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Realizzazione a cura di IsmeaResponsabile della ricerca: Ezio CastiglioneResponsabile scientifico: Raffaele Borriello

Redazione: Massimo Bellotti, Raffaella Cantagalli, Giulio Cardilli, Pierluigi Milone, Flaminia Ventura

Impaginazione e grafica: Massimo Cerasi, Donatella Quaranta, Carlo Alberto Torlai

Questa ricerca è stata effettuata con il contributo del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e ForestaliCopyright © 2007 Ismea, Roma

È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche aduso interno o didattico, non autorizzata.

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Indice

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Prefazione 5

Introduzione 8

1. Innovazioni organizzative e sistemi informativi 151.1 L’evoluzione dei sistemi informativi e dell’ICT 151.2 Il rapporto tra ICT e organizzazioni 22

1.2.1 L’imperativo tecnologico 281.2.2 L’imperativo organizzativo 291.2.3 La prospettiva emergente 30

2. Lo sviluppo dei sistemi informativi 342.1 La pianificazione 352.2 La fase di sviluppo 402.3 La gestione e valutazione del sistema 44

3. Tracciabilità e rintracciabilità: approcci metodologici e tecnologie informative 51

3.1 Architettura strategica del settore agroalimentare: il concetto di filiera 533.2 Quadro normativo 583.3 La tracciabilità: l’informazione al consumatore e le reti d’impresa 593.4 La rintracciabilità: la gestione del rischio ed il ritiro del prodotto difettoso 63

4. Conclusioni 65

Bibliografia 73

Riferimenti normativi 79

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a sfida competitiva del settore agroalimentare si gioca nel posiziona-mento tra globalizzazione e segmentazione della domanda e dell’offerta.

L’orientamento verso strategie di innovazione, diversificazione e qualifi-cazione dell’offerta, in risposta a domande di sicurezza e qualità provenientidai mercati solvibili e più avanzati, fronteggia la spinta verso la concorrenzadi prezzo e l’omologazione dei consumi. Ciò comporta l’esigenza di ricom-porre e razionalizzare in una logica di sistema le filiere agroalimentari, comecondizione per rendere possibile la competitività per qualità differenziate, siaper il contenimento dei costi, a partire da quelli di transazione e di organizza-zione.

L’apertura progressiva dei mercati richiede la definizione di regole per unaleale concorrenza, in grado di fare emergere le peculiarità degli alimenti che,pur avendo un elevato indice di somiglianza, differiscono in realtà significati-vamente nei loro requisiti impliciti che concorrono a determinare la qualitàglobale di un’offerta.

A livello mondiale, gli standard commerciali internazionali e di sicurezza,sono oggetto di negoziati e accordi (WTO, Codex Alimentarius) e parallela-mente a livello comunitario nuove norme vengono adottate oltre che per l’Or-ganizzazione Comune di Mercato, per i temi emergenti della sicurezza ali-mentare e per la tutela del consumatore attraverso una leale informazione do-cumentata che accompagna gli alimenti e che parte dalla loro etichettatura.

Sul piano nazionale, l’intervento pubblico tende a promuovere un anda-mento disciplinato del mercato, tutelare e promuovere la qualità del prodotto,dei processi e dell’ambiente nelle diverse fasi del ciclo agroalimentare, valo-rizzare le vocazioni territoriali distinguendo la provenienza dei prodotti, favo-rire il riequilibrio delle relazioni tra le imprese della filiera agroalimentare,ridurre le asimmetrie informative esistenti nel ciclo produttivo ed assicurareal consumatore informazioni in grado di consentirgli acquisti consapevoli.

All’incrocio tra regole, interventi pubblici e iniziative private, si colloca lacrescente produzione di certificazioni e disciplinari volontari riconosciuti etutelati a livello istituzionale che divengono beni collettivi distintivi dei pro-dotti di qualità.

Si sta così facendo strada la consapevolezza, della sfera privata come diquella pubblica, che anche nell’agroalimentare l’informazione costituisce unelemento strategico di distinzione e valorizzazione dell’offerta in un mercato

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Prefazione

L

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globale.In tal senso, una parte dell’industria alimentare investe risorse nei control-

li di sicurezza, in sistemi di qualità certificati e nell’ informazione commercia-le, in grado di accreditare procedure e standard aziendali ed accrescere la re-putazione delle proprie marche, mentre la Grande Distribuzione adotta capito-lati tecnici e sistemi informativi in grado di consentire, con una riduzione deicosti di organizzazione e di transazione, la standardizzazione dei propri ac-quisti sulla base di requisiti ed informazioni orientati alla valorizzazione delmarchio distributivo.

Da questi processi, che richiedono elevate conoscenze tecnologiche, inve-stimenti, capacità organizzativa, le imprese della filiera che non possiedonotali requisiti, come parte delle aziende agricole e le minori imprese industrialie commerciali, sono costrette ad aderire a sistemi già costituiti che non sem-pre sono in grado di re - distribuire congruamente l’informazione a tutti gli at-tori della filiera.

Una partnerschip pubblico-privata relativa all’informazione che accompa-gna i prodotti ed i servizi costituirebbe una linea avanzata per l’affermazionedi una strategia di qualificazione e differenziazione dell’agroalimentare italia-no. La tracciabilità di filiera diverrebbe uno strumento importante e poliva-lente, in grado di attivare l’utenza di una parte significativa e diversificatadell’apparato produttivo e di corrispondere ad obbiettivi di interesse privato(concorrenzialità) e pubblico (sicurezza, tutela consumatori, mercato concor-renziale regolato).

Non si tratta di assolvere esclusivamente gli adempimenti inerenti la rin-tracciabilità obbligatoria introdotta dall’Unione Europea con il Regolamento178 del 2002 per consentire un rapido richiamo o ritiro dal mercato di alimen-ti non sicuri sotto il profilo igienico sanitario ma anche di accompagnare l’in-tero processo produttivo agroalimentare con un flusso di informazioni docu-mentate in grado di identificare e distinguere il prodotto tracciato, le impreseche lo hanno realizzato, la provenienza ed i requisiti delle materie prime uti-lizzate e dei successivi processi di trasformazione e di condizionamento finoalla distribuzione al consumatore finale.

Per tale ragione, la tracciabilita’ di filiera costituisce uno snodo organizza-tivo e tecnologico tra informazione e requisiti competitivi dell’offerta e sug-gerisce una riprogettazione sistemica a livello aziendale, di filiere, di territo-rio, corrispondente per un verso, alla domanda del mercato e per l’altro, adesigenze d’interesse generale.

Il presente lavoro descrive e valuta l’esperienza compiuta dall’Ismea inquesti ultimi anni nella progettazione e sperimentazione di sistemi volontaridi tracciabilità di filiera relativi ad alcuni prodotti agroalimentari.

Tali progetti sono stati finanziati dal Mipaaf e realizzati in collaborazionecon organizzazioni economiche ed imprese dei settori interessati.

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Più di recente, l’attività sta estendendosi ad ulteriori esperienze e collabo-razioni, proposte da Istituzioni pubbliche e da organizzazioni private, che in-dividuano l’Ismea come Istituto in grado di attivare un insieme di servizi, tracui assume rilievo la tracciabilità, rivolti alla qualificazione e promozione nelmercato di produzioni e di ambiti territoriali di rilevante interesse Regionalee/o Nazionale.

Il carattere innovativo dell’esperienza Ismea consiste nella realizzazionedi un sistema informativo pubblico-privato che, attraverso l’impiego delle In-formation and Communications Technology, la promozione di intese interpro-fessionali, la stipula di accordi coinvolgenti tutte le imprese di filiera, consen-te di collegare banche dati istituzionali e sistemi informativi aziendali e di fi-liera, in un circuito, settoriale e territoriale, aperto alle diverse utenze pubbli-che e private.

Diviene così realistico l’obbiettivo di rendere tra loro coerenti la gestionedelle informazioni e la creazione delle conoscenze necessarie sia alla pubblicaamministrazione, per la sicurezza alimentare e ambientale e per l’ordinatofunzionamento del mercato, sia alle imprese, per la creazione del valore sia aiconsumatori, per acquisti consapevoli.

Ne deriva che l’impegno dell’Ismea nella tracciabilità non è alternativo aquello privato ma, come avviene per gli altri servizi dell’Istituto, tende ad at-tivarne le convenienze secondo indirizzi che sono di interesse collettivo. Taleimpegno costituisce quindi sia un ulteriore significativo passo avanti nellarealizzazione della missione Ismea di servizio al mercato agricolo alimentareitaliano, sia una dilatazione ed un arricchimento del suo ruolo centrale in ma-teria di informazione, studio ed elaborazione dati nell’agroalimentare.

Concludo ringraziando il Gruppo di lavoro che ha saputo coordinarsi contempismo e competenza e che ha redatto uno studio ricco di spunti che riten-go possano fornire indicazioni e soluzioni utili per una adeguata considerazio-ne e qualificazione della tracciabilità e del suo concorso a determinare inteseinterprofessionali e relazioni di scambio più ordinate nell’ambito delle misurepubbliche rivolte a promuovere e regolare il mercato.

Arturo SemerariPresidente ISMEA

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l settore agroalimentare è stato recentemente soggetto a cambiamentinormativi, tecnologici ed organizzativi derivanti dalla necessità di un

continuo adeguamento ad esigenze di origine pubblica (salvaguardia del be-nessere della collettività) e privata (realizzazione di adeguate performanceeconomico-finanziarie da parte delle imprese del settore). Tra le prime emer-gono la sicurezza alimentare e la salvaguardia ambientale mentre tra le secon-de si evidenziano la differenziazione qualitativa dei prodotti volta ad ottenerepremium price riconosciuti dai clienti e l’ampliamento dei volumi di produ-zione, condizione indispensabile per l’accesso al canale della moderna distri-buzione commerciale. Tali esigenze possono in gran parte essere soddisfattedall’introduzione di sistemi informatizzati di tracciabilità, ovvero di quei si-stemi che consentono la gestione dei flussi informativi relativi al singolo pro-dotto, “dal campo alla tavola”, favorendo contemporaneamente la razionaliz-zazione della gestione logistica del prodotto, il miglioramento delle relazionitra imprese e la loro responsabilizzazione sociale.

Tuttavia, nell’introduzione di sistemi informativi automatizzati a supportodella tracciabilità hanno finora prevalso sistemi “chiusi” introdotti prevalente-mente per iniziativa delle maggiori imprese di trasformazione e, soprattutto,della moderna distribuzione che, come coordinatrici del sistema stesso, hannoutilizzato le informazioni, in particolare per migliorare il valore del prodottosul mercato. Ciò ha contribuito a mantenere inalterata l’organizzazione dellefiliere ed a rafforzare la già dominante posizione degli attori a valle, determi-nando asimmetrie informative nel mercato (Akerlof, 1970; Williamson,1985).

Tali sistemi soddisfano l’esigenza dell’impresa coordinatrice di migliorarela propria gestione logistica, di approvvigionamento e di consegna del prodot-to e di ridurre i costi di transazione. Tuttavia spesso non soddisfano in egualemisura la necessità di agevolarne la rintracciabilità e di differenziare le produ-zioni sul mercato rendendone visibili al consumatore, mediante informazionicerte, le caratteristiche qualitative, ascrivibili alle materie prime, alla loro ori-gine ed ai processi produttivi utilizzati.

Lo sviluppo dei sistemi informativi di tipo “chiuso” è dipeso da molteplicifattori, tra i quali:

- la presenza di micro e piccole imprese, che caratterizzano il settore agri-colo (ISMEA, rapporto annuale 2006). Il loro nanismo costituisce una barrie-ra (culturale, economica, organizzativa) all’introduzione in forma autonoma

Introduzione

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delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT);- l’innovazione di prodotto conseguita prevalentemente a valle della pro-

duzione primaria, attraverso i processi di trasformazione industriale e inter-venti volti ad aumentare il grado di servizio aggiunto alla materia prima agri-cola, la cui valutazione economica e distinzione qualitativa divengono varia-bili dipendenti da tali processi;

- lo sviluppo, da parte della grande distribuzione e di quella organizzata(GDO) di prodotti a marchio proprio (le cosiddette marche commerciali o pri-vate label).

L’introduzione della rintracciabilità obbligatoria1 come strumento di ga-ranzia della sicurezza degli alimenti e di un immediato ritiro o richiamo diprodotti a rischio, da una parte ha fatto aumentare la comunicazione tra im-presa e Pubblica Amministrazione, dall’altra ha reso disponibili, in manieraformalmente omogenea, un gran numero di informazioni. Si tratta delle stesseinformazioni necessarie al controllo delle conformità alle normative previstedalle politiche comunitarie per l’accesso agli strumenti di sostegno, agli stru-menti di tutela istituzionale della qualità (DOP/IGP, ecc.) e di informazioniche possono essere utilizzate per la valorizzazione del prodotto, se corretta-mente comunicate al consumatore.

Dalla possibilità di utilizzo di informazioni su due vie parallele, quella co-gente della rintracciabilità e quella volontaria di filiera destinata alla comuni-cazione al consumatore, è emersa l’opportunità di creare dei sistemi informa-tivi di filiera “aperti” e cioè in grado di fornire l’informazione a utenti diversisecondo opportuni filtri stabiliti a seconda del ruolo che l’utente ha all’internodel sistema di filiera.

È alla luce di tale nuovo scenario che ISMEA ha disegnato e realizzato invia sperimentale dei sistemi informatizzati di rintracciabilità per le principalifiliere agroalimentari nazionali. L’attività è stata realizzata con un finanzia-mento del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali nell’am-bito degli interventi previsti dalla legge 499/99 per la razionalizzazione degliinterventi nei settori agricolo, agroalimentare, agroindustriale e forestale.

Questi sistemi, che utilizzano le moderne tecnologie dell’informazione edin particolare la rete internet, hanno la caratteristica di essere sistemi mistipubblico-privato in quanto a servizio delle necessità dei diversi operatori.

I sistemi ISMEA hanno due finalità: quella informativa e quella organizza-tiva. A differenza dei sistemi di filiera di tipo “chiuso”, dove l’informazione èdestinata principalmente a chi coordina l’organizzazione, che speso si trova avalle della filiera, nel nuovo modello introdotto e sperimentato da ISMEAl’informazione è destinata:

- all’autorità pubblica, per fini istituzionali quali sicurezza alimentare, tu-tela del consumatore, controlli, regolamentazione dei mercati attraverso la ri-duzione delle asimmetrie informative;

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- ai diversi attori della filiera, sia per garantire i prerequisiti e le caratteri-stiche qualitative dei flussi fisici che viaggiano nella filiera, individuare le re-sponsabilità dei diversi operatori, consentire un ritiro rapido del prodotto dalmercato, sia per garantire la conformità a disciplinari volontari e le informa-zioni volontarie in etichetta da comunicare ai consumatori.

La presenza di un sistema informativo condiviso diviene un importantestrumento di strutturazione di nuove organizzazioni. L’organizzazione è, in-fatti, il risultato della strutturazione dei rapporti tra i diversi attori di un siste-ma di tracciabilità in funzione della trasmissione di flussi fisici ed informati-vi. Questi rapporti influiscono sull’organizzazione interna delle imprese e sul-la definizione dei loro confini. Un sistema “aperto” consente, quindi, la crea-zione di organizzazioni flessibili rappresentate da reti temporanee di impreseche si connettono dinamicamente, stimolate o guidate da opportunità di mer-cato o dalla riduzione di costi amministrativi, attraverso la stipula di un pattodi filiera volto all’implementazione di un sistema volontario di qualità di cuila tracciabilità costituisce la modalità di garanzia per le imprese che vi parte-cipano e per il consumatore.

Le moderne tecnologie di ICT hanno dato luogo ad uno sviluppo esponen-ziale delle informazioni e delle possibilità di accesso a queste, ponendo comecentrale il problema della certificazione dell’informazione e della sua inter-pretazione.

L’informazione, quindi, continua ad essere l’elemento chiave delle strate-gie di impresa, ma mentre nel passato tali strategie erano volte a creare asim-metrie o blocchi informativi in quanto il vantaggio competitivo veniva dalcontrollo delle informazioni, oggi il vantaggio competitivo è legato alla cer-tezza dell’informazione (informazioni certificate e, quindi, credibili) e alla ca-pacità di tradurla in linguaggi immediatamente comprensibili per diversi atto-ri di un sistema agroalimentare globale.

Entrambe queste nuove funzioni, certificazione ed elaborazione delle in-formazioni in diversi linguaggi, hanno un costo spesso troppo elevato per ledimensioni delle nostre aziende agricole ed agroalimentari. Inoltre, nel settoreagroalimentare vi è un numero crescente di informazioni che devono viaggia-re all’interno della filiera collegate ai flussi fisici di prodotto. Questo è oggireso tecnologicamente possibile dall’evoluzione dell’ICT, ma con costi addi-zionali, anche se progressivamente decrescenti. Sia gli elevati costi della cer-tificazione dell’informazione, sia del suo collegamento al prodotto favorisco-no un controllo di entrambe queste attività gestito dalle fasi a valle della filie-ra, producendo nuovi rapporti gerarchici ed ulteriori squilibri di potere nego-ziale nelle filiere. Il ruolo delle istituzioni è invece quello di intervenire in ter-mini di riequilibrio di tale potere e di tutelare il consumatore, sia rispetto lapossibilità di accesso alle informazioni da lui desiderate e non dettate, sia ri-spetto ad una giusta costruzione della catena del valore che si manifesta nel

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prezzo finale. Pertanto il ruolo delle istituzioni pubbliche è oggi anche quello di interve-

nire nella fase di certificazione delle informazioni e di garantirne l’accesso at-traverso la creazione di infrastrutture tecnologiche aperte, ma caratterizzate dacontrolli effettuati a diversi livelli che garantiscono la veridicità del dato el’assenza di manipolazioni non autorizzate e di asimmetrie informative.

I sistemi di tracciabilità di ISMEA costituiscono delle sperimentazioni del-le modalità operative attraverso le quali l’istituzione pubblica può esercitare ilruolo descritto. Tale attività è la naturale evoluzione della mission istituziona-le di ISMEA quale istituto per la gestione e diffusione delle informazioni neimercati agricoli ed agroalimentari finalizzata ad aumentarne la trasparenzaper tutelare le categorie più deboli del sistema di agrimarketing cioè i consu-matori, i produttori agricoli e le imprese minori.

I sistemi di tracciabilità ISMEA si basano infatti su: - utilizzazione di informazioni verificate da enti pubblici presenti già nelle

banche dati (SIAN, CCIAA, Ministero della Salute);- adesione volontaria con identificazione delle singole responsabilità;- libertà di scelta delle informazioni volontarie da veicolare nel sistema

sulla base di quanto il mercato/cliente consumatore finale è disposto a ricono-scere;

- una infrastruttura aperta, cioè con accessi plurimi a soggetti che svolgo-no funzioni ed attività diverse nel sistema di agrimarketing;

- una riduzione dei costi attraverso la multifunzionalità del sistema (con-trolli istituzionali, etichettatura volontaria, conformità delle imprese alle nor-mative cogenti, assistenza tecnica, gestione del rischio alimentare, servizi allavendita e post vendita ecc...);

- la possibilità di partecipazione al sistema da parte di tutte le impreseagricole, alimentari, commerciali, indipendentemente dalle dimensioni.

I sistemi finora realizzati in fase pilota da ISMEA riguardano: - la filiera dei vini DOC e DOCG (vinop@ss);- la filiera del latte fresco pastorizzato (milkp@ss);- la filiera dei cereali da panificazione (breadp@ss);- la filiera degli ortofrutticoli destinati al consumo fresco (ortofruttap@ss).La presente pubblicazione offre al lettore una sintesi dei caratteri salienti

dei progetti menzionati, più compiutamente descritti in altrettante monografiea corredo del progetto complessivo.

Il programma di attività di ISMEA per ciascuna filiera è stato realizzatosecondo i seguenti criteri:

- progettazione e realizzazione dei sistemi, svolte attraverso un’interazionecontinua tra progettisti, contesto normativo ed organizzazione, sia della Pub-blica Amministrazione, sia dei soggetti collettivi ed imprese interessati;

- compatibilità con la normativa UNI 10939:2001, conformità alle norme

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cogenti, nazionali e comunitarie, in materia di sicurezza alimentare, etichetta-tura, Organizzazioni Comuni di Mercato, nonchè alle normative specifichepertinenti i prodotti tracciati;

- profondità di filiera interaziendale, che risulta dalla combinazione deiprocessi di tracciabilità interna all’azienda di ciascun operatore della filierauniti da efficienti flussi di comunicazione e connessione tra loro e con le ban-che dati pubbliche facenti parte del SIAN;

- fruibilità diretta dei sistemi da parte delle imprese, a supporto delle loroscelte sia operative che strategiche, consentendone la diversificazione sul pia-no produttivo e commerciale. Ciò è reso possibile dal numero aperto delle im-prese dei diversi settori partecipanti al sistema che non impone la tracciabilitàcome ordinativo tecnico delle forniture ad un unico predeterminato acquirente;

- proprietà pubblica dei sistemi e della loro documentazione. L’Ismea nesovrintende la gestione, il coordinamento e l’aggiornamento, assicura la cen-tralizzazione delle informazioni e la loro accessibilità ai diversi soggetti aven-ti diritto, autorizza l’implementazione dei sistemi in nuove filiere medianteappositi protocolli di intesa con i soggetti che ne promuovono l’organizzazio-ne, individua imprese e/o organismi in grado di assumere funzioni di capofi-liera, di svolgere l’addestramento degli operatori e del personale, di prestareservizi alle imprese minori per l’acquisizione, in forma individuale o di grup-po, delle tecnologie ICT.

L’architettura essenziale di tali sistemi, basati su criteri di flessibilità emolteplicità delle soluzioni applicative, è caratterizzata da:

- l’identificazione dei prodotti, dei soggetti e dei processi che definisconoil flusso produttivo da tracciare nei passaggi tra le aziende della filiera e al-l’interno di queste;

- la scelta del flusso informativo documentato che accompagna quello fisi-co del prodotto e delle informazioni disponibili in chiaro per il consumatorepresso i punti vendita dell’alimento;

- la capacità tecnologica di integrare sistemi informativi privati aziendalied interaziendali e reti e banche dati pubbliche;

- la definizione del processo organizzativo, delle regole e delle responsabi-lità operative che impegnano le aziende ed i loro operatori per l’implementa-zione del sistema, il suo coordinamento e le misure da adottare in caso di nonconformità e di allarme sanitario;

- l’individuazione dei soggetti istituzionali, pubblici e privati, che parteci-pano al sistema informativo;

- la possibilità, da parte delle filiere produttive interessate ad evidenziarepregi distintivi del prodotto tracciato, di dilatare l’ampiezza dei flussi infor-mativi, dei controlli e delle procedure con ulteriori regole ed informazionisulla base di disciplinari integrativi.

I sistemi informativi messi a punto per i vini DOC e DOCG - vinop@ss- e

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quello per il latte fresco -milkp@ss- si propongono, in particolare, di sup-portare la Pubblica Amministrazione nello svolgimento delle attività di con-trollo di quanto dichiarato in etichetta relativamente all’origine della mate-ria prima ed alla conformità dei processi a quanto stabilito da norme cogentie volontarie.

La sperimentazione del sistema di tracciabilità vinop@ss è avvenuta pres-so il Consorzio del vino Chianti Classico ed ha riguardato, oltre al Consorzio,sei aziende ad esso aderenti.

Il sistema milkp@ss, alla cui definizione ha partecipato anche la RegioneUmbria, è stato sperimentato presso la Centrale del latte di Perugia (“GrifoLatte s.c.ar.l.”) ed altri attori operanti sia nella fase dell’allevamento, sia inquella del trasporto. Il progetto inoltre ha previsto l’adozione di una tecnolgiawireless che permette l’ immissione automatica delle informazioni relative al-le specifiche tecniche di processo, direttamente nel sistema, consentendo digarantire la veridicità del dato e di monitorare i parametri chimico-fisici rile-vanti ai fini della denominazione merceologica di “latte fresco”.

La sperimentazione di breadp@ss, alla cui definizione hanno partecipatol’Unione Nazionale Seminativi, La Federazione Nazionale Panificatori e ilConsorzio di tutela del Pane DOP di Altamura, si è svolta con due test appli-cativi. Il primo presso il Consorzio di Tutela sunnominato ed ha riguardatodue aziende agricole, un centro di stoccaggio, un molino e due aziende di pa-nificazione. Il secondo test si è svolto presso una filiera produttrice di un panerealizzato esclusivamente con grano tenero del Friuli-Venezia Giulia, sullabase di un disciplinare di produzione e di un accordo interprofessionale cheprevede conseguenti premi alla produzione da parte degli acquirenti, ed ha ri-guardato sei aziende agricole, un consorzio agrario, un molino, uno stoccatoree cinque aziende di panificazione.

La realizzazione del sistema ortofruttap@ss ha fatto parte di un più ampioprogetto affidato dal Mipaf all’INRAN per la definizione di buone pratichenella produzione e commercializzazione dei prodotti ortofrutticoli.

La sperimentazione di ortofruttap@ss è stata effettuata con due test appli-cativi presso i Centri Agroalimentari di Fondi (MOF) e di Bologna (CAAB).Nel primo caso sono stati coinvolti due grossisti produttori (Copla, cooperati-va ortofrutticola di Latina che comprende 250 produttori agricoli e la societàVaccaro Gino & C. snc), due grossisti condizionatori del prodotto (Addessis.r.l. e Fratelli Recchia ) e un grossista distributore (Eburnea s.a.s). Nel Centroagroalimentare di Bologna, sono state coinvolti un grossista produttore e duegrossisti distributori (De Angeli s.r.l. e Di Pisa s.r.l.)

I prodotti tracciati sono patate, pomodoro, insalate, carote, finocchie e ce-trioli per quanto riguarda gli ortofrutticoli e mele, pere, pesche, arance, uva datavola per quanto riguarda la frutta, per un volume complessivo di circa75.000 tonnellate di ortofrutta per entrambi i Centri agroalimentari.

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Tutte le fasi di progettazione e realizzazione dei sistemi pilota, sono stateoggetto di monitoraggio. Questo ha consentito l’individuazione dei cambia-menti organizzativi indotti nei diversi segmenti della filiera, compreso l’istitu-zione pubblica e la valutazione dei costi e benefici derivanti dall’implementa-zione di ciascun sistema.

1) Regolamento CE 178 del 2002 che stabilisce i principi e i requisiti generali della legis-lazione alimentare, istituisce l'Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa proce-dure nel campo della sicurezza alimentare.

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informazione è considerata sempre più spesso come una risorsa strate-gica nelle organizzazioni. Le modalità con cui questa è trasmessa al lo-

ro interno e nell’ambiente in cui esse agiscono, però, sono profondamentecambiate negli ultimi anni, soprattutto con l’avvento dell’Information andCommunication Technology (ICT).

L’analisi dell’evoluzione dell’ICT negli ultimi cinquanta anni può, in talsenso, fornire un prezioso contributo alla definizione del quadro di riferimen-to nel quale collocare l’ampio ed articolato dibattito dedicato alla compren-sione dell’impatto dell’ICT sulle organizzazioni, descriverne quindi le princi-pali prospettive di indagine, ed individuare quella più adatta a comprenderegli effetti dell’introduzione di sistemi informativi per la rintracciabilità nellefiliere agroalimentari.

1.1 L’evoluzione dei sistemi informativi e dell’ICT

Negli ultimi anni, le tecnologie dell’informazione sono andate sempre piùintegrandosi con quelle della comunicazione e nell’ambito dell’analisi orga-nizzativa, oggi, parlare di Information Technology (IT)2 e di Information andCommunication Technology (ICT)3 equivale sostanzialmente a far riferimentoallo stesso concetto (Giustiniano, 2005). I termini IT ed ICT, però, contraria-mente a quanto spesso accade, non devono essere confusi con quelli di “siste-ma informativo” e di “sistema informatico”.

Da un punto di vista teorico, infatti, i sistemi informativi possono esseredefiniti come l’insieme di persone, macchine e procedure che permettono adun’organizzazione di disporre delle informazioni necessarie nel posto giustoed al momento giusto (De Marco, 1992, 2000). Una tale definizione, quindi,comprende non solo la parte cosiddetta “hardware” del sistema, ma anche tut-ti quei meccanismi, pure sociali, mediante i quali i dati sono acquisiti, elabo-rati e trasmessi. È quindi possibile distinguere, sulla base di questi ultimi, trasistemi informativi “informali”, nei quali non vi è un accordo formalizzatosulla scelta delle informazioni e delle modalità di trasmissione, e sistemi in-formativi “formali”, nei quali invece tale scelta viene effettuata in manieraconsapevole ed esplicita dall’attore organizzativo. I sistemi informativi “for-mali”, a loro volta possono essere distinti in sistemi informativi “manuali”,basati su strumenti cartacei, e quelli “computer based”, che utilizzano compu-

1. Innovazioni organizzative e sistemi informativi

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ter per l’elaborazione elettronica dei dati (Martinez, 2004) ed a cui si faràsempre riferimento nel corso del presente lavoro.

Per sistema informatico, invece, si intende l’insieme di dotazioni e di stru-menti automatici impiegati per l’elaborazione dei dati necessari a supportarela gestione dell’organizzazione (Verrijn e Stuart, 1989). In una prospettivastrutturale, quindi, l’ICT può essere intesa come l’infrastruttura tecnologica diriferimento di un qualsivoglia sistema informatico che, a sua volta, rappresen-ta la parte automatizzata del sistema informativo (Giustiniano, 2005), ovveroil sotto-sistema automatico per la raccolta, la memorizzazione e l’elaborazio-ne delle informazioni necessarie per supportare i processi decisionali all’inter-no delle organizzazioni (Simon, 1957, 1997; Buckingham et al., 1987; Avi-son, Fitzgerald e Wood-Harper, 1988, Fontana, 1988).

Gli ultimi cinquanta anni, per le organizzazioni ed i loro sistemi informati-vi hanno rappresentato un periodo di intensa trasformazione, concretizzatasiin una continua evoluzione delle loro caratteristiche, del loro ruolo e, quindi,dei soggetti deputati alla loro progettazione/utilizzo. In tal senso, un rapido ri-chiamo delle tappe fondamentali di tale processo, è funzionale anche alla de-scrizione e comprensione della diversità evolutiva nell’introduzione ed usodei sistemi informativi nel settore agricolo ed agroalimentare rispetto agli altrisettori, e ad illustrare come le recenti evoluzioni dell’ICT - più precisamenteinfrastrutture tecnologiche pubblico-private più consone alle esigenze cultura-li ed economiche delle imprese del settore - possano portare ad una riduzionedel gap evolutivo ancora oggi esistente.

L’analisi di seguito riportata è stata proposta da Marzocchi (1991) e descrivel’evoluzione della gestione ed organizzazione dei sistemi informativi per affron-tare i cambiamenti indotti dall’introduzione dell’automazione in tali sistemi. Latraiettoria di sviluppo risulta composta da 4 fasi fondamentali (cfr. fig. 1.1):

1. la prima fase corrisponde agli anni Cinquanta e Sessanta e prende il no-me di accounting. In questo periodo i sistemi informativi aziendali sono impie-gati all’interno delle organizzazioni per soddisfare esclusivamente le esigenzeespresse dalle attività amministrative contabili, e gli utilizzatori finali non par-tecipano minimamente alla progettazione e all’implementazione del sistema;

2. la seconda fase (anni Sessanta e Settanta) è quella delle operations, econsiste nell’introduzione di sistemi informativi a supporto dell’automazionedelle operazioni fondamentali dell’impresa, come ad esempio quelle della pro-duzione e della gestione delle scorte. La progettazione e lo sviluppo di questisistemi, certamente più complessa rispetto a quelli di prima generazione, ri-chiede anche la partecipazione dei manager funzionali e degli operatori finali;

3. la terza fase (anni Settanta e Ottanta) è quella dell’information. In essal’IT, intesa in senso stretto, supporta i processi decisionali dei livelli più ele-vati delle strutture organizzative, ed i sistemi informativi aziendali si configu-rano come veri e propri sistemi informativi strategici (Clarke, 2001);

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4. la quarta ed ultima fase (anni Novanta), prende il nome di wired society erappresenta un vero e proprio “salto” nell’evoluzione dei sistemi informativi.

Lo schema evolutivo proposto da Marzocchi mostra come a partire daglianni Settanta-Ottanta, l’IT si è evoluta passando da pura e semplice tecnolo-gia di elaborazione, a vera e propria tecnologia di relazione ed organizzazio-ne, con un progressivo aumento del suo impatto sulla struttura organizzativa(Pontiggia, 1997). Nonostante ciò, nelle prime tre fasi i sistemi informativi ele tecnologie ad essi connesse hanno continuato a riguardare solo ed esclusi-vamente la singola organizzazione (Giustiniano, 2005). Nella fase della wiredsociety, invece, l’ICT ha favorito lo sviluppo di forme di organizzazione di ti-po reticolare e di nuove modalità di cooperazione inter-organizzativa.

Figura 1.1 - L’evoluzione dei sistemi informativi

Fonte: Elaborazione personale da Marzocchi (1991).

ACCOUNTING

OPERATIONS

‘50 ‘60 ‘70 ‘80 ‘90

INFORMATION

WIRED SOCIETY

Figura 1.2 - L’evoluzione dei sistemi informativi nel comparto agroindustriale italiano

Fonte: Elaborazione personale da Marzocchi (1991).

ACCOUNTING

OPERATIONS

‘50 ‘60 ‘70 ‘80 ‘90

INFORMATION

WIRED SOCIETY

L’evoluzione dei sistemi informativi nel settore agricolo ed agroalimenta-re, a differenza di quanto appena descritto, è avvenuta in ritardo rispetto alledate illustrate (cfr. fig. 1.2). In tal senso, partendo dallo schema proposto daMarzocchi, è possibile evidenziare uno slittamento in avanti dell’inizio di tut-

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te e quattro le fasi evolutive, di cui le prime tre (accounting, operations e in-formation) risultano ancora in atto ed hanno fino ad oggi interessato un nume-ro davvero esiguo di imprese. Le tre tappe, infatti, hanno coinvolto principal-mente aziende di trasformazione e di distribuzione di grandi dimensioni, chenel comparto agroindustriale rappresentano una percentuale bassissima del to-tale delle imprese. La quasi totalità dei sistemi informativi delle imprese agri-cole, invece, non è stata minimamente interessata da questo specifico proces-so evolutivo.

La fase di accounting, può essere collocata intorno agli anni Ottanta,quando a seguito dell’introduzione di forme di assistenza tecnica pubblica so-no stati realizzati sistemi di contabilità e gestione aziendale. Questi sistemisono stati introdotti nelle imprese agricole per fornire dati economici e finan-ziari al decisore pubblico e, proprio per queste ragioni, i sistemi venivano ge-stiti da tecnici dei centri di contabilità regionale nati proprio in quegli anni aseguito degli interventi di Politica delle Strutture.

Negli stessi anni sono stati sviluppati anche sistemi del tipo operations asupporto dell’automazione di alcuni processi produttivi, in particolare di quel-li legati alle colture protette ed all’ottimizzazione dell’uso di alcune tipologiedi input (principalmente la risorsa idrica). L’utilizzo di questi sistemi è rima-sta limitata a poche imprese, nonostante l’evoluzione - soprattutto in altri Pae-si (USA, Olanda e Francia) - di sistemi informativi a supporto dell’automa-zione e delle decisioni tecniche aziendali (fase dell’information). Le principa-li motivazioni sono da ricondurre, non tanto alle piccole dimensioni aziendali,quanto piuttosto ad una mancanza di cultura imprenditoriale e managerialedelle imprese, che hanno operato in un regime di mercati protetti e hannoesternalizzato molte funzioni strategiche o al pubblico, o ad altre imprese del-la filiera (soprattutto quelle in forma cooperativa).

A differenza di quanto accaduto nel sistema delle imprese, l’inizio dellafase della wired society può essere sì fatta risalire ai primi anni Novanta, mal’impiego dell’ICT ha riguardato principalmente la Pubblica Amministrazioneper la realizzazione di sistemi informativi a supporto delle funzioni di gestio-ne e controllo della spesa agricola sia a livello di sistema Paese, sia di singolaazienda.

Questi sistemi, che oggi fanno capo al SIAN,4 hanno supportato l’evolu-zione delle politiche di regolamentazione del mercato e di sostegno dei redditie della sicurezza alimentare ed ambientale. Solo a partire dalla seconda metàdegli anni Novanta, conseguentemente alla riduzione del sostegno del redditoe alla richiesta, anche alle imprese agricole, di una crescente responsabilitànei riguardi del consumatore e dell’ambiente, si è creata la necessità di intro-durre sistemi informativi a supporto delle decisioni per migliorare la perfor-mance globale dell’impresa. Questo processo è oggi accelerato dalla nuovaPolitica Comunitaria che sposta il sostegno finanziario alle imprese dal “pro-

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dotto” (cioè dai quantitativi di prodotto complessivamente realizzati), ai“comportamenti” (cioè al modo di competere sul mercato), rendendo necessa-ria una crescita imprenditoriale degli operatori del settore e la creazione dinuove forme organizzative capaci di coordinare i flussi fisici e informativi al-l’interno delle supply chain, di interagire con mercati sempre più allargati e digestire nuove forme di comunicazione al consumatore.

Da queste ultime considerazioni emerge in maniera chiara la crescente va-lenza strategica dei sistemi informativi nella creazione di valore e, quindi, nelconseguimento per le aziende di un vantaggio competitivo. Con il cresceredella complessità dei sistemi informativi, infatti, questi sono evoluti da sem-plici sistemi di supporto operativo a sistemi con funzionalità di tipo manage-riale, finalizzati cioè ad una gestione integrata delle funzioni dell’organizza-zione e, soprattutto, alla definizione delle strategie che l’organizzazione puòmettere in atto come scelta tra alternative strategiche diverse.

L’evoluzione dell’ICT in funzione del suo impatto sulla struttura di busi-ness è stata analizzata da Murphy (2002), che ha individuato quattro tappeevolutive fondamentali e che possono essere sinteticamente schematizzatenella figura seguente.

Figura 1.3 - L’evoluzione dell’ICT

Fonte: Murphy, 2002.

1950 2010

Alto

Basso

I EraAutomazione ed efficienza

II EraPersonal Computer

IV EraIntegrazione esterna

III EraIntegrazione interna

La prima delle tappe individuate da Murphy prende il nome di “era del-l’automazione e dell’efficienza”: siamo all’inizio degli anni Cinquanta e l’o-biettivo da raggiungere è sostanzialmente quello dell’efficienza. Questa fina-lità spinge le organizzazioni ad adottare tecnologie finalizzate esclusivamenteall’automazione di specifici business o di determinate funzioni, che si caratte-rizzano per la ripetitività delle attività svolte e/o per l’elevato volume dei datigestiti. I sistemi di automazione, in questa fase, vengono impiegati principal-mente per accrescere la velocità di esecuzione di attività manuali che richie-

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dono l’impiego di un elevato numero di ore di lavoro e di supporti cartacei(ad esempio la contabilità). L’efficienza viene raggiunta sostituendo i soggettideputati allo svolgimento di tali attività di routine con applicazioni hardwaree software. L’impiego delle applicazioni informatiche resta “isolato” in pochee ben determinate aree aziendali ed il numero di soggetti in grado di utilizzarequeste tecnologie è limitato. Questa situazione facilita, di fatto, la quantifica-zione dei benefici e dei costi legati allo sviluppo del sistema informativo, ren-dendone meno complessa la gestione.

Dagli anni Cinquanta in poi, grazie anche ai più bassi costi associati al-l’acquisto di Personal Computer (PC), all’interno delle organizzazioni si assi-ste ad un impiego sempre più massiccio di hardware e software. La maggiorediffusione dei PC e la crescente familiarizzazione con questa tecnologia daparte degli utenti finali, fanno sì che quest’ultimi contribuiscano in manierasempre più significativa, alla definizione delle caratteristiche delle soluzionisoftware impiegate e dei pacchetti informatici standard. Ci troviamo in quellache Murphy definisce come “era dei personal computer”, e se da una parte siassiste al progressivo aumento dell’autonomia degli utenti nell’impiego delleapplicazioni e, quindi, dell’efficacia dei sistemi informativi, dall’altra si regi-stra una maggiore complessità nella gestione di tali sistemi all’interno delleorganizzazioni. La conseguenza principale di questa evoluzione, si concretiz-za nella difficoltà di riuscire a quantificare i costi ed i vantaggi legati all’inve-stimento in IT a causa, rispettivamente, del più complesso processo di svilup-po e di gestione del sistema informativo, e della necessità di considerare, oltreai benefici legati al trattamento di un numero maggiore di informazioni e allarapidità con cui vengono trasmesse, anche benefici di natura intangibile.

“L’era dell’integrazione interna”, che contrassegna tutti gli anni Novanta,si caratterizza per la maggiore pervasività dei sistemi implementati e per l’op-portunità che offrono non soltanto in termini di ottimizzazione delle modalitàoperative, ma anche di sviluppo di nuovi modelli di business e di ridisegnodei processi aziendali. Il ruolo dell’IT all’interno delle organizzazioni divieneancora più importante, arrivando a supportare i processi decisionali dei mana-ger che agiscono al suo interno. L’inadeguatezza dei tradizionali modelli divalutazione fino ad ora impiegati per valutare la convenienza degli investi-menti in IT, spingono gli studiosi ed i manager ad elaborare nuovi modelli chesiano maggiormente sensibili alla valenza strategico-gestionale dei sistemi in-formativi e, quindi, ai loro effetti sulle strategie e la struttura organizzativa.

La quarta ed ultima “era” è quella dell’”integrazione esterna”, ed ha ap-prossimativamente inizio a partire dalla prima metà degli anni Novanta, pro-traendosi fino ai giorni nostri. È questa la fase in cui si realizza l’integrazionetra IT e CT, convergenza che porta alla nascita dell’ICT e che grazie allo svi-luppo di Internet e delle reti, permette ad aziende situate in aree geografica-mente molto distanti, di scambiarsi rapidamente una notevole quantità di in-

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formazioni. Il ruolo svolto dai sistemi informativi, quindi, non è più soltantoquello di garantire il passaggio rapido di informazioni tra le varie parti checompongono la singola struttura organizzativa (integrazione interna). Essi, in-fatti, sono in grado di soddisfare le esigenze informative e di integrazione del-la singola organizzazione con tutte quelle che la circondano (integrazioneesterna). La capacità di trasmettere dati e informazioni, caratteristica dei mez-zi di telecomunicazione, porta quindi alla nascita di network, ossia di reticomposte da attori che stringono forme di collaborazione per il raggiungi-mento dei propri obiettivi, non necessariamente convergenti tra loro. Durantele fasi di progettazione ed implementazione di questi sistemi, non si può quin-di prescindere dal fatto che le organizzazioni, pur manifestando la necessità discambiarsi vicendevolmente informazioni, possono presentare caratteristicheassai diversificate in ragione della loro distante collocazione geografica, dellediverse finalità strategiche e delle differenti soluzioni hardware e software chegià adottano. Chiamando in gioco un numero elevato e diversificato di sog-getti, quindi, diventa molto più complesso riuscire a valutare costi e beneficiderivanti da un investimento in IT.

L’evoluzione dell’ICT che ha portato alla nascita dei sistemi interorganiz-zativi ha determinato anche nel settore agricolo ed agroalimentare, un miglio-ramento del coordinamento delle imprese all’interno delle filiere che collega-no la produzione con il consumatore, e la gestione centralizzata di funzioni eprocessi di aziende diverse geograficamente anche molto distanti. Questo haconsentito di superare il vincolo delle piccole e piccolissime dimensioni fisi-che ed economiche delle imprese agroalimentari attraverso la costituzione diorganizzazioni di dimensioni adeguate alle richieste del settore distributivo. Siè passati, in sostanza, da forme fortemente gerarchiche come le cooperative diproduzione, ad un coordinamento di filiera di tipo contrattuale, più flessibile,nel quale le relazioni interaziendali possono mutare nel tempo e nello spazioin funzione delle possibilità di business.

Secondo la teoria economica neoclassica, infatti, l’allocazione della pro-duzione nel mercato avviene attraverso il sistema dei prezzi, ma quando siopera in termini di differenziazione qualitativa del prodotto, questo tipo dimeccanismo non è più efficace (Tirole, 1989). Una delle caratteristiche dell’e-voluzione dei consumi agroalimentari è la loro segmentazione qualitativa cheassume connotazioni dinamiche sulla spinta di una progressiva culturalizza-zione dei comportamenti di acquisto (Miele e Parisi, 2000, 2001). In altre pa-role la globalizzazione dei mercati sta portando alla presenza di un gran nu-mero di segmenti di consumo piuttosto dinamici.

Si pensi, ad esempio, al settore della carne bovina fresca, dove le grandicatene distributive gestiscono, nei punti vendita del nord Italia, fino a 7-8 ti-pologie di prodotto diversificate per razza, provenienza e tecnica di alleva-mento, mentre man mano che si scende lungo la penisola, tale numero dimi-

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nuisce esponenzialmente. Ciò, per l’impresa di distribuzione ha comportato lanecessita di organizzare in maniera più flessibile gli acquisti, con rapporticontrattuali diversificati in funzione del mercato obiettivo. Tale diversifica-zione ha consentito anche ad allevamenti zootecnici di piccole dimensioni diintrattenere relazioni commerciali con la GDO, che, attraverso sistemi infor-mativi comuni può gestire la programmazione degli acquisti e delle attività dilogistica. Sempre più spesso queste attività vengono esternalizzate e assunteda Consorzi o Associazioni di produttori, che, a differenza di quanto avvenivain passato per le cooperative, operano solo nella fase di commercializzazionee di assicurazione qualità, senza avere il possesso del prodotto.

La descrizione delle fasi principali dello sviluppo dell’ICT all’interno del-le organizzazioni aiuta a comprendere quanto sia difficile riuscire ad inqua-drare il tipo di relazione esistente tra ICT e forme organizzative. Il compito èancora più arduo se si considera che, tale rapporto, dagli anni Sessanta è an-dato sempre più rafforzandosi per via del maggior grado di incertezza delcontesto ambientale in cui agiscono le organizzazioni e della rapidità di svi-luppo dell’innovazione tecnologica.

1.2 Il rapporto tra ICT e organizzazioni

La comprensione del rapporto esistente tra organizzazione e tecnologiedell’informazione rappresenta uno degli argomenti principali di indagine nel-l’ambito dello studio dei sistemi informativi. Secondo alcuni autori, la nascitadi tale dibattito può essere fatta risalire al 1958, quando Leavitt e Whisler(1958) cercarono di comprendere come l’ICT avrebbe potuto modificare le at-tività dei manager all’interno delle aziende negli anni Ottanta. Essi, concluse-ro che le tecnologie informatiche avrebbero determinato la scomparsa (“effet-to di downsizing”) del middle management, provocando grandi trasformazionisulla struttura organizzativa.

In Italia, l’esplorazione delle relazioni esistenti fra ICT e forme organizza-tive ha invece avuto inizio attorno ai primi anni Settanta, quando la disciplinadegli studi di organizzazione aziendale avviò un’analisi critica del ruolo e de-gli effetti dei sistemi informativi all’interno delle organizzazioni aziendali (Ru-giadini, 1970; Rugiadini et al., 1973; De Marco, 1977). A distanza di quasicinquanta anni, il dibattito scientifico è ancora attuale, soprattutto alla luce del-la rapida evoluzione dell’IT, del passaggio da questa all’ICT, e delle conse-guenze che entrambe hanno avuto e stanno avendo sui cambiamenti delle strut-ture organizzative e del ruolo e delle performance delle singole componenti.

Il crescente interesse per il ruolo svolto dall’ICT, anche da parte di chi sioccupa di organizzazione, deriva al fatto che a differenza di altre tecnologie,l’informatica supporta il ciclo di vita di una risorsa organizzativa molto parti-

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colare, cioè l’informazione, che costituisce la radice di ogni altra risorsaaziendale immateriale, quale la conoscenza e l’esperienza individuale. Sonoqueste, del resto, le ragioni per cui gli studi sui sistemi informativi ci aiutanoa comprendere meglio gli assetti organizzativi delle imprese (Rugiadini,1970, 1979; Rugiadini et al., 1973; De Marco, 1977, Ciborra et al. 1978; DeVecchi e Grandori, 1983; Camussone, 1990; Martinez, 1997).

L’informazione è una risorsa immateriale o intangibile che presenta carat-teristiche peculiari rispetto a tutte le altre risorse dell’impresa. Essa, infatti,non è facilmente divisibile o appropriabile, non è intrinsecamente scarsa, èspesso soggetta ad obsolescenza e può fornire ritorni non decrescenti con l’u-so, anzi, spesso, aumenta il suo valore proprio con l’uso. A differenza di altrerisorse, inoltre, l’informazione si autorigenera, nel senso che l’uso della cono-scenza crea immediatamente la richiesta e le condizioni per la produzione dinuova conoscenza. L’informazione, in quanto tale, svolge quindi un ruolo or-ganizzativo e diversi modelli teorici sono stati sviluppati nell’ambito dellaprospettiva informativa della teoria dell’organizzazione5 per definire il ruoloorganizzativo delle tecnologie dell’informazione.

Innanzitutto, in letteratura sono state avanzate numerose classificazioni ditecnologie dell’informazione. Maggiolini (1986) e Ciborra (1991), ad esem-pio, ne individuano quattro diverse categorie:

1. tecnologie informatiche di automazione. Con questo termine si indicanole tecnologie dell’informazione impiegate per lo svolgimento dei processi at-traverso cui l’organizzazione realizza il prodotto o eroga il servizio. Sistemitecnici6 appartenenti a questa categoria tecnologica sono, ad esempio, i calco-latori utilizzati nelle aziende per eseguire il controllo di qualità, i registratoridi cassa dei punti vendita, il bancomat, etc.;

2. tecnologie di supporto alle decisioni. La categoria comprende le tecno-logie dell’informazione adottate dall’organizzazione per la gestione del pro-cesso di produzione o per l’erogazione di servizi. Sistemi tecnici corrispon-denti a questo tipo di tecnologia sono, ad esempio, la posta elettronica, le ap-plicazioni software per la gestione della contabilità aziendale, sistemi di tele-conferenza, etc.;

3. tecnologie informatiche embedded. Appartengono a questa categoria letecnologie dell’informazione che sono parte integrante del prodotto realizzatodall’organizzazione o del servizio da essa erogato. Si pensi, ad esempio, a si-stemi tecnici come l’Internet Banking, che possono essere considerati comeuna nuova tipologia di servizio erogato dall’impresa;

4. tecnologie informatiche infrastrutturali. Quest’ultima classificazioneraggruppa tutte le tecnologie dell’informazione utilizzate per gestire ed ese-guire gli scambi informativi tra organizzazioni diverse. Esempi di corrispon-denti sistemi tecnici sono le Extranet ed Internet, i sistemi di comunicazionesatellitare, etc.

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L’importanza di questo tipo di classificazione, può essere colta sottoli-neando che le scuole di pensiero sviluppatesi nell’ambito della prospettiva in-formativa della teoria dell’organizzazione, si concentrano in maniera specifi-ca proprio sulle categorie tecnologiche appena descritte. Tali scuole sono con-centrate su tre differenti approcci:

1. l’approccio decisionale;2. l’approccio transazionale;3. l’approccio basato sui costi di agenzia.L’approccio decisionale parte dal presupposto che la progettazione di un

sistema informativo è influenzata da una molteplicità di variabili di tipo am-bientale che vengono genericamente riassunte in un costrutto che ne identificagli effetti, cioè l’”incertezza”. L’incertezza fa riferimento alla variabilità deglielementi caratterizzante il lavoro svolto e, quindi, alla prevedibilità dei lorocomportamenti. È l’incertezza, quindi, che determina i requisiti di “capacitàelaborativa” delle organizzazioni, ossia l’adeguatezza dell’organizzazione allenecessità di elaborazione delle informazioni ad essa necessarie per raggiunge-re i propri obiettivi. Più elevato è il livello di incertezza e maggiore dovrà es-sere la capacità elaborativa dell’organizzazione. Far fronte all’incertezza, cioèalle eccezioni nelle procedure di integrazione tra ambiente ed organizzazione,rappresenta uno dei compiti principali del management, che deve ripianificarei processi informativi in funzione dei nuovi requisiti ambientali. Il legame traattività di gestione e di ripianificiazione che scaturisce dalle eccezioni, è la ra-gione per cui tale approccio viene indicato come “decisionale”.

La scuola decisionale prende in esame soprattutto i sistemi informativi de-cisionali, cioè i sistemi che possono dare supporto alle decisioni. In particola-re, con riferimento all’impiego di questo tipo di tecnologie informatiche, ilmodello individua due tipi di benefici, che si traducono nell’aumento dell’ef-ficienza e dell’efficacia decisionale. Il primo beneficio, quello dell’efficienza,è dovuto ad un aumento della capacità di gestione delle informazioni sia daparte dei singoli, sia da parte dell’impresa nel suo complesso. L’efficacia de-cisionale, ossia la maggiore accuratezza con cui vengono assunte le decisioni,deriva invece dalla maggiore disponibilità di tempo conseguente, a sua volta,dall’automatizzazione di alcune routine informative e decisionali.

A questo proposito, Simon (1976) compie una distinzione tra decisioniautomatizzabili (o strutturate) e decisioni non automatizzabili (non struttura-te). Una tale distinzione influenza notevolmente le modalità di progettazionedei sistemi informativi, con una subordinazione di questa rispetto alla defini-zione, all’interno dell’organizzazione, della natura stessa dei processi deci-sionali. In sintesi, il supporto di un sistema informatico a decisioni, sia strut-turate, sia non strutturate, secondo tale approccio, consente di estendere lecapacità elaborative individuali con conseguenze sugli assetti organizzatividell’impresa.

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Nell’ambito della teoria della scuola decisionale, Galbraith (1971, 1973,1977) rappresenta certamente colui che ha studiato in maniera più approfon-dita gli effetti del sistema informatico sull’organizzazione. Per lo studioso esi-stono una serie di strutture organizzative ottimali capaci di rispondere all’in-certezza ambientale. All’interno di questi sistemi organizzativi, gli individuidevono continuamente rilevare i cambiamenti dell’ambiente e prendere deci-sioni non strutturate per il mantenimento delle routine e, quindi, delle decisio-ni strutturate, massimizzando efficienza ed efficacia.

La visione dei supporti informatici rispetto al sistema informativo, tipicadell’approccio decisionale, risulta piuttosto limitativa se confrontata con glisviluppi attuali delle tecnologie, in quanto considera solo la funzione di sup-porto alle decisioni, sia individuali, che dell’organizzazione nel suo comples-so, senza tenere conto della funzione di gestione della conoscenza e di sup-porto al coordinamento. Galbraith (1971, 1973, 1977), infatti, considera que-st’ultima funzione solo sotto l’ipotesi della convergenza tra obiettivi e com-portamenti dei singoli individui dell’organizzazione e dell’organizzazione nelsuo complesso.

Il secondo approccio, quello transazionale, ritiene che due sono i compitiche i sistemi informativi devono svolgere in un’organizzazione: ridurre l’in-certezza ambientale e diminuire l’incertezza legata ai comportamenti indivi-duali degli esecutori dell’organizzazione. La teoria transazionale, infatti, di-stingue tra costi di produzione e costi di coordinamento (Malone, 1987) ed ilsistema informativo, in questo caso, è funzionale alla riduzione di entrambiquesti costi. In particolare, Malone definisce i costi di produzione come quellilegati all’esecuzione delle attività decisionali ed alla riconciliazione, cioè allamessa in comune dei risultati decisionali individuali. Definisce, invece, costidi coordinamento quelli legati alla suddivisione dei compiti decisionali ed alcontrollo della loro esecuzione.

Le analisi empiriche condotte da Malone portano a definire costi di coor-dinamento diversi tra gerarchie e mercati. Nella gerarchia vi è un controllopiù diretto dell’esecuzione dei compiti e, quindi, una conseguente riduzionedei costi di coordinamento a fronte, però, di più elevati costi di produzionederivanti dalla necessità di collaborazione decisionale e di riconciliazione deirisultati individuali, a causa di una più stretta collaborazione che necessitàmaggiori sforzi di comprensione tra le parti7.

Le tecnologie dell’informazione si sono evolute proprio nella direzione dipassare dall’automazione dei processi, al coordinamento delle attività di pro-duzione e delle funzioni d’impresa. Il sistema informatico ha, perciò, un po-tenziale effetto di riduzione, sia dei costi di produzione, sia di quelli di coor-dinamento.

Secondo la teoria transazionale, le tecnologie dell’informazione, suppor-tando i processi di coordinamento, hanno l’impatto maggiore proprio sulla ri-

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duzione dei costi legati a questa funzione. Tale riduzione risulta maggiore sulmercato piuttosto che sulla gerarchia, dove i costi di coordinamento sono giàbassi. Una riduzione dei costi di coordinamento sul mercato, tale da farli di-venire più competitivi di quelli all’interno dell’organizzazione, porta ad un’e-spansione delle forme di coordinamento di mercato a scapito della gerarchiastessa (Brynjolfsson et al., 1994). La struttura del sistema economico tende-rebbe, quindi, ad evolvere con una contrazione delle dimensioni aziendali me-die, ovvero con la presenza di un numero maggiore di imprese di minor di-mensione, tra loro interagenti attraverso transazioni di mercato.

La scuola transazionale si occupa principalmente dei sistemi informativi asupporto delle transazioni di mercato e, di conseguenza, delle tecnologie in-formatiche infrastrutturali, intese come tecnologie dell’informazione inter-or-ganizzative funzionali all’esecuzione di scambi materiali ed immateriali traimprese. Sarebbero, quindi, proprio le tecnologie infrastrutturali, le responsa-bili dell’espansione di sistemi di mercato e della riduzione delle dimensioniaziendali.

L’approccio transazionale consente di spiegare il ruolo della tecnologiadell’informazione nella scelta tra il make or buy, ma ha il suo limite nel fattoche non spiega come si costruisce il legame tra capacità elaborative ed effica-cia organizzativa, cioè di come il sistema informativo possa aiutare a definirel’organizzazione ottimale, intesa come quella in grado di ottimizzare entrambii costi. Esso, infatti, non entra nel problema di analisi delle modalità con cuipossono essere ridotti i costi di produzione all’interno dell’organizzazione at-traverso la riduzione di comportamenti opportunistici. Tale approccio nonspiega, quindi, quale impatto ha la tecnologia informatica su variabili di natu-ra strategica e, cioè, non solo su decisioni di tipo strutturale volte alla mini-mizzazione dei costi di produzione e di coordinamento, ma su decisioni piùcomplesse che riguardano la definizione stessa degli output.

Al limite appena evidenziato cerca di far fronte l’approccio basato sui co-sti di agenzia, che attraverso un’analisi strategica delle tecnologie dell’infor-mazione, intese come parte integrante dei prodotti e/o servizi forniti dall’or-ganizzazione (embedded), può essere considerata come una via di mezzo tra idue precedenti approcci.

L’approccio dei costi di agenzia parte dal presupposto che all’interno diun’organizzazione gerarchica gli individui non necessariamente perseguonoobiettivi comuni dell’organizzazione, ma sono mossi da interessi personaliche spesso predominano nel comportamento individuale. Questa differenza diinteressi tra le diverse componenti del sistema genera i costi di agenzia, cioè icosti che occorre sostenere per far fronte ai problemi di coordinamento.

Un’altra assunzione da cui parte questo approccio, consiste nel ritenereche un’organizzazione possa essere considerata come una rete di contratti fraindividui che hanno interessi personali (Alchian e Demsetz, 1972; Jensen e

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Meckling, 1976). Questi contratti derivano dal fatto che la gerarchia, per esse-re in grado di eliminare comportamenti opportunistici, necessità di forme dicoordinamento di tipo transazionale simili al mercato ma che avvengono an-che al suo interno.

Secondo questo approccio (Gurbaxani e Whang, 1991; Malone 1997), al-l’interno delle organizzazioni il sistema informatico determina un maggiorgrado di delega delle responsabilità decisionali per due ragioni:

automatizzando il lavoro decisionale, il sistema tecnico aumenta la capaci-tà elaborativa dei singoli individui che, di conseguenza, sono in grado di assu-mere decisioni più complesse;

il sistema informatico facilita il coordinamento delle attività operative, conun conseguente effetto di riduzione sia dei costi decisionali, sia dei costi diagenzia, nella fattispecie quelli di controllo (cioè i costi che bisogna sostenereper controllare l’attività svolta dai membri dell’organizzazione), e quelli digaranzia (i costi legati ai compiti che chi deve essere controllato deve soste-nere per documentare l’attività svolta e permetterne il controllo).

Entrambe le condizioni portano quindi ad un cambiamento dei ruoli nel-l’organizzazione con una progressiva despecializzazione ed aumento dei ruolimanageriali. Ciò è dovuto al fatto che il maggior grado di delega delle re-sponsabilità aumenta le capacità decisionali, con un conseguente aumentopercentuale dei ruoli di tipo manageriale a discapito di quelli impiegatizi (Ma-lone, 1997). Favorendo il ricorso alla delega, la tecnologia informatica riducela differenza fra costi organizzativi gerarchici e di mercato, riducendosi cosìla necessità di ricorrere a forme di coordinamento di mercato per lo svolgi-mento dei compiti elaborativi. Di conseguenza, l’innovazione tecnica non ne-cessariamente determina una riduzione delle dimensioni organizzative.

Il limite maggiore di questo approccio è però quello di non fornire alcuntipo di indicazione sulle variabili di tipo qualitativo che inducono a compierela scelta tra gerarchia e mercato. La critica maggiore che viene rivolta, infatti,è quella di non considerare l’incertezza legata alla natura del compito decisio-nale. Scegliere se delegare le responsabilità o esternalizzare ha cioè caratterestrategico, e determina la necessità di compiere caso per caso le scelte.

Secondo una quarta ed ultima scuola di pensiero, invece, il ruolo della tec-nologia informatica all’interno di un determinato contesto organizzativo nonpuò essere determinata a priori. Tra organizzazione e tecnologia esiste, infatti,una relazione di tipo dinamico, escludendosi la possibilità di circoscrivere talelegame ad un semplice rapporto di causa-effetto unidirezionale. L’approccio,definito “duale”, scaturisce dall’interpretazione di Giddens (1984) secondocui le strutture organizzative sono continuamente riprodotte dagli attori cheoperano al loro interno, sotto forma di routine e di possesso di risorse (Fierro,2005). L’approccio duale considera contemporaneamente la tecnologia comevariabile dipendente ed indipendente dalla struttura, nel senso che essa pla-

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sma e viene a sua volta plasmata dall’organizzazione. In sostanza, una voltainserita all’interno di un’organizzazione, gli attori della struttura se ne appro-priano attraverso un processo di apprendimento e di sensemaking che produr-rà conseguenze non prevedibili.

Tale processo di appropriazione della tecnologia dipende dal modo in cuigli attori della struttura organizzativa utilizzano la tecnologia informatica, dal-le relazioni che si instaurano tra le componenti organizzative, dalla formazio-ne, dalle modalità di progettazione ed implementazione della tecnologia. Conriferimento alla progettazione, se la tecnologia viene correttamente sviluppatae personalizzata, nella fase della sua implementazione ed utilizzo essa tenderàpiù facilmente a cristallizzarsi e ad irrigidirsi (Fierro, 2005).

Da ciascuno degli approcci appena analizzati, è scaturito un numero altret-tanto elevato di contributi teorici che Markus e Robey (1998) hanno tentato disistematizzare mediante un modello di analisi oggi abbastanza consolidato inletteratura. Secondo gli studiosi, la quasi totalità degli approcci e delle teorieproposte per spiegare il rapporto tra IT ed organizzazione, può essere ideal-mente ricondotta a tre grandi paradigmi di ricerca. L’individuazione di questiparadigmi scaturisce dalle tre prospettive d’azione8 concettualizzate da Pfef-fer (1982), ovvero:

1. del controllo situazionale, che si basa sul concetto che una serie di fatto-ri ambientali esterni all’organizzazione, spingono l’organizzazione stessa adassumere determinati tipi di comportamenti;

2. dell’attore razionale, secondo cui di fronte ad una determinata situazio-ne, le organizzazioni, dopo aver valutato corsi di azione alternativi, compionouna scelta razionale senza nessuna costrizione;

3. dell’azione emergente, per cui il comportamento delle organizzazioniscaturisce dall’interazione tra circostanze esterne al contesto organizzativo emotivazioni interne.

Partendo da queste tre prospettive di azione, Markus e Robey individuanotre tipi di nessi di causa-effetto tra ICT e struttura organizzativa, ossia:

1. l’imperativo tecnologico;2. l’imperativo organizzativo;3. la prospettiva emergente.

1.2.1 L’imperativo tecnologicoQuesta prospettiva è fondata sul concetto che l’ICT è causa del cambia-

mento organizzativo, con il conseguente effetto che le caratteristiche dell’or-ganizzazione dipendono dal tipo di tecnologia impiegata. La tecnologia è, insostanza, una variabile indipendente che impatta sulla struttura organizzativa,cosicché nuovi tipi di tecnologia determinano nuove forme organizzative.

Secondo questa visione, è la tecnologia che definisce il comportamentodelle persone, le modalità di esecuzione dei processi, i risultati in termini di

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efficienza e di efficacia. L’imperativo tecnologico focalizza quindi l’attenzio-ne sul ruolo giocato dall’ICT nell’esecuzione e nel coordinamento del lavoroall’interno delle organizzazioni. Poiché, in sostanza, le infrastrutture e le ap-plicazioni agiscono direttamente sulla modalità d’impiego delle persone nelleorganizzazioni, sui compiti loro assegnati e sulle loro competenze, l’impattodell’ICT sulla struttura organizzativa dipenderà dal tipo di tecnologia impie-gata e dalla pervasività del suo utilizzo.

A questa tradizione di ricerca, appartengono studiosi come Leavitt e Whis-ler (1958), che alla fine degli anni Cinquanta concludevano che, negli anniOttanta, l’IT avrebbe determinato la scomparsa del middle management al-l’interno delle aziende. Un’impostazione di tipo imperativo è anche quella diSimon (1977), che pone l’accento sul fatto che l’adozione di tecnologie del-l’informazione produce l’effetto di una centralizzazione dei processi e dellefunzioni decisionali, con una conseguente riduzione del numero dei livelli ge-rarchici e l’aumento delle strutture di staff. In sostanza, pur non modificandol’architettura gerarchica dell’organizzazione, l’impiego della tecnologia com-porta un appiattimento della struttura organizzativa ed un aumento della com-plessità interna derivante dalla deverticalizzazione della struttura stessa.

È evidente che una visione di questo tipo attribuisce a chi progetta il siste-ma informativo un potere rilevante poiché, essendo il soggetto responsabiledel modo in cui i flussi informativi sono gestiti all’interno delle strutture orga-nizzative, egli può disegnare a suo piacimento nuove forme organizzative,modificando le logiche di azione delle persone e, quindi, le modalità di fun-zionamento delle organizzazioni stesse.

L’imperativo tecnologico è stato oggetto di numerose critiche da parte nonsoltanto di studiosi appartenenti ad altre correnti di pensiero. Gli stessi mana-ger delle imprese hanno evidenziato come il rapporto tra ICT ed organizzazio-ne non possa essere analizzato in maniera così semplicistica. Spesso, infatti,l’introduzione di nuove tecnologie all’interno di un’organizzazione genera ef-fetti assolutamente imprevedibili, che né i progettisti, né i decisori possonoanticipare. Nella pratica aziendale, ad esempio, accade spesso che l’introdu-zione di una tecnologia genera comportamenti ostruzionistici da parte di colo-ro che operano all’interno delle strutture e che utilizzano la tecnologia.

1.2.2 L’imperativo organizzativoL’imperativo organizzativo si colloca su di una posizione diametralmente

opposta rispetto a quella dell’imperativo tecnologico. Secondo questa visione,infatti, le caratteristiche dell’organizzazione condizionano le fasi di progetta-zione ed implementazione dell’ICT, determinando quindi il tipo di tecnologiaimpiegabile ed il ruolo che andrà a svolgere all’interno della struttura organiz-zativa. La tecnologia, quindi, a differenza dell’imperativo tecnologico, è va-riabile dipendente dall’organizzazione.

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I contributi scientifici riconducibili al filone di ricerca sviluppatosi nel-l’ambito di questo paradigma di riferimento, prendono essenzialmente lemosse dalla teoria della Information processing view, di cui Galbraith (1971,1973, 1977), Daft e Lengel (1984, 1986) e Robey (1977, 1981) rappresentanoi massimi esponenti. Secondo l’Information processing view, sono le logicheformali ed informali in base alle quali le persone e le organizzazioni si com-portano, che condizionano lo sviluppo del sistema informativo e delle tecno-logie implementabili. Chi si occupa della strutturazione delle soluzioni ICTall’interno dei sistemi informativi, ovvero i progettisti (designers), deve in-nanzitutto individuare i fabbisogni informativi delle organizzazioni, per poiscegliere la soluzione ottimale per la soddisfazione di tali bisogni.

In quest’ottica, l’impiego di una determinata tecnologia deve essere consi-derata come una vera e propria scelta di progettazione organizzativa, ovverouna delle tante soluzioni possibili a cui il management può ricorrere per farfronte ai livelli crescenti di incertezza caratterizzanti l’ambiente in cui l’orga-nizzazione opera. La causa del cambiamento organizzativo, a questo punto,più che dalla tecnologia implementabile, deriva dall’interpretazione che i pro-gettisti danno dell’organizzazione e dalle decisioni che essi assumono.

Anche questa tradizione di ricerca non è esente da limiti. Pontiggia (1997),ad esempio, ha evidenziato che focalizzando l’attenzione sul ruolo dei desi-gners dei sistemi informativi e, quindi, sulla progettazione, la struttura orga-nizzativa rischia di diventare meno sensibile alle opportunità di cambiamento.Secondo l’imperativo organizzativo, infatti, la scelta delle caratteristiche delsistema informativo e, quindi, del tipo di applicazione tecnologica da imple-mentare, scaturisce da un’analisi attenta dei fabbisogni informativi espressidalla struttura organizzativa. La creazione di un sistema informativo coerentecon tali fabbisogni, potrebbe a questo punto determinare un pericoloso conso-lidamento delle regole e delle procedure già affermatesi, compromettendo lecapacità dell’organizzazione di rispondere a stimoli vantaggiosi provenientidall’esterno.

1.2.3 La prospettiva emergenteIl terzo ed ultimo paradigma di riferimento adottato per spiegare il rappor-

to tra ICT ed organizzazione è quello emergente, e si basa sull’assunto che ilcambiamento organizzativo deriva, a differenza di quanto proposto dalle altretradizioni di ricerca, dall’interazione reciproca tra ICT ed organizzazione.

In linea con quanto proposto da Pfeffer (1982) nell’ambito della prospetti-va dell’azione emergente, Markus e Robey affermano quindi che l’introduzio-ne dell’ICT in un’organizzazione, genera una serie di effetti che non possonoessere previsti a priori e che derivano dall’interazione dinamica di motivazio-ni interne e di circostanze esterne alla struttura organizzativa.

Secondo tale impostazione, tra ICT ed organizzazione non è perciò possi-

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bile individuare un rapporto di causa-effetto, bensì esiste una relazione dina-mica consistente nell’influenza reciproca dell’una sull’altra. In sostanza, cosìcome è vero che l’ICT può influenzare il comportamento delle persone checompongono l’organizzazione, è altrettanto vero che l’essere umano (quindil’organizzazione) può decidere come utilizzare le tecnologie, rafforzando,modificando o annullando le potenziali funzionalità ad esse collegate (Marti-nez, 2004).

Nell’ambito di tale impostazione, gli approcci della Duality of technology,di Orlikowsky (1992), e della Adaptive structuration theory, di Poole et al.(1985), sono certamente quelli che hanno riscosso maggiore consenso in am-bito scientifico e prendono entrambi le mosse dalla Structuration theory pro-posta da Giddens (1976, 1979, 1984).

Di fatto, tutti gli approcci giungono ad affermare che quando si introduceuna tecnologia all’interno di un’organizzazione, gli utilizzatori della tecnolo-gia decideranno in maniera più o meno consapevole che uso farne. La tecno-logia verrà attivata in funzione delle attività che devono essere svolte, andan-do in contro ad un vero e proprio processo di strutturazione. Allo stesso tem-po, però, la tecnologia, condizionando il comportamento degli individui,struttura in maniera diversa la loro azione organizzativa, dando così vita anuovi usi, regole e procedure da cui scaturiranno nuove opportunità di proget-tazione organizzativa. Questa considerazione è molto importante per due ordi-ni di motivi:

1. riconosce all’ICT un non trascurabile significato sociale, in quanto fat-tore di influenza dei comportamenti umani, portando al superamento della vi-sione puramente tecnologica secondo cui il ricorso a strumenti informativi av-viene semplicemente per supportare l’attività umana (Giustiniano, 2005);

2. stabilisce che se, da una parte, la progettazione organizzativa non puòprescindere dalle opportunità offerte dall’ICT, dall’altra lo sviluppo e la diffu-sione dell’ICT secondo criteri di efficienza ed efficacia non può ignorare levariabili organizzative.

Con l’adozione di una prospettiva emergente vengono introdotti notevolicambiamenti nelle modalità di analisi e valutazione di un sistema informativo.L’analisi della relazione ICT-organizzazione considera tutta la complessità diquesta attraverso un’indagine di tipo multidimensionale e sistemica che do-vrebbe consentire da una parte di mantenere una visione unitaria del proble-ma, dall’altra di descrivere l’interazione tra investimenti in ICT e cambiamen-ti organizzativi attraverso la scomposizione di tale binomio in diversi elemen-ti che non si limitano alla sfera economica, ma che riguardano l’innovazioneorganizzativa, il cambiamento e l’innovazione nei processi di business. Gli in-vestimenti in ICT attivano quindi una “varietà di percorsi organizzativi in cuisi intrecciano innovazione tecnologica e cambiamento strutturale in un giococompletamente mutevole e mai perfettamente prevedibile ne controllabile”

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(Masino, 2000; pag. 134). La crescente complessità delle organizzazioni ed i rapidi e recenti sviluppi

dell’ICT, che ne hanno aumentato le capacità relazionali, stanno portando adun interesse verso gli effetti che l’ICT ha sull’innovazione organizzativa piut-tosto che sulle performance economiche dell’organizzazione (Giustiniano,2005). Una tale tendenza si sta riscontrando, negli ultimi anni, anche nel set-tore agroalimentare interessato da radicali cambiamenti che hanno fatto emer-gere l’importanza delle innovazioni organizzative come nuovo elemento perla crescita della competitività dell’intero sistema. In tale scenario l’approccioemergente permette di effettuare un’analisi congiunta dell’interazione tra ado-zione dell’ICT e le innovazioni organizzative, ed è quindi quello adottato nelpresente lavoro per comprenderne gli effetti.

Tuttavia, questa tradizione di ricerca, sconta due limiti niente affatto tra-scurabili. Innanzitutto, l’approccio emergente, rifiutando l’esistenza di unsemplice rapporto di causa-effetto tra ICT ed organizzazione, finisce per ren-dere molto più complessa l’individuazione di modelli che siano in grado dispiegare i rapporti esistenti tra tecnologia e forma organizzativa (Giustiniano,2005). In secondo luogo, tale approccio è considerato come un’impostazionepoco utile ai manager per assumere decisioni, in quanto i segnali di fallimentopossono essere riscontrati solamente ex-post, cioè dopo che si è verificatal’interazione tra tecnologia ed organizzazione (Martinez, 2004).

2) Con la dizione Information Technology si intendono tutti i mezzi e gli strumenti collega-ti al trattamento di simboli, siano essi parole, immagini o suoni (Agliati, 1996). Negli anni,l’evoluzione di questa tecnologia è andata verso la ricerca di strumenti tecnici che fosseroin grado di sopportare volumi sempre maggiori di dati, facilitandone il trasporto la con-servazione e l’accesso. Questo ne ha facilitato l’elaborazione, aumentando notevolmentele capacità di analisi e decisionali dei singoli individui.3) L’Information and Communication Technology, invece, rappresenta l’integrazione tracomputer (tecnologie di archiviazione ed elaborazione dati) e tecnologie di telecomunica-zione (CT). Con questo termine vengono quindi definiti gli strumenti e le applicazioni logi-che che consentono di combinare le capacità di calcolo e memorizzazione di dati propriedei computer, con le capacità di trasmissione dei dati e dell’informazione caratteristica deimezzi di telecomunicazione (Child, 1984).4) Il SIAN (Sistema Informativo Agricolo Nazionale) è stato istituito con legge 4 giugno1984, n. 194, ed è lo strumento per l'esercizio delle funzioni di cui al decreto legislativo 4giugno 1997, n. 143 ha caratteristiche unitarie ed integrate su base nazionale e si avvaledei servizi di interoperabilità e delle architetture di cooperazione previste dal progetto del-la rete unitaria della Pubblica Amministrazione. Il Ministero delle Politiche Agricole e Fo-restali, gli enti e le agenzie dallo stesso vigilati, le Regioni e gli enti locali, nonché le altreamministrazioni pubbliche operanti a qualsiasi titolo nel comparto agricolo e agroalimen-tare, hanno l'obbligo di avvalersi dei servizi messi a disposizione dal SIAN, intesi qualiservizi di interesse pubblico, anche per quanto concerne le informazioni derivanti dall'e-sercizio delle competenze regionali e degli enti locali nelle materie agricole, forestali edagroalimentari. Il SIAN è interconnesso, in particolare, con l'anagrafe tributaria del Mini-stero delle Finanze, i nuclei antifrode specializzati della Guardia di Finanza e dell'Arma

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dei Carabinieri, l'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, le Camere di Commercio,Industria ed Artigianato.5) La prospettiva informativa rappresenta l’area di ricerca che in ambito organizzativo siè occupata per prima delle tecnologie dell’informazione (Scott, 1992).6) Sproull e Goodman (1990), definiscono i sistemi tecnici come una combinazione precisadi macchine e metodi impiegati per il raggiungimento di un determinato risultato. 7) I sistemi di gestione in qualità (UNI EN ISO, Vision 9000) sono volti proprio all’atte-nuazione di questi fattori che incidono sui costi di produzione, attraverso la definizione diuna strategia comune, la responsabilizzazione dei diversi individui, la proceduralizzazionedel processo decisionale. 8) Una prospettiva di azione deve essere intesa come il modo attraverso cui ambiente edorganizzazione interagiscono tra di loro.

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gni organizzazione è dotata di un proprio sistema informativo, intenden-dosi con questo l’insieme delle informazioni, delle persone, dei principi

e dei processi che in qualche modo hanno a che fare con la gestione delle in-formazioni interne ed esterne all’organizzazione stessa.

Nel capitolo precedente è stato esaminato come l’introduzione dell’ICTpossa supportare alcune funzioni dell’organizzazione maggiormente che altre,e quali sono le conseguenze sia in termini di “ri-organizzazione”, sia in termi-ni di uso e di evoluzione delle tecnologie.

In questo capitolo, invece, vengono illustrate le fasi per lo sviluppo di unsistema informativo automatizzato che non si limita alla scelta della tecnolo-gia, ma che rappresenta un vero e proprio processo composto da fasi diverseaventi quale finalità quella di integrare l’architettura dei processi decisionaliaziendali con le caratteristiche della tecnologia informativa esistente.

Lo schema seguito è quello che mette assieme una serie di metodologie a tre stadi:1. la fase di pianificazione, in cui, attraverso una pianificazione strategica

il piano delle tecnologie informatiche viene correlato a quello globale del-l’impresa/organizzazione, terminando con lo studio di fattibilità del sistema;

2. la fase di sviluppo, che comprende la progettazione esecutiva, la realiz-zazione del progetto e del software di supporto e l’avviamento del sistema in-formativo;

2. Lo sviluppo dei sistemi informativi

O

Figura 2.1- Fasi del processo di sviluppo di un sistema informativo

Fonte: Elaborazione personale da A. Alessandroni, (2001).

Gestione

Valutazione

Pianificazionestrategica

RealizzazioneProgettazione

Avviamento

Studiodi fattibilità

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3. la fase di gestione del sistema e valutazione dei suoi impatti, con le conseguentimodifiche incrementali e/o di adeguamento del sistema e dell’organizzazione.

Secondo la letteratura più recente (Faverio et al., 2005) la fase di valutazio-ne del terzo stadio laddove si manifestano cambiamenti strutturali, diviene unvero e proprio “quarto stadio”, in quanto costituisce lo start-up di un processodi miglioramento continuo del sistema informativo. Nella figura che segue so-no state riportate tutte le fasi del processo di sviluppo, con l’evidenziazione an-che della fase di aggiornamento (miglioramento) continuo del sistema.

2.1 La pianificazione

La pianificazione parte dall’idea progettuale e stabilisce gli obiettivi delsistema informativo che debbono essere sviluppati nel corso del processo direalizzazione del sistema informativo. Essa è finalizzata a massimizzare il ri-torno degli investimenti in tecnologie dell’informazione individuando le solu-zioni tecniche ed economiche che minimizzano, da una parte, i rischi connessiall’acquisizione e utilizzazione delle tecnologie informatiche, dall’altra i costidi investimento e gestione.

Questa fase ha come obiettivo quello di assicurare il successo delle inizia-tive intraprese, e ciò è tanto più importante quanto più il processo di gestioneottimale delle informazioni e la loro informatizzazione sono nelle fasi iniziali.La pianificazione può essere a sua volta divisa in due sottofasi (Cfr. fig. 2.2):

1. la pianificazione strategica;2. lo studio di fattibilità. La prima è una fase di analisi, sia dei processi dell’organizzazione, sia del-

le tecnologie disponibili necessarie per identificare, alla luce della strategia dimedio lungo periodo dell’organizzazione, come sia possibile migliorare l’in-tegrazione tra tre diversi tipi di variabili, ovvero i processi dell’organizzazio-ne, le tecnologie disponibili e la strategia. Questo significa individuare i pro-

Figura 2.2 - La base della pianificazione del Sistema Informativo

Fonte: M. Tagliavini, A. Ravarini e D. Sciuto, (2003).

Strategie

Processi

ICT

Pianificazionedel SI

Pianificazionestrategica

del SI

Studiodi fattibilità

del SI

Interventisul SI

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blemi e gli obiettivi dell’organizzazione a cui si vuole dare risposta/supportocon interventi di natura informatica ed inoltre, individuare le priorità per cia-scun vincolo/obiettivo identificato. La fase è quindi funzionale al raggiungi-mento di quello che in letteratura viene definito come “allineamento strategi-co” tra sistema informatizzato ed organizzazione (Giustiniano, 2005),9 cioèall’individuazione dell’importanza strategica di ciascuna unità organizzativaed il disegno del supporto a tale unità coerente con la sua importanza.

La seconda sottofase, quella cioè dello studio di fattibilità, ha come input irisultati della prima, quindi le indicazioni dei problemi riscontrati, la lorocomplessità e la loro urgenza. Nell’ambito di questa fase si individuano le di-verse proposte di intervento con le relative soluzioni tecniche, il piano di rea-lizzazione di ciascuna soluzione, le risorse necessarie, l’analisi dei costi e deibenefici. Lo studio di fattibilità termina con la scelta tra le alternative di inter-vento individuate e la definizione dell’allocazione delle risorse.

Volendo riassumere quanto fino ad ora evidenziato, nella fase di pianifica-zione si svolgono le seguenti attività (Lazzi, 2001):

- formalizzazione delle strategie in termini di servizi e di utilizzo delle tec-nologie, che individuano gli obiettivi da conseguire ed i principali ambiti diintervento;

- scelta delle priorità nell’attuazione dei vari interventi di informatizzazio-ne/automazione;

- validazione dei progetti da attivare, che si basa sulle priorità evidenziate etiene conto dei vincoli di bilancio e delle relazioni esistenti tra i vari progetti;

- definizione delle risorse necessarie sia per i progetti, sia per le attività digestione e manutenzione dei sistemi in esercizio;

- stesura del documento finale di piano, corredata dalla definizione di bud-get e delle responsabilità, documento che dovrà essere approvato dalla com-mittenza.

Da un punto di vista metodologico, quindi, nella fase di pianificazionevengono coinvolti diversi attori dell’organizzazione in funzione dei diversiruoli che questi hanno rispetto alle problematiche obiettivo individuate. Inol-tre, viene effettuata l’analisi dei fabbisogni informativi, attraverso cui si giun-ge all’identificazione e descrizione puntuale dei flussi informativi necessari alfunzionamento dell’organizzazione e vengono identificate le informazioni asupporto dei diversi processi decisionali nelle diverse funzioni d’impresa. Lemetodologie di identificazione dei requisiti informativi proposti dalla lettera-tura sono diversi anche se tutti riconducibili a 5 principali (Faverio et al.,2005):

- il metodo Critical Success Factors (CSF), utilizzato per evidenziare learee critiche del business e definire gli indicatori;

- il metodo Key Performance Indicators (KPI), con cui si identificano i ri-sultati dei processi aziendali considerati critici;

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- il metodo Management Accounting (MA), che permette di definire l’infra-struttura degli indicatori economici e patrimoniali per il controllo di gestione;

- il metodo Balance Score Card (BSC), che misura le prestazioni delle orga-nizzazioni sulla base di quattro indicatori di natura economico - organizzativa;

- il metodo Business System Planning (BSP), che porta all’individuazionedei fabbisogni informativi con un elevato livello di dettaglio.

I diversi metodi si applicano a situazioni ed organizzazioni diverse tenen-do conto, secondo Merli e Saccani (1994), di tre requisiti: il costo, l’adattabi-lità e la completezza/accuratezza dei risultati. Sulla base di tali requisiti vieneproposto un confronto riportato nella tabella seguente.

Tabella 2.1 - Confronto fra i metodi per la determinazione dei fabbisogni

Parametri CSF KPI MA BSP BSCCosto •••• •• ••• • •Adattabilità ••• ••• • • ••Completezza/Accuratezza • ••• •• •••• ••••

•••• giudizio ottimo••• giudizio buono•• giudizio discreto• giudizio sufficiente

Fonte: Faverio et al., in Cantoni F. e G. Mangia, (2005).

Il metodo CSF appare il più adatto per le PMI, mentre i metodi che pre-sentano maggiore accuratezza sono più adatti a strutture informative di orga-nizzazioni più grandi. Si tratta di metodi che hanno un taglio principalmentetecnologico e sono caratterizzati da (Lazzi, 2001):

- l’orientamento principale verso la definizione dei fabbisogni tecnologici; - l’esame dei processi finalizzato alla valutazione dei fabbisogni informativi;- la definizione delle architetture obiettivo (dati, funzioni applicative, tec-

nologie); - l’utilizzo di metodi e tecniche di derivazione informatica; - la definizione dei progetti essenzialmente informatici. Tra queste metodologie, la più diffusa è la BSP, introdotta nel 1971 dal-

l’IBM. Generalmente impiegata quando si vuole procedere ad una complessi-va ridefinizione del sistema informativo, affronta il problema dell’identifica-zione dei fabbisogni e dello sviluppo dei sistemi informativi partendo dal pre-supposto che le informazioni supportano le attività di un’organizzazione. Pro-prio in virtù di questo, è necessario partire dallo studio dei processi che com-pongono ciascuna attività secondo una metodologia in tre fasi:

- analisi dell’organizzazione che consente di costruire una matrice proces-si/ unità organizzative;

- analisi dei requisiti informativi generali che consente la costruzione di

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matrici di classi di dati/processi;- analisi delle applicazioni aziendali che porta al disegno di una nuova ma-

trice sistemi/processi che evidenzia l’ambito di applicazione di ciascun siste-ma alle analisi precedenti permettendo di identificare gli ambiti di migliora-mento.

Le fasi della BSP possono essere schematizzate in un flusso operativo se-quenziale come nella figura seguente.

Figura 2.3 - I passi della BSP

Fonte: G. Lazzi (2001.

Committment Riunione di avvio Valutazioneproblemi e benefici

Revisionee gestione SI

Definizionearchitetture

Priorità

Piano e progetti

Report finale

Definizionedei processi

Individuazioneclassi di dati

Relazioneprocessi/sistemi

Prospettiva direzionale

Preparazione

Accanto a queste metodologie ne sono state introdotte altre che utilizzanoun approccio orientato:

1. ai processi, tra cui quella proposta dall’autorità per l’informatica nellaPubblica Amministrazione, caratterizzate da:

- orientamento principale alla definizione di interventi integrati sui processi;- esame dei processi in tutte le loro componenti; - ridefinizione dei processi di servizio e creazione di processi trasversali di

supporto, principalmente di tipo informatico;- utilizzo anche di metodi e tecniche di analisi e progettazione organizzativa;- definizione di progetti non solo informatici. 2. ai fattori critici di successo, caratterizzate da:

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- individuazione di aree di criticità specifiche attraverso interviste al ma-nagement;

- intervento complessivo sulle sole aree critiche;- utilizzo di una pluralità di metodi e tecniche;- definizione di progetti non solo informatici, mirati. Un’attenzione particolare va data alle metodologie di pianificazione dei si-

stemi informativi nella Pubblica Amministrazione (PA) italiana, in quanto ilpresente lavoro ha per obiettivo quello di analizzare e valutare un sistema in-formativo per le filiere agroalimentari pubbliche a supporto sia dell’ammini-strazione, sia delle imprese.

La pianificazione dei sistemi informativi nella PA è stata introdotta in Ita-lia con il decreto legislativo n. 39 del 1993 che definisce le finalità dei sistemiinformatici ed istituisce l’AIPA (Autorità per l’Informatica nella PubblicaAmministrazione), con il compito di integrare i sistemi informativi delle di-verse amministrazioni le quali, a loro volta, devono nominare un dirigente re-sponsabile dell’insieme dei propri sistemi informativi.

Il ciclo di pianificazione e controllo coinvolge le amministrazioni centralie l’AIPA, ed è finalizzato a governare ed integrare l’insieme delle iniziativedelle singole amministrazioni, a favorire l’interconnessione e l’interscambioinformativo tra amministrazioni diverse garantendo così l’uso efficace ed effi-ciente della risorsa informazione e delle tecnologie informatiche. La pianifi-cazione è finalizzata a migliorare efficacia ed efficienza del sistema dei servi-zi della PA attraverso sistemi informativi automatizzati con l’adozione di unsistema di miglioramento continuo che comporta una visione delle varie fasidel ciclo di pianificazione e controllo come fasi tra loro correlate ed integrateche si influenzano reciprocamente. Da un punto di vista metodologico si èscelto di operare secondo un piano triennale a scorrimento, orientato al medioe lungo periodo, alla cui redazione si giunge mediante il ricorso ad una meto-dologia di pianificazione composta dalle seguenti fasi:

- rilevazione dello stato attuale dei servizi e dei sistemi informativi;- elaborazione della visione strategica sui servizi e sull’utilizzo delle tec-

nologie;- diagnosi dei processi di servizio e della risorsa informazione;- valutazione dei sistemi informatici esistenti;- valutazione dell’andamento dei progetti in corso;- selezione degli obiettivi ed identificazione dei progetti;- aggiornamento dei progetti in corso e definizione dei fabbisogni di ma-

nutenzione e gestione;- elaborazione di progetti intersettoriali;- studi di fattibilità dei progetti da avviare nel primo anno;- preparazione della bozza di Piano, sulla base della quale si avvia il pro-

cesso di redazione del piano triennale

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2.2 La fase di sviluppo

Come già detto, durante la fase della pianificazione del sistema, vengono in-dividuati gli obiettivi fondamentali che il sistema informativo deve perseguireed i suoi fabbisogni informativi. Inoltre, sono state scelte le modalità di realiz-zazione del progetto di sistema anche in funzione della sua analisi costi-benefi-ci. Tutto ciò viene formalizzato nello studio di fattibilità, che contiene l’insiemedelle informazioni necessarie per lo svolgimento della fase successiva, cioèquella dello sviluppo del software del sistema informativo automatizzato.

La fase di sviluppo di un qualsiasi sistema informativo automatizzato, cor-risponde alla realizzazione del progetto che scaturisce dallapianificazione/studio di fattibilità. In questa fase vengono progettati e svilup-pati i software applicativi secondo le specifiche funzionali e qualitative indi-viduate nella fase di pianificazione e scelte le soluzioni hardware più adegua-te. Lo sviluppo del software rappresenta uno dei passi fondamentali nellacreazione dell’intero sistema informativo e lo dimostra il fatto che spesso, idue processi vengono addirittura assimilati (Carignani, 2004).

Lo sviluppo può avvenire ricorrendo ad una pluralità di metodi, molti deiquali ormai formalizzati, supportati da una documentazione molto dettagliata,

Figura 2.4 - La metodologia di pianificazione elaborata dall’AIPA

Fonte: G. Lazzi (2001.

Progetti intersettorialie di cooperazione

Studi di fattibilità

Formulazionebozza di piano

Definizioneattività di gestionee manutensione

Valutazioneandamento

progetti

Valutazionepatrimonioinformatico

Architettura tecnologica di riferimento

Obiettivi,esigenze“di servizioe informative”

Situazionepatrimonioinformatico

Situazione e progetti in corso

Individuazioneprogetti

“orizzontali”(nuovi

e di migrazione)

Individuazioneprogetti

“verticali”(nuovi

e di disegno appl.)

Ridefinizioneprogetti

“in corso”e attività

evoluzione SI

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e già disponibili sul mercato. Si tratta di metodi collaudati che però non ga-rantiscono sempre il raggiungimento degli obiettivi prefissati, in virtù del fat-to che ogni sistema informativo ha caratteristiche diverse da tutti gli altri e,quindi, il suo sviluppo genera ogni volta problematiche e soluzioni diverse.Molto spesso, quindi, accade che tali metodi vengono adeguati alle caratteri-stiche dei diversi contesti e adattati in funzione della sensibilità degli svilup-patori e delle specifiche esigenze degli utenti. Possiamo comprendere facil-mente che la scelta dell’approccio da seguire per lo sviluppo, rappresenta unpasso molto importante all’interno del più vasto processo di progettazione delsistema informativo, e per comprendere gli effetti che scaturiscono da talescelta, può essere molto utile far riferimento alla distinzione tra metodi “for-malizzati” e metodi “in azione” proposta da Fitzgerald (Cantoni F. et al.2004).

I primi sono metodi integrati documentati da schemi formali precostituiti,esistenti sul mercato ma che, come già detto, raramente vengono applicatinella loro interezza perché troppo rigidi. Appartiene, ad esempio, a questaclasse, il metodo dell’Information Engineering, un approccio rigidamentestrutturato introdotto nei primi anni Ottanta dalla James Martin Associates.

Molto più spesso, invece, accade che lo sviluppo richieda l’adeguamentodei metodi “formalizzati”, che vengono plasmati dagli sviluppatori del siste-ma informativo. In questo caso, si parla di “metodi in azione”, dove gli sche-mi formali vengono adattati alle specifiche dell’ambiente in cui si opera ed al-la sensibilità/esperienza degli sviluppatori. I metodi formalizzati, in questi ca-si, in funzione delle caratteristiche specifiche del contesto e delle esigenze de-gli utenti che utilizzeranno il sistema, divengono una sorta di linee guida a cuiispirarsi nel processo di sviluppo del sistema informativo (cfr. fig. 2.5).

Figura 2.5 - Metodi di sviluppo dei sistemi informativi

Fonte: F. Cantoni, B. Fitzgerald, N.L. Russo, E. Stolterman (2004).

Metodi formalizzati

Ruolo del metodo

modella

decretano

giustifica influenza

possono

essere alla base di

Sistemainformativo

SviluppatoriMetodiin azione

Ambientedi sviluppo

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L’approccio dei metodi “in azione” sembra trovare una sempre maggiorediffusione nei progetti di sviluppo dei sistemi informativi automatizzati e, so-prattutto, in quelli di maggiore entità. Ciò scaturisce dal fatto che, nella realtà,si è riscontrato un numero incredibilmente elevato di casi in cui l’essersi atte-nuti in maniera rigorosa al metodo “formalizzato”, ha finito per compromette-re significativamente la bontà del risultato finale.

Per lo sviluppo del software del sistema, quindi, il metodo “in azione” per-mette di partire dagli strumenti descrittivi presenti sul mercato (disponibili inmisura sempre maggiore) e adattarli alle diverse esigenze. A tal proposito, glistrumenti descrittivi disponibili sono di diverso tipo, ma fanno tutti capo adue distinti approcci alla progettazione del software:

- quello strutturato, che opera per modelli di dati e funzioni e che utilizzadiagramma di flusso dei dati che correlano gruppi di dati e funzioni di elabo-razione ed individuano i supporti di memoria e la direzione del flusso di in-formazioni (tra i programmi di elaborazione ed i supporti di memoria);

- quello orientato agli oggetti, che si fonda su modalità di trattamento deidati basati su unità di programma chiuse cioè gli oggetti. Questi vengono rag-gruppati in classi aventi le stesse proprietà, ovvero le stesse procedure, ovveroi medesimi attributi.

Entrambi i metodi di progettazione prevedono la realizzazione di una ge-rarchia di sottosistemi (moduli ) che possono essere sviluppati e riutilizzatiin modo indipendente tra loro e si compongono di una fase logica ed una fisi-ca (Carignani, 2004).

Nella prima i dati, le classi di oggetti, le procedure e le relazioni tra dati eoggetti vengono descritti indipendentemente dagli aspetti tecnici. Nel “pro-getto logico”, in sostanza, vengono identificati i moduli che costituiranno ilsistema, descritti i compiti che ognuno di essi dovrà svolgere, definite le con-nessioni fra le varie componenti ed il modo in cui esse dovranno comunicare.

Il “progetto fisico”, invece, si pone come obiettivo quello di definire le ca-ratteristiche hardware e software del sistema informativo. In questa fase ven-gono quindi individuati la struttura generale del sistema informativo, i modulidi programma con cui si svolgeranno tutte le procedure aziendali, la sequenzadi elaborazione dei moduli, la struttura logica dei dati dell’applicazione equella fisica dei dati e dei file dei dati. A questo punto si procede alla realizza-zione dei primi test di prova per verificare la rispondenza di massima del soft-ware alle esigenze del sistema informativo.

All’interno della fase di sviluppo del software, un passo fondamentale èrappresentato sicuramente dalla progettazione della base di dati (o database),cioè dell’insieme di dati che saranno a disposizione del sistema informativo.Quest’attività si traduce nella separazione, logica e temporale, di due aspettimolto diversi (Carignani, 2004):

1. la definizione, indipendentemente dalle caratteristiche tecnologiche del

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sistema di gestione del database (Data Base Management System – DBMS),del fabbisogno informativo del sistema e delle relazioni esistenti tra i dati in-dividuati, al fine di giungere alla definizione di un modello concettuale;

2. l’implementazione del modello concettuale di cui sopra, in una specifi-ca tecnologia DBMS, che permetterà di giungere alla realizzazione effettivadel database.

Le fasi della progettazione di un database sono tre, ognuna delle quali cor-risponde ad un diverso livello di astrazione dei dati contenuti nel database,cioè tre modi diversi di descrivere l’organizzazione dei dati e delle relazioniche intercorrono tra essi:

1. schema concettuale della base dati. In questa prima fase, dopo aver rac-colto le esigenze informative del sistema, si passa alla realizzazione vera epropria di uno schema concettuale dei dati (Batini et al., 1991; Atzeni et al.,1996), ovvero della descrizione della struttura della base di dati in modo deltutto indipendente dal tipo di elaboratore impiegato e, quindi, del sistema digestione di basi di dati. Lo schema può essere espresso ricorrendo a diversimodelli, in linea generale aventi tutti l’obiettivo di definire le "entità" di cuidi cui si compone un determinato ambito, di descriverle in funzione dei loro“attributi” e di individuare le “relazioni” tra esse esistenti. A tal proposito,nonostante l’Entity-Relationship Model (ERM, Modello Entità-Relazioni oModello E-R) si sia da tempo imposto come una sorta di standard (Carignani,2004), nella pratica vengono spesso utilizzati formalismi diversi da quelli ri-gorosamente proposti nel 1976 da Chen (Chen, 1976), ovvero l’ideatore delmodello;

2. modello logico dei dati. In questa fase il modello concettuale prodottonella fase precedente viene riorganizzato formalmente rispetto alle esigenzedell’utente, cioè di chi dovrà consultare ed utilizzare i dati. Esistono diversimodelli di database (ad esempio gerarchico, orientato agli oggetti, etc.), ma ilpiù diffuso sul mercato è sicuramente quello “relazionale”, proposto da Codd(1970) e che prevede di rappresentare le informazioni mediante una tabella (orelazione);

3. costruzione della base di dati fisica. In quest’ultima fase viene fatta unadescrizione formale di come devono essere archiviati i dati e di come si puòaccedere ad essi.

La base di dati, deve essere gestita attraverso dei software che costituisco-no il sistema per la gestione del database (DBMS). Tre sono le componentiautonome di cui si compone il DBMS, ad ognuna delle quali sono attribuiticompiti ben definiti:

1. il DDL (Data Definition/Description Language) rappresenta il linguag-gio per la definizione e descrizione dei dati;

2. il DML (Data Manipulation Language), è il linguaggio per la manipola-zione dei dati e che consente di interrogare il database (l’SQL - Structured

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Query Language è il software più diffuso);3. il DSDL (Data Storage Description Language), per la descrizione delle

modalità di memorizzazione.La fase di sviluppo termina con il collaudo e l’installazione, in cui dopo

aver verificato se il programma soddisfa tutti i requisiti richiesti, sotto un pro-filo tecnico-funzionale, il software viene introdotto presso gli utenti. Il collau-do serve a dimostrare con certezza la presenza di errori che devono essere ri-solti. Nella fase di istallazione deve inoltre essere prevista la formazione degliutenti finali. Questa attività è fondamentale per il successo del progetto di in-formatizzazione.

Qualsiasi tipo di progetto informatico, produce diversi output che oggivengono designati con il termine generico di deliverable e che sono ricondu-cibili a due categorie:

- i veri e propri output del progetto (si pensi, ad esempio, al software ap-plicativo realizzato dal progetto);

- la documentazione. La documentazione comprende documenti gestionali finalizzati alla ge-

stione del progetto e documenti di sistema che si riferiscono al sistema infor-matico e che a loro volta si dividono in documenti intermedi e finali. I docu-menti intermedi sono quelli che vengono usati nel processo di implementazio-ne (realizzazione ed avvio) di cui i principali sono quelli sui requisiti e le spe-cifiche del sistema e le linee guida per il collaudo, mentre i documenti finalisono quelli finalizzati all’uso a regime del sistema e comprendono una seriedi manuali, quali quello d’esercizio (per l’istallazione ed esercizio del softwa-re), il manuale di riferimento (con gli scopi, i contenuti e la logica del softwa-re), ed il manuale utente che fornisce alle diverse categorie di utenti finali leistruzioni necessarie per utilizzare il sistema.

2.3 La gestione e valutazione del sistema

La fase di gestione del sistema informativo, fa riferimento alle attività diroutine che vengono solitamente svolte per garantire il corretto funzionamen-to del sistema. Questa fase si estende normalmente per tutta la vita del siste-ma e comprende, quindi, anche tutte le attività svolte per la manutenzione eaggiornamento dell’hardware e del software. Gli interventi vengono svolti ge-neralmente per fare in modo che il sistema sia in grado di soddisfare semprele richieste degli utenti.

La fase di valutazione del sistema informativo, invece, deve essere fatta inrelazione al soddisfacimento dei requisiti informativi, necessari per ogni sin-golo processo, valutando i miglioramenti apportati dall’introduzione del siste-ma e della nuova tecnologia attraverso indicatori. Nella valutazione si deve

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tener conto della rilevanza strategica dei singoli processi e, quindi, disegnareuna scala di valori dei differenti indicatori di ciascun processo individuati.

La valutazione del sistema informatico rappresenta spesso la fase menostudiata dell’intero processo di realizzazione di un sistema informativo, anchese il tema sta assumendo un ruolo sempre più centrale a causa principalmentedi due fattori:

1. il primo, legato all’aumento degli investimenti sia pubblici sia privatinei sistemi informativi e al loro peso percentuale sui costi di investimento espese correnti delle diverse organizzazioni;

2. il secondo, legato alle caratteristiche stesse del processo di progettazio-ne che sempre più spesso fa riferimento all’approccio emergente, dove il dua-lismo IT-organizzazione costituisce un notevole limite alle valutazioni ex-ante, a causa dell’impossibilità di poter effettuare al momento della pianifica-zione del sistema previsioni sul suo sviluppo. In questo caso, quindi, sia i co-sti, sia soprattutto i benefici effettivi del sistema informativo, potranno esserevalutati solo ex-post.

Il processo di valutazione può essere distinto in una serie di fasi successive:1. l’analisi della coerenza con gli obiettivi strategici individuati dal proget-

to, la sua rispondenza alle esigenze dell’organizzazione in termini di efficien-za ed efficacia;

2. l’individuazione dei punti di criticità del sistema rispetto all’analisi dicui al punto 1;

3. l’individuazione degli interventi correttivi e di miglioramento. La valu-tazione del sistema può far emergere nuovi ambiti di business/servizi, che aloro volta possono essere collocati all’interno della strategia dell’impresa/or-ganizzazione. Questo processo porta alla necessità di supporto di queste nuo-ve aree strategiche con un’evoluzione continua dell’organizzazione e, quindi,nuove necessità evolutive del sistema.

La fase principale della valutazione è certamente la prima, nella quale vie-ne effettuata un’analisi dell’efficacia ed un’analisi dell’efficienza del sistema.Con il termine efficacia si intende la rispondenza dei risultati prodotti, ovverodei servizi, agli obiettivi di progetto, mentre con la seconda si vuole valutarela convenienza dell’introduzione del sistema rispetto alla situazione ex-ante,sia in termini quantitativi che qualitativi. L’analisi di efficienza è sempreun’analisi comparativa e viene effettuata con il metodo dell’analisi costi-be-nefici.

Per quanto concerne l’individuazione dei costi, questa necessita di una lo-ro disaggregazione (cfr. fig. 2.6) che può avvenire per fasi successive tenendoconto sia della tipologia dei costi (investimento o spesa corrente), sia da dovequesti vengono generati (forniture di terzi o risorse interne al gruppo di lavoroe all’organizzazione), sia infine delle modalità di generazione (costi diretti eindotti).

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Il tipo di costi dipende dalle caratteristiche del progetto e viceversa. Co-munque è sempre possibile distinguere tra costo di progetto e costo di eserci-zio/manutenzione. Il primo si riferisce a tutte le fasi di progettazione e corri-sponde, quindi, ai costi che bisogna sostenere per costruire il sistema; il secon-do, invece, riguarda le fasi di esercizio e manutenzione ordinaria del sistema.Entrambi devono essere valutati rispetto al miglioramento delle performancedell’organizzazione e devono essere oggetto di una valutazione che tenga con-to contemporaneamente delle due tipologie di costo, ed in particolare della so-stenibilità nel medio/lungo periodo dell’uso del sistema informatico.

I costi di progetto, a loro volta, possono essere distinti in costi di costru-zione e costi di avviamento. I costi di costruzione sono i costi necessari ad ot-tenere il sistema e posso essere sia esterni, generalmente riconducibili al prez-zo pagato per l’acquisto di pacchetti applicativi, sia interni. Quest’ultimi, a lo-ro volta, si distinguono in diretti e indotti. I costi di costruzione interni direttisono tutti quei costi riconducibili alle attività che vengono svolte direttamentedal personale del progetto e dipendono strettamente dalle caratteristiche e dal-la dimensione del sistema (ad esempio dall’architettura di elaborazione chedovrà supportare l’applicazione, oppure dal numero e dal tipo di procedureche bisognerà riprogettare all’interno dell’organizzazione). I costi di costru-zione interni indotti, invece, sono quei costi che dipendono dall’impiego di ri-sorse interne all’organizzazione ma esterne al gruppo di lavoro e sono propor-zionali alla complessità organizzativa del progetto.

I costi di avviamento invece sono quei costi che bisogna sostenere permettere in esercizio il sistema ed includono, quindi, il valore degli impiantihardware (costi di avviamento esterni), quelli sostenuti dal gruppo di lavoro(costi di avviamento interni diretti) e dalla struttura permanente dell’impresa(costi di avviamento interni indotti).

Con riferimento all’individuazione dei benefici, invece, qualsiasi progettoinformatico presenta generalmente:

Figura 2.6 - Classificazione del costo totale di un sistema informatico

Fonte: G. Bracchi, C. Francalanci, G. Motta (2001).

Costo totalesistema

Costo di esercizioe manutenzione

Costodi progetto

Costidi avviamento

Costidi costruzione

Esterni Valore pacchettiapplicativi

Interni

Diretti

Indotti

Esterni

Interni

Valore impiantihardwareDiretti

Indotti

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- benefici tangibili, legati al ruolo che la tecnologia informatica svolge intermini di automazione e sostituzione del lavoro umano con macchine;

- benefici intangibili, legati al ruolo organizzativo della tecnologia, ossiaalla sua capacità di migliorare le procedure di coordinamento delle attivitàsvolte a livello intraorganizzativo ed interorganizzativo.

I benefici tangibili sono quelli correlati in modo diretto alle performanceeconomiche delle imprese, quelli intangibili, invece, riguardano performancestrategiche relative agli effetti dei cambiamenti organizzativi e di business at-tivati dalla tecnologia informatica. Questi ultimi sono andati assumendo cre-scente importanza, nonostante la difficoltà della loro quantificazione, in quan-to, sempre più rappresentano gli elementi su cui le imprese basano la lorocompetitività.

Rispetto all’analisi dei costi, quella dei benefici è sicuramente più com-plessa da realizzare. Ciò è dovuto non soltanto alle difficoltà che si incontranonell’individuazione dei benefici stessi, ma anche e soprattutto alla loro misu-razione. Infatti la metodologia vorrebbe la qualificazione e quantificazione ditutti i benefici. La qualificazione precede la quantificazione del beneficio.

Nei benefici di tipo tangibile la valutazione del sistema informatico vienefatta rispetto al miglioramento della produttività del lavoro. Trattandosi di au-tomazione infatti la valutazione si fonda sull’individuazione dei fattori checonsumano tempo e sulla misurazione dei risparmi ottenibili per ciascuno diquesti.

In quelli intangibili la qualificazione viene effettuata definendo l’impattoorganizzativo del progetto ed analizzando i fattori che rendono i nuovi pro-cessi organizzativi più efficienti ed efficaci.

Il metodo più diffuso nella pratica è quello del calcolo del ROI del proget-to, cioè del calcolo del ritorno economico sull’investimento. Benché l’obietti-vo di qualsiasi investimento è un ritorno economico positivo, però, non sem-pre è possibile o opportuno utilizzare il ROI: questo metodo, infatti, è basatosu valori monetari che non sempre possono essere valutati ed esclude, quindi,quei costi e quei benefici difficili da valutare ma che possono essere molto ri-levanti ai fini del progetto, come ad esempio l’aumento del vantaggio compe-titivo di un’impresa o le sue modificazioni di tipo organizzativo. Per esserevalutati con il metodo del ROI, i benefici devono essere prima qualificati epoi quantificati in termini monetari. La qualificazione viene fatta sia per i be-nefici tangibili, sia per quelli intangibili, mentre la quantificazione risultasempre molto più difficile per questi ultimi che, come detto, fanno riferimentoagli effetti dell’ICT su molteplici variabili organizzative, strutturali e strategi-che. Il metodo del ROI di progetto è quindi adeguato per i progetti informaticiaziendali “classici” utilizzati principalmente per le tecnologie di produzione,ma non lo è sufficientemente per progetti tecnologicamente più avanzati cheprevedono infrastrutture per la comunicazione che influiscono principalmente

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sull’organizzazione e sul posizionamento competitivo dell’impresa. Tanto piùnon appare adeguato per la valutazione di progetti informatici interorganizza-tivi, che comportano modifiche organizzative non solo a livello di singola im-presa/istituzione, ma anche nelle relazioni tra queste e, quindi, nelle struttureche governano i loro rapporti e le transazioni economiche che tra queste av-vengono.

In tutti i casi, indipendentemente se si utilizzi il metodo del ROI di proget-to, la valutazione dei benefici necessita di due step: quello della loro qualifi-cazione e della quantificazione. Il primo step consiste nella descrizione piùaccurata possibile di tutti i potenziali benefici di un progetto informatico, sia-no essi tangibili o intangibili; il secondo, invece, nel quantificare i beneficitangibili e intangibili e, per quanto possibile, monetizzarli. Riassumendo, lavalutazione vera e propria deve essere effettuata attraverso il calcolo del ROIquando possibile, mentre dei benefici che non si è riusciti ad introdurre nelmetodo del ROI deve essere fatta una descrizione e valutazione di natura stra-tegica ed organizzativa.

Nel caso di progetti interorganizzativi i benefici vanno riferiti alle diverseorganizzazioni partecipanti. Nella valutazione di quelli di natura organizzati-va-strategica-strutturale si deve tener conto degli effetti, oltre che sulle singo-le organizzazioni, derivanti dalla realizzazione della nuova struttura organiz-zativa che nasce dall’introduzione del sistema informativo automatizzato. Nelcaso di tali progetti, vengono accentuate le criticità proprie dell’analisi costi-benefici di un investimento informatico e, cioè, la difficoltà di valutare il ruo-lo organizzativo dell’informatica.

Come già evidenziato nel primo capitolo e, come sarà meglio descritto inquello relativo alla rilevanza dell’impiego di un sistema informativo automa-tizzato per la gestione della rintracciabilità interna e tracciabilità di filiera (ca-pitolo 3), i supporti tecnologici che consentono l’autenticazione e lo scambiodi informazioni tra organizzazioni diverse riducono notevolmente i costi ditransazione tra queste. Tali costi, però, sono difficilmente quantificabili dipen-dendo sia da fattori ambientali (specificità delle risorse e frequenza delletransazioni), sia da fattori umani (razionalità limitata), e non sono quindi uti-lizzabili per il calcolo del ROI. Tuttavia, costituendo uno dei principali risul-tati dell’introduzione dei sistemi, i benefici derivanti dalla riduzione dei costidi transazione, vanno opportunamente individuati e considerati nella valuta-zione costi-benefici dei progetti informativi di tipo interorganizzativo.

In termini teorici i benefici economici derivanti dall’uso dell’ICT consi-stono in una riduzione dei costi di coordinamento interni all’organizzazione edelle transazioni esterne che la singola organizzazione intrattiene con la filierae/o con il sistema economico nel suo complesso. Un interessante metodo em-pirico per la qualificazione dei benefici intangibili è stato proposto da Stras-smann (1990) e ripreso da Bracchi et al. (2001). Tale metodo prevede l’utiliz-

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zo di una griglia di classificazione dei benefici che vengono ordinati su unascala qualitativa a crescente difficoltà di quantificazione. Dalla figura 2.7emerge chiaramente che secondo Strassmann il legame causa-effetto tra costie benefici di un progetto informatico, diminuisce al crescere del livello di dif-ficoltà individuato.

Questo significa che i benefici appartenenti al livello più basso sono piùimmediatamente riscontrabili di quelli del secondo, questi ultimi lo sono piùdi quelli del terzo, e via dicendo. Stesso dicasi per la facilità di imputazionedel beneficio al progetto, nel senso che i vantaggi (economici, strategici, etc.)situati sui vari livelli possono essere attribuiti al progetto informatico più im-mediatamente di quelli situati nei livelli più alti.

Le diverse voci di beneficio sono le seguenti:- riduzione dei costi, è una grandezza utilizzata soprattutto nel caso di im-

prese dove a parità di volumi ed output l’incremento della velocità decisiona-le derivante dall’introduzione di sistemi informativi a supporto delle decisionicomporta riduzioni del costo unitario di produzione;

- spostamento dei costi, il miglioramento dei processi di coordinamentoderivante dall’introduzione del sistema comporta, a parità di volumi, l’elimi-nazione di alcune attività e quindi, la riduzione dei costi associati al loro svol-gimento: la riduzione di tali costi rappresenta il beneficio in questione;

- costi evitati, si tratta dei costi relativi alla gestione dell’informazione chel’organizzazione non deve sostenere nonostante l’aumento dei volumi di atti-vità;

- miglioramento delle prestazioni, si tratta dei benefici che scaturiscono

Figura 2.7 - Classificazione del costo totale di un sistema informatico

Fonte: P. A. Strassmann (1990)

Riduzione dei costi

Spostamento dei costi

Maggiori ricavi

Diretti Indiretti Indotti

BENEFICI

Miglioramentodelle prestazioni

Riconfigurazionedelle relazioni

Sopravvivenzacompetitiva

Costi evitati

Riduzione del rischio Vantaggi competitivi

Meno di 1 anno

Meno di 5 anni

Meno di 10 anni

Oltre 10 anni

Fra 5 e 10 anni

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dal miglioramento dei singoli processi organizzativi in seguito all’introduzio-ne del sistema informativo automatizzato. L’unità di misura impiegata per lamisurazione delle prestazioni dipenderà, ovviamente, dalle caratteristiche delprocesso;

- maggiori ricavi, sono i ricavi che l’azienda ottiene grazie all’acquisizionedi nuovi clienti. Questo tipo di benefici deriva in genere da interventi di infor-matizzazione di tipo embedded, in cui cioè la tecnologia dell’informazione èparte integrante del prodotto/servizio realizzato/erogato dall’organizzazione;

- riconfigurazione delle relazioni, è un beneficio di lungo periodo non fa-cilmente quantificabile legato nella maggior parte dei casi ad investimenti intecnologie infrastrutturali che l’organizzazione compie in seguito alla riconce-zione dei ruoli degli stakeholders, ovvero dei soggetti esterni all’impresa econ cui essa interagisce;

- vantaggi competitivi, è il beneficio qualitativo consistente in un aumentodel vantaggio dell’organizzazione in seguito all’investimento in tecnologie in-formatiche;

- riduzione del rischio, è il beneficio qualitativo di lungo termine che con-siste nella limitazione dei rischi del cliente dell’azienda;

- sopravvivenza competitiva, questo tipo di beneficio è riconducibile agliinvestimenti che l’organizzazione compie in tecnologie informatiche al solofine di allinearsi alle tendenze del mercato.

9) Il concetto di allineamento strategico si basa sulla concezione che la performance eco-nomica conseguibile dalle organizzazioni attraverso l’ICT dipende direttamente dalla ca-pacità del management di individuare le aree di business più importanti, l’evoluzione diqueste e delle risposte strategiche dei concorrenti. 10) Un modulo è una componente dell’architettura di un sistema software, dedicata a svol-gere una funzione specifica. Esso si compone di due parti: - interfaccia, cioè la parte visibile all’esterno;- logica applicativa, o parte interna, costituita dall’insieme degli elementi che permettonoal modulo di eseguire le sue funzioni. 11) Per “entità” deve intendersi qualsiasi oggetto che abbia una propria individualità esia rilevante per il sistema (Carignani, 2004).

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econdo la prospettiva emergente, la tecnologia, una volta introdotta inun’organizzazione, subisce un processo di attivazione che dipende dal

modo in cui gli attori interpretano le attività da svolgere e la tecnologia stessa(Orlikowsky, 1992). Gli attori dell’organizzazione, quindi, si appropriano del-la tecnologia attraverso un processo di apprendimento molto complesso, incui il contesto in cui si opera svolge un ruolo fondamentale. La comprensionedegli effetti che possono scaturire dall’implementazione di un sistema infor-mativo per la rintracciabilità alimentare, non può quindi prescindere dallacomprensione del contesto in cui esso viene introdotto, delle logiche alla basedel suo funzionamento e dei soggetti che in esso operano.

Per queste ragioni, il presente capitolo sarà dedicato innanzitutto alla de-scrizione del concetto di filiera agroalimentare. La filiera è stata analizzata so-prattutto da un punto di vista più strettamente economico mediante il ricorsoall’approccio “neoistituzionale”, con particolare riferimento alla teoria dei co-sti di transazione proposta da Williamson (1985).

Viene inoltre effettuata una distinzione tra sistemi di “rintracciabilità” e“tracciabilità”, al fine di consentire una più agevole interpretazione delle dueprincipali finalità che può avere “il processo di ricostruzione della storia, del-l’utilizzazione e della localizzazione di un prodotto, ovvero della materia pri-ma coinvolta nel processo”12.

Nel caso della rintracciabilità, il fine perseguito è di tipo pubblicistico,volto cioè a garantire il ritiro dal mercato di prodotti potenzialmente non sicu-ri per la salute umana ed animale. Nel caso della tracciabilità, invece, la fina-lità è quella di comunicare al consumatore alcune caratteristiche del prodottoche non sono immediatamente percepibili e di garantire i processi da cui que-ste scaturiscono.

In sostanza, mentre con la tracciabilità si fa riferimento al processo che se-gue il prodotto da monte a valle della filiera e fa in modo che, ad ogni stadiodi questa, vengano lasciate opportune tracce (informazioni), la rintracciabilitàagisce in maniera esattamente inversa, essendo responsabile della raccoltadelle informazioni precedentemente rilasciate nelle varie fasi della filiera edai diversi attori che operano al suo interno.

Nella tracciabilità l’aspetto più delicato è, quindi, quello relativo alla defi-nizione degli agenti e delle loro responsabilità ed alla scelta delle informazio-ni che devono essere registrate. Nella rintracciabilità, invece, l’elemento criti-co è rappresentato dall’individuazione dello strumento più idoneo per rintrac-

3. Tracciabilità e rintracciabilità: approcci metodologicie tecnologie informative

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ciare le informazioni.Un sistema di tracciabilità non può mai essere considerato “completo” nel

senso che non è possibile tracciare tutte le informazioni relative alle fasi diprocesso, sia tecnologico, sia di trasferimento nel tempo e nello spazio di undeterminato prodotto. Questo è tanto più vero quando il sistema è dedicato aduna filiera alimentare, in quanto questa è caratterizzata da alimenti sempre piùcomplessi le cui componenti sono sviluppate all’interno di microfiliere spessogeograficamente molto distanti tra loro.

Un sistema informativo automatizzato per la tracciabilità va quindi valuta-to rispetto agli obiettivi che questo si pone, cioè alle problematiche a cui vuo-le dare risposta. Gli obiettivi che portano al suo allestimento, come già detto,possono essere sia di natura privatistica, propri dell’impresa che li considerafunzionali all’aumento della sua efficienza e competitività, sia di natura pub-blica per rispondere alle crescenti esigenze di sicurezza igienico-sanitaria deiprodotti e di tutela del consumatore nei confronti di quanto indicato in eti-chetta o attraverso la comunicazione dell’impresa stessa.

Anche se le caratteristiche di un sistema informativo per la tracciabilitàvariano a seconda dei suoi obiettivi, una valutazione della sua efficacia ed ef-ficienza può essere effettuata utilizzando tre dimensioni:

1. la larghezza;2. la profondità;3. la precisione del sistema di rintracciabilità. La larghezza descrive le quantità di informazioni che vengono registrate

nel sistema e, come detto, esiste un numero enorme di informazioni che ri-guardano gli alimenti. La maggior parte di queste, però, non sono rilevanti aifini degli obiettivi che un sistema di tracciabilità si può porre e la loro regi-strazione rappresenterebbe un costo ingiustificato. Quindi, va sempre valutatala coerenza tra il numero e il tipo di informazioni registrate nel sistema congli obiettivi a cui il sistema deve rispondere.

La profondità di un sistema informativo per la tracciabilità, invece, si mi-sura sulla base degli stadi a monte e a valle della filiera che il sistema puòtracciare. Nella maggior parte dei casi la profondità del sistema è determinatadirettamente dalla sua larghezza. Una volta che un’impresa o un’autorità hadeciso quali sono gli attributi che è necessario tracciare di fatto viene anchedefinita la profondità del sistema di tracciabilità, cioè fino a quale stadio oc-corre estendere il collegamento dei flussi informativi che devono seguire ilprodotto fino al consumatore. Inoltre, la profondità definisce anche quali sonoi punti critici nei quali devono essere effettuate le registrazioni dei dati ed illoro controllo, questo soprattutto quando la finalità del sistema è quella di ga-rantire la sicurezza degli alimenti.

La precisione, infine, riflette il grado di assicurazione con cui il sistemapuò individuare una particolare variazione avvenuta nel prodotto in termini di

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caratteristiche e/o di localizzazione. In alcuni casi gli obiettivi del sistema in-formativo richiedono un’elevata precisione, mentre in altri casi un livellomolto sofisticato di precisione non è necessario. La precisione viene determi-nata anche dall’unità di analisi usata nel sistema e dal livello di errore cheviene considerato tollerabile. L’unità di analisi può essere un container, laproduzione di un giorno, o qualsiasi altra quantità che può essere definita intermini di lotto. I sistemi informativi che hanno unità di analisi/tracciabilitàmolto grandi (ad esempio la produzione di un intero allevamento) possono es-sere anche poco precisi, mentre viceversa sistemi che hanno come unità dianalisi/tracciabilità lotti di piccole dimensioni (ad esempio il singolo animale)devono avere una maggiore precisione. Lo stesso accade rispetto al livello ditolleranza di eventuali errori. In molti casi, sono ancora una volta gli obiettividel sistema a definire il livello di precisione del sistema stesso.

La scelta all’interno delle dimensioni del livello di grandezza o accuratez-za dipende dai costi relativi e dai vantaggi che l’impresa ottiene dall’imple-mentazione del sistema. È proprio tale aspetto che fa dei sistemi di tracciabili-tà degli strumenti efficaci per una diversificazione delle produzioni e valoriz-zazione delle stesse sui mercati oltre che strumenti per il controllo e la sicu-rezza alimentare.

3.1 Architettura strategica del settore agroalimentare: il concetto di filiera

Quando si parla di filiera, si fa generalmente riferimento all’insieme di tut-ti gli attori economici ed istituzionali che partecipano alle diverse fasi checollegano la produzione al consumo (Saccomandi, 1998). Le filiere possonoavere dimensioni diverse a seconda del numero di attori che vi partecipano edelle trasformazioni sia fisiche, sia temporali, sia infine spaziali che il prodot-to agricolo subisce per raggiungere il consumatore.

Nel caso di filiere agroalimentari i due attori sempre presenti sono il pro-duttore agricolo ed il consumatore. Una filiera che si limiti a questi due attoriviene anche definita filiera corta ed è tipica dei mercati alla produzione (cfr.fig. 3.1). In questi ultimi anni questo tipo di filiera è stata rivitalizzata attra-verso la vendita diretta in azienda, con la quale i produttori agricoli tendonoad incorporare maggiori quote di valore aggiunto o è funzionale all’introdu-zione nel mercato di nuovi prodotti che debbono essere accompagnati da in-formazioni/garanzie proprie del produttore, come è avvenuto ad esempio per iprodotti biologici nelle prime fasi di introduzione di questa nuova tecnica.

Una delle caratteristiche dei sistemi agroindustriali moderni, però, è quelladi essere caratterizzati da filiere alimentari lunghe. In questo caso il prodottoagricolo, per giungere al consumatore, passa per un numero piuttosto elevatodi fasi che possono essere controllate da operatori diversi. Facciamo l’esem-

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pio della pasta alimentare, che in Italia viene prodotta con parte della materiaprima “grano duro” importata da Paesi terzi ed alla cui produzione partecipa-no oltre i cerealicoltori, anche cooperative, associazioni e grossisti che effet-tuano lo stoccaggio delle sementi nazionali. A questi si aggiungono gli impor-tatori (nel caso di prodotto importato), vi è poi una fase di prima trasforma-zione che è quella della molitura e che solo nel caso di grandi gruppi è inter-nalizzata dall’impresa di seconda trasformazione, cioè quella pastaria. La pro-duzione vera e propria di pasta avviene all’interno degli impianti di secondatrasformazione che, tuttavia, difficilmente ne controllano direttamente la dis-tribuzione. Dagli stabilimenti, quindi, la pasta raggiunge i grossisti/piattafor-me di distribuzione e successivamente il distributore. Poiché un terzo dellaproduzione nazionale viene esportata, vi è un’ulteriore fase che è quella dellaspedizione e trasporto nei Paesi destinatari.

L’incremento del numero e delle tipologie di prodotti alimentari, nonché ladiversificazione dei canali distributivi, stanno portando ad ulteriori allunga-menti delle filiere ma soprattutto alla presenza - all’interno di uno stesso com-parto - di un numero piuttosto elevato di microfiliere, nelle quali i comporta-menti degli attori delle varie fasi possono essere molto diversi creando dellevere e proprie barriere all’ingresso e all’uscita dalla singola filiera.

Il concetto di filiera viene introdotto dalla scuola francese con un riferi-mento più tecnologico che economico. Essa viene definita come il susseguirsidi fasi tecniche e tecnologiche esercitate da diversi attori, necessarie a portarel’alimento al consumatore nelle forme e modalità da questo desiderate, a par-tire dalla materia agricola. Roux (1985), ad esempio, definisce la filiera comeun insieme complesso di procedure, coerenti tra loro e capaci di funzionarecome un sistema adattativo, che permetta di studiare le condizioni di efficien-za dei processi di produzione, il cui funzionamento dipende dalle risposte aivincoli ed alle opportunità del mercato.

Da un punto di vista più strettamente economico, la filiera è il luogo al-

Figura 3.1 - Esempi di filiera alimentare corta e filiera alimentare lunga

Aziendaagricola

Aziendaagricola

Trasformatore GDO Consumatore

Consumatore

Filiera corta

Filiera lunga

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l’interno del quale avvengono gli scambi di beni ed informazioni tra i diversioperatori. La teoria tradizionale economica si occupa esclusivamente delloscambio di beni ed individua nei prezzi il risultato di tali scambi, che dipen-dono fondamentalmente dal numero di scambisti. I prezzi si differenziano traloro in base all’assenza/presenza di poteri di mercato, in una situazione in cuiil mercato viene considerato perfetto e cioè privo di ogni forma di incomple-tezza informativa e con un prodotto che viene considerato omogeneo. Nellarealtà, però, esistono notevoli asimmetrie informative tra gli scambisti dovuteal crescente numero di caratteristiche intrinseche intangibili che sono ingloba-te nel prodotto o non direttamente percepibili dal consumatore, come adesempio la provenienza delle materie prime, i trattamenti che il prodotto hasubito, etc.

Per comprendere appieno il concetto di filiera può essere utile a questopunto richiamare la teoria dei costi di transazione di Williamson (1985), se-condo cui, quando per essere realizzato uno scambio necessita di uno stru-mento utilizzato a tal fine, allora viene indicato col termine di transazione omodalità di realizzazione di uno scambio. Una transazione si caratterizza perl’oggetto dello scambio, le parti contraenti e l’insieme delle regole o degli attiche consentono di realizzarlo, indicate anche come “struttura di governo” op-pure “struttura organizzativa” o anche “struttura regolativi” di una transazio-ne. La struttura di governo (governance structure) di una transazione connettetra di loro elementi organizzativi e contrattuali: i primi indicano le risorse ne-cessarie per realizzarla, mentre i secondi si riferiscono agli obblighi dei con-traenti ed alle penalizzazioni delle inadempienze.

Quindi, mentre nell’analisi economica tradizionale delle forme di mercatol’attenzione è posta nella parte hard di una transazione e cioè nello scambio,l’analisi della parte soft, cioè delle modalità, costituisce la vera novità dell’e-conomia transazionale. È Williamson che approfondisce questo aspetto rin-tracciando i motivi causali del costo d’uso del mercato.

Nell’ipotesi di Williamson le condizioni del mercato perfetto vengonomeno per la duplice influenza di fattori umani ed ambientali, che originanoun blocco informativo, cioè la presenza di condizioni per le quali le circo-stanze realmente rilevanti per l’esecuzione di una transazione sono cono-sciute da pochi soggetti mentre gli altri non le conoscono, oppure per otte-nerle sono obbligati a pagarle. I fattori umani riguardano il tipo di compor-tamento degli attori di una transazione, mentre quelli ambientali sono speci-fici delle transazioni. Date le preferenze per una relazione contrattuale piut-tosto che un’altra (atmosfera), i fattori umani sono alla base della razionali-tà limitata e dell’opportunismo, mentre i fattori ambientali sono alla basedei fenomeni di incertezza/complessità e di piccolo numero. Le modalitàcon le quali questi fattori interagiscono tra loro sono schematizzate nella fi-gura che segue.

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Volendo riassumere quanto detto finora, secondo Williamson le dimensio-ni critiche di una transazione, che ne determinano cioè il livello di costo, so-no tre:

1. l’incertezza, intesa come la limitazione della razionalità individuale ecome la prevedibilità a costi elevati degli eventi di una transazione;

2. la frequenza delle transazioni, che amplifica o riduce fattori di costoquali la carenza informativa e l’opportunismo, cioè la possibilità di assumerecomportamenti che consentono di perseguire il proprio interesse a scapito diquello degli altri;

3. la specificità degli investimenti, che comporta la presenza di risorse ir-recuperabili e di un basso numero di acquirenti/venditori.

La filiera, quindi, può essere considerata come la struttura organizzativaall’interno della quale non solo avviene lo scambio di un bene, ma ne vengo-no definite le caratteristiche quali-quantitative e le modalità e regole propriedello scambio. Le modalità di integrazione delle diverse fasi della filiera sonofinalizzate a ridurre i costi di transazione tra queste, fino a giungere ad unavera e propria integrazione verticale laddove l’organizzazione interna all’im-presa assume costi inferiori a quella della struttura di scambio, cioè dove i co-sti di transazione sono così elevati che per l’impresa diviene conveniente in-ternalizzare la fase a monte o a valle.

Figura 3.2 - Fattori umani e ambientali responsabili dei costi di transazione

Fonte: V. Saccomandi (1998).

Atmosfera

Razionalitàlimitata

Opportunismo

Fattori umani Fattori ambientali

Piccolo numero

Incertezzacomplessità

Blocco informativo

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L’evoluzione della tecnologia e dell’organizzazione delle imprese a vallehanno reso sempre più frequenti nelle filiere scambi diversi dallo scambiospot, cioè dallo scambio istantaneo (secondo l’economia neoclassica questoscambio si realizza quando il mercato opera da struttura organizzativa degliscambi ed il prezzo è un indicatore esaustivo del rapporto di scambio). In talsenso, si registra una crescente diffusione di scambi basati su relazioni con-trattuali in cui vengono stabilite le caratteristiche ex-ante ed ex-post dell’og-getto dello scambio. Ciò sta diventando sempre più frequente nel settoreagroalimentare a causa di due fattori:

1. la rilevanza, sulle caratteristiche qualitative del prodotto e sulla sua de-nominazione ed etichettatura, delle modalità di produzione, trasformazione econdizionamento delle materie prime e dei semilavorati;

2. lo sviluppo di quello che viene definito engineered food, cioè di prodottialimentari con un’alta componente di tecnologia, che se da una parte compor-ta una maggiore omogeneità della materia prima, dall’altra rende necessariefasi di trasformazione, condizionamento e distribuzione realizzate secondomodalità concordate tra i diversi responsabili di ogni fase.

In entrambi i casi, lo scambio non riguarda più il singolo bene ma si rendenecessaria una vera e propria struttura di comunicazione tra gli scambisti chepuò realizzarsi sia in termini di beni, sia di servizi, sia di informazioni che de-vono essere trasferite tra gli attori dello scambio e sempre più spesso ancheall’interno degli scambi successivi. Non parliamo più, quindi, soltanto di og-getto dello scambio ma anche di mezzi attraverso i quali l’oggetto vienescambiato.

Nel primo caso siamo di fronte ad una transazione in quanto, essendo rile-vanti gli eventi che non sono sotto il controllo diretto dell’utilizzatore del be-ne scambiato, questo deve essere accompagnato da una serie di informazionio può divenire importante il soggetto che ha realizzato tali eventi in termini direputazione. Facciamo, ad esempio, il caso delle produzioni alimentari otte-nute attraverso metodi di lotta integrata, cioè di utilizzo di pesticidi di originechimica secondo calendari stabiliti con indicatori biologici, che consente unariduzione dell’uso dei prodotti fitosanitari ed un miglior controllo dei residui.È diffusa tra la distribuzione moderna l’etichettatura “prodotti con metodi dilotta integrata” o “assenza di residui”, a marchio proprio (private label). L’uti-lizzo di questa dicitura, per l’impresa di distribuzione comporta o la scelta diuna integrazione di filiera verticale attraverso l’acquisizione delle fasi a mon-te, ivi compresa la produzione, o un controllo di queste fasi attraverso un’in-tegrazione contrattuale nella quale oltre al prodotto acquistato vengono defi-nite le modalità di produzione, di controllo, di certificazione e di consegna delprodotto, nonché le azioni correttive e di contestazione delle eventuali nonconformità. Si tratta, quindi, di una vera e propria transazione che comporta ladefinizione ex-ante dei termini contrattuali e dei capitolati di produzione, e di

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controlli in itinere ed ex-post del rispetto di quanto stabilito nel contratto. Nel-la maggior parte dei casi, l’impresa di distribuzione utilizza per i controlliispettori propri, con un notevole aggravio di costi. Negli ultimi anni, si è an-dato sempre più diffondendo il ricorso ad organismi di certificazione terzi chehanno il compito di controllare il rispetto dei disciplinari nelle diverse fasidella filiera che vengono contrattualizzate, e ciò proprio al fine di operare unariduzione nei costi di transazione attraverso economie di scala.

Nel secondo caso, come ad esempio quello della recente introduzione dellatte microfiltrato, si riducono i costi di transazione con le fasi a monte, cioècon la produzione, in quanto il latte utilizzato non deve avere particolari ca-ratteristiche igienico-sanitarie, essendo queste tutte corrette dalla microfiltra-zione. Occorre, invece, ristrutturare i rapporti con la distribuzione per la mag-gior shelf life del prodotto, che consente di utilizzare modalità distributivenon più tipiche per il latte fresco (tentata vendita) ed allungare i tempi di con-segna.

All’interno delle filiere si instaura quindi un continuo feedback tra le di-verse fasi, contribuendo a mantenere aggiornato ciascun segmento della filie-ra sulle tendenze dei consumatori e sulle innovazioni dei clienti. Inoltre, da unpunto di vista dei flussi informativi, l’appartenenza ad una filiera organizzatarende più efficiente la trasmissione di informazioni in entrambi i sensi, dallaproduzione al consumatore e dal consumatore alla produzione.

3.2 Quadro normativo

I sistemi di tracciabilità e rintracciabilità sono delineati da due ambiti nor-mativi, e più precisamente di tipo:

- cogente;- volontario.Nel primo caso la norma di riferimento è il regolamento (CE) n. 178/2002

del Parlamento europeo e del Consiglio del 28 gennaio 2002, che stabilisce iprincipi ed i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Auto-rità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della si-curezza alimentare. Il regolamento contiene una chiara definizione di rintrac-ciabilità (articolo 18), intendendosi con essa la possibilità di ricostruire e se-guire il percorso di un alimento, di un mangime, di un animale destinato allaproduzione alimentare o di una qualsiasi altra sostanza destinata o atta ad en-trare a far parte di un alimento o di un mangime attraverso tutte le fasi dellaproduzione, della trasformazione e della distribuzione.

A tal fine, gli operatori del settore alimentare devono disporre di sistemi edi procedure che consentano di mettere a disposizione delle autorità compe-tenti che le richiedano, le informazioni al riguardo. Devono quindi dotarsi di

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sistemi per individuare le imprese alle quali hanno fornito i propri prodotti.Gli alimenti o i mangimi che sono immessi sul mercato della Comunità o cheprobabilmente lo saranno devono essere adeguatamente etichettati o identifi-cati per agevolarne la rintracciabilità, mediante documentazione o informa-zioni pertinenti secondo i requisiti previsti in materia da disposizioni più spe-cifiche.

Nel secondo caso, invece, bisogna far riferimento alla norma volontariaUNI 10939:2001 - “Sistemi di rintracciabilità di filiera”, che definisce i prin-cipi e specifica i requisiti per l’attuazione di un sistema di rintracciabilità difiliera dei prodotti agroalimentari. La norma, che definisce anche le modalitàdi etichettatura delle informazioni contenute nel sistema, afferma che la rin-tracciabilità si applica in tutti i casi in cui si voglia documentare la storia di unprodotto e le specifiche responsabilità attraverso l’identificazione e registra-zione dei flussi materiali e delle organizzazioni che concorrono alla formazio-ne, commercializzazione e fornitura del prodotto. Il sistema, in questo caso,deve essere certificato da un organismo di controllo terzo autorizzato dal MI-PAF.

3.3 La tracciabilità: l’informazione al consumatore e le reti d’impresa

A differenza di quanto avviene per la rintracciabilità, nel caso della trac-ciabilità siamo di fronte solo ed esclusivamente a norme volontarie a cui leimprese decidono liberamente di attenersi. La tracciabilità viene quindi utiliz-zata per poter garantire e, quindi, comunicare al consumatore informazionivolontarie e non cogenti.

Uno degli aspetti attualmente più controversi all’interno del sistema agroa-limentare italiano è la tracciabilità dell’origine della materia prima al fine del-la sua apposizione in etichetta. Questa è attualmente normata da leggi comu-nitarie solo nel caso delle produzioni di qualità certificata che utilizzano de-nominazioni geografiche e nel caso dei prodotti ortofrutticoli freschi, dei pro-dotti ittici e delle uova. La normativa italiana ha aggiunto il latte fresco chedeve essere commercializzato indicando in etichetta la zona di mungitura. Viè tuttavia un’ampia fascia di produttori agricoli che auspicherebbe l’obbligodell’indicazione obbligatoria dell’origine della materia prima agricola sull’eti-chetta di tutti i prodotti finiti, ritenendo che un marchio “Made in Italy” possaessere uno strumento di diversificazione e valorizzazione delle nostre produ-zioni.

È stata poc’anzi sottolineata la non cogenza della tracciabilità. In linea ge-nerale, i benefici che dovrebbero scaturire dalla scelta di un’azienda di com-piere liberamente questo tipo di investimento, possono essere riassunti nelraggiungimento dei seguenti tre obiettivi:

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1. migliorare la gestione in entrata e in uscita dell’impresa nelle funzionidi logistica, approvvigionamento e consegna del prodotto;

2. rendere possibile la rintracciabilità del prodotto ai fini della sicurezzaalimentare e della qualità in relazione alle normative cogenti;

3. differenziare il proprio prodotto sul mercato rendendo visibile o comu-nicando al consumatore caratteristiche qualitative di tipo intangibile.

Normalmente le imprese introducono sistemi di tracciabilità finalizzandoliad uno soltanto di questi obiettivi, ma ben presto si rendono conto come que-sti siano fortemente complementari e sinergici. Ad oggi, non è ancora suffi-cientemente sviluppata una letteratura che prenda in considerazione l’integra-zione di questi tre obiettivi e le sinergie conseguenti all’utilizzo dello stru-mento della tracciabilità in modo coordinato e congiunto. Ciò è dovuto al fat-to che nel nostro Paese, la tracciabilità di filiera è stata normata a livello vo-lontario dalla norma UNI 10939:2001, che la regolamenta privilegiando lafunzione di differenziazione delle produzioni rispetto alle altre due.

Con riferimento a questo specifico obiettivo, la tracciabilità di filiera risul-ta strettamente correlata alla possibilità di fornire al consumatore informazio-ni - soprattutto di tipo intangibile (si pensi all’origine delle materie prime) -che riguardano il prodotto e che provengono dai diversi stadi della filiera. Unqualsiasi sistema informativo automatizzato per la tracciabilità rappresentaquindi uno “strumento” attraverso cui fornire informazioni utili a completarel’insieme di attributi dai quali il consumatore può desumere la qualità del pro-dotto, completandone la percezione e influenzando il suo comportamento diconsumo. Anzi, la tracciabilità, facendo risaltare gli attributi ipersimbolici delprodotto, introduce una novità nei processi di percezione della qualità delconsumatore.

A tal proposito la letteratura più recente (Grunert, 1995; Grunert et al.,2000), ha evidenziato che la qualità degli alimenti non dipende soltanto dafattori oggettivi (ad esempio, le caratteristiche fisiche del prodotto o il rispettodi determinati standard certificati), ma anche da un numero elevato di variabi-li di natura soggettiva che in alcuni casi possono assumere un peso prevalenterispetto a quelli di natura oggettiva.

Questi aspetti, sono stati ben evidenziati da Sabbatini e De Rosa (2003),attraverso una ricerca finalizzata a spiegare gli atteggiamenti dei consumatorinei confronti dei prodotti agroalimentari tracciabili e rintracciabili e che hamesso in evidenza i limiti del modello neoclassico, incentrato sulla figura delconsumatore massimizzante in condizioni di razionalità assoluta e conoscenzaperfetta. Secondo gli autori, infatti, il consumo di un prodotto avviene nonsoltanto per soddisfare bisogni funzionali, ma anche psicosociali. I fattori chepresiedono alle decisioni del consumatore abbracciano quindi anche aspetti dinatura psicologica e sociologica, di cui l’impianto neoclassico non tiene contoe che, invece, influenzano sempre di più le scelte del consumatore moderno.

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Nell’ambito della tracciabilità dobbiamo distinguere tra tracciabilità “in-terna” e “di filiera”. La tracciabilità interna riguarda le singole imprese e con-sente di avere informazioni lungo tutto il processo gestito/controllato dalleimprese. Si basa su procedure interne, specifiche di ciascuna azienda che con-sentono di risalire alla provenienza dei materiali, al loro utilizzo e alla desti-nazione dei prodotti. L’elemento chiave della tracciabilità interna è il lotto,cioè la quantità minima omogenea di materia prima e/o di prodotto finito perle quali è possibile avere informazioni.

La tracciabilità di filiera, invece, è un processo interaziendale che risultadalla combinazione dei processi di tracciabilità interna di ciascun operatoredella filiera uniti da efficienti flussi di comunicazione. Senza sistemi informa-tivi efficienti di tracciabilità interna non è quindi possibile avere un buon si-stema di tracciabilità di filiera. Il sistema informativo a supporto della traccia-bilità di filiera è un sistema informativo interaziendale dove le informazioniregistrate da una singola azienda devono essere disponibili per attività e fun-zioni di altre imprese. Questo presuppone l’utilizzo di standard comuni sianelle fasi di identificazione e registrazione dell’informazione, sia di sua tra-smissione.

Figura 3.3 - I sistemi informativi chiusi

Fonte: ???????????.Consumatori

Pubblica Amministrazione

Amministratoredel sistema

di tracciabilità

Distribuzione

Trasformatori

Data Base

Consorzio

Impreseagricole

INTERNET

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Nel caso dell’identificazione/registrazione si è assistito alla nascita di or-ganismi di normazione volontari laddove vi era assenza di norme cogenti. Re-lativamente alla trasmissione delle informazioni, invece, inizialmente si è as-sistito allo sviluppo di sistemi informativi automatizzati diversi di tipo “chiu-so” (cfr. fig. 3.3), caratterizzati cioè da modalità di registrazione e trasmissio-ne dei dati non sempre compatibili con quelle della Pubblica Amministrazio-ne, diventando delle vere e proprie barriere all’entrata e all’uscita dall’orga-nizzazione di filiera e irrigidendo il sistema, invece che dargli maggiore fles-sibilità. Per le imprese agricole, in particolare, l’effetto è stato un incrementodella dominanza organizzativa delle fasi a valle della filiera che hanno deter-minato, oltre alle regole delle produzioni, le informazioni da tracciare, le mo-dalità di registrazione e di trasmissione.

Negli ultimi anni, però, l’evoluzione normativa, le innovazioni tecnologi-che riguardanti l’ICT, in particolar modo Internet, l’aumento del fabbisognoinformativo da parte della Pubblica Amministrazione (PA) sia per i controlli,sia per la gestione delle politiche settoriali, ha portato al potenziamento delruolo della PA nella creazione e gestione di sistemi informativi che possonogarantire:

- l’integrazione tra banche dati sia pubbliche, sia pubblico-private;- una semplificazione dell’accesso alle informazioni ed un controllo pub-

blico delle diverse autorizzazioni di accesso alle informazioni;- una redistribuzione degli investimenti in tecnologie tra pubblico e priva-

ti, con il pubblico che si fa carico dei costi necessari alla realizzazione delleinfrastrutture tecnologiche e delle procedure di certificazione dell’informazio-ne, nonché dell’evoluzione e dell’omogeneizzazione degli standard per la ge-stione dei dati e delle telecomunicazioni.

In termini economici questo ha portato ad una progressiva riduzione delleasimmetrie informative e, quindi, ad un migliore coordinamento delle relazio-ni all’interno delle strutture di mercato, con l’incremento dell’efficienza com-plessiva del sistema. L’aumento della trasparenza informativa riduce i costi ditransazione spostando la frontiera tra il make or buy di Williamson (1985). Lasostituzione dell’integrazione verticale nella filiera con strumenti di coordina-mento di mercato (forme ibride di quasi-organizzazione e quasi-mercato; Sac-comandi, 1991) comporta una maggiore flessibilità nella filiera e soprattuttola possibilità di incrementare il numero di informazioni che possono seguire iflussi dei prodotti, senza che questo porti ad un incremento dei costi di trans-azione. Questo, come conseguenza, permette alle aziende di poter differenzia-re l’alimento non più sulla base di caratteristiche legate alle fasi a valle dellafiliera (packaging, promozione, etc.), bensì a quelle legate alla fase di produ-zione primaria (tecniche di produzione e origine). In altre parole viene ridottala dominanza organizzativa sul settore primario da parte dei segmenti a valle(distribuzione e/o trasformazione).

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Da un punto di vista strutturale si è passati quindi da una serie di sistemichiusi, che colloquiano tra di loro attraverso l’invio di dati scelti e controllatida chi gestisce la filiera, ad una struttura a rete dove le informazioni contenu-te in banche dati diverse possono essere scambiate attraverso un unico puntodi accesso (cfr. fig. 3.4). La forza di questi sistemi è rappresentata proprio dal-la possibilità di rivolgersi a banche dati pubbliche, certificate, in cui l’accessooltre che dal gestore pubblico può essere regolamentato da accordi tra le parti.

Figura 3.4 - I sistemi informativi aperti

Fonte: ???????????.

Trasformatori

Pubblica Amministrazione

Imprese agricole

Data Base

Distribuzione

Consumatori

Consorzi

INTERNET

3.4 La rintracciabilità: la gestione del rischio ed il ritiro del prodotto difettoso

Nell’ambito della letteratura che si occupa di rintracciabilità delle produ-zioni alimentari possiamo distinguere tre periodi:

1. quello precedente all’emanazione del regolamento CE 178/2002, in cuila rintracciabilità veniva considerata solo ed esclusivamente quale strumentoper differenziare i prodotti dell’azienda (Strino, 2001; Te.Ta, 2001);

2. quello immediatamente seguente alla pubblicazione del regolamento, incui il dibattito si è spostato sugli aspetti legati alla sicurezza degli alimenti;

3. quello attuale, in cui tracciabilità e rintracciabilità vengono consideratistrumenti volti a migliorare l’organizzazione delle filiere e delle imprese e,quindi, vengono esaminati secondo gli approcci classici della supply chain

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management (Mariani, Covino, Aprile, 2002).Indipendentemente da tale dibattito, la prima funzione individuata nella

norma cogente, e che si richiede ad un sistema informativo automatizzato perla rintracciabilità, è quella di consentire il richiamo rapido del prodotto al finedi garantire la sicurezza dei consumatori attraverso un intervento tempestivodi tamponamento di un eventuale rischio alimentare.

In questo caso l’obiettivo del sistema è riconducibile ad una gestione delrischio alimentare attraverso il richiamo rapido. La valutazione del sistema ri-spetto all’obiettivo può essere fatta sfruttando due parametri, cioè efficacia edaccuratezza. Nel primo caso, il parametro è definito dalla percentuale di pro-dotto ritirato e dal tempo impiegato per il ritiro. È evidente che un buon siste-ma informativo per la rintracciabilità deve garantire il ritiro del 100% del pro-dotto appartenente al lotto di produzione risultato difettoso nel più breve tem-po possibile. Nel secondo caso, invece, il parametro è definito dalla capacitàdi ritirare tutto ed esclusivamente il prodotto difettoso, senza coinvolgere nel-le operazioni di ritiro prodotti che non presentano difetti. Tale parametro simisura nella percentuale di prodotto difettoso sulla percentuale di prodotto ri-chiamato e la condizione ottimale si raggiunge quando il rapporto risulta parial 100%.

La valutazione dell’efficacia e dell’accuratezza dei sistemi di rintracciabi-lità può essere fatta a diversi livelli, e più precisamente a quello di:

- singolo operatore;- filiera di produzione; - comparto produttivo regionale, nazionale, europeo, internazionale. Il sistema informativo necessario quindi alle aziende per garantire la rin-

tracciabilità del prodotto come previsto dalla norma cogente, deve avere lafunzione di far tendere i due parametri verso l’optimum, cioè di garantire unrichiamo rapido del 100% di prodotto esclusivamente difettoso. Questo, comepuò facilmente comprendersi, produrrà un impatto positivo sia sui costi azien-dali, sia sulla riduzione/limitazione dei rischi e delle responsabilità dell’im-presa nei confronti della sicurezza alimentare.

In questo, le innovazioni tecnologiche e l’evoluzione stessa dei sistemi in-formativi aziendali ed interaziendali (reti di impresa) per la gestione delle in-formazioni e delle loro modalità di produzione e scambio, stanno consentendoai sistemi di rintracciabilità di raggiungere l’optimum dei parametri a costisempre più bassi. Tale aspetto appare sempre più importante e strategico perle imprese, in quanto oggi sono proprio queste economie che determinano gliambiti competitivi delle aziende e, soprattutto, delle filiere e dei sistemi agri-coli ed alimentari.

12) Definizione di tracciabilità data dalla norma UNI EN ISO 9000.

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a rilevanza e il conseguente rapido sviluppo dei sistemi informatici nel set-tore agricolo ed agroalimentare derivano dalle peculiarità stesse del settore

e dalle potenzialità che questi strumenti hanno in termini di miglioramento dellacompetitività del sistema di agrimarketing nel suo complesso.

Come descritto nei capitoli precedenti il settore agroalimentare presenta ca-ratteristiche “uniche”, relative alla struttura del sistema e ai legami organizzativitra le diverse funzioni, in grado di condizionare l’ambiente all’interno del qualevengono realizzati sia la produzione sia gli scambi di mercato.

La numerosità e frammentazione della struttura produttiva agricola e dellatrasformazione sono state considerate, fino ad oggi, uno dei principali fattori del-la scarsa competitività del settore poiché una struttura tale, non consente di otte-nere economie di scala legate alle tecnologie di produzione e di distribuzione cherichiedono masse critiche di prodotto standardizzato di dimensioni sempre piùelevate.

Tale situazione strutturale comporta, inoltre, elevati costi di coordinamentoche incidono negativamente sulla competitività delle imprese. Questi possonoessere ridotti passando da meccanismi di mercato a forme organizzative gerar-chiche nelle quali è più facile mantenere situazioni equilibrate. Ciò spiega la pre-senza, sia nel settore agricolo, sia in quello della trasformazione, di numeroseforme organizzative caratterizzate da un diverso grado di integrazione verticale:dalla cooperativa di produzione e trasformazione, a forme contrattuali di fornitu-ra e/o coltivazione nelle quali, tuttavia, lo scarso potere negoziale delle impreseagricole ha portato ad un progressivo impoverimento delle stesse sia in terminieconomici, sia di potere decisionale.

Questo modello pevalentemente gerarchico della filiera, è stata la causa prin-cipale del progressivo allontanamento della fase agricola dal consumatore, cosache ha portato ad una minore possibilità di comunicazione e, quindi di valorizza-zione, delle caratteristiche qualitative del prodotto legate ai processi agricoli edalla vocazionalità del territorio. Solo attraverso una tutela normativa è stato quin-di possibile mantenere una differenziazione qualitativa basata su tali caratteristi-che, laddove queste erano già riconosciute dal mercato (DOP, IGP, DOC, etc.).

La riduzione del sostegno pubblico per il settore rende oggi urgente l’introdu-zione di nuovi strumenti diversi da quelli tradizionali, basati sulla ricerca nontanto della minimizzazione dei costi di produzione, quanto di quelli di transizio-ne legati al rapporto dell’impresa con l’ambiente esterno, in particolare il merca-to e le Istituzioni.

4. Conclusioni

L

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Lo sviluppo di sistemi informatizzati intra ed interaziendali rappresentauno di questi strumenti e da qualche anno sta impegnando la Pubblica Ammi-nistrazione sotto la duplice veste di finanziatore di iniziative private, e di rea-lizzatore/gestore di sistemi ed infrastrutture pubbliche che consentono l’integra-zione di sistemi informativi diversi, sia pubblici, sia privati.

Le motivazioni che hanno condotto a questo nuovo ruolo dell’Amministra-zione finalizzato alla creazione di un elevato potenziale informatico (inteso intermini di quantità e qualità delle informazioni e della capacità elaborativa), sonoriconducibili agli importanti mutamenti in atto nel settore agricolo ed agroindu-striale che si traducono:

- nell’incremento dell’incertezza ambientale in cui si trovano ad operare leimprese;

- nell’aumento della complessità del sistema di agrimarketing nel suo com-plesso, che impatta sia sulle imprese, sia sulla Pubblica Amministrazione.

La prima tendenza, che deriva principalmente dall’instabilità dei mercati edai mutamenti in atto delle politiche di settore, ha importanti effetti non solo sul-la quantità e qualità delle informazioni, ma anche sulla struttura stessa dei siste-mi informativi a supporto delle decisioni d’impresa e dell’azione istituzionale.

La seconda tendenza, invece, è dovuta a tre fattori principali:1. L’incremento ed innalzamento degli standard normativi inerenti la sicurez-

za alimentare, la compatibilità ambientale ed il benessere animale;2. L’aumento delle informazioni “volontarie” che possono essere rese dispo-

nibili al consumatore, sia in etichetta, sia attraverso servizi post-vendita;3. L’incremento delle dimensioni del sistema sia in termini di tipologia di at-

tori, sia di dimensioni geografiche.Per le imprese, quindi, l’aumento della complessità deriva dalla necessità di

operare secondo una nuova responsabilità sociale con una crescente attenzione avariabili diverse di tipo trasversale quali sicurezza, compatibilità ambientale, etc.Questo, non solo accresce la necessità di capacità elaborativa e decisionale, maanche procedurale e di comunicazione con nuovi soggetti.

Per la Pubblica Amministrazione, invece, la complessità deriva, come detto,dalla varietà di soggetti e dalla variabilità di comportamenti legati principalmen-te a situazioni territoriali diverse, che rendono necessaria una notevole flessibilitàdelle modalità di applicazione delle norme e, di conseguenza, dell’azione ammi-nistrativa, con la conseguente necessità di disporre di nuovi modelli organizzati-vi che tengano conto anche della necessità di delega decisionale sul territorio.

Nella teoria dell’organizzazione (Galbraith, 1973) vengono individuate duestrategie attraverso cui le organizzazioni possono rispondere alla crescente incer-tezza ed alla maggiore complessità ambientale:

1. Ridurre la quantità di informazioni da trattare;2. Aumentare le proprie capacità di acquisirla ed elaborarla. Benché le due strategie possano sembrare tautologicamente contrapposte, la

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prima corrisponde o ad un aumento delle risorse di produzione, per avere a dis-posizione risorse che possano anche essere “sprecate”, o in alternativa, alla ridu-zione dell’ambito di attività dell’organizzazione, anche attraverso una sua spe-cializzazione. La seconda, invece, si riferisce ad una effettiva riprogettazionecongiunta della struttura organizzativa e del sistema informativo in modo tale dapoter ottenere una maggiore capacità elaborativa.

Nel settore agricolo ed agroalimentare la prima strategia corrisponde ad unatraiettoria di sviluppo (verso la specializzazione, l’omologazione delle tecniche,la divisione delle fasi produttive, etc.) la quale ha mostrato tutti i suoi limiti neiconfronti delle attuali aspettative della società europea, che oggi richiede un’at-tenzione particolare a temi trasversali quali quelli ambientali, di sicurezza ali-mentare e sociale, tutte problematiche che hanno un forte radicamento nel terri-torio. La seconda strategia porta, invece, ad un ridisegno completo dell’organiz-zazione che muta i suoi confini ricorrendo a nuove alleanze per far fronte almaggior fabbisogno di capacità elaborativa e informativa.

Quest’ultima strategia rende quindi necessaria, oltre all’incremento della co-noscenza, anche una maggiore capacità di coordinamento. Questo può essere ot-tenuto attraverso l’utilizzo di tecnologie informative come l’ICT, che appaionopiù adeguate alla gestione di sistemi multiutenti o a rete. Vi è quindi, oggi, unainterdipendenza tra le strategie organizzative e le tecnologie informatiche.

Il processo di riorganizzazione del settore è però frenato dagli elevati costiconnessi sia alla creazione dei sistemi informativi descritti, sia ai cambiamentiorganizzativi, sia al coordinamento. Di conseguenza una politica per la compe-titività del settore deve oggi comprendere interventi che consentano una for-te partecipazione pubblica anche attraverso la creazione di partnershippubblico-private che portino alla condivisione di sistemi informativi per lacreazione di una nuova capacità elaborativa delle imprese e dei territori.

I sistemi informativi informatizzati devono quindi, relativamente all’impresa,supportare:

- le decisioni strategiche relative al suo posizionamento nell’ambiente ester-no: definizione della/e attività, gamma di prodotti, modalità di organizzazionedell’attività (internalizzazione-esternalizzazione delle funzioni di impresa), pro-duzione, posizionamento sui mercati, modalità di finanziamento, comunicazioned’impresa, etc.;

- le decisioni strategiche relative alla definizione dell’ambiente interno: sceltadelle tecniche e tecnologie, organizzazione e gestione del lavoro;

- la creazione e circolazione di conoscenze interne all’impresa come risultatodell’elaborazione di informazioni provenienti dall’esterno.

Relativamente alla Pubblica Amministrazione, invece, i sistemi informatividevono supportare la gestione di:

- rapporti con un numero crescente di utenti; - procedure di gestione e controllo sempre più complesse perché interrelate

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tra di loro e con un basso livello di standardizzazione delle informazioni;- un coordinamento dei diversi soggetti coinvolti nei processi decisionali.La risposta a queste esigenze può oggi essere data attraverso la realizza-

zione di un sistema informativo pubblico–privato che utilizza l’ICT per for-nire supporto sia alle attività delle istituzioni pubbliche, sia a quelle delleimprese. L’obiettivo è creare sinergie tra la gestione delle informazioni e lacreazione delle conoscenze finalizzate da una parte, alla gestione delle attivi-tà della Pubblica Amministrazione (mantenimento ambiente, sicurezza ali-mentare), dall’altra alla creazione del valore.

Alla luce di quanto esposto è quindi facile comprendere come l’azione politi-ca ed amministrativa per incentivare l’utilizzo dell’ICT nell’agroalimentare, siastata finalizzata alla (cfr. fig. 4.1):

- integrazione tra le banche dati di Amministrazioni diverse;- realizzazione di sinergie pubblico-privato attraverso la creazione di sistemi

informativi ad utenza plurima basati su:

• un front office unico a cui possono avere accesso, anche se in maniera diffe-renziata, imprese e Amministrazioni;

• diversi back office che provvedono a gestire in maniera automatizzata i pro-cessi specifici per ogni attività/servizio restituendo l’informazione elaborata adatabase interfacciabili tra di loro;

Figura 4.1 - Sistema informativo pubblico - privato

Fonte: ???????????.

GESTIONE POLITICHEDI SOSTEGNO

Acquisizione domande

Istruttorie

Imprese Agricole Pubblica Amministrazione

Altre Imprese

Graduadorie

Erogazioni

Controllo

GESTIONECONTROLLI

Acquisizione domande

Istruttorie

Esiti

Monitoraggio

GESTIONE FUNZIONIIMPRESA

Produzione

Marketing

Comunicazione

Patnership

FRONT OFFICE

BACK OFFICE

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• creazione di protocolli comuni di certificazione dati e di controllo qualitàtra Amministrazioni e organismi privati, finalizzati all’interscambio dati ed allariduzione dei costi di gestione e controllo.

I sistemi informativi pilota sperimentati da Ismea, rappresentano un primoesempio concreto di tali politiche nel settore agroalimentare. Costituiscono, so-prattutto, un’importante innovazione per il settore primario riguardo l’introdu-zione dell’Information & Communication Technology nella gestione di informa-zioni relative alla produzione, trasformazione e commercializzazione. L’innova-zione principale risiede nel fatto che le stesse informazioni sono utilizzate comebase informativa per la gestione di funzioni della Pubblica Amministrazione edell’impresa: da una parte i controlli della conformità alle norme, dall’altra ilcontrollo di gestione interno ed il coordinamento della filiera.

Tali sistemi sono stati progettati come supporto all’implementazione e ge-stione di sistemi di rintracciabilità di filiera: per il latte fresco (milkp@ss), per ivini DOC e DOCG (vinop@ss), per i cereali da panificazione (breadp@ss) e pergli ortofrutticoli destinati al consumo fresco (ortofruttap@ss). Essi possono inol-tre agevolare le funzioni di controllo sull’etichettatura (provenienza della materiaprima e tecnica di produzione e lavorazione) e sugli adempimenti aziendali rela-tivi alla sicurezza alimentare previsti dal Reg. CE 178/02.

La progettazione e realizzazione di questi sistemi è stata caratterizzata daun’interazione continua tra progettisti, contesto normativo ed organizzazione, sia

Figura 4.2 - Schema di sintesi del metodo “in azione”

Fonte: ???????????.

Raccolta requisiti

Gruppo di lavoroallargato

Ambientenormativo

Mipaaf(committment)

Condivisionestrategie

Richiesta validazione

Richiesta modificheal sistema

Gruppo di lavororistretto

Analisi dei processi

Studio di fattibilità Approvazione Mipaaf

Sviluppo

Gestione e valutazione Validazione Mipaaf

Trasferibilità a livellonazionale

Analisi fabbisogniinformativi

Richiesta approvazione

Richiesta modificheallo studio di fattibilità

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della Pubblica Amministrazione, sia delle imprese oggetto della sperimentazio-ne. Un processo di interazione e confronto continuo che non ha permesso di atte-nersi a metodi formalizzati, ma ha portato all’adozione di un metodo “in azione”(Cantoni F. et al. 2004) nel quale gli sviluppatori del sistema hanno lavorato astretto contatto con il committente e con i diversi utilizzatori, influenzandosi re-ciprocamente (cfr. fig. 4.2).

Le evidenze empiriche riscontrate hanno confermato come la prospettivaemergente sia la più adeguata a spiegare la relazione ICT-organizzazione, soprat-tutto in sistemi informativi interorganizzativi. In questi sistemi, infatti, l’intera-zione tra investimenti in ICT e cambiamenti organizzativi non può limitarsi allavalutazione economica della riduzione dei costi conseguente all’automazione diprocessi e procedure, ma deve tener conto di aspetti qualitativi legati anche allerelazioni tra le diverse organizzazioni coinvolte.

I benefici devono essere riferiti a tutti i diversi componenti della filiera per laquale i sistemi pilota sono stati realizzati e cioè alle imprese agricole, di trasfor-mazione e di distribuzione, ai consumatori, alla Pubblica Amministrazione ed al-l’intera organizzazione di filiera. L’adozione di una prospettiva emergente impli-ca anche l’impossibilità di poter compiere una valutazione completa dei beneficiderivanti dall’introduzione dei sistemi informativi pilota. Il loro utilizzo da partedegli utenti finali, infatti, può portare allo sviluppo di nuove applicazioni dellatecnologia e di nuove opportunità di business che non fanno parte delle finalitàper cui i sistemi sono stati realizzati.

L’automazione di alcuni processi, la disponibilità di una base informativa e dinuova capacità di elaborazione, hanno consentito all’imprenditore di spostare lasua attenzione dalla funzione di produzione ad altre funzioni di crescente impor-tanza, come quella della commercializzazione e della gestione economico-finan-ziaria dell’impresa, senza perdere il controllo sui processi di produzione e senzaaumentarne i costi13. Al tempo stesso, questa nuova “internalizzazione” di fun-zioni che in passato venivano delegate all’esterno, determina nuovi fabbisogni intermini di sistemi informativi, che mutano il ruolo che gli era stato inizialmenteattribuito (da sistemi di automazione delle informazioni e dei processi, a sistemidi supporto alle decisioni).

All’interno della filiera la disponibilità di informazioni certificate disponibiliper i diversi attori attraverso infrastrutture e sistemi informativi pubblici, ha ri-dotto notevolmente i costi di transazione ex-ante ed ex-post, spostando il rappor-to tra integrazione verticale e coordinamento di mercato verso quest’ultimo. Èstato possibile, cioè, realizzare forme di coordinamento di mercato e di quasi-mercato delle transazioni nella filiera, che hanno consentito di superare il proble-ma delle piccole dimensioni, con la creazione di masse critiche fisiche coordina-te e gestite attraverso l’ICT. Nel contempo la Pubblica Amministrazione ha svi-luppato nuove funzioni, come quella della certificazione delle informazioni, checomportano automaticamente lo sviluppo di nuove tecnologie (ad esempio la fir-

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ma elettronica).A livello di sistema di agrimarketing, l’impiego di infrastrutture informative

che consentono di collegare sistemi informativi pubblici diversi, sta cambiandonotevolmente l’organizzazione delle attività proprie della Pubblica Amministra-zione, con un notevole impatto sull’efficienza e l’efficacia del sistema nel suocomplesso. Il collegamento dei sistemi informativi, attraverso l’ICT, ha rappre-sentato un’importante innovazione in quanto ha consentito di rendere contempo-raneamente disponibili informazioni certificate prodotte da fonti diverse e relati-ve ai singoli operatori ed alle transazioni che avvengono tra questi.

In termini organizzativi, la prima conseguenza nel sistema di agrimarketing èstata la creazione di strutture intermedie di servizio, sia pubbliche che private, mariconosciute dal pubblico, che agiscono come snodi di un sistema reticolare perl’immissione, il controllo e la certificazione delle informazioni relative alla produ-zione, trasformazione e commercializzazione delle produzioni agroalimentari.

La nascita di attori intermedi, ha permesso di risolvere il problema del gaptecnologico14 conseguenza delle caratteristiche delle imprese agricole ovveropiccole dimensioni, bassa scolarità degli addetti, età elevata dei conduttori d’a-zienda e basso ricambio generazionale.

La seconda conseguenza è che l’informatizzazione delle informazioni relati-ve alle attività proprie del sistema di agrimarketing (produzione, concentrazione,trasformazione, commercializzazione e vendita di prodotti agricoli ed agroali-mentari), ha prodotto un cambiamento anche nell’organizzazione della PubblicaAmministrazione. Tale cambiamento ha modificato le sue funzioni che, come giàdetto, sono relative al rilascio di autorizzazioni di sostegno finanziario diretto(gestione di risorse pubbliche) e di controllo. In particolare, sono cambiate l’or-ganizzazione e le modalità di svolgimento dei controlli, che non vengono più ef-fettuati da strutture specializzate ex-post rispetto ai momenti dichiarativi o alladomanda di accesso ai benefici pubblici, ma vengono suddivisi in una fase con-testuale alla dichiarazione/domanda ed in una fase di successivo controllo sulcampo. La prima fase, che è anche una fase desk, viene effettuata da strutture in-termedie che immettono nel sistema informazioni fornite dagli operatori econo-mici. Tali informazioni vengono controllate o attraverso l’accesso a banche datipubbliche certificate o attraverso l’acquisizione della documentazione compro-vante la veridicità.

La costruzione di sistemi informativi pubblico-privati, che consentono cioè loscambio di informazioni contenute nelle banche dati pubbliche o nei sistemi in-formativi aziendali, quali i casi pilota dell’Ismea, oltre a poter produrre gli effettifinora descritti a livello di impresa, filiera e sistema di agrimarketing, può con-correre a risolvere anche uno dei problemi maggiori del settore agroalimentareitaliano che è quello della concentrazione e del coordinamento dell’offerta perfarla corrispondere, in termini quantitativi e qualitativi, ai diversi e crescenti seg-

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menti della domanda. Da un punto di vista strategico, per l’impresa, l’introduzione di questi sistemi

consente di ridurre i costi legati sia all’attuazione di nuove politiche di differen-ziazione qualitativa delle produzioni basate sui processi produttivi e sull’origine,sia alla costruzione di relazioni di filiera su base contrattuale, con una riduzionenotevole dei costi di transazione legati alla selezione dei fornitori ed ai controlliex-post dei termini contrattuali.

Le informazioni che vengono introdotte, elaborate e rese disponibili da questisistemi, costituiscono la base e l’incentivo per lo sviluppo, all’interno delle im-prese, di attività di controllo, di gestione e di marketing delle proprie produzioni.Funzioni che, oggi, o non vengono effettuate, o sono esternalizzate a causa deglielevati costi e della scarsa capacità elaborativa degli operatori e dei conduttoridelle aziende agricole.

I sistemi sperimentali, quindi, sono delle vere e proprie piattaforme tecnolo-gie alle quali è possibile collegare applicazioni specifiche sia da parte della Pub-blica Amministrazione, sia da parte delle imprese, sia da parte di nuove formeorganizzative quali consorzi di tutela, associazioni temporanee di imprese e for-me contrattuali di filiera che condividono le stesse strategie di qualità e di comu-nicazione al consumatore.

Questo conferisce un’enorme potenzialità di sviluppo di applicazioni aggiun-tive che possono riguardare:

- il controllo di gestione interno delle imprese;- la personalizzazione delle vendite;- il geo-marketing;- i servizi post-vendita;- la promozione e la commercializzazione collettiva attraverso l’e-commerce.In definitiva la costruzione di sistemi informativi pubblico-privati costituisce

un importante incentivo all’introduzione dell’Information & CommunicationTechnology nel settore agroalimentare, riducendo notevolmente i costi di sistemalegati alla produzione e gestione delle informazioni necessarie alle imprese per lacreazione di valore, e alle Pubbliche Amministrazioni per rispondere alle cre-scenti esigenze di sicurezza alimentare, qualità e comunicazione.

13) Questo risulta molto evidente dalle interviste effettuate sulle aziende da latte dove èstato introdotto il sistema Milkpass.14) Dai dati del Censimento dell’Agricoltura Italiana del 2000 (fonte più recente disponi-bile), emerge che soltanto 28.512 aziende agricole utilizzano tecnologie informatiche perla gestione amministrativa, tecnica e commerciale per la gestione delle imprese, su unapopolazione totale di quasi 2,5 milioni di imprese censite.

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