Corriere della Sera Luned 17 Febbraio 2014 Esteri 15 V DA M S · vello dei Paesi nordici o...

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Corriere della Sera Lunedì 17 Febbraio 2014 Esteri 15 DAL NOSTRO INVIATO BARCELLONA — Si arriva sulla Plaça Ca- talunya, centro pulsante di Barcellona, ma- gari scendendo attraverso le architetture moderniste del Passeig de Gracia; o magari risalendo dai profumi del mare, su lungo la Rambla. E una volta arrivati, si è colti da un pensiero: questa città deve essere la capitale di qualcosa. Un qualcosa che potrebbe vedere luce già alla fine di quest’anno: una nuova nazione in Europa, lo Stato indipendente di Catalogna. Perché il 9 novembre dovrebbe svolgersi il referendum sull’autodeterminazione della più ricca regione di Spagna, con i sondaggi che rilevano una costante maggioranza a fa- vore della secessione da Madrid. «La Catalogna rappresenta da sola il 30% delle intere esportazioni spagnole — fa nota- re l’economista Miquel Puig, già responsabi- le della politica industriale del governo di Barcellona —. Ormai esportiamo più verso l’Europa che non verso la Spagna: siamo al li- vello dei Paesi nordici o dell’Austria. Ma il 45% delle tasse versate in Catalogna allo Stato centrale non rientra da noi: alla fine ben l’8% del nostro Pil viene trasferito a Madrid». Motivi economici dunque? Un altro caso di egoismo dei ricchi, sordi alle ragioni della solidarietà? I catalani quasi si offendono al- l’idea. «Non è solo questione di soldi — spiega il politologo Carles Boix, che insegna a Princeton, negli Usa —. La questione fisca- le non è determinante nell’opinione pubbli- ca. La richiesta di autonomia affonda le sue radici storiche fin nel Regno di Aragona, che si unì al Regno di Castiglia per formare la Spagna moderna». Che si vada a pranzo con esponenti della società civile o a cena con giornalisti locali, tutti si accalorano a spiegare che il movente è culturale, linguistico, che è qualcosa che ha a che fare con l’identità. E tutti concorda- no che il punto si svolta è stata la decisione della Corte costituzionale spagnola, nel 2006, di respingere il nuovo statuto di auto- nomia della Catalogna. «È da quel momento — sottolinea Boix — che presero il via in cit- tà e villaggi i referendum locali auto-orga- nizzati per chiedere l’autodeterminazione. Non è un processo par- tito dalle élite ma dalla società civile, culmi- nato nelle grandi ma- nifestazioni del set- tembre 2012 e 2013. Lo stesso presidente Artur Mas si è via via dovuto spostare dalla richiesta di riequilibrio fiscale con Madrid all’indi- pendenza». Sullo sfondo di tutto questo, il grande timo- re è tuttavia il posto che una Catalogna indipendente potrebbe, o non potrebbe, occupare in Europa. «Madrid continua a minacciarci — sostiene Roger Al- binyana, segretario agli Esteri del governo regionale —. Dice che finiremo isolati a li- vello internazionale. Che saremo espulsi dalla Ue, dalla Nato, dall’Onu, che finiremo fuori dall’euro. Ma è interesse dell’Europa tenerci dentro: il 50% delle multinazionali tedesche in Spagna, per esempio, ha sede in Catalogna. È ipotizzabile un compromesso: fuori dalla Ue, in attesa di un nuovo processo di adesione, ma dentro il mercato comune». Il più spaventato sembra essere il grande bu- siness. La Caixa, la maggiore banca di Bar- cellona (e terza in Spagna), si tiene alla larga dai fermenti secessionisti. I piccoli e medi imprenditori, tessuto connettivo della so- cietà e dell’economia catalana, sono più possibilisti, ma intanto preparano piani di emergenza per far fronte a ricadute econo- miche e commerciali. Ma queste sono appena evocate. Le parole che ricorrono nelle conversazioni con i bar- cellonesi sono «rispetto» e «dignità». I cata- lani si sentono offesi: offesi da un potere centrale che, a loro dire, attenta all’autono- mia linguistica, ignora le loro specificità, preso com’è da un impulso accentratore che si è radicalizzato con l’ascesa al potere a Ma- drid dei Popolari di Mariano Rajoy. Si affac- cia talvolta la rivendicazione di una diversità catalana, fatta di apertura al mondo, ai com- merci, agli ideali laici e repubblicani, a fron- te di una Spagna cattolico-conservatrice, ru- rale, monarchica. Ma non si tratta di una de- riva identitaria di sapore nazional-populi- sta, come ne fioriscono in Europa di fronte ai venti della globalizzazione. Qui siamo lon- tani dalla retorica del sangue e suolo o dalla riesumazione di riti arcaici sulla purezza delle origini. Per convincersene basta far visita a Oriol Junqueras, il leader della Sinistra Repubblicana, il partito indipendentista che sostiene dall’esterno il governo cen- trista di Convergenza e Unione del presi- dente Mas. Gli opinionisti concordano nel predire che in caso di nuove elezioni la Sinistra Repubblicana trionferebbe e Junqueras diventerebbe il prossimo presidente. «L’identità catalana è lega- ta alla democrazia e alle istituzioni — argomenta —. È inclusiva, non esclusiva: qui tantissimi cittadini hanno origini, in tutto o in parte, fuori dalla Catalogna: ma è catalano chiunque condivida il nostro pro- getto democratico». E il senso della parabola sta nella confi- denza familiare che si lascia sfuggire Oriol Pujol, figlio del mitico Jordi, patriarca della Catalogna dal 1980 al 2003: «Mio padre ha creduto per tutta la sua vita alla possibilità di un accordo con Madrid. Ma ora che ha supe- rato gli 80 anni mi ha confessato: “Avevo sbagliato tutto”». Luigi Ippolito © RIPRODUZIONE RISERVATA » Approfondimenti Le nuove nazioni europee V IA DA M ADRID, IL S OGNO CATALANO « N ON PER S OLDI, MA PER D IGNITÀ» Verso il referendum indipendentista osteggiato dalla Spagna Intervista I progetti del leader della regione autonoma Il presidente Mas: «È il futuro naturale di un’antica nazione» Storia ed economia Il soprano Montserrat Caballe, vanto della musica catalana (e spagnola) 32.106 km² 7,5 milioni 28.270 euro AREA Rispetto alla SPAGNA POPOLAZIONE PIL PRO CAPITE % DEL PIL % DELLA POPOLAZIONE % DEL COMMERCIO ESTERO La squadra Il Barcellona, regina d’Europa e passione dei catalani 1,7% 20% 1,4% 15% 1,3% 30% Rispetto all’UE Spagna Federico II d’Aragona (1452-1516) e Isabella di Castiglia (1451-1504): il loro matrimonio portò all’unione della Spagna Sagrada Familia La basilica di Antoni Gaudí è diventata il simbolo della capitale catalana CATALOGNA Barcellona Catalogna DAL NOSTRO INVIATO BARCELLONA — Basta attraversare l’ampio portone del palazzo della Generalitat, sede del- l’amministrazione presidenziale catalana in piazza Sant Jaume, nel cuore della città vecchia di Barcellona, per rendersi conto che questa non è la semplice sede di una giunta regionale. L’edificio tardo medievale è un gioiello gotico dove si intrecciano cortili, colonnati, saloni af- frescati e dove il potere autonomo catalano ha trovato la sua sede da oltre sei secoli. La Generalitat affonda le sue radici nelle me- dievali Corti Catalane, l’assemblea parlamenta- re che divideva il potere con il sovrano. Il suo primo presidente fu Berenguer de Cruilles, no- minato nel 1359 dalle Corti. E oggi il suo erede diretto è Artur Mas, il leader della Regione au- tonoma di Catalogna che ha deciso di condurre la sua nazione alla secessione dalla Spagna. Lo incontriamo nei suoi uffici della Genera- litat mentre lo scontro con Madrid sul referen- dum indipendentista, programmato per no- vembre, si fa sempre più acceso. Ma Artur Mas non ha nulla dell’arruffapopolo pronto a caval- care i malumori della gente (una specie assai diffusa nell’Europa di questo inizio secolo). Studi di economia alle spalle, si presenta come un manager pacato che ha fatto la sua revisione di bilancio e ha concluso che è arrivata l’ora di mettersi in proprio. Il governo centrale spagnolo ha detto chia- ramente di considerare illegittimo lo svolgi- mento di un referendum in Catalogna. Qual è la vostra strategia? «Abbiamo chiesto a Madrid di ottenere la ca- pacità legale di organizzare un referendum. Ma ci aspettiamo una risposta negativa. Allora nei prossimi mesi elaboreremo una legge catalana per tenere una consultazione popolare, anche se non sarà un referendum vincolante». Perché tanta insistenza sul ricorso alle ur- ne? «Perché prima dobbiamo ascoltare la voce del popolo. Ci sono state in Catalogna enormi manifestazioni a favore dell’indipendenza, alle quali ha partecipato un quarto della popolazio- ne adulta. Nel nostro Parlamento l’80% dei de- putati è a favore dell’autodeterminazione. Ma non possiamo proclamare l’indipendenza sen- za sapere se esiste o no una maggioranza nel Paese». E quando il risultato delle urne vi avrà dato ragione? «Allora la Catalogna negozierà con Madrid l’indipendenza o un nuovo status all’interno della Spagna. Dipenderà dalla risposta alla dop- pia domanda del referendum: col primo quesi- to chiediamo se si vuole che la Catalogna sia uno Stato; col secondo se si vuole che questo Stato sia indipendente. Statualità non significa necessariamente indipendenza». La sua posizione personale? «Io sono per il doppio sì. L’indipendenza è il futuro naturale di una antica nazione che ha mantenuto nei secoli il suo linguaggio e la sua cultura, una nazione che ha la volontà di agire come tale, con un progetto collettivo per il fu- turo». E se Madrid vi impedirà di tenere anche una semplice consultazione? «Allora andremo alle elezioni generali, che saranno l’equivalente di un referendum sull’in- dipendenza. È venuto il momento di chiedere al popolo. La nostra non è semplicemente la deci- sione di un governo, ma un processo radical- mente democratico. Il nostro obiettivo è difen- dere il progetto collettivo del popolo catalano». Qual è stato finora l’atteggiamento in Eu- ropa nei vostri confronti? «Negli altri Paesi comprendono il nostro de- siderio di svolgere una consultazione popolare, ma non sono a loro agio con l’idea di un nuovo Stato. La loro è una posizione egoista: è un affa- re interno spagnolo, dicono, cercate di risolver- lo in Spagna. È normale, lo capiamo, ci sono già tanti problemi in Europa. Ma prima o poi sa- ranno chiamati a dare una risposta politica». Il vostro percorso ha molte analogie con la Scozia, dove si svolgerà un referendum a set- tembre. «Sì, con una differenza: che David Cameron ci concederebbe di fare la nostra consultazione. Mi piacerebbe tanto avere un governo spagnolo democratico come quello britannico!». Ma quanto contano le ragioni economiche nella vostra richiesta di autonomia? «Le ragioni economiche ci sono, ma il nostro cammino non ha nulla a che fare con la Pada- nia, dove pesa solo la questione dell’economia. Noi ogni anno trasferiamo alla Spagna l’8% del prodotto interno lordo: vogliamo aiutare le al- tre Regioni, non neghiamo loro gli aiuti, ma l’8% è troppo. Per noi tuttavia valgono soprat- tutto le ragioni di identità, cultura, linguaggio, autogoverno. Vogliamo poter organizzare la nostra educazione, la nostra sanità, i nostri ser- vizi. I catalani hanno sempre difeso l’idea di au- togoverno, fin da 300 anni fa». Una Catalogna indipendente si troverebbe probabilmente al di fuori dell’Unione Euro- pea: avete pensato a questo scenario? «Nei trattati europei non è previsto un caso come questo: deve essere studiato in modo specifico. Ma ricordiamoci che l’Europa è an- che dei cittadini, non solo degli Stati. Perché te- nerci fuori? Non possiamo essere puniti». In quale tipo di Europa vorrebbe vivere la Catalogna? «Noi vogliamo un’Europa federale, con me- no poteri per gli Stati e più per le Regioni. Sia- mo per gli Stati Uniti d’Europa: all’interno di un’Europa federale ci andrebbe bene avere lo stesso status del Massachusetts negli Usa. Ma se l’Europa non sarà federale, allora chiediamo le stesse prerogative dell’Austria o del Portogal- lo. Nulla di più, nulla di meno». L. Ip. © RIPRODUZIONE RISERVATA 1714 l’anno della fine della Guerra di Succes- sione spagnola e, con essa, il termine dell’autonomia che la Catalogna ritrove- rà soltanto tre secoli più tardi. Il conflitto, iniziato nel 1701, sancirà an- che il tramonto della Spagna come grande potenza Generalitat Artur Mas, 58 anni, dal 2010 è il presidente della Generalitat de Catalunya, il governo della Regione autonoma catalana Referendum ll 9 novembre si svolgerà in Catalogna un referendum per l’indipendenza che Madrid non ha autorizzato Doppia domanda Sulle schede gli elettori troveranno una doppia domanda: se si vuole che la Catalogna diventi uno Stato e se questo Stato debba essere indipendente Il progetto Parola di Barroso «Scozia indipendente? Resterà fuori dalla Ue» BRUXELLES — Se la Scozia dovesse votare a favore dell’indipendenza da Londra a settembre «sarebbe difficile, se non impossibile» la sua adesione all’Unione Europea. Lo ha chiarito il presidente della Commissione Ue, José Barroso: «Nel caso di un nuovo Stato che nasca da un attuale Paese membro l’adesione dovrà essere approvata da tutti gli altri Paesi membri».

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Corriere della Sera Lunedì 17 Febbraio 2014 Esteri 15

DAL NOSTRO INVIATO

BARCELLONA — Si arriva sulla Plaça Ca-talunya, centro pulsante di Barcellona, ma-gari scendendo attraverso le architetturemoderniste del Passeig de Gracia; o magaririsalendo dai profumi del mare, su lungo laRambla. E una volta arrivati, si è colti da unpensiero: questa città deve essere la capitaledi qualcosa.

Un qualcosa che potrebbe vedere luce giàalla fine di quest’anno: una nuova nazione inEuropa, lo Stato indipendente di Catalogna.Perché il 9 novembre dovrebbe svolgersi il referendum sull’autodeterminazione dellapiù ricca regione di Spagna, con i sondaggi che rilevano una costante maggioranza a fa-vore della secessione da Madrid.

«La Catalogna rappresenta da sola il 30%delle intere esportazioni spagnole — fa nota-

re l’economista Miquel Puig, già responsabi-le della politica industriale del governo diBarcellona —. Ormai esportiamo più verso l’Europa che non verso la Spagna: siamo al li-vello dei Paesi nordici o dell’Austria. Ma il45% delle tasse versate in Catalogna allo Statocentrale non rientra da noi: alla fine ben l’8%del nostro Pil viene trasferito a Madrid».

Motivi economici dunque? Un altro casodi egoismo dei ricchi, sordi alle ragioni dellasolidarietà? I catalani quasi si offendono al-

l’idea. «Non è solo questione di soldi — spiega il politologo Carles Boix, che insegnaa Princeton, negli Usa —. La questione fisca-le non è determinante nell’opinione pubbli-ca. La richiesta di autonomia affonda le sueradici storiche fin nel Regno di Aragona, chesi unì al Regno di Castiglia per formare laSpagna moderna».

Che si vada a pranzo con esponenti dellasocietà civile o a cena con giornalisti locali,tutti si accalorano a spiegare che il moventeè culturale, linguistico, che è qualcosa cheha a che fare con l’identità. E tutti concorda-no che il punto si svolta è stata la decisionedella Corte costituzionale spagnola, nel 2006, di respingere il nuovo statuto di auto-nomia della Catalogna. «È da quel momento— sottolinea Boix — che presero il via in cit-tà e villaggi i referendum locali auto-orga-nizzati per chiedere l’autodeterminazione.

Non è un processo par-tito dalle élite ma dallasocietà civile, culmi-nato nelle grandi ma-nifestazioni del set-tembre 2012 e 2013. Lostesso presidente ArturMas si è via via dovutospostare dalla richiestadi riequilibrio fiscalecon Madrid all’indi-pendenza».

Sullo sfondo di tuttoquesto, il grande timo-re è tuttavia il posto

che una Catalogna indipendente potrebbe, onon potrebbe, occupare in Europa. «Madridcontinua a minacciarci — sostiene Roger Al-binyana, segretario agli Esteri del governoregionale —. Dice che finiremo isolati a li-vello internazionale. Che saremo espulsidalla Ue, dalla Nato, dall’Onu, che finiremofuori dall’euro. Ma è interesse dell’Europa tenerci dentro: il 50% delle multinazionalitedesche in Spagna, per esempio, ha sede inCatalogna. È ipotizzabile un compromesso:

fuori dalla Ue, in attesa di un nuovo processodi adesione, ma dentro il mercato comune».Il più spaventato sembra essere il grande bu-siness. La Caixa, la maggiore banca di Bar-cellona (e terza in Spagna), si tiene alla largadai fermenti secessionisti. I piccoli e medi imprenditori, tessuto connettivo della so-cietà e dell’economia catalana, sono piùpossibilisti, ma intanto preparano piani diemergenza per far fronte a ricadute econo-miche e commerciali.

Ma queste sono appena evocate. Le paroleche ricorrono nelle conversazioni con i bar-cellonesi sono «rispetto» e «dignità». I cata-lani si sentono offesi: offesi da un poterecentrale che, a loro dire, attenta all’autono-mia linguistica, ignora le loro specificità, preso com’è da un impulso accentratore chesi è radicalizzato con l’ascesa al potere a Ma-drid dei Popolari di Mariano Rajoy. Si affac-cia talvolta la rivendicazione di una diversitàcatalana, fatta di apertura al mondo, ai com-merci, agli ideali laici e repubblicani, a fron-te di una Spagna cattolico-conservatrice, ru-rale, monarchica. Ma non si tratta di una de-riva identitaria di sapore nazional-populi-sta, come ne fioriscono in Europa di fronte aiventi della globalizzazione. Qui siamo lon-tani dalla retorica del sangue e suolo o dallariesumazione di riti arcaici sulla purezzadelle origini.

Per convincersene basta far visita aOriol Junqueras, il leader della SinistraRepubblicana, il partito indipendentistache sostiene dall’esterno il governo cen-trista di Convergenza e Unione del presi-dente Mas. Gli opinionisti concordanonel predire che in caso di nuove elezionila Sinistra Repubblicana trionferebbe eJunqueras diventerebbe il prossimopresidente. «L’identità catalana è lega-ta alla democrazia e alle istituzioni —

argomenta —. È inclusiva, non esclusiva:qui tantissimi cittadini hanno origini, intutto o in parte, fuori dalla Catalogna: ma ècatalano chiunque condivida il nostro pro-getto democratico».

E il senso della parabola sta nella confi-denza familiare che si lascia sfuggire OriolPujol, figlio del mitico Jordi, patriarca dellaCatalogna dal 1980 al 2003: «Mio padre hacreduto per tutta la sua vita alla possibilità diun accordo con Madrid. Ma ora che ha supe-rato gli 80 anni mi ha confessato: “Avevosbagliato tutto”».

Luigi Ippolito© RIPRODUZIONE RISERVATA

»Approfondimenti Le nuove nazioni europee

VIA DA MADRID, IL SOGNO CATALANO«NON PER SOLDI, MA PER DIGNITÀ»Verso il referendum indipendentista osteggiato dalla Spagna

Intervista I progetti del leader della regione autonoma

Il presidente Mas:«È il futuro naturaledi un’antica nazione»

Storia ed economiaIl soprano Montserrat Caballe,vanto della musicacatalana(e spagnola)

32.106 km² 7,5 milioni 28.270 euro

AREA

Rispetto alla SPAGNA

POPOLAZIONE PIL PRO CAPITE

% DEL PIL

% DELLAPOPOLAZIONE

% DELCOMMERCIO

ESTERO

La squadra Il Barcellona,

regina d’Europae passione dei catalani

1,7%20%

1,4%15%

1,3%30%

Rispetto all’UE

Spagna

Federico II d’Aragona (1452-1516)e Isabella di Castiglia (1451-1504):il loro matrimonio portò all’unionedella Spagna

Sagrada Familia La basilica di Antoni Gaudíè diventata il simbolodella capitale catalana

CATALOGNA Barcellona

Catalogna

DAL NOSTRO INVIATO

BARCELLONA — Basta attraversare l’ampioportone del palazzo della Generalitat, sede del-l’amministrazione presidenziale catalana inpiazza Sant Jaume, nel cuore della città vecchiadi Barcellona, per rendersi conto che questanon è la semplice sede di una giunta regionale.L’edificio tardo medievale è un gioiello goticodove si intrecciano cortili, colonnati, saloni af-frescati e dove il potere autonomo catalano hatrovato la sua sede da oltre sei secoli.

La Generalitat affonda le sue radici nelle me-dievali Corti Catalane, l’assemblea parlamenta-re che divideva il potere con il sovrano. Il suoprimo presidente fu Berenguer de Cruilles, no-minato nel 1359 dalle Corti. E oggi il suo eredediretto è Artur Mas, il leader della Regione au-tonoma di Catalogna che ha deciso di condurrela sua nazione alla secessione dalla Spagna.

Lo incontriamo nei suoi uffici della Genera-litat mentre lo scontro con Madrid sul referen-dum indipendentista, programmato per no-vembre, si fa sempre più acceso. Ma Artur Masnon ha nulla dell’arruffapopolo pronto a caval-care i malumori della gente (una specie assaidiffusa nell’Europa di questo inizio secolo).Studi di economia alle spalle, si presenta comeun manager pacato che ha fatto la sua revisionedi bilancio e ha concluso che è arrivata l’ora dimettersi in proprio.

Il governo centrale spagnolo ha detto chia-ramente di considerare illegittimo lo svolgi-

mento di un referendum in Catalogna. Qual èla vostra strategia?

«Abbiamo chiesto a Madrid di ottenere la ca-pacità legale di organizzare un referendum. Maci aspettiamo una risposta negativa. Allora neiprossimi mesi elaboreremo una legge catalanaper tenere una consultazione popolare, anche se non sarà un referendum vincolante».

Perché tanta insistenza sul ricorso alle ur-ne?

«Perché prima dobbiamo ascoltare la vocedel popolo. Ci sono state in Catalogna enormimanifestazioni a favore dell’indipendenza, allequali ha partecipato un quarto della popolazio-ne adulta. Nel nostro Parlamento l’80% dei de-putati è a favore dell’autodeterminazione. Manon possiamo proclamare l’indipendenza sen-za sapere se esiste o no una maggioranza nelPaese».

E quando il risultato delle urne vi avrà datoragione?

«Allora la Catalogna negozierà con Madridl’indipendenza o un nuovo status all’interno della Spagna. Dipenderà dalla risposta alla dop-pia domanda del referendum: col primo quesi-to chiediamo se si vuole che la Catalogna siauno Stato; col secondo se si vuole che questoStato sia indipendente. Statualità non significanecessariamente indipendenza».

La sua posizione personale?«Io sono per il doppio sì. L’indipendenza è il

futuro naturale di una antica nazione che hamantenuto nei secoli il suo linguaggio e la sua

cultura, una nazione che ha la volontà di agirecome tale, con un progetto collettivo per il fu-turo».

E se Madrid vi impedirà di tenere ancheuna semplice consultazione?

«Allora andremo alle elezioni generali, chesaranno l’equivalente di un referendum sull’in-dipendenza. È venuto il momento di chiedere alpopolo. La nostra non è semplicemente la deci-sione di un governo, ma un processo radical-mente democratico. Il nostro obiettivo è difen-dere il progetto collettivo del popolo catalano».

Qual è stato finora l’atteggiamento in Eu-ropa nei vostri confronti?

«Negli altri Paesi comprendono il nostro de-siderio di svolgere una consultazione popolare,

ma non sono a loro agio con l’idea di un nuovoStato. La loro è una posizione egoista: è un affa-re interno spagnolo, dicono, cercate di risolver-lo in Spagna. È normale, lo capiamo, ci sono giàtanti problemi in Europa. Ma prima o poi sa-ranno chiamati a dare una risposta politica».

Il vostro percorso ha molte analogie con laScozia, dove si svolgerà un referendum a set-tembre.

«Sì, con una differenza: che David Cameronci concederebbe di fare la nostra consultazione.Mi piacerebbe tanto avere un governo spagnolodemocratico come quello britannico!».

Ma quanto contano le ragioni economichenella vostra richiesta di autonomia?

«Le ragioni economiche ci sono, ma il nostrocammino non ha nulla a che fare con la Pada-nia, dove pesa solo la questione dell’economia.Noi ogni anno trasferiamo alla Spagna l’8% delprodotto interno lordo: vogliamo aiutare le al-tre Regioni, non neghiamo loro gli aiuti, ma l’8% è troppo. Per noi tuttavia valgono soprat-tutto le ragioni di identità, cultura, linguaggio,autogoverno. Vogliamo poter organizzare lanostra educazione, la nostra sanità, i nostri ser-vizi. I catalani hanno sempre difeso l’idea di au-togoverno, fin da 300 anni fa».

Una Catalogna indipendente si troverebbeprobabilmente al di fuori dell’Unione Euro-pea: avete pensato a questo scenario?

«Nei trattati europei non è previsto un casocome questo: deve essere studiato in modospecifico. Ma ricordiamoci che l’Europa è an-che dei cittadini, non solo degli Stati. Perché te-nerci fuori? Non possiamo essere puniti».

In quale tipo di Europa vorrebbe vivere laCatalogna?

«Noi vogliamo un’Europa federale, con me-no poteri per gli Stati e più per le Regioni. Sia-mo per gli Stati Uniti d’Europa: all’interno diun’Europa federale ci andrebbe bene avere lo stesso status del Massachusetts negli Usa. Mase l’Europa non sarà federale, allora chiediamole stesse prerogative dell’Austria o del Portogal-lo. Nulla di più, nulla di meno».

L. Ip.© RIPRODUZIONE RISERVATA

1714l’anno della fine della Guerra di Succes-sione spagnola e, con essa, il termine dell’autonomia che la Catalogna ritrove-rà soltanto tre secoli più tardi. Il conflitto, iniziato nel 1701, sancirà an-che il tramonto della Spagna come grande potenza

GeneralitatArtur Mas, 58 anni, dal 2010 è il presidente della Generalitat de Catalunya, il governo della Regione autonoma catalana

Referendumll 9 novembre si svolgerà inCatalogna un referendum per l’indipendenza che Madrid non ha autorizzato

Doppia domandaSulle schede gli elettori troveranno una doppia domanda: se si vuole che la Catalogna diventi uno Stato e se questo Stato debba essere indipendente

Il progetto

Parola di Barroso

«Scozia indipendente?Resterà fuori dalla Ue»BRUXELLES — Se la Scozia dovesse votare a favore dell’indipendenza da Londra a settembre«sarebbe difficile, se non impossibile» la sua adesione all’Unione Europea. Lo ha chiarito il presidente della Commissione Ue, José Barroso: «Nel caso di un nuovo Stato che nasca da un attuale Paese membro l’adesione dovrà essere approvata da tutti gli altri Paesi membri».