COPERTINA TESI MOBILITA'3 TC

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0. Premessa

Le seguenti tesi sono il frutto di un lavoro di riflessione interno al Tavolo nazionale della Mobilità sostenibile – gruppo di lavoro sulla bicicletta – istituito dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (Minamb) e vengono sottoposte all’attenzione della “Prima Conferenza Nazionale della Bicicletta”. La congestione del traffico urbano, la crescita dell’inquinamento, l’aumento dei costi dell’energia, la necessità di liberare i centri storici dalle automobili, la tutela dell’ambiente e della salute portano sempre più alla ricerca di soluzioni per la mobilità che favoriscano il decongestionamento e una vita più sostenibile per la società nel suo insieme e per ogni singolo cittadino.

In Europa molte città hanno promosso con successo il rilancio della bicicletta quale veicolo per la mobilità di corto raggio, bene integrandolo con il trasporto pubblico, ottenendo performance di tutto rispetto a contenimento del traffico e dell’emissione di gas serra.

Queste città hanno integrato nella piattaforma stradale e nei servizi di trasporto lo spazio destinato al ciclo e hanno offerto nuovi orizzonti di mobilità a bassissimo costo d’investimento rispetto agli altri sistemi modali.

È di queste settimane, per esempio, l’avvio a Parigi di una rete capillare di parcheggi per il bike sharing Velib (il nolo delle bici urbane), fornita di 1451 stazioni che dispongono di 20.600 bici per spostarsi da un luogo a un altro nell’immensa metropoli francese. In agosto 2007 il servizio ha registrato fino a 97.000 utilizzi giornalieri e dal 15 giugno scorso, data di avviamento del servizio, le bici di Velib hanno percorso oltre 4 milioni di km complessivamente, pari a più di cento volte il giro del mondo.

Vi sono città come Copenhagen dove oltre un cittadino su tre utilizza la bicicletta tutti i giorni per spostarsi da casa al lavoro o a scuola. Anche in Italia alcune città di medie dimensioni hanno già optato per la bicicletta, con atti amministrativi importanti e risposta forte della popolazione, come a Bolzano, Ferrara, Lucca, Modena e Mantova, per citarne solo alcune.

La Conferenza inbici potrà dimostrare come i vantaggi nello sviluppo della mobilità ciclistica siano immensamente superiori rispetto agli svantaggi e ai problemi che genera, e potrà dimostrare che i benefici sono di gran lunga superiori ai costi economici, materiali e immateriali.

In buona sostanza non vi sono argomentazioni pregnanti per non incentivare in ogni luogo e in ogni modo la bicicletta. Eppure in Italia la mobilità ciclistica stenta a decollare rispetto alle altre grandi realtà europee, persino in città prive di un’orografia tormentata o di reali ostacoli urbani, come Milano, Roma o Torino.

inbici dovrà individuarne le cause e proporre le soluzioni.

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1. Diversificare i modi di trasporto

Il Modal Split è l’unità con cui si misura la percentuale di spostamenti quotidia-ni con i diversi sistemi di locomozione: ferrovia, trasporto pubblico locale (su ferro o su gomma), automobile, motoveicoli e ciclomotori, biciclette, pedoni. Nell’esperienza europea il Modal Split è il termometro della capacità di un luogo di saper diversificare il trasporto e introdurre una mobilità sostenibile. In Italia tale strumento è sotto utilizzato o viene utilizzato per un insieme di voci, magari assimilando i ciclisti ai pedoni o ai motociclisti. Ma ciascuna modalità di spostamento richiede propri spazi, propri tempi e proprie sicurezze. Solo attraverso una corretta conoscenza delle scelte modali operate dai cittadini nei loro spostamenti quotidiani, mediante una quantificazione percentuale aggior-nata negli anni, è possibile misurare l’efficacia delle politiche poste in campo.

Il Modal Split deve divenire un’unità di misura ufficiale utilizzata e certificata dall’ISTAT, non solo a scadenza decennale, funzionale a stabilire i parametri e gli obiettivi della mobilità sostenibile su cui misurare le politiche inerenti. Le pubbliche amministrazioni devono impegnare i propri uffici preposti alla sicurezza stradale ad attrezzarsi per tali misurazioni. I Piani urbani del traffi-co devono riconoscere e stimare l’utenza ciclistica quale componente del Modal Split e generatrice di traffico.

2. La bicicletta quale primario modo di trasporto

Il prospetto sopra esposto, frutto di una ricognizione sommaria operata dal servizio ciclistico di Francia (M.Vélo), pone in evidenza come la bicicletta in molti paesi d’Europa occupi un segmento strategico della mobilità (specialmente nel nord del continente). L’Italia è fra i fanalini di coda, non raggiungendo, con il suo 4% (dato forse anche generoso) nemmeno la metà della media europea fra i paesi testati (9,45%). Le aree a forte densità abitativa del nostro paese (dove si concentra la popolazione e il lavoro) sono quasi tutte ubicate nelle zone pianeggianti, dove non vi sono quindi ragioni plani-altimetriche ostative allo sviluppo delle reti di ciclabilità. Nei centri storici la bici si muove perfettamente a suo agio, a differenza delle ingombranti e fasti-diose automobili. Non vi è dunque giustificazione plausibile per non attivare politiche in tale direzione.

Uso modale della bicicletta rispetto agli altri sistemi di trasporto quotidiano.(fonte: M.Vélo – Francia)

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Si propone come obiettivo strategico per il prossimo decennio quello di raggiungere e possibilmente superare la media europea di modalità ciclistica, ovvero almeno il 10% medio nazionale, puntando altresì allo sviluppo di eccellenze nelle situazioni più favorevoli, dove l’obiettivo potrebbe essere quello del 25%.

Del tutto evidenti sono i vantaggi di una tale scelta, anche soltanto in termini economici, di minor costo globale della mobilità. Per raggiungere questo obiettivo, occorre agire su una pluralità di strumenti, che impegnano tutti gli attori del territorio a un’azione sinergica a favore della mobilità ciclistica.Secondo alcuni studi occorre lavorare per un’integrazione modale che porti all’abbandono dell’auto privata in città coniugando il Trasporto Pubblico Locale (TPL) con il car sharing e la mobilità ciclistica.

3. La rete ciclistica come strategia della piattaforma stradale

La rete ciclabile deve essere considerata come una vera e propria rete infrastrutturale di livello nazionale e locale, al pari di quella stradale e ferroviaria, inserita nelle reti ciclabili di livello europeo e integrata con le altre modalità di trasporto. La piattaforma stradale deve consentire, con la massima sicurezza per tutti, l’accesso ai diversi sistemi modali di spostamento, ivi compresa la bicicletta e la pedonalità. Occorre pertanto procedere ad una pianificazione delle reti e ad una programmazione degli interventi alle diverse scale, tenendo conto di assicurare i giusti spazi a ciascuna modalità. La pianificazione strategica delle reti deve quindi integrare le corsie veicolari con quelle per la ciclabilità e i marciapiedi. Dove lo spazio non lo consente, devono adottarsi misure di moderazione del traffico, atte a rendere sicura la convivenza di trasporto pubblico, automobili, pedoni e ciclisti. Ciascun livello istituzionale deve assumersi le responsabilità che gli competono, onde garantire un sistema integrato e interconnesso.Diversi enti hanno già impostato, e taluni anche approvato, piani strategici per la mobilità ciclistica. Talune Province hanno orientato la propria attenzione verso lo spostamento quotidiano (come nel caso della Provincia di Milano), altre verso il cicloturismo (Province di Ferrara, Brescia, Venezia, Mantova); molte città hanno redatto accurati master plan ciclistici o di moderazione del traffico,

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1.“…I progetti sono predisposti nel quadro di programmi pluriennali elaborati dai predetti enti (N.d.R.: Comuni e Province), che pongono come priorità i collegamenti con gli edifici scolastici, con le aree verdi, con le aree destinate ai servizi, con le strutture sociosanitarie, con la rete di trasporto pubblico, con gli uffici pubblici e con le aree di diporto e turistiche.”

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come Bolzano, Cattolica, Parma, Lucca. Occorre tuttavia una sistematicità che attualmente è carente.

Allo Stato e in particolare al Governo deve competere il ruolo di approvare il compendio normativo e di regole adeguate ai tempi, di indicare le grandi strategie, gli standard quali/quantitativi, nonché di sostenere le politiche con risorse possibilmente costanti e sufficienti per gli interventi strutturali di valen-za nazionale e internazionale (d’intesa con le Regioni), le azioni di marketing territoriale e di promozione generale.

Alle Regioni deve competere l’indicazione della maglia fondamentale connessa alle grandi reti, il coordinamento dell’azione locale, la messa a disposizione di adeguati strumenti e sostegni finanziari, l’attivazione di un’efficace intermodalità con il TPL, la promozione del cicloturismo alla propria scala.

Alle Province e alle Comunità Montane, quali organi deputati ad occuparsi della viabilità intercomunale e di connessione, deve competere la pianificazione delle reti interurbane di ciclabilità e l’emanazione di direttive ai Comuni per realizzare le proprie.

Ai Comuni deve competere la pianificazione e la realizzazione delle reti locali inquadrate nei Piani urbani del traffico, con un’attenzione particolare ai provvedimenti di moderazione, alle isole pedonali e ai servizi di intermodalità urbana.

Agli enti gestori delle aree protette deve competere la realizzazione delle reti per la fruizione sostenibile, al fine di facilitare un’equilibrata accessibilità ai nostri gioielli ambientali, tenendo tuttavia conto dell’esigenza primaria di conservare in perpetuo gli ecosistemi e i paesaggi tutelati.

Lo Stato, attraverso iniziative legislative e regolamentari, deve fornire il quadro normativo; attraverso un proprio servizio nazionale dedicato (si veda il punto 5), deve redigere un master plan che fornisca il quadro programmatico globale e metta a disposizione adeguati strumenti tecnici e finanziari.

Le Regioni devono promuovere iniziative e strategie che favoriscano e sosten-gano l’iniziativa locale, mediante un’azione di coordinamento e strumenti finanziari.

Le Province e i Comuni si devono impegnare a redigere Piani strategici della ciclabilità di livello sovralocale e locale, secondo un disegno che abbia una matrice uniforme e ben raccordata, nel rispetto dell’art.2 della legge 366/98 sulla mobilità ciclistica . Tali piani devono essere parte integrante e sostanziale dei propri Piani territoriali di coordinamento (PTCP) e degli strumenti urbanistici comunali.Gli enti locali si devono impegnare a coordinare reciprocamente i propri sforzi, mettendo in comune le proprie conoscenze e iniziative e concertando interventi di livello sovra locale. Devono altresì coordinare le proprie azioni con quelle dei Parchi e delle altre aree protette.

4. La progettazione delle infrastrutture

La progettazione delle infrastrutture per la mobilità ciclistica deve essere integrata e parte integrante della progettazione della piattaforma stradale. Le nuove strade devono comprendere a fianco delle corsie veicolari le corsie dedicate alle biciclette, sia in città che fuori; fanno eccezione esclusivamente le strade

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che l’ordinamento preclude al transito dei velocipedi (superstrade e autostrade). Tale scelta deve entrare nell’ordinamento regolamentare delle progettazioni stradali, accompagnata dalle opportune misure di sicurezza. Esistono numerose esperienze, sia in Italia che in Europa, in grado di fornire preziose indicazioni tipologiche da proporre al Governo; fra queste, a titolo d’esempio:

- Riduzione della larghezza utile delle corsie a beneficio della corsia ciclabile- Transitabilità delle banchine stradali pavimentate per i velocipedi, purché la

loro larghezza sia di almeno un metro e mezzo- Dimensionamento delle piste ciclabili, dei raggi di curvatura e delle barriere

in rapporto al traffico ciclistico presunto e alla velocità di progetto, così come avviene per le carreggiate veicolari

- Uniformazione delle pavimentazioni: colorazione almeno dei punti di intersezione con pigmento ossido di ferro

- Uniformazione della segnaletica Creazione di isole a moderazione di traffico con attenzione al velocipede- Creazione di isole ciclo-pedonali con separazione degli spazi per la bicicletta

da quelli per il pedone- Distinzione sui marciapiedi più ampi del corsello destinato alle biciclette

Si richiede allo Stato e alle Regioni una revisione dell’ordinamento tecnico dedicata alla progettazione oculata delle infrastrutture per la bicicletta, integrate nella piattaforma stradale.

5. I modelli istituzionali. Per un Servizio nazionale della Bicicletta

Le politiche per la ciclabilità hanno una declinazione trasversale rispetto a molte competenze e deleghe: trasporti, infrastrutture, turismo, ambiente, sport e salute. Sovente capita che in uno stesso ente diversi dipartimenti o uffici si occupino dello stesso problema secondo la propria parziale visione, con il risultato che il tema della bicicletta continua a essere relegato a un ruolo marginale, talvolta anche esclusivamente di facciata. Viceversa è essenziale per il rilancio della mobilità ciclistica che vi sia un luogo di riferimento presso ciascuna amministrazione: tale ufficio dovrebbe avere una visione e una capacità operativa di sistema e non di nicchia. Diverse nazioni europee hanno attivato un servizio centrale dedicato presso il governo così come negli enti regionali e locali. Si segnalano in particolare l’ufficio di Monsieur Vélo presso il Ministero dell’Ambiente di Francia e l’omologo ufficio presso il Ministero del Traffico, l’edilizia e lo sviluppo urbano della Repubblica Federale Tedesca, i quali svolgono il ruolo di coordinatori centrali delle politiche sui velocipedi e di promotori di piani strategici (plan d’action, master plan) a valenza nazionale. L’attivazione di un servizio nazionale potrebbe produrre finalmente un motore che possa dare energia a un ciclo virtuoso. Così è avvenuto Oltralpe, così potrebbe avvenire da noi. Nelle città e nelle province dove sono stati attivati gli uffici biciclette è stato possibile promuovere lo sviluppo della rete e delle politiche di sostegno: in quei luoghi molta gente ha già lasciato a casa l’auto per i due pedali.

Questi i compiti da attribuire al livello centrale di governo:- Legislazione- Finanziamenti agli enti locali tramite le Regioni- Organizzazione del censimento e tenuta dell’anagrafe degli interventi- Produzione di linee guida e di altri supporti tecnici (preprogetti, standard) in

materia di ciclabilità- Guida delle sperimentazioni locali- Coordinamento delle azioni dei Ministeri con competenze in materia di mobilità

ciclistica.

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Si tratta dunque di introdurre anche nel nostro Paese una pianificazione nazionale (bicycle master plan) e un apposito servizio interministeriale della mobilità ciclistica.

Si richiede allo Stato di istituire il Servizio nazionale della Bicicletta, con partecipazioni o relazioni interministeriali, al quale sia affidata l’alta amministrazione delle politiche centrali per la diffusione della mobilità ciclistica, con le seguenti missioni:- Individuare una rete nazionale di percorribilità ciclistica (studiando anche

l’intermodalità) mediante l’integrazione delle conoscenze e delle capacità a livello regionale, degli enti locali, delle aree protette e dei portatori d’interesse diffuso

- Promuovere il recupero del patrimonio dismesso o sotto utilizzato di potenziali percorribilità (ferrovie, argini, alzaie, viabilità minore e storica)

- Concludere in tempi brevi il censimento delle dotazioni infrastrutturali per la mobilità ciclistica sostenendo l’apporto degli enti locali

- Promuovere un piano d’azione per la bicicletta che includa gli interventi strutturali di livello nazionale, le linee guida per le Regioni, gli enti locali, le aree protette

- Gestire la legge 366/98 e le sue successive modifiche e integrazioni- Attivare le sinergie con i gestori del trasporto pubblico per favorire

l’intermodalità e promuovere le migliori azioni comunicative a favore della bicicletta

6. Nuove regole per dare spazio e sicurezza alle biciclette

La lettera e lo spirito dell’articolo 1 del Codice della Strada D.Lgs 285/92, dovrebbero garantire la sicurezza del ciclista: "Le norme e i provvedimenti attuativi si ispirano al principio della sicurezza stradale, perseguendo gli obiettivi: di ridurre i costi economici, sociali ed ambientali derivanti dal traffico veicolare; di migliorare il livello di qualità della vita dei cittadini anche attraverso una razionale utilizzazione del territorio; di migliorare la fluidità della circolazione."Poiché il traffico veicolare genera rilevanti costi economici/sociali (stima: 35 miliardi di €/anno) e ambientali (stima: 95 miliardi di €/anno), dovrebbe essere compito primario del Codice favorire tutte le altre modalità di spostamento, siano esse con i mezzi di trasporto pubblico o ciclopedonale.

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Il Codice della Strada (CdS) sia nel proprio articolato successivo sia nei regolamenti applicativi (disciplinari e tecnici), dedica scarsa attenzione alla mobilità ciclistica, ai pedoni e in generale all’utenza debole. Essa è talvolta vittima delle stesse misure adottate per dare maggiore sicurezza alla circolazione veicolare. La strada ha il triste primato del maggior numero d’infortuni mortali nel nostro Paese: i dati dell’infortunistica stradale dimostrano che l’utenza ciclistica è oggi quella sottoposta a maggior rischio in assoluto (secondo Galatola – FIAB 2006), nel rapporto fra numero di ciclisti reali e numero di infortuni mortali registrati. Le strade urbane in Italia sono tra le più pericolose d’Europa: quasi il 45% dei morti e il 70% dei feriti si registra in città. La metà dei morti in città sono ciclisti o pedoni. Risulta pertanto evidente che non è possibile aumentare la vivibilità e sicurezza dei nostri centri urbani se non si protegge l’utenza debole. Le statistiche dimostrano che la causa principale è l’eccesso di velocità degli automobilisti, specie in rapporto alla viabilità esistente, unitamente a una cattiva organizzazione della mobilità urbana negli incroci e attraversamenti, nonché all’insufficienza dei controlli e della repressione.La costituenda Agenzia nazionale della Sicurezza stradale potrebbe assicurare un’alta vigilanza sull’operato degli enti preposti all’azione amministrativa in materia. Il Piano Nazionale della Sicurezza Stradale, in risposta ai dettami comunitari, prevede il dimezzamento delle vittime della strada entro dieci anni a partire dal 2000; ciò significa che il massimo numero di ciclisti vittime della strada nel 2010 dovrà essere inferiore a duecento, mentre negli ultimi due anni sono cresciti rispetto al passato, ben oltre i trecento. Le norme di comportamento, di sicurezza e di uso delle sedi ciclabili devono essere disciplinate giuridicamente in modo unitario, omogeneo, anche sotto il profilo sanzionatorio e in armonia con le norme europee quando esistono.

Diversi sono i temi che devono essere affrontati nel Codice della Strada. In generale si chiede che venga accantonato il principio di primazia dell’automozione privata, a beneficio di un sistema integrato dove il trasporto pubblico locale abbia, in città almeno, priorità sugli altri veicoli e vi sia una maggiore attenzione all’utenza debole (pedoni e ciclisti), rivedendo quindi articoli del CdS che sembrano addirittura mortificare il rapporto fra pedone/ciclista e le altre utenze. Si osservi per esempio l’attuale definizione degli artt. 182 e 190 del codice che relegano il ciclista e il pedone a un ruolo di recluso in città, a beneficio di una presunta fluidità del traffico. Occorre affrontare taluni aspetti tecnici che limitano l’uso ciclistico della strada, prendendo spunto da altre esperienze estere, dove gli stessi aspetti sono stati risolti con successo. Fra questi:- dimensione delle corsie ciclabili in rapporto alle velocità di progetto e al

carico previsto- sistemi di separazione fra corsia ciclabile e corsia veicolare dimensionata in

rapporto alla velocità di progetto e al traffico- possibilità di transito controsenso per le biciclette a fronte di determinate

condizioni della strada- uso promiscuo o separato dei marciapiedi- linearità e continuità dei percorsi ciclabili- attraversamenti stradali, geometria, protezioni, segnalamenti- norme peculiari per la cosiddetta viabilità minore (strade vicinali e consortili,strade

alpestri e forestali, alzaie e argini, ferrovie dimesse)- regole precise per disciplinare e favorire l’attività sportiva/cicloamatoriale

lungo le strade, affinché avvenga in sicurezza e senza limitazioni peculiari alla libera circolazione

- regole precise per mitigare l’impatto ambientale dei grandi eventi ciclo sportivi su strada

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Si richiede allo Stato una revisione del Codice della Strada, del proprio regolamento, dei regolamenti tecnici di progettazione e delle norme specifiche per la mobilità ciclabile che pongano al centro dell’attenzione l’utenza debole (ciclisti e pedoni) e inducano a un aggiornamento di regole e modalità di progettazione/gestione della piattaforma stradale che ne tenga conto, dentro e fuori il centro abitato. Si richiede alle Regioni italiane di conformare le proprie leggi a tali principi, adeguando il proprio ordinamento ove esistente, oppure varando nuove norme specifiche.Tutte le Province e i Comuni con oltre 15.000 abitanti dovrebbero dotarsi di un Piano della Sicurezza stradale, con una sezione esplicitamente dedicata all’utenza debole, dati aggiornati relativi all’incidentalità (osservatorio), analisi dei rischi e monitoraggio dei risultati. Si richiede che entro la fine 2008 tutti gli enti locali diano evidenza di avere intrapreso la pianificazione degli interventi e il monitoraggio degli incidenti, per il raggiungimento dell’obiettivo comunitario di dimezzamento delle vittime stradali al 2010.Si richiede inoltre l’istituzione di un’Agenzia Nazionale della Sicurezza Stradale che verifichi l’attuazione dei programmi e abbia il potere di intervenire ove necessario, specie a tutela dell’utenza debole; l’agenzia dovrebbe avere un’organizzazione aperta alla partecipazione dei soggetti portatori degli interessi diffusi dell’utenza debole.

7. La segnaletica

La qualità della segnaletica italiana è mediocre e confusa, anche se l’attuale CdS ha fatto notevoli passi avanti rispetto al passato. Inoltre manca uno standard comunitario nella segnaletica d’indicazione, che genera ulteriori disorientamenti (l’uso dei colori, per esempio, è inverso fra Italia e Francia e fra questa e la Germania). In più, in Italia vi è un’eccessiva invadenza della segnaletica privata rispetto a quella di pubblico interesse. Per contro non esiste una norma sulla segnaletica per l’utenza in bicicletta e per quella pedonale (solo in montagna, sui sentieri vi sono i segnali rossi e bianchi uniformati per buona volontà dalle associazioni alpine di mezza Europa). L’esigenza di differenziare la segnaletica per ciclisti e pedoni da quella veicolare è sempre più evidente con il crescere dell’utenza ciclistica. Per quanto attiene ai segnali d’obbligo e di pericolo appaiono sufficienti alcune semplici integrazioni e la possibilità di proporzionare la dimensione dei cartelli alle necessità delle piste ciclabili (non ha senso alcuno, per esempio, un segnale di “STOP” di 90 cm. su una pista larga appena 250 cm.). Innovazioni devono essere apportate anche alla segnaletica orizzontale per indicare più semplicemente e chiaramente le corsie ciclabili, da integrarsi con alcuni accorgimenti di sicurezza, come per esempio la linea di arresto ciclistica ai semafori, che sia avanzata rispetto alle auto, o la mini-corsia circolare esterna in rotatoria. Si tratta di accorgimenti già testati con successo in altre nazioni europee. Per quanto riguarda la segnaletica di indicazione, occorre un progetto nuovo e autonomo che armonizzi ma si differenzi rispetto agli standard attuali. Una buona base di lavoro è lo studio effettuato da FIAB, che talune Province italiane hanno adottato (Milano progetto MiBici, Brescia).

Molti paesi europei da tempo hanno introdotto a livello nazionale la segnaletica specializzata per i ciclisti. In Italia invece, in assenza di regole certe, cominciano a vedersi tipologie di segnali differenti in relazione all’iniziativa autonoma dei singoli enti proprietari delle strade: Province, Enti Parco, Comunità montane, e anche Comuni.

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Si chiede al Governo l’emanazione di un nuovo regolamento per la segnaletica orizzontale e verticale, che integri l’attuale codice a beneficio dell’utenza ciclistica, riduca l’invasività dei cartelli d’interesse privato e la pubblicità a favore di un ridisegno armonico del paesaggio stradale. Si chiede altresì di attivarsi presso le competenti sedi comunitarie affinché l’uniformazione dei segnali d’indicazione e dei colori avvenga a livello europeo.

8. Integrazione Modale

Per ottenere spostamenti razionali ed efficienti, nelle città e tra centri urbani, è indispensabile realizzare un elevato tasso di integrazione modale: significa offrire opportunità al cittadino affinché possa utilizzare la bicicletta (propria o a noleggio) anche su medie e lunghe percorrenze, integrandola all’utilizzo del trasporto pubblico. Essenzialmente sono richiesti tre tipi di servizio:

1. Trasporto della bicicletta propria sul mezzo pubblico a tariffe accettabili per tutti.

In analogia con le reti europee di TPL, treni, metropolitane, tram e autobus devono disporre di spazi dedicati e agevolmente accessibili per le bici. Attualmente ciò avviene già nei servizi regionali di Trenitalia, ma non sempre gli spazi sono bene organizzati e chiaramente segnalati (ciò crea inutili perdite di tempo e diseconomie di rete). Le reti urbane e regionali raramente ammettono le bici se non in orari e giorni limitati. Viceversa la possibilità di trasportare le biciclette sui treni e su altri mezzi pubblici di trasporto (metropolitane, tram e autobus; funicolari e cremagliere; funivie e anche seggiovie in taluni casi; navi e traghetti; e anche aerei) risulta determinante anche per dilatare il territorio da esplorare e da conoscere praticando il cicloturismo.

2. Possibilità di lasciare la propria bicicletta in deposito sicuro e assistito preso la stazione, a costi contenuti.

L’attivazione delle cosiddette velo-stazioni o bici-stazioni, vale a dire luoghi dove è possibile depositare grandi quantità di biciclette in modo sicuro di giorno e di notte e fruire anche di servizi dedicati all’utenza ciclistica (meccanici, info-turistici, culturali, etc.), come nel caso d’eccellenza di San Donato Milanese. Si tratta di esperienze sviluppabili ed esportabili.

3. Servizi di noleggio razionale nelle grandi e medie città nonché nei luoghi turistici (il cosiddetto bike-sharing).

Le esperienze francesi, come quella parigina di Vélib, o anche diverse esperienze italiane in talune città di media dimensione (Bolzano, Crema, Novara, Cuneo, Pistoia, etc.) mostrano e dimostrano come possa essere possibile progettare parcheggi con speciali biciclette dedicate, prelevabili in un luogo e riconsegnabili in un altro, a basso costo d’investimento e d’uso ed elevatissimo rendimento economico e sociale.

Questo sistema integrato permette di raggiungere pedalando la stazione o la fermata, parcheggiare la bici, proseguire il viaggio con il mezzo pubblico ed eventualmente portarlo a termine con un’altra bicicletta prelevata dal deposito.

Occorre rendere agevole la movimentazione delle bici all’interno delle stazioni (ascensori, canaline lungo le scale). Si chiede al Governo, alle Regioni, ai gestori del pubblico trasporto e agli enti locali iniziative e politiche per:- Favorire e massimizzare l’accesso delle biciclette sui treni e sul trasporto

pubblico locale, sia mediante l’individuazione di idonei spazi sulle carrozze e sui mezzi sia mediante agevolazioni tariffarie

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- Incrementare le velo-stazioni o bici-stazioni nonché i depositi coperti e custoditi nei pressi dei principali accessi al trasporto pubblico

- Sviluppare il bike-sharing nelle città e nelle aree turistiche, individuando anche standard omogenei di accesso e sistemi di tariffazione integrata, affinché sia facilitato l’utilizzo uniforme su scala nazionale

9. Modelli economici

Il mercato ciclistico in Italia interessa una produzione che, secondo l’ANCMA, si attesta attorno ai due milioni e mezzo di pezzi l’anno, in leggera recente ripresa (+7% rispetto allo scorso anno), ma molto inferiore rispetto ai dati degli anni Novanta (siamo arrivati a produrre infatti 5,8 milioni di pezzi in pieno boom della MTB, 1994). Centosessanta aziende, fra produttori di biciclette e componenti, un movimento economico di circa ottocento milioni di euro di fatturato industriale – trecento in importazione e cinquecento in esportazione – fanno dell’Italia il secondo polo industriale europeo dopo la Germania. Il costante monitoraggio delle vendite, circa 2 milioni di pezzi lo scorso anno, permettono di stimare un parco di biciclette pari a 30 milioni di unità in Italia, un valore che ci permette di attribuire una bicicletta ogni due residenti, superiore di gran lunga a una stima mondiale di 6 abitanti per bicicletta.

Questi dati dimostrano una potenzialità inespressa da parte del sistema Paese, poca gente quindi le utilizza se non per sport o svago domenicale; troppe bici restano in cantina per troppo tempo. Dalla bicicletta da corsa deriva in ogni caso un’esperienza e una tradizione senza pari nel mondo che permette di assemblare con un elevato rapporto qualità/prezzo biciclette da trekking o city-bike per lo spostamento quotidiano. Con una spesa di trecento euro in negozio il privato cittadino è già in grado di acquistare una bicicletta, a norma UNI EN serie 14 mila, che gli consentirà un primo approccio quotidiano o turistico sicuro e confortevole.

Queste valutazioni portano a considerare che significative politiche d’incentivazione all’uso di massa del velocipede possano essere il vero viatico per una forte ripresa del mercato, senza alcun bisogno di chiedere ipotetici e comunque non ammissibili aiuti di Stato alle imprese.

Anche i produttori devono tuttavia fare la loro parte. Devono attrezzarsi sempre di più verso l’innovazione tecnologica, mettendo in campo quella capacità di ricerca ed inventiva che sono proprie del made in Italy. La bicicletta fu – forse – immaginata la prima volta da Leonardo da Vinci proprio qui a Milano, quando era ai servizi di Ludovico il Moro, poi venne completamente dimentica-ta, fino alla sua vera invenzione e produzione nel XIX secolo. Oggi occorre immettere sul mercato nuova fantasia e creatività a beneficio di nuovi prodotti che stimolino l’uso quotidiano dei due pedali: c’è da lavorare molto, per esempio, sulla bici pieghevole per renderla più maneggevole ed economica; c’è da lavorare sull’idea della pedalata assistita; c’è da sviluppare gli equipaggiamenti di sicurezza e segnalamento per difendere l’utente; c’è da lavorare per rendere la bici riconoscibile e più difficile preda del furto; c’è da lavorare sullo styling perché la bici possa essere moda e tendenza.

Si chiede alle istituzioni di promuovere tutte le iniziative utili per stimolare i cittadini all’uso della bici, onde incrementarne lo sviluppo nel mercato. Ad esempio una Pubblicità Progresso.

Si chiede al mondo delle imprese di lavorare di più nella ricerca, sull’innovazione del prodotto, sul design e sulla qualità, per immettere sul mercato novità che stimolino l’uso quotidiano (per esempio nel segmento delle

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bici pieghevoli), migliorino la sicurezza dello strumento e di chi lo utilizza, creino una nuova tendenza a due pedali nel “made in Italy”. Ad esempio una produzione certificata a norme UNI EN della serie 14 mila.

Stato e imprese potrebbero studiare e introdurre misure per identificare le biciclette in caso di furto e accordi commerciali per mettere sul mercato polizze antifurto congruenti con il valore del velocipede.

10. Il Mobility management

Ad oggi oltre 50 amministrazioni pubbliche e 700 aziende hanno attivato nel nostro Paese l’ufficio del mobility manager, figura istituita dal Ministero dell’Ambiente nel 1998, per favorire l’organizzazione e la razionalizzazione degli spostamenti da casa al luogo di lavoro, in una logica di mercato della domanda e dell’offerta di servizi. Lo strumento previsto dalla norma è il Piano degli spostamenti casa-lavoro (PSCL), che ciascuna azienda redige e propone all’amministrazione pubblica per una concertazione. Laddove il mobility manager ha avuto il proprio spazio e le risorse per operare, i benefici raggiunti sono stati significativi:riduzione dell’uso dell’auto privatamaggiore ricorso al TPLincentivazione nell’uso della biciclettamiglioramento nei tempi d’accesso al luogo di lavoro e nella qualità del viaggiorisparmio economico e in salute dei singoli con ricaduta benefica nel miglioramento della qualità complessiva del lavoro e quindi efficacia di scala

Un importante lavoro di sostegno e di ricerca per la promozione del Mobility management è stato condotto dall’associazione Euromobility ed è visionabile sul sito www.euromobility.org. Molti mobility manager hanno agito per favorire l’utilizzo della bicicletta nei luoghi di lavoro, approntando stalli coperti e altre strutture di ricovero, nonché incentivi di varia natura per stimolarne l’uso. Ma una questione fortemente limitante e irrisolta impedisce un vero decollo delle iniziative di settore: la mancanza attuale di una copertura assicurativa anti infortunistica in itinere. L’Inail, infatti, riconosce l’infortunio in itinere esclusivamente se il lavoratore utilizza il mezzo pubblico; solo in sua carenza accetta in via residuale di “coprire” anche il rischio nell’uso dell’autoveicolo personale; in ogni caso rifiuta la copertura nell’uso della bicicletta. Per modificare tale situazione occorre quindi un intervento legislativo. Una proposta in questo senso è stata avanzata dalle associazioni partner di inbici e fatta propria da diversi parlamentari in un disegno di legge all’esame delle Camere. Parimenti occorrerebbe che le compagnie di assicurazione accettassero di coprire i rischi civili verso terzi, per lasciare indenne il ciclista che si rendesse responsabile di investimenti di pedoni o altri danneggiamenti.

Si chiede al Governo e al Parlamento di promuovere le misure necessarie per favorire il mobility management e la mobilità ciclistica:- Introdurre maggiori incentivi e agevolazioni alle aziende che attivino il mobility

manager e adottino il Piano degli spostamenti casa-lavoro di concerto con gli enti locali

- Estendere l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni in itinere anche ai lavoratori che utilizzano la bicicletta

- Introdurre misure per prevedere l’assicurazione RCT almeno facoltativa del ciclista (magari quale appendice delle polizze del capofamiglia)

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11. Moderazione del traffico

Per moderazione del traffico si intende un insieme di interventi alla sede stradale per rendere compatibile la mobilità promiscua di autoveicoli, biciclette e pedoni. Detti interventi rendono le strade scorrevoli, lente e belle, inducono l’automobilista a guidare piano e con attenzione, danno sicurezza ai pedoni e ai ciclisti, aumentano il verde, la sosta e gli spazi accoglienti.La moderazione del traffico può essere realizzata all’interno delle aree residenziali, sulla viabilità principale e nei centri storici. In molte realtà europee le zone con il limite di velocità a 30 km/h riguardano oltre il 50% dei quartieri centrali e residenziali.Il Codice della Strada, il Piano Nazionale della Sicurezza Stradale e le direttive per la redazione degli strumenti di pianificazione del traffico costituiscono oggi un corpus normativo all’interno del quale si riscontrano indicazioni spesso contrastanti. Queste difficoltà ostacolano la diffusione di interventi che potrebbero garantire offerta, opportunità e sicurezza per l’utenza debole, prevenire gli incidenti e promuovere la salute anche per patologie legate all’apparato respiratorio e allo stress.

Si chiede che nelle città e nei centri abitati almeno nel 50% delle aree residenziali e centrali vengano assunti provvedimenti di moderazione del traffico, riducendo i limiti di velocità da 50 km/h a 30 km/h, anche mediante accorgimenti specifici nella pavimentazione stradale. Il Parlamento, i Ministeri competenti, le Regioni e le Province dovrebbero attivare sperimentazioni e progetti pilota, accompagnati da un corpus normativo e una manualistica ufficiale chiara e coerente.

12. A scuola in bicicletta

A fianco all’incentivazione del Mobility management sarebbe necessario promuovere un servizio analogo per incentivare l’accesso a scuola in bicicletta, sia per le ragioni di sostenibilità enunciate in precedenza sia per ragioni educative. I ragazzi devono essere stimolati a prendere confidenza fin dalla più giovane età con il traffico e le regole di comportamento in strada; contestualmente deve essere disincentivato l’accompagnamento in automobile da parte dei genitori, che aumenta la congestione ed è diseducativo. Per arrivare a questo obiettivo occorre uno sforzo da parte degli organi competenti.

Occorre dotare i plessi scolastici delle idonee strutture per un accoglimento sicuro delle biciclette e i Comuni devono allestire percorsi sicuri verso tutte le scuole e nelle scuole.Le autorità scolastiche dovrebbero istituire la figura del mobility manager (come già avviene nelle università), almeno per ciascun circolo didattico. Si suggerisce di inserire nell’offerta formativa il giusto spazio alla mobilità ciclistica, progettando peculiari percorsi educativi. Il Governo dovrebbe farsi promotore di direttive a tal riguardo. Regioni ed enti locali dovrebbero incentivare progetti di bici-bus, per favorire fin dalla più giovane età la cultura dell’intermodalità.

13. Strumenti finanziari

Lo Stato e le Regioni devono impegnarsi nel sostegno alle politiche per la ciclabilità, almeno quanto, in proporzione, si impegnano per lo sviluppo della rete viaria. Poiché lo sforzo deve puntare alla crescita della modalità ciclistica, occorre che sia proporzionalmente adeguato agli obiettivi di incremento del Modal split.

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Lo Stato, le Regioni, le Province e i Comuni con le Comunità Montane e gli Enti Parco devono assicurare risorse costanti e crescenti per la mobilità ciclistica, sia in termini di investimenti strutturali sia per l’equipaggiamento di servizi, fra cui il bike-sharing, le velo-stazioni intermodali, le campagne di promozione territoriale. Lo Stato e le Regioni dovrebbero mettere a disposizione fondi crescenti, almeno in una quota largamente proporzionale a quanto si investe per il medesimo segmento della viabilità ordinaria, da attribuirsi esclusivamente nel quadro di una pianificazione strategica di cui ciascun ente dovrebbe dotarsi.

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