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TUTTI I DIRITTI RISERVATI

Vietata la riproduzione anche parziale

Avviso agli esaminati

Invia alla redazione Esselibri CountDown (Via F. Russo, n. 33/D - Napoli)oppure via e-mail all’indirizzo [email protected] le domande più origi-nali o complesse del tuo esame, anche corredate della tua risposta.I migliori suggerimenti saranno pubblicati.

Ideazione, organizzazione della collana a curadel dott. Federico del Giudice (docente universitario)

Revisione del testo a cura del dott. Rocco Pezzano

Hanno redatto il volumele dott.sse Elena De Gregorio e Valeria Parlato

Tutti i diritti di sfruttamento economico dell’opera appartengono alla Esselibri S.p.A.(art. 64, D.Lgs. 10-2-2005, n. 30)

Finito di stampare nel mese di maggio 2009dalla «Legoprint Campania s.r.l.» - Via Vicinale Murate, 1/B - Napoli

per conto della ESSELIBRI S.p.A. - Via F. Russo, 33/D - 80123 Napoli

Grafica di copertina a cura di Giuseppe Ragno

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PREMESSA

Hai letto il manuale?Lo hai ripassato?Hai appreso i concetti fondamentali?Bene … adesso comincia la fase più difficile: quella di attrezzarti al me-glio per rispondere alle domande d’esame.Sappi che il docente, che ha una visione completa della disciplina, in seded’esame si aspetta che il candidato, più che esporre mnemonicamente il sin-golo istituto, ne individui la ratio, i principi di base, i collegamenti con altriistituti, operazione non semplice da compiere da parte dell’esaminando.Ma c’è chi lo fa per te!Chi utilizza CountDown ha l’opportunità di «rileggere», scorrendo le do-mande da noi proposte, i concetti appresi nella dimensione statica del testoistituzionale e di rielaborarli sotto l’aspetto dinamico del ragionamento,della riflessione e del giudizio.CountDown, in sostanza, costituisce un valore aggiunto al manuale, permigliorare la preparazione affiancando alla conoscenza istituzionale deldiritto penale un’approfondita analisi delle evoluzioni giurisprudenziali.Ecco lo scopo del volume!CountDown, dunque, non si limita a proporre le domande più «gettonate»,ma aiuta a ragionare e discettare sui singoli argomenti sia di parte generaleche speciale, proponendo i corretti collegamenti tra gli istituti generali (dolo,colpa, preterintenzione, esimenti etc.) e le singole f igure di reato per unapreparazione che tenga conto della materia nel suo complesso.La struttura del volume è la seguente: ad una prima domanda di più am-pio respiro (corredata di un percorso guidato in cui sono indicati i riferi-menti normativi e i passaggi salienti per articolare la risposta) seguonodomande di approfondimento e/o collegamento che consentono di am-pliare il discorso e, soprattutto, con la padronanza acquisita della materia econ un po’ di machiavellica astuzia, indirizzare l’esame sugli argomentisui quali si sente sicuramente preparato.In bocca al lupo con Count Down!

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Vol. E3/A • Codice penale esplicato minorpp. 848 • € 13,00

I codici esplicati minor sono corredati, per i principali articoli, di un essen-ziale commento per conseguire un duplice obiettivo: consentire al lettore, at-traverso una spiegazione semplificata, un approccio immediato e diretto aldato normativo; mettere in evidenza l’essenza della norma contenuta nell’arti-colo per cogliere nessi e collegamenti con le altre disposizioni.Questi originali sussidi, arricchiti di una serie di schemi a lettura guidatarelativi ai principali istituti, mediano tra la trattazione manualistica (di taglioteorico ed avulso dal contesto normativo) e l’arida sequenza codicistica, pocodidattica, specialistica e non sempre d’immediata comprensione.

I codici esplicati minor si rivelano, così, particolarmente utili sia come prontuari d’udienza che comestrumenti di primo commento ad uso di quanti li affiancano alla lettura del manuale istituzionale.

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La collana si compone di dodici titoli e rappresenta la naturale evoluzionedelle collane già affermate per la preparazione di esami e concorsi.Gli elementi che ne potranno decretare il successo sono da evidenziare nellasintesi, nell’esposizione e nella grafica.In linea con le più avanzate metodiche didattiche nasce questa collana di “ma-nuali sintetici” che si giovano di una nuova e più vivace impostazione: una piùaccattivante grafica che, ricorrendo al secondo colore, consente di fissare leparole cardine ed evidenziare i percorsi di lettura; una trattazione semplice ecompleta per arrivare subito al “cuore” delle nozioni; una sistematica espositivache permette di cogliere la corretta conseguenzialità dei concetti; una mirata

scelta qualitativa e quantitativa degli argomenti fondanti potenzialmente oggetto di domanda d’esame.L’ipercompendio presenta, in appendice, un glossario dei principali argomenti, indispensabile per col-mare rapidamente le lacune finali prima della prova d’esame.

Vol. 3/4 • Schemi & schede di diritto penalepp. 208 • € 12,00

SCHEMI & SCHEDE presenta una serie di mappe di riferimento per prepa-rare esami o concorsi. L’uso di tale supporto consente di orientarsi e «naviga-re» nella disciplina (ottimizzando le fasi di studio) e indirizzare al meglio leproprie energie per raggiungere rapidamente risultati di eccellenza.La rinnovata struttura di questa collana è corredata anche di nuove rubriche,quali: osservazioni, si puntualizzano concetti oggetto di dibattito in giurispru-denza e in dottrina; differenze e paralleli, che stimolano al confronto fra di-versi istituti; «in sintesi», che offrono, alla fine di ciascun capitolo, un quadroriepilogativo dell’argomento trattato.

Vol. LX3 • Le parole del diritto penalepp. 216 • € 7,00

Ciascuna voce fornisce non solo la nozione dell’istituto trattato, ma anche cenni sulleprincipali problematiche connesse. La collocazione alfabetica delle voci, inoltre, fa sìche l’opera costituisca un agevole strumento di consultazione per gli studenti univer-sitari (che abbisognano di una visione d’insieme della materia in vista della prepara-zione finale agli esami).

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PARTE PRIMAPRINCIPIO DI LEGALITÀ

1. Cosa si intende per «principio di legalità»? ............................... Pag. 51 bis. Nel nostro ordinamento quale connotazione assume in di-ritto penale il principio di legalità? 1 ter. Quale rilievo è ascritto alprincipio di legalità in materia penale dalla Convenzione Eu-ropea per i diritti dell’uomo (CEDU)?

2. Cosa si intende per «riserva di legge»? ...................................... » 82 bis. Quali sono le fonti del diritto penale italiano? 2 ter. Cos’èuna norma penale in bianco? 2 quater. La norma penale in bian-co è compatibile con il principio di riserva di legge? 2 quinquies.L’art. 73 d.P.R. 309/90 è compatibile con il principio di riserva dilegge?

3. Qual è la funzione del «principio di tassatività»? ..................... » 133 bis. Qual è la differenza tra «tassatività» e «determinatezza»?3 ter. Il principio di tassatività è stato rispettato dal legislatorepenale?

4. È ammessa l’ «analogia» in diritto penale? ................................ » 154 bis. È possibile l’applicazione analogica delle scriminanti?

5. Come opera il «principio di irretroattività»? ............................ » 175 bis. Cosa si intende per successione di leggi modificative? 5 ter.Cosa si intende per «disposizione più favorevole al reo»? 5 quater.Quali sono gli effetti della dichiarazione di incostituzionalità diuna norma penale? 5 quinquies. Qual è la differenza tra abolitiocriminis e abrogatio sine abolitione? 5 sexies. Come opera l’art. 2c.p. in occasione dell’introduzione del reato di associazione distampo mafioso? 5 septies. Come opera l’art. 2 c.p. in occasionedelle riforme legislative sui reati societari e fallimentari? 5 octies.Quali sono i rapporti successori tra l’art. 644bis c.p. abrogatodalla l.108/1996 e il nuovo art. 644 c.p.?

1. Cosa si intende per «principio di legalità»?

Riferimento normativo: articoli 25 Cost., 1 c.p., 199 c.p.

Definizione: individuare la nozione di «principio di legalità» e il suo contenutosotto il profilo delle sue diverse interpretazioni.

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Parte Prima6

Elenco caratteri: precisare quali sono le caratteristiche del principio di legalitàin diritto penale:aspetto formaleaspetto sostanzialecorollari

Domande consequenziali: applicazione del principio di legalità nell’ordinamentopenale italiano.

Articolazione della risposta

Il diritto penale italiano si fonda sul principio di legalità espresso dall’an-tico brocardo latino secondo cui «nullum crimen, nulla poena sine lege».Il principio di legalità è previsto dall’articolo 25 della Costituzione perun’esigenza di prevenzione generale e di certezza delle incriminazioni e ditutela della libertà personale che può essere compressa solo mediante attiche siano espressione di un potere riconducibile alla rappresentanza politi-ca, e cioè alla sovranità popolare. Pertanto, per soddisfare queste moltepli-ci esigenze, il riferimento alla legge contenuto nell’art. 25 Cost. va intesonel senso di atto emanato all’esito del tipico procedimento di formazionedegli atti legislativi previsto nella stessa Costituzione in conformità al si-stema democratico volto a tutelare l’individuo contro gli abusi dello Stato.Tradizionalmente si distingue tra principio di legalità formale e sostanzia-le al fine di stabilire se per reato debba intendersi quel fatto previsto dallalegge come tale ovvero un fatto antisociale.Il principio di legalità formale esprime il divieto di punire un qualsiasifatto che, al momento della sua commissione, non sia espressamente pre-visto come reato dalla legge e con pene che non siano dalla legge espressa-mente stabilite. Ne deriva che esso risponde ad una scelta politica indivi-dualistico-garantista e dunque all’esigenza di salvaguardare la libertà delsingolo individuo (favor libertatis).Il principio di legalità sostanziale implica che costituisca reato quel fattoconsiderato socialmente pericoloso, ancorchè non espressamente previstodalla legge, e che ad esso si applicano le pene adeguate allo scopo. Questainterpretazione esprime una scelta politica destinata alla tutela della «dife-sa sociale» (favor societatis).

I corollari del principio di legalità sono rappresentati da alcuni sottoprincipi:— riserva di legge— tassatività— irretroattività.

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Principio di legalità 7

1 bis. Nel nostro ordinamento quale connotazione assume in dirittopenale il principio di legalità?

Il «principio di legalità» nel diritto penale implica la necessaria predeterminazionedi precetto e sanzione rispetto al momento in cui il reato sia poi commesso.Tale principio ha valenza costituzionale in quanto la sanzione penale incidefortemente su valori della persona sacrificabili solo sulla base di scelte dipolitica criminale espresse dai rappresentanti del popolo e, quindi, mediantequel procedimento di formazione dell’atto normativo frutto di una dialetticaparlamentare sottoposto anche alla pubblica opinione.A norma dell’art. 25 Cost. e dell’art. 1 c.p. secondo cui nessuno può esserepunito per un fatto che non sia espressamente previsto dalla legge comereato, il nostro ordinamento accoglie una concezione di legalità intesa insenso formale improntata al principio di tipicità: al giudice è demandatosolo il potere di accertare la conformità del fatto concreto alla fattispecieastratta tipizzata dalla norma incriminatrice.Quest’interpretazione è propria di uno Stato di diritto, dal momento che ilnostro sistema a Costituzione rigida impone un necessario bilanciamento,che solo la legge può operare, tra libertà personale e patrimoniale, chesono limitate dalla sanzione penale, e altri beni giuridici che la normaincriminatrice mira a tutelare.Pertanto la necessità che l’incriminazione sia contenuta in un atto normativodi rango primario esclude la compatibilità con il nostro ordinamento delprincipio di legalità cd. sostanziale secondo cui reato sarebbe non solo ciòche è punito espressamente come tale, ma anche ciò che il giudice ritengasocialmente pericoloso.Laddove si volesse accogliere una concezione del principio di legalità insenso formale-sostanziale, bisognerebbe intenderlo nel senso che il legi-slatore possa adottare la sanzione penale sempre che questa sia necessariaper la tutela o di beni di rango costituzionale o, comunque, di beni nonincompatibili con la Costituzione.

1ter. Quale rilievo è ascritto al principio di legalità in materiapenale dalla Convenzione Europea per i diritti dell’uomo(CEDU)?

L’art. 7 della CEDU («Nessuna pena senza legge») al primo comma, nel-l’esaminare il profilo dell’efficacia nel tempo della legge penale, sancisce

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Parte Prima8

che i cittadini dei Paesi membri della Convenzione non possono essereassoggettabili a pene più gravi di quelle applicabili al momento della com-missione del fatto: «Nessuno può essere condannato per una azione o unaomissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reatosecondo il diritto interno o internazionale. Parimenti, non può essere in-flitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato èstato commesso».La stessa Corte Europea ha osservato che il comma I del suddetto articolonon si limita a regolare l’applicazione della legge penale nel tempo, maconsacra in modo generale il principio di legalità in ordine ai delitti ealle pene e quello che impone la non applicazione estensiva o analogicadella legge penale a sfavore dell’imputato; dunque, anche la CEDU ri-chiede che ciascun illecito debba essere definito in modo chiaro dalla legge.Di certo il principio di legalità, così come previsto, non sembra che pre-senti profili di peculiare innovatività, confermando piuttosto un dato co-mune agli ordinamenti giuridici degli Stati membri del Consiglio d’Eu-ropa, sebbene si atteggi con modalità a varianti diverse all’interno dei si-stemi di civil law o common law.Pertanto, si è ritenuto che l’inclusione di tale principio nella ConvenzioneEuropea sia stato dettato dall’esigenza di assicurare la positivizzazione diuna sorta di minimo comune denominatore di legalità idoneo ad evitaredeviazioni dello Stato di diritto, senza offrire però un modello legale capa-ce di incidere in positivo sulle tradizioni penali dei Paesi membri.Ciò nonostante, non può dirsi che l’art. 7 co. I CEDU sia una norma dibasso profilo o di scarsa importanza. La giurisprudenza della Corte Euro-pea dei diritti dell’uomo ha assegnato, infatti, significativi contenuti al prin-cipio di legalità enunciato nella richiamata disposizione, al fine di ottenereun rafforzamento della portata garantistica dei principi di legalità edirretroattività, sebbene già positivizzati nei sistemi nazionali.

2. Cosa si intende per «riserva di legge»?

Riferimento normativo: articolo 25 Cost.

Definizione: principio secondo cui la legge è l’unica fonte normativa in materiapenale.

Caratteristiche: carattere assoluto e relativo della riserva.

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Principio di legalità 9

Domande consequenziali: fonti del diritto penale e ammissibilità della cd. nor-ma penale in bianco.

Articolazione della rispostaIl principio di riserva di legge coinvolge la tematica delle fonti del dirit-to penale poiché esprime il divieto di punire un determinato fatto in assen-za di una legge preesistente che lo configuri come reato e che ne preveda larelativa sanzione (nullum crimen, nulla poena sine lege poenali scripta).La riserva di legge attiene alla fonte che può introdurre, modificare, abroga-re una determinata fattispecie incriminatrice. Si tratta, infatti, di quel corollariodel principio di legalità che afferma il monopolio del legislatore in ordi-ne alle scelte incriminatrici al fine di tutelare la libertà personale contropossibili arbitri del potere giudiziario e di quello esecutivo.La riserva di legge in via di principio implica l’esclusione di fonti diversedalla legge e dagli atti aventi forza di legge.In dottrina da tempo si è discusso e tuttora si discute se la riserva di leggecontenuta nell’art. 25 Cost. debba ritenersi assoluta o relativa, cioè sesolo la legge possa disciplinare la materia riservata, con esclusione dell’in-tervento di norme sub legislative, oppure se al legislatore spetti soltanto ilcompito di fissare le linee fondamentali della disciplina affidandone ilcompletamento ad altre fonti di rango subordinato (ad es. regolamenti).Secondo un primo orientamento, oggi prevalente, la riserva di legge è as-soluta dal momento che il ricorso a fonti secondarie comporterebbe unalesione alle esigenze di garanzia cui risponde il principio di legalità. Unsecondo orientamento ammette una riserva relativa di legge purchè sia lalegge a determinare i caratteri, i limiti e i contenuti degli atti dell’organonon legislativo.In dottrina prevale la tesi della natura assoluta della riserva proprio invirtù della ratio sottesa al principio di legalità, ossia il favor libertatis.

2 bis. Quali sono le fonti del diritto penale italiano?

Il concetto di «legge» espresso dall’art. 25 co. II Cost. e dall’art. 1 c.p.viene inteso in senso estensivo, volto a ricomprendere sia la legge in sensotecnico sia gli atti ad essa equiparati. Le fonti del diritto penale sono:

— le leggi formali, cioè la Costituzione, le leggi costituzionali e le leggiordinarie emanate dal Parlamento;

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Parte Prima10

— le leggi materiali, cioè gli atti emanati da organi diversi dal potere legi-slativo ma aventi forza di legge (decreti legge, decreti legislativi, decre-ti governativi emanati in tempo di guerra).

Pertanto, in primo luogo risultano escluse le fonti comunitarie a causadell’assenza della rappresentanza politica nella produzione normativa co-munitaria che è di spettanza del Consiglio e non del Parlamento Europeo.Non viene garantita, infatti, l’espressione della sovranità popolare che, comenoto, rappresenta la ratio di fondo dell’art. 25 Cost. In secondo luogo, perla stessa ragione della mancanza della rappresentanza politica, non rien-trano nel novero delle fonti del diritto penale gli atti normativi secon-dari emanati dal potere esecutivo (ad es. i regolamenti governativi). Inol-tre, la dottrina e la giurisprudenza, interpretando la riserva come riserva di«legge statale», escludono anche le leggi regionali perché sarebbe altri-menti violato il principio di eguaglianza previsto dall’art. 3 Cost., con ilrischio di un trattamento sanzionatorio penale differenziato da Regione aRegione. Infine, non può costituire fonte del diritto penale la consuetu-dine poiché, mancando in tal caso la di fissazione della regola di compor-tamento in un atto scritto, al giudice verrebbe lasciata di volta in volta lascelta incriminatrice con inevitabili disparità di trattamento.

2 ter. Cos’è una norma penale in bianco?

La norma penale incriminatrice è costituita da una parte precettiva (pre-cetto) ed una parte sanzionatoria (sanzione). Il precetto integra il divietodi tenere una determinata condotta o di cagionare un determinato evento otalvolta il comando di compiere un determinato atto; la sanzione è la con-seguenza giuridica che deriva dalla violazione del precetto.Talora il legislatore affida la descrizione del precetto a fonti extrapenali,cioè a norme che provengono da altri rami dell’ordinamento, ad es. daldiritto amministrativo. Si tratta del fenomeno della norma penale in bian-co nella quale la scelta incriminatrice viene compiuta pur sempre dal legi-slatore penale che si limita a prevedere la sanzione rinunciando a de-scrivere il precetto la cui descrizione, invece, è demandata ad una fonteextrapenale. In questo caso il legislatore descrive con assoluta genericitàil dovere di osservare la fonte extrapenale anche di rango inferiore cui ri-manda.

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Principio di legalità 11

L’art. 650 c.p. costituisce una tipica ipotesi di norma penale in biancoladdove sanziona il comportamento di «chiunque non osservi un provvedi-mento legalmente dato dall’Autorità per ragione di giustizia o di sicurezzapubblica, o di ordine pubblico o di igiene» con «l’arresto fino a tre mesi ocon l’ammenda fino a € 206». L’articolo integra pertanto una norma in cuiil precetto è formulato in modo generico, richiedendosi l’osservanza di ungenerico «provvedimento legalmente dato dall’Autorità», mentre la san-zione è specificamente e precisamente determinata.

2 quater. La norma penale in bianco è compatibile con il principiodi riserva di legge?

Più volte nel nostro ordinamento si è posto il problema della legittimitàcostituzionale delle norme penali in bianco, in relazione alla loro com-patibilità col principio di riserva di legge. Talora, infatti, il legislatore hademandato l’integrazione del precetto ad atti normativi secondari o, addi-rittura, ad atti non normativi (ad esempio provvedimenti amministrativi),in apparente contrasto con la riserva assoluta di legge.Al fine di risolvere la questione, nel corso del tempo si sono avvicendate molte-plici interpretazioni. In un primo momento, si è fatto riferimento alla «concezio-ne sanzionatoria» del diritto penale secondo cui la riserva di legge riguardereb-be solo la sanzione e non il precetto, potendo quest’ultimo rintracciarsi neglialtri rami dell’ordinamento, risultando così compatibile col principio costituzio-nale. Oggi prevale, invece, la «concezione costitutiva» del diritto penale in virtùdella quale la riserva di legge investe anche il precetto in quanto il legislatore ètenuto sempre a riqualificare i precetti posti dagli altri rami dell’ordinamento.Successivamente, allora la Corte Costituzionale ha risolto il problemaaccogliendo la natura assoluta della riserva di legge dandone una interpre-tazione ampia, intendendo per «legge» non solo la legge penale ma anchela legge extrapenale.Oggi, anche la Corte di Cassazione riconosce la compatibilità della nor-ma penale in bianco con il principio di riserva di legge poichè il regola-mento o il provvedimento amministrativo, che disciplinano il precetto, inquanto richiamati nella norma penale in bianco, perdono la loro origineextrapenale e assumono natura penale proprio grazie alla loro funzioneintegratrice dell’intera fattispecie.

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Parte Prima12

2quinquies. L’art. 73 d.P.R. 309/90 è compatibile con il principio diriserva di legge?

Recentemente il TAR Lazio è intervenuto sul rapporto tra principio diriserva di legge e disciplina degli stupefacenti, con la pronuncia 2487del 21 marzo 2007.Il principio di riserva di legge circoscrive e garantisce il «monopolio» par-lamentare dell’azione penale escludendo, dal novero delle fonti incriminatrici,quelle norme diverse dalla legge e dagli atti ad essa equiparati.La norma penale in bianco è un particolare caso, interessante sono so-prattutto settori altamente specializzati e tecnici, in cui un atto normativo,contenente un precetto generico su un obbligo di obbedienza, viene com-pletato dalla normazione secondaria integrando così il precetto al finedi garantire una migliore azione nei confronti dell’evoluzione sociale.La «norma penale in bianco» deve però rispettare talune regole: in primoluogo, la norma rinviante deve essere completa in tutti gli elementicostitutivi; inoltre, il rinvio deve essere fatto soltanto al fine di puntualizzareun elemento tecnico/costitutivo già individuato dalla norma rinviante.Dunque la compatibilità di una norma penale in bianco con il generaleprincipio di riserva di legge è garantito dai limiti di contenuto impostidalla legge di rinvio all’atto integrativo successivo.Un esempio tipico di norma penale in bianco è l’art. 73 del d.P.R. 309/1990, oggi modificato dalla legge 21 febbraio 2006 n. 49 e dal Decreto delMinistero della Salute 4 agosto 2006 (Decreto Turco), che contiene, infatti,tutti gli elementi costitutivi (soggetti destinatari, condotta di cessione oimportazione o detenzione non per uso personale) ed opera un rinvio ad unatto integrativo per individuare le sostanze stupefacenti ed il quantitativo,adeguato mediante un «moltiplicatore» (superato detto limiti si presumeche lo stupefacente non sia destinato all’uso personale).A seguito del ricorso proposto contro il Decreto Turco, il Tar del Lazio haaffermato che «solo ritenendo che l’atto amministrativo che individua ilimiti massimi di quantità di principio attivo di sostanza stupefacentedetenibile ad uso esclusivamente personale costituisca esercizio didiscrezionalità tecnica, e quindi è basato su elementi scientifici in certosenso vincolanti, potrà ritenersi conforme al principio di riserva di legge… ove al contrario si ritenesse che tale atto implichi l’esercizio di un pote-re «politico» altamente discrezionale, la norma penale che conferisse al-l’amministrazione tale potere sarebbe incostituzionale».

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Principio di legalità 13

3. Qual è la funzione del «principio di tassatività»?

Riferimento normativo: art. 25 Cost., art. 1 c.p, art. 14 disp.prel. c.c.

Definizione: canone per accertare la legittimità costituzionale della legge pena-le in relazione alla loro formulazione tecnica.

Caratteristiche: grado di sufficiente determinatezza della legge penale, analogia.

Domande consequenziali: differenza con il concetto di «determinatezza», di-vieto di analogia, rispetto del «principio di tassatività» da parte del legislatore.

Articolazione della risposta

La tassatività attiene alla tecnica di formulazione della fattispecie, rile-vante ai fini del riscontro della tipicità. Il «principio di tassatività» è rispet-tato allorchè la norma incriminatrice raggiunga un grado di determinatezzanecessario e sufficiente per consentire al giudice di individuare il tipodi fatto concreto dalla norma disciplinato.Si tratta di quel principio, costituzionalmente garantito dall’art. 25 Cost., chetutela la libertà personale (favor libertatis) contro il possibile arbitrio delgiudice nel riscontro della conformità tra fatto concreto e fattispecie astratta.Sul legislatore incombe l’obbligo di prevedere i fatti costituenti reato e,congiuntamente, di delineare in modo preciso il contenuto della nor-ma penale, al fine di garantire ai consociati la conoscenza di un qua-dro normativo certo e ben definito. Laddove, quindi, la norma si rivelas-se eccessivamente vaga e indefinita, l’interpretazione da parte del giudicesi trasformerebbe in un’attività di creazione del diritto, in contrasto con legaranzie costituzionali di legalità riconosciute ai cittadini. La ratio del prin-cipio medesimo è rappresentata dalla esigenza di certezza del diritto chea sua volta assicura l’eguaglianza giuridica dei cittadini a parità di condot-te, l’accertamento della colpevolezza, la funzione general-preventiva deldiritto penale e la possibilità di conoscere la norma da parte dei consociati.Si comprende, dunque, che mentre il principio di riserva di legge presie-de alla individuazione delle fonti del diritto penale, il principio di tassativitàconcerne la tecnica di formulazione di queste fonti.

3 bis. Qual è la differenza tra «tassatività» e «determinatezza»?

I termini tassatività e determinatezza sono generalmente utilizzati comesinonimi, pur essendo considerati da alcuni Autori concetti ben distinti.

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Una parte della dottrina, infatti, ritiene che la «tassatività» attenga al di-vieto di analogia e che la «determinatezza» riguardi, invece, la doverosaredazione dei precetti penali con contenuto definito. Secondo questa tesi,la tassatività ha come destinatari diretti il legislatore ed il giudice, in quantovieta, in primo luogo, di costruire la norma in modo non puntuale ed informa esemplificativa, in secondo luogo, di applicare analogicamente lafattispecie normativa a fatti non sussumibili nella sua formulazione astrat-ta; diversamente, la determinatezza consente di verificare la possibilità diapplicare la norma incriminatrice al fatto concreto.La giurisprudenza, tuttavia, non accoglie questa distinzione, sulla basedella assunta equivalenza ontologica delle espressioni «tassatività» e«determinatezza», utilizzandole così in ogni sua pronuncia come sinonimi.

3 ter. Il principio di tassatività è stato rispettato dal legislatore penale?

Il legislatore nella descrizione di fattispecie incriminatrici può utilizzaretre distinte categorie di elementi: rigidi, elastici, indeterminati.Gli elementi rigidi, di carattere descrittivo (di tipo naturalistico o numerico),non pongono problemi di compatibilità con il principio di tassatività, perchérispetto ad essi la riconduzione del caso concreto risulta agevole ed immediata.Gli elementi elastici (che esprimono una realtà quantitativa o temporalecircoscritta), invece, lasciano al giudice un margine di apprezzamento menovincolato rispetto a quelli rigidi, ma comunque rispondente al canone co-stituzionale di tassatività, in quanto assicurano l’adeguamento del dato giu-ridico alla realtà sociale soggetta a continua evoluzione.Gli elementi indeterminati si rivelano incompatibili con il principio ditassatività, poiché lo stesso carattere di indeterminatezza, del tutto inido-neo ad individuare la condotta penalmente rilevante, rimette di fatto all’ar-bitrio dell’interprete l’identificazione del comportamento incriminato.La Corte Costituzionale è intervenuta più volte su quest’ultimo punto, inun primo tempo, non rilevando alcuna questione di legittimità costituzio-nale e, successivamente, dichiarando l’illegittimità costituzionale di talunefattispecie criminose per contrasto con il principio di tassatività. La Corte,infatti, rileva che talora il ricorso a elementi vaghi e indeterminati nonconsente all’interprete, nel ricondurre un’ipotesi concreta alla norma dilegge, di esprimere un giudizio di corrispondenza sorretto da un fon-damento normativo riscontrabile nell’ordinamento (Corte Costituzio-nale sent. n. 6, 8-6-1981).

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Principio di legalità 15

4. È ammessa l’«analogia» in diritto penale?

Riferimento normativo: 14 disp.prel. c.c., art. 25 Cost.

Divieto di analogia: carattere assoluto o relativo del divieto, analogia in bonampartem e analogia in malam partem.

Articolazione della risposta

L’analogia è il procedimento attraverso cui vengono risolti i casi nonprevisti espressamente dalla legge estendendo ad essi la disciplina det-tata per i casi simili (analogia legis) o altrimenti desunta dai principigenerali del diritto (analogia iuris).Infatti, l’analogia legis costituisce un fenomeno volto ad assegnare allaprevisione normativa un significato più ampio rispetto a quello risultantedalla portata letterale della stessa, mentre l’analogia iuris garantisce lostesso risultato utilizzando i principi generali dell’ordinamento.Nei sistemi penali fondati sul principio di legalità formale, come quelloitaliano, il meccanismo dell’analogia non può trovare applicazione percolmare le lacune di previsione normativa. L’art. 14 disp.prel. c.c., infatti,stabilisce che «le leggi penali e quelle che fanno eccezione a regole gene-rali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considera-ti». Anche se solo implicitamente, questo divieto trova fondamento costi-tuzionale nell’art. 25 Cost., in quanto è destinato ad eliminare qualsiasirischio di arbitrio da parte sia del potere giudiziario sia dello stesso legisla-tore nell’interpretazione ed applicazione delle norme penali incriminatrici.La ratio sottesa al divieto di analogia in ambito penale è rappresentataproprio dall’esigenza di tassatività della fattispecie, dal momento chel’analogia è in contrasto con l’obbligo del giudice di punire solo i compor-tamenti tassativamente previsti dalla legge.In dottrina e in giurisprudenza si discute in ordine al carattere assoluto orelativo del divieto di analogia: ci si chiede se riguardi anche le normeposte a favore dell’imputato (analogia in bonam partem) ovvero se siacircoscritto alle sole norme sfavorevoli (analogia in malam partem).I sostenitori del carattere assoluto del divieto di analogia invocano la prioritariaesigenza di certezza e univocità del diritto penale, che diversamente sarebbecompromessa mediante il ricorso al procedimento analogico.L’orientamento maggioritario, invece, predilige l’opposta interpretazionesecondo cui il divieto di analogia è relativo, limitato alla sola analogia in

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Parte Prima16

malam partem. Il divieto di analogia è concepito a tutela del favorlibertatis compromesso solo dall’applicazione dell’analogia in malampartem. Del resto, per «leggi penali» di cui all’art. 14 disp.prel. c.c. biso-gna intendere esclusivamente le norme incriminatrici, quelle sulle qualicioè si fonda la previsione di un reato o di una sanzione penale. Pertanto,l’unica forma di analogia ammissibile in diritto penale è quella in bonampartem, nel rispetto dei limiti di corrispondenza dell’eadem ratio del-l’incriminazione, del necessario grado di determinatezza della disposizio-ne oggetto di applicazione analogica, del divieto di analogia delle normeeccezionali.

4bis. È possibile l’applicazione analogica delle scriminanti?

Molteplici sono le ragioni addotte contro o a favore della tesi sullaammissibilità dell’applicazione analogica delle scriminanti.Invero, superato l’argomento fondato sull’assolutezza del divieto di analo-gia in ambito penale, non è mancato chi ha comunque escluso l’ammissibilitàdell’applicazione analogica delle scriminanti in considerazione del rite-nuto carattere eccezionale delle stesse.Tuttavia, si preferisce la tesi secondo cui il rapporto tra norma incriminatricee scriminante non sia di regola-eccezione non solo per la mancanza dellanecessaria unità di materia, ma anche perché le scriminanti, lungi dal dero-gare alle norme penali in base a contrari principi regolatori, sono esse stes-se espressione di principi generali.Sennonché, la rispondenza a principi generali e l’esclusione del caratteregenerale non bastano a fondare la loro indiscriminata applicazione analo-gica; non si può trascurare, infatti, che nel settore delle cause di giusti-ficazione alla prevalenza del favor libertatis corrisponde sempre il sa-crificio del bene giuridico di un terzo.L’analogia è, dunque, esclusa per le scriminati che la stessa legge prevedenella loro massima portata, come nei casi di esercizio del diritto e adempi-mento del dovere (art. 51 c.p.); allo stesso modo è preclusa rispetto allenorme che il legislatore ha costruito in maniera tassativa, per cui ilsuperamento di uno degli elementi costitutivi della scriminante farebbevenir meno la eadem ratio della disciplina, con inammissibile creazione dinuove scriminanti.Ciò accade, ad esempio, in tema di uso legittimo delle armi laddove illegislatore descrive una fattispecie «satura o esclusiva»: la norma, cioè,

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dettando una disciplina per il caso descritto, ad esclusione di quelli simili,non risulta suscettibile di applicazione analogica.Risultano, invece, concordemente estensibili analogicamente le scriminantidello stato di necessità anticipata e della legittima difesa anticipata (artt. 54e 52 c.p.).In questi casi l’analogia si fonderebbe, pur in assenza della richiesta at-tualità del pericolo, sull’eadem ratio: si è in presenza di una situazionesolo analoga allo stato di necessità e alla legittima difesa contemplate dallegislatore allorchè, pur non essendo ancora in atto il pericolo, si abbiatuttavia la certezza della non differibilità dell’intervento difensivo, senz’altrovano se ritardato in attesa dell’insorgere del rischio. È il caso del seque-strato che uccide il guardiano per fuggire, sapendo che presto verrà ucciso,attesa la mancata corresponsione del riscatto.L’assunto è stato condiviso in giurisprudenza dal Tribunale di Trento nel2004, secondo cui in materia di stato di necessità non osta alla sua appli-cazione la mancata perfetta configurabilità dell’elemento dell’attualità delpericolo, poiché non rappresenta difformità dal diritto l’allargamento ana-logico della previsione dei casi su cui la scriminante può adattarsi. Invero,la mancanza del presupposto dell’attualità del pericolo di danno grave allapersona è surrogata, ai fini dell’eadem ratio, dal fatto che l’attendere che ilpericolo si attui, rende impossibile o molto ardua la possibilità di salvarsidal danno.

5. Come opera il «principio di irretroattività»?

Riferimento normativo: art. 25 Cost., art 2 c.p., art. 11 disp.prel. c.c.

Nozione: la legge penale si applica solo a fatti commessi dopo la sua entrata invigore e non può essere applicata a fatti anteriori.

Caratteristiche: irretroattività della legge sfavorevole, retroattività della leggefavorevole, successione delle leggi nel tempo, abolitio criminis.

Domande consequenziali: operatività della successione di leggi nel tempo,differenze tra modifica e abolizione

Articolazione della risposta

Il principio di irretroattività opera sul piano della validità della leggepenale nel tempo: la legge penale si applica solo ai fatti commessi dopo la

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sua entrata in vigore e non può essere perciò applicata a fatti ad essaanteriori.L’art. 25 co. II Cost. dispone, infatti, che «nessuno può essere punito senon in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commes-so», l’art. 11 disp.prel. c.c. sancisce la generale irretroattività della legge, einfine l’art. 2 c.p. è volto ad enunciare i criteri di risoluzione dei vari pro-blemi che il tema della successione delle leggi penali nel tempo è destinatoa creare.La ratio sottesa al «principio di irretroattività» della legge penale è quelladi preservare la libertà individuale (favor libertatis) da possibili arbitriidello stesso potere legislativo, configurabile laddove si susseguano mag-gioranze parlamentari tra un mandato e l’altro. Inoltre, il principio as-solve anche ad una funzione di prevenzione generale in virtù della quale lanorma incriminatrice deve essere già in vigore al momento del fatto com-messo, proprio per la necessità che l’efficacia dissuasiva dell’incriminazionesi produca prima del compimento del fatto.Pur essendo un principio generale per tutti gli atti normativi, assurge al rangocostituzionale solo in materia penale e quindi il legislatore ordinario giammaipotrebbe prevedere, neppure indirettamente, la retroattività delle sue disposi-zioni, ciò che invece può accadere in tutti gli altri settori dell’ordinamento. Perquesti ultimi il principio è, infatti, posto solo dall’art. 11 disp.prel. c.c., quindida una fonte primaria che ben può essere derogata da una fonte di pari rango.In materia penale, la ratio del «principio di irretroattività» è tale da limitar-ne l’ambito applicativo solo alle nuove incriminazioni oppure, in caso disuccessione di leggi penali incriminatrici, a quella più sfavorevole al reo.L’art. 2 c.p., infatti, oltre a consacrare al I comma il principio diirretroattività delle norme penali incriminatrici, stabilisce al II commail principio di retroattività della norma penale favorevole, salvo il limi-te del giudicato, con ciò intendendo l’irretroattività solo in termini relativi;il III comma (introdotto dalla l. 85/2006), derogando alla regola che indi-vidua nel giudicato di condanna un limite alla retroattività della disposi-zione favorevole, dispone che se vi è stata condanna a pena detentiva e lalegge posteriore prevede esclusivamente la pena pecuniaria, la pena detentivainflitta si converte immediatamente nella corrispondente pena pecuniaria;il IV comma, infine, contempla l’ipotesi di successione di leggi mo-dificative prevedendo l’applicazione della legge più favorevole al reo.

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5 bis. Cosa si intende per successione di leggi modificative?

Il IV comma dell’art. 2 c.p. disciplina il fenomeno della successione dileggi modificative: talora l’introduzione di nuove norme penali nonelimina fattispecie criminose preesistenti né ne individua delle nuove,ma disciplina diversamente fatti già costituenti reato e destinati anco-ra ad esserlo. A tal riguardo, l’articolo in questione dispone che «se lalegge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, siapplica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che siastata pronunciata sentenza di condanna». La successione di leggi penaliimporta così una abrogatio sine abolitione, ovvero una modifica della di-sciplina di una fattispecie senza l’eliminazione tout court della normapreesistente.Ne consegue una profonda distinzione tra modifica favorevole, come taleretroattiva, e modifica sfavorevole per cui opera il «principio di irre-troattività». Questo binomio retroattività della legge favorevole –irretroattività della legge sfavorevole conferma il carattere relativo del«principio di irretroattività» anche in ambito di successione di leggimodificative (abrogatio sine abolitione), così che la retroattività della nor-ma penale successiva più favorevole è ritenuta anch’essa un principio dirango costituzionale sia pure implicito nell’art. 25 Cost. proprio perchéispirato alla stessa ratio di garanzia di libertà individuale.

5 ter. Cosa si intende per «disposizione più favorevole al reo»?

La dottrina e la giurisprudenza sono concordi nel ritenere che la valutazioneper stabilire quale di due o più disposizioni sia la più favorevole al reo vafatta in concreto, mettendo a confronto i risultati che deriverebbero dall’appli-cazione di ciascuna delle norme alla fattispecie concreta: più favorevole saràla norma che, applicata al fatto oggetto dell’esame del giudice, apparirà con-durre, secondo parametri prettamente oggettivi, a conseguenze meno gravose.La determinazione del carattere più o meno favorevole di una normanei confronti di un’altra va operata in relazione sia al precetto che allasanzione, secondo parametri oggettivi, senza tener conto dell’interessedell’imputato all’applicazione di una data norma. Una volta individua-ta la legge più favorevole, essa dovrà essere applicata anche se successiva-mente sia stata nuovamente modificata in senso sfavorevole per l’imputa-to; inoltre, dovrà essere applicata in toto, dal momento che non è possibiledisciplinare certi aspetti con parte di una legge ed altri con parte dell’altra.

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5 quater. Quali sono gli effetti della dichiarazione di incostituzionalitàdi una norma penale?

La l. 87/1953 risolve espressamente il problema della efficacia temporale del-la norma dichiarata incostituzionale, confermando il principio sancito dall’art.2 co. II c.p., secondo cui l’abolitio criminis travolge anche il giudicato. L’art.30 della l. 87/1953 dispone, infatti, che «le norme dichiarate incostituzionalinon possono essere applicate dal giorno successivo alla dichiarazione delladecisione» (in conformità con il dettato dell’art. 136 Cost.); «quando, in appli-cazione della norma dichiarata incostituzionale, è stata pronunciata sentenzairrevocabile di condanna, ne cessano l’esecuzione e tutti gli effetti penali».Ma anche con riguardo alle leggi dichiarate incostituzionali si è posto ilproblema della loro applicabilità, qualora più favorevoli al reo, ai fatticommessi durante la loro vigenza.Da un lato vi sono i sostenitori dell’assoluta prevalenza del dato normativo exart. 136 Cost., che ritengono che l’inefficacia retroattiva della legge incostituzionaleproduce come conseguenza ineluttabile l’incapacità della stessa a regolare nem-meno in senso più favorevole per il reo i fatti compiuti nella sua vigenza.In senso radicalmente contrario, altra parte della dottrina valorizza il prin-cipio garantistico propugnato dall’art. 25 co. II Cost., sacrificando sull’al-tare della libertà personale del reo l’inefficacia retroattiva sancita per leleggi dichiarate incostituzionali.La soluzione attualmente prevalente in dottrina e in giurisprudenza,anche costituzionale, è decisamente orientata verso la netta preferenza delbene giuridico tutelato dagli artt. 13 e 25 co. II Cost. nel bilanciamentocon gli interessi in conflitto con il disposto normativo dell’art. 136 Cost.;ne deriva, quindi, che la legge successiva meno favorevole rispetto a quelladichiarata incostituzionale, non può essere applicata a fatti commessidurante la vigenza di quest’ultima, poiché rispetto ad essi non puòaver svolto alcuna funzione di orientamento e di limite alle scelte dicomportamento dell’agente.

5 quinquies.Qual è la differenza tra abolitio criminis e abrogatiosine abolitione?

Il fenomeno della successione di leggi penali riguarda i casi in cui unanorma successiva interviene a disciplinare un fatto commesso sotto lavigenza di una norma precedente.

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Principio di legalità 21

L’art. 2 c.p. prevede tre diverse ipotesi di successione di norme penali:

— la nuova incriminazione, cui si applica il «principio di irretroattività»della legge sfavorevole (I comma);

— l’abolizione di incriminazione (abolitio criminis), cui si applica il «prin-cipio di retroattività» della legge più favorevole anche se sul fatto si èformato il giudicato (II comma);

— la successione di leggi modificative (abrogatio sine abolitione), cherileva nel caso in cui la legge si limita a stabilire un trattamento diverso.

Si impone a tal riguardo la necessità di distinguere i casi in cui si verificaun’ipotesi di abolitio criminis dai casi in cui ha luogo un’abrogatio sineabolitione, al fine individuare i criteri discretivi idonei a delimitare i ri-spettivi ambiti applicativi, soprattutto in relazione al fatto che mentre nelprimo caso «se vi è stata condanna ne cessano gli effetti», nel secondocaso il giudicato non viene travolto.Secondo un primo orientamento, elaborato dalla dottrina tedesca, il pro-blema può essere risolto ricorrendo al criterio della continuità del tipo diillecito, secondo cui si ha mera successione quando il bene tutelato e lemodalità di aggressione a tale bene risultino sostanzialmente invariate.La dottrina e la giurisprudenza italiane hanno elaborato il diverso crite-rio della continenza, in virtù del quale occorre verificare se la nuovanorma riguardi fatti che in sua assenza sarebbero stati comunque ri-conducibili alla norma secondo la sua formulazione originaria. In talcaso, infatti, la nuova norma può dirsi contenuta nella formulazione prece-dente rispetto alla quale allora si pone in rapporto di specialità. Qualora ciòaccada, ossia qualora manchi la coincidenza degli ambiti applicativi delledue formulazioni, per i fatti contenuti nella nuova formulazione si ha suc-cessione di leggi modificative, per i fatti non contenuti nella nuova rifor-mulazione si ha abolitio criminis.

5 sexies. Come opera l’art. 2 c.p. in occasione dell’introduzione delreato di associazione di stampo mafioso?

La l. 646/1982 ha introdotto l’art. 416bis c.p. che prevede, come specificae autonoma figura criminosa, l’associazione di tipo mafioso, in aggiuntaal più generico reato di associazione per delinquere di cui all’art. 416 c.p.Il legislatore ha voluto colmare una lacuna normativa relativa a quelle as-sociazioni che, pur costituendo un pericolo per l’ordine pubblico, non pre-sentavano tutti i requisiti propri dell’associazione per delinquere.

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Parte Prima22

La nuova norma, pertanto, si pone in rapporto di specialità rispetto allaprecedente solo per una parte dei fatti in essa riconducibili, mentre pergli altri si presenta come nuova incriminazione retta dal «principio diirretroattività».Nell’associazione di stampo mafioso che abbia un programma indetermi-nato di delitti, il metodo mafioso è l’elemento specializzante rispetto al-l’associazione per delinquere, ma nell’ambito della nuova norma sono ri-conducibili anche quelle associazioni che non abbiano un programmadelinquenziale, bensì scopi attinenti ad attività astrattamente lecite che peròdiventano illecite unicamente per il metodo mafioso utilizzato. Questi fattinon potevano rientrare nel reato di associazione per delinquere proprio perla mancanza di un programma delinquenziale e, quindi, sicuramente perquesta parte del suo ambito applicativo la nuova fattispecie deve esserequalificata come nuova incriminazione non comportando l’abrogazione dinorme preesistenti.

5 septies.Come opera l’art. 2 c.p. in occasione delle riforme legisla-tive sui reati societari e fallimentari?

La materia dei reati societari e fallimentari è stata novellata dal D.lgs. n.61/2002, dal D.lgs. n. 5/2006 e dal D.lgs. n. 169/2007.In ambito societario il legislatore ha modificato il reato di false comuni-cazioni sociali, riformulando l’art. 2621 c.c. e introducendo il nuovo de-litto di cui all’art. 2622 c.c.: il legislatore ha infatti conservato gli stessielementi costitutivi del vecchio reato (il fatto consiste sempre nella falsarappresentazione nei documenti della situazione patrimoniale finanziaria dellasocietà) ma ha richiesto, ai fini della punibilità, il superamento di specifichesoglie di tolleranza. Pertanto, il rapporto fra vecchia e nuova norma è dispecialità per specificazione. Le Sezioni Unite hanno, infatti, sostenutoche nelle ipotesi di specialità per specificazione si verifica un fenomenodi parziale abolitio e limitata continuità: per effetto dell’introduzione del-le soglie di tolleranza, tutto ciò che integra reato in base al nuovo art. 2621c.c. certamente era già punibile in base alla vecchia norma, perché quest’ul-tima considerava reato qualsiasi forma di falsità, quindi anche quella com-portante un’alterazione minima; ma, al contrario, non tutte le falsità com-messe sotto il vigore della vecchia normativa continuano ad essere penal-mente rilevanti dopo l’introduzione della nuova norma (Cass., sez. un., 26

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Principio di legalità 23

marzo 2003, n. 25887). In definitiva, se il fatto concreto commesso sotto lavigenza della vecchia disciplina continua ad essere reato anche in base allanuova norma, si è al cospetto di un fenomeno di limitata continuità e così siapplica il quarto comma dell’art. 2 c.p.; viceversa, se il fatto commessosotto la vigenza del vecchio art. 2621 c.c. non è più previsto come reato dallanuova norma, si avrà parziale abolitio, con conseguente applicazione delsecondo comma dell’art. 2 c.p.In materia fallimentare, la novella ha riformulato i reati di bancarotta,di cui all’art. 216 e ss. R.D. n. 267/1942 (l.fall.), che richiedono, ai finidel loro perfezionamento, due elementi, oggettivo, rappresentato dall’av-venuta sentenza dichiarativa di fallimento, e soggettivo, individuato invecenella qualifica soggettiva di imprenditore. In giurisprudenza si è posto ilproblema se, in relazione ai reati di bancarotta, in seguito all’entrata invigore del d.lgs. n. 5/2006, che ha modificato la nozione di piccolo im-prenditore non assoggettabile a procedura fallimentare, debba trovare ap-plicazione il disposto di cui all’art. 2 co. IV c.p., «con la conseguenza diescludere la sussistenza del reato in ipotesi di condotta realizzata nellavigenza della precedente normativa fallimentare da persona la quale, inforza del novum legislativo, attualmente non sarebbe sottoposto a fallimento,e questo pur in presenza del portato della norma transitoria di cui al citatodecreto, che fa salvi gli effetti delle procedure concorsuali pendenti almomento dell’entrata in vigore della legge di riforma». A tal riguardo, leSezioni Unite nel 2008, dopo aver illustrato i poteri generali di sindacabilitàdegli atti da parte del giudice penale, si soffermano sul caso di specie giun-gendo ad affermare che qualora si tratti di un provvedimento giudiziale, ilgiudice penale non ha alcun potere di sindacato, dovendo limitarsi a verifi-care l’esistenza dell’atto e la sua validità formale. Da qui il principio didiritto: il giudice penale investito del giudizio relativo a reati di banca-rotta ex artt. 216 e seguenti della legge fallimentare non può sindacarela sentenza dichiarativa di fallimento non solo quanto al presuppostooggettivo dello stato di insolvenza della impresa ma anche quanto aipresupposti soggettivi inerenti alle condizioni previste dall’art. 1 l. fall.per la fallibilità dell’imprenditore; pertanto, le modifiche apportateall’art. 1 l. fall., prima dal decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5 e poidal decreto legislativo 12 settembre 2007, n. 169 non esercitano influen-za, ai sensi dell’art. 2 c.p., sui procedimenti penali in corso (Cass., sez.un., 15 maggio 2008 n. 19601).

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Parte Prima24

5octies. Quali sono i rapporti successori tra l’art. 644bis c.p. abro-gato dalla l. 108/1996 e il nuovo art. 644 c.p.?

La Corte di Cassazione, con sentenza 35076/2005, nel prendere in esamei rapporti tra il vecchio reato di usura impropria di cui all’abrogato art.644bis c.p. e il nuovo delitto di usura descritto dal riformulato art. 644c.p., sottolinea che in caso di abrogazione di una disposizione incriminatricee contestuale emanazione di altra norma incriminatrice non si può ritene-re che automaticamente tutte le condotte anteatte e rientranti nella dispo-sizione precedente divengano non punibili, ma occorre stabilire, alla lucedel disposto di cui all’art. 2 c.p., se la condotta sottoposta a giudizio con-tinui a costituire reato anche per la legge posteriore; in caso affermativo,vi sarà l’applicazione del principio del favor rei, nel senso che i fatti punibilialla stregua di entrambe le norme saranno sottoposti alla disciplinasanzionatoria più favorevole. La questione rimessa, poi, al prudente ap-prezzamento dell’interprete è quella di stabilire se vi sia una soppressionedel reato ovvero un fenomeno di successione normativa, raffrontando glielementi strutturali della fattispecie, con particolare attenzione all’oggettodella tutela e all’intenzione del legislatore.Facendo applicazione delle esposte coordinate al caso di specie, la Corteha osservato che esiste continuità tra l’introdotto articolo 644 co. IIIc.p. e l’art. 644bis abrogato; la nuova disposizione, infatti, ha inglobato insé gli elementi del reato di usura impropria, dando luogo non già ad unfenomeno di «abolitio criminis», bensì solo ad una diversità di tratta-mento sanzionatorio punitivo di un medesimo fatto, soggetto alla disci-plina dell’art. 2 co. IV c.p.

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PARTE SECONDAPRINCIPIO DI MATERIALITÀ

1. Come opera il «principio di materialità» nel diritto penalemoderno? ...................................................................................... Pag. 261 bis. Qual è la struttura del reato? 1 ter. Quali conseguenze sca-turiscono dall’interpretazione del reato secondo la teoria bipartitao secondo la teoria tripartita? 1 quater. I reati c.d. senza con-dotta o di mero sospetto violano il principio di materialità?

2. Quali sono le teorie che si sono sviluppate in relazione alla nozio-ne di «condotta»? ......................................................................... » 312 bis. Quali sono le forme di condotta attiva penalmente rilevan-ti? 2 ter. Cosa si intende per reati «senza azione»? 2 quater. Qualearticolazione assume il reato omissivo? 2 quinquies. Come ven-gono classificati i reati omissivi? 2 sexies. Quali sono le «fonti»da cui deriva l’obbligo giuridico di agire? 2 septies. Quali sonole «posizioni di garanzia» che gravano sul soggetto titolare del-l’obbligo di agire? 2 octies. Come si realizzano fattispecie omissivecaratterizzate da una pluralità di garanti? 2 nonies. È ammessa laconfigurabilità del tentativo nei reati omissivi propri ed in quelliimpropri? 2 decies. Come si caratterizza il reato di omissione diatti d’ufficio?

3. Cos’è l’ «evento»? ......................................................................... » 443 bis. Come vengono classificati i reati secondo la teoria dell’eventoin senso naturalistico e quella dell’evento in senso giuridico?

4. Cosa si intende per «rapporto di causalità»? ............................ » 454 bis. Come viene interpretato il rapporto di causalità secondo lateoria della «condicio sine qua non»? 4 ter. Quale significato èstato accordato al rapporto di causalità dalle teorie della «causalitàadeguata» e della «causalità umana»? 4 quater. Come viene ri-solto oggi il problema della causalità? 4 quinquies. Quando ilconcorso di cause preesistenti, simultanee o sopravvenute deter-mina l’interruzione del rapporto di causalità fra condotta ed even-to? 4 sexies. Come opera il rapporto di causalità nei reati omis-sivi? 4 septies. Quando sul piano causale può affermarsi in caso diinfortuni sul lavoro la responsabilità omissiva del datore di lavoro?4 octies. In quale circostanza può sul piano causale affermarsi re-sponsabilità per morte o lesioni cagionate dall’esposizione a pol-veri di amianto?

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Parte Seconda26

1. Come opera il «principio di materialità» nel diritto penale mo-derno?

Riferimento normativo: art. 25 co.II Cost., artt. 2, 40, 41 e 115 c.p.

Definizione: principio in base al quale può considerarsi reato solo un comporta-mento umano che si esprime nel mondo esteriore.

Domande consequenziali: individuazione delle teorie formulate in dottrina cir-ca la struttura del reato e rispettive differenze

Articolazione della risposta

Il diritto penale moderno si fonda, oltre che sul principio di legalità, anchesui principi di materialità, di offensività e di soggettività.Il principio di materialità pone a fondamento di ogni fattispecie penaleincriminatrice il comportamento dell’uomo, avente in quanto tale unminimum di corporeità. Si tratta, in sostanza, di quel principio, espressodalla massima del «cogitationis poenam nemo patitur» ovvero da quellapiù moderna del «nullum crimen sine actione», in forza del quale può con-siderarsi reato solo ed esclusivamente il comportamento umano che sisia materialmente estrinsecato nella realtà fenomenica del mondo este-riore; ai fini della valutazione del disvalore penale della fattispecie realiz-zata, infatti, non basta che il soggetto abbia elaborato mentalmente un rea-to mediante la nuda cogitatio, ma occorre l’imprescindibile estrinsecazionedi tale idea in un reale comportamento fattuale che si produca nel mondoappunto della materialità.Il principio di materialità è espressione dell’esigenza di certezza e disicurezza giuridica ed è posto a garanzia della libertà individuale (favorlibertatis), dal momento che consente di ricondurre nel novero dellefattispecie penalmente rilevanti le sole azioni esterne con cui si articolanoi rapporti di convivenza tra i consociati, sottraendo a qualsiasi disciplinagiuridica gli atteggiamenti meramente interni della persona, riservati inquanto tali alla sola coscienza ed al giudizio morale.L’art. 25 co. II Cost., nel sancire che «nessuno può essere punito se non inforza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso», con-sente di fondare il nostro diritto penale sul principio della materialità in quantoricollega la sanzione penale alla commissione di un fatto, inducendo perciò avalutare il fatto come separato dalla personalità di colui che lo compie.

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Principio di materialità 27

In definitiva, il principio di materialità assolve alla precipua funzione didelimitazione dell’illecito penale, derivando infatti da esso il divieto diconsiderare reato un atteggiamento volontario meramente interno ovveroun modo di essere della persona o, ancora, un’intenzione meramente di-chiarata che non si sia materializzata nella realtà naturalistica e sociale.La materialità del fatto di reato, infatti, può esprimersi soltanto o me-diante un’estrinsecazione minima dell’inizio dell’azione (ad es. reati di ten-tativo o di attentato), o con la realizzazione dell’intera azione (ad es. reatidi mera condotta) o, infine, con la produzione dell’evento finale (ad es.reati di evento).

1 bis. Qual è la struttura del reato?

Il reato costituisce un’entità essenzialmente unitaria e organicamente omo-genea data l’intima connessione esistente tra gli elementi che lo compon-gono; a tal riguardo, la dottrina, nel corso degli anni, si è dedicata allostudio analitico del reato al fine di perseguire al meglio l’indagine diquest’unicum inscindibile.L’analisi sulla struttura del reato ha dato luogo a due teorie: la teoria dellabipartizione e la teoria della tripartizione.La teoria c.d. bipartita ha considerato il reato come un’entità compostada due soli elementi: l’elemento oggettivo (o materiale) e l’elemento sog-gettivo (o psicologico). Nel primo, infatti, sono ricondotti tutti i datiestrinseci, fenomenici, con i quali si manifesta il reato, e cioè il comporta-mento umano e le sue conseguenze. Nel secondo, invece, si ricollegano gliaspetti attinenti alla sfera morale dell’agente, alla sua adesione psicologicae volontaria rispetto al fatto oggettivamente mostratosi come illecito. Insostanza, mentre l’elemento oggettivo rappresenta il fatto materiale intutti i suoi elementi costitutivi, quali la condotta, l’evento ed il rapporto dicausalità tra condotta ed evento, l’elemento soggettivo esprime il diversoatteggiarsi della volontà del soggetto agente nelle forme del dolo, dellacolpa o della preterintenzione.Per la teoria tripartita, il reato si compone di tre elementi: il fatto tipico,l’antigiuridicità e la colpevolezza; il fatto tipico è da intendersi res-trittivamente, cioè come fatto materiale comprensivo dei soli requisiti og-gettivi, quali la condotta, l’evento ed il nesso causale; l’antigiuridicità sitraduce nella contrarietà del fatto materiale all’ordinamento, e cioè nell’as-senza di cause di giustificazione; infine, la colpevolezza rappresenta la

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Parte Seconda28

volontà riprovevole del soggetto agente nelle sue due forme del dolo e del-la colpa.Di scarso rilievo pratico si è, invece, rivelata la teoria c.d. quadripartita,secondo cui ulteriore elemento del reato, oltre alla tipicità, alla antigiuridicitàe alla colpevolezza, sarebbe la punibilità del fatto antigiuridico e colpe-vole; in tal modo, dunque, si valorizza l’elemento della punibilità comecomplesso di fattori esterni al fatto di reato che possono portare ad esclu-dere l’opportunità della sanzione.Nella struttura del reato non rientra il soggetto attivo e, cioè, la personafisica che lo commette. Ciò nonostante, rileva la distinzione tra reati co-muni e reati propri: mentre per reato comune si intende quel reato chepuò essere commesso da chiunque, il reato cd. proprio può essere com-messo soltanto da colui che riveste una determinata qualifica o abbia unostatus precisato dalla norma o possieda un requisito necessario per la com-missione dell’illecito. Infine, nell’ambito del reato proprio si suole distin-guere tra reati propri esclusivi, per la cui esistenza è sempre richiesta laspecifica qualifica soggettiva del reo, e reati propri non esclusivi che, inmancanza della qualifica del soggetto agente, risultano comunque penal-mente rilevanti e come tali punibili a titolo di reato comune.

1 ter. Quali conseguenze scaturiscono dall’interpretazione del reatosecondo la teoria bipartita o secondo la teoria tripartita?

La teoria tripartita si differenzia dalla concezione bipartita dal momentoche evidenzia la necessità, una volta accertata l’esistenza di una situazionedi fatto conforme a quella descritta dalla fattispecie, e prima ancora diverificare la sussistenza di una volontà colpevole nell’agente, di riscontra-re l’antigiuridicità del fatto tipico, ulteriore requisito intermedio, che attestil’assenza di cause di giustificazione che rendano lecito (e quindi nonantigiuridico) il fatto-reato.Diversamente, i sostenitori della teoria bipartita ritengono che l’an-tigiuridicità del fatto, integrando l’essenza stessa del reato, non debba es-sere considerata come un elemento autonomo del reato, ma come merodato valutativo destinato ad accertare la non conformità della condotta al-l’ordinamento. Nell’ambito della concezione bipartita si è così sviluppatala teoria degli elementi negativi del fatto secondo cui il fatto umano sicompone tanto di elementi integranti le connotazioni del reato (elementi

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positivi) quanto di elementi destinati ad escludere il dato oggettivo dellasua illiceità (elementi negativi); tra i primi rientrano gli elementi descrittidalla fattispecie incriminatrice, tra i secondi vanno invece ricomprese lecause di giustificazione (o scriminanti).In definitiva, la differenza tra bipartitismo tripartitismo si incentra nel di-verso modo di considerare le scriminanti, e cioè come elementi negatividel fatto o della antigiuridicità.

1quater. I reati c.d. senza condotta o di mero sospetto violano ilprincipio di materialità?

Come su riferito, il principio di materialità postula l’oggettiva rilevabilitàdi ogni tipo di condotta nel mondo esterno, dovendo essa necessariamenteintegrare un accadimento che, realizzandosi, colpisce un determinato benegiuridico.In chiave critica, però, si è rilevata l’esistenza di reati cd. senza condottao di mero sospetto connotati dalla mancanza di uno specifico compor-tamento del soggetto punibile. Tra questi è possibile rinvenire il reato dicui all’art. 707 c.p. che persegue chi, gravato da precedenti penali conno-tati dal fine di lucro, è colto in possesso di chiavi adulterine o di strumentidi scasso.A tal riguardo, più volte la Corte Costituzionale è intervenuta al fine diaccertare o meno l’illegittimità costituzionale di tali fattispecie di reati peril contrasto con i principi di materialità e di offensività.Da ultimo, la Corte Costituzionale, con sentenza n. 265/2005, ha respin-to le eccezioni di legittimità dell’art. 707 c.p. che, per l’appunto, punisceil possesso ingiustificato di chiavi e grimaldelli, sollevate dal Tribunale diViterbo con due ordinanze in riferimento agli articoli 3, 13, 24 co.II, 25co.II e 27 Cost. In particolare, il giudice a quo aveva ritenuto non manife-stamente infondata l’eccezione di legittimità costituzionale sollevata dalP.M. che aveva rilevato l’appartenenza della fattispecie incriminatrice inesame alla generale categoria dei reati c.d. senza condotta o di mero so-spetto entro cui si annoverano numerosi gruppi di illeciti, variamente defi-niti e accomunati da un’ombra di incostituzionalità per contrasto con i prin-cipi di materialità e di offensività, in ragione dell’eccessivo grado di antici-pazione della tutela del bene giuridico penale.La norma in questione, la cui vigenza è sopravvissuta a numerosi rilievi dicostituzionalità, è comunemente ritenuta l’unica norma residuale in mate-

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Parte Seconda30

ria di reati cd. senza condotta o di mero sospetto prevista dal Codice pena-le, i quali rappresentano forme di anticipazione della tutela penale dei benigiuridici ad uno stadio addirittura anteriore alla messa in pericolo, giacchéincriminano comportamenti che solo indirettamente espongono a pericolol’integrità del bene.La norma è inserita nel paragrafo V della sezione III del libro III del Codi-ce Penale e prevede alcune ipotesi contravvenzionali destinate a prevenirela commissione di delitti contro il patrimonio.In tale ambito, diverse ipotesi di reato sono state dichiarate incostituzionalicon pronunce della Corte Costituzionale. In particolare, la norma dell’art.708 c.p. (possesso ingiustificato di valori) era stata dichiarata inco-stituzionale con sentenza n. 370/1996, mentre la norma dell’art. 707 c.p. èstata invece dichiarata parzialmente illegittima con sentenza n. 14/1971nella parte in cui, tra le condizioni personali dell’agente, annoveravano lamendicità, l’essere stato ammonito ovvero l’essere stato sottoposto ad unamisura di sicurezza personale o ad una cauzione di buona condotta.La sentenza della Consulta nel 2005 afferma che i principi di materialità edi necessaria offensività costituiscono, insieme a quello di legalità, i capi-saldi del nostro sistema sanzionatorio penale.Pertanto, la Corte, richiamando la propria giurisprudenza in materia, haescluso che possa raffigurarsi una violazione del principio di ma-terialità, il quale, a giudizio del rimettente, consisterebbe nel fatto che lafattispecie in esame non descrive una condotta oggettivamente apprezzabi-le, ma dei meri «stati soggettivi», in quanto la condotta esteriore, ravvisabilenel possesso di alcune cose, costituirebbe soltanto un fatto «indiziante, anchein connessione con determinate condizioni personali, di reati non accertatiod ancora da compiere».La Corte ha, tuttavia, chiarito che il reato di cui all’art. 707 c.p. «presuppo-ne una necessaria condotta, di cui il possesso attuale di determinate coseche, quoad personam, inducono al sospetto, non è che una conseguenza»,ribadendo poi, in conformità a quanto sostenuto in dottrina, che «il possessoconcreta già una condotta o, comunque, fa seguito ad una condotta, tant’èvero che se il possesso non è volontario, il reato non sussiste».In effetti, sostiene la Corte, la fattispecie in esame è caratterizzata non soloda una condotta positiva, rappresentata, appunto, dal possesso, ovviamentecosciente e volontario, di chiavi o di «strumenti atti ad aprire o a sforza-re serrature», ma anche dalla presenza di un requisito «negativo», costi-

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tuito dalla mancanza di elementi idonei a giustificare l’attuale destina-zione di tali oggetti.La Corte ha respinto, poi, anche le doglianze del remittente in relazionealla violazione del principio di offensività: l’insieme degli elementicostitutivi descritti dall’art. 707 c.p. consente di concludere che la norma èvolta a tutelare, sotto forma di esposizione a pericolo, un interesse penal-mente rilevante, nel rispetto del principio dell’offensività in astratto, do-vendosi al contempo, però, tener presente che la particolare configurazio-ne della contravvenzione in esame lascia aperta la possibilità che si verifi-chino casi in cui alla conformità del fatto al modello legale non corrispon-de l’effettiva messa in pericolo dell’interesse tutelato. Il giudice chiamatoa fare applicazione della norma dovrà pertanto operare uno controllo parti-colarmente rigoroso circa la sussistenza del requisito dell’offensività inconcreto, verificando la specifica attitudine funzionale degli strumenti adaprire o forzare serrature e valutando le circostanze e le modalità di tempoe di luogo che accompagnano la condotta, dalle quali desumere l’attualitàe la concretezza del pericolo di commissione di delitti contro il patrimonio.L’individuazione della materialità della condotta incriminata e dell’inte-resse tutelato dall’art. 707 c.p. dimostrano pertanto l’infondatezza dellecensure sollevate in riferimento all’art. 25, secondo comma, Cost., rima-nendo, inoltre, privi di autonomo rilievo gli ulteriori profili di inco-stituzionalità, dedotti con riferimento ai parametri di cui agli artt. 3, 13, 24,secondo comma, 27, primo, secondo e terzo comma, Cost.

2. Quali sono le teorie che si sono sviluppate in relazione allanozione di «condotta»?

Riferimento normativo: art. 40 c.p.

Nozione: comportamento umano costituente reato che può consistere in un’azio-ne o in un’omissione.

Classificazione dei reati in base alla condotta:

• Reati d’azione (o commissivi)• Reati omissivi• Reati misti

Domande consequenziali: le diverse connotazioni della condotta attiva, la strut-tura del reato omissivo, i reati omissivi propri ed omissivi impropri, fonti dell’ob-bligo giuridico di agire.

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Parte Seconda32

Articolazione della risposta

La condotta costituisce il requisito minimo indefettibile del fatto tipi-co. Dottrina e giurisprudenza hanno posto la nozione di condotta al centrodi un acceso dibattito, essenzialmente al fine di fornire una definizioneunitaria, idonea a ricomprendere l’azione, l’omissione, il comportamentodoloso e quello colposo.Le teorie prospettate sono diverse, ma ciò nondimeno oggi nessuna si rive-la soddisfacente.La concezione naturalistico-causale ha descritto la condotta come unmovimento corporeo, determinato dalla volontà e capace di modificare ilmondo esterno, ma in tal modo ne è rimasta esclusa l’omissione caratteriz-zata, invece, dall’assenza di qualsiasi movimento fisico.La teoria c.d. finalistica ha considerato la condotta come quell’azioneconsapevole dell’uomo, funzionale al perseguimento di un dato obiettivo;in tal senso il reato risulta connotato da un’attività finalisticamente orien-tata, del tutto distinta da accadimenti meramente casuali privi di qualunquescopo. Anche questa interpretazione, però, si è rivelata fallimentare, inca-pace di ricomprendere la condotta omissiva e quella colposa in quanto inentrambe manca comunque una volontà finalistica.La più recente teoria sociale ha identificato la condotta in qualsiasi com-portamento socialmente rilevante; si tratta di quella concezione con la qualesono stati effettivamente ricompresi tutti i comportamenti (attivi, omissivi,colposi o dolosi), rimanendo così escluse solo le reazioni inconsapevolidell’uomo. Pur tuttavia, numerose critiche hanno ben presto scalfito lafondatezza anche di questa teoria, soprattutto in considerazione del fattoche essa poggia su un approccio teorico assai poco rigoroso e finisce pernon essere sufficientemente descrittiva dei caratteri necessari della con-dotta.Oggi, dunque, la dottrina e la giurisprudenza sostengono l’impossibili-tà di esprimere con la condotta un concetto unitario, anche alla luce deldato che l’azione è oggettivamente rilevabile nella realtà fenomenica, mentrel’omissione di per sé non ha consistenza naturalistica.Caratteristica comune di qualsiasi tipo di condotta è comunque conside-rata la sua oggettiva rilevabilità nel mondo esterno, dovendo essa inte-grare un accadimento la cui realizzazione colpisce un bene giuridico tute-lato dalla norma incriminatrice.

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2 bis. Quali sono le forme di condotta attiva penalmente rilevanti?

La condotta può consistere o in una azione oppure in una omissione, che,rispettivamente, danno luogo a reati commissivi e reati omissivi; mentre iprimi, infatti, possono essere commessi soltanto mediante un’azione (ades. furto o rapina), i secondi si realizzano solo a mezzo di una omissione(ad es. omissione di referto ovvero omissione di atti di ufficio). Si dicono,invece, reati a condotta mista quelle fattispecie criminose che richiedonoper la loro realizzazione, cumulativamente, sia una azione sia una omissio-ne (ad es. il reato di insolvenza fraudolenta di cui all’art. 641 c.p.).Con riguardo alla condotta attiva, occorre considerare che l’azione in sen-so stretto si traduce nel movimento corporeo dell’uomo destinato a modi-ficare il mondo esteriore, idoneo ad offendere o a mettere in pericolo uninteresse giuridicamente rilevante tutelato dalla norma incriminatrice. Lamaggior parte delle fattispecie commissive postula azioni che possono ar-ticolarsi in una pluralità di movimenti corporei; a tal riguardo, la dottrinaha individuato la condotta procedendo alla unificazione di tutti gli even-tuali atti che la compongono in ragione della loro univoca idoneità offensi-va, oggettiva caratteristica dell’azione, che in quanto tale trova riscontro intutte le condotte attive punibili.In relazione alla condotta, i reati possono distinguersi in: reati a formavincolata, costruiti dalla norma incriminatrice attraverso la descrizione diun’azione connotata da specifiche modalità (ad es. il reato di truffa, di cuiall’art. 640 c.p., la cui punibilità è subordinata all’accertamento di unacondotta attiva dell’agente conseguita mediante «artifizi e raggiri»); reatia forma libera (o casualmente orientati) per i quali la fattispecie descrittadalla norma è tipizzata facendo leva essenzialmente sull’evento, in quantola condotta può assumere qualsiasi forma purché idonea a provocare l’even-to (ad es. l’art. 575 c.p. che punisce l’omicidio tutela il bene della vitaindipendentemente dalle modalità di aggressione).

2 ter. Cosa si intende per reati «senza azione»?

Una parte della dottrina, soprattutto in tempi più remoti, ha ritenuto diravvisare alcuni casi di reati senza condotta in alcune norme del Codicepenale (ad es. quello previsto dall’art. 707 c.p. che punisce chi è colto inpossesso di particolari oggetti – grimaldelli – avuto riguardo anche dellequalità personali del reo), contrastanti in quanto tali con il principio costi-tuzionale di materialità.

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Parte Seconda34

Tale dottrina ritenne che in queste ipotesi non fosse punita alcuna condot-ta, bensì soltanto la relazione di fatto esistente tra il soggetto e la cosa.Questi reati, pertanto, vennero definiti «di posizione» o di «mero sospet-to», nei quali cioè verrebbe punito non già un determinato comportamentodel soggetto, ma il fatto stesso di trovarsi in una determinata posizioneindicata dalla norma incriminatrice che, dunque, descrive esclusivamenteil momento in cui il soggetto viene scoperto e non la condotta in sé.Oggi questo orientamento dottrinale sembra essere stato disatteso da dot-trina e giurisprudenza prevalenti che considerano esistente anche inquesti casi una condotta penalmente rilevante, costituita proprio dal-l’essere in possesso di determinati arnesi. La condotta di possedere, chegeneralmente si protrae nel tempo, inizia con l’impossessamento e terminaquando gli oggetti sono perduti o abbandonati o dati ad altri.

2 quater. Quale articolazione assume il reato omissivo?

Accanto al modello tradizionale di illecito penale, strutturato in termini dicondotta commissiva, il legislatore penale ha introdotto, sanzionandole,fattispecie incriminatrici omissive. Si tratta di fattispecie caratterizzateda una particolare forma di condotta criminosa consistente nel manca-to compimento da parte del soggetto dell’azione possibile e giuridica-mente dovuta. Il ricorso a tali fattispecie, oltre ad essere espressione delleistanze solidaristiche consacrate nell’art. 2 Cost., risponde alla nuova esi-genza imposta dallo sviluppo tecnologico della società di emanare regolecautelari, la cui violazione, per l’appunto, presuppone condotte omissivepenalmente rilevanti.La dottrina tradizionale, nell’intento di rintracciare un minimo comunedenominatore tra condotta attiva e quella omissiva, ha più volte attribuitoall’omissione un’essenza fisico-naturalistica sulla base di differenti per-corsi ricostruttivi, tesi a configurare l’omissione talvolta come un «nihilfacere» (e cioè come inerzia), talvolta come un «aliud facere» (e cioè comeun’azione diversa da quella richiesta dalla norma di comando), talaltra,ancora, come un movimento interno nervoso con cui si arresta l’impulsoad agire.Oggi la dottrina più recente è concorde nel riconoscere alla omissione un’es-senza normativa a base ontologica, consistendo essa nel «non facere quoddebetur», ovverosia nel non compiere l’azione possibile che il soggetto

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ha il dovere giuridico di compiere. Da un lato, dunque, è necessario chesul soggetto gravi un obbligo giuridico di agire, dall’altro deve sussisterela possibilità di adempierlo, risultando questa esclusa allorché manchinole condizioni per compiere l’azione richiesta (ad impossibilia nemo tenetur).Pertanto, assumono giuridica rilevanza solo le omissioni che consistononella violazione di un dovere giuridico di fare.

2 quinquies.Come vengono classificati i reati omissivi?

Il Codice Penale consente di formulare un addebito penale in terminiomissivi, oltre che per mezzo di fattispecie omissive espressamente tipizzatecome tali, anche per opera della clausola generale di equivalenza causaletra responsabilità commissiva e responsabilità omissiva in quanto l’art. 40co.II c.p., dispone che «non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuri-dico di impedire, equivale a cagionarlo».Sulla base di tali considerazioni ne deriva che, nell’ambito dei reati omissivi,la summa divisio è tra reati omissivi propri e reati omissivi impropri (ocommissivi mediante omissione).Pertanto, mentre i reati omissivi propri sono tipizzati espressamente dallalegge dal momento che costituiscono fattispecie espressamente e specifi-camente previste dalle norme di parte speciale (ad es. omissione di soccor-so ex art. 593 c.p.), i reati omissivi impropri derivano dalla combinazionedella norma di parte speciale configurante una fattispecie commissiva conla clausola di equivalenza di cui all’art. 40 co.II c.p. (è il caso, ad esempio,del cantoniere che, omettendo di manovrare uno scambio, causa un sinistroferroviario oppure, ancora, il caso in cui una madre che omette di allattareil proprio figlio ne determina la morte).La dottrina più recente ha individuato un ulteriore ed alternativo elementodiscretivo tra le due tipologie di reato omissivo, che fa perno sulla struttu-ra della fattispecie. Secondo il più recente orientamento, infatti, il trattodifferenziale è da ravvisarsi nella verificazione o meno dell’evento, inaggiunta alla condotta. Più precisamente, mentre i reati omissivi propririsulterebbero integrati dal semplice mancato compimento dell’azionedovuta, senza che rilevi il verificarsi dell’evento, i reati omissivi impro-pri risulterebbero integrati dal mancato impedimento dell’evento mate-riale, richiedendosi, infatti, per il loro perfezionamento, anche la verifica-zione dell’evento; per questi ultimi, dunque, ciò che rileva è il mancatocompimento dell’azione destinata all’impedimento dell’evento naturalistico.

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2 sexies. Quali sono le «fonti» da cui deriva l’obbligo giuridico diagire?

La caratterizzazione in termini di doverosità giuridica della condotta omessasi riconduce alla individuazione in capo al soggetto, per entrambe le tipologiedi reato omissivo, di una posizione di garanzia, da cui scaturisce l’obbli-go giuridico di attivarsi o di impedire l’evento.Mentre nei reati omissivi propri la fonte da cui sorge l’obbligo giuridicodi agire è agevolmente rappresentata dalla stessa norma incriminatrice diparte speciale con cui è espressamente tipizzata la condotta omissiva, ilproblema relativo alla individuazione e alla delimitazione delle fonti da cuisorge l’obbligo giuridico di impedire l’evento si è posto in particolar modoper i reati omissivi impropri.A tal riguardo, si sono tradizionalmente contrapposti due orientamenti: quellomaggioritario e più garantista che fa perno sul criterio formale della fontedell’obbligo di garanzia (teoria c.d. formale) e quello che attribuisce rilievoalla funzione che viene assegnata ad un determinato obbligo, preferendo cosìun criterio di tipo sostanziale (teoria c.d. sostanziale o funzionale).Secondo la teoria formale, infatti, le fonti da cui può nascere l’obbligo diattivarsi per impedire l’evento, rilevante ex art. 40 co.II c.p., sono la legge,penale o extrapenale, ed il contratto.Secondo la teoria sostanziale, invece, non rileva la giuridicità della fon-te in quanto occorre dare preminenza non alla sussistenza di un obbligoformale di impedire l’evento, bensì ad una sostanziale posizione di garan-zia che è ravvisata in capo al soggetto garante, inteso come colui che pos-siede un potere di signoria sulle condizioni essenziali del verificarsi del-l’evento tipico.Oggi prevale la tesi c.d. mista che utilizza i criteri di carattere sostanzialeper discernere, tra i vari obblighi poste da norme diverse da quella dell’ art.40 co.II c.p., quelli che hanno il significato di un obbligo di garanzia.

2 septies.Quali sono le «posizioni di garanzia» che gravano sul sog-getto titolare dell’obbligo di agire?

I reati omissivi impropri presuppongono che ad un soggetto sia attribuitodall’ordinamento giuridico il compito di proteggere determinati interessi,rivelandosi a tal fine necessaria l’esistenza di un particolare rapporto diprotezione tra il soggetto (c.d. garante) ed un dato bene giuridico.

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Sono tre i requisiti affinché una situazione tipica di obbligo acquisti ilsignificato di una posizione di garanzia: l’incapacità del soggetto ga-rantito all’autonoma difesa del bene; il carattere speciale dell’obbligo,che deve gravare su alcuni soggetti e non sulla generalità dei consociati; larelazione di immediatezza tra la protezione del bene e l’obbligo giuri-dico.In base ad un criterio funzionale, fondato proprio sullo scopo perseguitodalla posizione del garante, risulta, inoltre, possibile individuare due di-stinte posizioni di garanzia: le posizioni di controllo e le posizioni diprotezione.Le posizioni di controllo hanno ad oggetto, per l’appunto, il controllo diuna fonte di pericolo, implicando l’esistenza in capo al garante di unasituazione di dominio su un oggetto materiale o sullo svolgimento di un’at-tività, da cui derivano pericoli per gli interessi dei terzi.Le posizioni di protezione, invece, hanno ad oggetto la protezione di de-terminati interessi dal momento che presuppongono l’esistenza di un par-ticolare legame giuridico tra il garante ed il titolare dei beni da proteggere,in virtù del quale al primo è affidato il compito di tutela di tali beni datal’incapacità del secondo di proteggerli adeguatamente.

2 octies. Come si realizzano fattispecie omissive caratterizzate dauna pluralità di garanti?

Per alcune attività professionali naturalmente pericolose l’ordinamentoprevede una pluralità di posizioni di garanzia, ciascuna riferita ad undeterminato ambito specialistico oppure ad una determinata fase della com-plessiva attività.Effettivamente, quindi, la pluralità di garanti può essere retta da un crite-rio di coesistenza oppure da un criterio di successione di una all’altra.Nell’ipotesi di coesistenza è senz’altro configurabile una responsabilitàconcorrente dei garanti, perché sul piano causale il fatto lesivo è unico,non suscettibile di essere frazionato in relazione ai rispettivi ambiti specia-listici e, quindi, la garanzia è unica, sia pure gravante su più soggetti. Nona caso, la giurisprudenza richiama il concetto di solidarietà della ga-ranzia. Sul piano della colpevolezza, invece, in via di principio ciascunorisponde del proprio ambito di competenza e non ha un dovere di vigilanzasull’operato altrui, a meno che questo dovere non gli venga imposto da unaspecifica fonte, come accade, ad es., per il primario di una equipe medica.

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Ma al di fuori di questa specifica previsione, ciascuno può, dunque, dili-gentemente fare affidamento sul corretto operato altrui.Secondo la giurisprudenza, tuttavia, questo affidamento non può essereidentificato in un disinteresse per l’attività altrui, in quanto, essendo leposizioni di garanzia coesistenti ed integrate per impedire l’evento, un or-dinario dovere di diligenza impone a ciascun garante di verificare even-tuali imperizie altrui macroscopiche, cioè rilevabili anche da chi nonpossegga le necessarie cognizioni tecniche, proprie di quella competenzanel cui ambito si è verificata l’omissione. In tal caso, infatti, anche l’altrogarante o gli altri garanti, che pur abbiano adempiuto ai propri obblighigiuridici di rispettiva competenza, sono tenuti ad intervenire per rimediarealla colpa altrui, nell’ambito di un’interpretazione solidaristica della re-sponsabilità omissiva coerente con il fondamento costituzionale dell’art. 2Cost. In mancanza, anche gli altri garanti saranno responsabili per il man-cato impedimento dell’evento.Più controversa è, invece, la fattispecie della pluralità di garanti retta daun criterio di successione, perché in primo luogo sul piano causale leomissioni successive potrebbero interrompere il nesso causale tra la prece-dente omissione e l’evento finale. Sul piano, poi, della colpevolezza, ilprimo garante potrebbe invocare il ragionevole affidamento nell’interven-to riparatore dei garanti successivi e viceversa, cioè i garanti successivipotrebbero riporre affidamento sul corretto adempimento dell’obbligo diagire da parte del primo garante.Ma anche in tal caso la giurisprudenza afferma la solidarietà tra i garanti,sia sul piano causale che su quello della colpevolezza.Nella pluralità di garanti a fasi successive, ciascun garante è infatti consapevo-le delle attività che saranno compiute dagli altri per il raggiungimento del risul-tato finale e, dunque, per definizione eventuali fattori successivi, sopravvenutinon sono in grado di spezzare il nesso causale. Sul piano, poi, della colpevolezza,l’omissione colposa originaria non può essere esclusa dall’affidamento nel-l’intervento dei successivi garanti, perché la colpa va accertata con riguardo almomento della condotta, che nel caso di specie è un condotta omissiva, ed insecondo luogo perché l’affidamento, pur ragionevole, non esclude il rimprove-ro per imperizia, negligenza, commesse in precedenza.Anche i successivi garanti non possono invocare l’affidamento, perché pro-prio la successione delle fasi impone al garante successivo la previa verifi-ca della corretta conclusione della fase precedente.

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La dottrina, tuttavia, pur apprezzando la coerenza di quest’orientamentocon i principi costituzionali, ritiene che la solidarietà possa riguardaresolo posizioni di garanzia omogenee, cioè tutte di protezione oppure tuttedi controllo. E’ questo certamente ciò che si verifica, ad es., per l’attivitàmedica in equipe, oppure per le attività di progettazione, direzione e col-laudo dei lavori.Quando, invece, le posizioni di garanzia sono eterogenee, cioè alcune diprotezione ed altre di controllo, la solidarietà non potrebbe essere affer-mata, in base ad un principio di esigibilità dell’adempimento dell’obbligodi impedire l’evento. Infatti, la posizione di protezione implica un rapportodiretto tra garante e titolare del bene da proteggere, mentre la posizione dicontrollo implica un rapporto diretto tra garante e fonte del pericolo. Indottrina la eterogeneità delle posizioni di garanzia è ritenuta insuscettibiledi essere retta da un criterio di solidarietà. L’unico criterio conforme alprincipio di personalità dell’illecito penale è quello di sussidiarietà.Quindi, se c’è stata una omissione del garante di controllo, il garante diprotezione non ne risponde, sempre che l’esposizione del titolare del benealla fonte di pericolo non sia dipesa, a sua volta, da un’omissione del garantedi protezione.

2 nonies. È ammessa la configurabilità del tentativo nei reati omissivipropri ed in quelli impropri?

Al fine di risolvere la questione relativa alla ammissibilità o meno deltentativo nell’ambito dei reati omissivi, si rivela utile procedere ad unadifferenziazione a seconda che l’analisi debba riferirsi ai reati omissivipropri ovvero ai reati omissivi impropri.

Nella struttura del reato di pura omissione vi è, come noto, un termineessenziale per l’adempimento che è fissato o in modo esplicito o comun-que implicito. Proprio sulla natura del termine la dottrina tradizionale di-stingueva i reati di pura omissione in reati istantanei o permanenti:

— se il termine fosse stato perentorio il reato sarebbe stato a consumazio-ne istantanea;

— se il termine fosse stato dilatorio il reato sarebbe stato permanente.

Oggi questo criterio è stato abbandonato perché la essenzialità del ter-mine per l’adempimento è tale, nella struttura nel reato di pura omis-sione, da assumere sempre carattere di perentorietà.

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Il criterio, allora, adottato dalla dottrina più recente è quello dell’utilitàdell’adempimento tardivo:

— se, scaduto il termine, l’adempimento fosse inutile il reato sarebbe daconsiderare istantaneo;

— se, scaduto il termine, il comportamento sarebbe ancora comunque uti-le al fine di scongiurare o ridurre l’offesa al bene protetto, il reato sa-rebbe permanente.

Questa diversificazione assume rilevanza ai fini della più generale que-stione della configurabilità del tentativo.La giurisprudenza esclude la configurabilità del tentativo nei reatiomissivi propri sostenendo la irrilevanza penale di tutti i comporta-menti diversi tenuti prima della scadenza del termine.Sul piano formale, poi, si sostiene che l’art. 56 c.p., richiedendo atti idoneied univoci, non sarebbe compatibile con la struttura omissiva della condot-ta, altrimenti si avrebbe un’ingiustificata trasformazione del reato omissivoin un reato tentato solo apparentemente omissivo, ma, in realtà, commissivo.La dottrina contesta questa tesi radicale, soprattutto in relazione a quelleipotesi in cui il soggetto ponga in essere atti idonei a metterlo nella con-dizione di impossibilità di adempiere, poi, all’obbligo giuridico di agire,alla scadenza del termine.Sul piano formale, poi, viene negata la pretesa incompatibilità tra l’art. 56c.p. ed i reati di pura omissione, evidenziando che la tesi giurisprudenzialemuove da una concezione del tentativo ormai superata, che è quella di unaforma di manifestazione del reato che, così intesa, resterebbe strettamenteancorata alla descrizione della fattispecie consumata.Oggi la dottrina è assolutamente dominante nel considerare il tentativonon una forma ancillare del reato consumato, ma un reato autonomo, risul-tante, appunto, dalla combinazione dell’art. 56 c.p. con le singole normeincriminatici. Alla luce di tale concezione, dunque, l’art. 56 c.p. avrebbeuna vera e propria funzione estensiva dell’ordinamento penale, quindi ingrado di doppiare tutte le fattispecie, ad eccezione di quelle, come i reati dipericolo ed i reati di attentato, per i quali già nella forma consumata illegislatore ha anticipato la soglia della punibilità e, quindi, un ulteriorearretramento di tale soglia ex art. 56 c.p., finirebbe per porsi in contrastocon il principio di offensività.

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Principio di materialità 41

La dottrina, inoltre, richiama la distinzione tra reato omissivo istantaneo ereato omissivo permanente:

— nel reato omissivo istantaneo, effettivamente la condotta omissiva nonsarebbe frazionabile e, quindi, prima della scadenza del termine qua-lunque condotta è e rimane lecita, una volta scaduto il termine il reato ègià consumato, quindi effettivamente non vi sarebbe spazio per il ten-tativo;

— nel reato omissivo permanente, ai f ini della consumazione non bastala scadenza del termine, perché sarebbe necessario un apprezzabile pro-trarsi nel tempo della condotta omissiva, cioè dell’inadempimento del-l’obbligo giuridico di agire; in mancanza di tale protrazione non sareb-be configurabile il reato permanente, ma solo eventualmente un tentati-vo di reato permanente. In tal caso, dunque, il tentativo è configurabileproprio perché la condotta omissiva, posta la sua necessaria per-manenza, è suscettibile di frazionamento.

Per il reato omissivo improprio, in via generale, il tentativo è senz’altroconfigurabile, perché, appunto, la fattispecie è frazionabile tra con-dotta ed evento naturalistico e, addirittura, anche nell’ambito dellasola condotta, quando per integrare la condotta casualmente idoneafossero necessarie più omissioni.Ai fini di una più completa analisi, appare utile evidenziare che, in relazio-ne al caso del ravvedimento operoso, il codice Rocco ha accolto la distin-zione tra tentativo incompiuto e tentativo compiuto: il tentativo incompiu-to si riferisce ad una condotta non ancora esaurita, mentre quello compiutosi riferisce ad una condotta esaurita cui, però, non segua l’evento per causeindipendenti dalla volontà del reo. Ne deriva, pertanto, che la desistenza èconfigurabile solo rispetto ad un tentativo incompiuto, mentre invece, unavolta esaurita la condotta e raggiunta così la forma di tentativo compiuto,l’unica forma possibile di ravvedimento è il recesso attivo.La distinzione, quindi, è rilevante, perché, se è configurabile desistenza, ilsoggetto va esente da responsabilità, salva una sua eventuale responsabilitàad altro titolo degli atti già compiuti (ad es., il soggetto che desiste dal-l’omicidio può rispondere di lesioni). Viceversa, il recesso attivo è soltantouna circostanza attenuante. Chiariti i rispettivi ambiti, qualora il reato siaomissivo in senso improprio, il tentativo può dirsi incompiuto e, quindi,ancora con possibilità di desistenza, quando sia ancora possibile il com-portamento adempitivi dell’obbligo, perché non si è ancora istaurato il

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Parte Seconda42

meccanismo causale dell’evento. Questo è il momento ultimo oltre il qualeci sarà recesso attivo, non desistenza.

2 decies. Come si caratterizza il reato di omissione di atti d’ufficio?

L’art. 328 c.p., nella formulazione introdotta con la riforma del 1990, in-clude due autonome fattispecie incriminatrici.Con la prima, è sanzionato il fatto del pubblico ufficiale o incaricato dipubblico servizio che rifiuta indebitamente un atto che per ragioni specifi-che, indicate dalla norma, deve essere compiuto senza ritardo.Con la seconda fattispecie, contenuta nel secondo comma, invece è incri-minata una condotta omissiva consistente nel non compiere, entro trentagiorni dalla richiesta di chi abbia interesse, l’atto dovuto, senza risponde-re per esporre le ragioni del ritardo. Si tratta, dunque, di un chiaro esem-pio di reato omissivo proprio o di pura omissione in cui l’obbligo giuridi-co di agire posto a carico del pubblico ufficiale ha fonte extrapenale,segnatamente amministrativa; inoltre, è un reato soggettivamente proprioin quanto richiede, ai fini del suo perfezionamento, una determinata quali-fica giuridica nel soggetto attivo.Secondo dottrina e giurisprudenza, il reato in questione integra un delittoplurioffensivo, ledendo infatti, oltre l’interesse pubblico al buon anda-mento e alla trasparenza della Pubblica amministrazione, anche il con-corrente interesse del privato leso dall’omissione dell’atto amministra-tivo dovuto: l’inosservanza dell’obbligo di agire è infatti penalmente san-zionato perché pone in pericolo determinati beni-interessi: buon andamen-to e imparzialità della Pubblica Amministrazione ex art. 97 Cost., nonchéinteressi pubblici facenti capo ad altre P.A. o a privati che sarebbero soddi-sfatti dall’adozione o dell’atto.Il rifiuto di cui all’art. 328 co.I c.p. non è un’omissione semplice, maqualificata da una preventiva richiesta che può provenire dalla PA o an-che da un privato. Diventa penalmente rilevante allorché vi siano ragio-ni di urgenza nel provvedere e l’atto da adottare inerisca ad una dellematerie tassativamente indicate da una norma penale (giustizia, sanità).Proprio in virtù del carattere plurioffensivo, la giurisprudenza tende a limita-re la rilevanza penale del rifiuto a quegli atti che abbiano rilevanza esterna,cioè terzi, soggetti pubblici o privati ma diversi dalla P.A. di appartenenza. Sitratta innanzitutto di provvedimenti finali, conclusivi di procedimenti, siapure nella forma semplificata, vista l’urgenza del provvedimento. Il rifiuto

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talora può riguardare anche atti endoprocedimentali, sempre che abbianorilevanza esterna. Infine, potrà venire in rilievo anche un mero comporta-mento materiale, purché, appunto, sia esecutivo di un provvedimento giàemanato, ma necessario per la soddisfazione dell’interesse del richiedente.Alla luce di tali rilievi, dunque, il bene giuridico protetto nella fattispeciedi cui al comma I si specifica proprio grazie all’urgenza del provvedere e,quindi, si traduce nell’effettività e continuità dell’azione amministrativa.Di conseguenza, restano privi di rilevanza penale quei rifiuti che produca-no effetti esclusivamente all’interno dell’apparato senza riflessi esterni,perchè appunto, in tal caso viene meno in radice, per definizione, il perico-lo quale evento in senso giuridico del delitto.Di recente la Suprema Corte di Cassazione è intervenuta nella questioneconcernente la configurabilità o meno della responsabilità penale ex art.328 c.p. a carico di un medico di guardia per aver egli omesso di proce-dere ad una visita medica a seguito di esplicita richiesta del paziente.La Cassazione, pertanto, ha ascritto in capo al medico di guardia tale tipodi responsabilità al reato di cui all’art. 328 c.p., per essersi egli stessosottratto ad un atto dovuto (rectius esplicita richiesta di visita da parte delpaziente) rispondendo di omissione di atti d’ufficio. Per i Supremi Giudi-ci, infatti, il medico doveva intervenire senza ritardo rispetto ad una situa-zione che presentava connotati di gravità. A confutazione di tale deciso,gli ermellini precisano che la constatazione dei sintomi è compito essen-ziale del medico che deve valutare la necessità di procedere ad un esameclinico nella specie completamente omesso.Peraltro, avendo l’ammalato rappresentato uno stato di malessere evidente(dolore, bruciore allo stomaco), in capo al sanitario si è venuto ad integrareil reato di dolo di omissione. La recente pronuncia, perciò, uniformandosiai precedenti orientamenti giurisprudenziali, afferma che se è pur vero chenon può negarsi al sanitario il compito di valutare la necessità di visitareil paziente sulla base del quadro clinico prospettatogli, considerando cheil rifiuto rilevante a norma dell’art. 328 deve riguardare un attoindifferibile, è anche vero che una tale discrezionalità può ben esseresindacata dal giudice di merito sulla base degli elementi di prova sotto-posti al suo esame. Cosicché risponde del delitto di omissione di atti diufficio il sanitario comandato del servizio di guardia medica che, richie-sto di una visita domiciliare urgente, non intervenga, pur presentando larichiesta di soccorso inequivoci connotati di gravità (Cass. n. 31670/2007).

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Parte Seconda44

3. Cos’è l’«evento»?

Riferimento normativo: art. 40 c.p.

Definizione: specificare che è anch’esso un elemento che si colloca nel fattotipico di reato e che costituisce il risultato della condotta attiva od omissiva delreo.

Teorie sull’evento:

• Concezione naturalistica: evento come effetto naturale della condotta uma-na penalmente rilevante.

• Concezione giuridica: evento come effetto offensivo della condotta, lesio-ne o messa in pericolo dell’interesse tutelato dalla norma.

Altri aspetti:

• classificazione dei reati secondo la concezione naturalistica: reati di eventoe reati di mera condotta.

• classificazione dei reati secondo la concezione giuridica: reati di danno ereati di pericolo.

Domande consequenziali: classificazione dei reati in base alle diverse teoriesull’evento.

Articolazione della risposta

L’evento è il risultato dell’azione o dell’omissione. Dall’art. 40 c.p. sidesume, infatti, che quando esso si verifica, il legislatore impone all’inter-prete di esaminare prima se dall’evento dipende l’esistenza di un reato epoi se lo stesso sia conseguenza dell’azione o dell’omissione di uno speci-fico soggetto.Sul significato di evento in ambito penalistico si contendono due opposteconcezioni: quella naturalistica e quella giuridica.Per i sostenitori della concezione naturalistica, l’evento viene inteso comeeffetto naturale della condotta umana penalmente rilevante, e cioè comemodificazione del mondo esteriore, diretta conseguenza della condotta at-tiva od omissiva del soggetto, immediatamente percepibile nella realtàfenomenica. Secondo questa interpretazione, l’evento non può essere con-siderato come un elemento costante di tutti i reati, dal momento che, talora,per l’esistenza di determinate fattispecie il legislatore penale richiede sol-tanto la condotta del soggetto, prescindendo così da ogni conseguente ma-nifestazione del mondo esteriore.Per i sostenitori della concezione giuridica, l’evento si configura comeeffetto offensivo della condotta, e cioè come lesione o messa in pericolo

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del bene-interesse giuridico tutelato dalla norma incriminatrice. La teoriadell’evento in senso giuridico considera, infatti, l’evento come l’effettogiuridicamente rilevabile dell’azione o dell’omissione che in quanto talericorre in tutti gli illeciti penali in considerazione del fatto che tutte le con-dotte penalmente rilevanti hanno come conseguenza, ancorché nonnaturalisticamente percepibile, la lesione o messa in pericolo del bene tu-telato.

3 bis. Come vengono classificati i reati secondo la teoria dell’eventoin senso naturalistico e quella dell’evento in senso giuridico?

Dalla concezione naturalistica dell’evento deriva la distinzione tra reatidi mera condotta, caratterizzati dal compimento di una data azione odomissione (come ad es. accade nell’omissione di referto, di cui all’art. 365c.p., dove nessun evento naturalistico deve sopravvenire per la consuma-zione del reato), e reati di evento, per il cui perfezionamento la legge ri-chiede che dalla condotta del soggetto scaturisca anche un determinatoeffetto esteriore (è quanto ad esempio accade nel reato di omicidio, punitoai sensi dell’art. 575 c.p., dove l’evento naturalistico della morte deve ne-cessariamente realizzarsi al fine della consumazione del reato medesimo).La concezione giuridica dell’evento consente, invece, di distinguere trareati di danno e reati di pericolo; nei primi è necessario, per la loroconfigurabilità, il verificarsi di una concreta lesione del bene protetto dallanorma (fra questi, si annovera il delitto di lesioni personali, di cui all’art.582 c.p., per il cui perfezionamento viene richiesto che dalla lesione perso-nale consegua la malattia fisica o mentale); nei secondi, è sufficiente che ilbene protetto sia anche solo messo in pericolo, realizzandosi così una le-sione al bene solo potenziale (in tale ambito è possibile riscontrare il reatodi danneggiamento con pericolo di incendio).

4. Cosa si intende per «rapporto di causalità»?

Riferimento normativo: art. 27 Cost., artt. 40-41 c.p.

Definizione: rappresenta il legame che deve sussistere tra la condotta dell’agentee l’evento verificatosi perché possa dirsi che quest’ultimo sia riconducibile alfatto proprio dell’agente.

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Parte Seconda46

Teorie connesse alla causalità:

• Teoria della «condicio sine qua non»;• Teoria della causalità adeguata;• Teoria della causalità umana.

Domande consequenziali: individuazione delle teorie elaborate dalla dottrinasul nesso causale, orientamento oggi prevalente, articolazione del nesso neireati omissivi.

Articolazione della risposta

Il principio di personalità dell’illecito penale, consacrato nell’art. 27 Cost.,nega l’ammissibilità nel nostro ordinamento di una responsabilità penale perfatto altrui e, dunque, consente di configurare esclusivamente la responsabili-tà per fatto proprio colpevole. A tal fine, il legislatore penale ha individuato,quale ulteriore elemento costitutivo del fatto di reato, il rapporto di causalità,ossia il nesso di derivazione causale dell’evento dalla condotta del reo; l’im-putazione di un evento lesivo richiede, come punto di partenza, che il reo abbiamaterialmente causato il risultato dannoso. Tali considerazioni sono state espres-samente stabilite dall’art. 40 c.p. che sancisce che «nessuno può essere puni-to per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l’evento dannoso o peri-coloso, da cui dipende la esistenza del reato, non è conseguenza della suaazione od omissione», con la precisazione che «non impedire un evento, chesi ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo».Ne deriva, pertanto, che il nesso causale deve essere accertato in tutti ireati quale elemento costitutivo: l’accertamento andrà compiuto in ter-mini naturalistici solo se l’evento abbia una consistenza naturalistica;qualora, invece, l’evento assuma una connotazione esclusivamente giuri-dica, come offesa al bene-interesse protetto, l’accertamento dovrà com-piersi in termini di derivazione logica dell’offesa dalla concreta condottatenuta dal reo.Il legislatore, peraltro, non ha fornito indicazioni utili all’interprete nellaricostruzione della nozione stessa di causalità e nella definizione del crite-rio di accertamento del nesso causale, dal momento che, con l’art. 40 c.p.,si è soltanto limitato a pretendere l’esistenza nel fatto storico di un rappor-to causale che riconduca l’evento lesivo alla condotta del reo, quale condi-zione necessaria perché possa dirsi integrata una fattispecie di reato.A tal riguardo, dottrina e giurisprudenza hanno proposto varie soluzioni; lateoria della «condicio sine qua non», la teoria della causalità adeguata

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e la teoria della causalità umana integrano, pertanto, le prevalenti rico-struzioni elaborate sul rapporto di causalità.

4 bis. Come viene interpretato il rapporto di causalità secondo lateoria della «condicio sine qua non»?

La teoria della condicio sine qua non (o della equivalenza delle condi-zioni) pretende di rinvenire una conferma dagli artt. 40 e 41 c.p. che af-fermerebbero il principio della c.d. equivalenza causale. Secondo questainterpretazione, infatti, deve ritenersi causa ogni singola condizione del-l’evento, ogni antecedente, senza il quale l’evento non si sarebbe verifi-cato: tutte le condizioni necessarie e sufficienti a produrre l’evento sono,dunque, causa dello stesso, così che, in tal modo, finiscono per equivalersi.Il meccanismo per accertare se (anche) la condotta umana possa essereconsiderata causa dell’evento è rappresentato dal c.d. giudizio con-trofattuale, che consiste in quel procedimento di eliminazione mentaledel fattore dato condizionante (la condotta), al fine di verificare se, in as-senza di quest’ultimo, l’evento si sarebbe ugualmente prodotto. Ne derivaallora che: la condotta umana è causa dell’evento se senza di esso l’eventonon si sarebbe verificato e, correlativamente, la condotta umana non è cau-sa dell’evento se senza di esso l’evento si sarebbe ugualmente realizzato.La teoria condizionalistica è stata però oggetto di diversi rilievi critici inquanto si è sostenuto che l’interpretazione offerta dai sostenitori della teo-ria medesima conduce ad una eccessiva estensione del concetto di causa,arrivando perciò a conseguenze assurde, quali ad esempio il regresso al-l’infinito dei fattori causali, dati per condizionanti, derivante dal fatto cheogni antecedente causale integra a sua volta l’effetto di una causa antece-dente.Inoltre, è stato evidenziato che la teoria in questione di per sé non indicaalcun criterio certo in base al quale esprimere il giudizio controfattuale.

4 ter. Quale significato è stato accordato al rapporto di causalità dalleteorie della «causalità adeguata» e della «causalità umana»?

Per mitigare il rigore della teoria condizionalistica è stata elaborata la c.d.teoria della causalità adeguata in base alla quale, ai fini della sussistenzadel rapporto di causalità, è necessario che l’agente abbia determinato l’even-to con un’azione proporzionata, e cioè adeguata; in particolare, la condot-

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ta può dirsi causa dell’evento solo se ex ante risulti idonea a cagionarel’evento secondo l’«id quod plerumque accidit», e cioè secondo i criteridi normalità valutati sulla base di massime di comune esperienza.Il giudice, quindi, per accertare la sussistenza del nesso causale deve com-piere una prognosi postuma che si articola in due momenti: in primo luogo,deve idealmente riportarsi idealmente al momento in cui il soggetto haagito, formulando così un giudizio ex ante; in secondo luogo, deve con-frontare il decorso causale effettivamente realizzatosi con quello prevedibile,verificando se l’evento realizza il pericolo che generalmente si ritiene con-nesso all’azione delittuosa.La teoria in questione non ha avuto molto seguito in dottrina ed in giuri-sprudenza, in quanto il concetto stesso di adeguatezza è inevitabilmentesoggetto ad applicazioni incerte, fondandosi esso su un giudizio di meraprobabilità. Inoltre si includono nell’ambito oggettivo della causalità con-siderazioni che invece appartengono al piano soggettivo dell’imputabilità,in quanto si ritiene antecedente causale qualcosa che è molto probabile chesi verifichi.Per la teoria della causalità umana, invece, possono considerarsi causatidall’uomo soltanto gli eventi che l’uomo può dominare in virtù deisuoi poteri cognitivi e conoscitivi, che rientrano cioè nella sua sfera disignoria (ANTOLISEI). Restano così esclusi da tale ambito gli eventi ec-cezionali, ovvero quelli imprevedibili che hanno una probabilità minima diverificarsi.Anche questa teoria si è rivelata ben presto inutile, non riuscendo a propor-si come concezione autonoma dato che con essa si assiste ad una inoppor-tuna contaminazione tra il piano oggettivo e quello soggettivo che generaconfusione tra rapporto di causalità e imputazione psicologica.

4 quater. Come viene risolto oggi il problema della causalità?

Di recente, dottrina e giurisprudenza hanno ripreso la teoria con-dizionalistica, apportandovi però alcuni correttivi. È stato, infatti, indivi-duato, quale criterio di accertamento del nesso causale tra condotta edevento, quello della sussunzione sotto leggi scientifiche di copertura, inomaggio ai principi di legalità e di tassatività.L’esame relativo alla esistenza del nesso, quindi, oggi viene effettuato indue fasi: nella prima, si accerta se una condotta possa essere causa di unevento sulla base di una legge scientif ica; nella seconda si accerta se nel

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caso concreto questo rapporto causale assuma rilievo per il diritto penale,alla luce della legge scientifica di copertura preventivamente accertata.Le leggi di copertura accessibili al giudice sono sia le leggi universali, checonsentono di affermare che al verificarsi di un evento si accompagna sem-pre il verificarsi di un altro evento, sia le leggi statistiche, che invece con-sentono di affermare che al verificarsi di un evento consegue, in una certaprobabilità di casi, il realizzarsi di un altro evento.Sulla scorta di tali considerazioni, ne deriva che è causa di un eventopenalmente rilevante il fatto umano che, valutato alla stregua di leggiscientifiche di copertura, risulti capace di produrre l’evento stesso che,senza di esso, non si sarebbe verificato.

4 quinquies.Quando il concorso di cause preesistenti, simultanee osopravvenute determina l’interruzione del rapporto dicausalità fra condotta ed evento?

Il concorso di cause integra quelle ipotesi in cui una pluralità di condotte odi situazioni appaiono idonee a produrre l’evento. A tal proposito, l’art. 41co.I c.p. sancisce il principio della equivalenza delle condizioni in quantodispone che «il concorso di cause preesistenti o simultanee o sopravvenu-te, anche se indipendenti dall’azione od omissione del colpevole, non escludeil rapporto di causalità fra azione od omissione e l’evento»: quando il sog-getto pone in essere una condotta che ha efficacia causale per produrre unevento, l’imputazione a lui del fatto non è esclusa dall’interventodell’operatività di altri fattosi, siano essi antecedenti, concomitanti o suc-cessivi alla condotta medesima.Notevoli difficoltà interpretative sono sorte in relazione alla norma conte-nuta nel secondo comma dell’art. 41 c.p., secondo cui «le cause soprav-venute escludono il rapporto di causalità quando sono state da sole suffi-cienti a determinare l’evento». Questa disposizione si rivela di per sé con-traddittoria data l’oggettiva impossibilità di ipotizzare «concause da solesufficienti a causare l’evento». Pertanto, al fine di risolvere tale dubbiointerpretativo, dottrina e giurisprudenza dominanti hanno più volte preci-sato che l’interruzione del rapporto di causalità tra condotta ed eventoha luogo quando la causa sopravvenuta sia del tutto estranea rispettoal comportamento tenuto dal soggetto. In tema di rapporto di causalità,la causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento, infatti,deve essere quella che non soltanto appartiene ad una serie causale com-

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pletamente autonoma rispetto a quella derivante dalla condotta, ma anchequella che, pur inserendosi nella serie causale scaturita dalla condotta del-l’agente, opera per esclusiva forza propria nella determinazione dell’even-to che, in quanto tale, si rivela frutto di fattori concausali sopravvenuti dicarattere eccezionale, ovvero imprevedibili e anormali.Dal momento che non è risultato conforme a giustizia il diverso trattamen-to delle cause sopravvenute rispetto a quelle concomitanti o antecedenti,una parte della dottrina ha ritenuto opportuno applicare l’art. 41 co.II c.p.anche alle concause preesistenti o simultanee, secondo il tipico meccani-smo dell’analogia in bonam partem.

4 sexies. Come opera il rapporto di causalità nei reati omissivi?

L’art. 40 c.p. configura la il rapporto di causalità anche tra omissione edevento, ma la particolare conformazione della condotta omissiva pone,ancora oggi, il problema dell’essenza della causalità omissiva e, quindi,della sua identità o diversità con la causalità attiva. A tal riguardo, si sonosviluppati due diversi orientamenti, la concezione naturalistica e conce-zione normativa.Secondo la concezione c.d. naturalistica la condotta omissiva rappresen-ta un fattore dotato di un reale valore condizionante, destinato ad inserirsianch’esso, quale condizione statica, nel processo determinativo dell’even-to; ne deriva, così, la piena identità strutturale tra causalità attiva ecausalità omissiva e la ricostruzione delle regole di accertamento in ter-mini del tutto sovrapponibili, sia relativamente alla tecnica di verificagiudiziale, basata sul giudizio controfattuale, sia alla qualità dell’accerta-mento, cioè al livello di probabilità/certezza necessario.Oggi, peraltro, sembra prevalere la concezione c.d. normativa, che affer-ma la diversità strutturale tra la causalità attiva e causalità omissiva, dalmomento che quest’ultima è naturalisticamente priva di ogni efficacia cau-sale e soltanto la legge, ex art. 40 co.II c.p. interviene ad equiparare il nonimpedire l’evento al cagionarlo. La causalità omissiva viene definita an-che causalità ipotetica, in quanto il suo accertamento si fonda su un giudi-zio ipotetico o prognostico, con il quale si verifica se, qualora fosse statatenuta l’azione doverosa, l’evento si sarebbe realizzato ugualmente o meno;si esige, dunque, che l’azione doverosa, supposta come realizzata, avrebbeimpedito l’evento con una probabilità vicina alla certezza.

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4 septies. Quando sul piano causale può affermarsi in caso di infor-tuni sul lavoro la responsabilità omissiva del datore di la-voro?

La Corte di Cassazione più volte si è pronunciata in merito alla posizionedi garanzia ricoperta dal datore di lavoro, sanzionando così la sua con-dotta omissiva a fronte di infortuni occorsi ai dipendenti sui luoghi di lavo-ro.La posizione di garanzia del datore, infatti, rinviene la propria rationell’art. 2087 c.c. (che impone al datore, per l’appunto, di preservare lasalute fisica e l’integrità morale dei lavoratori), la cui violazione nonsolo genera inadempimento contrattuale, ma può altresì comportare l’ad-debito penalmente rilevante.Secondo la previsione normativa contenuta nell’art. 2087 c.c., infatti, ildatore di lavoro è garante dell’incolumità fisica e della salvaguardiadella personalità morale dei propri dipendenti, cosicché, qualora nonottemperi agli obblighi di tutela (il cui contenuto è specificato nella legi-slazione di settore, in primis nella legge n. 626/94), per il principio del-l’equivalenza causale tra condotta attiva ed omissione non impeditiva, puòessere chiamato a rispondere penalmente delle conseguenze della pro-pria condotta allorché, beninteso, venga accertato il nesso di causalitàrispetto all’evento lesivo della salute del lavoratore.Nel 2006 la Suprema Corte ha affermato la responsabilità a titolo di omici-dio colposo di un datore di lavoro per la morte di un suo dipendente, osser-vando che il medesimo ha il dovere di accertarsi del rispetto dei presidiantinfortunistici e del fatto che il lavoratore possa prestare la propria ope-ra in condizioni di sicurezza, vigilando affinché le condizioni di sicurezzasiano mantenute per tutto il tempo in cui è prestata l’opera (Cass. n. 2286/2006).Il datore di lavoro, dunque, deve sempre attivarsi positivamente perorganizzare l’attività lavorativa in modo sicuro, assicurando anchel’adozione da parte dei dipendenti delle doverose misure tecniche edorganizzative per ridurre al minimo i rischi connessi all’attività lavo-rativa. Tale obbligo comportamentale, diretta ed immediata conseguenzadella posizione di garanzia del datore medesimo, si rivela di così grandeimportanza che non potrebbe escludersi una responsabilità omissiva colposaallorché questi non abbia rispettato tali condizioni, pur formalmente ri-

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spettando le norme tecniche, sussistendo, infatti, a suo carico, sempre unobbligo di agire con diligenza, prudenza e perizia al f ine di evitare chedalla propria attività derivi nocumento ai terzi.Ancor più di recente la Suprema Corte è intervenuta sullo stesso tema,giungendo ad affermare che, dal momento che le norme di prevenzioneantinfortunistica sono destinate alla tutela del lavoratore, anche a fronte diincidenti che possano derivare da sua negligenza, imprudenza ed imperi-zia, la responsabilità del datore di lavoro e, in generale, del destinatariodell’obbligo di adottare misure di prevenzione, può essere esclusa, percausa sopravvenuta, solo in presenza di un comportamento del lavora-tore che presenti i caratteri di eccezionalità, dell’abnormità, del-l’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle precise direttiveorganizzative ricevute, che sia del tutto imprevedibile ed opinabile. Inogni caso, nell’ipotesi di infortunio sul lavoro originato dall’assenza o ini-doneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale, per esclu-dere la responsabilità del datore, può essere attribuita al comportamentodel lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all’evento, quandoquesto sia da ricondurre comunque alla mancanza o insufficienza dellecautele che, se adottate, avrebbero neutralizzato proprio il rischio di siffattocomportamento (Cass. n. 16422/2007).In materia di infortuni sul lavoro, infatti, il d.lgs. n. 626/94, se da un latoprevede anche un obbligo di diligenza del lavoratore, non esime il datore dilavoro e le altre figure ivi istituzionalizzate e, in mancanza, il soggettopreposto alla responsabilità ed al controllo della fase lavorativa specifica,dall’obbligo di sicurezza nei confronti dei subordinati. Si tratta, oltreche di un generico dovere di formazione ed informazione, anche di formedi controllo idonee a prevenire i rischi dell’attività lavorativa che tali sog-getti devono adoperare al fine di prevenire i rischi.Ne consegue che, il datore di lavoro ha il dovere di accertarsi del rispet-to dei presidi antinfortunistici e del fatto che il lavoratore possa presta-re la propria opera in condizioni di sicurezza, vigilando altresì a che lecondizioni di sicurezza siano mantenute per tutto il tempo in cui è pre-stata l’opera. Il datore, dunque, ha il dovere di attivarsi sempre positiva-mente per organizzare le attività lavorative in modo sicuro.Con la sentenza su richiamata, pertanto, la Corte conferma i principi espressipiù volte in tema di responsabilità penale del datore per le lesioni riportatedal lavoratore a causa dell’inosservanza delle normative antinfortunistiche.

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In particolare, il datore risponde, a titolo di lesioni per gli infortuni subitidai propri dipendenti nello svolgimento dell’attività lavorativa che sianostati causati dal mancato rispetto delle regole precauzionali poste a tuteladella sicurezza dei lavoratori. Questa responsabilità sussiste anche se l’in-cidente subito dal lavoratore sia dovuto ad una sua condotta negligente.

4 octies. In quale circostanza può sul piano causale affermarsi re-sponsabilità per morte o lesioni cagionate dall’esposizionea polveri di amianto?

Anche in tema di responsabilità omissiva per morte o lesioni cagionatedall’esposizione a polveri di amianto la giurisprudenza di legittimità haaffermato che in tali ipotesi deve essere accertato che il comportamentodoveroso, esclusa ovviamente l’interferenza di decorsi causali atipici, avreb-be, con elevato grado di credibilità razionale, impedito il verificarsi del-l’evento.Più volte la giurisprudenza si è occupata di casi di morte di lavoratori aseguito di lunghi contatti con amianto avvenuti anche alcune decine di anniprima, tentando dunque di risolvere alcuni problemi peculiari, primo tratutti, dunque, quello dell’accertamento della responsabilità dell’ammini-stratore anche nel caso in cui il lavoratore risulti incautamente e scor-rettamente sottoposto all’esposizione ad amianto in azienda per unperiodo ben più lungo di quello durante il quale l’indagato o imputatoha amministrato l’impresa omettendo di adottare le doverose cautele.La Cassazione è così intervenuta con riferimento a casi di morte di lavora-tori affetti da mesotelioma pleurico e peritoneale, a causa dell’incontrollataesposizione ad inalazione a polveri di amianto: i giudici di merito avevanoriconosciuto ciascuno degli amministratori responsabile dell’evento mortedi alcuni lavoratori esposti alla sostanza per periodi certamente maggioririspetto a quelli durante i quali avevano amministrato la società (Cass. n.22165/2008).Nel caso di specie, riguardante omicidio colposo consistito in un me-sotelioma occorso a lavoratori esposti ad amianto, sussiste il nesso causaletra condotta dei responsabili aziendali succedutisi in tutto il periodo di espo-sizione del lavoratore e malattia, qualora l’omesso controllo delle polveridi amianto nei periodi ad essi ascrivibili abbia anticipato significativamen-te quell’esito, quando, cioè, senza la condotta considerata, quello stesso

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esito si sarebbe verificato in un momento apprezzabilmente successivo ocon una intensità lesiva inferiore, sicché occorre valutare se l’inalazioneprolungata, benché non necessaria per l’induzione, abbia accelerato il pro-cesso di latenza (rectius, abbreviato i tempi) conclusosi con la morte dellavoratoreIl principio affermato nella sentenza è quello secondo cui la causalità, siaessa commissiva, sia essa omissiva, va riconosciuta non solo al verifi-carsi dell’evento prodottosi, ma anche in relazione alla natura e ai tempidell’offesa.Il rapporto causale, dunque, deve riconoscersi non solo nei casi in cuisia provato che l’intervento doveroso omesso avrebbe evitato il produr-si dell’evento effettivamente verificatosi, o ne avrebbe causato uno diintensità lesiva inferiore, ma anche nei casi in cui sia provato che l’eventosi sarebbe verificato in tempi significativamente più lontani, ovveroancora quando sia ricollegabile alla condotta colposa omissiva ocommissiva un’accelerazione dei tempi di latenza di una malattia pro-vocata da altra causa.

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PARTE TERZAPRINCIPIO DI OFFENSIVITÀ

1. Come opera il «principio di offensività» nel nostro ordinamen-to? .................................................................................................. Pag. 561 bis. Cosa si intende per oggetto giuridico? 1 ter. Cosa si intendeper offesa? 1 quater. È corretto parlare di reati «senza oggetto»?1 quinquies. Quali sono i reati «senza offesa»? 1 sexies. Comeopera il principio di offensività in materia di stupefacenti? 1 septies.L’art. 707 c.p. è costituzionalmente illegittimo perché in contrastocon il principio di offensività?

2. Cos’è il reato impossibile? ........................................................... » 622 bis. Il reato impossibile costituisce fattispecie autonoma o è undoppione in negativo del tentativo? 2 ter. In cosa consiste il reatoputativo? 2 quater. La condotta del parcheggiatore abusivo inte-gra il reato di truffa? 2 quinquies. Il documento falsificato, nonidoneo tuttavia ad ingannare a collettività, integra comunque lafattispecie di reato contro la fede pubblica?

3. Cosa sono le scriminanti? ............................................................ » 653 bis. Quali sono i presupposti per l’operatività della scriminantedel consenso dell’avente diritto? 3bis.a. Cosa comporta la re-voca del consenso? 3 ter. Qual è la ratio sottesa alle scriminantidell’esercizio del diritto e dell’adempimento del dovere? 3 ter.a.Il reato di diffamazione è sempre scriminato, ai sensi dell’art.51 c.p., dall’esercizio del diritto di cronaca riconosciuto dall’art.21 Cost.? 3 ter.b. La scriminante dell’adempimento del dovereopera con riferimento ai crimini di guerra e contro l’umanità?3 quater. Quali novità ha introdotto la legge 59/2006 alla legittimadifesa? 3 quinquies. Quali sono i presupposti per l’uso legittimodelle armi? 3 quinquies.a. Quali sono i rapporti tra legittima di-fesa ed uso legittimo delle armi? 3 sexies. In cosa consiste lo statodi necessità ai sensi dell’art. 54 c.p.? 3 septies. Nell’ambito di qualescriminante si colloca l’attività medico-chirurgica? 3 octies. Qua-le scriminante è stata invocata per escludere la responsabilità delmedico coinvolto nel caso Welby? 3 nonies. Entro quale scriminanteva ricondotta l’attività sportiva violenta?

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Parte Terza56

1. Come opera il «principio di offensività» nel nostro ordinamento?

Riferimento normativo: artt. 13, 25, 27 Cost.

Definizione: nullum crimen sine iniuria, fondamento costituzionale, nozione dioffesa, conseguenze sulla teoria generale del reato, funzione.

Questioni problematiche: reati senza oggetto e reati senza offesa.

Questioni giurisprudenziali: coltivazione di «piantine di stupefacenti»

Articolazione della risposta

Il principio di offensività subordina l’applicazione della sanzione penaleal verificarsi di un’offesa ad un bene giuridico protetto dall’ordinamento,perché considerato essenziale sia nei rapporti individuali che nei rapportitra singolo e pubblici poteri.Il principio di offensività trova riconoscimento, sia pure implicito, nellaCostituzione dal momento che la sanzione penale, che si sostanzia nellecompressione di valori costituzionali quali la libertà o la dignità perso-nale, si giustifica solo se volta a compensare l’offesa a beni-interessi dipari rango costituzionale. Infatti, l’art. 13 Cost. tutela la libertà persona-le, sicché la sanzione penale limitativa di tale libertà sarà ammessa solo invirtù di una condotta che offenda beni di pari rango; l’art. 25 Cost. subor-dina la sanzione penale alla commissione di un fatto, come condotta mate-riale offensiva, e non alla mera disobbedienza; l’art. 27 Cost. sancisce lafunzione rieducativa della pena che sarebbe frustrata laddove la sanzionefosse comminata per mere violazioni di doveri di comportamento inidoneiad offendere alcun bene.La teoria generale del reato su base costituzionale impone la definizionedel reato come fatto (principio di materialità) tipico (principio di legalità)offensivo (principio di offensività); ne deriva la piena applicazione delbrocardo latino nullum crimen sine iniuria, poiché sussiste reato e, dun-que, è possibile applicare la sanzione penale, solo laddove si verifichi l’of-fesa, come lesione attuale (danno) o meramente potenziale (pericolo),di un bene-interesse giuridicamente tutelato dall’ordinamento.Il principio di offensività è espressione di un diritto penale a baseoggettivistica poiché, richiedendo che il reato si sostanzi nell’offesa di unbene giuridico, ha la duplice funzione di impedire l’incriminazione difatti materiali non offensivi e di delimitare le scelte incriminatrici dellegislatore.

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Principio di offensività 57

1 bis. Cosa si intende per oggetto giuridico?

Il principio di offensività richiede che la fattispecie incriminatrice sia de-scritta in termini offensivi rispetto ad un ben determinato oggetto giuridi-co. Quest’ultimo è rappresentato dal bene-interesse, individuale, colletti-vo o addirittura pubblico, protetto dall’ordinamento.La teoria dell’oggetto giuridico assolve la funzione di porre un limite allescelte incriminatrici del legislatore, preservando la libertà individuale neiconfronti di possibili abusi del potere legislativo. L’oggetto giuridico vienein questa prospettiva considerato un dato pregiuridico, che ha solo rilevanzasociale, preesistente, cioè, all’incriminazione e rispondente ad un bisognodella società compiutamente manifestatosi, che induce di conseguenza illegislatore ad apprestarvi tutela penale.La dottrina moderna ha elaborato la teoria dell’oggetto giuridico costitu-zionalmente orientata secondo cui, poiché la sanzione penale incide suvalori costituzionali, l’incriminazione può riguardare solo comporta-menti offensivi di beni-interessi di pari rango costituzionale. In questaprospettiva l’oggetto giuridico preesiste all’incriminazione, non solo comedato pregiuridico ma poiché è già tutelato a livello costituzionale. In talmodo, inoltre, l’oggetto assolve anche la funzione di limitare le scelteincriminatrici del legislatore, rendendo sempre possibile l’intervento dellaCorte Costituzionale rispetto a fattispecie carenti dell’oggetto giuridico ocon oggetto giuridico incompatibile con la Costituzione. Il legislatore, dun-que, potrà incriminare fatti offensivi di beni di rango costituzionale, cioèespressamente previsti dalla Costituzione, oppure di beni di rilevanza co-stituzionale cd. implicita, cioè strettamente connessi ai primi oppure ap-partenenti alla Costituzione materiale.

1 ter. Cosa si intende per offesa?

L’offesa, che costituisce la concretizzazione del principio di offensività,può estrinsecarsi sottoforma di lesione o mera esposizione a pericolo delbene-interesse protetto.La lesione, ossia il danno, è il nocumento effettivo del bene protetto con-sistente nella distruzione (della vita nell’omicidio) o nella diminuzione(dell’integrità fisica nelle lesioni personali) o, infine, nella perdita del benegiuridico (del potere sulla cosa nel furto).

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L’esposizione a pericolo si traduce, invece, in un nocumento potenziale delbene che viene solo minacciato (ad es. l’incolumità pubblica nell’incendio).I reati di offesa, dunque, si distinguono in reati di danno e reati di perico-lo a seconda che per la sussistenza del reato sia necessaria la lesione effet-tiva oppure basti la lesione meramente potenziale del bene protetto.I reati di pericolo si distinguono in reati di pericolo concreto, astratto opresunto. I reati di pericolo concreto sussistono laddove il giudice accertil’effettiva realizzazione del pericolo descritto dalla norma come elementotipico espresso della fattispecie. Nei reati di pericolo astratto o presunto,il pericolo è di certo elemento tipico della fattispecie ma è consideratoinsito nella condotta descritta; dunque, la sussistenza del pericolo non vaaccertata in concreto, ma si presume iuris et de iure laddove si accerti an-che soltanto la realizzazione del fatto tipico.

1quater. È corretto parlare di reati «senza oggetto»?

Il codice penale vigente conosce una pluralità di fattispecie in cui l’oggettogiuridico è evanescente, inafferrabile, i cd. reati senza oggetto, dei quali sidiscute circa la legittimità costituzionale.Tra i reati senza oggetto giuridico ci sono l’esposizione di materiale por-nografico o il gioco d’azzardo in luoghi pubblici non autorizzato; in questicasi vi è di certo un interesse pubblico tutelato che rappresenta piuttosto laratio, lo scopo dell’incriminazione e non l’oggetto giuridico del reato. Nep-pure la morale pubblica può essere considerata il bene tutelato dalle normein esame dal momento che questi reati vengono meno se il materiale por-nografico non viene esposto in pubblico oppure se il gioco d’azzardo sisvolga in una dimora privata.La legittimità costituzionale dei reati ad oggetto giuridico «evanescen-te», è giustificata dal nuovo ruolo del diritto penale, che qui non è quellodi tutela di un bene, ma di amministrazione di un conflitto tra benitutti meritevoli di tutela al fine di indirizzare la collettività verso deter-minati comportamenti.

1 quinquies. Quali sono i reati «senza offesa»?

Molto complessa risulta l’analisi della categoria dei reati senza offesa,fattispecie con oggetto giuridico (ma) prive di offesa, perché descritte intermini tali da non realizzare neppure il minimo grado di pericolo; vi

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appartengono i reati di sospetto, i reati ostativi, quelli di pericolo presunto,di attentato e, infine, i reati con dolo specifico.I reati di sospetto incriminano condotte che non offendono il bene tutelatolasciando tuttavia supporre su di un piano indiziario l’avvenuta o futuracommissione di un altro reato. La legittimità di queste fattispecie sta nelfatto che il legislatore, nella considerazione dell’intero iter criminis e dellapericolosità sociale del reo, può sempre punire condotte precedenti o suc-cessive rispetto al reato presupposto (si pensi alla ricettazione o al favoreg-giamento) qualora penalmente rilevanti.Con i reati ostativi il legislatore pone un impedimento allo sviluppo di undeterminato iter criminis evitando che giunga alla lesione del bene interes-se protetto. La giustificazione di questa forma di incriminazione sta nel-l’intervento repressivo volto ad evitare che l’offesa giunga al suo massimogrado di sviluppo superando tutti i gradi di pericolo fino alla lesione effet-tiva del bene tutelato.I reati di pericolo presunto rendono, invece, superfluo l’accertamento inconcreto del verificarsi del pericolo qualora si realizzi il fatto tipico de-scritto dal legislatore; la descrizione della condotta in questi reati è talmen-te pregnante che nel suo verificarsi è insita l’esposizione a pericolo, quindil’offesa, del bene protetto.Nei reati di attentato l’anticipazione della tutela ad una fase addiritturapreparatoria dell’iter criminis, assolutamente priva di idoneità offensiva,risponde all’estrema importanza del bene-interesse che mirano a protegge-re (ad es. la personalità dello Stato).I reati a condotta neutra, con dolo specifico, incriminano condotte che,oggettivamente considerate, non sono nemmeno pericolose, potendo addi-rittura esprimere una libertà costituzionalmente garantita (libertà di asso-ciazione art. 18 Cost.), tuttavia, il disvalore penale è concentrato nell’ele-mento psicologico, nel dolo specifico, nello scopo illecito per cui vieneposta in essere la condotta (associazione sovversiva art. 270bis c.p.); lacondotta, dunque, pur astrattamente lecita, risulta concretamente pericolo-sa, offensiva.

1 sexies. Come opera il principio di offensività in materia di stupe-facenti?

In materia di sostanze stupefacenti il bene-interesse protetto non è solo lasalute pubblica ma anche l’ordine pubblico e in particolare lo sviluppo

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delle giovani generazioni, ne deriva la scelta legislativa di qualificare levarie condotte penalmente rilevanti in termini di reato di pericolo presun-to. Poiché tali condotte hanno ad oggetto sostanze stupefacenti, è sempreintegrato il reato di pericolo di lesione dell’oggetto giuridico in questione;l’unico criterio per escludere l’illecito penale è quello della destinazionead uso personale che esclude il rischio di diffusione della sostanza in unacerchia indeterminata di soggetti.Il problema di recente si è posto per la condotta di coltivazione domesticadi piantine di stupefacenti. Un primo orientamento giurisprudenzialeha escluso la rilevanza penale di questa condotta perché la coltivazionedomestica per definizione sarebbe destinata solo all’uso personale; com-pito del giudice sarebbe di volta in volta verificare se la quantità di piantinecoltivate sia tale da confermare l’uso personale e, quindi, incompatibilecon la destinazione a terzi (reato di pericolo concreto). La Corte diCassazione ha, invece, ricondotto la fattispecie ad un reato di pericolopresunto, il pericolo di diffusione, appunto, insito nella stessa condotta: lamessa a dimora delle piantine, qualunque sia il metodo utilizzato – siaesso imprenditoriale, sia esso domestico – costituisce in ogni caso illecitopenale, poiché la coltivazione implica di per sé un incremento del prin-cipio attivo della sostanza da cui deriva il pericolo di diffusione; restasalva, poi, la possibilità che il giudice in concreto riscontri l’inoffensivitàdel reato per inidoneità della coltivazione a produrre ulteriori piantine, esclu-dendo quindi la rilevanza penale della condotta.

1 septies. L’art. 707 c.p. è costituzionalmente illegittimo perché incontrasto con il principio di offensività?

Il reato descritto dall’art. 707 c.p. è un reato ostativo operante, cometale, in funzione preventiva poiché tendente ad evitare la commissione direati contro il patrimonio: la funzione della norma è confermata dalla cir-costanza che il soggetto trovato in possesso di chiavi false o arnesi di scas-so non deve giustificarne la provenienza, ma la loro attuale destinazione.Al fine di salvaguardare la dimensione offensiva del reato in esame, questodeve ritenersi integrato soltanto qualora il detentore delle cose indicatedall’art. 707 c.p. ponga in essere una situazione di effettivo pericolo per ilbene giuridico tutelato, cioè il patrimonio: non basta, dunque, che il sog-getto sia trovato in possesso di chiavi alterate o di strumenti idonei allo

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scasso di cui non giustifichi la destinazione, ma occorre che il possesso,per le circostanze di fatto esistenti, crei in concreto una situazione di effet-tivo pericolo.I rapporti tra il principio di offensività e la fattispecie delineata dall’art.707 c.p. sono stati attentamente analizzati dalla Corte Costituzionale in duerecenti decisioni, la sentenza n. 265 del 2005 e la sentenza n. 225 del 2008.Con la prima pronuncia la Corte dichiara che il principio di offensivitàin astratto non risulta compromesso dalla formulazione dell’art. 707 c.p.poiché gli elementi costitutivi della fattispecie consentono di delineare intermini sufficientemente determinati l’oggettività giuridica della normavolta prevenire, sottoforma di reato di pericolo, la commissione di delitticontro il patrimonio. Resta salva la possibilità che si verifichino casi in cuialla conformità del fatto al modello legale non corrisponda l’effettiva espo-sizione a pericolo dell’interesse tutelato: pertanto, il giudice chiamato afare applicazione della norma dovrà verificare attentamente la sussistenzadel requisito dell’offensività in concreto, quindi la specifica attitudinefunzionale degli strumenti detenuti dal reo ad aprire o forzare serrature, evalutare le circostanze che accompagnano la condotta dalle quali desume-re l’attualità e la concretezza del pericolo della successiva commissione didelitti contro il patrimonio.Ancor più di recente la Corte è tornata ad analizzare la questione di legit-timità costituzionale dell’art. 707 c.p., precisando che quest’ultimo nonprefigura una responsabilità per «il modo d’essere dell’autore» in assenzadi offesa per il bene protetto, ma mira a salvaguardare il patrimonio ri-spetto a situazioni di pericolo sussistenti al ricorrere di tre distinti elemen-ti: in primo luogo, la particolare qualità del soggetto attivo che deve iden-tificarsi in persona già condannata per delitti determinati da motivi dilucro o per contravvenzioni concernenti la prevenzione di delitti contro ilpatrimonio; in secondo luogo, il possesso da parte di costui di oggetti ido-nei a vincere congegni posti a difesa della proprietà; infine, l’incapacitàdel soggetto di giustificare l’attuale destinazione dei predetti strumenti.In presenza di questi elementi non può considerarsi arbitraria e irrazionalela previsione, nella quale la fattispecie in esame rinviene pacificamente lasua ratio, che l’agente si accinga a commettere reati contro il patrimoniomediante violenza sulle cose.Ad avviso del Corte Costituzionale, dunque, la questione di legittimitàcostituzionale è da ritenersi infondata, poiché la norma rispetta piena-

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mente il principio di offensività inteso in astratto, nella sussistenza deitre elementi appena descritti, ed in concreto, nella verifica della effettivapericolosità della condotta posta in essere dal reo.

2. Cos’è il reato impossibile?

Riferimento normativo: art. 49 co. II c.p.

Nozione: l’inidoneità dell’azione e l’inesistenza dell’oggetto determinano il cd.reato impossibile, in relazione al quale è esclusa la punibilità del reo.

Istituti collegati: differenze con il reato putativo, rapporti con il tentativo.

Questioni giurisprudenziali: la condotta del parcheggiatore abusivo.

Articolazione della risposta

Il reato impossibile si realizza quando un fatto in concreto conforme altipo si rivela inoffensivo poiché per inidoneità dell’azione o inesistenzadell’oggetto non si realizza l’evento dannoso o pericoloso. Ne deriva che,nonostante la corrispondenza tra fattispecie concreta e astratta, limitatamen-te alla condotta, l’autore del fatto inoffensivo non è meritevole di pena; illegislatore, infatti, prevede solo il potere discrezionale del giudice di appli-care una misura di sicurezza, perché la realizzazione della condotta confor-me al tipo denota comunque la pericolosità sociale del soggetto agente.L’art. 49 co. II c.p. è considerato il fondamento codicistico del principio di ne-cessaria offensività del reato, poiché la non punibilità del reato impossibile derivadal non verificarsi dell’evento in senso giuridico, quindi dal non verificarsi del-l’offesa, a causa dell’inidoneità dell’azione o dell’inesistenza dell’oggetto.

2 bis. Il reato impossibile costituisce fattispecie autonoma o è undoppione in negativo del tentativo?

La dottrina tradizionale considera il reato impossibile per inidoneitàdell’azione un mero limite del tentativo punibile, un doppione in negati-vo: il tentativo si sostanzia infatti in «atti idonei» a determinare l’evento, ilreato impossibile in un’azione inidonea a produrre l’offesa; in entrambi icasi l’evento non si verifica ma il giudice dovrà verificare se l’attività fosseidonea o meno a determinare l’offesa al fine di applicare la disciplina deltentativo o del reato impossibile.

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La dottrina moderna ha rif iutato questa conclusione evidenziando gli ele-menti che sanciscono la piena autonomia dei due istituti. Innanzitutto, iltentativo ha ad oggetto solo i delitti, il reato impossibile si riferisce a qual-siasi reato. Inoltre, l’evento che in entrambi i casi non si verifica è l’eventonaturalistico nel tentativo, l’evento in senso giuridico nel reato impossibi-le. Infine, sul piano della condotta, l’art. 56 c.p. richiede «atti» idonei,quindi anche soltanto una parte della condotta, l’art. 49 co. II c.p. si riferi-sce all’ «azione», quindi al compimento integrale della condotta che appa-ia conforme a quella tipica.In riferimento al requisito dell’inesistenza dell’oggetto, qualche Autoreammette che il reato impossibile possa essere considerato un limite in ne-gativo del tentativo: si sottolinea, infatti, che si tratta di reato impossibilesolo se l’oggetto materiale non esiste affatto in rerum natura (inesistenzaassoluta e originaria); se, invece, l’oggetto esiste ma non si trova nel tempoe nel luogo in cui è stato commesso il delitto (inesistenza relativa) oppurese l’assenza dell’oggetto è solo occasionale, temporanea o successiva al-l’inizio della condotta, si dà luogo a tentativo.

2 ter. In cosa consiste il reato putativo?

Il primo comma dell’art. 49 c.p. dispone, la non punibilità del reatoputativo, cioè di un reato erroneamente supposto, che esiste solo nellamente del soggetto agente in virtù di un errore di fatto o di diritto: l’agentepuò, infatti, erroneamente ritenere esistenti nella realtà fattuale tutti glielementi previsti dal modello legale, oppure sussistente una normaincriminatrice mai esistita o non più esistente.In questi casi, differentemente dal reato impossibile, benché il reato putativoabbia valore sintomatico di una certa capacità a delinquere, non è previstaneppure l’applicabilità di una misura di sicurezza; se, invece, sussistonogli elementi costitutivi di un reato diverso, si applica la pena stabilita per ilreato effettivamente commesso (art. 49 co. III c.p.).

2 quater. La condotta del parcheggiatore abusivo integra il reato ditruffa?

Il caso concreto del parcheggiatore abusivo configura reato impossibile per ini-doneità dell’azione se la condotta è limitata alla creazione di un’apparenzatale da indurre l’automobilista al compimento di un atto di disposizione

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patrimoniale; se manca l’apparenza e ciò nonostante l’automobilista compiel’atto di disposizione patrimoniale non è integrato alcun reato. Se, invece, pur inmancanza di apparenza il reo tiene condotte ulteriori, violente o comunque per-suasive, volte ad indurre l’automobilista al compimento dell’atto di disposizionepotrà parlarsi a seconda dei casi di estorsione, anche solo nella forma tentata.L’unico caso problematico è il primo in cui la creazione di un’apparenza diparcheggio autorizzato induce l’automobilista al compimento dell’atto didisposizione patrimoniale: una parte della giurisprudenza afferma che sitratta di truffa impossibile perché la estrema modestia della somma pagata alparcheggiatore abusivo non integra la lesione del bene-patrimonio protettodall’art. 640 c.p.; altra parte della giurisprudenza, tuttavia, ritiene che latruffa sia un reato plurioffensivo (a tutela di una pluralità di beni giuridici)sia del patrimonio della vittima sia della libertà di autodeterminazione dellavittima, quest’ultima lesa a prescindere dall’entità del pagamento, integran-dosi, quindi, nel caso in esame gli estremi della truffa.

2 quinquies.Il documento falsificato, non idoneo tuttavia ad in-gannare la collettività, integra comunque la fattispeciedi reato contro la fede pubblica?

I reati contro la fede pubblica sono il tradizionale campo di applicazio-ne del reato impossibile. È tipico dell’esperienza quotidiana, infatti, ilcaso del documento che, pur falsificato, non è in grado di offendere il beneprotetto dall’incriminazione di questa forma di reato, individuato in primoluogo nella genuinità e veridicità dei mezzi di prova.Si è posto, dunque, il problema di individuare le ipotesi di falsità effettiva-mente meritevoli di punizione per distinguerle dai casi di falsità cd. tolle-rabile, cioè penalmente irrilevante, catalogata nelle forme del falso gros-solano, innocuo o inutile.In tema di falso documentale, la giurisprudenza ritiene che perché siabbia inidoneità dell’azione che rende il reato impossibile a normadell’art. 49 c.p., è necessario che la falsificazione appaia immediata-mente senza necessità di indagini supplementari, e che sia riconoscibileictu aculi, quindi percepibile da chiunque, così che sia impossibile l’offesadella pubblica fede. È questo ciò che accade nelle ipotesi di falso grossola-no e falso innocuo, che si verificano rispettivamente quando il documentoè inidoneo sia in concreto che in astratto, oppure solo in concreto, a trarrein inganno il destinatario.

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Anche in caso di falso inutile si verifica un reato impossibile non già perinidoneità dell’azione, quanto invece per inesistenza dell’oggetto, poichéla falsità investe un atto o una parte di esso privi di valenza probatoria.

3. Cosa sono le scriminanti?

Riferimento normativo: artt. 50-55 c.p., 59 c.p.

Nozione: cause di giustificazione in presenza delle quali un fatto non costitui-sce reato perché la legge lo impone o lo consente.

Aspetti analizzati: tipologia di scriminanti, collocazione nella struttura del rea-to, scriminanti putative, eccesso colposo nelle scriminanti.

Scriminanti codificate:

— consenso dell’avente diritto;— esercizio del diritto;— adempimento del dovere;— difesa legittima;— uso legittimo delle armi;— stato di necessità.

Scriminanti tacite: attività medico-chirurgica

Articolazione della risposta

Le scriminanti o, più esattamente, le cause di giustificazione sono situa-zioni in cui l’ordinamento consente il bilanciamento tra interessi inconflitto, talora assegnando prevalenza ad uno di tali interessi, talaltraesprimendo un giudizio di equivalenza cosicché risulti indifferente qualedei due prevalga, altre volte, infine, lasciando al titolare dell’interessela valutazione circa l’opportunità di rinunciare alla tutela penale. Intutte queste ipotesi, dal bilanciamento degli interessi in conflitto deriva ilvenir meno della ragione per applicare la sanzione penale in quanto o vienemeno l’offesa al bene-interesse protetto, o comunque l’offesa diviene giuri-dicamente irrilevante.Le scriminanti comuni sono previste dalla parte generale del codice pena-le per tutti i reati, le scriminanti speciali sono previste nella parte specialedel codice e in leggi speciali.La collocazione delle scriminanti nella struttura del reato è controver-sa, così come è problematico in particolare stabilire se si tratti di elementiesterni o interni al reato. Secondo la teoria tripartita del reato si tratta di

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elementi esterni che escludono l’antigiuridicità del fatto, ferma restandola tipicità e la colpevolezza. La teoria bipartita, invece, colloca le scri-minanti all’interno del reato considerandoli elementi oggettivi negativi delreato, in presenza dei quali, cioè, il reato non esiste ed il fatto commessodiviene lecito ab origine. I sostenitori di questa teoria ricordano, a tal pro-posito, che un fatto non antigiuridico può essere comunque fonte diresponsabilità da atto lecito (ad es. art. 2045 c.c.), di conseguenza l’esclu-sione dell’antigiuridicità non basta da sola ad escludere la responsabilitàda reato; la scriminante, invece, esclude sempre la responsabilità del reo.Inoltre, l’errore sull’antigiuridicità del fatto commesso, poiché è errore didiritto, è sempre irrilevante ex art. 5 c.p.; diversamente, l’errore sullascriminante (scriminante putativa art. 59 co. IV c.p.), proprio perchè èerrore sugli elementi di fatto, è rilevante ed esclude la punibilità del reo,poiché vige la regole della cd. equivalenza tra putativo e reale.Una particolare ipotesi di errore sulle scriminanti si verifica nell’eccessocolposo in cui il reo, ai sensi dell’art. 55 c.p., è punito solo se il fatto èprevisto dalla legge come delitto colposo. Si tratta di una situazione nellaquale per colpa, determinata da imperizia, negligenza o imprudenza, il sog-getto agente supera i limiti della scriminante oggettivamente esistenti (ec-cesso nei mezzi), oppure cagiona un evento più grave di quello consentitoperché si rappresenta erroneamente i limiti della scriminante (errore nel fine).

3 bis. Quali sono i presupposti per l’operatività della scriminantedel consenso dell’avente diritto?

L’art. 50 c.p. sancisce che «non è punibile chi lede o pone in pericolo undiritto, col consenso delle persona che può validamente disporne»; pre-supposti per l’operatività della scriminante sono l’esistenza di un dirittodisponibile e il consenso del titolare.Il diritto deve essere disponibile, deve cioè essere un diritto patrimoniale,oppure taluno dei diritti disponibili attinenti alla personalità morale delsingolo o, ancora, parzialmente disponibile. È escluso, dunque, che il tito-lare di un diritto indisponibile, come il diritto alla vita, possa prestare ilconsenso alla lesione; non è scriminato, infatti, l’omicidio del consenziente,sanzionato dall’art. 579 c.p. con la reclusione da sei a quindici anni.Il consenso prestato dev’essere personale, cioè deve provenire dal titolaredel diritto coinvolto; espresso, ovvero manifestato in modo inequivocabile;informato, quindi, il titolare del diritto deve conoscere ogni rischio per

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valutare l’opportunità del rilascio del permesso; specifico, cioè manifesta-to in maniera chiara e distinta in ordine alle precise modalità di disposizio-ne del diritto. Il consenso deve, infine, provenire da un soggetto capace diintendere e di volere, deve essere attuale e non può essere presunto solosulla base dei possibili vantaggi che potrebbe perseguire l’avente diritto.

3 bis.a. Cosa comporta la revoca del consenso?

La revocabilità è una caratteristica tipica del consenso quale atto giuridi-co che permette al soggetto di svincolarsi dall’obbligo di subire una deter-minata condotta offensiva. Si ritiene che la revoca possa intervenire fino aquando la condotta lesiva, sia pure iniziata, non sia stata esaurita, e co-munque fino a quando la stessa condotta, quantunque ancora in corso,non possa più essere utilmente arrestata.La giurisprudenza, però, ha adottato il principio della revocabilità del con-senso a diversi casi concreti, operandone talvolta una lieve attenuazione,com’è accaduto in una vicenda giudiziaria molto complessa e di granderisonanza pubblica, il «caso Muccioli».Nel caso di specie, infatti, la giurisprudenza di merito ritenne che il delittodi sequestro di persona, commesso in danno di tossicodipendenti sottopo-sti in comunità «chiusa» a programmi terapeutici comprendenti la restri-zione della libertà personale, è scriminato dal consenso anticipatamenteprestato dal ricoverato all’atto di ammissione nella comunità, a condizio-ne che la privazione della libertà non si protragga oltre il tempo stretta-mente necessario al recupero del soggetto e non venga attuato con moda-lità tali da lederne la dignità di persona umana: il consenso è, quindi, nonpiù revocabile da colui che ha scelto il ricovero in comunità proprio alfine di frenare eventuali «crisi di astinenza da droga» che potrebberodeterminare la volontà di uscire.La dottrina, tuttavia, ha evidenziato che il consenso rimane un atto giuri-dico, come tale revocabile anche da parte di un soggetto che non abbia lapiena capacità di intendere e di volere perché in preda ad una «crisi diastinenza dalla droga»; ne consegue che la prestazione anticipata del con-senso non esclude che possa intervenire una decisione contraria in ognitempo. Nell’eventualità di una revoca del consenso, dunque, la condottadei medici che trattengano il tossicodipendente presso la comunità direcupero per finalità terapeutiche, sarà di certo lecita, ma facendo levaal più su altri tipi di scriminanti, come l’adempimento del dovere o

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l’esercizio del diritto in seno ad attività giuridicamente autorizzate o lostato necessità, giammai sulla scriminate del consenso dell’avente diritto.La soluzione proposta dalla dottrina è stata quella secondo cui, al momen-to del ricovero nella comunità, il tossicodipendente conclude un «contrattoterapeutico» con il responsabile del centro, che così assume una posizionedi garanzia da cui deriva un vero e proprio obbligo di protezione e di curadel paziente: tenuto a persistere nel trattamento di disintossicazione delpaziente, egli potrebbe invocare la scriminante dell’adempimento del do-vere quand’anche il soggetto receda dal contratto revocando il consensoinizialmente prestato.

3 ter. Qual è la ratio sottesa alle scriminanti dell’esercizio del dirit-to e dell’adempimento del dovere?

La scriminante dell’esercizio del diritto risponde ad un principio di noncontraddizione insito nel nostro ordinamento, per cui qui iure suo utiturneminem laedit; nel momento in cui l’ordinamento riconosce al singolo latitolarità di un diritto non può, poi, sanzionarne l’esercizio, cadendo in talcaso in contraddizione con se stesso. Dunque, la dottrina (Mantovani) af-ferma che nel bilanciamento di interessi coinvolti nel conflitto tra normaincriminatrice e norma facoltizzante (norma che riconosce l’esercizio deldiritto al suo titolare) viene riconosciuta prevalenza a quest’ultima. Ele-menti costitutivi di tale scriminante sono: l’esistenza di un diritto; latitolarità del diritto; il rispetto dei limiti intrinseci (derivanti dalla ratiodella norma da cui promana il diritto) ed estrinseci (derivanti dalbilanciamento degli interessi in conflitto) nell’esercizio del diritto. Ad esem-pio, l’esercizio del diritto di cronaca è scriminato laddove siano rispettati ilimiti di verità pertinenza e continenza delle notizie diffuse; invece, in casodi violazione di anche uno soltanto dei suddetti presupposti, vi sarà semprel’incriminazione della condotta a titolo di diffamazione a mezzo stampa(art. 596bis c.p.).Allo stesso principio di non contraddizione risponde la scriminante del-l’adempimento del dovere: l’ordinamento non può da un lato imporrea un soggetto il dovere di adempiere ad un ordine, e dall’altro sanzio-nare tale suo comportamento. Tuttavia, l’adempimento del dovere pre-suppone che il comportamento sia imposto al soggetto, in quanto sussisteun obbligo di agire, e ammesso dalla legge. La fonte dell’obbligo puòessere una norma giuridica o l’ordine dell’Autorità. L’ordine deve esse-

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re legittimo, quindi, proveniente da un organo competente ad emanarlo,diretto ad un soggetto addetto ad eseguirlo, espresso nelle forme di legge.La condotta del soggetto che esegue un ordine illegittimo non è scriminata,a meno che costui non commetta un errore di fatto nella valutazione dellalegittimità dell’ordine, oppure l’ordine sia insindacabile, purché non mani-festamente criminoso.

3 ter.a. Il reato di diffamazione è sempre scriminato, ai sensi dell’art.51 c.p., dall’esercizio del diritto di cronaca riconosciutodall’art. 21 Cost.?

Il diritto di cronaca, di cui è garantita tutela costituzionale dall’art. 21Cost., presenta due profili contenutistici: il primo individualistico, sisostanzia nel diritto del singolo di manifestare liberamente il proprio pen-siero, l’altro funzionalistico, in virtù del quale tale di diritto rappresenta lostrumento di partecipazione del singolo alla vita democratica della comu-nità.A quest’ultimo aspetto si fa riferimento nell’individuazione dei limiti in-terni all’esercizio del diritto di cronaca che non può essere tutelato ad ognicosto, ma solo laddove sia utile e funzionale alla partecipazione democra-tica e al progresso sociale e culturale dei cittadini.Quanto ai limiti esterni, l’art. 21 Cost. individua espressamente quello delbuon costume, vietando le pubblicazioni che lo offendano.Il diritto di cronaca trova i suoi limiti interni nei rapporti con il delittodi diffamazione, di cui all’art. 595 c.p.: le condizioni sulla base dellequali l’esercizio del diritto di cronaca può avere efficacia scriminante ri-spetto al reato in parola sono la verità, la pertinenza e la continenza del-l’informazione diffusa.Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione di recente hanno infatti con-fermato che il delitto di diffamazione è scriminato e il diritto di cronacapuò essere legittimamente esercitato, nonostante ne possa derivare unalesione dell’altrui reputazione, prestigio o decoro, soltanto qualora venga-no rispettate dal cronista le tre condizioni di verità, pertinenza e continen-za: la notizia pubblicata deve essere vera; deve esistere un interesse pubbli-co serio alla conoscenza dei fatti riferiti in relazione alla loro attualità eutilità sociale; l’informazione, quanto alla forma espositiva, deve esseretenuta nei giusti limiti della più serena obiettività.

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Il diritto di cronaca, dunque, non esime di per sé dal rispetto dell’al-trui reputazione e riservatezza, ma giustifica intromissioni nella sferaprivata dei cittadini solo quando possano contribuire alla formazionedi una pubblica opinione su fatti oggettivamente rilevanti per la collet-tività.

3ter.b. La scriminante dell’adempimento del dovere opera con ri-ferimento ai crimini di guerra e contro l’umanità?

La scriminante dell’adempimento del dovere è stata richiamata in pas-sato più volte come causa di giustificazione per i crimini contro l’uma-nità o i crimini di guerra, gli autori di questi gravi delitti, infatti, hannospesso opposto la necessità di obbedire ad ordini superiori.Proprio sulla base della scriminante di cui all’art. 51 c.p., nel 1948 il gene-rale Kappler fu condannato soltanto per l’omicidio delle quindici vittimeeccedenti il numero ordinato, poiché l’eccidio di 320 cittadini italiani ebreirisultava essere giustificato dall’adempimento del dovere di eseguire l’or-dine dei superiori gerarchici.Nel 1998 l’orientamento giurisprudenziale è cambiato e si è esclusal’operatività della scriminante in parola relativamente allo sterminio delleFosse Ardeatine. L’ordine di uccidere una tale quantità di persone,unitamente alle particolari modalità di esecuzione dell’eccidio, non pote-va non apparire agli esecutori manifestamente illegittimo e quindi suscet-tibile di essere disatteso.Si è tentato allora di ricondurre l’attività degli esecutori della strage allascriminante dello stato di necessità, possibile solo ove vi fosse stata la mi-naccia di una sanzione che comportasse gravi conseguenze in caso di rifiu-to di obbedienza. Non riscontrando tale pericolo, la Corte ha escluso anchel’applicazione della causa di giustificazione dello stato di necessità e hacondannato gli imputati responsabili del reato commesso.A questo proposito desta grande interesse il processo di Norimberga ce-lebrato contro i criminali nazisti dopo la seconda guerra mondiale; lo Sta-tuto del Tribunale Internazionale di Norimberga all’art. 8 infatti hastabilito che «il fatto che l’imputato abbia agito in ossequio all’ordine delsuo governo … non lo esime dalla responsabilità, ma può essere presocome circostanza attenuante».Le continue violazioni dei diritti umani e le persecuzioni a sfondo etnicohanno indotto le Nazioni Unite a promuovere un organismo permanente di

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giustizia penale per la repressione dei crimini contro l’umanità sulla basedi uno statuto definitivo; in particolare, in forza dell’art. 33 dello Statutodella Corte penale internazionale, si è definitivamente stabilito che gliautori dei crimini di guerra e contro l’umanità non potranno mai addur-re come scusante della propria condotta l’adempimento dell’ordine delsuperiore.

3 quater. Quali novità ha introdotto la legge 59/2006 alla scriminantedella legittima difesa?

Presupposti per l’esistenza della scriminante prevista dall’art. 52 c.p. sono:il pericolo attuale di un’offesa ingiusta; lo stato di costrizione che de-termini la necessità di difendere un diritto proprio o altrui; la propor-zione tra difesa e offesa.Il pericolo di offesa deve essere attuale, quindi, deve derivare da un com-portamento in grado di lasciar presumere l’inevitabilità della lesione deldiritto di chi si difende. La difesa consiste nella reazione ad uno stato dicostrizione; la necessità di difendersi, cioè, deriva da una situazione con-creta che determina l’inevitabilità del pericolo. Inoltre, è necessario unbilanciamento tra beni in conflitto al fine di verificare che la difesa siaproporzionale all’offesa: se i beni in conflitto sono eterogenei il criteriodi riferimento sarà quello della prevalenza del bene di rilevanza costituzio-nale su quello di rilevanza penale o extrapenale; se i beni sono omogenei(hanno tutti la stessa rilevanza) la proporzione riguarderà la gravità dellalesione di ciascun bene e i mezzi utilizzati.La l. 56/2006 ha operato una tipizzazione del rapporto di proporzionalitàtra difesa e offesa al ricorrere di determinate circostanze, in virtù dellequali opera la scriminante della «legittima difesa domiciliare». Allorquando,cioè, l’aggressione si realizzi in una dimora privata o nel luogo dove le-gittimamente si svolge un’attività professionale o commerciale, chi rea-gisce si trovi legittimamente in quei luoghi e detenga legittimamente l’ar-ma che usa per difendersi, il rapporto di proporzione tra difesa e offesa sipresume rispettato. Va precisato, però, che la giurisprudenza ha interpreta-to questa presunzione in termini relativi e ne ha limitato l’operatività soloal caso in cui l’offesa ingiusta sia rivolta a beni patrimoniali unitamentea beni personali, sia pure in via strumentale, come accade nella rapina aisensi dell’art. 628 c.p. (la violenza alla persona accompagna ed è strumen-tale, infatti, alla sottrazione della cosa mobile altrui).

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3 quinquies.Quali sono i presupposti per l’uso legittimo delle armi?

La causa di giustificazione di cui si tratta costituisce una scriminante pro-pria che detta la disciplina delle condizioni che legittimano l’uso dellearmi da parte della Pubblica Autorità, rendendo leciti i fatti che ne sianoderivati. Per «pubblico ufficiale» si intende solo quel soggetto che permotivi di ufficio è abilitato al porto d’armi, e cioè i soggetti indicatinell’art. 73 del Regolamento al T.U. di Pubblica Sicurezza.Presupposti per l’operatività della scriminante sono l’adempimento deidoveri del proprio ufficio e il compimento della condotta consistente nelrespingere una violenza o vincere una resistenza, quando vi si è costrettiper necessità, solo entro questi limiti l’uso delle armi può considerarsilegittimo. Va precisato che con il termine «necessità» il legislatore ha vo-luto attribuire all’uso delle armi il valore di extrema ratio cui ricorrere solose il fine non può essere raggiunto in altro modo.È discusso in dottrina se l’uso legittimo delle armi costituisca un’auto-noma scriminante oppure sia piuttosto una figura particolare di adem-pimento del dovere. Autorevole dottrina (Antolisei) preferisce interpreta-re letteralmente l’espressione «al fine di adempiere un dovere del proprioufficio» e riconduce la scriminante in esame alla più generale figura del-l’adempimento del dovere (art. 51 c.p.). Gran parte della moderna dottri-na, tuttavia, ha riscontrato il carattere sussidiario ma autonomo dellascriminante ex art. 53 c.p. rispetto a quella ex art. 51 c.p. dal momento cheil Codice Rocco del 1930 ha voluto considerare autonomamente questafigura e che, inoltre, svolge una funzione integrativa e specificativa rispet-to all’adempimento del dovere.

3 quinquies.a.Quali sono i rapporti tra legittima difesa ed uso le-gittimo delle armi?

Tra la scriminate di cui all’art. 52 c.p. e quella di cui all’art. 53 c.p. sussi-stono certo delle differenze, ma non possono essere tralasciati i punti dicontatto.Sotto il primo aspetto, va ricordato in primo luogo che mentre la legittimadifesa è causa di giustificazione invocabile da chiunque, l’uso legittimodelle armi è fruibile solo dai pubblici ufficiali; inoltre, la legittima difesaè posta in essere a protezione di qualsiasi diritto, diversamente l’uso legit-timo delle armi è a tutela di un interesse dell’Autorità.

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Quanto ai profili di contatto, vi è chi ritiene che si tratti di scriminanti inrapporto di specialità reciproca o bilaterale.L’elemento specializzante dell’uso legittimo delle armi sarebbe così costi-tuito dal dover agire il pubblico ufficiale al fine di adempiere i doveri delproprio ufficio per respingere una violenza o vincere una resistenza; quel-lo specializzante a legittima difesa, invece, sarebbe rappresentato dalla pro-porzione tra difesa e offesa (elemento quest’ultimo, tuttavia, ritenuto daalcuni implicitamente destinato a comporre anche l’altra scriminante).

3 sexies. In cosa consiste lo stato di necessità ai sensi dell’art. 54 c.p.?

Lo stato di necessità, cioè il pericolo attuale di un danno grave allapropria o altrui persona, rende lecito ai sensi dell’art. 54 c.p., qualsiasiintervento diretto a scongiurare tale pericolo.L’attualità del pericolo non consiste solo nell’imminenza del danno, ben-sì anche nella probabilità che esso si verifichi a prescindere dal verificarsidel danno.Al fine dell’operatività della scriminante è richiesto anche che il soggettoagente non abbia causato volontariamente il pericolo da cui deriva lostato di necessità e che quest’ultimo non sia evitabile ricorrendo aduna diversa condotta. Perché sia esclusa la punibilità del reo la condottalesiva deve risultare assolutamente inevitabile per salvare sé o altri; seinvece è possibile la fuga, purché commodus discessus, l’azione non è piùgiustificabile.Ulteriore requisito per la sussistenza della scriminante riguarda la propor-zione tra situazione necessitante (pericolo causato dallo stato di necessi-tà) e situazione necessitata (condotta tenuta per evitare il pericolo); nelgiudizio di proporzione tra beni configgenti è necessario che il bene mi-nacciato sia prevalente o al più equivalente a quello sacrificato. Ne derivache, quando la norma fa riferimento al «pericolo di danno grave alla per-sona», intende considerare che solo il rischio di lesione di diritti persona-li rende lecite condotte aggressive di beni altrui.

3 septies.Nell’ambito di quale scriminante si colloca l’attività me-dico-chirurgica?

L’attività medico-chirurgica è ontologicamente pericolosa perché invasivadell’integrità psico-fisica del paziente, tuttavia, data la sua utilità sociale,

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esiste un’area di cd. rischio consentito, cioè una soglia di pericolo entrocui l’attività non può considerarsi antigiuridica. Per delimitare esatta-mente questo ambito lecito, pur pericoloso, l’ordinamento ricorre alle cd.leges artis della scienza medica, regole nel rispetto delle quali la condottadel medico non è mai penalmente illecita.Si discute circa l’esatto inquadramento dell’attività medica nell’ambito dellescriminanti codificate.La tesi tradizionale ricorreva allo stato di necessità: la malattia, cioè,configurava la situazione che abilita il medico ad intervenire a prescinderedal consenso del paziente. Quest’interpretazione risultava incompatibilecon l’art. 32 Cost. che vieta trattamenti sanitari obbligatori a prescinderedalla volontà del paziente, se non nei casi previsti dalla legge.Secondo un altro orientamento, allora, la scriminante applicabile sarebbeil consenso dell’avente diritto, i cui limiti sono la capacità naturale dimanifestare il consenso prima dell’intervento medico, e la disponibilità deldiritto da parte del suo titolare. Con riguardo agli atti dispositivi del pro-prio corpo la disciplina generale è posta dall’art. 5 c.c. che vieta disposi-zioni che comportino modifiche permanenti dell’integrità psico-fisica, sullabase del presupposto dell’integrità dello stato di salute, mai sussistente incaso di malattia. Ne conseguirebbe una libera disponibilità del proprio cor-po da parte del malato per qualsiasi intervento terapeutico e la possibilitàdel medico di ricorrere ad un consenso presunto o tacito per interventi dinotevole importanza.Per evitare il rischio di arbitrio del medico e poi del giudice nel-l’individuazione di un consenso inesistente, la dottrina ha fatto ricorsoalla scriminante dell’esercizio del diritto e dell’adempimento del dove-re. Nella nozione di «diritto» si ricomprendono tutte le attività che, sebbe-ne rischiose, siano autorizzate giuridicamente dall’ordinamento ai fini del-l’utilità sociale. L’adempimento del dovere, invece, attiene a obblighi la cuifonte giuridica è costituita da norme sull’attività sanitaria oppure da normeche disciplinano la stessa attività come oggetto di un contratto d’opera pro-fessionale. In entrambe le ipotesi, l’obbligo, in termini di divieto o coman-do, assegna al medico una vera e propria posizione di garanzia rispetto aldiritto alla vita e alle attività psico-fisiche del malato affidato alle sue cure.In ogni caso, nel rispetto dell’art. 32 Cost., il trattamento sanitario in tantoè legittimo in quanto volontario e fondato sul consenso del paziente; ilconsenso non è quello dell’avente diritto ex art. 50 c.p., ma è il presupposto

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per l’operatività della scriminante dell’art. 51 c.p., sempre che sia persona-le, espresso, informato e specifico.

3 octies. Quale scriminante è stata invocata per escludere la respon-sabilità del medico coinvolto nel caso Welby?

Nel caso di specie il paziente era affetto da anni da un gravissimo stato mor-boso, secondo la scienza medica inevitabilmente degenerativo, che gli impe-diva di dar luogo a qualsiasi movimento dei muscoli del corpo ad eccezionedi quelli oculari e labiali, la sua permanenza in vita era garantita da un respi-ratore artificiale; nonostante le precarie condizioni fisiche, egli era perfetta-mente in grado di esprimere una volontà informata e consapevole circa l’ac-cettazione o il rifiuto di trattamenti terapeutici cui sottoporsi.All’esito di una completa informazione sul suo stato di malattia, il Welbyaveva rivolto alla struttura ospedaliera ed ai medici la richiesta, pienamen-te consapevole, di non essere ulteriormente sottoposto alle terapie di so-stentamento e, quindi, di procedere al distacco dal respiratore sottosedazione.La prima struttura ospedaliera si rifiutava di assecondare la volontà delpaziente, il quale inutilmente proponeva ricorso al Tribunale di Roma checoncludeva per la non azionabilità del diritto alla sospensione del tratta-mento terapeutico.Una nuova struttura sanitaria successivamente dava esecuzione alla volon-tà del paziente, consapevolmente ribadita, provvedendo alla sua sedazionee al distacco dal ventilatore automatico, cui faceva seguito il decesso delpaziente.In un primo momento, al medico che aveva assecondato la volontà delWelby veniva imputata dal G.I.P. di Roma la fattispecie di omicidio delconsenziente ex art. 579 c.p., ma il G.U.P. poi dichiarava il non luogo aprocedere.La soluzione del G.U.P. è quella secondo cui il medico che asseconda lavolontà manifestata dal paziente, contraria alla sottoposizione alle cure,sia pure di sostegno vitale, fruisce della causa di giustificazione del-l’adempimento del dovere. Ad avviso del GUP, «il diritto della persona arifiutare le terapie mediche» è garantito dall’art. 32 co. 2 Cost., il suoriconoscimento «non implica un implicito riconoscimento di un diritto alsuicidio, bensì soltanto l’inesistenza di un obbligo di curarsi a carico del

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soggetto». Il rifiuto di terapia è, dunque, un diritto costituzionalmentegarantito e già perfetto, rispetto al quale sul medico incombe un dove-re giuridico di consentirne l’esercizio, con la conseguenza che «se il me-dico, in ottemperanza a tale dovere, contribuisse a determinare la mortedel paziente per l’interruzione di una terapia salvavita, egli non risponde-rebbe penalmente di omicidio del consenziente, in quanto avrebbe operatoin presenza di una causa di esclusione del reato e segnatamente quellaprevista dall’art. 51 c.p.».La dottrina, pur condividendo l’esito assolutorio per il medico, ha di re-cente proposto una differente ricostruzione giuridica della fattispecie, rite-nendo che in tal caso non operi una scriminante, ma tutt’al più vi sia caren-za di tipicità del fatto di omicidio del consenziente: il consenso del pazien-te al trattamento terapeutico costituisce il presupposto per la posizione digaranzia del medico, sicché con il rifiuto di cure viene meno l’obbligogiuridico di cure, non più gravante sul medico; venendo meno la tipicitàdel fatto, secondo questo orientamento, difetterebbe pure l’omissione pe-nalmente rilevante.

3 nonies. Entro quale scriminante va ricondotta l’attività sportivaviolenta?

Determinate discipline sportive sono caratterizzate da una particolarecarica agonistica e dalla necessità di uno stretto contatto fisico che puòcomportare lesioni, in seguito allo scontro in gioco, in danno degli atletiimpegnati; ne deriva l’astratta configurabilità a carico di taluno degli atle-ti degli estremi oggettivi e soggettivi del relativo reato.Il problema si pone in particolare per gli sport che ammettono il contattofisico violento o non violento: si distinguono gli sport a violenza necessa-ria (si pensi al pugilato) da quelli dove la violenza, ancorché necessaria, èammessa a certe condizioni, quindi dove la violenza è solo eventuale (adesempio il calcio o il rugby).Diverse sono le posizioni assunte in dottrina e giurisprudenza nel ricostru-ire il fondamento di liceità dei danni inferti nell’esercizio di attivitàsportive a violenza necessaria o eventuale.Per un primo orientamento, la qualificazione della pratica sportiva come«attività autorizzata» consente di richiamare, nella ricerca del fondamentodi liceità delle condotte violente poste in essere nel rispetto delle regole del

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gioco, l’art. 51 c.p.: l’atleta eserciterebbe, nel praticare l’attività sportiva,un vero e proprio diritto, a condizione che sussistano il consenso dell’av-versario e il rispetto delle regole di gioco.Secondo un altro orientamento, il fondamento di liceità dell’attività sporti-va sarebbe, invece, il consenso dell’avente diritto, ex art. 50 c.p., con l’ine-vitabile operatività dei limiti propri di tale scriminante quali la disponibili-tà del diritto, da perimetrare tenendo conto dell’art. 5 c.c., e la specificitàdel consenso, nell’ottica di una precisa previsione, nello sport alquantoardua, degli eventi lesivi che possano derivare dalla pratica dello sport.Partendo da queste osservazioni, dottrina e giurisprudenza oggi prevalentihanno optato per la tesi che ritiene in tale settore operante una causa digiustificazione atipica o non codificata. Questo è quanto è stato ripetutopiù volte dalla giurisprudenza di legittimità degli ultimi anni sul rilievo percui il soddisfacimento dell’interesse generale della collettività a svolge-re attività sportiva può consentire l’assunzione del rischio della lesionedi un interesse individuale, qual è quello avente ad oggetto l’integritàfisica.A tal uopo, è necessario individuare i limiti entro cui possono trovarecopertura scriminante le cd. lesioni sportive a seconda delle ipotesi chepossono verificarsi in concreto.Se le lesioni sono provocate dall’atleta all’avversario nel corso della com-petizione, nonostante il puntuale rispetto delle regole cautelari di gioco, èesclusa qualsiasi forma di responsabilità a suo carico.Se le lesioni derivano da condotte volontariamente contrarie alle regoledel gioco, bisogna distinguere a seconda che siano connotate o meno daintenti lesivi: nel primo caso è senza dubbio configurabile una responsabi-lità a titolo di dolo; nel caso in cui non vi sia l’intento di ledere l’avversa-rio, residuerà solo una responsabilità colposa, sempre che vi sia il mancatorispetto delle norme precauzionali.Infine, se le lesioni sono cagionate violando solo involontariamente le re-gole di gioco si è al cospetto, secondo la giurisprudenza di legittimità, diun mero illecito sportivo, privo di rilevanza penale, atteso il mancatosuperamento della soglia del cd. rischio consentito.

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PARTE QUARTAPRINCIPIO DI SOGGETTIVITÀ

1. Come opera il «principio di soggettività» nell’ordinamentopenale italiano? ............................................................................. Pag. 791 bis. Quali concezioni si sono affermate sulla colpevolezza? 1 ter.Quale funzione assolve la colpevolezza? 1 quater. Quale influen-za ha subito il principio di colpevolezza alla luce della pronunciadella Corte Costituzionale n. 364/1988 ?

2. Cos’è «l’imputabilità»? ................................................................ » 832 bis. Quale rapporto intercorre tra imputabilità e colpevolezza?2 ter. Quali sono le cause che escludono l’imputabilità? 2 quater.Cosa si intende per «actio libera in causa»? 2 quinquies. Qualesignificato è attribuito al concetto di infermità contenuto negliarticoli 88 e 89 c.p.?

3. Cos’è la «suitas» della condotta? ................................................ » 893 bis. Qual è la differenza tra «suitas» ed imputabilità? 3 ter. Il maloreimprovviso del conducente di un’autovettura è da ricondurre ad un’ipo-tesi di carenza di suitas ovvero alla fattispecie del caso fortuito?

4. Quali sono i caratteri strutturali del dolo nel diritto penale ita-liano? ............................................................................................. » 924 bis. Qual è l’oggetto del dolo nei reati omissivi? 4 ter. Qualisono le forme del dolo penalmente rilevanti? 4 quater. Cosa siintende per «dolo alternativo»? 4 quinquies. Come viene gra-duata l’intensità del dolo? 4 sexies. Come viene accertata la sussi-stenza del dolo? 4 septies. Il soggetto affetto da HIV nel momentoin cui pone in essere una condotta di trasmissione del virus è re-sponsabile a titolo di dolo eventuale o di colpa cosciente?

5. Come si connota la «colpa» nel diritto penale? ......................... » 985 bis. Qual è il fondamento della responsabilità colposa? 5 ter.Quali sono gli elementi costitutivi della colpa? 5 quater. Qualisono i limiti imposti dal dovere di diligenza? 5 quinquies. Qual èla differenza tra colpa comune e colpa speciale (o professionale)?5 sexies. In cosa si differenzia la colpa cosciente dal dolo even-tuale? 5 septies. Si verifica un’ipotesi di cooperazione colposa acarico dei componenti di una equipe medico-chirurgica in caso diesito infausto da intervento sul paziente?

6. Cosa si intende per «preterintenzione»? .................................... » 1056 bis. Integra un’ipotesi di omicidio preterintenzionale la condottadel soggetto che, con atti diretti a percuotere, cagioni la morte dipersona diversa da quella che intendeva offendere?