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Correzione delle deformità di tibia con TAYLOR SPATIAL FRAME TSF

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Correzione delle deformità di tibiacon TAYLOR SPATIAL FRAME

TSF

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Autori Smith & Nephew ringrazia i seguenti chirurghi per la realizzazione del manuale Correzione delle deformità di tibia con Taylor Spatial Frame. Prof. Redento Mora Direttore Clinica Ortopedica e Traumatologica Università di Pavia, Polo Universitario “Città di Pavia” Pavia Dr. Domenico Aloj Referente Gruppo Fissazione Esterna Dipartimento di Ortopedia e Traumatologia, CTO Torino Dr.ssa Barbara Bertani Assistente Clinica Ortopedica e Traumatologica Università di Pavia, Polo Universitario “Città di Pavia” Pavia Dr. Giovanni Lovisetti Direttore Divisione di Ortopedia e Traumatologia Presidio di Menaggio, Azienda Ospedaliera S. Anna Como Dr. Antonio Memeo Direttore Struttura Complessa di Ortopedia e Traumatologia Pediatrica Istituto Ortopedico Gaetano Pini Milano Dr. Francesco Sala Dirigente medico, Divisione di Ortopedia e Traumatologia Ospedale Niguarda Milano Dr. Fabio Verdoni Responsabile Struttura Dipartimentale per la fissazione esterna Istituto Ortopedico Gaetano Pini Milano Illustrazioni: Massimiliano Crespi

Coordinamento: Alessio Migliavacca, Paola Menegat

Impaginazione e stampa: Paolo VI - Editoria & Grafi ca

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Indice Introduzione………………………………………………………………………………………………………. 1 Pianificazione pre-operatoria Accertamenti clinici e strumentali………………………………………………………………..3 Calcolo della deformità………………………………………………………………………………….. 3 Concetti base……………………………………………………………………………………………………. 10 Planning methods……………………………………………………………………………………………. 11 Tecnica chirurgica Preparazione del paziente……………………………………………………………………………. 23 Osteotomia peroneale……………………………………………………………………………………. 26 Applicazione del Taylor Spatial Frame………………………………………………………. 27 Osteotomia tibiale……………………………………………………………………………………………. 30 Gestione post-operatoria Completamento dei dati e loro inserimento nel software……………………. 31 Gestione del paziente nel post-operatorio………………………………………………. 45 Follow-up Medicazioni………………………………………………………………………………………………………. 45 Valutazione clinica e radiografica……………………………………………………………….. 46 Complicanze……………………………………………………………………………………………………… 47 Programma riabilitativo…………………………………………………………………………………… 47 Rimozione del Taylor Spatial Frame……………………………………………...........49 Nota bene: la descrizione della tecnica qui contenuta viene messa a disposizione del medico per illustrare il trattamento suggerito dagli autori per una procedura senza complicanze. In ultima analisi il trattamento preferenziale è quello che tiene conto delle esigenze del paziente.

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Introduzione I vantaggi della fissazione esterna in traumatologia e ortopedia possono riassumersi in applicazione quasi atraumatica e facilità di rimozione al termine del trattamento. La fissazione circolare presenta ulteriori importanti vantaggi rispetto alla fissazione assiale: stabilità del montaggio, concessione precoce del carico funzionale, possibilità di correggere gli spostamenti dei frammenti ossei (in traumatologia) e di eseguire le correzioni delle deformità (in ortopedia) su ogni punto della circonferenza dell’osso e in ogni fase del trattamento. Nella riduzione delle fratture e nella correzione delle deformità degli arti con i sistemi di fissazione esterna circolare tradizionali, deve essere seguito un preciso ordine di precedenza, che prevede la correzione innanzitutto degli spostamenti angolari, e successivamente le correzioni di spostamento in lunghezza, rotazione e da ultimo traslazione. Uno dei principali problemi di tali sistemi, pertanto, è la difficoltà nella correzione delle deformità complesse, specialmente multidirezionali, multiplanari e a più livelli, con conseguente necessità di una lunga curva di apprendimento. Allo scopo di ovviare a questi inconvenienti, sono stati studiati sistemi di fissazione circolare di nuova generazione (sistemi “hexapod” o a sei assi) a controllo computerizzato, che permettono la più ampia possibilità di azione sui segmenti scheletrici, con correzione simultanea degli spostamenti grazie a un software dedicato che elabora informazioni fornite dagli esami strumentali. La correzione graduale avviene nei piani frontale, sagittale e assiale, da cui la definizione “six axis deformity analysis and correction”. Questi sistemi si basano sul meccanismo a sei gradi di libertà noto come “piattaforma di Stewart”, ideato nel 1965 per l’utilizzo nei simulatori di volo. I fratelli Taylor di Memphis presentarono nel 1965 il primo fissatore circolare hexapod (Taylor Spatial Frame, TSF). L’ unità-base del TSF è costituita da: a) una coppia di anelli, ciascuno dei quali presenta una serie regolare di fori per il collegamento dei vari accessori e, a intervalli regolari lungo la circonferenza, sei parti sporgenti (tabs) con fori che permettono la connessione con le aste di collegamento; una di queste sei sporgenze, di dimensioni maggiori delle altre, viene denominata mastertab; b) 6 aste telescopiche regolabili millimetricamente e collegate in posizione obliqua a ciascun anello (a livello delle tabs) da giunti cardanici. Gli elementi di presa sono fili transossei, viti o combinazioni fra essi, come nei fissatori circolari tradizionali. La precisione nelle correzioni si basa sull’analisi dei radiogrammi, che forniscono 6 parametri sul tipo ed entità della deformità e 4 sul reciproco rapporto tra fissatore e osso; a tali parametri ne vanno aggiunti 3 relativi alle misure del fissatore stesso. Utilizzando tali parametri un software online calcola le modifiche da applicare alle 6 aste telescopiche per ottenere la correzione in 6 gradi di libertà e fornisce una scheda che indica le regolazioni graduali da apportare quotidianamente.

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Tre programmi di correzione sono disponibili: Chronic deformity, Residual deformity e Total residual deformity: i primi due hanno ormai solo un interesse storico e attualmente viene utilizzato solo il Total residual deformity program. Ciascuno dei 6 assi di deformità può essere corretto sequenzialmente o simultaneamente L’impiego del TSF si è gradualmente diffuso in vari Paesi ed è attualmente il sistema più utilizzato nel mondo. Il TSF è in definitiva un potente strumento di correzione delle deformità di gamba, i cui punti di forza sono: snodo virtuale, che permette la correzione graduale e simultanea di deformità multiplanari; stabilità, che consente il carico precoce e fornisce un ambiente favorevole alla formazione di callo o rigenerato osseo e alla guarigione dei tessuti molli; software, che semplifica la pianificazione della correzione su un piano obliquo utilizzando misurazioni basate sugli esami Rx standard. Le controindicazioni sono rare e possono essere riassunte in: deformità in pazienti anziani o con disturbi mentali, che possono avere difficoltà a seguire le pur chiare indicazioni fornite dalla scheda.

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Pianificazione pre-operatoria

Studio della deformità Accertamenti clinici e strumentali

Dopo una attenta anamnesi e un accurato esame clinico generale, la valutazione della deformità inizia con l’esame clinico in clinostatismo e in ortostatismo. La valutazione in posizione supina consente di verificare l’escursione articolare e la stabilità capsulolegamentosa del ginocchio e della caviglia e l’identificazione della sede e del tipo di deformità. La misurazione della lunghezza degli arti inferiori (distanza SIAS-malleolo mediale) definisce la eumetria o dismetria degli stessi. La valutazione in ortostatismo si rende necessaria per confermare le deformità e verificare come l’eventuale instabilità articolare modifichi l’entità delle deformità iuxtarticolari. La diagnostica strumentale si basa esclusivamente sugli esami radiografici. Viene sempre eseguita una radiografia di gamba nelle due proiezioni standard che comprenda le interlinee articolari. Lo studio delle deformità iuxtarticolari del ginocchio viene completato eseguendo una radiografia del ginocchio nelle due proiezioni, dove la proiezione laterale viene eseguita con il ginocchio in completa estensione. Lo studio delle deformità iuxtarticolari della caviglia viene completato eseguendo una radiografia della caviglia nelle due proiezioni. La teleradiografia degli arti inferiori in carico con rotule allo zenit è necessaria per la valutazione e comparazione degli assi meccanici dei due arti e della rotazione dei segmenti scheletrici. In presenza di ipometria è necessario eseguire l’esame correggendo l’accorciamento con un rialzo di compenso fino ad ottenere il corretto livellamento del bacino, per annullare l’atteggiamento in flessione del ginocchio dell’arto più lungo. L’entità del rialzo stabilisce la differenza di lunghezza degli arti inferiori. In presenza di deformità rotazionali, la TAC per lo studio rotazionale degli arti inferiori può definire con precisione i gradi dell’extra- o intra-rotazione.

Calcolo della deformità L’allineamento degli arti inferiori La linea virtuale che unisce il centro della testa femorale con il centro del pilone tibiale definisce l'asse meccanico dell' arto inferiore. Tale asse non passa per il centro del ginocchio, ma decorre leggermente mediale ad esso. La distanza tra l'asse meccanico e il centro del ginocchio misurata sull’interlinea articolare viene definita “deviazione dall'asse meccanico” (“mechanical axis deviation” o MAD): il MAD fisiologico è traslato medialmente di 8 millimetri (Fig. 1). Qualsiasi variazione del valore fisiologico identifica un mal allineamento dell’asse meccanico (“malalignment test” di Paley).

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Se il MAD è spostato medialmente per oltre 8 mm, si avrà un mal allineamento in varo; se il MAD è spostato lateralmente, si avrà un mal allineamento in valgo. La teleradiografia degli arti inferiori consente di tracciare l’asse meccanico dell’arto normale e l’asse meccanico dell’arto patologico.

Fig. 1. L’allineamento degli arti inferior i Gli assi tibiali L’asse meccanico della gamba è identificato sul piano frontale da una linea retta che congiunge il centro del ginocchio e il centro della caviglia. L’asse anatomico è identificato invece nei due piani dalla linea medio diafisaria. Nel piano frontale interseca al ginocchio la spina tibiale mediale e alla caviglia un punto mediale rispetto al centro articolare di circa 4 mm; nel piano sagittale interseca al ginocchio il piatto tibiale al quinto anteriore e alla caviglia il centro del pilone tibiale (Fig. 2a). Qualsiasi deformità divide la gamba in due o più segmenti, di cui è possibile tracciare gli assi. L’utilizzo dell’asse anatomico consente uno studio più semplice della deformità nelle due proiezioni radiografiche standard, a partire dall’identificazione delle linee medio diafisarie di ciascun segmento.

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Nelle deformità iuxta-articolari, dove il segmento adiacente è di lunghezza insufficiente per identificare la linea mediodiafisaria, l’asse iuxta-articolare viene tracciato a partire dall’angolo di orientamento articolare (Fig. 2b).

Fig. 2a. Gli assi tibiali in proiezione AP

Fig. 2b. Assi tibiali iuxta-articoli di ginocchio e caviglia L’orientamento articolare Si riferisce alla posizione di ciascuna superficie articolare rispetto all’asse del relativo segmento osseo, che identifica quindi l’angolo “di orientamento articolare” nei piani frontale e sagittale. Per convenzione ciascun angolo viene denominato da un acronimo che specifica: 1. asse di riferimento: anatomico (a) o meccanico (m)

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2. posizione rispetto all'asse: mediale (M) o laterale (L) nel piano frontale; anteriore (A) o posteriore (P) nel piano sagittale 3. posizione nel segmento osseo: prossimale (P) o distale (D) 4. segmento osseo: tibia (T). Nella tibia prossimale, gli angoli necessari per analizzare la deformità sono costituiti da:

- “Medial Proximal Tibial Angle”: MPTA - “Posterior Proximal Tibial Angle” o “slope posteriore”: PPTA

Nella tibia distale, gli angoli necessari per analizzare la deformità sono costituiti da: - “Lateral Distal Tibial Angle”: LDTA - “Anterior Distal Tibial Angle” o “tilt anteriore”: ADTA.

Di ciascun angolo è noto il valore fisiologico, ricavabile dall’angolo corrispondente del lato sano o dall’angolo medio della popolazione di riferimento. Tracciata pertanto la retta tangente alla superficie articolare (che rappresenta un lato dell’angolo), si calcola l’angolo di orientamento articolare con vertice fissato sul punto articolare in cui normalmente giunge l’asse tibiale. Il secondo lato dell’angolo rappresenta quindi l’asse iuxta-articolare corretto (Fig. 3).

Fig. 3. L’orientamento articolare

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La deformità angolare e il CORA Il punto di intersezione degli assi identifica l’apice della deformità angolare (“centro di rotazione dell’angolazione”, “Center of Rotation of Angulation” o CORA), nei piani frontale e/o sagittale. L’angolo risultante dall’intersezione degli assi dei frammenti tibiali definisce l’entità della deformità angolare. Il CORA è il punto attorno al quale deve necessariamente avvenire la correzione della deformità; pertanto a questo livello devono essere sempre posizionati gli snodi (Fig. 4). Se l’osteotomia tibiale viene eseguita a livello del CORA, si otterrà sempre la correzione della deformità con ripristino dell’asse della tibia e di tutto l’arto inferiore. Se l’osteotomia viene eseguita a distanza dal CORA, si otterrà una correzione della deformità angolare associata però ad una traslazione in senso opposto che porta comunque al recupero degli assi. In caso di errato posizionamento degli snodi, pur ottenendo la correzione della deformità angolare, si avrà sempre una traslazione patologica con alterazione dell’asse tibiale e dell’asse meccanico dell’arto inferiore. La deformità in traslazione La distanza tra l’asse del segmento prossimale e quello del segmento distale definisce la misura della traslazione del segmento distale nei piani frontale e /o sagittale (Fig. 5). In presenza di deformità angolare e/o dismetria associate, la traslazione viene misurata sulla linea perpendicolare all’asse prossimale che congiunge i due assi all’altezza dell’apice del frammento traslato. La deformità in lunghezza In assenza di deformità associate, la comparazione della misura della lunghezza degli assi della tibia normale e della tibia patologica definisce l’esatta ipometria della gamba. In presenza di deformità angolare associata, la lunghezza della tibia è data dalla somma delle lunghezze dei segmenti in cui è divisa sul lato convesso della deformità (Fig. 6). Se tale lunghezza corrisponde a quella del lato sano, la deformità angolare è l’unica componente determinante l’ipometria. In caso contrario la differenza tra le due lunghezze definirà la misura dell’ipometria presente. In presenza di deformità complesse, il calcolo della dismetria deve essere effettuato una volta corrette tutte le altre deformità. La deformità in rotazione Le deformità in rotazione o torsionali sono presenti intorno all’asse longitudinale della tibia. Solo raramente le metodiche strumentali (Rx, TAC, RMN) appaiono realmente più affidabili della accurata valutazione clinica.

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Fig. 4. La deformità angolare ed il CORA

Fig. 5. La deformità in traslazione

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Fig. 6. La deformità in lunghezza

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Concetti base di pianificazione preoperatoria

Due concetti base devono essere ben compresi riguardo al funzionamento del software del TSF:

1° Concetto: identificazione del “reference fragment”.

Per tradizione in ortopedia nell’analisi della deformità di un osso lungo si descrive la posizione del frammento distale rispetto a quella del frammento prossimale

Nell’impiego del TSF, tuttavia, la prima decisione da prendere è la scelta del “reference fragment” (prossimale o distale), poiché tutte le misurazioni sono effettuate in base alla posizione, rispetto ad esso, del secondo frammento (“corresponding fragment” o “moving fragment”).

Per convenzione, il più piccolo fra i due frammenti è scelto come “reference fragment”, poiché la minor lunghezza crea minori rischi di errori di misurazione.

2° Concetto: identificazione del punto di origine (“origin”) e del punto corrispondente (“corresponding point”).

Deve essere scelto un punto nello spazio sul reference fragment (in genere lungo l’asse del frammento stesso): su tale punto (“origin”) agirà ogni futura correzione.

In genere l’”origin” è fissato in un punto ben identificabile in entrambe le proiezioni radiografiche AP e laterale, come una sporgenza (in una frattura) o lo stesso CORA (in una deformità).

Sul corresponding fragment si determina un secondo punto (“corresponding point”), cioè un punto nello spazio che coincideva con l’”origin” prima dello sviluppo della deformità.

Il software genererà un piano di correzione che riporterà gradualmente il “corresponding point” all’”origin”, correggendo lo spostamento (in una frattura) o la deformità (congenita o acquisita).

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Planning methods

Esistono attualmente 5 metodi di pianificazione (ciascuno dei quali ha indicazioni preferenziali) che permettono di identificare i 6 parametri riferiti alla deformità da trattare (“bone deformity parameters”).

Nel caso in cui si utilizzi il Fracture method per la pianificazione del trattamento di una frattura, le misurazioni si eseguono dopo l’applicazione del fissatore, mentre con gli atri metodi di planning le misurazioni sono eseguite prima dell’applicazione.

Fracture method (Taylor): si individuano 2 punti corrispondenti (“origin” e “corresponding point”) sui due frammenti di frattura.

CORAgin method (Paley e Herzenberg): l’ ”origin” è sul CORA, il “corresponding point” è da individuare.

CORAsponding point method (Paley e Herzenberg): il “corresponding point” è sul CORA, l’ “origin” è da individuare.

Virtual hinge method (Standard): “origin” e “corresponding point” coincidono sullo stesso punto, sulla superficie convessa della tibia.

LOCA (line of closest approach) method (Taylor): individua la sede dell’osteotomia che minimizza la traslazione durante la correzione della deformità.

Fracture method

E’ il metodo inizialmente sviluppato e proposto da C. Taylor, ed il più semplice da apprendere. E’ utilizzato nel planning del trattamento delle fratture, in cui le estremità dei frammenti di frattura sono ben identificabili.

Con questo metodo, in base agli esami Rx eseguiti nelle proiezioni AP e laterale, si scelgono sulle estremità opposte della frattura l’“origin” e il “corresponding point” (Fig. 7).

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Fig. 7. Origin e corresponding point

Si definisce quindi la deformità nei 6 possibili piani di deformità con i 6 “bone deformity parameters”: 3 in valori angolari (gradi), 3 in misure di lunghezza (mm) (Fig. 8).

Fig. 8. I “Bone deformity parameters”

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AP view angulation (varus or valgus) e lateral view angulation (apex anterior or apex posterior) sono misurate basandosi sugli assi del reference fragment e del corresponding fragment;

AP view translation (medial or lateral) e lateral view translation (anterior or posterior) sono misurate basandosi sull’asse del reference fragment;

Axial view angulation o rotazione (external or internal) è misurata con valutazione clinica (o talvolta con esame TAC);

Axial view translation o deformità in lunghezza (short or long) è misurata basandosi su linee perpendicolari all’asse del reference fragment (Fig. 9).

Fig. 9. Valutazione della “Axial view translation”

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CORAgin method

E’ il metodo utilizzato nel planning del trattamento delle cosiddette “chronic deformities”, che includono deformità congenite, acquisite e “residue” (pseudoartrosi e viziose consolidazioni).

Nel CORAgin method l’ ”origin” coincide con il CORA; il “corresponding point” viene individuato seguendo alcuni steps.

Misurazioni radiografiche in proiezione AP:

1- Si individua il CORA e lo si indica come “origin” (“CORAgin”). Si misura altresì la deformità angolare (AP view angulation, varus or valgus) (Fig. 10).

2- Si traccia quindi una linea (W) (perpendicolare all’asse del reference fragment) dal CORA alla superficie convessa di tibia.

3- Si traccia una seconda linea, della stessa lunghezza di W, perpendicolare all’asse del corresponding fragment e la si trasferisce lungo tale asse sino ad incontrare la prima linea W tracciata (o il suo prolungamento). Il punto di intersezione di questa seconda linea con l’asse del corresponding fragment è il “corresponding point”.

4- Si applica una “griglia virtuale” (formata da linee parallele e perpendicolari all’asse del “reference fragment”) per misurare l’entità della traslazione in senso laterale o mediale della proiezione del “corresponding point” rispetto all’ ”origin”e si indica tale valore come AP view translation, medial or lateral.

5- Sulla stessa griglia si misura di quanto il “corresponding point è traslato prossimalmente o distalmente rispetto all’”origin” e si indica tale valore come Axial view translation (short or long).

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Fig. 10. Il “CORAgin” Misurazioni radiografiche in proiezione laterale: 1- Si individua il CORA e lo si indica come “origin” (“CORAgin”). Si misura la deformità

angolare (Lateral view angulation, apex anterior or apex posterior). 2- Il “corresponding point” sul piano sagittale si determina in base alla Axial translation già

calcolata sul piano frontale. Partendo dal “CORAgin”, la distanza della Axial translation viene misurata sull’asse del reference fragment, e si traccia a tale livello una linea perpendicolare all’asse del reference fragment stesso. Il punto di intersezione di tale linea con l’asse del moving fragment è il “corresponding point” sul piano sagittale.

3- Si traccia una linea passante per il “corresponding point” e parallela all’asse del reference fragment, e si indica la distanza fra queste due linee come Lateral view translation (anterior or posterior).

4- L’eventuale rotazione viene misurata clinicamente (o talvolta con un esame TAC) e indicata come Axial view angulation (in gradi: external or internal) (Fig. 11).

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Fig. 11. CORAgin method

CORAsponding point method

Nel CORAsponding point method è il “corresponding point” a coincidere con il CORA, e l’ “origin” viene individuato seguendo alcuni steps.

Questo metodo permette di posizionare “CORAsponding point” e “origin” lungo l’asse del reference fragment (ha quindi il vantaggio di eliminare la misurazione di AP view translation e Lateral view translation).

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Si tratta di un metodo particolarmente indicato nel planning del trattamento delle deformità quando deve essere aggiunta una “extrinsic length” (cioè quando il trattamento richiede una correzione angolare accompagnata da un allungamento, ad es. in caso di ipometria del segmento da trattare) (Fig. 12).

1- Si individua il CORA e lo si indica come “corresponding point” (CORAsponding point). Si misura altresì la deformità angolare (AP view angulation, varus or valgus e Lateral view angulation, apex anterior or apex posterior).

2- Si indica un punto sull’asse del reference fragment, spostato in direzione del moving fragment di una misura pari all’allungamento programmato. Tale punto è l’ ”extrinsic origin” (EO). E’ questo punto che diventerà il riferimento per il calcolo dell’offset del montaggio e delle SAR.

3- Si indica la Axial view translation (short), che corrisponde all’allungamento programmato. 4- Si indica l’eventuale Axial view angulation (in gradi).

Fig. 12. CORAsponding method

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Virtual hinge method

Il Virtual hinge method è indicato in caso di deformità angolari semplici (non su piano obliquo e non accompagnate da altri tipi di deformità (in lunghezza, traslazionali, rotazionali) che necessitano di correzione con osteotomia in sola apertura. “Origin” e “corresponding point” sono entrambi localizzati sul CORA, sulla superficie convessa dell’osso: con tale metodo viene creato uno snodo virtuale (o asse virtuale di correzione rotazionale).

La posizione ideale di uno snodo virtuale è a livello del CORA. Può essere scelto il punto CORA all’intersezione degli assi del reference fragment e del moving fragment, oppure può essere scelto come snodo virtuale ogni altro punto CORA situato sulla bisettrice dell’angolo formato dagli assi del frammento prossimale e del frammento distale.

I vantaggi consistono in eliminazione delle deformità traslazionali, possibilità di creare facilmente una osteotomia in apertura localizzando lo snodo virtuale sulla bisettrice a livello della superficie convessa della tibia. La metodica richiede alcuni semplici steps (sia in caso di deformità angolare sul piano frontale che in caso di deformità angolare sul piano sagittale) (Fig. 13).

1- Si individua il CORA e si misura la deformità angolare (AP view angulation, varus or valgus, oppure Lateral view angulation, apex anterior o apex posterior). r

2- Si traccia la bisettrice dell’angolo di deformità angolare rilevato. 3- Si individua come “corresponding point” e come “origin” il punto alla intersezione fra la

bisettrice tracciata e la superficie convessa della tibia. 4- Si riportano come 0 le misure degli altri 5 parametri di deformità.

Fig. 13. Virtual Hinge Method

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LOCA method

Questo metodo, recentemente proposto da Taylor, si rivela utile nei casi in cui deve essere eseguita una osteotomia correttiva di deformità conseguenti a frattura (pseudoartrosi, viziose consolidazioni), poiché permette con semplici calcoli di individuare il livello ideale per l’osteotomia di correzione, ovvero il livello che minimizza la traslazione durante la correzione della deformità stessa.

Nelle deformità in cui angolazione e traslazione si trovano su piani differenti, il CORA in proiezione AP non corrisponde al CORA in proiezione laterale: in tali casi occorre decidere quale è il livello ideale per l’osteotomia correttiva. Il LOCA è il livello (al quale eseguire la correzione) ove la traslazione tra i frammenti è minore, e può essere determinato con metodo grafico.

1 – Sugli esami Rx della tibia in proiezione AP e laterale si stabiliscono 2 livelli in maniera arbitraria ma riproducibile (ad esempio, per comodità, in prossimità del punto di incontro fra l’asse del reference fragment e l’estremità prossimale dell’osso – Level 1 - e in prossimità del punto d’incontro fra l’asse del moving o deformed fragment e l’estremità distale dell’osso – Level 2 -) (Fig. 14).

2 – Si determina l’entità della traslazione del’asse del deformed fragment rispetto all’asse del reference fragment al level 1 e al level 2, in proiezione AP e laterale, indicando tale traslazione come Point 1 e Point 2 rispettivamente. Si costruisce un diagramma (LOCA diagram) che rappresenta la Axial view, ove sono indicati l’asse anteriore-posteriore, l’asse mediale-laterale e il punto di incontro di tali assi, che indica il reference fragment e rappresenta l’origin. Le posizioni del point 1 e del point 2 sono trasferite sul diagramma e sono unite con una linea retta. La linea rappresenta il deformed fragment sul piano assiale in rapporto al reference fragment (Fig. 15).

3 – Sul grafico si traccia una linea perpendicolare dal punto del reference fragment alla linea del deformed fragment. La linea è il LOCA (line of closest approach) e il punto di intersezione con il deformed fragment (Point 3) è il LOCA point (Fig. 16).

4 – Si misurano le entità delle traslazioni del LOCA point dal reference fragment. Esse rappresentano i “parametri di deformità traslazionale”. Questi parametri sono utilizzati per determinare il livello dell’osteotomia (Fig. 16).

5 –Si indica sulla proiezione AP il livello al quale il deformed fragment ha la stessa traslazione del point 3 in senso mediale-laterale, e sulla proiezione laterale il livello al quale il deformed fragment ha la stessa traslazione del point 3 in senso anteriore-posteriore. Si noterà che il livello è il medesimo. Questo è il livello dell’osteotomia (Fig 17a e Fig.17b).

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Fig. 14. Individuazione di Level 1 e Level 2

Fig. 15. Individuazione di Point 1 e Point 2 e costruzione del diagramma

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Fig. 16. Individuazione di LOCA e LOCA point

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Fig. 17a. Determinazione del livello di osteotomia

Fig. 17b. Determinazione del livello di osteotomia

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Tecnica chirurgica

Preparazione del paziente all’intervento

a) si identificano e si trattano tutte le infezioni prima degli interventi elettivi, e si posticipa l’intervento fino alla risoluzione dell’infezione;

b) Si controlla la glicemia in tutti i pazienti diabetici, e deve essere evitata l’iperglicemia nel periodo perioperatorio;

c) Deve essere incoraggiata la cessazione del fumo o almeno l’astinenza nei 30 giorni precedenti l’intervento;

d) il paziente deve eseguire una doccia o un bagno con antisettico almeno la notte prima dell’intervento;

e) la tricotomia deve essere preferibilmente eseguita immediatamente prima dell’intervento; f) l’area dell’incisione deve essere lavata e pulita accuratamente per rimuovere le

macrocontaminazioni prima della disinfezione del campo operatorio; g) deve essere utilizzata un appropriata preparazione antisettica per la cute.

Profilassi antitromboembolica

Considerando l’elevato rischio di sviluppare trombosi venosa profonda (TVP) degli arti inferiori, è fondamentale impostare una corretta prevenzione. Le eparine a basso peso molecolare (EBPM) hanno largamente soppiantato l’eparina non frazionata a basse dosi, in virtù della loro maggiore efficacia, della più lunga emivita e della minore incidenza di effetti collaterali dovuta alla minore interazione con le piastrine. La prima iniezione verrà praticata 12 ore prima dell’intervento. La durata del trattamento coinciderà con quella della persistenza del rischio tromboembolico, e in generale per la durata del trattamento con il fissatore esterno. Profilassi antibiotica La profilassi antibiotica deve essere eseguita non più di 30 minuti prima dell’incisione cutanea. L’antibiotico deve essere somministrato a dosaggio pieno; la somministrazione per via endovenosa risulta essere il metodo più affidabile ai fini del raggiungimento e mantenimento di una concentrazione efficace del farmaco sia a livello ematico sia a livello dei tessuti sede di intervento. La profilassi antibiotica deve essere limitata al periodo peri-operatorio. Riguardo alla scelta del farmaco, l’antibiotico deve essere attivo contro i più probabili microrganismi causa di infezione postoperatoria, e deve assicurare adeguate concentrazioni seriche e tissutali. Le cefalosporine di I e II generazione, sono gli antibiotici che maggiormente rispondono a questi requisiti, e pertanto il loro impiego è fortemente raccomandato in tutti gli studi clinici controllati condotti nel settore.

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Posizionamento del paziente sul tavolo operatorio Il paziente viene posizionato in posizione supina su un tavolo operatorio radiotrasparente che consenta l’uso dell’amplificatore di brillanza. I vari tipi di sostegni per l’arto inferiore da trattare proposti durante gli anni si sono dimostrati di scarsa utilità pratica. Sono invece importanti due tipi di accorgimenti: la sistemazione di un sostegno morbido sotto la regione glutea del lato da trattare per contrastare la tendenza alla extrarotazione e il sollevamento di alcuni centimetri dell’arto dal piano operatorio per mezzo di semplici teli piegati opportunamente e facilmente spostabili durante l’intervento. Uso del “tourniquet” chirurgico Il “tourniquet” può essere posizionato alla radice della coscia, ma non gonfiato, per evitare il rischio di non riconoscere immediatamente una eventuale lesione vascolare provocata dall’applicazione di un elemento di presa (filo o vite), e poiché un adeguato flusso sanguigno favorisce un abbassamento della temperatura degli elementi di presa stessi durante l’attraversamento dell’osso e dei tessuti molli. Anestesia La scelta dell’anestesia e e la tecnica anestesiologica devono tenere in considerazione alcuni aspetti tipici di questa particolare chirurgia ortopedica: la componente algogena e reflessogena, la stabilità della narcosi, il controllo del sanguinamento, la fase del risveglio (che deve essere caratterizzata da un rapido recupero della coscienza al fine di consentire un tempestivo controllo della motilità), la analgesia postoperatoria. La scelta tra anestesia generale e loco-regionale deve scaturire da una corretta analisi delle condizione dell’operando, del tipo e della sede dell’intervento, della posizione intraoperatoria e, entro certi limiti, delle preferenze dell’operatore e del paziente. Si ritiene oggi utile l’uso di tecniche combinate (anestesia integrata o “blended”) che consentono di sfruttare il meglio di ambedue i procedimenti anestesiologici. Il posizionamento di catetere peridurale permette dopo l’intervento di somministrare ancora farmaci per eliminare o ridurre al minimo il dolore dovuto all'intervento chirurgico, provvedendo a un miglior comfort per il paziente ed a una precoce riabilitazione motoria. Uso dell’intensificatore d’immagine L’intensificatore di brillanza consente di valutare il posizionamento delle viti e dei fili transossei, il livello di osteotomia tibiale e peroneale e la loro corretta esecuzione. Preparazione dei chirurghi La preparazione dei chirurghi deve essere evidentemente accurata come in ogni altro intervento, con una ulteriore precauzione, legata alla pericolosità della punta dei fili transossei: devono essere

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obbligatoriamente indossate almeno 2 paia di guanti (che dovrebbero essere cambiati almeno ogni 25 minuti) per ridurre drasticamente il rischio di traumi accidentali alle mani e di contaminazione durante l’applicazione dell’apparecchio. Campo operatorio Il campo operatorio deve essere ampio e comprendere la maggior parte dell’arto inferiore, soprattutto per avere sempre sotto il controllo della vista l’asse dell’arto e le sue deviazioni. Inoltre il campo deve essere preparato nella maniera più semplice possibile, per consentire al chirurgo il più comodo accesso da ogni posizione all’.arto: non si deve dimenticare infatti che durante le varie fasi del montaggio il chirurgo deve spostarsi frequentemente sui due lati dell’arto, per avere a disposizione sempre il punto di accesso più comodo e più sicuro. Reperi I punti e le linee di repere tracciati con precisione sulla cute con la matita dermografica prima dell’inizio dell’intervento, con l’aiuto dell’amplificatore di brillanza, permettono di ridurre notevolmente la durata totale dell’esposizione alle radiazioni. I punti e linee di repere devono essere tracciati dopo la preparazione del campo e la definitiva sistemazione dell’arto, per essere sicuri di indicare con precisione i livelli del ginocchio e della caviglia e il livello della deformità. Intervento propriamente detto Non sempre il montaggio che impiega il minor numero di fili o viti è il migliore: una attenzione particolare va riservata infatti alla stabilità, che, se insufficiente, si traduce in notevole disagio per il paziente oltre che in rischio di fallimento del trattamento. Il ricorso al controllo radioscopico può essere notevolmente ridotto grazie ad una accurata preparazione e a una buona padronanza delle tecniche di correzione delle deformità. In alcuni casi l’impiego della radiologia può essere limitato al controllo finale dopo l’intervento. Alcune interessanti osservazioni, basate su ricerche anatomiche e di diagnostica per immagini, sono state recentemente presentate sull’.impiego degli elementi di presa a livello tibiale in vicinanza delle articolazioni del ginocchio e della caviglia. In base a questi studi, gli elementi di presa non dovrebbero essere infissi a meno di 15 mm dall’articolazione del ginocchio e a meno di 10 cm dall’articolazione della caviglia, per avere la sicurezza di una infissione extracapsulare. I fissatori esterni esercitano la loro azione sull’osso, tuttavia un aspetto dell’impiego della fissazione esterna spesso ingiustamente trascurato, ma di importanza fondamentale, è costituito dal problema del rispetto, durante l’applicazione dell’apparecchio, delle parti molli. Non ci si riferisce qui alle parti molli cosiddette nobili (vasi e nervi), che devono essere evidentemente rispettate, ma alla cute, al sottocute, alle fasce, ai muscoli e ai tendini, ai quali si

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deve riservare la massima cura, sotto pena di continui fastidi per il paziente e conseguente necessità di aumentare la frequenza dei controlli. In particolare deve essere evitata la tensione dei tessuti molli, provocata dagli elementi di presa, sia in senso longitudinale che in senso trasversale. Nel primo caso, oltre al dolore sia a riposo che ai movimenti, può essere favorita la formazione di un’area di infiammazione o di necrosi (che aumenta i disturbi per il paziente) e viene notevolmente ostacolata la normale funzione muscolare. Nella seconda eventualità (che si verifica più spesso con l’uso dei fili, quando non viene prestata la necessaria attenzione a evitare forzature e torsioni nella fissazione dei fili stessi sugli anelli) ai disturbi precedenti si aggiungono quelli causati da una più o meno grave alterazione del normale ritorno venoso o linfatico, con conseguente edema e infiammazione locale. E’ evidente che possono verificarsi anche tutte le forme intermedie e combinate fra la tensione in senso longitudinale e trasversale, con ogni possibile associazione fra le conseguenti lesioni. Un altro aspetto particolarmente importante è quello della prevenzione della rigidità articolare post-operatoria. La regola fondamentale da seguire per la prevenzione è il mantenimento del corretto atteggiamento dell’articolazione durante l’.infissione degli elementi di presa (in particolare i fili transossei) in prossimità dell’.articolazione stessa. E’ necessario infatti che essi attraversino i muscoli flessori ad articolazione estesa e gli estensori ad articolazione flessa.

Osteotomia peroneale

L’osteotomia peroneale è un gesto che viene associato all’osteotomia tibiale nelle correzioni angolari. Poiché in tali correzioni la consolidazione tibiale occorre in tempi relativamente prevedibili, difficilmente si ricorre ad interventi di resezione peroneale, tesi a ritardare od impedire la consolidazione del perone e utilizzati in qualche caso nel trattamento dei ritardi di consolidazione e delle pseudoartrosi.

Circa la sede dell’osteotomia peroneale, questa non necessariamente deve occorrere a livello di quella tibiale: solitamente, vista la più agevole aggressione chirurgica, viene effettuata al terzo distale del perone, a una distanza dalla sindesmosi peroneo tibiale distale di almeno 8-10 cm.

Occorre ricordare tuttavia che, in caso di osteotomia tibiale prossimale, la traslazione dei frammenti di una osteotomia peroneale distale può essere considerevole, con inestetica e fastidiosa prominenza di un estremo osteotomico.

L’osteotomia peroneale viene effettuata su un piano obliquo: va ricordato che la direzione della stessa non è indifferente nelle correzione dei vizi di rotazione: per la correzione di una extratorsione tibiale, l’obliquità dovrà essere in senso prossimale-distale e in senso anteriore-posteriore, viceversa per la correzione di una intratorsione tibiale l’obliquità dovrà essere da posteriore ad

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anteriore : questo perché diversamente il movimento rotatorio porrebbe in compressione la sede di osteotomia che diverrebbe ostacolo alla correzione.

Negli interventi in cui l’osteotomia peroneale è posta in distrazione, o in tutti i casi in cui è necessaria la correzione di una deformità angolare accentuata, è opportuno procedere alla stabilizzazione delle sindesmosi prossimale e distale con filo o mediante vite, al fine di evitare dislocazioni delle stesse.

In merito alla tecnica chirurgica, va sottolineato che l’osteotomia peroneale va eseguita con una protezione adeguata delle parti molli, poiché diversamente può essere complicata da importante sanguinamento da vasi arteriosi o venosi interossei.

Nel caso in cui il sanguinamento si verifichi, l’emostasi può essere difficile: in tali casi tuttavia un tamponamento con garza emostatica dello spazio interosseo è generalmente risolutivo. E’ opportuno in queste situazioni rimandare la sutura dei piani fasciale e cutaneo al termine dell’intervento, onde verificare l’efficacia del tamponamento medesimo.

Applicazione del Taylor Spatial Frame

Sono stati descritti vari metodi di applicazione del TSF: il più consigliabile è il cosiddetto “Rings First Method of Deformity Correction”, che prevede dapprima l’applicazione dei due anelli a ciascuno dei due frammenti, e successivamente il collegamento delle aste oblique agli anelli stessi.

Tale metodo ha il vantaggio di presentare una notevole semplicità e di consentire un’applicazione degli anelli con maggiore rispetto dei tessuti molli.

a) Scelta degli anelli La scelta degli anelli segue i criteri generali della fissazione circolare: il diametro interno dell’anello dovrà mantenersi ad almeno 2 cm dalla superficie cutanea. Gli anelli del sistema TSF hanno disponibilità di misure più limitata rispetto al sistema Ilizarov e quindi, in genere, la distanza di sicurezza dal piano cutaneo sarà modestamente superiore, essendo preferibile l’approssimazione per eccesso.

Non necessariamente gli anelli TSF devono avere identico diametro, essendo il software predisposto a calcolare accoppiamenti di anelli di diametro differente. Tuttavia, in genere, le condizioni che richiedono l’accoppiamento di anelli diversi sono infrequenti.

Il montaggio può essere esteso distalmente e prossimalmente connettendolo ad anelli TSF o ad anelli Ilizarov tradizionali, acquisendo così una migliore stabilità.

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Nella gamba l’anello TSF 2/3 può essere utilizzato prossimalmente, al fine di consentire una flessione del ginocchio superiore ai 100°: va ricordato che il numero di tabs presenti su tale tipo di anello aperto è solo di 3.

b) Regole generali Nell’esecuzione dell’intervento, alcune regole generali della fissazione circolare devono essere sempre tenute in conto per ottenere i migliori risultati possibili.

Gli elementi di presa non dovrebbero essere infissi a meno di 15 mm dall’articolazione del ginocchio e a meno di 10 cm dall’articolazione della caviglia, per avere la sicurezza di una infissione extracapsulare.

Deve essere evitata la tensione dei tessuti molli, provocata dagli elementi di presa, sia in senso longitudinale che in senso trasversale.

Se è previsto un allungamento del segmento tibiale, è sempre buona norma creare una “riserva” di tessuti molli tra i due anelli del fissatore, allo scopo di ridurre, per quanto possibile, fastidiose o pericolose tensioni a livello dei tessuti molli stessi.

c) Allineamento metafisi e diafisi: reperi clinici e radiografici Si decide innanzitutto quale fra i due frammenti è designato “reference fragment”, cosicchè l’anello fissato ad esso viene indicato come “reference ring”.

L’applicazione del TSF inizia con il posizionamento del solo “reference ring”, ortogonalmente sui piani coronale e sagittale al segmento diafisario tibiale prospiciente . A causa della morfologia della metafisi prossimale della tibia, ove l’anello venga posto a tale livello, la perpendicolarità viene riferita al prolungamento dell’ asse diafisario tibiale prospiciente.

Si può procedere posizionando un filo transosseo ortogonale all’asse diafisario adiacente e collegandolo all’anello prescelto (con master tab in posizione anteriore), avendo cura che il filo giaccia da ambo i lati sulla stessa faccia dell’anello e che il centro del mastertab si collochi anteriormente sull’asse diafisario tibiale.

Si ottiene quindi un’immagine ampliscopica latero- laterale e si ruota l’anello sul filo sino a che un secondo filo, connesso all’anello anteriormente, intersechi la diafisi a 90°. A questo punto possono essere posizionate 2 viti di presa ossea, che vengono connesse all’anello.

Un approccio alternativo prevede il posizionamento di una vite, che viene connessa all’anello con un sistema di bloccaggio che permetta l’angolazione della stessa rispetto all’anello: a questo punto sotto controllo ampliscopico si può posizionare l’anello ortogonalmente alla diafisi.

Poiché tuttavia tali sistemi di connessione angolare della vite agiscono generalmente su un solo piano, è necessario, utilizzando questo metodo, che la vite si trovi su di un piano rigorosamente

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coronale o sagittale e che l’ortogonalità dell’anello nel piano di riferimento che si trova a 90° rispetto a quello della vite sia altrettanto certa, altrimenti l’anello verrebbe necessariamente a trovarsi su un piano obliquo.

d) Scelta e posizionamento degli elementi di presa Gli elementi di presa del TSF, come nella fissazione circolare in genere, sono viti e fili. E’ possibile configurare il sistema utilizzando le sole viti, mentre un impiego esclusivo di fili, specie a livello prossimale, comporterebbe un rischio di aumentata elasticità del sistema, ancor più accentuata nel caso il montaggio comporti l’impiego di soli 2 anelli TSF.

Il montaggio con 2 soli anelli, anche nella fissazione con viti, va tuttavia considerato potenzialmente instabile se le viti giacciono su piani contigui agli anelli medesimi: è preferibile, volendo utilizzare tale configurazione, estendere la fissazione prossimalmente e distalmente per quanto è possibile con l’ausilio di viti supplementari fissate su Rancho cubes. In tal modo si neutralizzano efficacemente le forze che agiscono sull’anello TSF.

Nel caso in cui le viti vengano poste all’interno del sistema TSF, va sempre considerata l’evoluzione temporale della collocazione spaziale delle aste oblique durante il periodo di correzione, al fine di evitare il venire a collidere delle aste stesse con gli elementi di presa.

Un piano di riferimento per il posizionamento delle viti può essere quello ortogonale alla faccia anteromediale della tibia, per il posizionamento dei fili un piano parallelo alla faccia anteromediale della tibia e ad essa posteriore di circa 5 mm.

Nell’arto inferiore è consigliabile utilizzare viti non inferiori a 5 mm di diametro, preferibilmente di 6 mm. Un rivestimento in Idrossiapatite (HA) garantisce solitamente l’intima adesione all’osso dell’elemento di presa, prevenendo efficacemente la mobilizzazione.

e) Scelta e posizionamento delle aste telescopiche

Scelte le aste di opportuna misura, in previsione anche delle graduali modifi che che dovranno

essere eseguite successivamente, le aste vengono fi ssate a livello delle tabs.

Le 6 aste sono applicate in senso antiorario partendo dal master tab dell’ anello di riferimento a cui

vengono collegate la n. 1 e n. 2. La regola va osservata per entrambi gli arti destro e sinistro.

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Osteotomia tibiale

I – Sede

Indipendentemente dal mezzo di sintesi utilizzato nella correzione della deformità, da un punto di vista biomeccanico la sede ideale per l’osteotomia è il piano sulla linea dei CORA.

La scelta del livello e del tipo di osteotomia è determinata tuttavia non solo dalla geometria della deformità, ma anche dall’anatomia (vicinanza alle epifisi o alle inserzioni di legamenti e tendini) e dalle condizioni locali nelle deformità post-traumatiche. In questi ultimi casi oltre al quadro cutaneo ed ai pregressi accessi chirurgici occorre valutare con attenzione la qualità dell’osso in sede di deformità ed il tipo anatomo-patologico della deformità (esiti infezioni o pseudoartrosi più o meno serrata).

Se si decide di eseguire l’osteotomia a un livello diverso da quello del CORA, bisogna ricordare che sempre risulterà, a fine correzione, una deformità secondaria. Nella maggior parte dei casi questa deformità non è clinicamente rilevante, ma deve essere prevista e considerata nella pianificazione della correzione.

II – Metodo

La sezione dell’osso può essere eseguita con sega di Gigli o con osteotomi. In base alla tecnica utilizzata dovrà essere eseguita un’incisione mirata a livello della sede scelta per l’osteotomia.

La tecnica con la sega di Gigli permette di avere normalmente una linea osteotomica più netta a scapito di un doppio accesso chirurgico, un maggiore scollamento periostale ed una maggiore probabilità di lesionare il ponte cutaneo, oltre ad un maggior rischio di danni vascolari.

La tecnica con osteotomi prevede:

- prendere nota della lunghezza di ogni singola asta telescopica (per poter ripristinare al termine dell’osteotomia la precedente deformità)

- derigidificazione dell’impianto agendo sulle aste telescopiche - incisione cutanea e accesso mirato previo repere ampliscopico preferibilmente circa 5mm

laterale alla cresta tibiale - incisione del periostio e scollamento mirato - perforazione con punta 3.2mm - 3.8mm perpendicolare all’asse diafisario - utilizzo di osteotomo di 5mm - 10mm per indebolire ulteriormente la corticale diafisaria

mediale e laterale sino al margine posterolaterale e al margine posteromediale - completamento manuale dell’osteotomia con rotazione dei moduli prossimale e distale in

direzione opposta (prossimale in varo e distale in valgo) o con manovra di valgizzazione del frammento distale

- bloccaggio delle aste telescopiche nella posizione iniziale o in lieve compressione - sutura cutanea dopo aver valutato il sanguinamento, che normalmente è modesto

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Gestione post-operatoria Completamento dei dati e loro inserimento nel software

Frame parameters

Si registrano i 3 tipi di dati riguardanti il fissatore TSF da immettere nel software: tipo e diametro interno dell’anello prossimale, tipo e diametro interno dell’anello distale, tipo e lunghezza delle aste oblique.

Mounting parameters

L’esame radiografico, eseguito con opportuni accorgimenti dopo l’applicazione del fissatore, consente di eseguire le 4 misurazioni relative al rapporto fissatore-osso (cosiddetti “Mounting parameters”).

Tali misurazioni possono essere eseguite anche su radiogrammi eseguiti intraoperatoriamente, ma è sicuramente più agevole basarsi su un accurato esame Rx post-operatorio in scala 1:1. Queste misurazioni informano il computer della posizione dell’anello di riferimento (reference ring) rispetto all’origine.

Al momento dell’esame Rx, per un perfetto orientamento dell’arto da valutare è utile avvalersi di semplici accorgimenti che consentano con sicurezza l’esecuzione di esami Rx in proiezione perfettamente anteroposteriore e perfettamente laterale.

Per questo scopo, un tipo di accorgimento molto semplice consiste nell’applicare componenti del sistema (ad esempio i Rancho cubes a 2 o 3 fori) in posizione esattamente anteriore e posteriore ed esattamente laterale e mediale sull’anello di riferimento. L’esame Rx in proiezione AP sarà perfetto se si osservano i due cubes anteriore e posteriore sovrapposti; l’esame Rx in proiezione laterale sarà perfetto se si osservano i due cubes laterale e mediale sovrapposti.

In sintesi, sui due esami Rx perfettamente eseguiti si misura accuratamente in mm la posizione del centro dell’anello di riferimento rispetto all’ “origin” in proiezione frontale, in proiezione laterale, in proiezione assiale. Infine si valuta clinicamente la rotazione del piano sagittale del “reference ring” rispetto al piano sagittale del “reference fragment” (Fig. 18, Fig. 19, Fig. 20).

I 4 valori che devono essere forniti al software sono definiti come: AP view frame offset, Lateral view frame offset, Axial frame offset, Rotary frame angle.

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Fig. 18. Axial frame offset

Fig. 19. AP view e lateral view frame offset.

REF REF

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Fig. 20. Rotary frame offset.

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Strutture a rischio

Il “ritmo” di correzione può essere stabilito arbitrariamente o tenendo presente un ulteriore elemento (“struttura a rischio”, structure at risk, S.A.R.), che viene indicato al programma in termini di distanza dall’origine sul piano anteroposteriore e sul piano laterale.

L’indicazione della posizione della struttura a rischio ha lo scopo di proteggere i tessuti molli durante la correzione graduale. Può trattarsi ad esempio di una struttura “nobile” come un vaso o un nervo, oppure più in generale dei tessuti molli che non devono essere sottoposti a trazione eccessiva o troppo rapida.

Inserimento dei dati

Si immettono nel software online i tredici dati che definiscono il fissatore, la deformità tra i due frammenti ossei e la posizione del fissatore rispetto al segmento scheletrico di riferimento (reference fragment). Usando complesse formule matematiche il software calcola la lunghezza alla quale deve essere portata ognuna delle 6 aste per ottenere la correzione desiderata.

Come già sottolineato nella parte introduttiva, per ottenere la correzione della deformità viene attualmente utilizzato il Total residual deformity program.

Nella prima delle sette schermate del software (CASE INFO – Fig. 21) vengono inserite le informazioni riguardanti il caso clinico ed il segmento scheletrico interessato.

Nella seconda schermata (DEFORMITY – Fig. 22) vengono inseriti i 6 parametri relativi allo studio della deformità. Inoltre in questa pagina è possibile richiedere al software di eseguire inizialmente la correzione assiale della deformità. Caso clinico (Fig. 22a).

Nella terza schermata (FRAME – Fig. 23) sono inseriti i 3 tipi di dati riguardanti lo “scheletro” del fissatore usato: tipologia di anelli e di aste telescopiche.

In una quarta schermata (MOUNT – Fig. 24) vengono inseriti i 4 tipi di dati relativi ai rapporti fra il fissatore e l’osso.

Nella quinta schermata (STRUT SETTINGS – Fig. 25) vengono inseriti i valori iniziali, e calcolati quelli finali, della lunghezza delle sei aste telescopiche. Caso clinico (Fig. 25a).

Una sesta schermata (DURATION/SAR – Fig. 26) è usata per decidere la durata del tempo di correzione in rapporto ad eventuali strutture (nervi, vasi, cute ed osso) da proteggere durante la fase di correzione della deformità.

Nella settima ed ultima schermata (PRESCRIPTION – Fig. 27), sulla base di questo complesso di informazioni, il software genera una scheda di correzione graduale della deformità indicando anche, sulla base delle istruzioni ricevute, il numero di giorni necessari per completare la correzione, e, di conseguenza, l’entità della modifica da apportare quotidianamente a ciascuna delle 6 aste oblique. Caso clinico: la situazione finale (Fig. 27a).

La funzione “NEW TOTAL RESIDUAL”, riportata nella settima schermata, consente di eseguire agevolmente in qualsiasi giorno del programma di correzione di una deformità un nuovo calcolo

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per la correzione di deformità residue. Con questa procedura vengono salvati tutti i dati precedentemente inseriti e viene richiesto solo l’inserimento dei valori della nuova deformità e della durata desiderata della correzione.

Fig. 2 . Schermata software CASE INFO 1

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Fig. 22. Schermata software DEFORMITY

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Fig. 22a. Paziente di 41 anni, fumatore. Quadro Rx di esiti di frattura distale di tibia (43C33, Gustilo IIIB) riportata 2 anni prima e trattata con osteosintesi bifocale di compressione-distrazione. L’esame Rx mostra consolidazione con deformità in valgismo di 20 gradi ed ipometria di 1 cm.

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Fig. 23. Schermata software FRAME

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Fig. 24. Schermata software MOUNT

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Fig. 25. Schermata software STRUT SETTING

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Fig. 25a. Esame Rx post-operatorio: applicazione di Taylor Spatial Frame e osteotomia tibiale eseguita con sega di Gigli.

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Fig. 26. Schermata software DURATION/SAR

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Fig. 27. Schermata software PRESCRIPTION

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Fig. 27a. Al controllo clinico radiografico a 18 mesi: guarigione ossea con totale recupero funzionale. Tempo di trattamento con il fissatore: 180 giorni.

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Timing (inizio e durata della correzione)

Il periodo di attesa prima di iniziare la correzione della deformità è generalmente di sette - dieci giorni e dipende dalle variabili individuali del paziente e dalla tecnica usata per la osteotomia. La velocita di distrazione varia da 0.5 ad 1 mm per giorno e dipende: dall’entità della correzione da eseguire, dalle condizioni anatomico-funzionali del segmento osseo, dall’ età del paziente.

Gestione del paziente nel periodo post-operatorio

Prima dello spostamento del paziente dal tavolo operatorio deve essere eseguita una medicazione leggera a livello dei punti di passaggio degli elementi di presa e della o delle ferite operatorie. Solo nei casi in cui è necessaria una compressione a livello della ferita operatoria, si applica un bendaggio compressivo, preferibilmente nella forma “ad amaca”, prendendo appoggio su componenti del montaggio.

La registrazione dell’intervento in cartella clinica non deve essere troppo succinta, soprattutto in caso di montaggi complessi, e tutti i dati relativi agli elementi di presa utilizzati (tipo, numero, sede, direzione) devono essere indicati. E’ consigliabile riservare una parte della scheda di registrazione a un disegno, anche schematico, della configurazione utilizzata.

Il programma postoperatorio vero e proprio inizia già con la sistemazione del paziente nel letto di reparto. La sistemazione deve essere comoda e funzionale: si utilizzano cuscini morbidi per sopraelevare leggermente l’arto e proteggere ed evitare disturbi alle altre parti del corpo. Con altri cuscini opportunamente modellati o con semplici tutori a soletta si mantengono il piede e la caviglia in atteggiamento corretto e si crea un appoggio confortevole per la piante del piede, evitando atteggiamenti in equinismo che diventano rapidamente difficili da correggere.

Follow-up

Medicazioni

La medicazione va eseguita, nel post-operatorio, a due giorni dall’intervento chirurgico e viene successivamente ripetuta a frequenza settimanale, salvo esigenze particolari.

In particolare la cute che circonda il punto d’uscita dei fili di Kirschner e delle viti deve essere mantenuta pulita al fine di evitare la crescita di batteri.

I componenti del fissatore devono essere detersi con soluzione fisiologica al fine di eliminare coaguli di sangue e polvere. Una volta che le ferite chirurgiche si sono completamente cicatrizzate e in ogni modo a distanza di almeno un mese dall’intervento, è concesso fare la doccia.

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La procedura di medicazione comprende i seguenti passaggi:

� rimozione delle garze sporche attorno ai fili e alle viti, dopo averle imbibite se necessario con soluzione fisiologica, e allontanamento dei dispositivi di mantenimento in sede delle garze, se presenti.

� Rimozione con garze sterili imbibite con soluzione fisiologica di secrezioni adese ai fili e alle viti, usando preferibilmente una o due garze per ogni livello. I tramiti cutanei con segni di flogosi o secernenti devono essere puliti per ultimi.

� la seconda fase prevede la disinfezione dei tramiti con particolare attenzione alla presenza di zone con secrezione sierosa o materiale corpuscolato flogistico. In presenza di abbondante secrezione, è consigliabile innanzitutto eseguire un tampone per esame colturale e antibiogramma. Può essere talvolta indicato l’uso di terapia antibiotica locale o generale nei casi resistenti ai trattamenti locali sopradescritti.

� Si possono seguire a questo punto diverse strade: medicazione a pressione del punto di uscita dalla cute delle viti con garze sterili arrotolate e fissate con cerotto a nastro; medicazione con garze sterili, in cui si esegue un taglio che rende agile il loro posizionamento,dei punti di uscita dei fili trans ossei, bloccandole con i dispositivi di mantenimento in sede; assenza di qualsiasi tipo di medicazione nei punti di uscita dei fili o delle viti (cosiddetto “nihilistic approach”).

Valutazione clinica e radiografica

La valutazione clinica è strettamente dipendente dal programma software mediante il quale si sono programmate le correzioni.

La tempistica delle valutazioni è innanzitutto condizionata dalla scheda che indica con precisione i momenti di sostituzione delle aste, quando queste raggiungono il limite massimo di estensione o di compressione.

I controlli radiografici si rendono necessari per verificare le modificazioni progressive dei rapporti tra i frammenti ossei.

Al controllo radiografico eseguito nel post-operatorio seguirà quello ravvicinato nel tempo durante le manovre correttive. Al termine di queste la cadenza mensile per verificare la progressione del callo o del rigenerato è la regola.

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Complicanze

Rare ma possibili le complicazioni intraoperatorie, sono invece frequenti quelle postoperatorie. Le complicazioni intraoperatorie consistono in lesioni vascolari o nervose, per trauma diretto durante l'inserimento dei fili metallici o delle viti o durante l’osteotomia. Queste complicanze sono inversamente proporzionali alla esperienza del chirurgo, ma possono essere anche conseguenza di particolari situazioni anatomiche locali.

Il non corretto posizionamento dell’anello di riferimento (non ortogonale al frammento osseo nelle due proiezioni radiografiche) condiziona una maggiore difficoltà di rilevazione dei dati necessari alle procedure computerizzate e al risultato di correzione.

Rara la rottura dei fili di Kirschner o ancor più delle viti.

Complicanza legata alla procedura meccanica è l’instaurarsi di scomposizioni secondarie dovute a fattori intrinseci, quali anomale resistenze dei frammenti ossei o elevata tensione delle formazioni muscolo-scheletriche, e a fattori estrinseci, per errori nell’inserimento dei dati inseriti nel software del sistema.

Durante il periodo di correzione, le infezioni cutanee sono piuttosto frequenti. Si tratta nella maggior parte dei casi di situazioni di flogosi locale tenute sotto controllo da medicazioni locali o, quando si manifestano segni di infezione più profonda, da terapia antibiotica locale o generale.

E’ possibile la mobilizzazione delle viti per fenomeni di osteolisi. Le viti con rivestimento in idrossiapatite consentono una fissazione più stabile da parte dell’osso riducendo i micromovimenti e possono avere efficacia nel ridurre il rischio di infezione.

Possono osservarsi la comparsa di cicatrici retraenti, e, piuttosto raramente, la comparsa di rigidità articolare di ginocchio e tibiotarsica

Programma riabilitativo

Il paziente dovrebbe seguire un preciso programma riabilitativo, che può essere diviso in due fasi: fase pre-operatoria e post operatoria.

In fase preoperatoria la riabilitazione serve per predisporre al meglio lo stato articolare e muscolare, agendo sul tonotrofismo e preparando gli elementi dell’apparato locomotore che sono direttamente interessati dal trattamento stesso.

Ulteriore scopo della riabilitazione, nei casi in cui è presenta una dismetria da trattare con allungamento, è quello di migliorare eventuali atteggiamenti viziati originati dalle differenti tensioni

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muscolari. In questa prima fase si insiste particolarmente sullo stretching muscolare, tecnica che permette di preparare i muscoli alle modificazioni anatomiche conseguenti all’allungamento degli arti.

E’ necessario anche valutare la postura del paziente, pianificando un adeguato protocollo riabilitativo individuale in rapporto alla tipologia dell’intervento chirurgico.

In questa fase si ricerca inoltre il rinforzo muscolare isocinetico, ovvero la contrazione a velocità costante per tutto l’arco del movimento così da avere è una contrazione massimale per tutta l’escursione articolare.

In fase post-operatoria immediata è importante la ginnastica circolatoria, favorente sia il circolo ematico che quello linfatico, per prevenire eventuali complicanze flebotrombotiche. La postura sollevata degli arti operati nei periodi di riposo a letto e i massaggi di drenaggio sono indicati. I piedi obbligatoriamente vengono mantenuti a 90° con bende elastiche e scarpe con elastici in gomma.

Se le condizioni lo permettono, si eseguono anche esercizi di stretching, di minore intensità rispetto alla fase preoperatoria, che favoriscono lo scorrimento dei piani articolari e degli elementi aponeurotici e tendinei. Per permettere un corretto ed efficace allungamento dei tessuti molli nei primi giorni post-intervento è necessario controllare il dolore attraverso una adeguata terapia farmacologica analgesica da assumere prima della seduta di fisioterapia. Ciò assicura una adeguata mobilizzazione del paziente e diminuisce il rischio di contratture e posture antalgiche scorrette.

Dopo aver acquisito una certa sicurezza nei movimenti si passa agli esercizi deambulatori con girello, bastoni canadesi, un solo bastone e infine andatura libera.

Il carico, dapprima parziale e successivamente totale, ha un effetto certamente positivo sulla capacità delle parti molli di adeguarsi alle modificazioni del’osso, oltre ad incentivare l’osteogenesi e la circolazione venosa e linfatica. Vengono così diminuiti gli edemi e le complicanze a carico del circolo, le ipotrofie muscolari.

Durante la fase di correzione e, a maggior ragione dopo la rimozione dei fissatori, devono essere eseguiti costantemente e in modo progressivo esercizi di stretching. Alla rimozione del fissatore è necessario valutare eventuali limitazioni articolari residue e ricercare il ripristino totale dell’articolarità e, per quanto possibile, del tono-trofismo muscolare.

Il perfezionamento del passo avverrà attraverso il ricorso a tecniche di stretching muscolare con recupero totale della sicurezza al passo.

Successivamente si cercherà di promuovere il totale inserimento alle normali attività della vita quotidiana, incluse le attività sportive non agonistiche consone all’età.

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Rimozione del Taylor Spatial Frame

La rimozione del fissatore, che viene effettuata al termine dei processi di consolidazione del callo o del rigenerato osseo, è una procedura semplice che tuttavia deve rispettare alcuni passaggi precisi.

Si procede innanzitutto alla pulizia dell’apparato con soluzione saponosa prima dell’ingresso in sala operatoria.

La procedura richiede, da un punto di vista anestesiologico, una sedazione o una anestesia loco-regionale.

Si esegue innanzitutto un allentamento del fissaggio delle aste per confermare la stabilità del callo o del rigenerato osseo sotto controllo dell’apparecchio amplificatore di brillanza.

Previa accurata disinfezione dei punti di uscita dei fili e delle viti, si rimuovono le aste e si procede a scollegare il telaio esterno dagli elementi di presa.

Con tronchese si recidono i fili, che vengono successivamente sfilati con pinza da meccanico (facendo attenzione alla eventuale presenza di “olive”); le viti vengono svitate con apposito strumentario; si rimuovono gli anelli.

Si esegue successivamente la medicazione dei tramiti cutanei, la medicazione compressiva e il bendaggio con cotone e benda elastica.

La confezione di apparecchio gessato di protezione non è necessaria se non in casi eccezionali.

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Bibliografia

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Paley D: Principles of deformity correction. Springer, Berlin, ed 2005.

Taylor JC: Correction of general deformity with the Taylor Spatial Frame Fixator. www.jcharlestaylor.com, 2002.

Taylor JC: Treatment of tibial malunions: characterization by a graphical method. www.jcharlestaylor.com. 2011.

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