sempre nel medesimo studio, le donne eranotendenzialmente meno spesso sottoposte a rivascolariz-zazione e ad efficace terapia medica di prevenzione se-condaria. Queste osservazioni suggeriscono che le dif-ficoltà diagnostiche e la scarsa letteratura disponibilesul trattamento dell’angina nelle donne, unitamenteforse a questioni sociali più complesse, hanno contri-buito a far sì che le donne affette da angina stabile con-tinuino il più delle volte a non ricevere un’adeguata va-lutazione e un appropriato trattamento.

Pazienti diabeticiSia il diabete mellito insulino-dipendente (tipo 1) siaquello non insulino-dipendente (tipo 2) è associato adun aumentato rischio di malattia cardiovascolare e lapercentuale di mortalità per CAD risulta 3 volte mag-giore nei pazienti diabetici di sesso maschile e 2-5 vol-te maggiore in quelli di sesso femminile rispetto ai pa-zienti non diabetici di pari età e sesso288. Inoltre, alcunistudi epidemiologici hanno dimostrato che l’incidenzadi malattia cardiovascolare è tanto più elevata quantomaggiore è la glicemia289,290.

Le manifestazioni cliniche di CAD nei pazienti dia-betici, essenzialmente costituite da angina, IM e scom-penso cardiaco, sono simili a quelle dei non diabeticiad eccezione del fatto che la sintomatologia tende asvilupparsi in età più precoce. Generalmente la preva-lenza di ischemia asintomatica è maggiore nei pazien-ti affetti da diabete ma, a causa dell’estrema variabilitàdei criteri di inclusione ed esclusione e dei test di scree-ning adottati negli studi, risulta piuttosto difficile stabi-lire con esattezza l’aumentata prevalenza di ischemiasilente291.

La scintigrafia perfusionale così come altre metodi-che sono oggetto di crescente interesse per l’identifica-zione dell’ischemia in pazienti diabetici asintomati-ci292. In alcuni casi è stato riportato che il diabete puòaccompagnarsi a disfunzione ventricolare subclinica,ripercuotendosi negativamente sulla capacità di eserci-zio, un importante endpoint della prova da sforzo, an-che se resta da chiarire il reale impatto di tale evidenzasulle informazioni prognostiche e diagnostiche deri-

vanti dal test da sforzo convenzionale in popolazionisintomatiche. Pertanto, la valutazione dell’ischemiasintomatica nei pazienti diabetici dovrebbe in linea dimassima essere affine a quella dei non diabetici con in-dicazione similare al test ergometrico, alla scintigrafiaperfusionale e alla coronarografia. La malattia cardio-vascolare è responsabile dell’80% di tutti i decessi neipazienti diabetici294 e, conseguentemente, in questa ca-tegoria di soggetti è necessario prestare una maggioreattenzione ad una diagnosi precoce e ad un trattamentoaggressivo.

Le attuali strategie per la cura ottimale del diabetemellito prevedono uno sforzo vigoroso e continuo tesoal controllo della glicemia e degli altri fattori di rischiocome dislipidemia, ipertensione, insufficienza renale,obesità e fumo. Dai dati disponibili risulta ormai evi-dente che il mantenimento a lungo temine della glice-mia a livelli prossimi ai valori di normalità previene inmaniera considerevole l’occorrenza di complicanze e lamortalità in pazienti affetti da diabete sia di tipo 1 sia ditipo 2295.

Le comuni terapie per il trattamento della CAD, cheprevedono l’impiego di nitrati, betabloccanti, calcioan-tagonisti, statine, antiaggreganti e procedure di rivasco-larizzazione miocardica, trovano pari indicazioni tantonei diabetici quanto nei non diabetici. Gli ACE-inibito-ri sono inoltre consigliati nei pazienti diabetici con ma-lattia vascolare accertata75. Le relative indicazioni aPCI o CABG in questa categoria di pazienti sono ripor-tate nella sezione dedicata alla rivascolarizzazione mio-cardica. Purtroppo, a causa dei disturbi metabolici cro-nici associati alla presenza di diabete mellito, in questipazienti si verifica spesso una progressiva evoluzionedella patologia aterosclerotica che conduce a CADestesa con elevati tassi di malattia multivasale e di re-stenosi. Dopo un intervento invasivo con esito proce-durale positivo, è pertanto essenziale instaurare un ade-guato trattamento dei fattori di rischio cardiovascolaree un serrato controllo della glicemia per ottenere unoutcome favorevole a lungo termine296.

Pazienti anzianiDopo i 75 anni di età, la prevalenza di CAD è ugualenegli uomini e nelle donne297. La malattia ha maggioreprobabilità di essere estesa e severa, con una maggioreprevalenza di stenosi del tronco comune, di malattia tri-vasale e di ridotta funzione ventricolare sinistra. La va-lutazione del dolore toracico negli anziani è resa diffi-coltosa dal fatto che disturbi riferiti in sede toracica, de-bolezza e dispnea, così come patologie concomitantiche simulano l’angina pectoris sono più frequenti inquesti pazienti. Con l’avanzare dell’età, si assiste aduna riduzione dei livelli di attività fisica e ad un’atte-nuazione della capacità di valutazione dei sintomiischemici298. Ampi studi di comunità in pazienti di en-trambi i sessi con età > 65 anni hanno riportato similipercentuali di mortalità cardiaca a 3 anni tanto in pa-zienti con sintomatologia atipica quanto in quelli affet-

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ti da angina tipica299. Per i soggetti anziani può altresìrisultare problematica l’esecuzione di un test da sforzoin ragione della limitata capacità funzionale per debo-lezza muscolare e decondizionamento. Deve esserepertanto posta particolare attenzione ai rischi connessiall’esecuzione dell’esercizio, adottando protocolli cheprevedano carichi di lavoro meno impegnativi. Anchele aritmie sono di più facile riscontro con il progrediredell’età. La maggiore prevalenza di malattia cardiova-scolare si traduce in un numero superiore di falsi nega-tivi300, a cui contribuisce la maggiore prevalenza di fat-tori confondenti come un pregresso IM, ipertrofia ven-tricolare sinistra, ipertensione e disturbi della condu-zione. Ad eccezione di queste differenze, la prova dasforzo riveste un ruolo importante anche nei soggettianziani e questa Task Force ritiene che l’ECG da sfor-zo debba costituire il test iniziale per la valutazione disospetta CAD nei pazienti anziani, a meno che non sia-no inabili all’esercizio, nel qual caso può essere sosti-tuito da test provocativo farmacologico associato a me-todica di imaging.

Occorre sottolineare che per i pazienti anziani conevidenza obiettiva di ischemia moderata-severa ai testnon invasivi devono essere adottate le stesse indicazio-ni alla coronarografia dei soggetti più giovani. Bisognaricordare che la coronarografia diagnostica ha un ri-schio solo lievemente superiore (rispetto ai pazienti piùgiovani) nei pazienti anziani sottoposti a valutazioneelettiva70. Tuttavia, un’età > 75 anni rappresenta un fat-tore predittivo rilevante di nefropatia da mezzo di con-trasto301.

Il trattamento farmacologico nei pazienti anziani èpiù complesso e le differenze di biodisponibilità, elimi-nazione e sensibilità dei farmaci cardiovascolari richie-dono necessariamente modificazioni del dosaggioquando siano prescritti in questa categoria di sogget-ti302. Altri aspetti da tenere in debita considerazione almomento della prescrizione farmacologica sono l’inte-razione fra farmaci, la politerapia e problemi di com-pliance. Malgrado ciò, l’efficacia dei farmaci antiangi-nosi nel ridurre la sintomatologia e delle statine nel mi-gliorare la prognosi160 è pari a quella riscontrata nei pa-zienti più giovani. Dal punto di vista sintomatologico eprognostico, i pazienti anziani traggono lo stesso van-taggio di quelli più giovani dalla terapia medica e dalleprocedure di PCI e CABG303-305.

Angina cronica refrattariaLe terapie farmacologiche e le procedure di rivascola-rizzazione, tanto il CABG quanto l’angioplastica tran-sluminale percutanea, sono ingrado di controllare lamaggior parte dei pazienti affetti da cardiopatia ische-mica. Tuttavia, esistono pazienti che permangono gra-vemente disabilitati dall’angina pectoris malgrado lediverse forme terapeutiche convenzionali. L’argomentodell’angina cronica refrattaria è stato esaminato in unreport del Joint Study Group dell’ESC sul trattamentodell’angina refrattaria del 2002306.

La diagnosi di angina cronica refrattaria viene postasulla base della presenza di sintomatologia tipica perangina stabile, presumibilmente secondaria ad ische-mia dovuta a CAD avanzata, non controllabile median-te la combinazione di terapia medica massimale,CABG e PCI. Occorre altresì escludere eventuali causedi origine extracardiaca e, laddove indicato, può esserepresa in considerazione la necessità di una terapia com-portamentale cognitiva e di una valutazione psicologi-ca e/o consulenza psichiatrica.

L’angina cronica refrattaria richiede un’efficace ot-timizzazione della terapia medica che preveda l’uso didifferenti farmaci ai massimi dosaggi tollerati. Questoaspetto è analizzato in maniera approfondita nel docu-mento originale del Joint Study Group. Negli ultimi an-ni sono state studiate nuove opzioni terapeutiche chenon hanno sempre portato a risultati favorevoli:- tecniche di neuromodulazione (stimolazione elettricatranscutanea del sistema nervoso e del midollo spinale)- anestesia epidurale toracica- blocco del ganglio stellato- impiego del laser nella rivascolarizzazione percutaneao transmiocardica- angiogenesi- contropulsazione esterna- trapianto cardiaco- modulatori metabolici.

La metodica di stimolazione elettrica transcutaneadel sistema nervoso e del midollo spinale è ormai lar-gamente sperimentata e viene applicata in alcuni centriper il trattamento dell’angina refrattaria con risultatipositivi sulla sintomatologia e un basso profilo di effet-ti collaterali307-309. Queste metodiche presentano un’ef-ficacia analgesica anche in assenza di miglioramentodell’ischemia miocardica ed è stato altresì osservato unsignificativo incremento della durata media dell’eserci-zio su treadmill. Tuttavia, il numero degli studi dispo-nibili e dei pazienti arruolati nei trial clinici è troppoesiguo per poter definire gli effetti a lungo termine del-l’impiego di queste metodiche.

La contropulsazione esterna rappresenta un’interes-sante tecnica non farmacologica e risulta ben tollerataquando sia applicata per 35 h durante un periodo di 4-7settimane. Un miglioramento della sintomatologia an-ginosa è stato ottenuto in circa il 75-80% dei pazienti.

Alcuni studi hanno confrontato gli effetti della pro-cedura di rivascolarizzazione mediante uso di laser tran-smiocardico con quelli della terapia medica. In uno diquesti, che comprendeva 275 pazienti con angina in clas-se CCS IV, il 76% dei pazienti sottoposti a rivascolariz-zazione con laser transmiocardico ha dimostrato un mi-glioramento di due o più classi funzionali al follow-up di1 anno rispetto al 32% dei pazienti trattati con sola tera-pia medica (p < 0.001)310. Non sono state riscontrate dif-ferenze significative della mortalità. Ciononostante, altristudi che hanno valutato pazienti sottoposti a rivascola-rizzazione transmiocardica (sia chirurgica sia percuta-nea) non hanno confermato tale beneficio311,312.

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CONCLUSIONI E RACCOMANDAZIONI

1) L’angina pectoris secondaria ad aterosclerosi coro-narica è una patologia invalidante e di frequente ri-scontro. Per quanto compatibile con una lunga aspetta-tiva di vita, il rischio di IM e/o morte sono aumentati.Un trattamento appropriato è in grado solitamente dicontrollare la sintomatologia e di migliorare significa-tivamente la prognosi.2) Tutti i pazienti con sospetta angina stabile devono es-sere immediatamente sottoposti ad adeguata valutazio-ne cardiologica al fine di accertare la correttezza delladiagnosi e di stimare la prognosi. Le indagini di basedevono comprendere un’anamnesi accurata ed un esa-me obiettivo, una valutazione approfondita dei fattori dirischio e un ECG a riposo.3) Allo scopo di confermare la diagnosi e di pianificarei successivi interventi, è opportuno procedere con unastrategia iniziale non invasiva che preveda un ECG dasforzo, un’ecocardiografia da stress o la scintigrafiaperfusionale. Tali indagini consentono di verificare laprobabilità e la severità della CAD in pazienti con sin-tomatologia lieve-moderata oltre a fornire un’efficacestratificazione del rischio. Molti pazienti possono esse-re successivamente sottoposti a coronarografia, ma l’a-dozione di una strategia iniziale invasiva senza averprecedentemente eseguito test funzionali è raramenteindicata e può essere presa in considerazione unica-mente in pazienti con sintomatologia severa e non con-trollata di recente insorgenza.4) L’ECG da sforzo deve essere interpretato avendo cu-ra di analizzare attentamente la risposta emodinamica,il carico di lavoro raggiunto e le caratteristiche clinichedel paziente in esame oltre alle eventuali variazioni deisintomi e del tratto ST. Qualora l’ECG da sforzo nonsia eseguibile o non sia interpretabile, si deve procede-re a indagini alternative oppure supplementari nel casopermangano dubbi diagnostici o la valutazione funzio-nale non sia adeguata.5) La scintigrafia perfusionale e l’ecocardiografia dastress, in aggiunta al ruolo ricoperto nella valutazioneiniziale della sintomatologia, sono particolarmente uti-li nel quantificare e localizzare l’ischemia miocardica.6) L’ecocardiografia ed altre metodiche non invasive diimaging come la risonanza magnetica sono di ausilionella valutazione della funzione ventricolare.7) L’interpretazione del dolore toracico è particolar-mente difficoltosa nelle donne giovani e di mezza età.Il classico quadro sintomatologico dell’angina stabilecronica costituisce un indicatore attendibile della pre-senza di CAD ostruttiva negli uomini ma non altrettan-to nelle donne più giovani, che hanno una maggioreprevalenza di spasmo coronarico e di sindrome X e unapiù alta della frequenza di “falsi positivi” alle prove dasforzo. Tuttavia, tali difficoltà non devono rappresenta-re un ostacolo a procedere alle dovute indagini e tratta-menti nelle donne, in particolare all’utilizzo di test noninvasivi per la stratificazione del rischio e all’uso di te-rapie di prevenzione secondaria.

8) Dopo l’iniziale valutazione del rischio, laddove ne-cessario, la terapia farmacologica deve essere accom-pagnata a modificazioni dello stile di vita al fine di cor-reggere i fattori di rischio. Si consiglia fortemente disottoporre tutti i pazienti affetti da CAD a stretto con-trollo della patologia diabetica, del peso e soprattuttodella pressione arteriosa oltre che a strategie di cessa-zione del fumo. Un efficace controllo dei fattori di ri-schio può modificare la valutazione iniziale del rischio.9) Con riferimento alla terapia farmacologica specifica,i nitrati a breve durata d’azione, quando tollerati, sonoefficaci nell’alleviare la sintomatologia acuta. In assen-za di controindicazioni o di intolleranza, i pazienti conangina pectoris stabile devono essere trattati con aspiri-na (75 mg/die) e statine. Un betabloccante costituisce laprima linea terapeutica; in alternativa, efficacia antian-ginosa può essere fornita da un calcioantagonista o danitrati a lunga durata d’azione, come sopra descritto,con ulteriori terapie, se necessario. Gli ACE-inibitorisono indicati nei pazienti con concomitante disfunzio-ne ventricolare, ipertensione o diabete e dovrebbero es-sere presi in considerazione in quelli con altre caratte-ristiche di alto rischio. I betabloccanti sono raccoman-dati in tutti i pazienti postinfartuati e in quelli con dis-funzione ventricolare sinistra in assenza di controindi-cazioni.10) La terapia farmacologica antianginosa deve essereprogrammata sulla base delle necessità di ciascun pa-ziente e deve essere monitorata individualmente. Il do-saggio deve essere ottimizzato prima di associare un al-tro farmaco e si consiglia di variare la terapia di combi-nazione prima di iniziare un regime terapeutico a trefarmaci.11) La coronarografia, oltre ad essere eseguita per ulte-riori approfondimenti prognostici, deve essere presa inconsiderazione quando la sintomatologia non è con-trollata in maniera soddisfacente dalla terapia medica,nell’ottica di un’eventuale rivascolarizzazione.12) La procedura di PCI rappresenta un trattamento ef-ficace dell’angina pectoris stabile ed è indicata in pa-zienti con sintomatologia non controllata in manierasoddisfacente dalla terapia medica in presenza di ana-tomia coronarica idonea. La restenosi costituisce anco-ra tutt’oggi un problema, malgrado i progressi tecnolo-gici acquisiti con l’uso degli stent ne abbiano ridottol’incidenza. Non esistono dati a supporto di una mag-giore riduzione del rischio di morte in pazienti con an-gina stabile mediante PCI rispetto alla terapia medica ochirurgica.13) L’intervento di CABG risulta estremamente effica-ce nel ridurre la sintomatologia anginosa e la mortalitàa lungo termine in particolari categorie di pazienti, co-me quelli con stenosi del tronco comune e della LADprossimale o affetti da malattia trivasale, specialmentein presenza di ridotta funzione ventricolare sinistra.14) Le evidenze disponibili dimostrano una discrepan-za tra il miglior approccio terapeutico e la strategia dicura usualmente adottata nel trattamento dell’anginastabile. In particolare, molti pazienti affetti da angina

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stabile non vengono sottoposti a test funzionali perconfermare la diagnosi e stimare la prognosi. Inoltre, itassi di prescrizione delle statine e dell’aspirina sonoalquanto variabili. In considerazione dell’estrema va-riabilità della qualità delle cure offerte ai pazienti conangina stabile, emerge la necessità di un processo di ve-rifica dei numerosi elementi costitutivi del trattamentodi questa patologia, mediante la realizzazione e l’ag-giornamento, alla stregua di come avviene in alcunipaesi, di registri nazionali, regionali o locali sugli esitidelle procedure di PCI e CABG.

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Task Force per il Trattamento dell’Angina Pectoris Stabile della Società Europea di Cardiologia

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