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CORSO ANMIL IN TEMA DI INFORTUNI SUL LAVORO DOTT. GIOVANNI PICCIAU MAGISTRATO DI CASSAZIONE LA GIURISPRUDENZA DI LEGITTIMITA' INCONTRO DEL 28.11.2008

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CORSO ANMIL IN TEMA DI INFORTUNI SUL

LAVORO

DOTT. GIOVANNI PICCIAU

MAGISTRATO DI CASSAZIONE

LA GIURISPRUDENZA DI LEGITTIMITA'

INCONTRO DEL 28.11.2008

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ARTICOLO 2087 COD. CIV.TUTELA DELLE CONDIZIONI DI LAVORO

L'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.

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ARTICOLO 1374 COD. CIV.INTEGRAZIONE DEL CONTRATTO

Il contratto obbliga le parti non solo a quanto è nel medesimo espresso, ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge, o, in mancanza, secondo gli usi e l'equità.

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ARTICOLO 1218 COD. CIV.RESPONSABILITA' DEL DEBITORE

Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l'inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.

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ARTICOLO 1175 COD. CIV.COMPORTAMENTO SECONDO CORRETTEZZA

Il debitore e il creditore devono comportarsi secondo le regole della correttezza.

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ARTICOLO 1375 COD. CIV.ESECUZIONE DI BUONA FEDE

Il contratto deve essere eseguito secondo buona fede.

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ARTICOLO 1227 COD. CIV.CONCORSO DEL FATTO COLPOSO DEL

CREDITORE

Se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l'entità delle conseguenze che ne sono derivate.

Il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza.

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D. L.VO 9.4.2008 N.81TITOLO I - PRINCIPI COMUNI - CAPO IIIGestione della prevenzione nei luoghi di

lavoroSEZIONE I

Misure di Tutela ed obblighiARTICOLO 20

OBBLIGHI DEI LAVORATORI

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...(OMISSIS)I lavoratori devono in particolare:a) contribuire, insieme al datore di lavoro, ai dirigenti e ai preposti, all'adempimento degli obblighi previsti a tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro; (concetto già introdotto dalla lett. h dell'Art. 5 della L. 626/94 -h) contribuiscono, insieme al datore di lavoro, ai dirigenti e ai preposti, all'adempimento di tutti gli obblighi imposti dall'autorità competente o comunque necessari per tutelare la sicurezza e la salute dei lavoratori durante il lavoro. -...(OMISSIS).

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CAPO IVdisposizioni penali

SEZIONE Isanzioni

ARTICOLO 59SANZIONI PER I LAVORATORI

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I lavoratori sono puniti:a) con l'arresto fino a un mese o con l'ammenda da 200 a 600 euro per la violazione dell'articolo 20 comma 2 lettere b), c), d), e), f), g), h) e i);b) con la sanzione amministrativa pecuniaria da 50 a 300 euro per la violazione dell'articolo 20 comma 3, la stessa sanzione si applica ai lavoratori autonomi di cui alla medesima disposizione.

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CORTE COSTITUZIONALE SENTENZA N. 312 DEL 1996

... e il modo per restringere nel caso in esame, la discrezionalità dell'interprete è ritenere che là dove parla di misure “concretamente attuabili”, il legislatore si riferisca alle misure che, nei diversi settori e nelle differenti lavorazioni, corrispondono ad applicazioni tecnologiche generalmente praticate e ad accorgimenti organizzativi e procedurali altrettanto generalmente acquisiti,

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sicchè penalmente censurata sia soltanto la deviazione dei comportamenti dell'imprenditore dagli standard di sicurezza propri, in concreto e al momento, delle diverse attività produttive. Ed è in questa direzione che dovrà, di volta in volta, essere indirizzato l'accertamento del Giudice: ci si dovrà chiedere non tanto se una determinata misura sia compresa nel patrimonio di conoscenze nei diversi settori, ma se essa sia accolta negli standard di produzione industriale, o specificamente prescritta....

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CASSAZIONE CIVILE 14.4.2008 N. 9817

... la regola sovrana in tale materia, desumibile dall'articolo 1218 C.C. è che il creditore che agisca per il risarcimento del danno deve provare tre elementi: la fonte (negoziale o legale) del suo diritto, il danno, e la sua riconducibilità al titolo dell'obbligazione; a tale scopo egli può limitarsi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre è il debitore convenuto ad essere gravato dell'onere di provare il proprio adempimento,

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o che l'inadempimento è dovuto a causa a lui non imputabile (Cass. Sez. Unite 30.10.2001 n.13533, cui si è conformata tutta la Giurisprudenza di legittimità successiva: ex plurimis Cass. 25.10.2007 n. 22361, Cass. 19.4.2007 n. 9351, Cass. 26.1.2007 n. 1743) ...

la formulazione che si rinviene in alcune pronunce di questa Corte, secondo cui il lavoratore infortunato ha l'onere di provare il fatto costituente l'inadempimento del datore di lavoro all'obbligo di sicurezza (Cass. 24.2.2006 n.4184, Cass. 11.4.2006 n. 8386, Cass. 25.5.2006 n. 12445, Cass. 8.5.2007 n. 10441, Cass. 19.7.2007 n. 16003) non appare conforme al principio enunciato dalle sezioni Unite (e con l'applicazione coerente che ne ha fatto questa sezione lavoro nei casi sopracitati), e non può pertanto esser seguita. ...Si deve conclusivamente formulare sul punto il seguente principio di diritto :

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“LA RESPONSABILITA' DEL DATORE DI LAVORO EX ART. 2087 C.C. E' DI CARATTERE CONTRATTUALE, PERCHE' IL CONTENUTO DEL CONTRATTO INDIVIDUALE DI LAVORO RISULTA INTEGRATO PER LEGGE (AI SENSI DELL'ART. 1374 C.C.) DALLA DISPOSIZIONE CHE IMPONE L'OBBLIGO DI SICUREZZA E LO INSERISCE NEL SINALLAGMA CONTRATTUALE. NE CONSEGUE CHE IL RIPARTO DEGLI ONERI PROBATORI NELLA DOMANDA DI DANNO DA INFORTUNIO SUL LAVORO SI PONE NEGLI STESSI TERMINI CHE NELL'ART. 1218 C.C. SULL'INADEMPIMENTO DELLE OBBLIGAZIONI; DA CIO' DISCENDE CHE IL LAVORATORE CHE AGISCA PER IL RICONOSCIMENTO DEL DANNO DIFFERENZIALE DA INFORTUNIO SUL LAVORO DEVE ALLEGARE E PROVARE LA ESISTENZA DELL'OBBLIGAZIONE LAVORATIVA, DEL DANNO, ED IL NESSO CAUSALE DI QUESTO CON LA PRESTAZIONE, MENTRE IL DATORE DI LAVORO DEVE PROVARE CHE IL DANNO E' DIPESO DA CAUSA A LUI NON IMPUTABILE E CIOE' DI AVER ADEMPIUTO AL SUO OBBLIGO DI SICUREZZA, APPRESTANDO TUTTE LE MISURE PER EVITARE IL DANNO”.

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CASS. CIV. SEZ. UNITE 30.10.2001 N.13533

Un primo orientamento, maggioritario, sostiene che il

regime probatorio è diverso secondo che il creditore richieda l'adempimento ovvero la risoluzione. Si afferma che, in materia di obbligazioni contrattuali, l'onere della prova dell'inadempimento incombe al creditore, che è tenuto a dimostrarlo, oltre al contenuto della prestazione stessa, mentre il debitore, solo dopo tale prova, è tenuto a giustificare l'inadempimento che il creditore gli attribuisce.

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Infatti, ai fini della ripartizione di detto onere, si deve avere riguardo all'oggetto specifico della domanda, talché, a differenza del caso in cui si chieda l'esecuzione del contratto e l'adempimento delle relative obbligazioni, ove è sufficiente che l'attore provi il titolo che costituisce la fonte del diritto vantato, e cioè l'esistenza del contratto, e, quindi, dell'obbligo che si assume inadempiuto, nell'ipotesi in cui si domandi invece la risoluzione del contratto per l'inadempimento dell'obbligazione,

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l'attore è tenuto a provare anche il fatto che legittima la risoluzione, ossia l'inadempimento e le circostanze inerenti, in funzione delle quali esso assume giuridica rilevanza, spettando al convenuto l'onere probatorio di essere immune da colpa, solo quando l'attore abbia provato il fatto costitutivo dell'inadempimento (sent. n. 2024-68; n. 1234-70; n. 2151-75; n. 5166-81; n. 3838-82; n. 8336-90; n. 11115-90; n. 13757-92; n. 1119-93; n. 10014-94; n. 4285-94; n. 7863-95; n. 8435-96; n. 124-97). La tesi trova sostegno nei seguenti argomenti.

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... si osserva che nella azione di adempimento il fatto costituivo è il titolo, costituente la fonte negoziale o legale del diritto di credito, sicché la prova che il creditore deve fornire, ai sensi dell'art. 2697, comma 1, deve avere ad oggetto soltanto tale elemento. Al contrario, nella azione di risoluzione, la domanda si fonda su due elementi: il titolo, fonte convenzionale o legale dell'obbligazione, e l'inadempimento dell'obbligo, sicché la prova richiesta al creditore deve riguardarli entrambi, trattandosi di fatti costituitivi del diritto fatto valere, ai sensi dell'art. 2697, comma 1.

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...le azioni di adempimento e di risoluzione sono

poste dall'art. 1453 sullo stesso piano, tanto è vero che il creditore ha facoltà di scelta tra l'una o l'altra azione. Non è ragionevole attribuire diversa rilevanza al fatto dell'inadempimento a seconda del tipo di azione che viene in concreto esercitata.

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se la parte che agisce per l'adempimento può limitarsi (come è incontroverso) ad allegare (senza onere di provarlo) che adempimento non vi è stato, eguale onere limitato alla allegazione va riconosciuto sussistente nel caso in cui invece dell'adempimento la parte richieda, postulando pur sempre che adempimento non vi è stato, la risoluzione o il risarcimento del danno....

....in conclusione, deve affermarsi che il creditore, sia che agisca per l'adempimento, per la risoluzione o per il risarcimento del danno, deve dare la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto e

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se previsto, del termine di scadenza, mentre può limitarsi ad allegare l'inadempimento della controparte: sarà il debitore convenuto a dover fornire la prova del fatto estintivo del diritto, costituito dall'avvenuto adempimento. Eguale criterio di riparto dell'onere della prova deve ritenersi applicabile nel caso in cui il debitore, convenuto per l'adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno da inadempimento, si avvalga dell'eccezione di inadempimento di cui all'art. 1460 c.c. per paralizzare la pretesa dell'attore.

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CASSAZIONE SEZIONE LAVORON.3740 DEL 1995

... anche per la disposizione in esame la responsabilità del datore di lavoro va collegata alla violazione di norme, solo che queste possono essere non solo di legge ma anche di esperienza o suggerite dalla tecnica o comunque non aventi forza obbligatoria legale, in ogni caso però norme specifiche e non frutto di tentativi esplorativi, i quali possono essere anche utili, ma la cui omissione non può fondare alcun giudizio di responsabilità.

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In altre parole, in uno stato di diritto non può fondarsi una responsabilità, sia pure civile, su illazioni o su mere ipotesi. Se perciò è certamente onere del datore di lavoro attivarsi per reperire queste norme, quando si ritiene dal lavoratore che ne esistano altre è anche onere di quest'ultimo indicarle, perché l'omissione del datore di lavoro possa essere considerata fonte di una sua responsabilità, e non è giuridico parlare - come fa il Tribunale - di mezzi - e quindi di norme "innominati", che solo il datore di lavoro deve reperire, pena la sua responsabilità. E, quando questa venga riconosciuta, almeno il giudice deve individuare le violazioni specifiche dalle quali la responsabilità medesima viene fatta discendere...

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CASSAZIONE N.6282 DEL 10.7.1996

...questa Corte ritiene di dover aggiungere, poiché da alcune decisioni da lei emesse sembra doversi desumere un obbligo assoluto del datore di lavoro di vigilare affinché siano impediti atti o manovre rischiose del dipendente nello svolgimento del suo lavoro e di controllare l'osservanza da parte dello stesso delle norme di sicurezza e dell'uso dei mezzi di protezione (Cass. n. 4860-1986 n. 9422-1991 cit., Cass. pen., sez. 4. 5835-1991 cit.),

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che non può pretendersi che il datore di lavoro si impegni in una vigilanza continua dell'esecuzione di ogni attività, che, in particolare, egli sia sempre e dovunque presente nei vari luoghi in cui il lavoro si svolge per la detta opera di vigilanza o che affianchi ad ogni lavoratore, che sia addetto ad una mansione richiedente la prestazione di una sola persona, un preposto, o che organizzi una moltiplicazione di dipendenti quello di vigilarsi verticalmente a partire da esso datore di lavoro per giungere fino all'ultimo manovale (confr. anche Cass. n. 2028-1995 cit.): pretendere questo significherebbe dilatare insostenibilmente il costo del lavoro e costringere le imprese alla chiusura, con danno grave per il superiore interesse della occupazione (e non si può credere che questo vogliano l'INAIL e il legislatore)."

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Quello che si deve richiedere al datore di lavoro, quanto all'opera di vigilanza, è una condotta diligente rapportata in concreto al lavoro da svolgere, e cioè alla ubicazione di questo, alla natura e complessità del medesimo, all'esperienza e specializzazione del lavoratore, alla sua autonomia, alla prevedibilità della sua condotta, alla normalità della tecnica di lavorazione (come conclude in sostanza anche la più volte citata sent. n. 2028-1995). Norme positive che impongano ai datori di lavoro obblighi insostenibili darebbero certamente adito a dubbi di costituzionalità. ...

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CASSAZIONE SEZIONE LAVORON. 16253 DEL 2004

...alcuna funzione esimente a favore del datore costituisce l'eventuale concorso di colpa del lavoratore (e plurimis, Cass. 21 maggio 2002 n. 7454).Limite della responsabilità per i danni subiti dal lavoratore è l'assenza di causale connessione fra la violazione del datore e l'evento lesivo.In questa assenza si inquadra l'ipotesi in cui il lavoratore attui un comportamento abnorme, il quale è da valutare anche in relazione al livello di esperienza del dipendente (ex plurimis, Cass. 17 febbraio 1998 n. 1687).

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L'atto abnorme è qualcosa di assolutamente estraneo all'incarico da eseguire ed alle modalità delle mansioni da svolgere: tale non è la mera diversità delle modalità da quelle prescritte. E, poiché costituisce causa di esclusione della connessione causale fra violazione ed evento, l'abnormità sussiste quando, anche in applicazione del principio dell'art. 41 cod. pen., il comportamento del lavoratore costituisca la causa di per sé sola sufficiente a determinare l'evento (Cass. 12 aprile 2000 n. 4708); in tal modo, l'abnormità si identifica con l'autosufficienza causale, pur da valutarsi nella sua astratta potenzialità.

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Poiché l'esclusione della connessione causale per l'abnormità della condotta del lavoratore costituisce il limite del generale obbligo datorile, è onere del datore provarla. L'esclusione della connessione fra lavoro ed evento lesivo presuppone tuttavia una rigorosa dimostrazione dell'indipendenza della condotta dalla sfera di organizzazione e dalle finalità del lavoro, e, con essa, dell'estraneità del rischio affrontato nei confronti di quello connesso alle modalità ed alle esigenze del lavoro da svolgere (Cass. 20 giugno 2002 n. 9016). ...

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CASSAZIONE SEZIONE LAVORON.1068 DEL 2008

... con formula ormai consolidata e tralaticia, il rischio elettivo può essere individuato attraverso il concorso simultaneo dei seguenti elementi caratterizzanti:

a) vi deve essere non solo un atto volontario (in contrapposizione agli atti automatici del lavoro, spesso fonte di infortuni), ma altresì arbitrario, nel senso di illogico ed estraneo alle finalità produttive;

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b) diretto a soddisfare impulsi meramente personali (il che esclude le iniziative, pur incongrue, ma motivate da finalità produttive);

c) che affronti un rischio diverso da quello cui sarebbe assoggettato, sicchè l'evento non abbia alcun nesso di derivazione con lo svolgimento dell'attività lavorativa (Cass. 18.8.1977 n. 3789; Cass. 24.7.1991 n. 8292; Cass. 17.11.1993 n. 11351, Cass. 3.2.1995 n. 1269; Cass. 3.5.1995 n. 6088; Cass 1.9.1997 n. 8269; Cass. 19.4.1999 n. 3885; Cass. 2.6.1999 n. 5419; Cass. 9.10.2000 n. 13447; Cass. 8.3.2001 n. 3363).

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CASSAZIONE SEZIONE LAVORON.18376 DEL 3.7.2008

...4.d. Il principio della correttezza e della buona fede contrattuale ex art. 1375 cod. civ., esige tuttavia che, quando per la tutela (dell'integrità fisica e della personalità morale) del prestatore è necessario anche un suo comportamento, questi, dando la propria collaborazione (diretta alla propria stessa tutela), effettui tale comportamento. L'omissione della dovuta collaborazione da parte del prestatore costituisce pertanto violazione dell'obbligo di correttezza e buona fede (ex artt. 1175 e 1375 cod. civ.).

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Poichè la collaborazione del lavoratore è diretta ad evitare l'evento, la violazione del predetto obbligo costituisce comportamento colpevole che concorre (potenzialmente) alla determinazione dell'evento stesso.L'obbligo del dipendente a tale comportamento presuppone l'adempimento dell'obbligo datorile come precedentemente specificato (sub "4.c.").

L'indicata violazione da parte del dipendente esclude la responsabilità del datore solo ove sia stata (ex art. 41 cod. pen.) causa di per sè sola sufficiente a determinare l'evento. Ed è onere del datore dare di ciò la prova.

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4.e. Dall'angolazione del comportamento del lavoratore, la responsabilità del datore è esclusa ove si provi che la condotta del lavoratore è indipendente dalla sfera di organizzazione e dalle finalità del lavoro; ed in tal modo si provi l'estraneità del rischio affrontato dal lavoratore nei confronti di quello connesso alle esigenze ed alle modalità del lavoro da svolgere (Cass. 19 agosto 2004 n. 16253); per questo rapporto, ed in materia analoga, anche Cass. 18 gennaio 2008 n. 1068). ...

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CASSAZIONE PENALE SEZIONI UNITE10.7.2002 N.30328

.. a) Il nesso causale può essere ravvisato quando, alla stregua del giudizio controfattuale condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica - universale o statistica -, si accerti che, ipotizzandosi come realizzata dal medico la condotta doverosa impeditiva dell'evento hic et nunc, questo non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva.

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b) Non é consentito dedurre automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica la conferma, o meno, dell'ipotesi accusatoria sull'esistenza del nesso causale, poiché il giudice deve verificarne la validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell'evidenza disponibile, così che, all'esito del ragionamento probatorio che abbia altresì escluso l'interferenza di fattori alternativi, risulti giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva del medico è stata condizione necessaria dell'evento lesivo con "alto o elevato grado di credibilità razionale" o "probabilità logica".

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c) L'insufficienza, la contraddittorietà e l'incertezza del riscontro probatorio sulla ricostruzione del nesso causale, quindi il ragionevole dubbio, in base all'evidenza disponibile, sulla reale efficacia condizionante della condotta omissiva del medico rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell'evento lesivo, comportano la neutralizzazione dell'ipotesi prospettata dall'accusa e l'esito assolutorio del giudizio. ...

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CASSAZIONE CIVILE N.11755 DEL 2006...ove si discorre del tutto genericamente di presunti

rischi inerenti all'immediato trasporto del neonato in una struttura sanitaria attrezzata), e si allinea, nella sostanza, ai principi predicati di recente, in subiecta materia, da questa stessa sezione, sul tema del giudizio probabilistico sotteso all'analisi strutturale del nesso causale negli eventi medici avversi, non senza trascurare di considerare, ancora, che i criteri valutativi del nesso di causa adottati dalla nota, recente sentenza delle sezioni unite penali

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(ove si predica il principio dell'alto grado di probabilità logica e di credenza razionale), oltre ad esplorare un diverso territorio del diritto statuale, e cioè quello punitivo, risultano pur sempre riferiti a vicende di reato omissivo improprio, mentre nel caso di specie oggetto dell'analisi del giudicante, sub specie della esatta ricostruzione di un verosimile nesso etiologico, è e resta un comportamento (anche) commissivo, in relazione al quale la verifica probabilistica si arresta su soglie meno elevate di accertamento controfattuale. ...

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CASSAZIONE CIVILE SEZIONE III16.10.2007 N.21619

...deve pertanto concludersi sul tema del nesso causale, che, in sede civile, esso è destinato inevitabilmente a risolversi entro i (più pragmatici) confini di una dimensione "storica", o, se si vuole, di politica del diritto, che, come si è da più parti osservato, di volta in volta individuerà i termini dell'astratta riconducibilità delle conseguenze dannose delle proprie azioni in capo all'agente, secondo un principio guida che potrebbe essere formulato, all'incirca, in termini di rispondenza,

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da parte dell'autore del fatto illecito, delle conseguenze che "normalmente" discendono dal suo atto, a meno che non sia intervenuto un nuovo fatto rispetto al quale egli non ha il dovere o la possibilità di agire (la cd. teoria della regolarità causale e del novus actus interveniens). In questo modo, il nesso causale diviene la misura della relazione probabilistica concreta (e svincolata da ogni riferimento soggettivo) tra comportamento e fatto dannoso (quel comportamento e quel fatto dannoso) da ricostruirsi anche sulla base dello scopo della norma violata, mentre tutto ciò che attiene alla sfera dei doveri di avvedutezza comportamentale

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(o, se si vuole, di previsione e prevenzione, attesa la funzione - anche - preventiva della responsabilità civile, che si estende sino alla previsione delle conseguenze a loro volta normalmente ipotizzabili in mancanza di tale avvedutezza) andrà più propriamente ad iscriversi entro l'orbita soggettiva (la colpevolezza) dell'illecito.

Non è illegittimo immaginare, allora, una "scala discendente", così strutturata: 1) in una diversa dimensione di analisi sovrastrutturale del (medesimo) fatto, la causalità civile "ordinaria", attestata sul versante della probabilità relativa (o "variabile"), caratterizzata,

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specie in ipotesi di reato commissivo, dall'accedere ad una soglia meno elevata di probabilità rispetto a quella penale, secondo modalità semantiche che, specie in sede di perizia medico-legale, possono assumere molteplici forme espressive ("serie ed apprezzabili possibilità", "ragionevole probabilità" ecc.), senza che questo debba, peraltro, vincolare il giudice ad una formula peritale, senza che egli perda la sua funzione di operare una selezione di scelte giuridicamente opportune in un dato momento storico: senza trasformare il processo civile (e la verifica processuale in ordine all'esistenza del nesso di causa) in una questione di verifica (solo) scientifica demandabile tout court al consulente tecnico: la causalità civile, in definitiva, obbedisce alla logica del "più probabile che non" ...

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CASS. CIV. SEZ. III12.5.2003 N.7282

...Vengono qui in considerazione, evidentemente, soltanto gli effetti civili della condotta dell'autore del danno e non anche le conseguenze penali, ovviamente connesse all'effettivo positivo accertamento della colpa, essendo sconosciuto al sistema penale il meccanismo, esclusivamente proprio del diritto civile, di una presunzione legale circa la sussistenza di un elemento del fatto (tra l'altro collegata all'inversione dell'onere della prova, inconcepibile al di fuori del sistema civile).

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Ma proprio per la insopprimibile diversità degli ambiti, sembra del tutto improprio frustrare gli scopi di una disposizione, qual è l'art. 2059, che non mira a punire il responsabile ma a consentire il risarcimento del danneggiato dal fatto illecito anche se leso in interessi non economici, operandone un'interpretazione del tutto antinomica rispetto all'esigenza alla quale il sistema in cui è inserita palesemente si ispira: quella, appunto, di rendere possibile il risarcimento del danno anche se la prova della colpa sia raggiunta grazie ad una presunzione legale (artt. 2050-2054 c.c.).

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... deve conclusivamente enunciarsi, così

innovando il precedente orientamento, il seguente principio di diritto: "alla risarcibilità del danno non patrimoniale ex artt. 2059 c.c. e 185 c.p. non osta il mancato positivo accertamento della colpa dell'autore del danno se essa, come nei casi di cui all'art. 2054 c.c., debba ritenersi sussistente in base ad una presunzione di legge e se, ricorrendo la colpa, il fatto sarebbe qualificabile come reato".

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CASS. SEZ. LAV. 24.2.2006 N.4184 ... in conclusione, in presenza di una fattispecie

contrattuale che, come appunto il contratto di lavoro, obblighi uno dei contraenti (il datore di lavoro) a prestare una particolare protezione rivolta ad assicurare l'integrità fisica e psichica dell'altro, non può esistere alcuna incompatibilità tra responsabilità contrattuale e risarcimento del danno morale, siccome la fattispecie astratta di reato è configurabile anche nei casi in cui la colpa sia addebitata al datore di lavoro per non aver fornito la prova liberatoria richiesta dall'art. 1218 c.c.

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CASS. SEZ. LAVORO10.1.2007 N.238

... un altro recente arresto fondamentale è che alla risarcibilità del danno non patrimoniale ex art. 2059 cod. civ. e art. 185 cod. pen., non osta il mancato positivo accertamento della colpa dell'autore del danno se essa, come nel caso di cui all'art. 2054 cod. civ., debba ritenersi sussistente in base ad una presunzione di legge e se, ricorrendo la colpa, il fatto sarebbe qualificabile come reato (anche questo orientamento, inaugurato da Cass. 12 maggio 2003 n. 7282, risulta confermato in seguito; da ultimo Cass. 15 luglio 2005 n. 15044).

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L'estensione consequenziale di tali principi alla responsabilità presuntiva ex art. 2087 cod. civ., raccomandata dalla dottrina, è stata operata da Cass. 24 febbraio 2006 n. 4184, la quale ha tratto la conseguenza che in presenza di una fattispecie contrattuale che, come nell'ipotesi del contratto di lavoro, obblighi uno dei contraenti (il datore di lavoro) a prestare una particolare protezione rivolta ad assicurare l'integrità fisica e psichica dell'altro (ai sensi dell'art. 2087 cod. civ.),

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non può sussistere alcuna incompatibilità tra responsabilità contrattuale e risarcimento del danno morale, siccome la fattispecie astratta di reato è configurabile anche nei casi in cui la colpa sia addebitata al datore di lavoro per non aver fornito la prova liberatoria richiesta dall'art. 1218 cod. civ..

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CASSAZIONE SEZ. LAV. 25.10.2005 N.20665

Infatti le valutazioni medico legali del primo ctu non sono state smentite da diverso giudizio peritale, necessariamente medico legale, e non appare prudente che il giudice del merito disattenda delle valutazioni di carattere medico, e perciò proprie di una scienza specialistica, fidando solo sul diverso giudizio logico- giuridico, quale peritus peritorum; tale sovrapposizione di diversi piani scientifici appare azzardata anche alla luce non solo della giurisprudenza di questa Corte, ma anche delle recenti acquisizioni della scienza medica e connesse prospettive normative.Nella valutazione della pregnanza della prova della malattia non tabellata la giurisprudenza di legittimità è passata da un giudizio di certezza, ad uno di probabilità, ed infine alla semplice compatibilità.Va sicuramente esclusa la mera possibilità.La prova deve avere un grado di ragionevole certezza, nel senso che, esclusa la rilevanza della mera possibilità dell'eziopatogenesi professionale, questa può essere invece ravvisata in presenza di un rilevante grado di probabilità, per accertare il quale il giudice deve non solo consentire all'assicurato di esperire i mezzi di prova ammissibili e ritualmente dedotti, ma deve altresì valutare le conclusioni probabilistiche del consulente tecnico in tema di nesso causale, facendo ricorso anche ad ogni utile iniziativa ex officio diretta ad acquisire ulteriori elementi (assunzione di deposizioni testimoniali, richiesta di chiarimenti al consulente tecnico e quanto altro si appalesi opportuno) in relazione all'entità ed alla esposizione del lavoratore ai fattori di rischio (Cass. 8 gennaio 2003 n. 87; Cass. 20 maggio 2000 n. 6592; Cass. 4 luglio 1996 n. 6094; Cass. 23 aprile 1997 n. 3523; Cass. 7 aprile 1998 n. 3602; Cass. 11 giugno 2004 n. 11128).Il giudizio di compatibilità si differenzia dalla mera possibilità in quanto il primo implica, oltre l'affermazione che la noxa professionale può avere causato la malattia, anche la esclusione di ogni altro fattore extraprofessionale.Il ctu può giungere al giudizio di ragionevole probabilità anche in base alla compatibilità della malattia non tabellata con la noxa professionale, desunta dalla tipologia delle lavorazioni svolte, dalla natura dei macchinari presenti sul luogo di lavoro, della durata della prestazione lavorativa, e per l'assenza di altri fattori extra-professionali (Cass. 13 aprile 2002 n. 5352; Cass. 21 febbraio 2003 n. 2716; Cass. 24 marzo 2003 n. 4292).Così, ad es., per le malattie microbiche, è sufficiente che l'infezione virale sia plausibile con l'ambiente lavorativo, senza necessità di prova del preciso momento di penetrazione dell'agente infettivo (Cass. 13 marzo 1992, n. 3090 e Cass. 8 aprile 2004 n. 6899).Si possono a tale scopo utilizzare congiuntamente anche dati epidemiologici (Cass. 24 luglio 1991, n. 8310; Cass. sez.un. 4 giugno 1992 n. 6846; Cass. 27 giugno 1998 n. 6388; Cass. 29 settembre 2000 n. 12909), per suffragare una qualificata probabilità (Cass. 5638/1991 cit.; Cass. 3 aprile 1990, n. 2684).La mancata utilizzazione di tale criterio epidemiologico da parte del giudice del merito, nonostante la richiesta della difesa corroborata da precise deduzioni del consulente tecnico di parte, può essere denunciata per cassazione (Cass. 27 aprile 2004 n. 8073).