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SONOS STRUMENTI DELLA MUSICA POPOLARE SARDA

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SONOSSTRUMENTI DELLA MUSICA

POPOLARE SARDA

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SONOSStrumenti della musica popolare sarda

a cura di Gian Nicola Spanu

introduzione di Pietro Sassu

testi di Giulio AngioniAndrea Carpi

Francesco GiannattasioAndrea MulasFranco OppoGiulio Paulis

Gian Nicola Spanu

schede di Gian Nicola Spanu

con la collaborazione di Mario Crispi

I S R EILISSO

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Prefazione

Lo strumento musicale serve all’uomo per produrre suoni,realizzare melodie, ritmi o semplici rumori ed è strettamen-te connesso, da questo punto di vista, alla tradizione che loha prodotto e lo adopera adattandolo alle proprie esigenzeespressive e linguistiche. Risulta pertanto difficile compren-dere i moduli stilistici, le forme o le formule della musicapopolare senza conoscere le peculiarità degli strumenti chedanno vita al suono; nel contempo gli strumenti, nella loromaterica fisicità, si presentano come testimonianza concretadi un altro sapere tradizionale, frutto della tecnica artigia-nale. Musica e strumenti sono inscindibili nelle culture ditradizione orale, come quella sarda, in cui è normale che ilfuturo suonatore impari a costruire i propri strumenti men-tre ne apprende dal “maestro” le tecniche esecutive e il re-pertorio. A riprova di ciò, si può rilevare come il terminesonos, o sonus, stia ad indicare in molte zone della Sarde-gna tanto i suoni, quanto gli strumenti musicali in sé.Lo studio della musica popolare dell’Isola non può prescin-dere da un’indagine sugli strumenti che rendono possibilequella musica, e da un esame delle loro particolarità costrut-tive e delle varianti locali, ma deve anche comprendere il ri-levamento di una serie di fenomeni musicali ed extramusica-li, linguistici, antropologici, sociologici, nel tentativo didefinire non solo la forma materiale dello strumento ma an-che il mondo e la cultura di cui è espressione.Sulla base delle linee teorico-metodologiche sopra tratteg-giate, si è progettato e realizzato questo libro sugli strumen-ti della musica sarda di tradizione orale, il primo di una col-lana dedicata a oggetti e aspetti della cultura materiale inSardegna. Il lavoro nasce dalla fattiva collaborazione tra unente quale l’Istituto Superiore Regionale Etnografico, pre-posto allo studio e alla valorizzazione del patrimonio cultu-rale dell’Isola, e una casa editrice con una consolidata espe-

rienza nella pubblicazione di libri e saggi sull’arte e sull’ar-tigianato sardo; messe a frutto le specifiche competenze deidue coeditori, Sonos si configura come un vasto repertoriocatalografico che, lungi dall’essere un’arida esposizione didati e misure, di classificazioni astratte, consente invece unalettura a più livelli e, per certi versi, multimediale.Per rendere vivo e concreto lo strumento agli occhi e alleorecchie del lettore, si è curata in modo particolare la do-cumentazione fotografica, iconografica e sonora, affidataquest’ultima al compact disc che correda il volume. Allostesso tempo, per evitare che gli oggetti apparissero avulsidal contesto musicale e culturale, si è ritenuto opportunofar precedere al catalogo un’ampia introduzione curatadall’etnomusicologo Pietro Sassu, dell’Università di Udi-ne, e aprire all’interno delle schede alcune finestre, cherendessero evidente la funzione degli strumenti e degli og-getti sonori e le occasioni d’uso, e che dessero ragione del-le peculiarità organologiche, linguistiche o musicali dei va-ri strumenti. Il volume comprende contributi di diversistudiosi, quali Giulio Angioni, docente di AntropologiaCulturale dell’Università di Cagliari, Andrea Carpi, etno-musicologo e direttore della rivista Chitarre, FrancescoGiannattasio, docente di Etnomusicologia dell’Università“La Sapienza” di Roma, Andrea Mulas, ricercatore dellastessa Università, Franco Oppo, compositore e docente pres-so il Conservatorio di Cagliari, Giulio Paulis, docente diLinguistica sarda dell’Università di Sassari, Gian NicolaSpanu, musicologo e docente presso il Conservatorio di Ca-gliari, i quali, nell’ambito delle rispettive discipline, hannodato conto della ricchezza e dell’originalità del patrimonioorganografico dell’Isola.

ISRE - ILISSO

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COLLANA DI ETNOGRAFIA E CULTURA MATERIALE

Coordinamento e supervisione per l’ISREPaolo Piquereddu

Progetto graficoAurelio Candido, Roma

Disegni degli strumenti musicaliDavide Coroneo, Cagliari

Le fotografie per questo volume sono state appositamenterealizzate da Pietro Paolo Pinna, Nuoro (Archivio Ilisso), aesclusione delle n.: 1, 46, Pablo Volta, Archives de la Fonda-tion Erik Satie, Paris; 6, Archivio della Soprintendenza Ar-cheologica per le province di Cagliari e Oristano; 8, archivioprivato; 12, 15, 30, 32, 36, 106, 146, 149, 169, 171, 173, 204,Donatello Tore, Archivio Ilisso; 13-14, Donatello Tore-NicolaMonari, Archivio Ilisso; 17, Marco Ceraglia, Punto e Basta,Sassari; 18, Claudio Sorrenti, Archivio Ilisso; 41-43, 47, Salva-tore Ligios, Villanova Monteleone; 68, Enzo Vacca, Gavoi; 76,104, Archivio dell’Istituto Superiore Regionale Etnografico;105, 108, 194, Franco Pinna, Archivio Pinna, Roma; 168, 178,Archivi Alinari, Firenze; 174, Laboratorio Viani, BibliotecaReale, Torino (su concessione del Ministero per i Beni Cultu-rali e Ambientali); 197, Bavagnoli, Genova.

Dove non diversamente specificato, gli strumenti musicali ri-prodotti in questo volume sono di proprietà dell’Istituto Supe-riore Regionale Etnografico, Nuoro, a esclusione dei n.: 20, 72,84, 89, 199, 209, Michele Pira, Gavoi; 25, 65-67, 82, 91, 160-161, 163, 167, 202, 210, Marcello Marras, Ghilarza; 45, 54,57, 97, 102-103, 136, 196, collezioni private; 74, 148-149,Giuseppe Russo, Sassari; 77, 80, Tino Medde, Aidomaggiore;81, 119-126, 130-132, Mario Exiana, Quartucciu; 94, Giusep-pe Murru, Quartu Sant’Elena; 98, 101, 107, collezione Bande,Sassari; 99-100, Anita Nicoli, Gavoi; 137, Nadia Orro, SanVero Milis; 144-145, Fedele Cabras, Quartu Sant’Elena; 186,190-193, 195, Antonio Ghiani, Assemini; 187, Giovanni Mur-tas, Muravera; 205-207, 212, Associazione Gavino Gabriel,Tempio Pausania.

Si ringraziano gli enti pubblici e i collezionisti privati che hannoconsentito la pubblicazione delle opere; l’Associazione Sonus decanna (Assemini), i gruppi S’isprone (Gavoi) e Onigaza (Ghilar-za), il gremio dei Viandanti (Sassari) e gli esecutori dei branimusicali contenuti nel compact disc; Eduardo Blasco Ferrer(per la nota sulla pronuncia, in questa stessa pagina), Mario Cri-spi (per l’Analisi comparativa delle varie tipologie di pipiolus, su-littus, pipaiolos, p. 119), Roberto Milleddu (per suggerimenti re-lativi alla scheda sull’organo, p. 126) e tutti coloro che, in variaforma e misura, hanno collaborato al volume, in particolare lafamiglia Peretti di Alghero, per aver concesso la riproduzionedei dipinti n. 146, 149, 169, 173, 204.

StampaIndustria Grafica Stampacolor, Sassari

9 Gli strumenti della musica popolare sardaPietro Sassu

27 Gli strumenti della musica popolare nell’arte sardaGian Nicola Spanu

35 GLI IDIOFONI

39 Gli strepiti del triduo pasqualeGiulio Angioni

49 Le campaneGiulio Angioni

73 I MEMBRANOFONI

88 Giochi e giocattoli sonoriGiulio Angioni

91 GLI AEROFONI

100 L’organetto nella musica popolare sardaFrancesco Giannattasio

137 I nomi delle launeddas: origine e storiaGiulio Paulis

156 Il sistema dei cunzertus nelle launeddasFranco Oppo

167 I CORDOFONI

170 La chitarra nella musica popolare sardaAndrea Carpi

176 La musica, il suono, il rumore nelle tradizioni e nella cultura dell’immaginario in SardegnaAndrea Mulas

179 APPARATI

© Copyright 1994, NuoroIstituto Superiore Regionale EtnograficoIlisso EdizioniISBN 88-85098-30-4

Sommario

Per facilitare la lettura dei termini in lingua sarda si è ritenutoopportuno regolarizzare le grafie utilizzate tradizionalmente perrendere i suoni tipici di ogni dialetto. La tabella di corrisponden-ze che segue illustra le semplificazioni adottate nel testo.

gl corrisponde a gl in italianoc, ch corrispondono a c e ch in italianoz-, -zz- corrispondono a z e zz in italiano (la doppia sempre in-

tervocalica), a tz in alcune tradizioni scrittorie isolaney corrisponde a y in spagnolo (ya); è una consonante che

si pronuncia in modo simile alla i davanti ad altra voca-le, ma con maggior intensità

x corrisponde al francese j (journal) o ge (gent), ed è gra-fia tradizionale campidanese

th corrisponde pressappoco a z in spagnolo (zorro); è unaconsonante interdentale, tipica di alcuni dialetti logudo-resi centrali

‘ corrisponde allo hamza arabo o al “colpo di glottide” te-desco; è suono caratteristico di pochi centri della Barbagiadi Ollolai, corrispondente alla c di altri dialetti: logudore-se focu «fuoco», Gavoi, Ollolai, Fonni, Orgosolo, Olie-na, Mamoiada o‘u; nella zona del Sárrabus (Villaputzu,Muravera, San Vito) questo suono si sostituisce a l e n:campidanese sa luna «la luna», Sárrabus sa ‘u‘a

Si osservi che soltanto le voci sdrucciole – con accento sulla ter-zultima sillaba: cámpana – recano l’accento grafico sulla vocaletonica. Infine, l’apostrofo davanti alla vocale e sta ad indicare lacaduta della consonante d nella preposizione de (piattu ’e rá-mene = de rámene).

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C i sono state altre pubblicazioni sugli strumenti, gli oggetti e i congegni mu-sicali della Sardegna: a più riprese, con lavori complessivi o indagini par-

ziali, non si è mancato di sottolinearne gli aspetti più singolari o le affinità conquelli di altre culture. Solo in rarissimi casi si è rivolta attenzione ai prodotti so-nori, ai repertori, alle funzioni sociali e agli stretti legami che essi hanno instau-rato con le vicende culturali e storiche della gente sarda: l’esempio più insigne,non ancora eguagliato, resta la ricerca che Andreas Fridolin Weis Bentzon hasvolto sulle launeddas1. Ma se resta ancora da colmare la lacuna di un’indagineglobale di natura squisitamente musicologica, nondimeno (per garantirne pre-supposti più solidi) si è avvertita l’utilità di aggiornare i contributi del passato,tra i quali speciale rilievo meritano gli scritti di Giulio Fara2 e Giovanni Dore3.È dunque, anche questo, un lavoro di impostazione storico-organologica e ri-manda ad una fase successiva l’analisi delle musiche che ai giorni nostri vengonoancora eseguite. In definitiva questo libro ha, tra gli altri scopi, quello di rendereevidente la vistosa discrepanza tra la notevole quantità di manufatti sonori cheattualmente è dato documentare e l’esiguo numero di quelli ancora necessari al-la pratica musicale di oggi. Questo per dire come la maggior parte dei “pezzi”qui presentati sia frutto della memoria di numerosi informatori e dei saperi mu-sicali e organologici di alcuni costruttori. Ma gli strumenti ancora in uso sonopochi e se oggi tendono a essere più numerosi lo si deve alla buona volontà eall’entusiasmo di diversi giovani (un po’ musicisti e un po’ ricercatori) impegnatiin un revival di forme espressive estinte da tempo. A grandi linee gli strumenti vengono classificati e descritti tenendo conto spe-cialmente dei criteri di classificazione elaborati da Victor Charles Mahillon4,successivamente ripresi da Erich von Hornbostel e perfezionati da Curt Sachs 5.Sono del resto criteri universalmente adottati poiché altre metodologie tassono-miche, tra le quali la più brillante è quella escogitata da André Schaeffner, nonhanno avuto molta fortuna. Si capisce che quella parte del lavoro non potevasottrarsi del tutto al tono un poco notarile che inevitabilmente contrassegnatutte le operazioni di misurazione e descrizione. Ma si tratta di un passaggionecessario poiché strumenti musicali e congegni fonici suscitano curiosità e sol-levano interrogativi sui materiali impiegati e sulle tecniche di costruzione adot-tate; interrogativi ai quali si devono pur fornire risposte non generiche e, perquanto possibile, pertinenti; quei dati, inoltre, pur nella schematica strutturadella scheda, rinforzano e chiariscono le informazioni sulla destinazione e l’uso.Dati che di solito vengono esclusi o esposti sommariamente e che qui, vicever-sa, trovano ampio spazio. Se molti strumenti e oggetti sonori non possono esse-re definiti “tipicamente sardi”, nondimeno, anche in questi casi, si noterannopeculiarità costruttive che risultano essere dettate dalla specifica sensibilità mu-sicale della gente sarda. Un tratto culturale così spiccato da aver prodotto tec-niche esecutive inedite e inconfondibili in strumenti di uso corrente come lachitarra e l’organetto.

Gli strumenti della musica popolare sardaPietro Sassu

1. Cabras, suonatore di launeddas, anni Sessanta(foto Pablo Volta)

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Questa pubblicazione, insomma, vuole es-sere un punto di confluenza di notiziesparse e di studi seri e approfonditi che so-no stati dedicati agli strumenti musicali maanche un aggiornamento, con alcuni nuoviapporti di ricerca e riflessione. A volte sitratta di piccole precisazioni organologi-che, in altri casi, come nello scritto sulletestimonianze iconografiche (per la primavolta riunite insieme e sistematicamenteesaminate), di contributi inediti. C’è inol-tre una presentazione, che si vorrebbe esau-stiva proprio attraverso il criterio dellaschedatura, di oggetti e strumenti con fo-tografie particolarmente accurate e l’aper-tura di “finestre”, brevi contributi affidatia specialisti di discipline diverse. Paginepreziose che oltre ad approfondire alcunispecifici aspetti musicologici collegano glistrumenti sardi a diversi tratti delle vicen-de culturali dell’Isola. Nel rivolgere l’attenzione a una compo-nente così importante della cultura sarda,il dato più rilevante, in molti casi decisi-vo, è la natura effimera della quasi totalità

degli strumenti musicali tradizionali, costruiti con materiali fragili e rapidamentedeperibili. Solo qualche fischietto d’osso, alcuni flauti di legno e i tamburi pos-sono giungere sino a noi come reperti di secoli più lontani. Le stesse launeddas,che si impongono come una delle espressioni più significative della musica tradi-zionale in Sardegna, non sono destinate a perpetuarsi nel tempo: possono, è ve-ro, resistere qualche decennio all’usura ma la loro fragilità impone di costruirnesempre nuove, modellandole sulle vecchie. Singolare è, semmai, che un similemanufatto – per certo tra i più arcaici del Mediterraneo – nella sua storia mille-naria non sembri aver subìto fratture nell’uso, seguendo una linea ininterrotta dicontinuità organologica, forse anche musicale, sino ai giorni nostri. Si può cosìasserire, con piatta semplicità, che sono state le funzioni sociali, con l’inelimina-bile rilievo che le launeddas hanno sempre avuto in ogni evento della vita comu-nitaria, ad averne garantito la durevolezza. Non è, insomma, la resistenza dei materiali utilizzati dai costruttori, né la persi-stenza della morfologia dello strumento a garantire la vitalità dei repertori musi-cali. Infatti, in diverse regioni italiane, si tramandano strumenti popolari di mate-riali duraturi che nonostante abbiano perduto la loro identità musicale originariarestano nell’uso per inerzia. Resta, in quelle circostanze, soprattutto la memoriadi un’incidenza sociale ormai perduta che non può essere restituita dall’adozione dimusiche di altre regioni. Ma nonostante la cancellazione degli antichi repertoric’è, da parte degli ultimi cultori, l’ostinata determinazione a non lasciar caderedel tutto la tradizione: continuano così a coltivare comunque la presenza di ogget-ti sonori che esistono da lungo tempo e che sopravviveranno, sia pure come re-perti muti, ai loro suonatori. Di qui l’inevitabile riconversione a musiche di con-sumo (canzonette o altro) da parte di strumenti scampati all’estinzione dei lororepertori e al definitivo tramonto delle loro funzioni sociali più radicate. Saper suonare le launeddas significa allo stesso tempo possedere la competenzadi costruirle, poiché l’abilità organologica è tenuta viva dalla prassi esecutiva:

senza questa quella decadrebbe; e, con la sparizione degli ultimi strumenti, siperderebbe ben presto ogni traccia della loro manifattura e delle cognizioni or-ganologiche. Questo si spiega facilmente perché di solito la costruzione deglistrumenti popolari non è basata sul criterio di misurazioni fisico-acustiche o dicalcoli astratti ma bensì sulla riproduzione di un altro strumento preso a model-lo: il costruttore (e soprattutto il suonatore) provvederà poi ad accordarlo e aoperare quelle modifiche che lo rendano utilizzabile. Ciò che sappiamo dell’uso e dell’incidenza sociale degli strumenti musicali nellavita dei sardi ci giunge da impressioni di viaggiatori e da alcune, rare, fonti ico-niche che vanno dall’era nuragica all’età contemporanea. Nello scorrere questefonti può accadere di imbattersi in testimonianze che, se sono prive di riscontronegli strumenti musicali oggi in uso, trovano tuttavia qualche conferma nellamemoria della gente. Che si parli di “zampogne” con un numero mutevole dicanne e di strumenti dalla struttura non ben definita, come pure di comporta-menti musicali e componimenti che oggi non ci è dato conoscere attraverso i re-perti, o almeno immaginare grazie alla memoria dei più anziani, non significache le notizie trasmesse da quegli scritti siano del tutto infondate anche se, a vol-te, le annotazioni sono approssimative e frettolose, dettate da fuggevoli sugge-stioni piuttosto che da un’attenta osservazione dei fatti. La natura effimera dei materiali impiegati si abbina allo standard di affinamentoorganologico raggiunto probabilmente in epoca remota e non più valicato. Di-verse testimonianze, delle quali alcune molto recenti, consentono la ricostruzio-ne attendibile di una notevole varietà di strumenti, oggetti e congegni musicalinon più in uso. Ma anche in questo caso le informazioni raccolte si devono inte-grare con quella speciale memoria oggettuale del “saper fare” che appartieneagli artigiani più abili e consapevoli della loro opera. Questi ci consegnano rico-struzioni attendibili di strumenti in disuso, quelle (le fonti d’informazione) cipermettono di collocarli in contesti ormai sconosciuti. Per riconoscere, classifi-care e definire gli strumenti popolari è necessaria la convergenza di dati storio-grafici, memoria e abilità artigianale poiché alcuni dati organologici, se vengonosuperficialmente valutati, potrebbero assimilare a un’unica tipologia e denomi-nazione strumenti in realtà molto diversi. Si prenda l’ancia battente, all’originedei clarinetti. È il tratto organologico distintivo di una serie di strumenti tra loroaffini ma nettamente differenziati per la diversa distribuzione territoriale, le fun-zioni e l’uso oltreché – ovviamente – per specifici elementi costruttivi. Non sipuò pretendere che La Marmora e Angius, Fuos e Maltzan disponessero diquella prontezza analitica – frutto di una competenza acquisita in uno specificoambito di interessi – che consente di distinguere a colpo d’occhio le launeddasdalle benas a più canne. Quando in quei racconti di viaggio si parla di “zampo-gna” viene usato un termine che, se è errato dal punto di vista morfologico, ècorretto dal punto di vista del timbro; senza contare che, in senso lato, gli stru-menti policalami a fiato continuo sono sempre stati assimilati alla zampogna. Le notizie sugli usi e costumi della gente sarda nei primi decenni dell’Ottocentosi infittiscono e si nota una certa densità tra il 1833 e il 1869. C’è la sensazione,insomma, che possa essersi verificata una convergenza di annotazioni che cia-scun viaggiatore registrava per conto proprio senza scambi o plagi. Per quantoriguarda le cose musicali, ciascuno si sofferma e racconta secondo personali con-genialità e specifici interessi culturali. La fonte più ricca resta la redazione delle“voci” sull’Isola compilata da Vittorio Angius tra il 1833 e il 1856 per il Diziona-rio del Casalis: una ricchissima miniera di informazioni sulle occasioni e le circo-stanze rituali, insieme alle forme degli strumenti, agli stili di esecuzione e ai re-pertori, che non si ricava soltanto dall’ampia sezione dedicata alla Sardegna maanche dallo spoglio delle singole località, disposte in ordine alfabetico, di tutto il

nella pagina precedente:2-3. Suonatore di corno,VI sec. a.C., bronzo, cm 8,proveniente da Genoni;in alto il manufatto ancoraintegro (da ZERVOS 1954: tav. 388) e in basso com’è oggi(Cagliari, MuseoArcheologico Nazionale)

sotto:4. Suonatore di strumentotricalamo, VI sec. a.C.,bronzo, cm 8, provenienteda Ittiri (Cagliari, MuseoArcheologico Nazionale)

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Regno6. Negli stessi anni un viaggiatore francese va per isole dimenticate (laCorsica, l’Elba e la Sardegna) e tra le tante cose che osserva e racconta non man-ca di dedicare attenzione alle launeddas. Ne registra la larghissima diffusione e aPirri gli sembra che il loro suono riesca ad ammaliare i danzatori7. Anche il ba-rone von Maltzan manifesta qualche curiosità per lo strumento: non lo descrivema in compenso lascia qualche utile informazione sul ruolo che gli veniva asse-gnato nelle feste e nei cortei nuziali8. Se resta il dubbio di qualche approssimazione nell’identificazione dell’oggetto ècomunque notevole che in nessun caso sfugga non solo la singolarità dello stru-mento ma anche il sapore enigmatico della sua denominazione. Sull’etimologiadi launeddas, del resto, è stata profusa scienza e immaginazione e nessuno, traquanti ne hanno scritto, si è voluto sottrarre all’obbligo di elaborare un’ipotesipiù o meno fantasiosa. Fra tante congetture ci sono però anche ipotesi pondera-te, come risulta dallo spoglio dei lavori di alcuni dei più autorevoli scrittori dicose sarde: da Pier Enea Guarnerio a Giulio Fara, da Max Leopold Wagner aMassimo Pittau, per giungere a una recente e documentata indagine di GiulioPaulis che, fra tutte, risulta essere la più organica, approfondita e convincente. Èun’indagine glottologica che, nel mettere a confronto i dati organologici, è atten-ta alle vicende storico-linguistiche della Sardegna e giunge a tracciare l’etimolo-gia dei termini launeddas e tumbu come ulteriore conferma della radicale diver-sità dei due strumenti9. Dal canto suo Giovanni Dore si era già soffermato sulleloro sostanziali differenze morfologiche, producendo per la prima volta un’am-pia e argomentata documentazione10. Da un lato le launeddas dunque, dall’altro lato le benas. Ben distinte da inequivoca-bili tratti costruttivi. L’ancia escissa, nelle benas, viene scorticata e – per accordarla –

assottigliata e non corretta appesantendola con gocce dicera vergine. Nel caso delle benas il taglio e lo spessoredell’ancia vanno subito indovinati: in caso di errore pereccesso di assottigliamento, occorre farne una nuova.Inoltre per i tubi sonori vengono adoperate comuni can-ne palustri: non si ritiene, insomma, come invece è repu-tato necessario per le canne melodiche delle launeddas,di dover disporre di canne molto rare e di difficile repe-rimento; e infine, nelle benas, i fori sono rotondi mentrenelle launeddas hanno forma rettangolare. Ma le peculiarità delle launeddas risiedono specialmentenell’inscindibile connessione tra specifiche caratteristi-che organologiche e la struttura musicale. L’ambitus e latonalità, innanzi tutto, quindi la gamma di suoni dellamancosa e della mancosedda che danno luogo a impiantiscalari differenziati. E ciascun cunzertu assume, per que-sto insieme di ragioni, denominazioni che intendono met-tere in rilievo uno o più aspetti anche se sono presentitutti gli altri. Così saranno di volta in volta il timbro, latessitura, le propensioni stilistiche e formali a suggerirenomi convenzionali quali, ad esempio, fiorassiu, fiuda efiuda bagadia, zampogna, oppure i diversi puntus (tona-lità) in re, in sol ecc. Alle benas a una o più canne è toccato un destino menoillustre probabilmente a causa della minore ricchezza odel modesto prestigio dei suoi repertori. Se è accettabilela convinzione che benas (e, soprattutto, launeddas, comesostiene Weis Bentzon)11 fossero sino a un passato recen-te diffuse in tutta la Sardegna, è più che mai accertato chela rapida diffusione dell’organetto abbia ben presto assol-to a tutte le funzioni (soprattutto quelle del ballo) asse-gnate ai più antichi strumenti. Anche in altre regioni èstata accertata una circostanza del tutto simile allorchél’organetto ha preso il posto della zampogna. Non sap-piamo se il repertorio di balli eseguiti con i vari modelli dibenas sia stato assimilato e adattato dall’organetto: resta ilfatto che insieme allo strumento (salvo imprevedibili“scoperte”) si può dare per estinto anche il suo repertorio. E l’accertata esistenzadi benas con doppio bordone ripropone così l’attendibilità di quelle testimonianzeche alludono, forse erroneamente, a launeddas a quattro canne poiché a una cannamelodica (o a un bicalamo) si potevano aggiungere diversi bordoni. Si è poi insistito un po’ troppo sulla particolarità organologica della singola an-cia battente e delle sue radici nella cultura araba. In realtà l’escissione di un can-nello per ricavarne un’ancia battente è tra le soluzioni universalmente note perprodurre suoni. E difatti anche in Italia, in regioni che hanno vissuto vicendestoriche e culturali ben diverse da quelle della Sardegna, l’ancia semplice, talvol-ta escissa in direzione inversa rispetto agli strumenti mediterranei (cioè tagliatadall’alto verso il basso) non è una soluzione sconosciuta. Della versione monocala-mo e senza fori (più strumento-giocattolo che strumento musicale) si hanno testi-monianze in diverse regioni, come la Toscana, la Romagna, il Lazio, la Campania ela Sicilia, ma anche nella Pianura Padana (in area lombarda) e nel Friuli. Assu-me però forma di vero strumento musicale, nella versione di doppio clarinetto,in reperti provenienti dalla Calabria settentrionale, dal Lazio e dalla Basilicata12.

5. Conchiglia utilizzata come corno naturale, Neolitico antico,proveniente dal riparo sottoroccia di Su Carroppu(Carbonia, Civico MuseoArcheologico)

6. “Pastor sacro” con una serie di campanelli che pendono sul petto,particolare del Sarcofagoovale con putti bacchici, III sec. d.C., marmo(Cagliari, depositi del MuseoArcheologico Nazionale)

nelle pagine successive:7. Suonatore di strumentobicalamo, metà X-inizi XI sec.,frammento di lastramarmorea, cm 27 x 47(Sant’Antioco, cripta dellaparrocchiale)

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immutato nelle regioni centro-settentrionali per subire invece nel Capo di sotto,a più diretto contatto con altre civiltà, quelle profonde trasformazioni e quegliaffinamenti organologici propri delle launeddas che, successivamente, avrebberopoi a loro volta ripreso a circolare (non sappiamo se sporadicamente o in modosistematico) nel resto dell’Isola. In questo quadro trovano una collocazione effi-cace le tesi di Paulis poiché gli esiti della sua indagine glottologica possono rife-rirsi a una situazione che, di fatto, vedeva già un diverso insediamento territoria-le e una netta diversità morfologica tra benas e launeddas. Per quanto si voglia essere cauti nel voler dare retta alle testimonianze settecen-tesche, restano in quelle pagine informazioni attendibili e preziose, specialmentequando vengono evidenziate le marcate diversità repertoriali e stilistiche di “co-stumi musicali” tra il Capo di sopra e il Capo di sotto. Così ce ne dà notiziaMatteo Madau: «Nel capo di Logodoro cantano i loro versi con consonanza dipiù voci (...) in quattro parti distribuite, soprano, alto, tenore, basso, oppostel’una contra l’altra con esatta misura di tempo». Dopo aver descritto alcuniaspetti del ballo aggiunge: «Tale si è appunto la maniera di ballare de’ Sardi neldetto Capo; epperò, alternati nella detta guisa i giovani colle fanciulle, una diqueste canta (...) accompagnata da altre due, o tre voci, per lo più da’ giovani, erapporto alla modulazione delle voci loro si regolano i movimenti e le cadenzede’ loro balli. La stessa maniera di ballare, eccetto il canto, è comune a’ paesi delcapo di Cagliari, nella quale in vece del concerto delle voci s’usa la sinfonìa, oconsonanza di musici strumenti pastorecci»21. Negli stessi anni Francesco Cetti notava cose del tutto simili: «Finalmente i can-tori, e le cetre si usano per ugual modo, che presso a’ Greci. I cantori s’introdu-cono ne’ conviti: i suonatori sono stipendiati pubblicamente per i dì di festa: al-lora si trovano al luogo pubblico: il popolo li accerchia e balla»22. E, sia pure dipassata, profittando dell’avere tra le mani questo libro, non può passare inosser-vata un’altra interessante annotazione. Occupandosi dei fenicotteri ci informache «dalle ossa della gamba ne fa gran conto il Campidano per la costruzionedelle sue lionedde, ossia flauti. (...) dicono che il suono è incredibilmente dolcee acuto, e propagantesi a strana distanza»23. È del 1780 una breve annotazione, che non aggiunge elementi nuovi, di JosephFuos: «Il suonatore ha nella bocca tre pifferi di canna insieme uniti, ed un gran-de astuccio nero al fianco, dove egli custodisce molti di tali strumenti musicali,affinché li possa cambiare»24. Di qualche interesse è anche l’informazione chefornisce sull’abbinamento di sulittu e tamburinu se non altro perché si tratta diuna delle prime testimonianze su questa coppia di strumenti: «Nella maggiorparte delle feste religiose sotto la porta della chiesa sta un uomo con un pifferoin bocca, ed un piccolo tamburo, il quale (...) suona per l’intero giorno il comu-ne ballo dei sardi»25. Le annotazioni di Madau sulla musica di tradizione orale si vorrebbero più circo-stanziate, ma i conti tornano quando riferendosi al Capo di sopra (che compren-deva, va ricordato, l’odierna provincia di Nuoro) rileva, come si è visto, la nettaprevalenza, anche nelle musiche di danza, di formazioni vocali a quattro voci. Maparticolarmente notevole è che venga registrata, per gli strumenti policalami, ladenominazione di «enas, voce, porta dal Latino avenas»26. E quando rivolge lasua attenzione alle launeddas, oltre a segnalare l’uso della cera nell’accordaturadelle ance, per quanto riguarda il tumbu, «che fa invariabilmente un suono gra-ve», nota che «è più grosso, e più lungo che gli altri, né ha più che un foro versola parte inferiore»27. Se il Madau ha visto bene, c’erano dei tumbu con un foroverso l’estremità. Vale a dire che potrebbe essersi verificato il caso di un tumbuche – mettendo o togliendo della cera dal foro – consentiva, con la stessa canna,di ottenere due diverse note-pedale. È l’unico a parlarne, ma l’espediente di aprire

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Si tratta, insomma, di strumenti affini a quel doppio calamo, segnalato in età ro-mana13, che potrebbe essersi diffuso in Sardegna nella veste di benas, sovrappo-nendosi o affiancando le launeddas che, da tempi più lontani, perduravano senzasoluzione di continuità. Non diversamente dagli altri strumenti a fiato, dunque, l’origine del clarinetto èsconosciuta e, secondo Curt Sachs, «rimane irresoluta la questione se lo strumentosia migrato da civiltà più sviluppate, o non invece abbia percorso il cammino in-verso. Quando il clarinetto appare per la prima volta in grandi civiltà fu nella for-ma di clarinetto doppio»14. Il Sachs non manca di segnalare strumenti-giocattolocinesi e specialmente un corno di bue con un’ancia battente incastrata all’internodell’imboccatura: un oggetto sonoro del tutto scomparso e ritenuto di provenien-

za tartara e in ogni caso all’origine di «una famiglia dispersa» diclarinetti in un flusso migratorio e di influenze verso occidenteche ha trovato felice approdo in area mediterranea15. E nonsfugge, a Sachs, un doppio clarinetto indiano con i cannellidelle ance infilati in una zucca entro la quale il suonatore im-mette l’aria. Usato dagli incantatori di serpenti, lo strumentoconsta di un bordone e una canna con fori per eseguire lamelodia16. Ma per il Mediterraneo a suo parere resta accer-tata la più antica testimonianza di doppio clarinetto nellafigura di un suonatore di ma.t osservata al Museo del Cai-ro in un bassorilievo del 2700 a.C.17. Nell’esame di questi reperti arcaici si inserisce il bronzet-to itifallico rinvenuto a Ittiri che concordemente si ritienerappresenti un suonatore di launeddas o, quantomeno, ditriplo calamo. Dal canto suo pure il bicalamo, grazie an-che alla statuetta punica del presunto dio Bes, viene allostesso modo accreditato alla più antica civilizzazione del-la Sardegna18. Ma l’esame di questi pur preziosi repertiarcheologici non può chiarire la questione della simulta-nea presenza di due strumenti così diversi come le lau-neddas e le benas. E le gote rigonfie del dio Bes non sonouna prova in più, come si è tentato di sostenere, di un’in-sufflazione con la tecnica del fiato continuo: è una raffi-gurazione consueta che diventerà addirittura stereotipata,più tardi, con gli innumerevoli “angeli musicanti”19 delleopere d’arte figurativa a soggetto religioso. È una forzatura appellarsi a Lilliu per risolvere l’enigmadella diffusione delle launeddas soltanto nell’area meri-dionale dell’Isola. In realtà l’illustre archeologo non pre-tende di rispondere a specifici interrogativi di ordinemusicologico e organologico poiché pone questioni piùampie e, proprio per questo, più utili. Infatti ciò che glisembra veramente interessante valutare è perché e in chemodo, nonostante una presenza molto diffusa di clarinet-ti policalami in tutta l’Isola, si registri uno specifico svi-luppo delle launeddas nel Campidano. Da studioso atten-

to agli scambi tra culture ritiene che si sia giunti a questacaratterizzazione territoriale «forse per il più largo am-

bientamento fenicio-punico di un tipo di flauto mediterra-neo, usato anche dagli indigeni nuragici»20. Ma proprio que-

sta osservazione di Lilliu conferma che un preesistente doppio clarinetto (forse simile alle benas) sia rimasto pressoché

8. Strumento bicalamo, metà X-inizi XI sec.,frammento di lastramarmorea, cm 41 x 20,proveniente dall’entroterradi Sant’Antioco

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o chiudere un foro nel canneggio (se non direttamente la campana di uno deibordoni) è sempre stata pratica corrente per i suonatori popolari e specialmenteper i suonatori di zampogna; c’è, anzi, un probabile riscontro con una canna dibordone forata verso l’estremità in una piva dell’Appennino settentrionale e nellezampogne di Monreale, in Sicilia, dove ora questo accorgimento è in disuso. Difficile mettere in dubbio l’impiego, sia pure sporadico, di strumenti a quattro ocinque canne; su questo punto le testimonianze sono sempre concordi, da Cetti,a La Marmora28, a Oneto29, ad Angius. Nessuno di questi autori fa però esplicita-mente cenno all’uso simultaneo di tutte le quattro o cinque canne; soltanto il Ma-dau (che tra l’altro è il primo a dare notizia delle launeddas) su questo punto èmolto esplicito: «Per fare un musico concerto, o contrappunto i Sardi adopranotre, e quattro, e anche cinque di questi calami all’istesso tempo (...). Il calamo piùgrosso, che ha il suono più grave (...) si porta alla sinistra insieme cogli altri due,o tre congiunti, e attaccati, che colla sinistra mano si suonano; laddove il più pic-colo, che ha il suono più acuto, (...) si tiene alla dritta, e colla dritta si suona. (...)ma li tre, li quattro, e li cinque ancora suonano all’istesso tempo, inspirando in-sieme il fiato ne’ loro sufolini, che portano in bocca». Da quando si ha notiziadello strumento, dunque, è confermato e certo che la canna di tessitura più acutaè impugnata a destra (di qui la denominazione, ancora in uso, di destrina). Puòdarsi, comunque, che in seguito, quando le canne da utilizzare furono sempre tre,le altre venissero rese mute. È l’ipotesi che, con qualche fondamento, formulaPaulis30. Questi virtuosistici giochi modulari non si devono attribuire a un’età re-mota poiché Bentzon ne ha avuto testimonianza da diversi anziani suonatori31. Uno dei tratti decisivi per distinguere le launeddas dalle benas è la forma rettan-golare dei fori. Questo è l’ulteriore esito di una più raffinata concezione dellostrumento poiché, come nota Silvestro Baglioni, per la loro forma «tali fori me-glio si prestano ad essere secondariamente modificati di lume con l’apporvicera»32. Quanto poi sia fuorviante, per instaurare trasmigrazioni diffusioniste,soffermarsi alla sola morfologia dell’oggetto sonoro, trascurando di fatto i suoniche vengono prodotti, è ancora Baglioni a ricordarcelo quando scrive: «Mentre(...) la gamma degli arghuls ricorda la gamma temperata orientale di sette inter-valli uguali, la gamma delle launeddas cogli intervalli diversi di tono intero e disemitono è identica alla classica scala diatonica, il cui minimo intervallo di semi-tono fissato e assunto come unità di misura a dividere l’ambito dell’ottava con-dusse direttamente all’attuazione della moderna scala temperata europea di do-dici suoni. Anche qui abbiamo dunque un carattere distintivo di coltura chesepara la civiltà orientale da quella europea»33. Questo significa richiamare l’attenzione su quel diatonismo strutturale della mu-sica sarda che predispone gli esiti armonici della polivocalità e dei contrappuntistrumentali. Quand’anche fosse vera l’influenza fenicio-punica, il “sistema” dia-tonico autoctono ha dettato specifici modelli di scala ai clarinetti policalami del-la Sardegna arcaica. Significa soprattutto che se l’arghul dovesse essere ricono-sciuto come uno dei progenitori delle launeddas, ben al di là delle innegabiliaffinità morfologiche si dovrebbe trovare una ragione plausibile per spiegare ilpassaggio da un sistema musicale a un altro; che è come dire chiamare in causadue concezioni fisico-acustiche del tutto diverse. Quanto poi la struttura musicale del cunzertu di launeddas coincida con alcuni trattifondamentali della polivocalità sarda più tipica non è difficile da dimostrare. L’ac-cordatura a intervallo di quinta e di ottava de s’arrefinu della mancosa e della manco-sedda rispetto al tumbu non soltanto ripropone la stessa distanza intervallare dell’im-pianto polivocale, ma specialmente impone una intonazione così perfetta dellaquinta da lasciare l’impressione, quando gli altri quattro fori sono chiusi, dell’emis-sione di un solo suono. Ebbene, in tutti gli stili delle diverse espressioni polivocali,

9-11. Suonatori di corno, di piffero e tamburino, distrumento bicalamo,calchi di rilievi della fine del XVI sec. nella chiesa di S. Bachisio a Bolotana (Nuoro, Istituto SuperioreRegionale Etnografico)

non solo il bassu e il contra sono a distanza diquinta, ma si vuole che – per perfezione di in-tonazione e per specifico risultato timbrico –i due suoni raggiungano una tale fusione dasembrare una nota unica. Del resto è propriola presenza de s’arrefinu, il quinto foro nondigitato, a identificare senza equivoci la pe-culiarità organologica dello strumento. Quan-do i quattro fori digitabili sono chiusi si haun effetto di pausa, ma in realtà (poiché conl’emissione continua di aria le tre canne sonosempre in funzione) il suono passa attraversos’arrefinu che emette, come si è detto, una no-ta che deve confondersi con quella deltumbu. Questo dato, così decisivo per qualifi-care l’unicità delle launeddas, ne contrassegnasoprattutto la concezione strutturalmente po-livocale, vale a dire la più profonda assimila-zione alle radici della musica sarda. Se poi sidovesse accettare come plausibile l’ipotesidella diffusione, nel passato, di strumenti po-licalami (e forse delle stesse launeddas) intutta la Sardegna, si avallerebbe un elementoin più per valutare la genesi della polivoca-lità sarda. Se si riuscisse inoltre a rinforzarel’ipotesi di una qualche influenza della musi-ca strumentale sulla formazione degli im-pianti polivocali della Barbagia risulterebbeperò una sostanziale incompatibilità con lelauneddas. Infatti le launeddas e la polivoca-lità risultano essere (e non da oggi, come si èvisto) i tratti distintivi di due regioni lingui-stico-culturali nettamente distinte essendo iltenore (a quattro voci) tipico della Barbagia ele launeddas espressione delle regioni del Ca-po di sotto. Difficilmente (sulla scorta dei da-ti disponibili) si riuscirà a dimostrare un “prima” e un “poi” della musica stru-mentale rispetto a quella vocale anche perché nulla vieta di ritenere il “ronzio”del tumbu un’imitazione del bassu vocale. Se la determinazione diacronica deidue diversi stili e repertori è per molti aspetti un esercizio sterile, utile invece èinsistere sullo specifico orientamento polivoco (vocale o strumentale, poco im-porta da questo punto di vista) della musica sarda più arcaica. Si capisce che sefossimo a conoscenza delle cosmogonie dei protosardi e del ruolo che in esse ve-niva assegnato al suono vocale e al suono strumentale noi oggi saremmo in gradodi definire meglio il senso di suoni che conservano intatta (se paragonati a quellidi altre culture che coltivano radici altrettanto arcaiche) una forza evocativa an-cora priva di spiegazioni. Per quanto discutibili possano essere, ci sono pagine diSchneider che inevitabilmente, per analogia, fanno pensare ai suoni della musicasarda come l’ultima eredità di una vita religiosa del tutto scomparsa34. Ma sul terreno della specificità etnica dello strumento c’è anche dell’altro. Lagamma di quattro suoni congiunti della mancosa e della mancosedda è del tuttocorrispondente alle microstrutture scalari di tre-quattro suoni della musica voca-le. Sarebbe fuorviante immaginare, nel pensiero musicale che sta alle origini

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dell’invenzione tematica, una scala di sette o otto suoni ottenuti combinando in-sieme le note prodotte dalle due canne melodiche. Si dovrà, insomma, in occasio-ne più opportuna, attivare un confronto più serrato tra le articolazioni melodichedelle microstrutture scalari del repertorio monodico e polivocale da un lato e,dall’altro lato, la costruzione delle nodas nei pezzi strumentali, costruite – a lorovolta – su microstrutture scalari prodotte dalla mancosa e dalla mancosedda. Sono risultati vani i tentativi di instaurare una continuità storica tra i diversi tipidi clarinetto policalamo (incluse le benas) del Mediterraneo e le launeddas: lostrumento sardo, per la sua sofisticata struttura organologica, si differenzia note-volmente da tutti gli altri (compresi la zummara e l’arghul) anche per l’elevata qua-lità musicale e la complessità dei suoi repertori. E la diversa impostazione dell’unio-ne di tumbu e mancosa (unione che forma la loba), rispetto all’uso di tre canneseparate ancora in vigore a Cabras sino ad anni recenti, è la sanzione di “scuole”musicali ben distinte nella pratica strumentale e nello sviluppo virtuosistico. Un’ampia sezione è quella dedicata ai diversi tipi di flauto, ben distinti per areegeografiche identificabili – più che per i dati organologici – per la diversa gam-ma di suoni che producono. I differenti esiti musicali sono sottolineati da Dorequando nota che nel pipiolu barbaricino «da non trascurare è la caratteristicadell’ultimo foro, che dà un semitono perfetto e giocando in concomitanza congli altri fori crea dei meravigliosi effetti di abbellimento»35. Se le benas risultano essere state strumenti molto “privati”, cioè usati soprattut-to in situazioni di solitudine e con un ristretto ambito sociale di fruizione, il pipio-lu assolve in larga misura a compiti analoghi ma trova adeguata collocazionenell’esecuzione dei balli tradizionali. Questo particolare ambito d’uso del pipioluera già stato segnalato da Fara agli inizi di questo secolo e si può dire che da al-lora il suo impiego si è fatto sempre più sporadico. Abbinato al triangolo e altamburello con sonagli è ancora in uso a Gavoi e a Ollolai specialmente a operadi anziani suonatori (o di loro allievi o imitatori) “reclutati” da gruppi folklori-stici. In questo stesso ambito, del resto, possiamo ancora notare l’uso de s’af-fuente, oggetto sonoro che se in passato aveva una funzione di ripiego (in man-canza di altre e più “musicali” fonti sonore) oggi viene offerto al pubblico comecurioso reperto delle componenti “barbariche” della musica sarda. In ogni casoper la musica strumentale vale in Sardegna lo stesso criterio che vige per la mu-sica vocale. Chi si esibisce in pubblico (nelle sagre, nelle feste, nei matrimoni, acarnevale) deve saper garantire prestazioni di buon livello: approssimazioni e im-perizie sono malamente tollerate perché non garantiscono il divertimento del bal-lo, funzione fondamentale dei repertori strumentali. Per questo motivo nel ballotradizionale vengono oggi impiegati soltanto quegli strumenti che, ben congegna-ti dal punto di vista organologico, consentono buoni esiti musicali: vale a dire lelauneddas e l’organetto (sempre più spesso sostituito dalla fisarmonica). Tra i diversi membranofoni documentati e descritti soltanto i tamburi esercitanoancora un ruolo attivo. A Sassari, quello definito “spagnolo” (in dialetto generi-camente tamburu) è indispensabile corredo di tutti i gremi, corporazioni di arti emestieri di ascendenza medioevale. Nelle processioni, infatti, ciascun gremio (chesi distingue per particolari fogge d’abbigliamento) sfila accompagnato dalla pro-pria bandiera e dal proprio tamburo che esegue ritmi (talvolta molto elaborati selu tamburinaggiu è particolarmente abile) con valore di segnacoli festosi. Soltantoin occasione della discesa ( faradda) dei candelieri (colonne di legno dipinto, de-corate di fiori e nastri) al tamburo poteva accompagnarsi un suonatore di ottavi-no d’ebano (píffaru) che eseguiva motivi tipici; recentemente si è registrato unpiccolo revival di suonatori di píffaru ma i motivi del passato vengono ripropostiin modo approssimativo. Ciascun gremio ha un proprio candeliere e in questaoccasione il tamburo ha un ruolo centrale poiché detta il ritmo del passo della

sfilata o quello di una sorta di danza che come prova di abilità i portatori eseguo-no nel corso delle numerose soste. Le corde tese sulla membrana per conferirebrillantezza timbrica vengono allentate quando i tamburi accompagnano, con unsuono cupo e ritmi lenti, le processioni della Settimana Santa. È da segnalare co-me a Gavoi e Aidomaggiore la varietà di materiali e di fattezze dia luogo a una se-rie di tamburi che vengono identificati con specifiche denominazioni. Possiamo dare per estinti, salvo qualche sporadico caso, non soltanto tutti gli al-tri membranofoni a percussione ma anche i diversi tipi di tamburi a frizione. Traquesti il più singolare è certamente il trímpanu, ma non meno interessanti sonoil mumusu (da assegnare alla categoria dei giocattoli sonori), il bottu e il tunciu.Si noterà che la corteccia di sughero ha preceduto nell’uso alcuni dei tamburisuccessivamente costruiti con cilindri metallici, mentre i cerchi da setaccio con-tinuano a essere largamente impiegati (a Sassari, ad esempio) come primo soste-gno delle membrane dello strumento. La larghissima diffusione della chitarra propone analogie con altre culture tradi-zionali accanto a non pochi aspetti “tipicamente” sardi; sull’argomento riman-diamo al valido contributo di Andrea Carpi. Va comunque almeno ricordato cheil ruolo più comune di questo strumento è in Sardegna quello di accompagnare ilcanto, specialmente il bel canto nello stile logudorese e gallurese, ma anche dianaloghe espressioni tipiche di alcune località delle regioni centrali, tra le quali varicordato almeno lo stile di Bosa. Non si deve pensare a un ruolo meramentesussidiario della chitarra poiché agli strumentisti si richiede non minore abilità;tanto è vero che alcuni di loro, come i Cabitza e Adolfo Merella, hanno conqui-stato una celebrità non inferiore a quella dei cantadores più rinomati. Un’esplici-ta competizione virtuosistica tra chitarrista e cantore si accende nelle canzoni aballo, raramente eseguite per la loro destinazione originaria ma talvolta inclusenella “gara” di canto (esibizione dei cantori semiprofessionali nelle sagre e nellefeste patronali del Logudoro e del Goceano). Si può dire, insomma, che sempree comunque nel repertorio strumentale (qualunque strumento venga usato) gliesiti virtuosistici sono inevitabili se non, anzi, scientemente perseguiti. Gli strumenti-giocattolo sono oggetti o piccoli congegni sonori che difficilmentepuò accadere di trovare ancora in uso; in questa categoria rientrano anche i richia-mi acustici per la caccia che, viceversa, sono talvolta ancora utilizzati. Di solito laprimordialità di alcuni tra questi ordigni sonori viene rilevata per evidenziare le ra-dici etniche di quei più evoluti strumenti ancora in uso. Non si vede qui l’utilità disoffermarsi ancora una volta sulle vecchie tesi del “primitivo” come età infantiledella storia dell’uomo. Più proficuo è invece notare il risvolto pedagogico di esplo-razione dell’universo sonoro abbinata alla gestualità. La componente gestuale, anzi,compresa l’insufflazione, costituisce di solito un elemento costitutivo dell’oggettopoiché l’esito fonico è sempre conseguente a un impulso motorio amplificato. Og-getti elementari come il frusciu (una tavoletta di legno legata a uno spago che sibilaquando viene fatta roteare) e la frusta sarebbero stati classificati da Schaeffner“strumenti ad aria” poiché in questa categoria egli non include soltanto le cavitàche producono suono immettendovi aria, ma anche quei manufatti «il cui unicoscopo è di mettere in vibrazione l’aria circostante. Nel muoverli un visibile sforzodel corpo umano accompagna la durata del ronzio, l’estensione di uno schiocco»36.È notevole che si possano ancora trovare affinità molto marcate tra su fuette (la fru-sta) e oggetti di numerose culture mitteleuropee, dell’Emilia, della Romagna e dellaSicilia, comunemente usati non soltanto come normale accessorio dei carrettieri maanche come oggetto ritmico che induce a prove di particolare abilità. Se i bambini possono costruire da soli una canna furistera, una truvedda, un so-nette a ervozzu, un cannaiolu, un frusciu, un muscone, un ossu ’e pruna e, forse, unfruscaiolu, dovevano ricorrere all’opera degli adulti per congegni e oggetti sonori

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come il furrianughe, il mumusu, il tunciu, le zucchittas, le taulittas, le ta-beddas e numerosi altri. Del resto l’atto della costruzione di un manufattosonoro (dal più semplice a quello più sofisticato) non solo ha il valore diuna elementare esplorazione fisico-acustica, ma riesce a stimolare la cu-riosità infantile specialmente come manipolazione dei materiali. Quantopoi, segnatamente nel caso di strumenti-giocattolo a fiato, potessero atti-varsi nel bambino quei consueti processi di imitazione delle cose che fan-no gli adulti, dipende dall’incidenza che avevano nella comunità determi-

nati strumenti e dal prestigio di cui godevano i più rinomati suonatori. A suo tempo Giulio Fara ebbe una felice intuizione nel dedica-

re un saggio ai giocattoli musicali. I successivicontributi di Giovanni Dore hanno arricchito

e aggiornato un aspetto di indubbio fascinodella cultura tradizionale. Infine, la recenteindagine di Stefano Satta ha arricchito ul-teriormente il quadro con la segnalazionedi oggetti sonori mai sino a quel momento

documentati37. In Sardegna possiamo dare per accertata lacontinuità della musica di tradizione oraleda tempi così remoti, che è impossibile da-

tare, a oggi. Una vita musicale che ha per-durato nel tempo senza apparenti interruzioni

o cadute e che, come si è visto, è stata testimonia-ta da viaggiatori, esploratori di curiosità e bizzar-rie e da cultori del mondo antico che – secondoparametri culturali prevalentemente antiquari an-cora in uso sino agli inizi di questo secolo – assi-

milavano le tradizioni folkloriche a vestigia viventidelle più nobili espressioni artistiche del passato, con

immancabile riferimento alla civiltà greca e romana, tal-volta con richiami agli ebrei e ai caldei. Tuttavia c’è daessere grati a quei testimoni del Settecento e dell’Otto-cento, testimoni spesso stranieri, poiché erano tra i pochia rivolgere attenzione e a prestare ascolto alla vita e alleforme espressive di classi sociali neglette. Quanto miseradovesse essere la condizione sociale ed economica dei pa-stori e dei contadini sardi lo si coglie dalle prime impieto-se documentazioni fotografiche, così dolorosamente con-trastanti con le calligrafiche riproduzioni dei costumi edelle feste fissate nelle illustrazioni ottocentesche. Eppurequelle “tavole” di vita popolare, per noi così preziose an-che sul piano dell’iconografia musicale, non sono poi sol-tanto l’idilliaca rappresentazione di una realtà fatta di mi-serie e asprezze. L’eleganza pittoresca degli abiti el’idealizzata raffigurazione delle attività lavorative, comepure delle feste, delle cerimonie e dei più disparati com-portamenti ludici (dal ballo al gioco della morra), la po-stura dignitosa delle figure femminili, la riproduzione in-gentilita dell’orbace e delle rudezze maschili traducono inevidenza grafico-pittorica la volontà di fissare e amplifica-re valori e qualità misconosciute. E questo volume,nell’offrire per la prima volta – grazie a Gian Nicola Spa-

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nu – un esauriente esame di pressoché tutte le fonti iconografico-musicali sarde,ci mostra come tratti culturali, che ci sono ben noti nella loro aspra povertà, civengano restituiti a guisa di caratteristici e pittoreschi segnali di un’innata graziarustica. Ma nel voler cogliere qui la scabra semplicità degli strumenti sardi voglia-mo nondimeno segnalarne l’intrinseca finezza acustico-musicale. Se si fa eccezio-ne per la chitarra e l’organetto (strumenti, peraltro, non tipicamente sardi) si no-terà che si tratta di manufatti privi di ornamenti: le decorazioni, l’abbellimento“artistico” dell’oggetto sono sconosciuti. Canna, legno, pelle, osso, qualche voltaferro, sono materie prime che subiscono soltanto le manipolazioni atte al rag-giungimento di ben definiti esiti fonico-musicali. L’eleganza di questi oggetti èdata dunque dalla loro essenziale funzionalità e dalla necessità organologica ditutte le sue componenti. Con marcata consapevolezza culturale si bada a “fare”musica più che a dedicare superflue cure estetiche allo strumento, di solito privodi quei carichi simbolici che si segnalano in altre regioni e culture. Grazie alle informazioni che ci giungono possiamo essere certi che almeno sinoai primi decenni del Novecento la vita musicale sarda doveva essere molto riccae variegata, con una diffusa presenza di strumenti musicali, oggetti e congegnisonori che ora, come reperti muti, noi possiamo soltanto osservare come ultimatestimonianza di un mondo cancellato dal tempo. Ma nella vita culturale dellagente sarda, come di tutte quelle popolazioni che hanno memoria di una tradi-zione robusta, vi sono alcuni nuclei duri, delle linee di forza che ne costituisco-no l’essenza e che perdurano nel tempo a dispetto delle inevitabili trasformazio-ni, adattamenti, perdite. Con occhio acuto il Madau, il Cetti e, successivamente, i testimoni dell’Otto-cento avevano già individuato nella musica dei sardi alcuni dei tratti più tipici,quelli che più sarebbero durati nel tempo e che ancora oggi contrassegnano glistili delle diverse regioni dell’Isola. Si legga, a riprova, questa annotazione delMadau: «Ora l’armonica, e ritmica poesia de’ Sardi va accompagnata da più ar-monìe, cioè dal canto, dal ballo, e dal suono di musicali strumenti. Nel capo diLogodoro cantano i loro versi con consonanza di più voci, (...) in quattro partidistribuite (...). All’opposto nel capo di Cagliari i versi per lo più si cantano concanto a solo»38. Ebbene, l’inevitabile riduzione, forse anche l’impoverimento,della tradizione musicale sarda, con l’estinzione di numerose sue espressioni,vede il perdurare della vitalità di quella singolarità che Madau aveva già coltonel Settecento. I “canti a solo” alludono specialmente, come dirà più avanti, aicomponimenti accompagnati dalle launeddas, mentre per “Capo di sopra” siintende, oltre al Logudoro e alla Gallura, anche la Barbagia, vale a dire quelleregioni che oggi si caratterizzano (e, evidentemente, si caratterizzavano anchenel passato) per la diffusa presenza della polivocalità a quattro parti. Uno stilevocale che ha dato corpo a un repertorio di grandissimo rilievo e che, rispettoall’identificazione di una specifica civiltà musicale sarda, è da collocare sullostesso piano delle launeddas. Ma lo strumento musicale colpisce con più evi-denza i visitatori della Sardegna che, come abbiamo visto, raramente rinuncia-no a segnalarne la forma e l’uso. Anche il tenore viene segnalato (senza questaspecifica denominazione, di origini ancora oscure), ma in modo saltuario. Do-po Madau è Gaston Vuillier a soffermarsi con più attenzione su questa singola-re espressione vocale. Dedica, anzi, un’incisione (l’unica che si conosca) algruppo dei quattro cantori39 del tenore e, fermandosi a Belvì, dà notizia delleloro canzoni a ballo, riportando anche la denominazione, francesizzata, di unadelle sue forme: il douro-douro40. C’è in questa corposa cultura musicale della gente sarda un dato antropologicodi fondo che vede un’attenta coltivazione della sensibilità uditiva. “Fare musica”attraverso facoltà corporali e la costruzione (o l’appropriazione dall’esterno) di

12. Suonatore di mandola e danzatori, capitello dellaprima metà del XVII sec.(Cossoine, parrocchiale di S. Chiara)

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oggetti specifici è un tratto culturale che può trovare ulteriore definizione se vie-ne collegato a specifiche realtà sociali ed economiche. Se assumiamo emblemati-camente le due condizioni di pastore e contadino che Giulio Angioni vede piùcompiutamente espresse rispettivamente nelle Barbagie e nelle regioni meridio-nali, qualche riflessione è già maturata. Non si tratta soltanto, per il pastore, diacuire sensibilità percettive per i segnali sonori della natura e del mondo anima-le, ma anche di coltivare come indispensabile corredo professionale peculiari fa-coltà pre-musicali: «Ancora oggi è un buon pastore colui che conosce il suogregge capo per capo anche solo dalla voce di ogni animale, che a distanza nedistingue il “suono” fatto dall’insieme dei campanacci (su ferru)»41. La specializ-zazione dei fabbri di Tonara (dopo l’abbandono di quelli di Desulo e Quartu) èrinomata per la qualità del suono e per le varietà timbriche dei manufatti. La se-lezione del tipo di campanaccio per i singoli capi (agnelli, pecore, montoni) giàdi per sé forma nell’insieme un “concerto” mutevole a seconda delle dimensionie della struttura del gregge; ma questo non basta a caratterizzarlo perché il crite-rio adottato dal pastore non è solo dettato da tipologie zoologiche poiché si con-centra soprattutto sul suono di ciascun campanaccio, scelto secondo un gustodel tutto personale. Ma per tornare a qualche dato antropologico di fondo cisoccorre Angioni: «Il fatto notevole è che l’uomo, in quanto pastore, risulta es-sere non solo il principale mezzo di produzione, ma quasi l’unico, anche se siserve di un aiutante come il cane. Egli appare quasi del tutto sprovvisto di ritro-vamenti tecnici esteriorizzati, cioè di mezzi di lavoro extra corporei medianti lasua fatica (...). Ci è capitato di qualificare il contadino sardo (ma la definizionevale in genere per il contadino mediterraneo) come un artigiano della terra. Se ilsaper fare il pastore è soprattutto un saper fare incorporato nella sua stessa fisi-cità, quello del contadino è un saper fare che, oltre che un lungo e puntigliosoaddestramento fisico e psichico, deve sempre familiarizzarsi con una gamma va-sta di attrezzi che mediano il suo rapporto con l’oggetto»42. Trovare qualchenesso tra queste annotazioni e gli stili musicali della Sardegna è qualcosa di piùdi una suggestiva “tentazione”. Tra i pastori la musica strumentale ha scarso ri-lievo (non, almeno, nella vita comunitaria). Per i pastori la musica è canto, cantopolivocale nello stile del tenore, espressione collegata a ben definite facoltà delcorpo che prendono forma e si codificano in mutevoli usi degli organi di fona-zione. La loro “musica” è specialmente emissione di suoni in stile diverso attra-verso sapienti contrazioni muscolari e con una stratificazione polivoca addestra-ta nell’attività lavorativa, dove è vitale la percezione immediata di eventi sonorimultipli. Tra i contadini del Campidano, del Sarrabus, della Trexenta, dove il la-voro è supportato da attrezzi di artigiani specializzati, la più significativa espres-sione musicale è data dalle launeddas, manufatto di alta perizia artigianale e affi-dato, nelle prestazioni semiprofessionali, non a contadini ma ad artigiani, disolito calzolai. Questo presunto quadro di riferimento resiste nei suoi esiti musi-cali come resiste in altri prodotti culturali che per forza propria o per residuespinte inerziali perdurano nella tradizione sarda. Un libro sugli strumenti musicali in Sardegna non è altro, allora, che la testimo-nianza di ciò che è stato e non è più e di quanto ancora vive e si tramanda attra-verso fragili manufatti resi robusti da una inculturazione musicale che viene dalontano. Il fatto, poi, che tutti gli strumenti e gli oggetti sonori fotografati sianoperfettamente funzionanti rende semmai più acuto il senso della perdita di unatradizione cancellata. Questi oggetti producono suoni ma non sappiamo qualimusiche, quali repertori e quali specifici usi avessero nella vita sociale. Restanouna preziosa testimonianza del nostro passato ma non potranno mai dirci qualiinvenzioni e quali sviluppi del pensiero musicale fossero in grado di attivare: latradizione orale, quando si estingue, è persa per sempre.

1 WEIS BENTZON 1969.2 Cfr. la bibliografia generale. Per un esame critico

dei suoi lavori etnofonici vedi SASSU 1967: 27-32;SASSU 1975: 79-83.

3 DORE 1976.4 MAHILLON 1880-1922.5 SACHS 1913; SACHS 1929.6 ANGIUS 1833-56.7 VALERY 1837: 224-225. La musique cadencée, les

sons vibrants de la launedda doivent ajouter à l’im-pression des sens et produisent un effet vraimentmagique sur le danseurs.

8 MALTZAN 1886: 87.9 PAULIS 1991: 279-311. Esula dalle nostre compe-

tenze e dalla destinazione di questo libro soffer-marsi sugli esiti della ricerca di Paulis: nondimenol’esame e il confronto di fonti disparate contribui-sce a ricostruire con contorni precisi tutti i termi-ni di una questione lungamente dibattuta.

10 DORE 1976: 69-82.11 WEIS BENTZON 1969: II. Pur non disponendo di

dati certi lo studioso danese riteneva quasi sicurala diffusione delle launeddas in tutta la Sardegna.È doveroso ricordare che poco c’è da aggiungereall’indagine che Weis Bentzon ha dedicato alle lau-neddas. Tutti gli aspetti organologici, socio-culturalie repertoriali sono stati attentamente vagliati e ap-profonditi. Il notevole valore della ricerca è sancitodall’imponente numero delle trascrizioni e dalle pe-netranti analisi musicologiche.

12 GUIZZI 1990: 50. Cfr. in particolare STRUMENTI

1991: 265; più in generale, anche per i criteri tas-sonomici e di analisi organologica, si veda LEYDI -GUIZZI 1983: 100-348.

13 PAULIS 1991: 294.14 SACHS 1980: 95.15 SACHS 1980: 248.16 SACHS 1980: 176.17 SACHS 1980: 95.18 DORE 1976: fig. 9.19 PAULIS 1991: 290.20 LILLIU 1966: 299.21 MADAU 1787: 25.22 CETTI 1776: IV 215.23 CETTI 1776: II 279.24 FUOS 1899: 403. Dalle ricerche effettuate dal tra-

duttore si è appurato che l’autore delle tredici let-tere su diversi aspetti della vita sociale e religiosadella Sardegna è Joseph Fuos, cappellano militaredel reggimento tedesco al servizio del Re di Sarde-gna di stanza nell’Isola. Il pastore luterano descrivecon commenti salaci usi e costumi religiosi popola-ri, ma la sua testimonianza è comunque attendibile.L’opera originale venne pubblicata anonima nel1780, pochi anni dopo il soggiorno dell’autorenell’Isola.

25 FUOS 1899: 153, 401-403. Nell’insieme la testi-monianza di Fuos è degna di nota specialmenteperché, come si è detto, è una delle più remote econferma le informazioni degli altri autori sette-centeschi. È utile riportare per intero le paroleche dedica alla musica tradizionale: «Nella mag-gior parte delle feste religiose sotto la porta dellachiesa sta un uomo con un piffero in bocca, ed unpiccolo tamburo, il quale in onore del Santo e adedificazione dei fedeli suona per l’intero giorno ilcomune ballo dei sardi, la quale musica è perfetta-mente simile alla danza degli orsi». Riprende po-co più avanti le sue osservazioni tra religiosità etradizioni musicali; le censura, ma intanto le de-scrive: «Nulla per i Sardi è più solenne di una fe-sta religiosa. La prima cosa, che in essa deve tro-varsi, si è un tamburino ovvero un pifferaro. Illoro ufficio è non solo stare l’intero giorno allaporta della chiesa, e divertire il Santo ed i suoi de-voti con tutte le marcie e le danze, che essi hannoimparato sul loro strumento, ma essi debbono an-che nella processione andare innanzi al Santo, esuonare senza interruzione alcuna. Simili musi-canti non si possono avere nelle truppe: essi quin-di sono sardi, e l’intero giorno con tamburo e pif-fero suonano la solita danza dei sardi: ovvero chinon è così abile da maneggiare allo stesso tempoambi questi strumenti adopera solamente il piffe-ro sardo». Qualche attenzione viene dedicata an-che alla musica vocale: «Chi vuole imparare a co-noscere la musica nella sua culla, bisogna chevenga presso i sardi. Quando essi cantano bisognaper lo più che siano insieme soprano, tenore ebasso. Il soprano canta da solo la strofa sino all’ul-tima sillaba, nella quale entrano insieme a cantaretenore e basso. Un tale canto non può rimanerealtrimenti che melanconico, non solo perché unastrofa ha coll’altra la musica uguale, ma ancheperché l’intera musica dei sardi cambia soltantoquattro o cinque toni. Ciò non ostante un sardonon trova alcun maggior piacere che quando puòmettersi la sera con la chitarra alla spagnola di-nanzi alla casa ove dimora l’oggetto del suo amo-re, ed accompagnare i suoi accordi col suo cantosoave. La sua Dulcinea si siede allora alla finestra,ed ascolta in muta estasi i teneri lamenti del suocavaliere innamorato. Si balla abbastanza fra iSardi, specialmente nelle loro feste ecclesiastiche,e talora ballano anche nella stessa chiesa dinanziall’altare. Essi si mettono in un circolo d’uomini edonne, l’uno tiene l’altro per mano, e ballano at-torno al suonatore, il quale sta nel centro, con talimovimenti tremuli e con volti così gravi che si po-trebbe considerarli piutosto come una compagniadi tremolanti. Il suonatore ha nella bocca tre pif-feri di canna insieme uniti, ed un grande astuccio

nero al fianco, dove egli custodisce molti di talistrumenti musicali, affinché li possa cambiare».

26 MADAU 1787: 27.27 MADAU 1787: 21.28 LA MARMORA 1826: trad. it. I 253.29 ONETO 1841: 15.30 PAULIS 1991: 288. «Combinazione particolare di

virtuosi in competizione tra loro (...). Ciò poteva-no fare, ritengo, servendosi appunto di cinquecanne che imboccavano tutte, ma di cui spingeva-no in profondità, sì da consentirne le vibrazionidell’ancia, soltanto quelle sulle quali di volta involta componevano la melodia. Oppure è possibi-le che usassero due o tre canne di bordone, comecerte zampogne europee». È appunto quest’ulti-ma l’ipotesi che si potrebbe ritenere la più fonda-ta se davvero quelle testimonianze si riferiscono alauneddas e non a benas.

31 WEIS BENTZON 1969: II 88.32 BAGLIONI 1912: 394.33 BAGLIONI 1912: 408.34 SCHNEIDER 1970.35 DORE 1976: 89.36 SCHAEFFNER 1978: 39-40.37 FARA 1915: 152-170; DORE 1976; SATTA 1985.38 MADAU 1787: 25.39 VUILLIER 1893: 451.40 VUILLIER 1893: 445.41 ANGIONI 1989: 18.42 ANGIONI 1989: 22-26.

Note

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Gli strumenti musicali nella loro concretez-za materica si pongono come testimo-nianza privilegiata di un’arte per sua na-

tura volubile e peritura. E ancor più nella musicadi tradizione orale dove i suoni, non scritti, siesprimono unicamente nella contemporaneitàdell’evento musicale, lo strumento costituisce unodei pochi documenti tangibili di un’attività basataquasi esclusivamente sulla memoria. Procedendodallo studio degli strumenti popolari, punto diconfluenza di una cultura materiale e di una cul-tura musicale, si può pertanto ripercorrere a ri-troso questo sapere musicale stratificato, andan-do ben oltre i ricordi dei protagonisti. Inoltre, inquanto oggetti tangibili e visibili, gli strumentimusicali si trovano spesso raffigurati nell’arte ditutte le epoche e di tutte le civiltà; una circostan-za che, evidentemente, accresce il loro valore do-cumentale, prolungando nell’immagine la vita dioggetti fragili e facilmente deteriorabili. Si sa ben poco della civiltà nuragica, e la scrittu-ra, che per definizione distingue le civiltà stori-che da quelle preistoriche, non era adoperatadagli antichi abitanti della Sardegna; eppure,modellando statuette di suonatori, quei popolihanno dimostrato di conoscere e praticare unacerta attività musicale, evidenziando anche la sa-crale dignità che attribuivano al mondo dei suo-ni. Basterebbe questo esempio per confermarel’importanza dell’iconografia musicale, la disci-plina che appunto si occupa della rappresenta-zione nell’arte di soggetti che fanno riferimentoalla musica. Ma non bisogna dimenticare che,come ogni “documento”, anche le raffigurazionidi soggetti musicali devono essere esaminate conocchio critico, tenendo presente in primo luogodi avere a che fare con prodotti realizzati da arti-sti, pittori o scultori, e come tali interessati piùalle leggi della visione che della musica. È evi-dente infatti che l’immagine di uno strumento ri-portata sulla pietra, su una parete o sulla tela nonrappresenta immediatamente lo strumento suo-nato, ma un oggetto visto dall’artista-testimoneche l’ha scolpito o disegnato, caricandolo di ul-teriori valenze simboliche e adattandolo al con-testo iconografico e iconologico. Pertanto, comeosserva Tilmann Seebass, uno dei più qualificati

studiosi di iconografia musicale, «riceveremo unarisposta valida ai nostri interrogativi se ripercorre-remo l’itinerario dal prodotto finale ai modelli, aiprogetti, alle intenzioni»1. Abbiamo avuto modo di accennare ai bronzettinuragici, prima testimonianza della civiltà musica-le dell’Isola, e da questi preziosi manufatti partire-mo per indicare in breve i più significativi esempidi raffigurazioni nell’arte sarda di strumenti anco-ra in uso nella tradizione orale. Nel 1907 AntonioTaramelli dava notizia del ritrovamento di due sta-tuette d’epoca nuragica: la prima, proveniente dalnuraghe Santu Pedru di Genoni, raffigurava unsuonatore di corno; la seconda, ritrovata nel terri-torio di Ittiri, riportava le sembianze di un suona-tore di strumento a fiato, seduto, con l’organo ses-suale maschile in piena evidenza2. In questo bronzetto (conservato presso il MuseoArcheologico Nazionale di Cagliari) gli studiosi,a partire da Giulio Fara che ne diede l’annuncioal mondo musicale nel 1913, hanno visto lo stru-mento più caratteristico della tradizione musica-le isolana: le launeddas3. Naturalmente la tenta-zione di attribuire una così antica origine allostrumento sardo era forte e portò l’esimio etno-musicologo a descrivere l’oggetto in questionecome «una fedelissima riproduzione del primopreistorico suonatore di launeddas» e a negarequalsiasi mutamento morfologico negli ultimitremila anni «perché nulla è cambiato in questostrumento». La posizione troppo avanzata dellemani a chiudere improbabili fori all’estremità in-feriore dello strumento, così come il fatto chetutte e tre le canne, contrariamente a quelle del-lo strumento odierno, si presentassero con lastessa lunghezza venivano attribuite sbrigativa-mente alla «povertà tecnica dell’epoca». Ma le conclusioni del Fara, come quelle di tuttigli studiosi che trattando di strumenti sardi han-no fatto riferimento al bronzetto di Ittiri, ap-paiono poco convincenti, visto che i dati “orga-nologici” leggibili permettono al massimo diipotizzare una certa parentela dello strumentoivi raffigurato con le odierne launeddas. Più uti-le per la ricostruzione della civiltà preistoricasarda potrebbe invece essere un’attenta disami-na delle caratteristiche iconologiche del reperto

13. Maestro diCastelsardo, Retablo di Tuili, 1489-1500,particolare delloscomparto centralecon angelo musicanteche suona una vihuela (Tuili, parrocchiale di S. Pietro)

Gli strumenti della musica popolare nell’arte sardaGian Nicola Spanu

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in questione, confrontate con gli altri esempi diiconografia musicale preistorica della Sardegna4

e più in generale dell’area mediterranea. Per quanto riguarda la figura del musico, stiliz-zata nei tratti essenziali del corpo e del viso, è danotare che l’uomo imbocca lo strumento da se-duto e sembrerebbe quasi che il copricapo semi-sferico rientri fra gli attributi dell’“uniforme”,così come l’atteggiamento sia quello tipico dellacategoria professionale. Un professionista, e non un suonatore occasio-nale, doveva essere anche il personaggio chesuona un corno bovino nel citato bronzetto pro-veniente da Genoni e conservato nel Museo Ar-cheologico Nazionale di Cagliari5. Il piccolo cor-no che gli pende dietro le spalle appeso ad unacintura, e un cappello analogo a quelli preceden-temente descritti sembrano infatti alludere aduna occupazione abituale che per l’appunto ri-chiedeva una simile “attrezzatura”. In ogni caso il carattere votivo di queste statuet-te, gli attributi “professionali” e forse sacrali deimusici, il carattere orgiastico dell’aulete di Ittirio il bizzarro tamburo collocato sulla testa delSacerdote musico e ballerino del Museo Archeo-logico di Cagliari6 indicano una valenza magico-rituale nella musica preistorica della Sardegna,un fenomeno comune a quasi tutte le civiltà pri-mitive e che affiora ancora oggi in alcune mani-festazioni della cultura tradizionale sarda. Il valore apotropaico della musica, la convinzio-ne cioè che i suoni potessero allontanare gli spiri-ti malefici, emerge costantemente anche nell’ico-nografia musicale fenicio-punica (secoli VII-IIIa.C.), nelle numerose stele funerarie con suona-trici di tympana, nelle divinità raffigurate nel-l’atto di suonare sistri, crotali o doppi auloi. Na-turalmente non è possibile, allo stato attualedella ricerca, stabilire un diretto collegamento traquesti strumenti e quelli sopravvissuti nella musi-ca popolare sarda, anche se ancora una volta sirileva la presenza costante di strumenti policala-mi, formati cioè, come le launeddas e le benas, dapiù tubi sonori. Altrettanto si può dire per l’arte funeraria romanache ci ha tramandato numerose figure di muse,genietti e satiri che suonano i più svariati strumen-ti del mondo classico e della sua mitologia. Spessosi tratta di manufatti d’importazione e pertanto illoro valore documentale è minimo poiché non èprovato che quegli strumenti fossero diffusinell’Isola; ma tra i vari oggetti sonori scolpiti neisarcofaghi romani attira la nostra attenzione la so-nagliera indossata da una figura visibile nell’ango-lo sinistro del piccolo sarcofago cosiddetto “dei

putti bacchici”, risalente al III secolo d.C. e con-servato attualmente presso il Museo Archeologi-co Nazionale di Cagliari7. Sotto il petto di questopersonaggio pendono, appese ad una cintura, trecampanelle di grandi dimensioni che, per il con-testo nel quale sono inserite, fanno pensare a ri-tuali magici e apotropaici analoghi a quelli da cuiprobabilmente deriva la tradizione dei mamutho-nes barbaricini. Gli strumenti bicalami come il doppio aulos, dif-fusissimi nel mondo ellenistico-romano, sonoscomparsi nella musica occidentale sopravvi-vendo unicamente nella tradizione di alcuni po-poli del Mediterraneo e, per quanto ci riguarda,in Sardegna. In due frammenti marmorei prove-nienti da Sant’Antioco, realizzati forse nel X seco-lo in ambito culturale bizantino, si vede un curiosostrumento, forse ad ancia, con due canne note-volmente svasate e solidamente legate tra loro8.Senza affrontare il complesso problema dell’iden-tificazione di questo oggetto, che sembra essereattestato unicamente in una miniatura di un ma-noscritto conservato nella Biblioteca Nazionale diParigi (Lat. 6)9, i rilievi di Sant’Antioco potrebbe-ro testimoniare una fase di passaggio dal doppioaulos a canne indipendenti e divaricate, tipicodella tradizione classica, alle due canne legate eparallele, tipiche delle benas sarde, delle variezummara del Nordafrica e dell’Asia Minore edell’arghul egiziano. La svasatura delle canne, for-ma che caratterizzerà a partire dal Medioevo glistrumenti ad ancia della tradizione europea, sem-bra inoltre dimostrare il carattere ibrido e di tran-sizione dello strumento di Sant’Antioco. Uno strumento formato da due canne affiancatecompare anche in una delle formelle di pietranella cornice del portale della chiesa di S. Bachi-sio di Bolotana, costruita negli ultimi decenni delCinquecento10. Il rilievo, scolpito con gusto po-polaresco, ritrae un suonatore, probabilmentevestito con il costume sardo, che soffia dentrouno strumento bicalamo di notevoli dimensioni.Il deterioramento della formella non consenteperò di verificare alcuni rilevanti dettagli organo-logici come il tipo di ancia, i fori delle canne, unaloro eventuale legatura ecc., né ci permette di in-dividuare con certezza nell’oggetto pendente dal-la spalla destra del suonatore uno straccasciu, lacustodia nella quale il suonatore di launeddas ri-pone gli strumenti. Nella serie di formelle del S. Bachisio di Bolota-na, oltre al suonatore di uno strumento autoctonocome quello appena descritto, nel quale si posso-no riconoscere delle benas o forse un’imperfettaraffigurazione delle launeddas, sono riconoscibili

anche suonatori di corno e di uno strumento diprobabile importazione iberica, su sulittu (pipaio-lu) e tamburinu, che trovò ampia diffusione nel-l’Isola fino a scomparire gradualmente alla metàdel nostro secolo11. Il musico qui raffigurato, ve-stito come il precedente, suona un piccolo flautodritto mentre percuote con un mazzuolo un tam-buro appeso al braccio sinistro, tamburo del qua-le si evidenziano la forma allungata, il diametroridotto e la presenza dei tiranti. Lo stesso strumento è suonato anche da un an-gelo dipinto in una delle tavolette disposte ai latidella nicchia centrale del Retablo della Porziun-cola, realizzato dal Maestro di Castelsardo tra lafine del Quattro e gli inizi del Cinquecento perla chiesa di S. Francesco di Stampace a Cagliari

nella pagina precedente:14. Maestro di Castelsardo,Retablo della Porziuncola,fine XV-inizi XVI sec.,tavola con angelomusicante che suonapiffero e tamburino(Cagliari, PinacotecaNazionale)

sopra: 15. Angelo musicante chesuona la chitarra, 1678,dipinto murale nella voltadel presbiterio dellachiesa di Nostra Signorad’Itria a Orani

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e ora nella locale Pinacoteca Nazionale12. Qui sipossono rilevare alcuni particolari costruttivipresenti anche negli ultimi esemplari conosciutidel sulittu e tamburinu sardo13, come la cordatesa sulla pelle per raddoppiare la frequenza del-le vibrazioni sonore, la cordicella tra i tiranti chetendevano le due opposte membrane dello stru-mento per poterne regolarne la tensione ecc. Tra i vari strumenti raffigurati nei dipinti delMaestro di Castelsardo, come in quelli presentinei retabli sardi realizzati tra il XV e il XVII se-colo, non compaiono altri strumenti del folklo-re sardo. Quasi sempre infatti l’attività musicalenell’arte sacra di quel periodo è prerogativa de-gli angeli che evidentemente, per il loro elevatorango, raramente adoperano gli strumenti delpopolo. Anche la chitarra, diffusa a livello po-polare nell’Isola a partire dal Cinquecento, nonè attestata nell’arte sarda tardorinascimentale ebarocca, mentre si contano diverse raffigurazio-ni di vihuelas de mano, il corrispondente coltodella chitarra, caratterizzate principalmente dal-l’impiego di sei ordini di corde, sempre messi inevidenza dai pittori, in luogo dei quattro dellachitarra14. Se si esclude la scena scolpita in un capitellodella parrocchiale di Cossoine nella prima metàdel Seicento, in cui due donne con le mani aifianchi sembrano danzare ai lati di un suonato-re di mandola15, ci sono pervenute testimonian-ze iconografiche dell’attività musicale folkloricasolo a partire dal secolo scorso. Diversi fattoricontribuirono nell’Ottocento alla riscoperta diun’“isola dimenticata” come la Sardegna: l’inte-resse romantico per le culture popolari e naïf, lepossibilità di sfruttamento economico delle suerisorse naturali da parte di imprese continentalie infine l’emergere di un’entusiastica coscienzanazionale sarda. Così nella vasta produzione let-teraria e scientifica dell’epoca ampio spazio ven-ne riservato alla descrizione delle tradizioni e deicostumi delle popolazioni sarde. Non mancano ovviamente i riferimenti alla musi-ca e alla danza, corredati talvolta di pregevoli il-lustrazioni come le litografie a colori inseritenell’atlante del Voyage en Sardaigne di AlbertoLa Marmora16, realizzate da Giovanni Cominottie Enrico Gonin. Raffigurate per la prima voltanella loro forma attuale, le launeddas, suonate incoppia, precedono il corteo nuziale nella tavolaintitolata Noces. Arrivée d’une jeune Fille de Si-nia, mariée à un riche Cultivateur de Quartu17; lacetra gallurese accompagna il canto nel Gramina-torgiu (cardatura della lana) a Tempio nel 182218;è presente infine il tamburo “spagnolo” ancora

usato a Sassari nelle processioni solenni19 e il giàcitato sulittu e tamburinu nella Fête à une Chapel-le rurale20. Tale strumento compare anche nellaHistoire de Sardaigne di Jean François Mimaut,pubblicata nel 1825 a Parigi, in una tavola fuoritesto che, come garantisce lo stesso Mimaut, ven-ne disegnata dal vero in sua presenza21. Ma oltre agli studiosi e ai semplici viaggiatori siinteressarono alla musica popolare sarda ancheartisti come Giovanni Marghinotti, che nel 1862,al termine della sua attività creativa, disegnòdue grandi tele, attualmente al Museo NazionaleG. A. Sanna di Sassari, che raffigurano in ma-niera piuttosto convenzionale una Festa campe-stre e un Ritorno dalla festa22 in cui compaionoun sulittu e tamburinu e dei grossi tamburelli acornice, che nel sud dell’Isola venivano deno-minati su sizilianu. Se autori come il Marghinotti e Raffaele Arui,che ci ha lasciato un ballo tondo accompagnatodalle launeddas e dal sulittu e tamburinu23, eranomossi da un interesse accademico ed oleografico,lo scopo di don Simone Manca di Mores era di-chiaratamente quello di descrivere in manieraoggettiva gli abiti, le usanze e i paesaggi dellaSardegna. Questo nobile sassarese, dilettante dipittura, preparò infatti per Sua Altezza Reale ilPrincipe Umberto di Savoia la celebre Raccoltadi costumi sardi (1861-76)24 e il meno noto al-bum Ricordo alla mia cara figlia Luigia Riccio –Costumi e vedute dell’Isola di Sardegna (1878-80)25. In queste tempere troviamo gli strumentitipici della tradizione sarda, dal «piffero e tam-burino», ritratto dal vero alla festa della Madon-na d’Itria di Oristano nel 187626, al sulittu27, aisassaresi tamburu e píffaru28, alle launeddas de-scritte con palese incertezza una volta con quat-tro29 e una volta con tre canne30. Un’imperiziache sorprende in un osservatore attento e precisocome il Manca ma che si può forse spiegare conla scarsa confidenza del nobile sassarese con lostrumento tipico del Campidano. Dopo i nobili e sognanti viaggiatori romantici, sulfinire del secolo un pubblico più vasto cominciavaad interessarsi alla Sardegna, ai suoi paesaggi, allesue usanze. Significativo a questo proposito il nu-mero della rivista parigina Le tour du monde. Nou-veau Journal de Voyages, a cura di Gaston Vuilliere interamente dedicato all’Isola31. Le oltre settantaxilografie riprodotte in questo periodico risentonoevidentemente della tecnica fotografica e anzimolto spesso si tratta di un vero e proprio surro-gato della fotografia, come il celebre Retour de fê-te dans le Campidano, ripreso fedelmente da undagherrotipo della ditta Stengel & C. di Dresda32,

16. Gaston Vuillier, Retour de fête, xilografia,da VUILLIER 1893: 187

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in cui notiamo tra gli allegri passeggeri de sa traccaun suonatore di launeddas e una suonatrice ditamburello. Un’altra, validissima fonte di docu-mentazione demo-antropologica, la fotografia, fa-ceva dunque la sua comparsa agli inizi del nostrosecolo, mentre Giulio Fara presentava al mondo ilsingolare patrimonio organologico della Sardegna,imprimendo un nuovo indirizzo agli studi sulla ci-viltà musicale dell’Isola.Ma se da una parte il disegno demanda alla foto-grafia il compito di documentare i tratti caratte-ristici della cultura musicale dell’Isola, di stru-menti c’è ancora bisogno nelle arti figurative perrendere evidente e chiara la dignità, l’originalità,la ricchezza dell’“anima popolare”. «Come iproverbi sono la saggezza dei popoli, così la mu-sica ne è l’anima»: Giulio Fara introduce conquesto assioma il suo primo contributo sullamusica sarda rivolto alla comunità scientifica na-zionale e internazionale33. In un momento in cui l’obiettivo di letterati,poeti, pittori era quello di descrivere non solo lemanifestazioni esterne del folklore bensì la suanatura più intima, la “psicologia collettiva”, lostrumento musicale diventa un riferimento figu-rativo di estrema importanza. Acquista così unpregnante valore simbolico, e accompagna tanto

1 SEEBASS 1983: 71-72. Cfr. anche GUIZZI 1983: 87-101; MAYER BROWN - LASCELLE 1972: 1-12.

2 TARAMELLI 1907: 352-359.3 FARA 1914a: 38-49. Cfr. anche LILLIU 1966: 298-

301 e relativa bibliografia.4 In ambito isolano si è segnalato il piccolo bronzo

raffigurante un suonatore del flauto di Pan (KUNST

SARDINIENS 1980: sch. 122, fig. 90), conservato inuna collezione privata e di provenienza scono-sciuta, che mostra analogie con la statuetta di It-tiri in quanto – a detta di Giovanni Lilliu – si trat-ta di un falso moderno, probabilmente su quellamodellato.

5 LILLIU 1966: 297-298 e relativa bibliografia.6 LILLIU 1966: 212-215 e relativa bibliografia.7 PESCE 1957: 24-34.8 CORONEO 1989: 143-145 e relativa bibliografia.9 BUHLE 1903: tav. 9.

10 SALINAS 1978: 19-22.11 FARA 1916-17: 151-174.12 SERRA 1990: 114; CORONEO 1990: sch. 56 e relati-

va bibliografia.13 SPANU 1989: 83-84, 97-98. Piffero e tamburino

compaiono anche in un capitello della parrocchia-le di S. Giulia a Padria.

14 Si è potuto riconoscere la vihuela, anche se spessoraffigurata con notevoli varianti rispetto alla for-ma tipica dello strumento, nei seguenti polittici:Maestro di Olzai, Retablo della Pestilenza (1477),Olzai, chiesa di S. Barbara; Maestro di Castelsar-do, Retablo di Castelsardo (fine XV sec.), Castel-sardo, cattedrale; Maestro di Castelsardo, Retablodella Porziuncola (fine XV-inizi XVI sec.), Caglia-ri, Pinacoteca Nazionale; Maestro di Castelsar-do, Retablo di Tuili (1500), Tuili, parrocchiale diS. Pietro; Pietro Cavaro, Retablo di Villamar (1518),Villamar, parrocchiale di S. Giovanni; MicheleCavaro e aiuti, Retablo di Bonaria (metà XVI sec.),Cagliari, santuario di Nostra Signora di Bonaria;inoltre nei dipinti murali (1678) di Orani, chiesadi Nostra Signora d’Itria. Cfr. SPANU 1989: sch. 2,8-11, 13-14; SERRA 1990: figg. 78, 49a, 56d, 57a,85, 98a; SCANO 1991: fig. 160.

15 SCANO 1991: 86, sch. 59.16 LA MARMORA 1826; LA MARMORA 1839.17 LA MARMORA 1826: tav. VI; LA MARMORA 1839:

tav. VI.18 LA MARMORA 1839: tav. IX.19 LA MARMORA 1839: tav. X.20 LA MARMORA 1826: tav. IV; LA MARMORA 1839:

tav. IV.21 La litografia realizzata da Alfred Mimaut è inseri-

ta come tavola fuori testo in MIMAUT 1825.22 DELOGU 1947: 181-182.

23 Raffaele Arui, Ballo tondo (Cagliari, coll. privata).Vedi anche il Ballo sardo della collezione Piloni(Cagliari, Biblioteca Universitaria).

24 Raccolta di costumi sardi eseguita e offerta a S. A. ilPrincipe Umberto dal Cav[alie]re Simone Manca diSassari, album di 16 tempere su carta, ognuna cm49 x 46 (Torino, Biblioteca Reale, Varie 179).

25 Ricordo alla mia cara figlia Luigia Riccio – Costumie vedute dell’Isola di Sardegna – Lavori originali ese-guiti dal settembre 1878 al settembre 1880, albumdi tempere su carta (FASCINO DI SARDEGNA 1976).

26 Simone Manca, Invito al ballo tondo. Veduto inOristano alla festa della Madonna d’Itria nel 1876,tav. XXVIII dell’album Ricordo alla mia cara figliacit. (FASCINO DI SARDEGNA 1976: 62).

27 Simone Manca, A sa funtana, tav. 1 dell’albumRaccolta di costumi sardi cit.

28 Simone Manca, Maestranze delle corporazioni diSassari, tav. 10 dell’album Raccolta di costumi sar-di cit.; Foggie di vesti di alcune corporazioni di Sas-sari nelle processioni ed il Gonfalone del Capitolo,Offerta di carne pane erbe e frutti che la corpora-zione dei viandanti di Sassari presentava ai carcera-ti il giorno di Pasqua sino al 1863, tavv. III, XXIIIdell’album Ricordo alla mia cara figlia cit. (FASCI-NO DI SARDEGNA 1976: 10).

29 Simone Manca, Danza cun is launeddas, tav. 11dell’album Raccolta di costumi sardi cit.; La cenadei mietitori. Provincia di Sassari, tav. XXVIdell’album Ricordo alla mia cara figlia cit. (FASCI-NO DI SARDEGNA 1976: 10).

30 Simone Manca, Costumi del Campidano. Ballo “sadanza cun is launeddas”, tav. III dell’album Ricor-do alla mia cara figlia cit. (FASCINO DI SARDEGNA

1976: 58).31 TOUR DU MONDE 1891.32 SARDEGNA 1980: 43.33 FARA 1909: 713.34 NAITZA - SCANO 1986: 134.35 BIASI 1984.36 ALTEA - MAGNANI 1990; MELKIORRE MELIS 1989.

la solitudine del pastore quanto la festa, i riti, lagioia e il dolore. Ci aspetteremo un uso espres-sionistico dello strumento musicale, ma l’artesarda non arriva a tanto. Antonio Ballero, sensi-bile a certo costumbrismo di fine Ottocento, di-pinge le launeddas per accompagnare il canto diun rapsodo cieco, topica figura di cantore “po-polare”34. Giova qui ricordare l’affinità culturaledel Ballero con Grazia Deledda. E, come nellaDeledda, in Giuseppe Biasi, illustratore di moltesue fatiche letterarie, è evidente l’intento di pre-sentare “gradevolmente” la Sardegna agli occhidel pubblico colto europeo35. Ma qui lo stru-mento musicale, stilizzato e privo di qualsiasiconnotazione realistica, diventa un cliché, un ar-redo di indubbia importanza ma quasi privo divitalità, di “suono”. Con questa funzione lo strumento musicale, e inprimo luogo le launeddas, compaiono con unacerta frequenza nella grafica e nella cartellonisti-ca sarda della prima metà del secolo ad opera diartisti come Filippo Figari e Melkiorre Melis36.Lo strumento come testimonial, si direbbe oggi,di questo o quel prodotto tipico, che però con-ferma ancora una volta l’indissolubile e radicataconnessione tra lo strumento, la sua musica e lacultura tradizionale dell’Isola.

17. Melkiorre Melis, Carnevale bosanonell’Ottocento, 1979, olio su cartone, cm 50 x 69,5

Note

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A PERCUSSIONEDIRETTA

A PERCUSSIONEINDIRETTA Matracca a roda

A PERCUSSIONE CONSTRUTTURA VASCOLARE

A PERCUSSIONEESTERNA

A RASCHIAMENTO

A PIZZICO

Canna isperrada

Taulittas

Triángulu

Matracca

Matracca a roda

Affuente

Campanas

Campaneddas ladas

Sonazzos

Ischiglittos

Campanacci dei mamuthones

Cannuga

Furrianughe

Moliette ’e canna

Rana ’e canna

Rana ’e taula

Trunfa

Il sistema di classificazione degli strumenti musicali, elabo-rato nei primi decenni di questo secolo da Curt Sachs ed

Erich von Hornbostel facendo riferimento ai criteri tassono-mici del belga Mahillon, raggruppa gli strumenti in quattroclassi a seconda del modo in cui producono il suono. Gliidiofoni rappresentano quelli in cui il suono viene prodottodal corpo stesso dello strumento o da una sua parte (non èpossibile distinguere con precisione una parte vibrante e unarisonante). A loro volta gli idiofoni si suddividono in variesottoclassi e ordini che fanno riferimento alla forma, al modoin cui vengono suonati ecc.La classe degli idiofoni è variamente rappresentata in Sarde-gna e comprende tutti gli oggetti sonori rituali della Setti-mana Santa, alcuni giocattoli, le campane e i campanacci.Solo il triángulu, la trunfa, le campane e in un’area molto ri-stretta s’affuente hanno un utilizzo specificamente musicale,vengono cioè utilizzati da soli o in ensembles per eseguireritmi o melodie.Scorrendo rapidamente la lista degli idiofoni sardi troviamogli strumenti a percussione diretta (o concussione) come letaulittas o la canna isperrada il cui effetto sonoro è prodottodall’urto reciproco fra due parti dell’oggetto.Gli idiofoni a percussione indiretta, come il triángulu, i varitipi di matraccas e s’affuente, sono invece battuti con utensiliafoni come battagli o bacchette. Una sottoclasse a sé è costituita dagli idiofoni con strutturavascolare, ovvero a forma di vaso, come i vari tipi di campanee campanacci (campaneddas e sonazzos). Vengono invece defi-niti a percussione esterna gli strumenti in cui non si effettuaalcuna azione percussiva, ma questa avviene indirettamentecome conseguenza dello scuotimento dell’oggetto; un effettotipico dei sonagli e delle sonagliere, tra cui annoveriamo gliischiglittos, i campanacci usati dai mamuthones e la cannuga.Negli strumenti a raschiamento, come suggerisce il nome,l’effetto è prodotto dallo sfregamento delle parti che com-pongono lo strumento, di due noci o della canna nel furrianu-ghe e nel moliette ’e canna, di una linguetta su una rotelladentata nel caso delle ranas de canna e de taula.Unico strumento della categoria degli idiofoni a pizzico o lin-guafoni è la trunfa, il cui suono si ottiene pizzicando una sot-tile lamella d’acciaio montata su apposito telaio.

GLI IDIOFONI

18. Ottana, merdule e boe(foto Claudio Sorrenti)

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CROTALI

IDIOFONO

A PERCUSSIONE DIRETTA (O CONCUSSIONE) A PERCUSSIONE RECIPROCA

CROTALI DOPPI

Canna isperrada

• Dati generaliStrumento desuetoCarattere ritmicoCostruito generalmente da chi lo suonaOccasione indeterminata

• Area di attestazione Barbagia, Campidano di Cagliari, Logudoro

Canna stagionata di grandi dimensioni divisalongitudinalmente in due o quattro parti per quasitutta la sua lunghezza e infissa nel terreno. Il ventoprovocava così la percussione reciproca dellesezioni della canna il cui crepitio scacciava gliuccelli dai campi. Con il termine cannábida si indica invece una cannadi circa 50 centimetri di lunghezza, spaccata in dueper tre quarti della sua lunghezza. Tenendol’oggetto nella parte integra lo si batte nel palmodella mano procurando l’urto reciproco delle duesezioni della canna. Si usava quindi per ritmare la danza o come giocattoloinfantile.

‘Annábida (Oliena)Canna isperrada (Logudoro)Cannábida (Ploaghe)

Sciulia pillonisZaccarredda (Campidano)

36

BIBLIOGRAFIAVARGIU 1970: 498;VARGIU 1972: 31;VARGIU 1974: 31;DORE 1976: 207;SATTA 1985: 53-54

FONTI D’INFORMAZIONEGIOVANNI LONGONI (QUARTUSANT’ELENA);MICHELE PIRA (GAVOI)

TRACCIA CD: 2

CROTALI

IDIOFONO

A PERCUSSIONE DIRETTA (O CONCUSSIONE) A PERCUSSIONE RECIPROCA

CROTALI DOPPI A TAVOLETTA

Taulittas

• Dati generaliStrumento desueto Carattere ritmicoNon costruito generalmente da chi lo suonaOccasione determinata (Settimana Santa)

• Area di attestazione Quasi tutta la Sardegna

Lo strumento, noto in diverse regioni d’Italia cometric-trac, è costituito da tre tavolette di cui una, quellacentrale, con un’impugnatura che la rende simile ad untagliere da cucina; le altre, di forma rettangolare, sonoforate in prossimità di un lato minore. Queste tavolettesono incernierate a quella centrale appena sottol’impugnatura mediante un cordino o una correggiache passa attraverso i forellini. Poiché il legaccio viene tenuto lasco, le tavoletteesterne possono urtare alternativamente sulle facce

Matracca Mattutinu (Gallura)Réulas (camp., Barbagia, Dorgali)Reuledda (Ploaghe)TácculasTacculedda

Taubeddas (Campidano di Oristano)Tauleddas (log.)TaulittasTócculas (media valle del Tirso)Zaccarredda (Campidano di Cagliari)Zacculitas (Santulussurgiu)

dell’elemento centrale quando si agita lo strumento. Le taulittas si utilizzano principalmente nei giorni cheprecedono la Pasqua, insieme alle matraccas, insostituzione delle campane. In questa occasione siadoperavano anche altri congegni a percussionereciproca, come is tabeddas, utilizzate secondoGiovanni Dore a Zeddiani, Riola e Cabras: sempliciassicelle sciolte tenute tra le dita e fatte sbattere tra loro. L’oggetto poteva essere utilizzato anche per ritmarele danze: è il caso delle matraccheddas e delle taulittasdi Ploaghe e di Quartu Sant’Elena. Un impiegogiustificato dal fatto che in questo semplicissimostrumento si poteva controllare la percussione,contrariamente alle taulittas che invece produconoun crepitio continuo e regolare. Rimandano alla Settimana Santa anche gli strumentiimpropri de su mommodinu, il mattutino delletenebre, funzione liturgica nella quale per ricordarel’arresto di Gesù celebranti e fedeli facevano strepitopicchiando sui banchi o sui confessionali, pestando ipiedi su assi di legno (is taullonis) o ancora sbattendosassi l’uno contro l’altro, come a Gavoi.

BIBLIOGRAFIAPORRU 1832: 357;FARA 1940: 35-37;WAGNER 1960-64: II 88, 91,358, 459, 585;VARGIU 1970: 496-498;VARGIU 1972: 31;VARGIU 1974: 32;DORE 1976: 231, 251-252;GERMI 1977: 64;SATTA 1985: 64, 71;DORE 1988: 203;GUIZZI 1990: 47;TUCCI 1991: 63-64, 66;DORE 1992: 168-171;SPANU 1993: 165-171

FONTI D’INFORMAZIONEGIOVANNI LONGONI (QUARTUSANT’ELENA);MARCELLO MARRAS (GHILARZA);MICHELE PIRA (GAVOI)

TRACCIA CD: 1

19. Taulittas,cm 29 x 11,

costr. M. Pira, Gavoi

20. Canna isperrada(‘annábida, Oliena),cm 58, ø cm 2,costr. M. Pira, Gavoi

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Il cosiddetto triduo liturgico della Settimana Santa (giovedì,venerdì e sabato), oltre che per i sepolcri, gli (i)scravamen-tus/os un tempo universali nelle parrocchie sarde, e per le

processioni del venerdì, in altri tempi era pure caratterizzato dairiti e dai “giochi” non solo infantili degli strepiti, tipici di questoperiodo anche per la tipologia degli strumenti adoperati, quasisempre lignei.In certi paesi sardi infatti questo triduo era detto sas dies de sumommodinu, espressione che significa approssimativamente «igiorni dello strepito». Queste usanze sacre prevalentemente pa-raliturgiche si sono continuate verosimilmente dall’Alto Me-dioevo (epoca per la quale esistono molte e certe testimonianzeper diverse altre zone d’Europa) fino all’ultima riforma liturgicadel Concilio Vaticano Secondo.Su mommodinu è l’insieme dei rumori, che prima di tutto so-stituiscono il suono di campane e di campanelli. Questi stre-piti paraliturgici e i modi e le occasioni di esecuzione eranodiffusi in buona parte dell’Europa occidentale; essi avevanoun riscontro chiaro nella liturgia canonica laddove si indicavache i ministri e il popolo, al termine del cosiddetto “mattuti-no delle tenebre”, facessero strepito percuotendo confessio-nali, libri, inginocchiatoi, porte e soprattutto agitando i crepi-tacoli tipici dell’occasione, i sonus lignorum. Significativo èinfatti che in Gallura lo strumento sia liturgico sia profano,che altrove in Sardegna è detto ispanicamente matracca o al-trimenti in vari modi (log. taulittas, camp. ta(u)beddas), siadetto lu mattutinu. Gli strepiti avevano dunque un inizio e unsenso liturgico, con il buio e lo strepito prima del silenzioprepasquale dei suoni liturgici metallici, sostituiti da quelli li-gnei. Il gran rumore nel buio della chiesa al termine del “mat-tutino delle tenebre” era un momento di grande suggestione.Il crepitacolo anche liturgico più noto in Sardegna è il crotaloo battola (sa matracca o matráccula o táccula o strócculas): due otre tavolette fissate a snodo che fanno rumore urtandosi reci-procamente oppure una tavola di legno su cui sbattono dellemaniglie di ferro.Altrettanto diffusa era quella che in area campidanese è dettastrocciarranas (lett. «imita-rane»), in area logudorese rana ’e can-na («rana di canna») e altrove matracca a roda o furriolu o tirrio-lu o zaccarredda e così via: raganella, pezzo di legno o di cannain cui è alloggiata una ruota dentata che nel movimento rotato-rio produce rumore con lo sbattimento di una linguetta idio-

glottide. Questi tre tipi principali hanno nu-merose varianti e denominazioni locali,

ma solo i primi due sembra abbianoavuto anche un uso liturgico vero eproprio, per esempio in sostituzionedel campanello che sottolinea alcunimomenti del canone della messa.I ragazzini giravano per il paese fa-cendo strepito con questi e con più

rudimentali crepitacoli per chiamare i fedeli alle funzioni sa-cre, sostituendo così le campane mute e legate. Agli strepiti siaccompagnavano filastrocche ormai di difficile decifrazione,come questo brano mutilo raccolto a Guasila (Cagliari), che sicantava picchiando con bastoni un tronco che veniva trascina-to per le strade:Oi oi, mi ddu pappu tottu,No ndi lassu mancu unu spizzu...(«Oi oi, me lo mangio tutto,Non ne lascio neanche un frusto...»).Esse si cantavano solo in queste occasioni, che si ripetevano piùvolte al giorno dal giovedì al sabato: come per le campane, i toc-cos per invitare alle funzioni erano di solito in numero di tre e iragazzi avevano modo di scatenarsi a lungo in questa oscura mapiacevole ritualità.Bisogna notare una grande omogeneità storica e geografica diquesta usanza, poiché i riti sono più o meno simili e sostanzial-mente gli stessi in un’area che va dalla Francia alla Spagna, all’I-talia centrale e settentrionale e alla Sardegna. Molteplici sonoinvece i significati “emici”, cioè “spontanei” e locali.È ovvio che la Chiesa è riuscita più o meno efficacemente a im-porre il proprio controllo sul piano rituale sia sacro sia profano,ma che non altrettanto è riuscita a imporsi sul piano delle con-vinzioni e del pensiero.Oltre al senso tradizionale proposto dalla Chiesa, secondo cuigli strepiti in chiesa e fuori durante il triduo pasquale ricordanoquelli dei giudei e della soldataglia al momento dell’arresto diCristo o in altri momenti della sua passione e morte, ci sono an-che in Sardegna diverse “rielaborazioni”. In Sardegna come al-trove, del resto, la ritualità del battere si estende e si ripete furi-bonda fino al momento del Gloria della notte del Sabato Santo,quando nelle case soprattutto i piccoli battono dappertutto ne-gli ambienti domestici e negli annessi rustici.L’interpretazione più probabile e accreditata è che si trattasse diuna cristianizzazione parziale di più antichi rituali di espulsionedei mali, rituali tipici dei momenti di passaggio come quellocentrale annuo della Pasqua di Resurrezione, che a sua volta in-globa cristianizzandoli antichi riti agrari di primavera, garantidel raccolto. Si tratta sostanzialmente di un rito “magico”, dun-que, con l’attribuzione di poteri apotropaici al rumore, al batte-re e agli strumenti adoperati. In Sardegna si diceva spesso checosì facendo si scacciavano di casa i cattivi spiriti, e che comun-que tutto ciò serviva a proteggere la casa e i suoi abitanti, leprovviste, il raccolto, il bestiame.Del resto la cacciata degli spiriti maligni con la ritualità del bat-tere appartiene ancora al repertorio semantico e formale sia del-la cultura ecclesiastica sia della cultura popolare. Ambedue in-fatti condividono l’ideologia e la pratica dell’esorcismo, chetalvolta si pensa ancora oggi di risolvere attraverso le battituredi cose e di manufatti “posseduti” dal maligno, e anche del cor-po della persona che si ritenga posseduta.

38 39

TRIANGOLO

IDIOFONO

A PERCUSSIONE INDIRETTA

A BASTONI INDIPENDENTI(UNO AFONO, L’ALTRO SONORO)

Triángulu

• Dati generaliStrumento in usoCarattere ritmicoNon costruito generalmente da chi lo suonaOccasione indeterminata

• Area di attestazione Barbagia di Ollolai, media valle del Tirso

Come l’omologo strumento usato in orchestra, sutriángulu è costituito da una verga di metallo piegata a forma di triangolo equilatero con un vertice aperto;viene tenuto sospeso con una cordicella e si percuotecon una bacchetta metallica. Ma a differenza deltriangolo orchestrale, di metallo acciaioso, quello sardoè realizzato con ferro “dolce”, solitamente quelloimpiegato per le armature dei pilastri o per oggetti inferro battuto. Il vertice aperto è caratterizzato da unarricciamento esterno che contribuisce a determinarnela qualità del suono e l’intonazione. L’asta di ferro dacui viene ricavato lo strumento, della lunghezza dicirca 70 centimetri, si lavora con la forgia e l’incudineper darle la giusta angolazione e per piegare i riccioli.Si sotterra quindi il triangolo nella sabbia perconsentirne un raffreddamento lento e graduale. La bacchetta con cui si percuote lo strumento èanch’essa di ferro e può avere un manico in legno o una semplice piegatura ad anello. Su triángulu è uno strumento essenziale negli ensemblesdel centro Sardegna, insieme al pipaiolu (o al sulittu)all’organetto, al tamburo e allo scacciapensieri.

BIBLIOGRAFIAWAGNER 1960-64: II 462;DORE 1976: 165-167;GERMI 1977: 63;SATTA 1985: 70;DORE 1988: 202;GUIZZI 1990: 47

DISCOGRAFIAMUSICA SARDA 1973

FONTI D’INFORMAZIONEMARCELLO MARRAS (GHILARZA);TINO MEDDE (AIDOMAGGIORE);MICHELE PIRA (GAVOI);PIERGAVINO SEDDA (GAVOI)

TRACCIA CD: 14-15, 17, 20, 22,42, 46, 53

Gli strepiti del triduo pasqualeGiulio Angioni

22. Sassi de su mommodinu(Gavoi), ø cm 8 ca.

21. Triángulu (Gavoi),lato cm 29, bacchetta cm 25

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BATTOLE

IDIOFONO

A PERCUSSIONE INDIRETTA

A LASTRA PERCOSSA

A BATTAGLIO

TABELLA

Matracca

• Dati generaliStrumento in usoCarattere ritmicoNon costruito generalmente da chi lo suonaOccasione determinata (Settimana Santa)

• Area di attestazione Quasi tutta la Sardegna

È un congegno costituito da una tavola rettangolarein legno con un’apertura allungata in prossimità di unlato minore che ne consente l’impugnatura. Alla tavola,seguendo l’asse mediano longitudinale, sonoincernierati con lunghi chiodi ripiegati uno o duebattagli di ferro a forma di picchiotto o di anello.Questi, quando lo strumento viene energicamenteruotato in senso orario e antiorario, urtano contro latavola o contro la testa di grossi chiodi e strisce dilamiera disposti sul legno per impedirne il logorio e aumentare il volume sonoro. Si preferisce utilizzarelegni resistenti come il rovere o il castagno, ma poichéqueste varietà sono piuttosto pesanti da trasportare,

MatraccaMatraccasMatráccola Matráccula (Planargia)

MetrácculaStrócculas (sud) Táccula (centro-nord)Tráccula de battarzos (Gavoi)

BIBLIOGRAFIAPORRU 1832: 357, 556;SPANO 1851: 311, 387;FARA 1916-17: 164;FARA 1923a: 15;WAGNER 1960-64: II 88,435-436, 459;VARGIU 1970: 498;VARGIU 1972: 30-31;VARGIU 1974: 32;DORE 1976: 239-242;GERMI 1977: 64;DORE 1988: 203;GUIZZI 1990: 47;TUCCI 1991: 85-87;DORE 1992: 168-171;SPANU 1993: 165-171

FONTI D’INFORMAZIONEMARCELLO MARRAS (GHILARZA);MICHELE PIRA (GAVOI)

TRACCIA CD: 3

si adoperano spesso materiali più leggeri (come ilpioppo sardo o il faggio) opportunamente rinforzati. I battagli sono realizzati piegando a freddo una vergadi ferro a sezione circolare oppure vengonoriutilizzati vecchie maniglie o anelli per il bestiame.Non è raro trovare anche matraccas con impugnatureparticolari che hanno lo scopo di alleggerire la tavolanelle parti poco sonore. Questo strumento, come le battole della penisolaitaliana o le matracas spagnole, viene utilizzato neigiorni che precedono la Pasqua in sostituzione dellecampane e negli “strepiti” del Venerdì Santo.

24. Matracca (tráccula debattarzos, Gavoi), cm 22 x 40, costr. M. Pira, Gavoi

23. Particolare di matracca(tráccula de battarzos, Gavoi),costr. M. Pira, Gavoi

25. Matracca (Ghilarza), cm 23 x 57,costr. P. Marras, Ghilarza

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42 43

BATTOLE

IDIOFONO

A PERCUSSIONE INDIRETTA

A LASTRA PERCOSSA E A RASCHIAMENTO

TRACCOLA

Matracca a roda

• Dati generaliStrumento desuetoCarattere ritmicoNon costruito generalmente da chi lo suonaOccasione determinata (Settimana Santa)

• Area di attestazione Barbagia, media valle del Tirso

Strumento rituale della Settimana Santa conosciutonel continente italiano con il nome di traccola, ècostituito da una tavola rettangolare di legno sulla qualevengono disposte longitudinalmente due o tre strisce dilegno sottile ed elastico; un’estremità di queste lamelleè inchiodata mentre all’altro capo, libero, è fissato unmartelletto di legno. A loro volta le lamelle poggiano suuna ruota dentata o su quattro alette ortogonali solidaliad un perno che gira mosso da una manovella. L’effettosonoro dipende quindi dall’azione combinata dellaruota dentata che sollecita le lamelle e delle quattroalette che sollevano i martelletti facendoli ricaderepesantemente sulla tavola. Pertanto al raschiamentoprodotto dalla ruota dentata, caratteristico di strumenticome le raganelle, si aggiunge la percussione, tipicainvece di congegni fonici come le battole e i crotali,classe di strumenti di cui la matracca a roda può essereconsiderata l’elaborazione “meccanica”.

Matracca a roda (Ghilarza)Matráccula de battarzos (Gavoi)

Zirrioni (Gallura)

La matracca a roda è realizzata nelle parti soggette a maggiori sollecitazioni (ruota dentata, piroli, perno,manovella, guide ecc.) con essenze vegetali moltodure (fillirea, rovere), mentre per la tavola sipreferiscono legni con ampie venature (faggio o castagno). Le lamelle, che devono invece garantireelasticità e robustezza, sono generalmente realizzatein pioppo sardo o in faggio. In ogni caso la scelta del materiale non è determinante e, come per moltistrumenti popolari, si utilizzano i materiali di piùfacile reperibilità.

BIBLIOGRAFIAWAGNER 1960-64: II 88,435-436, 459;DORE 1976: 243-244;GERMI 1977: 64;DORE 1988: 203;GUIZZI 1990: 47;TUCCI 1991: 115-116;DORE 1992: 168-171

FONTI D’INFORMAZIONEMARCELLO MARRAS (GHILARZA);MICHELE PIRA (GAVOI)

TRACCIA CD: 4

26. Matracca a roda(matráccula de battarzos, Gavoi),cm 29 x 42, costr. M. Pira, Gavoi

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PIATTO SOSPESO

IDIOFONO

A PERCUSSIONE INDIRETTA

PIATTO PERCOSSO E RASCHIATO

Affuente

• Dati generaliStrumento desuetoCarattere prevalentemente ritmicoNon costruito generalmente da chi lo suonaOccasione vagamente determinata

• Area di attestazione Ghilarza, Ottana

AffoenteAffuentaAffuente

Piattu ’e rámeneSaffata

È uno strumento improprio, ossia non costruitoappositamente per realizzare suoni o rumori. Si trattainfatti di un piatto di metallo sbalzato (ottone orame) con una pronunciata concavità, utilizzato untempo nelle chiese rurali per raccogliere le offerte deifedeli o più genericamente come vassoio per riporre ichiodi del crocefisso nel rito della deposizione dallacroce (scravamentu) o, ancora, per posare gli oli sacrie i simboli sacramentali per l’amministrazione delbattesimo. Parallelamente a questo elevato uso rituale, venivaimpiegato nella musica tradizionale come strumentoa percussione e a raschiamento, e con questafunzione è attestato già nelle fonti ottocentesche. Con una grossa chiave si percuotevano infatti i bordidel piatto e si raschiava il fondo lavorato a sbalzo. È probabile che la percussione del piatto da parte del sagrestano per sollecitare il versamento dell’obolodei parrocchiani abbia suggerito un suo uso profanonell’accompagnamento della danza, come ancoraoggi si usa a Ghilarza; la tipica lavorazione a sbalzoben si prestava d’altronde alle figurazioni ritmichedella danza isolana.

BIBLIOGRAFIAANGIUS 1833-56:VI 193,VIII 37;DORE 1976: 173-174;DORE 1988: 202-203

FONTI D’INFORMAZIONEMARCELLO MARRAS (GHILARZA)

TRACCIA CD: 5

29. Chiave con cui si percuote s’affuente

27-28. Affuente,ø cm 39(Ottana,parrocchiale di S. Nicola)

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CAMPANE

IDIOFONO

A PERCUSSIONE CON STRUTTURA VASCOLARE

CAMPANA A BATTAGLIO

Campanas

• Dati generaliStrumento in usoCarattere ritmicoNon costruito generalmente da chi lo suonaOccasione indeterminata

• Area di attestazione Tutta la Sardegna

Comuni campane da campanile a battaglio interno,fissate ad un castello di legno con un’imbragatura diferro che passa attraverso due, quattro o sei bilichi. Le campane, di varie dimensioni, possono esseresuonate contemporaneamente dal campanaro il qualetiene i capi di due o tre corde che muovono altrettantibattagli. Questa tecnica consente di realizzare ritmiestremamente rapidi e vivaci (arrepiccu) in quanto ilcampanaro agisce direttamente sui battagli, mentre lacampana rimane sostanzialmente ferma. Le tecniche in uso in gran parte del continente prevedono invecel’oscillazione di tutta la campana e impediscono quindila realizzazione di figurazioni ritmiche elaborate. I segnali delle campane scandivano la vita civile ereligiosa dei centri rurali e cittadini e soprattutto nei

Campanas Cámpanas

BIBLIOGRAFIAPORRU 1832: 153, 533;ANGIUS 1833-56: II 436, 723,IX 151-174, XI 380;SPANO 1851: 141;GABRIEL 1954;WAGNER 1960-64: I 276, II 358;DORE 1976: 161-164, 171-172;GERMI 1977: 63;DORE 1988: 202;GUIZZI 1990: 46

FONTI D’INFORMAZIONEELVIO MELAS (ASSEMINI)

RIFERIMENTI FOTOGRAFICI:30-36

TRACCIA CD: 6-7

giorni festivi si esprimeva l’abilità dei campanari,capaci di realizzare complesse poliritmie, che talvoltaaccompagnavano anche le danze in piazza. Spesso campane di piccole dimensioni venivanodisposte in serie radialmente su una ruota di legnocollocata in alto nel presbiterio o nel coro dellechiese. Fatte girare per mezzo di una manovellamossa a sua volta da una cordicella, le régulas o rodas(questi erano i nomi del congegno) accompagnavanocon il loro festante scampanellio i momenti piùgioiosi dell’anno liturgico, primo fra tutti l’annunciodella Pasqua di Resurrezione.

nella pagina precedente:30. Campanile dellaparrocchiale di S. GiacomoMaggiore, Orosei (XVIII sec.)

in alto: 31. Campana, 1940,cm 39, ø cm 39, già in usonella chiesa di S. MicheleArcangelo, San Vero Milis

in basso: 32. Campanile a veladella chiesa di S. Leonardo,Masullas (metà XIII sec.)

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L e campane (is/sas campanas) nella tradizione sarda so-no stricto sensu strumenti sacri forse più che in generenel mondo cristiano europeo: servono principalmente

a produrre segnali acustici per le pratiche religiose e profa-ne e sono perciò collocate quasi esclusivamente nei campa-nili delle chiese urbane, dei villaggi e dei santuari campestri,singole o più spesso plurime: il numero di quattro o duecampane di diversa mole e suono è anche da collegarsi conil prevalere dei campanili urbani e paesani quadrangolari,mentre la singola campanella neisantuari campestri è da collegareal prevalere in questi santuari del-la forma del campanile a vela. So-no infatti rarissime in Sardegna letorri campanarie connesse conedifici non sacri.Le campane mandano dunque se-gnali sonori che servono a sacraliz-zare il tempo delle comunità par-rocchiali un po’ allo stesso modoin cui scandiscono il tempo dellavita conventuale. Anche nelle tra-dizioni devote popolari sarde sihanno preghiere che si recitano adeterminate ore del giorno all’invi-to della campana, specialmente al-l’alba, a mezzodì, la sera, momentispesso caratterizzati da modalità disuono distinte: così come più ingenerale differiscono, più o menocome dappertutto in Europa, i rin-tocchi delle campane a festa (arre-piccu ’e festa); a morto (toccu ’emortu) e prima ancora “a mori-bondo” (is/sas agonias); a messa(arrepiccu o toccu ’e missa), con ul-teriore distinzione tra messa alta ebassa, detta e cantata, spesso contoccos ripetuti, di solito tre volte; a gloria (campanas de gloria)nel momento apposito della messa: ed è solenne al massimo loscampanio a gloria della messa grande di Pasqua, dopo chedurante la Settimana Santa le campane hanno taciuto legate,sostituite dai tipici crepitacoli.Un campanaro di villaggio di media competenza doveva sa-per eseguire, avendo a disposizione di solito da due a quat-tro campane di differente intonazione, un paio di decine dirintocchi, che di solito comprendevano formule e cadenzeiniziali e finali: i segnali diventavano significativi soprattuttosfruttando le differenze di ritmo, gli assolo e la polifonia

dell’insieme di campane, creando brani la cui armonia e“contrappunto” sono paragonabili e studiabili in rapportoalla polifonia delle launeddas. Tutti nel paese sapevano de-codificare la più o meno grande varietà di segnali, a comin-ciare dalle grandi partizioni di stile tra feriale e festivo, e poianche tra sacro e profano, senza dimenticare i segni che an-nunciavano l’agonia di qualcuno invitando alla preghiera oaccompagnavano il corteo funebre in modo diverso da quel-lo delle altre processioni. Sul ritmo e le semplici melodie dei

vari rintocchi si sono improvvisa-te e tramandate varie composizio-ni poetiche serie e facete.Come dovunque, nelle cerimoniechiesastiche si usavano campanel-li e campanelle di varia grandezzae timbro, con manico o appese esuonate con cordicelle, che servi-vano a segnalare e scandire i mo-menti delle cerimonie paraliturgi-che di tradizione locale (sebbenenon necessariamente di origineautoctona), come è il caso de saré(g)ula (tintinnabula rotis), ruotada cui pendevano campanelle divario suono, fatta girare su unperno mediante un’asta o una cor-dicella.Si è accennato all’uso profano del-le campane, che in Sardegna si li-mitava quasi solo all’allarme perpericoli eccezionali, negli ultimisecoli specialmente per il fuocoestivo; anche qui i rintocchi hannodi solito la monotona e insistenteripetitività “a martello” (toccu ’efogu) e significavano in questo ca-so che tutti i maschi validi doveva-no recarsi sul luogo dell’incendio.

Ma per usi profani sono da segnalare soprattutto campa-nelle e campanacci, specialmente per gli animali da lavoro eda allevamento: buoi, cavalli, pecore e capre. Se per le pe-core e le capre i campanacci (camp. pittiolus, camp. e log.sonallu o sonazzu/a o tracca o matracca e altre denominazio-ni) sono simili o identici, le campanelle (campaneddas) deibuoi da lavoro e da armento si distinguono – per la tipicaforma a campana – dalle sonagliere (camp. arrullonis), ton-di con fenditure e con all’interno una pallina di metallo, edai campanelli dei cavalli e dei somari, solo più piccoli diquelli dei cavalli, detti in camp. trillitus e in log. sonaggiolos

Le campaneGiulio Angioni

48 49

33-34. Campanaro (Elvio Usala)all’opera nel campanile

della parrocchiale di S. Pietro,Assemini

35. Régula (roda),coro della parrocchiale

di S. Sofia, San Vero Milis

nella pagina successiva:36. Carmelo Floris,

Il campanaro di Sant’Antioco,1955, acquaforte,

cm 17,6 x 12,5

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o ischiglittos, con i quali si ornavano gli equinispecialmente nelle grandi occasioni.Su ferru è l’insieme dei sonagli del gregge, dacui ferra(re/i), che significa mettere sonagliadatti ai vari capi. Ogni sonaglio si appende alcollo con una collana o utturada, che si aggan-cia nella parte superiore con una fibbia o tsib-bia: il campanaccio, di forma tondeggiante oquadrangolare e più o meno grande, pendeattaccato alla collana.Ogni sonallu ha un battaggiu o trattallu o li-mazzu (battaglio, d’osso o di ferro). Siccome ilpastore deve essere in grado di distinguere lesue pecore anche al buio dal suono dei varicampanacci, quasi ogni pecora (e quasi ogniagnello, qualche volta) ha un sonaglio con unsuo particolare suono. Ci sono sonagli di variaforma, più o meno tendente a essere cilindricao sferica, e acquistano un nome comune a se-conda del diametro della bocca. Salendo daipiù piccoli ai più grandi si hanno le seguentiqualità di pittiolus o sonallus, secondo le de-nominazioni più comuni in area linguisticacampidanese: grillu, piccolissimo sonaglio dalsuono molto acuto, il più minuto, di un paiodi centimetri di diametro; cincuinu, sonagliodi cinque centimetri circa; séttinu, sonaglio disette centimetri circa; dezinu, sonaglio di diecicentimetri circa; cuindizinu, sonaglio di quin-dici centimetri circa; bintinu, sonaglio di venticentimetri circa. Ce ne sono a volte anche dipiù grandi, specialmente per l’ariete capo ecastrato (mascu sana(d)u). Una distinzione ab-bastanza comune è quella in base alla quale sidenomina sonallu solamente un grande sona-glio di circa venti centimetri che si appende alcollo del caprone, che viene detto appuntocrabu de sonallu («capro di sonaglio»), e si de-nominano invece genericamente pittiolus o pi-taiolos tutti gli altri sonagli più piccoli. Il pasto-re non solo riconosce di solito ogni sua bestiadal suono del rispettivo campanaccio, ma so-prattutto sa riconoscere a distanza il suonocomplessivo di tutti i suoicampanacci in armonia, ilsuono de su ferru («delferro») del suo gregge elo sa distinguere bene erapidamente da quello ditutti gli altri. Durante lacustodia notturna sa valu-tare con precisione la di-stanza presa nelle erranzedel pascolo dal suo gregge eda quelli di eventuali vi-cini e anche la dislo-cazione nel pascolo

delle varie bestie eventualmente isolate e soli-tarie. Inoltre su ferru invernale si distingue daquello estivo perché quest’ultimo è più fitto,dato che d’estate il pascolo è quasi solo not-turno. Il furto dei sonagli è perciò rischioso echiaramente offensivo. Un pastore può facil-mente riconoscere il suono, anche contraffat-to, del complesso dei sonagli del suo gregge edei singoli capi. I ladri di sonagli sono partico-larmente disprezzati, così come vengono can-zonati i pastori che ne sono vittime perché cosìmostrano di non saper decifrare con esattezzai suoni de su ferru del loro gregge. La compo-nente estetica de su ferru è molto forte.La località più nota per i produttori di campa-nacci è Tonara, dove si denominano ancora inbase al loro prezzo.La tradizione vuole che le campane non si suo-nino durante i temporali, così come vuole chenella cura musicoterapeutica dell’argia, mentreil malato è sepolto nel letame, gli si danzi in-torno al ritmo di campanacci, che sono ancheun elemento importante in molti carnevali sar-di, a cominciare dai mamuthones di Mamoia-da. Campanelli d’argento si usavano nei ritiagrari del calendimaggio e si regalavano aineonati come scacciamali. Campanelle e cam-panacci rientrano anche nelle varie forme di“charivari” (sonanza o corredda o fagher sos so-nos), strepiti di disapprovazione pubblica ri-tualizzata come nel caso di matrimoni insoliti,di vedovi o di coppie di età o condizione mol-to diversa. Campane e campanelli erano ancheusati come strumenti per accompagnare i balli,da soli o con altri strumenti, ma si ricordanoanche località e occasioni dove si ballava sulsagrato al ritmo de s’arrepiccu dei sacri bronzi.

BIBLIOGRAFIAPORRU 1832: 153, 533;ANGIUS 1833-56: XII 772;WAGNER 1960-64: I 231, 276;DORE 1976: 225-226;GERMI 1977: 63;SATTA 1985: 74;DORE 1988: 203;GUIZZI 1990: 47

Campanelle d’ottone a forma conica di variedimensioni, ottenute con la fusione del metallo inappositi stampi. Il battaglio è costituito da unabarretta di metallo o da una sfera appesa all’internodella campana con un fil di ferro mentre la superficieesterna appare spesso decorata in rilievo o riporta unnumero che indica la “misura” della campana. Non si ha notizia nell’Isola di officine per la lororealizzazione per cui si suppone che in passato, come peraltro ancora oggi, le campaneddas ladas, cioè con l’imboccatura larga, venissero importate dal continente. Dal suono particolarmente squillante, venivanoappese al collo di buoi o cavalli con collari di pelle o di tessuto (giucuneras, collanas ecc.) specialmentenei giorni di festa. Avevano evidentemente unafunzione apotropaica ed augurale, e ciò è confermatodal fatto che in molte località della Sardegna ilpadrino era solito regalare una campanella alfiglioccio in occasione del battesimo.

CAMPANE

IDIOFONO

A PERCUSSIONE CON STRUTTURA VASCOLARE

CAMPANA A BATTAGLIO

Campaneddas ladas

• Dati generaliStrumento in usoOggetto sonoroOccasione indeterminata

• Area di attestazioneQuasi tutta la Sardegna

Brunzas (gall., log. sett.)Brunzinas (Nule)Campaneddas ladas (Marghine,Montiferru, Planargia)

Campaneddas (Logudoro,Nuorese)Ischiglias (log.)PittiolusStriglias

37. Campaneddas ladascon collare, cm 5;

senza, cm 6

50 51

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CAMPANE

IDIOFONO

A PERCUSSIONE CON STRUTTURA VASCOLARE

CAMPANA A BATTAGLIO

Sonazzos

Brunza (gall., log. sett.)Brunzina (Nule)Cossa (Meilogu)GrilliGrilliedduIschiglia (Logudoro)MarrazzosMarrazzu (Bitti, Orune)MatraccaPittiolu SchidigossiSonazza (Planargia)Sonazzu (Nuoro, Orosei, Posada)

SonázzulaSonaggia (Fonni)Sonaggiola (Campidano)Sonaiolu (Campidano)SonalluSonazzosSonorza (Macomer)Su ferru Sunaioru (Sassari)TrinituTrinneddu (Logudoro)Trinnitu (Gairo)

52 53

BIBLIOGRAFIAPORRU 1832: 533;ANGIUS 1833-56: II 407;SPANO 1851: 273;WAGNER 1960-64: I 231, II 426,486, 656;VARGIU 1970: 497-498;VARGIU 1972: 30;VARGIU 1974: 30-31;CARTA 1978-79;PILIA 1986: 115-116;ANGIONI 1989: 18

FONTI D’INFORMAZIONETONINO SULIS (TONARA)

RIFERIMENTI FOTOGRAFICI:38-39

si deve quindi ad un’antica cultura artigianale che hatrovato nel paese di Tonara il centro di maggioresviluppo e dove ancora oggi alcune famiglie disonaggiargios si dedicano a questa antica e forse un po’anacronistica attività. Si contano tre tipologie principali di campanacci:cuartesa (di forma tonda, utilizzato soprattutto inCampidano), narboliesa (di forma allungata e stretta) e cóssasa (di forma quadra e diffuso nel settentrionedell’Isola). Gli elementi costitutivi comuni a tutte e trele forme sono: la sagoma vascolare della campana conl’apertura inferiore uguale o più stretta della calottasuperiore, l’occhiello per sospendere la campana alcollare (arcu ’e susu o mániga), l’anello interno chesostiene il battaglio (arcu ’e intru), il battaglio (limazzu),le graffette di rinforzo della saldatura (napos). La lavorazione si articola in varie fasi: la misurazione e il taglio della latta, il suo pestaggio all’interno di unaapposita forma di pietra (per dare la giusta convessitàalla campana), la piegatura, l’accostamento delle duevalve, la saldatura, la foratura con un punzone (perinserire i vari anelli di aggancio), la “prima aggiunta”(inserimento de s’arcu ’e susu, che nei campanacci dipiccole dimensioni permette anche la creazionedell’anello interno), la “seconda aggiunta” (inserimentode s’arcu ’e intru), la “terza aggiunta” (bloccaggio delledue valve mediante una graffetta), l’intonazione (sisaggia il suono e si intona con piccoli colpi di martello),la “quarta aggiunta” (inserimento del battaglio). Si passa quindi alla placcatura: i campanacci vengonodisposti in un crogiuolo di grafite e si inserisce inciascuno di essi un pezzetto di ottone. Si chiude il

recipiente con un coperchio di latta, si ricopre il tuttocon uno strato di argilla e si mette in una fucina/fornocon carboni ardenti. Quando l’ottone è fuso si toglie il crogiuolo dal fuoco e si muove avanti e indietrodurante lo sfreddamento del metallo. Quindi sirimuove il coperchio e si estraggono i campanacci. Oltre che per la forma, i campanacci vengonoclassificati anche in base alla dimensione che fariferimento al loro prezzo di una volta: pittiolu ’e tre, ’e battor, ’e chimbe soddos, detto anche chimina(campanaccio di tre, quattro, cinque soldi o cinquina). Il tipo a forma tonda (cuartesa) viene invece classificatodiversamente: partendo dalle misure più grandi si ha su sonaggiu mannu, su binnighinu (da quindici soldi), su deghinu (da dieci soldi), su settineddu o pittiolu ’epezz’e mesu (da dieci soldi, o da un “reale” e mezzo), ecosì via fino al pittiolu ’e mesu pezza (da mezzo “reale”). Denominazione ancora diversa hanno i campanacci“narboliesi”, caratterizzati dalla forma allungata, in cui,oltre all’indicazione del prezzo, viene aggiuntol’aggettivo longa (lunga). La varietà più grande vienechiamata tipu Sindia perché utilizzata prevalentementenella zona di Sindia, mentre quella più piccola èchiamata tracazzolu (o grilli o trinitu o grillieddu). Il tipo a sezione quadrangolare assume unadenominazione diversa per aree geografiche differenti,indipendentemente dalla dimensione: a Tonara sichiama tracca, nel Nuorese matracca, a Fonni, Bitti, Lulae nel Sassarese metalla, in Gallura schidigossi, nellaCostera marrazzu.

CAMPANE

38. Sonazzos di vari tipi e dimensioni, da sinistra:trinitu, pittioleddu e pittiolu’e chime del tipo pittioloslongos; piottolu ’e chime, deduos soddos (de mesu pezza)e de tre soddos del tipopittiolos tundos; sesina,settina e deghinu del tipotraccas, costr. T. Sulis e figli,Tonara

• Dati generaliStrumento in usoOggetto sonoroOccasione indeterminata

• Area di attestazioneTutta la Sardegna

I campanacci non hanno destinazione propriamentemusicale ma servono in primo luogo per segnalare aipastori la presenza delle greggi ed allo stesso tempo perevitare la dispersione delle bestie. Come si vedrà inseguito, in occasione del carnevale vengono ancheutilizzati dall’uomo come veri e propri strumentimusicali. Ma anche se così non fosse, il loro inserimentoin un volume sugli strumenti musicali è pienamentegiustificato dall’estrema cura e dalla competenza“musicale” con cui vengono realizzati: non sono deirozzi ferri quelli che l’allevatore lega al collo dei suoianimali, ma veri e propri strumenti perfettamenteaccordati, una componente essenziale del paesaggiosonoro dell’Isola. La produzione dei campanacci di latta

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s. Estrazione del crogiuolo dal fornot. Agitamento del crogiuolo per evitare che

sfreddandosi le campane si attacchino tra lorou. Apertura del crogiuolo ed estrazione dei campanacciv. Sonazzos a lavorazione ultimata

f. Taglio de s’arcu ’e susug. Inserimento de s’arcu ’e susu

h. Inserimento de s’arcu ’e intru (sostegnodel battaglio) fissato internamenteripiegando le estremità de s’arcu ’e susu

i. Intonazione

a. Taglio della lamierab. Battitura nella forma di pietrac. Rifinitura della convessità nella forma

di ferro

d. Piegatura delle valvee. Apertura dei fori per l’inserimento de

s’arcu ’e susu (sostegno per legare ilcampanaccio al collare degli animali)

l. Inserimento del battagliom. Prova dello strumenton. Sistemazione nel crogiuolo di grafite e riempimento

degli spazi residui con segatura

o. Inserimento nei campanacci di unpezzetto di lega metallica (ottone)

p. Copertura con un coperchio di lattaq. Ulteriore copertura con argillar. Inserimento nel forno di fusione

39 a-v. Fasi di costruzione dei sonazzos (T. Sulis, Tonara)

a

b

c

d

e

f g h i l

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n

o

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q

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r s

t

5554

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BIBLIOGRAFIAPORRU 1832: 533;ANGIUS 1833-56: IV 231;SPANO 1851: 273;WAGNER 1960-64: I 231,II 426, 656;VARGIU 1970: 498;VARGIU 1972: 31;VARGIU 1974: 30;DORE 1976: 227;GERMI 1977: 63;SATTA 1985: 62-63;DORE 1988: 203

SONAGLIERE

IDIOFONO

A PERCUSSIONE ESTERNA

A SCUOTIMENTO (SONAGLIERA) SONAGLI GLOBULARI

Ischiglittos

• Dati generaliStrumento in usoOggetto sonoroOccasione indeterminata

• Area di attestazione Tutta la Sardegna

Comuni sonagli di forma sferica in ottone, bronzo o ferro nichelato il cui suono è prodotto dal tintinniodi una pallina o di un pezzetto di metallo. Il corpo èricavato da due semisfere incastrate e ribattute suibordi, saldate o anche fuse in un unico blocco. La parte superiore presenta un anello che neconsente la sospensione, mentre nella semisferainferiore si aprono due o più fori, fino a un massimodi sei. La pallina all’interno è quindi libera dimuoversi con lo scuotimento degli ischiglittos. Utilizzati come sonagliere, vengono quindi cuciti inserie nei collari di cuoio o di tessuti pregiati (collanas,giucuneras, arrullonis) che adornano i cavalli daparata. Per il loro valore apotropaico campanelli dipiccole dimensioni, con vari supporti e realizzati inmetalli pregiati, venivano appesi anticamente alleculle dei bambini.

Brunzas (gall., log. sett.)CampaneddasIschiglias (log.)Ischiglias de caddu (log.)Ischiglittos (log.)Ischinchiglias (Bonorva)Pitaiolos

PittiolusSonaggiolos (Logudoro)Sonaiolos (Logudoro)StrigliasTrillitus (Campidano) Trinneddus (Logudoro)Trinnittus (Gairo)

45. Conchiglia (Cypraeapantherina) con campanelli montati

su un supporto in argento

44. Collana (collare percavalli) con ischiglittos

(Samugheo)

40. Giucunera (collare percavalli) con ischiglittos(Sassari, gremiodei Viandanti)

41-43. Nuoro, cavalli conischiglittos(foto Salvatore Ligios)

56 57

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SONAGLIERE

IDIOFONO

A PERCUSSIONE ESTERNA

A SCUOTIMENTO (SONAGLIERA) SONAGLI VASCOLARI SOSPESI E CON BATTAGLIO INTERNO

Campanacci dei mamuthones

46-47. Mamoiada, mamuthones(a sinistra: foto Pablo Volta;

a destra: foto Salvatore Ligios)

Mamuthones (Mamoiada) Mamuzzones (Samugheo)

Merdules-Boes (Ottana) Thurpos (Orotelli)

• Dati generaliStrumento in usoCarattere ritmicoNon costruito generalmente da chi lo suonaOccasione determinata (carnevale)

• Area di attestazione Mamoiada, Orotelli, Ottana, Samugheo

Con il termine mamuthones, le ben note mascherecarnevalesche di Mamoiada, intendiamo anche formeanaloghe di mascheramento, che oltre al riferimentoal “selvatico” e al demoniaco hanno in comune, perquanto ci riguarda, l’impiego di sonagliere. Vannoricordati infatti i thurpos di Orotelli, la coppiamerdules-boes di Ottana e i mamuzzones diSamugheo, una maschera in disuso e recentementericostruita. Da un punto di vista organologico i campanacci usatida queste maschere non differiscono da quelli appesial collo degli animali, catalogati in questo volumesotto il nome di sonazzos, campaneddas ladas oischiglittos e che uniti alle pelli, alle maschere orrideo all’annerimento della faccia, rimandano ad unmondo oscuro, ferino, che apotropaicamente si vuolerievocare nel carnevale.

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Nel caso dei mamuthones di Mamoiada, si tratta diimbragature di cuoio a cui si fissano sonazzos ecampaneddas ladas di varie dimensioni che pendonorispettivamente sulle spalle e sul petto delle personecoperte dalla mastruca, una veste senza manichericavata da una pelle di pecora nera. I mamuthonesincedono lentamente marcando il passo con unbrusco movimento del torso che produce un seccorumore di ferraglia. Sos issocadores, le maschere cheinvece hanno il compito di condurre la processioneritmata dei mamuthones, portano a tracolla unacintura di pelle da cui pende una serie di campanelleo ischiglittos. Una sonagliera a cintura da cui pendono sonazzos e campaneddas ladas caratterizza anche la maschera dei thurpos di Orotelli, i quali, vestiti con uno scurocappotto d’orbace, senza maschera ma semplicementeincappucciati e con il viso annerito con la fuliggine,mimano il giogo di buoi impegnati nell’aratura.

48-49. Mamoiada,mamuthone (in alto)e issocadore (in basso)

BIBLIOGRAFIAMARCHI 1951: 1354-1361;MORETTI 1954: 179;ALZIATOR 1957: 78;PESCE 1957: 29-34;WAGNER 1960-64: II 61-62;DORE 1976: 221-223;SATTA 1985: 72-73;PIQUEREDDU 1987: 263-287;DORE 1988: 203;PIQUEREDDU 1989: 15-70;ATZORI 1990: 7-20;GUIZZI 1990: 47;TURCHI 1992: 188-207

DISCOGRAFIAMUSICA SARDA 1973

RIFERIMENTI FOTOGRAFICI:6, 18, 46-53

TRACCIA CD: 8

50-51. Orotelli, thurposaggiogati (in alto) e thurpos che mimanol’aratura (in basso)

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In queste maschere, come negli issocadores diMamoiada, le campanelle sono distanziate eproducono un suono piuttosto squillante, mentre neimamuthones il suono viene prodotto sia dal battagliointerno alle campane, sia dall’urto reciproco diqueste, legate a grappoli, aggiungendo pertanto allapercussione del battaglio l’effetto della concussione. Lo stesso effetto esprimono i boes (buoi) di Ottana.Questi ultimi sono vestiti con pelli bianche (o piùraramente scure) e con maschere taurine e portanosonagliere analoghe a quelle dei mamuthones, ma a differenza di queste non sono disposte su unaapposita imbragatura e pendono a grappolo su unacinghia di cuoio tenuta a tracolla. Anche qui ci sonoi merdules ossia i bovari che con un lungo laccio e la frusta conducono i boes. Il loro abbigliamento nonè molto dissimile da quello dei boes: hanno infatti lamastruca e la maschera taurina, ma non hanno isonagli, l’elemento che inequivocabilmente devedistinguere l’uomo dalla bestia. Forme di travestimento analoghe ai mamuthonessono attestate nell’antichità e si ritrovano ancora oggipresso alcune popolazioni del Mediterraneo orientalee della Tracia.

52-53. Ottana, merdules e boes

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BIBLIOGRAFIAWAGNER 1960-64: I 409-410;NAITZA 1987: 228-237;TUCCI 1991: 96-97

FONTI D’INFORMAZIONEMICHELE PIRA (GAVOI)

TRACCIA CD: 9

Con cannuga, ‘annucra o analoghe varianti dialettali si indica in Sardegna la conocchia o rocca per filare lalana. Questa infatti era la funzione primaria dell’oggetto,alla quale occasionalmente potevano aggiungersi qualitàsonore. La struttura, molto semplice, è data da un fustonel quale venivano realizzati in vario modo appigli perfermare il pennecchio di lana da filare. Nel Campidano erano diffuse le cannugas di cannacomune: una sezione di questo materiale, ancoraverde, veniva intagliata longitudinalmentenell’internodo centrale in modo da ottenere diverselamelle. Poiché la canna era fresca, tali lamellepotevano essere distanziate da sottili cannucce con leestremità tagliate a coda di rondine. La parte centraledell’oggetto assumeva così la forma di un doppiocono con le basi coincidenti. Venivano quindi infilatiin quelle cannucce anelli di canna mentre nella partesuperiore della rocca, con sottili lamelle delmedesimo materiale, si realizzava un alloggiamento di forma sferica schiacciata a spicchi in cui simettevano alcuni semi o sassolini. Una volta essiccatala canna (spesso finemente decorata con intagli opirografie) i sassolini o i semi e gli anelli producevanoun fievole crepitio quando l’oggetto veniva scosso. Non molto dissimile la struttura della conocchiasonora in legno, in cui ovviamente la resistenza delmateriale di costruzione consentiva maggiori“virtuosismi” artigianali. Il fusto veniva infattiintagliato e la parte centrale di forma ovoidale o ogivale, realizzata con sottili lamelle di legnotraforate, consentiva di impigliare la lana grezza o il lino nei suoi interstizi. L’effetto sonoro anche qui

SONAGLI

IDIOFONO

A PERCUSSIONE ESTERNA

A SCUOTIMENTO

SONAGLIO GLOBULARE

Cannuga

• Dati generaliStrumento desuetoOggetto sonoroNon costruito generalmente da chi lo suonaOccasione indeterminata

• Area di attestazione Barigadu, Gavoi, San Vero Milis, Sassarese

‘Annucra (Gavoi, Olzai)Cannuga (camp., log.)Cannugra (log.)Crannuga (Nuoro, Santulussurgiu)

CronucaCrunucca (Fonni)Cunucra (Bitti)

derivava dall’urto di alcuni sassolini con le pareti di un piccolo alloggiamento sferoidale realizzatonella parte superiore. Molto più elementare sa ‘annucra di Gavoi: su unfusto di circa 30-35 centimetri si innestano inapposite scanalature varie lamelle di legno di glicineper formare una specie di sfera. Dopo averintrodotto alcuni sassolini o semi in questaprotuberanza, la si ricopre con una vescica d’agnello,che essiccando aderisce all’alloggiamento sferoidale.

Si passa quindi alla lavorazione del fusto, solitamentein legno di nocciolo o fillirea, in cui si intagliano conla lama del coltello motivi ornamentali. Questi oggetti di uso comune, resi sonori,assumevano una serie di valori simbolici: il rumoreprodotto dallo scuotimento dei sassolini aveva unvago significato apotropaico, come per molti sonaglipopolari, mentre le decorazioni che impreziosivano il manufatto facevano di questo oggetto un affettuosoomaggio dei giovani alle loro fidanzate.

54. Cannuga di canna(San Vero Milis),

cm 35,inizi del Novecento

55-56. Cannugas(‘annucras, Gavoi),

cm 32; cm 31

57. Cannuga di legno, cm 33

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G iocattolo sonoro costituito da due gusci di noceattraversati da un’assicella di legno; uno dei due gusciè lasciato integro ed è solidale all’assicella; l’altro,opportunamente svuotato, ne consente la liberarotazione al suo interno. Nella parete di questosecondo guscio si pratica un piccolo foro in cui passauno spago fissato al bastoncino. Un legnettotrasversale annodato nell’altro capo ne facilita la presa. Dopo aver arrotolato il filo attorno all’assicella,tenendo fra le dita il guscio inferiore, si tira lacordicella allentando immediatamente la tensione.Questa trazione imprime un movimento rotatorioalla noce superiore che funge da volanoproseguendo la rotazione per inerzia eriavvolgendo la cordicella. Si torna cosìautomaticamente al punto di partenza con lacordicella pronta per essere nuovamente tirata. Una rapida successione dei movimenti sopradescritti produce la frizione delle duenoci e un debole ticchettio che ricorda ilrumore della macchina per cucire.Naturalmente il risultato sonoro dellarotazione rappresentava un effettosecondario di questo giocattolo, che

piuttosto divertiva i bambini per il meccanismo della rotazione “automatica” del congegno. Erainoltre un passatempo molto pratico che per ledimensioni ridotte poteva essere agevolmente tenutoin tasca, a meno che, per aumentare la velocità e laforza della rotazione, non si applicasse nella parteinferiore un secondo e più efficace volano fatto conun disco di sughero. A Gavoi, inoltre, si usava inserire all’interno dellenoci svuotate dei semini o dei fagioli secchi che nearricchivano l’effetto sonoro.

66 67

GIOCATTOLI A SFREGAMENTO

IDIOFONO

A RASCHIAMENTO

A SFREGAMENTO RECIPROCO

Furrianughe

• Dati generaliStrumento desuetoGiocattolo musicaleCostruito generalmente da chi lo suonaOccasione indeterminata

• Area di attestazione Barbagie, Mandrolisai, media valle del Tirso

Ciarra-ciarra (Belvì)Furrianughe (Canales)Furriottu (Planargia)

Fusu de nuxi (Campidano)Fuxi de noxi (Campidano)‘Urriaiola (Gavoi)

BIBLIOGRAFIAFARA 1915: 164-166;FARA 1923a: 14;FARA 1940: 34-35;WAGNER 1960-64: I 561;DORE 1976: 195-196;SATTA 1985: 56-57;DORE 1988: 203

FONTI D’INFORMAZIONEMICHELE LOI (ULA TIRSO);MARCELLO MARRAS (GHILARZA);MICHELE PIRA (GAVOI)

TRACCIA CD: 10

59. Furrianughe (‘urriaiola,Gavoi), cm 7,

costr. M. Pira, Gavoi

60. Furrianughe(fusu de nuxi, Campidano), da FARA 1940: tav. II

61-62. Furrianughes(‘urriaiolas, Gavoi)con base in sughero, cm 11, ø base cm 6,5;cm 17,5, ø base cm 7;costr. M. Pira, Gavoi

58. Furrianughe,cm 12,

costr. M. Loi, Ula Tirso

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64. Rana ’e canna(zaccarredda),da FARA 1940: tav. I

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CONGEGNI A RUOTA DENTATA

IDIOFONO

A RASCHIAMENTO

RUOTE A RASCHIAMENTO

Rana ’e canna

Arranedda (Escalaplano, Sarrabus)ChígulaFurriadolzaFurriaiola (Bitti)Fúrriga (Villagrande Strisaili)FurriolaFurriolu (Santulussurgiu)Orriaiola (Orosei)Rana (Planargia)Rana ’e cannaRaneddaRéula (camp.,Bitti,Dorgali,Nuoro)

Reuledda (Ploaghe)Riu-rauScoccia arranaStracciarranaStroccia-rana Strocci arrana (Campidano)Tirriola (Marghine)Tirriolu‘Urriaiola (Gavoi, Siniscola)ZaccarreddaZirriaiolu ’e canna (Ghilarza)Zirriola (Gallura)

68

GIOCATTOLI A SFREGAMENTO

IDIOFONO

A RASCHIAMENTO

A SFREGAMENTO RECIPROCO

Moliette ’e canna

• Dati generaliStrumento desuetoOggetto sonoroCostruito generalmente da chi lo suonaOccasione indeterminata

• Area di attestazione Quasi tutta la Sardegna

L’effetto del raschiamento tra due superfici ruvide sievidenzia anche nel moliette ’e canna (elica di canna).Una sezione di canna con due rudimentali pale dicartone o di latta alle estremità e forata al centroruotava su un perno infisso all’estremità di un’altracanna o ricavato, negli oggetti di piccole dimensioni,dalla stessa canna assottigliata con il coltello fino adottenere una sottile punta. L’elica era dunqueperpendicolare all’asse di rotazione, ossia alla cannatenuta in posizione verticale mediante un basamento o infissa nel terreno. Mossa dal vento, la superficieinferiore della pala raschiava contro la base del perno e produceva un ticchettio caratteristico. Gli oggetti di piccole dimensioni erano costruiti per il divertimento dei bambini, mentre eliche più grandivenivano innalzate nei campi per allontanare gli uccellicon il rumore, ma anche, è evidente, con il movimentocontinuo delle pale.

Ispoladore (Ploaghe)Moliette ’e canna (Logudoro)

Trotoledda (Campidano)

BIBLIOGRAFIAVARGIU 1970: 498;VARGIU 1972: 31;VARGIU 1974: 31;DORE 1976: 205-206;SATTA 1985: 66

BIBLIOGRAFIAFARA 1915: 162-164;FARA 1923a: 15;FARA 1940: 33-34;WAGNER 1960-64: I 335,561, II 336, 351;VARGIU 1970: 498;VARGIU 1972: 30;VARGIU 1974: 31-32;DORE 1976: 247-250;GERMI 1977: 63;DORE 1988: 203;GUIZZI 1990: 47;TUCCI 1991: 115, 131

FONTI D’INFORMAZIONEMARCELLO MARRAS (GHILARZA);MICHELE PIRA (GAVOI)

TRACCIA CD: 11

• Dati generaliStrumento desuetoCarattere indeterminatoCostruito generalmente da chi lo suonaOccasione vagamente determinata

• Area di attestazione Quasi tutta la Sardegna

Sezione di canna comune stagionata che comprendeuno o due internodi in cui, dentro un appositoalloggiamento rettangolare prossimo ad una delle dueestremità, si inserisce una rotella dentata di legno.Questa rotella, tenuta al centro del foro mediante unperno di legno (che allungato da una parte funge ancheda impugnatura), tocca una lamella (limbazzu) escissanella parete della canna. Quando si imprime alcongegno un movimento rotatorio, la rotella raschiacontro la linguetta di canna producendo un persistentee secco crepitio. La rotazione è favorita dalcontrappeso costituito dalla porzione di cannaeccentrica rispetto all’asse. La ruota è realizzata conlegni molto duri come rovere o noce mentre ilperno/manico è costruito in corbezzolo, una varietà di legno che si presta per la sua corteccia scura e lapolpa chiara a realizzare facili decorazioni ad intaglio. Questo congegno sonoro, oltre che come giocattolo,veniva usato negli “strepiti” della Settimana Santainsieme alle matraccas e alle taulittas.

63. Rana ’e canna,cm 46,

costr. M. Pira, Gavoi

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A ltrimenti noto con il nome di scacciapensieri, è dato da una sottile lamina d’acciaio fissata al centro di un telaio di metallo che ricorda la sagoma di unacipolla. Il tondino di ferro di cui è costituito il telaio ha le due estremità che, assottigliandosi, corronoparallelamente alla lamina e servono a trattenere lostrumento tra i denti in modo da poter sollecitare lalinguetta d’acciaio con la parte interna del pollice. Per facilitare quest’operazione la linguetta, piegataall’esterno ad angolo retto, termina con unassottigliamento e un ricciolo aperto o chiuso ad anello.Questo anello serve talvolta per trattenere piccoligrumi di cera con i quali si può modificare leggermentel’intonazione dello strumento. Il suono che si ricava è determinato da una frequenzafondamentale (funzione del peso e dello spessoredella linguetta) e da una serie di armonici. La frequenza fondamentale non può esseremodificata e funge da bordone mentre, modificandola conformazione della cavità orale, si possonoesaltare i vari armonici che si percepisconoseparatamente. In questo modo è possibile formaresemplici melodie per l’accompagnamento del ballo.

70 71

SCACCIAPENSIERI

IDIOFONO

A PIZZICO (LINGUAFONO) SCACCIAPENSIERI

ETEROGLOTTA

Trunfa

• Dati generaliStrumento in usoCarattere prevalentemente melodicoNon costruito generalmente da chi lo suonaOccasione indeterminata

• Area di attestazione Quasi tutta la Sardegna

Biurdana (Campidano)Ribelvia (Gallura)Sona sona (Logudoro)

Trumba (Dorgali)Trunfa Zampurra (Gallura)

BIBLIOGRAFIAPORRU 1832: 592;SPANO 1851: 402;FARA 1909: 725;FARA 1923a: 15;FARA 1940: 78;WAGNER 1960-64: II 526;VARGIU 1970: 496;VARGIU 1972: 29;VARGIU 1974: 27-28;DORE 1976: 167-168;GERMI 1977: 63;DORE 1988: 201;GUIZZI 1990: 47;TUCCI 1991: 138-153

DISCOGRAFIAMUSICA SARDA 1973

FONTI D’INFORMAZIONEMARCELLO MARRAS (GHILARZA)

TRACCIA CD: 13-15, 30, 42

CONGEGNI A RUOTA DENTATA

IDIOFONO

A RASCHIAMENTO

RUOTE A RASCHIAMENTO

Rana ’e taula

• Dati generaliStrumento desuetoCarattere indeterminatoCostruito generalmente da chi lo suonaOccasione vagamente determinata

• Area di attestazione Quasi tutta la Sardegna

Furriaiola (Bitti)Fúrriga (Villagrande Strisaili)Furriola (Perdasdefogu)Furriolu (Santulussurgiu)Orriaiola (Orosei)Rana ’e taula

Réula (camp.,Bitti,Dorgali,Nuoro)Reuledda (Ploaghe)Stroccia-rana‘Urriaiola (Gavoi, Siniscola)Zirriaiola ’e linna (media valle del Tirso)

La rana ’e canna rappresenta un’elaborazione sardadella raganella di legno europea, un giocattolo e allostesso tempo uno strumento rituale della SettimanaSanta diffuso in tutta Europa. Anche la raganella dilegno è però attestata nell’Isola con il nome di rana ’etaula. Il suo funzionamento è simile a quello descrittoper la versione in canna, mentre la strutturadell’oggetto consiste in un pezzo di travetto di legnocon sezione quasi quadrata e di lunghezza variabile. Ad una delle due estremità viene praticato un incavo di alcuni centimetri di larghezza e di 8-10 di lunghezzain cui si inserisce la ruota dentata che, analogamentealla versione in canna, è solidale al perno/manico chepassa al centro della rotella attraversando le pareti dellafessura. La rotella è fissata al perno con un chiodino dimetallo; con lo stesso sistema viene fissata al bordodell’alloggiamento della ruota anche una sottilelinguetta di legno elastico.

BIBLIOGRAFIAFARA 1915: 162-164;WAGNER 1960-64: I 561, II 358;VARGIU 1970: 498;

VARGIU 1972: 30;VARGIU 1974: 31-32;DORE 1976: 247-250;GERMI 1977: 64;DORE 1988: 203;GUIZZI 1990: 47;TUCCI 1991: 115, 131-132

FONTI D’INFORMAZIONEMARCELLO MARRAS (GHILARZA);MICHELE PIRA (GAVOI)

TRACCIA CD: 12

65. Rana ’e taula(zirriaiola ’e linna,

media valle del Tirso),cm 12 x 3 x 4, manico cm 7,primi decenni del Novecento

66-67. Trunfas, a sinistra: cm 8,

costruita a Dorgali; a destra: cm 6,5,

costruita a Bidonì

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Nei membranofoni, come lascia intendere il termine, a ge-nerare l’effetto sonoro sono delle membrane elastiche

opportunamente tese su un supporto. Anche qui, come negliidiofoni, le distinzioni interne a questa classe fanno riferi-mento sia alla struttura dello strumento, sia alla tecnica concui viene utilizzato.Nell’Isola sono attestati anzitutto i tamburi cilindrici bipelle,strumenti (come i tumbarinos di Gavoi, di Aidomaggiore, iltamburo di Sassari e quello che si suonava insieme al sulittu)costituiti essenzialmente da un cilindro di legno, sughero o me-tallo ai cui bordi sono tese le pelli. Una di queste pelli vienepercossa con uno o due mazzuoli; l’altra, spesso attraversata dauna cordicella (bordoniera o cordiera), vibra per simpatia, sol-lecitata cioè dall’onda sonora prodotta dalla prima pelle.Il tamburellu e il tumbarineddu sono invece tamburi monopel-le. Nel primo la pelle è tesa su una cornice che alloggia anchecimbalini e campanelle metalliche (che evidentemente sono daconsiderare come accessori idiofoni); il secondo è un vero eproprio tamburo cilindrico in miniatura.In questi due strumenti il suono è prodotto con le dita e ilpalmo della mano, mentre in altri tamburi come i trímpanus eil mumusu l’effetto è provocato dallo sfregamento di una cor-dicella collegata alla membrana. Sono infatti tamburi a frizio-ne che a differenza dei tamburi descritti in precedenza nonhanno un vero e proprio uso musicale ma si usavano e tuttorasi usano per produrre effetti sonori.L’ultima e curiosa sottoclasse di membranofoni è quella deimirliton, noti in epoca moderna come kazoo. La membrananon viene né percossa né sfregata bensì vibra per simpatia conla voce immessa nello strumento a fior di labbra. Non producequindi suoni propri ma modifica il timbro della voce umana.

I MEMBRANOFONI

Bipelle

Monopelle

A frizione

MIRLITON

TAMBURI

Tumbarinos di Gavoi

Tamburellu

Trímpanu

Mumusu

Tamburu di Sassari

Tumbarinu di Aidomaggiore

Tumbarineddu

Flautu ’e canna

68. Sortilla ’e tumbarinos,Gavoi, carnevale 1992 (foto Enzo Vacca)

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TAMBURI A PERCUSSIONE

MEMBRANOFONO

TAMBURO TUBOLARE

CILINDRICO

BIPELLE

Tumbarinos di Gavoi

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• Dati generaliStrumento in usoCarattere ritmicoCostruito generalmente da chi lo suonaOccasione indeterminata

• Area di attestazione Gavoi

Tamburinu (camp., log.)Tamburru (camp., log.)Tumbarinu (Gavoi)

Tumbarinu cun criccos (Gavoi)Tumbarinu ’e gardone (Gavoi)Tumborru

BIBLIOGRAFIAPORRU 1832: 568;ANGIUS 1833-56: III 244,VII 286, XII 695, XIII 199;SPANO 1851: 393;WAGNER 1960-64: II 462;DORE 1976: 147-148;GERMI 1977: 65;DORE 1988: 202

DISCOGRAFIAMUSICA SARDA 1973

FONTI D’INFORMAZIONEMICHELE PIRA (GAVOI);PIERGAVINO SEDDA (GAVOI)

RIFERIMENTI FOTOGRAFICI:68-73

TRACCIA CD: 16-17, 46

Gavoi è indubbiamente il centro in cui si riscontrala maggiore varietà di membranofoni e in particolaretamburi bipelle (con mazzuoli e senza) e monopelle a frizione. I tamburi a percussione di questo paese della Barbagiadi Ollolai vengono genericamente chiamati tumbarinose si distinguono in almeno tre tipologie: su tumbarinupropriamente detto, su tumbarinu cun criccos (con icerchi), su tumbarinu ’e gardone (con la cassa disughero di prima raccolta). Tali strumenti, sorretti daun cordino che passa intorno al collo, vengono percossicon due mazzuoli di legno (sos mazzuccos). Sia nella versione semplice sia in quella cun criccos, iltumbarinu è costituito da un cilindro di legno (faggio oramino) di spessore sottile (un tempo venivano utilizzativecchi setacci per la farina), alto circa 20 centimetri econ un diametro di circa 35-40. Sui bordi del cilindrovengono tese due pelli di capra (ma si adoperano anchepelli di cane, gatto, asino o pecora) tagliate in formacircolare con il lembo ripiegato e cucito intorno ad uncerchio di fil di ferro o, anticamente, intorno ad unfuscello di legno. I tiranti passano direttamente nellapelle forata e presentano un’allacciatura reticolare. Nel tipo cun criccos, la corda viene invece fatta passareattraverso asole di cuoio fissate a loro volta acontrocerchi di legno che premono sui cerchi di fil di ferro su cui è cucita la pelle. Su tumbarinu ’e gardone ha una struttura molto simileal tumbarinu ma con la cassa di sughero grezzo diprimo taglio chiamato appunto gardone. La cortecciaasportata dall’albero in un sol pezzo ha già la formacilindrica del tamburo; è quindi sufficiente cucire conun sottile fuscello di salice o con fil di ferro l’incisionelongitudinale e turare con colla i pori interni delsughero. Realizzato il corpo del tamburo, bisogneràlevigarne bene i bordi dove si poseranno le pelli inmaniera tale da avere una superficie quanto piùregolare possibile per consentire un’ottimale vibrazionedelle membrane. L’allacciatura delle pelli e il sistemache ne regola la tensione sono del tutto simili a quelledel tumbarinu con e senza cerchi.

Tumbarinu Tumbarinu ’e gardoneTumbarinu cun criccos

69. Particolare ditumbarinu ’e gardone

(Gavoi), cm 27, ø cm 38,

costr. M. Pira, Gavoi

70. Mazzuccos(mazzuoli) dei tumbarinos

di Gavoi, cm 26

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76 77

Nei vari tipi di tamburo si trova una sottile cordicellaposata diametralmente sulla pelle che non vienepercossa. È una caratteristica comune ai tamburimilitari e ha la funzione di produrre l’armonicoimmediatamente superiore dividendo in due laporzione vibrante di membrana. A Gavoi, così come ad Aidomaggiore, per conciare le membrane dei tamburi si usa stendere sulla pellefresca, dalla parte del pelo, uno strato di cenereimpastata con acqua calda e, dopo averla arrotolata, si sotterra per circa una decina di giorni. Vienequindi dissotterrata in uno stato di avanzataputrefazione che facilita il distacco del pelo.Terminata quest’ultima operazione, vienerisciacquata, fatta asciugare e montata sul tamburo. I mazzuoli, in faggio, castagno o melograno, vengonoinvece sagomati con il coltello. Sos tumbarinos di Gavoi sono i protagonistiprincipali del carnevale, quando nutriti gruppi di ragazzi passano per le vie del paese percuotendoenergicamente la pelle dei loro strumenti, masoprattutto il tamburo è componente essenziale della musica di questo centro della Barbagia, insiemeal pipaiolu (formazione già attestata nel secolo scorso da Vittorio Angius nel Dizionario del Casalis), altriangolo e all’organetto.

71. Tumbarinu (Gavoi),cm 14, ø cm 33;

mazzuccos, cm 26; costr. M. Pira, Gavoi

72. Tumbarinu (Gavoi),cm 17,5, ø cm 37,

costr. M. Pira, Gavoi

73. Tumbarinu cun criccos(Gavoi),

cm 17,5, ø cm 38,costr. M. Pira, Gavoi

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78 79

TAMBURI A PERCUSSIONE

MEMBRANOFONO

TAMBURO TUBOLARE

CILINDRICO

BIPELLE

Tamburu di Sassari

• Dati generaliStrumento in usoCarattere ritmicoCostruito generalmente da chi lo suonaOccasione determinata (processioni)

• Area di attestazione Sassari

Chiamato anche “tamburo spagnolo”, è in sostanzaun tamburo militare di antica foggia, bipelle con lacassa cilindrica in ottone, cerchi e controcerchi infaggio e bordoniera. La cassa (la cascia) è costituita daun foglio di ottone di circa un millimetro di spessorepiegato in forma circolare. Ciascun cerchio (lugiecciareddu) è realizzato con quattro strisce di legno difaggio sovrapposte e piegate a freddo. La stessa tecnicasi utilizza anche per realizzare i controcerchi (li giecci),più alti rispetto ai cerchi per permettere la foratura incui passano i tiranti. La bordoniera (lu trímpanu),appoggiata diametralmente alla membrana inferiore, è costituita da un fascio di sei corde di nailon, budello e cuoio, legate a due gancetti metallici a loro voltaavvitati alla cassa in prossimità del cerchio inferiore.Per aderire perfettamente alla pelle, il fascio di cordeviene fatto passare attraverso due fori ricavati nelcontrocerchio, corrispondenti ai punti di aggancio.

Tamburo spagnolo Tamburu

BIBLIOGRAFIAANGIUS 1833-56: XIX 96

FONTI D’INFORMAZIONEGIUSEPPE RUSSO (SASSARI)

RIFERIMENTI FOTOGRAFICI:74-76, 149-150

TRACCIA CD: 18

Uno di questi punti può essere avvitato o svitato pertendere o allentare le corde, e per questo motivo vienechiamato la giabi (la chiave).

I tiranti sono di corda (lu cannau) e la loro tensionepuò essere ulteriormente modificata con delle

fascette di cuoio (li tirelli) che stringendo adue a due le sezioni dei tiranti fannoassumere all’allacciatura la caratteristicaforma ad “Y”. I mazzuoli (li bacchetti),sono invece realizzati al tornio con legni

abbastanza duri ma facilmente lavorabilicome il faggio o il pino del Volga.

La concia della pelle, contrariamente a quantosi fa in Barbagia e ad Aidomaggiore, nel tamburu si

ottiene con l’immersione nella calce viva per consentirel’asportazione dei peli e con l’essiccamento al sole su telaio. Tale pratica è comune ad altre zone d’Italiacome la Sicilia (tammurinu) o la Campania (tammorra).Lo strumento, utilizzato unicamente a Sassari nelleprocessioni solenni dei gremi cittadini, è suonato incoppia con un ottavino (lu píffaru).

a sinistra: 74. Tamburu di Sassari e bacchetti (mazzuoli), cm 27, ø cm 36,costr. G. Russo, Sassari

a destra: 75. Eugenio Tavolara, Processione dei Misteri, 1928, gruppo di 35 pupazzi (part.), h max cm 35,5(coll. Comune di Sassari)

in basso: 76. Giuseppe Biasi,I Paraj e i Candelieri, 1936,cromolinografia (part.),cm 23 x 35(coll. Regione Sardegna)

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80 81

TAMBURI A PERCUSSIONE

MEMBRANOFONO

TAMBURO TUBOLARE

CILINDRICO

BIPELLE

Tumbarinudi Aidomaggiore

• Dati generaliStrumento in usoCarattere ritmicoCostruito generalmente da chi lo suonaOccasione determinata (carnevale)

• Area di attestazione Aidomaggiore

Tumbarinu Tumbarinu ’e sa cointrozza

un leggero ingrossamento sferico, serve a percuotere lapelle; l’altro, tenuto con la mano sinistra, terminainvece con un taglio a 45° e ha la funzione dismorzarne le vibrazioni. Si possono realizzare così deiparticolari ritmi che ad Aidomaggiore accompagnano,insieme all’organetto semidiatonico e al triangolo, unadanza del carnevale detta sa cointrozza. Questa è infattila funzione specifica dell’unico tamburo diAidomaggiore che appartiene alla comunità, affidatoper il resto dell’anno ad un attento esecutore/custode.

BIBLIOGRAFIADORE 1976: 137-143;GERMI 1977: 65;DORE 1988: 202

FONTI D’INFORMAZIONETINO MEDDE (AIDOMAGGIORE)

TRACCIA CD: 19-20

77. Mazzuccosdel tumbarinu

di Aidomaggiore,cm 26,5; cm 26

78-79. Suonatore ditumbarinu (Tino Medde)e particolare del modo

di impugnare i due differentimazzuccos

Cilindro attualmente di latta dura e anticamente dilegno o sughero ai cui bordi sono disposte due pelli dicane (si preferivano quelle di animali morti d’inedia)tagliate in forma circolare e solidamente cucite a duecerchi di bagolaro (surzaga). I tiranti, formati daun’unica corda, attraversano la pelle appositamenteforata e sono allacciati ad “Y” con fascette di cuoio chene regolano la tensione. Sulla membrana inferiore ètesa una sottile treccia che funge da bordoniera (saena), realizzata con i crini della coda di un cavallomaschio (quindi non indebolita dall’orina) tesa tra duepiroli a vite. Si suona lo strumento infilando l’avambraccio sinistroentro una cinghia di pelle che passa da un’estremitàall’altra della cassa. La tecnica di percussione prevedel’utilizzo di due mazzuoli di forma differente: uno, con

80. Tumbarinu di Aidomaggiore,cm 24, ø cm 28,5,costr. T. Medde, Aidomaggiore

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TAMBURI A PERCUSSIONE

MEMBRANOFONO

TAMBURO A CORNICE

MONOPELLE

Tamburellu

• Dati generaliStrumento in usoCarattere ritmicoNon costruito da chi lo suonaOccasione indeterminata

• Area di attestazione Campidano di Cagliari, Sarrabus

Tamburello costituito da un cerchione di legno sul cui bordo è inchiodata o cucita una membrana dipelle che viene percossa con le dita. Nel telaio si aprono talvolta alcuni fori rettangolari dovealloggiano dei cimbalini formati da due dischetti dilatta simili a quelli del tamburello basco. Il lorotintinnio è inoltre accresciuto da campanelli appesi a grappolo nella parte interna dello strumento. Le dimensioni attuali sono piuttosto ridotte anche se fotografie e disegni del secolo scorso e dei primidecenni del Novecento testimoniano l’esistenza di untamburello di largo diametro, chiamato su sizilianu,termine che rivela una precisa provenienza dell’oggetto.In epoca moderna ne è rimasta la memoria a Villaputzumentre qualche strumento antico si trova ancora nelCampidano di Cagliari dove se ne sta recuperandol’uso nell’odierna pratica musicale folklorica.

SizilianuTamburelluTamburinedduTamburruTamburu

Tamburu ’e Villa PutzuTammurinuTedazzedduTumbarinu

82 83

TAMBURI A PERCUSSIONE

MEMBRANOFONO

TAMBURO TUBOLARE

CILINDRICO

MONOPELLE

Tumbarineddu

• Dati generaliStrumento in usoCarattere ritmicoCostruito generalmente da chi lo suonaOccasione indeterminata

• Area di attestazione Media valle del Tirso

È uno dei più piccolitamburi della musica italiana ditradizione orale. Il corpo è ricavatoda una sezione di canna senza nodi (della lunghezza di 10-15 centimetri e del diametro di circa 4-5) ed èchiuso ad un’estremità con una membrana ricavata da una vescica animale essiccata (è preferita la partemediana di quella del bue), tesa con alcune spire di spago impeciato e strettamente annodato. La membrana viene percossa con i polpastrelli del ditomedio e dell’indice mentre, chiudendo e aprendo conl’altra mano l’estremità aperta del tubo, si puòlievemente modulare l’intensità del suono. Alcuni studiosi ricordano una forma singolare ditumbarineddu ricavata da un osso bovino essiccato eaccuratamente svuotato (tumbarinu cun ossu).

BIBLIOGRAFIAPORRU 1832: 567;SPANO 1851: 393;FARA 1940: 79;DORE 1976: 149;DORE 1988: 202;GUIZZI 1990: 48

FONTI D’INFORMAZIONEMARIO EXIANA (QUARTUCCIU)

RIFERIMENTI FOTOGRAFICI:16, 81, 183

TRACCIA CD: 41

BIBLIOGRAFIADORE 1976: 145-146;SATTA 1985: 48;DORE 1988: 202

FONTI D’INFORMAZIONEMARCELLO MARRAS (GHILARZA)

TRACCIA CD: 15, 21-22, 30,42, 53

81. Tamburellu (Quartucciu),cm 6, ø cm 30,primi decenni del Novecento

82. Tumbarineddu,cm 13,5, ø cm 3,5,

costr. M. Marras, Ghilarza

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TAMBURI A FRIZIONE

MEMBRANOFONO

TAMBURO A FRIZIONE

DIRETTA

A CORDA

Trímpanu

• Dati generaliStrumento desuetoCarattere indeterminatoCostruito generalmente da chi lo suonaOccasione indeterminata

• Area di attestazione Barbagia di Ollolai

È un tamburo di sughero o di latta con unamembrana di pelle (preferibilmente di cane) in cui,internamente al cilindro, è inserito uno spago intrisodi pece. Due dischetti di cuoio, forati, impedisconoche la pelle si laceri nel punto in cui passa lo spago.Facendo scorrere tra le dita questa cordicellaopportunamente tesa si mette in vibrazione lamembrana. Poiché per produrre l’effetto sonoro di questostrumento è necessario riprendere alla base illegaccio impeciato, non è possibile eseguirefigurazioni ritmiche, come in numerosi altri tamburia frizione ad asta, per cui lo strumento non può essere

Moliaghe (Barigadu, Canales)OrriuScorriu (Nuorese)TímpanuTiratrímpanu (Montiferru,Nuorese, Planargia)

Trímpanu (log. sett., Ghilarzese,Logudoro, Mandrolisai)Trímpanu ’e lamaTunchiu (Nuorese)TunciuZumbu zumbu

BIBLIOGRAFIASPANO 1851: 401;ALZIATOR 1957;WAGNER 1960-64: II 484;DORE 1976: 211-214;GERMI 1977: 65;SATTA 1985: 43-47;DORE 1988: 202;GUIZZI 1990: 48;TUCCI 1991: 185-186

FONTI D’INFORMAZIONEMICHELE PIRA (GAVOI);PIERGAVINO SEDDA (GAVOI)

RIFERIMENTI FOTOGRAFICI:83-88

TRACCIA CD: 23

utilizzato nella normale pratica musicale. Si diceinvece che un tempo venisse usato per allontanaredalle greggi gli animali predatori, per raccogliere lemandrie o addirittura per disarcionare i carabinieri, in quanto capace di produrre una grande quantità di infrasuoni oltremodo fastidiosi per i cavalli. Su trímpanu può essere costruito sia col gardone (aGavoi così è chiamato il sughero di prima raccolta)sia con il sughero normale. In questo caso il sugheroviene prima bollito per renderlo più compatto e poirivoltato in modo che la parte liscia risulti all’esterno(come si faceva per i recipienti per il latte). Utilizzando invece il gardone, data l’estremairregolarità del materiale, sarà necessaria unalavorazione con la raspa e la lama del coltello percreare una modanatura regolare dove alloggerà lapelle. La lavorazione di quest’ultima è identica a quella usata per le pelli dei tamburi (veditumbarinos di Gavoi) ma a differenza di quelli vienetesa direttamente sul bordo della cassa con alcunespire di spago o con una striscetta di legno di pioppo. Il cilindro dello strumento può esserericavato anche da barattoli di latta scoperchiati.

84-86. Trímpanus, da sinistra: di sughero rovesciato, cm 20, ø cm 21;

di sughero con la membrana tesa con alcune spiredi spago, cm 19, ø cm 19;

con la pelle inchiodata, cm 17,5, ø cm 18; costr. M. Pira, Gavoi

83. Trímpanus di latta (trímpanus ’elama), per i quali sono stati utilizzativecchi barattoli di pomodori pelati,

cm 15, ø cm 16; cm 12, ø cm 10; costr. M. Pira, Gavoi

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86 87

TAMBURI A FRIZIONE

MEMBRANOFONO

TAMBURO A FRIZIONE

INDIRETTA

A ROTAZIONE

Mumusu

BIBLIOGRAFIAFARA 1915: 155-161;FARA 1923a: 14;FARA 1940: 25-26;WAGNER 1960-64: I 335,385, II 136;DORE 1976: 199-201;SATTA 1985: 58-59;DORE 1988: 203

FONTI D’INFORMAZIONEMICHELE PIRA (GAVOI)

TRACCIA CD: 24

• Dati generaliStrumento desuetoGiocattolo musicaleCostruito generalmente da chi lo suonaOccasione indeterminata

• Area di attestazione Gavoi

Carroghedda (Cagliari)Chígula (Gavoi)Cicalora (Bosa)

Mummusu (Iglesias, Mogoro)Mummuzzu (San Nicolò Gerrei)Mumusu (Iglesias)

87-88. Trímpanu, cm 19, ø cm 19;

corda cm 69; costr. M. Pira, Gavoi

89. Mumusu,cm 12,5, ø cm 3,manico cm 25,5, costr. M. Pira, Gavoi

Giocattolo realizzato con una breve sezione dicanna alla cui estremità è teso, con alcune spire di spago, un pezzo di intestino essiccato d’agnello o di bue. Al centro di questa membrana è fissata una cordicella la cui estremità termina con un cappiolibero di girare intorno ad un bastoncino di legnoappositamente intagliato. Dopo aver sfregato dellacolofonia, o pece greca, sulla scanalatura si impugna il bastoncino e si fa roteare su mumusu, che allalettera significa “calabrone”. L’effetto sonoro derivadalla sollecitazione della membrana provocataindirettamente dallo sfregamento della cordicella. Uno strumentino analogo è conosciuto nei paesi delcentro Europa con il nome di Waldteufel.

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Tubo di canna della lunghezza di20-30 centimetri, alla cui estremitàviene tesa e legata con spagoincerato una sottile membrana dicarta velina o di intestinoessiccato di agnello. Sulla parete, inprossimità della membrana, vienepraticata un’apertura rettangolare su cuil’esecutore poggia le labbra. Lo strumento nonproduce un suono proprio ma modifica il timbrodella voce e del canto che fa vibrare per simpatia lamembrana. Talvolta il tubo può essere chiuso da membrane suambedue le estremità, ma in questo caso è necessarioaprire due fori, uno per immettere il fiato, l’altro perconsentirne l’uscita. A Gavoi si ha notizia di uno strumento simile chiamatopisica ’e porcu (vescica di maiale) il cui corpo eracostruito in legno di sambuco e la membrana ricavata,come indica il nome, da una vescica di maiale. La resistenza della membrana consentiva l’utilizzo dellostrumento, oltre che come modificatore della voce,come tumbarineddu da percuotere con le dita.

88 89

Giochi e giocattoli sonoriGiulio Angioni

Tutto l’universo dei suoni è oggetto di at-tenzione ludica costante nell’età dell’infan-zia. L’infanzia è anzi l’età delle prime e

fondamentali esperienze di esplorazione del“mondo dei suoni” e delle loro prime messe informa. I giochi con l’eco e col rimbombo dellapropria voce e la scoperta degli armonici prodot-ti dai rintocchi delle campane erano probabil-mente due delle esperienze musicali fondanti peri bambini di molte generazioni fino a una trenti-na d’anni fa.Anche a voler escludere i suoni corporei come ilbattere le mani o la voce umana usata così spessoludicamente in cantilena e in filastrocca, con osenza testo improvvisato o mnemonizzato, o perimitare suoni artificiali o naturali come le vocidegli animali, la produzione strumentale ludicadi suoni e rumori, ritmici o meno, è una costanteche non manca in Sardegna nei giochi non soloinfantili. Molti giocattoli che non erano intenzio-nalmente e principalmente congegni sonori era-no usati e goduti anche per il suono prodotto:dal cerchio alla trottola e al barralliccu delle ve-glie natalizie, dalla corda per saltare alle pietruzze(piccus) sbattute più o meno ritmicamente in al-cuni giochi specialmente di bambine, che co-munque non risulta usassero in passato bambolesonore. Anche l’imitazione più o meno riuscita distrumenti e di prestazioni musicali strumentalidegli adulti è ovviamente uno dei modi ludici piùcomuni della produzione artificiale di suoni.Probabilmente ha una sua utilità la problematicaintorno al fatto che anche in Sardegna alcuni, o

quasi tutti gli strumenti (e i giochi) sonori infan-tili sono stati in tempi più o meno remoti ve-

ri e propri strumenti della musica norma-le degli adulti, scaduti poi a trastullodell’infanzia, come è spesso accadutoper usi e costumi anche più seri e im-portanti, come molte cerimonie sacre.

Comunque sia, fino a pochi decenni ad-dietro, i bambini sardi costruivano e

usavano giocattoli sonori simili aquelli rinvenibili un po’ dap-

pertutto nel mondo. E co-me dappertutto in quantogiocattoli sonori poteva-no essere usati svariaticontenitori di metallo, di

BIBLIOGRAFIAFARA 1915: 153-154;FARA 1923a: 15;FARA 1940: 23-24;VARGIU 1974: 31-32;DORE 1976: 111-113;GERMI 1977: 65;DORE 1988: 200;GUIZZI 1990: 48;TUCCI 1991: 190-191

TRACCIA CD: 25

ceramica e di zucca, per imitare campane, tam-buri e altri strumenti a percussione, anche per ilsolo gusto del ritmo.È d’obbligo però citare i più noti e diffusi gio-cattoli sonori: “strumenti” a fiato come fischi abocca libera, o con bocca e dita, e fischietti, dauna parte, e strumenti ad ancia dall’altra, a co-minciare da un petalo e da una foglia fatti risuo-nare col fiato nel cavo orale. Strumenti semplicicome su frusiu, il rombo, tavoletta rettangolaredi legno fatta girare con una cordicella che si le-ga per un foro al centro o a uno dei lati minori,o più elaborati come il mumusu o muscone, bot-tone o altro piccolo disco che si fa girare permezzo di un filo che si arrotola e si srotola ti-rando e mollando e così produce un ronzioprofondo.I fischietti e i piccoli aerofoni ad ancia si ottene-vano con materiali naturali stagionalmente rin-venibili: un nocciolo di pesca o di prugna (camp.su(l)ittu de pisu ’e piricoccu, log. ossu ’e pruna),svuotato del seme e bucato da ambo le parti sfre-gandolo contro un materiale duro fino a otteneredue buchi corrispondenti che producono un fi-schio soffiandovi tra le labbra e i denti; come unpezzo di stelo di grano o di avena chiuso in cimada un nodo naturale e aperto all’altra estremità, sucui si praticava un’ancia battente: mettendolo inbocca e soffiando diventava una trumbitta ’e for-raini (camp., «trombetta di fieno») o ena (camp. elog., «avena»), con suoni differenziati se sullo steloa tubo si praticavano fori.Crescendo, il ragazzo poteva ottenere una trum-bitta o sulittu più durevole, potente e versatile,lavorando allo stesso modo una canna palustrefresca o secca, per ottenere un tipo vario di stru-mento che si avvicina allo zufolo del pastore (pi-piolu, píffaru, sulittu), di canna anch’esso, o dilegno di sambuco o d’altro. Un altro semplicissi-mo aerofono giocattolo è lo scrámia-betu (camp.,«grida-capriolo», log. ischéliu), usato anche co-me richiamo nella caccia al cervo, cannello adancia quadra, che produceva un suono simile albramito di un cerbiatto tagliando in quattro unpezzo di canna nel punto chiuso dal suo nodonaturale e soffiando dall’estremità opposta.Una pianta versatile per i giochi sonori non solodei ragazzi è la zucca: la foglia fresca di zucca in-cisa longitudinalmente fornisce il più semplice

ed estemporaneo aerofono ad ancia doppia, peremettere suoni gravi e ronzanti (e prestazionianaloghe si ottenevano da foglie d’edera o d’al-loro dentro la fenditura di un ramo appoggiatosulle labbra di lungo); la cucurbita (croccoriga)si riempiva di materiale granuloso per ottener-ne suoni ritmici da accompagnamento oppurela si sfregava con uno stecco su tacche predi-sposte. Sempre con un pezzo di canna, stavoltaa tubo libero ma con un’estremità chiusa dauna membrana (di solito d’intestino di bue), siottiene un membranofono sollecitato con le di-ta o da uno spago in modo continuo, detto va-riamente tumbarineddu, mumusu e altrimenti.Il suono delle launeddas o dell’organo chiesa-stico poteva essere imitato con membrane e piùrecentemente con la carta velina fatta vibraresu un pettine, così come il forse meno speri-mentato suono del violino, come sanno i ragaz-zini di ogni parte del mondo.Ma qui come altrove i ragazzi hanno esercitatotutta la loro fantasia e l’ingegno per modificaretimbro e volume della loro voce, con tubi, im-buti, recipienti, materiali vibranti di ogni tipo,arrivando anche alla costruzione di cordofoniestemporanei, vista la rarità o quasi assenza inSardegna di giocattoli cordofoni di sicura tradi-zione. Tuttavia i cordofoni, a parte la chitarra,sono rari comunque nell’organologia sarda tra-dizionale, specialmente quelli ad archetto.I bambini sardi hanno giocato con canne fessesbattacchiate, con eliche a vento, di canna od’altro, e con tutta la serie di crepitacoli del ti-po di quelli della Settimana Santa. Il grande“gioco” infantile dei toccos lignei del triduo pa-squale, che sostituivano le campane mute e le-gate, era sicuramente il più grande, serio e so-lenne tra tutti i giochi infantili: ma questa, stileetnico a parte, era pratica comune a tutta la cri-stianità occidentale, fino alla riforma liturgicacattolica degli anni Sessanta di questo secolo.Ed è qui infine utile notare come tutto l’arma-mentario etnofonico, tutta l’organologia ludicainfantile tradizionale, più ancora di quella adul-ta, sia divenuta rapidamente desueta grosso mo-do nel corso del decennio degli anni Sessanta diquesto secolo, in coincidenza con le grandi tra-sformazioni tecniche, socio-economiche e cultu-rali coeve.

MIRLITON

MEMBRANOFONO

MIRLITON

TUBOLARE

Flautu ’e canna

• Dati generaliStrumento desuetoCarattere melodicoCostruito generalmente da chi lo suonaOccasione indeterminata

• Area di attestazione Media valle del Tirso

FlautuFlautu de canna

Flautu ’e canna

90. Flautu ’e canna, cm 26, ø cm 2,costr. M. Pira, Gavoi

91. Flautu ’e canna,cm 29, ø cm 3,5, costr. M. Marras,Ghilarza

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LIBERI

AD ANCIA

FLAUTI A FESSURA

FLAUTI GLOBULARI

TROMBE NATURALI

Ance a nastro

A deviazione

A vortice

Ance liberein serie

A esplosione

Quadrupla

Semplicebattente

Flauto traverso

A imboccaturaindiretta

Fuettu

Sarmentu

Chígula

Fisarmónica

Armónium

Sonetto a bucca

Organette

Muscone

Frusciu

Isciapette

Bena

Benas

Bena cun corru ’e boe

Bena cun zucca

Launeddas

Trumbitta da banditore

Ischéliu

Trumbitta ’e forraini

Trumbitta

Pipaiolu della Barbagia

Sulittu e tamburinu

Órganu

Sulittu della Marmilla

Pipiolu del Logudoro

Píffaru

Ossu ’e pruna

Srubiette

Corru ’e boe

Corru marinu

L’aria, che costituisce la materia in cui solitamente si propa-ga il suono, è negli strumenti aerofoni anche il mezzo che

produce le vibrazioni sonore. Gli strumenti di questa classe si distinguono a loro volta in ae-rofoni liberi e tubi sonori. Gli aerofoni liberi mettono in vibra-zione una porzione d’aria di dimensione indefinita che circondalo strumento; nei tubi sonori invece è una colonna d’aria chesollecitata in vario modo vibra armonicamente.È un aerofono libero su fuettu, che mette in vibrazione l’aria de-viata dal cordino della frusta. Appartengono a questa categoriaanche il sarmentu e la chígula (ance a nastro giocattolo) e glistrumenti ad ance libere, molto diffusi in Sardegna, come il so-netto a bucca, l’organetto, la fisarmonica e l’armonium. Chiudo-no la lista degli aerofoni liberi sardi alcuni giocattoli a vortice(frusciu e muscone) e ad esplosione (isciapette).Una via di mezzo tra gli aerofoni liberi e gli strumenti a fiatopropriamente detti sono i flauti globulari, rappresentati inSardegna dal comune ossu ’e pruna e dal fischietto (srubiette)di Gavoi.Ma gli aerofoni più importanti e originali della tradizione musi-cale sarda sono senz’altro i flauti a becco (pipiolus e sulittus) esoprattutto quelli ad ancia semplice come le benas e le launed-das. Si registrano tre tipologie differenti di pipiolus e sulittus(del Logudoro, della Marmilla e della Barbagia) mentre è datempo scomparso il sulittu e tamburinu ; il flauto traverso (píffa-ru), un tempo diffuso nella Sardegna settentrionale, è stato so-stituito da un ottavino di legno opportunamente modificato.Unico strumentino ad ancia quadrupla è s’ischéliu, un elemen-tare giocattolo come le varie trumbittas, cannucce su cui vieneescissa un’ancia a tegola con l’estremità libera verso il basso.L’ancia semplice battente è l’elemento costitutivo delle benas,semplici, doppie o dotate di padiglione di risonanza (bena cuncorru e cun zucca), e delle launeddas, lo strumento più noto e“nobile” della musica sarda.Infine vanno citati anche la trombetta del banditore, sempre adancia semplice, e due strumenti a bocchino (trombe naturali): ilcorru ’e boe e il corru marinu.

GLI AEROFONI

92. Suonatore di sulittu etamburinu (probabilmentedi San Vero Milis), da GIRALDI 1979: 16

91

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BIBLIOGRAFIAWAGNER 1960-64: I 554

FONTI D’INFORMAZIONEFEDELE MANDAS (ASSEMINI);GIUSEPPE MURRU (QUARTUSANT’ELENA);VINCENZO PICCI (QUARTUSANT’ELENA)

TRACCIA CD: 26

FRUSTA

AEROFONO

LIBERO

A DEVIAZIONE

Fuettu

• Dati generaliStrumento desuetoOggetto sonoro improprioCostruito generalmente da chi lo suonaOccasione indeterminata

• Area di attestazione Campidano di Cagliari, Sassari

Frusta usata anticamente dai carrettieri, formata dauna verga flessibile in legno di melograno sfibrato eintrecciato alla cui estremità è legata una corda dicuoio e canapa divisa in più sezioni e terminante conuno sverzino di spago. L’impugnatura della frusta, seusata durante le parate, può essere decorata evariopinta. I carrettieri schioccando la frustarealizzavano ritmi che secondo alcuni potevanoaccompagnare la danza ma più verosimilmentecostituivano una dimostrazione di abilità.

Foette (camp., log.) Fuettu (camp., log.)

93. Assemini, esibizione con su fuettu

(Fedele Mandas)

94. Fuettu, manico cm 90,

cordino cm 141,costr. V. Picci,

Quartu Sant’Elena

92 93

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AEROFONO

LIBERO

A INTERRUZIONE

CON SUONO PROPRIO (ANCE A NASTRO) INDIPENDENTE

Chígula

• Dati generaliStrumento desuetoGiocattolo musicale Costruito generalmente da chi lo suonaOccasione indeterminata

• Area di attestazione Barbagia, media valle del Tirso

Costituito da un fuscello di legno (solitamentealloro) spaccato ad una estremità in cui viene inseritauna foglia di alloro o d’edera. Dopo aver asportatocon un temperino la parte eccedente della foglia, sisoffia all’interno della fenditura producendo unfischio penetrante. I bambini costruivano questo giocattolo specialmentenei giorni di festa, quando la piazza della chiesaveniva addobbata con fronde di alloro.

Chígula (Ghilarzese, Planargia)Foza d’edra (Barbagia, Logudoro)

Foza ’e laru (Logudoro)Foza ’e lavru

ANCE A NASTRO GIOCATTOLO

AEROFONO

LIBERO

A INTERRUZIONE

CON SUONO PROPRIO (ANCE A NASTRO) INDIPENDENTE

Sarmentu

• Dati generaliStrumento desuetoGiocattolo musicale Costruito generalmente da chi lo suonaOccasione indeterminata

• Area di attestazione Barbagia, media valle del Tirso

Giocattolo sonoro realizzato con un rametto secco di vite lungo circa 10-15 centimetri, spaccatolongitudinalmente per tutta la lunghezza. All’interno si inserisce un pezzo di corteccia della stessa pianta, si asporta la parte eccedente e si legano le estremità delrametto con spago o rafia. L’unico suono producibile si emette tenendo l’oggetto tra le labbra e soffiandoenergicamente. Strumenti di forma analoga potevano essere realizzati conaltri legni e arbusti, disponendo all’interno della spaccaturauna foglia. È il caso del sonette de iscrareu, ricavato da unbreve fuscello secco di asfodelo (iscrareu) spaccato in cui siinserisce una foglia della stessa pianta. Si asporta quindi lasuperfice della foglia che sporge e si uniscono le estremità del legnetto con un legaccioo con una grossa spina.

Sammentu (Logudoro)Sarmentu (Logudoro)

Scrámia-betu (Campidano)Sonette de iscrareu (Lodine)

BIBLIOGRAFIA

WAGNER 1960-64:I 334-335;DORE 1976: 187;SATTA 1985: 34-35;DORE 1988: 200-201

TRACCIA CD: 28

BIBLIOGRAFIAFARA 1915: 166;FARA 1923a: 13-14;FARA 1940: 21-23;VARGIU 1970: 498;VARGIU 1972: 30;DORE 1976: 191-192;SATTA 1985: 21-22, 32;DORE 1988: 201

TRACCIA CD: 27

ANCE LIBERE

AEROFONO

LIBERO

A INTERRUZIONE

CON SUONO PROPRIO (ANCE LIBERE) IN SERIE

Sonetto a bucca

• Dati generaliStrumento in usoCarattere melodico/armonicoNon costruito generalmente da chi lo suonaOccasione indeterminata

• Area di attestazione Quasi tutta la Sardegna

Comune armonica a bocca formata da una scatolettadi legno internamente suddivisa in scomparti e rivestitaesternamente da una lamina metallica. Su ogniscomparto interno, che ha la forma di una piccolascanalatura, sono disposte due ance differenti, unadelle quali vibra mentre si espira e l’altra mentre siinspira l’aria. Spostando lo strumento a destra o asinistra si possono quindi ottenere le note di una scala

diatonica. Alcuni modelli hannodue ordini di ance contrapposti

che consentono, imboccandolo strumento da una parte o

dall’altra, di realizzare lenote di due differentiscale. Non si ha notiziadi costruttori sardi ditale strumento cheordinariamente viene

importato dalcontinente e soprattutto

dalla Germania.

So‘edd‘a bucca (Sarrabus)Sonette (Bitti, Santulussurgiu)Sonetto a bucca

Sonettu (Escalaplano)Sonnetteddu (Perdasdefogu)Sonu

BIBLIOGRAFIAFARA 1940: 79;WAGNER 1960-64: II 426;DORE 1976: 133-134;GERMI 1977: 64;DORE 1988: 201;GUIZZI 1990: 53

DISCOGRAFIAMUSICA SARDA 1973

TRACCIA CD: 29-30

95. Sarmentu(sonette de iscrareu, Lodine), cm 10, ø max cm 1, costr. M. Pira, Gavoi

96. Chígulas, cm 16; cm 17;

costr. M. Loi, Ula Tirso

97. Sonetto a bucca,in do/sol, cm 12,

Hohner, modello “Bravi Alpini”

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96 97

ANCE LIBERE

AEROFONO

LIBERO

A INTERRUZIONE

CON SUONO PROPRIO (ANCE LIBERE) IN SERIE

OrganetteOrganetteOrganettuOrganittuSo’eddu (Sarrabus)

SonetteSonettuSonuSunettu

• Dati generaliStrumento in usoCarattere melodico/armonicoNon costruito generalmente da chi lo suonaOccasione indeterminata

• Area di attestazione Tutta la Sardegna

A ttestato in Sardegna dagli ultimi decennidell’Ottocento, l’organetto utilizzato nell’Isola non differisce affatto da quelli impiegati nel restodell’Italia. Lo strumento è costituito essenzialmente da tre parti: la cassa del canto, il mantice e la cassa deibassi. Dalla cassa del canto sporge la tastiera a bottonimentre al suo interno sono collocate le ance e levalvole. Il mantice, che fornisce l’aria alle ance, èsolitamente di cartone opportunamente sigillato perevitare fuoriuscite d’aria. Nella cassa dei bassi sonoinvece disposti i tasti dell’accompagnamento, lerelative ance e valvole e il bottone “dell’aria”, cheserve per svuotare il mantice. A seconda del numerodei bassi, o bottoni dell’accompagnamento,l’organetto viene denominato a due, quattro, otto,dodici o ventiquattro bassi. In Sardegna sono poco diffusi i modelli a due equattro bassi, ai quali si preferisce l’armonica a bocca,strumento molto simile all’organetto sia per laproduzione del suono, ottenuto con la vibrazione diance libere, sia per il suo carattere “diatonico” esoprattutto per il sistema della doppia intonazione. A ogni tasto dell’organetto corrispondono infatti dueance contrapposte: una vibra quando si aspira l’aria,l’altra quando si comprime. Ciascun tasto producepertanto due note differenti a seconda che si chiuda o si apra il mantice. Infine, come si è accennato, sial’organetto sia l’armonica a bocca si possonorealizzare di una scala diatonica nel tipo adue bassi e di due scale negli altri modelli. Si trovano in Sardegna organetti inlegno, dalla forma squadratasostanzialmente identica a quella deglistrumenti del primo Novecento,oppure rivestiti in laminato plastico esimili a piccole fisarmoniche. Vanno descritti infinealcuni importanti accessoricome la tracolla, unacinghia fissata sopra e sottola cassa del canto che va fattapassare sulla spalla destra(esistono anche modelli adoppia tracolla); il ditale, una cinghietta di pelle fissata albordo della tastiera dentro cui siinfila il pollice della mano destra;il manale, una striscia di pelle in cui si infila il polso della manosinistra che aziona il mantice eesegue l’accompagnamento.

BIBLIOGRAFIAFARA 1909: 724;FARA 1923a: 16;FARA 1940: 79;WAGNER 1960-64: II 426;CARPITELLA 1967: 293-307;CARPITELLA - SASSU - SOLE 1973;DORE 1976: 121-129;GERMI 1977: 64;GIANNATTASIO 1979;GIANNATTASIO - LORTAT-JACOB1981: 3-35;LORTAT-JACOB 1981: 185-197;GIANNATTASIO 1982: 73-85;GIANNATTASIO - LORTAT-JACOB1982;GIANNATTASIO 1987: 235-251;DORE 1988: 201;GUIZZI 1990: 53;GIANNATTASIO 1992: 183-204

DISCOGRAFIAORGANETTO 1982

FONTI D’INFORMAZIONEINORIA BANDE (SASSARI);TONINO LEONI (SAMATZAI);PAOLO ZICCA (QUARTUCCIU)

RIFERIMENTI FOTOGRAFICI:98-105

TRACCIA CD: 20, 22, 31, 46

a sinistra:98. Organetto

a 8 bassi, cm 25, costruito da Paolo Soprani,

primi del Novecento,già di proprietà

di Francesco Bande

a destra:99-100. Organettoa 8 bassi, cm 30,

costruito da Paolo Soprani, primi del Novecento

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102-103. Organetto semidiatonico a 24 bassi in sol/do, cm 32,5, costruito da Paolo Soprani, primi del Novecento,

già di proprietà di Francesco Cabitza, 1930 ca.

101. Organetto diatonico a 12 bassi in do/la, con applicazioni

di seta dipinta, cm 37, già di proprietà

di Francesco Bande, 1950 ca.

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Iprimi esemplari di organetto iniziarono a farela loro comparsa in Sardegna alla fine del se-colo scorso, nei decenni immediatamente suc-

cessivi alla prima fabbricazione dello strumento,a Castelfidardo (AN) a partire dal 1863 (ad operadi Paolo Soprani) ed a Stradella (PV) dal 1876(Mariano Dallapè), sul modello di alcuni prototi-pi di fisarmoniche diatoniche a doppia intonazio-ne (accordion, accordéon ecc.) che si erano comin-ciati a costruire in Europa dalla fine degli anniVenti (GIANNATTASIO 1979: 43-55; GIANNATTASIO1982). Contrariamente alle aspettative, le fisar-moniche diatoniche si affermarono e si diffuserocon molto successo non negli ambienti urbani incui erano nate, ma in quelli folklorici di molti pae-si europei ed in seguito anche extra europei (norde sud America, Madagascar ecc.). I motivi di que-sta rapida affermazione furono alcune parzialiomologie con gli strumenti arcaici tradizionali eduna praticità d’uso, offerte dai nuovi aerofoni amantice. Inoltre l’organetto apparve nel momen-to in cui avevano inizio, non solo in Italia, le tra-sformazioni economiche e sociali che caratteriz-zano il nostro periodo storico e che fra l’altrohanno cambiato sostanzialmente il quadro e leprospettive delle culture folkloriche tradizionali.Così come altri strumenti “moderni”, l’organettosi presentò pertanto come strumento mediatore,di transizione, fra la cultura arcaica agropastoralee quella tecnologica attuale.In Sardegna la diffusione dell’organetto – che inrelazione alle aree ed ai dialetti ha assunto varinomi: sonettu, sonette, organette, organettu, orga-nittu (DORE 1976: 121) – si è realizzata in virtù diuna accresciuta mobilità degli individui all’inter-no e soprattutto all’esterno dell’Isola (coscrizionemilitare obbligatoria dell’Italia post-unitaria, emi-grazione nell’Italia peninsulare e all’estero ecc.).L’organetto si è introdotto come strumento pro-dotto “fuori” (nel continente), con materiali etecnologie estranee, in alternativa a strumentiprodotti nell’ambito della comunità con materialireperibili all’interno della comunità stessa (lau-neddas, benas ecc.), e come oggetto musicaled’acquisto ed uso personale, in opposizione astrumenti tramandati, nelle tecniche d’uso e nelpossesso, secondo regole e pratiche musicali co-munitarie sempre più difficili da mantenere (sipensi ad esempio al lungo apprendistato delle

launeddas, in crisi per il decadere dei mestieri ar-tigiani cui era connesso). Fra i motivi della suadiffusione nell’Isola vanno considerati (GIANNAT-TASIO - LORTAT-JACOB 1982: 3): a) il carattere distrumento polifonico, in relazione ad un ambitotradizionale particolarmente ricco di polifoniastrumentale (launeddas, benas) e vocale (taja, cun-cordu, tenore, cuncordia campidanese ecc.); b) lepossibilità melodiche che gli hanno permesso direcuperare parte del repertorio degli strumentimonodici a fiato; c) le possibilità armoniche chesono state sfruttate, anche se parzialmente, perl’accompagnamento al canto (boghe a sonettu, maanche boghe in re, mutos, nuoresa, tempiesinaecc.); d) la predisposizione, infine, ad un uso rit-mico che lo ha reso particolarmente adatto peraccompagnare la danza, di cui oggi è diventato lostrumento per eccellenza. Per queste sue caratte-ristiche l’organetto ha attinto soprattutto ai re-pertori di danza strumentali e vocali, monodici epolifonici; va in particolare ricordato il suo im-piego negli ormai estinti riti coreutico-musicalidell’argia (CARPITELLA 1967) e nell’accompagna-mento delle danze rituali del carnevale (GIAN-NATTASIO - LORTAT-JACOB 1982). Alla varietà e al-la ricchezza del repertorio, resa possibile dallapolivalenza dello strumento, si accompagna oggiuna professionalizzazione che comunque nonesclude l’esistenza di numerosi suonatori occasio-nali e non professionisti (LORTAT-JACOB 1981).Dei quattro principali tipi di fisarmonica diatoni-ca italiana – a due, a quattro, a otto e a dodicibassi – in Sardegna è stato adottato principal-mente l’organetto ad otto bassi (e in rari casi adodici bassi); ai tipi a due e quattro bassi si è in-vece preferita l’armonica a bocca, diffusasi con-temporaneamente alle armoniche a soffietto, co-me strumento di uso individuale, “da tasca” o untempo “da berritta”, e pertanto assimilabile nel-l’uso ai tradizionali flauti di canna dei pastori (pi-piolu e sulittu). Gli organetti più usati in Sarde-gna sono quelli in sol/do, la/re e fa/si � (in basealle tonalità delle due file della tastiera del canto).La diffusione dello strumento nell’Isola non è sta-ta comunque uniforme ed ha privilegiato, neltempo, le regioni centro-settentrionali. In effettinell’area campidanese l’organetto ha avuto vita bre-ve, rappresentando soltanto uno strumento di pas-saggio verso le più recenti ed evolute fisarmoniche

cromatiche, a piano e a bottoni (che hanno se-gnato il punto d’arrivo dei perfezionamenti viavia apportati ai primi organetti diatonici). La ra-gione di ciò va cercata nella maggiore adattabilitàdi queste ultime ai principi della polifonia dellelauneddas (il sistema dei bassi della fisarmonicapermette la riproduzione di un bordone e di uncontrappunto al canto, da cui è caratterizzata, ap-punto, la musica prodotta dalle tre canne dellostrumento ancora in uso nel Campidano). I rarisuonatori di organetto campidanesi sono pertan-to da considerarsi delle eccezioni.Rispetto a questa progressiva differenziazionefra nord e sud è inoltre significativo che nel-l’Oristanese siano tuttora diffusi alcuni tipi difisarmonica semidiatonica, strumento che puòessere considerato un’esatta via di mezzo fral’organetto e la fisarmonica cromatica (bassicromatici, fissi, tastiera del canto diatonica, contre file di bottoni a doppia intonazione che con-sentono di utilizzare per la melodia l’interagamma cromatica). Viceversa, il fatto che nelnord e nel centro dell’Isola molti organettistisuonino anche la fisarmonica cromatica, a cuidemandano però l’esecuzione di repertori diffe-

renti da quelli dell’organetto (ad es. alcuni canticon accompagnamento strumentale ed i balli“civili”, ovverosia le polke, le mazurke e i valzerdel ballo liscio continentale), costituisce un’ul-teriore prova di come nelle regioni settentriona-li l’organetto sia stato assimilato a pieno titoloagli strumenti folklorici tradizionali.Per l’Isola l’organetto (come peraltro l’armonicaa bocca e la fisarmonica) è stato dunque unostrumento “di appropriazione”: gli otto bassi del-la Sardegna sono identici a quelli dell’Italia pe-ninsulare e simili a quelli di molti paesi europei.Tuttavia, in virtù dei caratteri specifici dell’appro-priazione si può parlare a buon diritto di “orga-netto sardo”, in quanto gli stili ed il repertorio,nel nostro caso quasi esclusivamente di danza, so-no fondamentali per la sua identità e contrasse-gnano le tecniche esecutive; al punto che, con unminimo di esperienza, sarebbe possibile ricono-scere un organettista della Sardegna anche da unfilm muto che ne mostrasse soltanto i movimenti.Si possono pertanto delineare i tratti peculiari del-l’organetto sardo in base all’analisi degli specificicaratteri musicali e delle tecniche di esecuzione(GIANNATTASIO - LORTAT-JACOB 1982: 7-9).

L’organetto nella musica popolare sardaFrancesco Giannattasio

104. Giuseppe Biasi,Ballo presso lo stagno di Cabras, 1936,cromolinografia, cm 23 x 35 (coll. Regione Sardegna)

nelle pagine successive:105. Orani, ballo inpiazza, 1959-61 (foto Franco Pinna)

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104 105

Caratteri musicali — In conformità ai tratti siste-matici della musica sarda (CARPITELLA - SASSU -SOLE 1973), viene fatto un uso ridotto delle pos-sibilità diatoniche dell’organetto. In genere lefrasi melodiche sono costruite – con un anda-mento per gradi congiunti (e immediato riem-pimento di eventuali salti) – all’interno di unpentacordo, a volte concepito come tricordo conl’aggiunta di una terza minore superiore, “co-perta” da un suono intermedio (4° grado) checompare come nota di passaggio. La funzionepreferenziale del 1° grado del pentacordo èquella di tonus finalis: in conclusione di frase sipresenta come nota lunga e accentata; altrimentilo si ritrova come nota di passaggio ed allora havalore di breve; molto raramente compare inposizione iniziale. Questa funzione del 1° gradoinduce ad una costruzione preferenzialmente di-scendente delle linee melodiche. D’altronde, unesame dei movimenti ascendenti dimostra chesiamo in presenza di un uso modale della gam-ma diatonica: ad esempio l’insieme congiuntoascendente 1°- 2°- 3°- 4°- 5° grado non è atte-stato. Ciò comporta un’asimmetria fra movi-mento ascendente e discendente, che trova unacorrispondenza nel modo in cui le note sono ri-partite nel gioco di apertura-chiusura del manti-ce. La particolare disposizione delle note sullostrumento induce anche ad una trasposizioneper terze. Inoltre, al pentacordo si aggiunge qua-si sempre, in finale di frase e come preparazionedella cadenza, una seconda minore inferiore,normalmente inserita all’interno di formule ste-reotipe (ad es. 7° inf. - 2° - 1°). Così come la tra-sposizione per terze e questo parziale ruolo di“sensibile” conferito alla settima, anche la modu-lazione su tre tonalità consentita dall’organetto aotto bassi sembra comportare un avvicinamentoad una logica tonale. Tuttavia la modulazione,soprattutto nell’esecuzione dei balli, più che insenso armonico è sfruttata come una possibilitàdi iterazione variata, mediante l’accesso ad unanuova gamma modale, degli specifici moduli rit-mico-melodici connessi alla danza.

Tecniche di esecuzione — L’organettista sardosuona seduto o in piedi, di solito con un piedepoggiato su uno sgabello. L’organetto è posatosulla coscia, in prossimità del ginocchio, la partealta dello strumento leggermente allontanata dalcorpo; generalmente non è utilizzata la cinta atracolla. L’impressione visiva è che tale posturasia conforme ai tratti cinesici di immobilità deltronco e di flessione simmetrica delle braccia ca-ratteristici, come ha dimostrato Carpitella, dellagestualità sarda, soprattutto barbaricina (CARPI-TELLA 1976: 251-260).

Il ricorso ad una tecnica basata sul movimentodi rapida apertura/chiusura del mantice è un’al-tra caratteristica dell’organetto sardo. A dettadei suonatori professionisti un corretto impiegodella tecnica di mantice differenzia il suonatorebravo dal mediocre.Si tratta di movimenti in cui la precisione nel-l’esecuzione di mantice (serie di terzine e quarti-ne di crome) dev’essere abbinata a tempi metro-nomici molto elevati. Nell’esecuzione dei singoliballi le parti “di mantice” possono corrisponderea precise sequenze della danza oppure a formuledi identificazione del ballo (come nel passu tor-rau), ma in generale questa tecnica è variamenteutilizzata, in relazione agli stili ed ai repertori.Trova largo impiego, ad esempio, nei balli piùantichi e nei balli del Logudoro. Dal punto di vi-sta tecnico-esecutivo essa richiede un uso con-trollato del polso e dell’avambraccio sinistri ed èmolto impegnativa sul piano fisico, nonostantel’apparente semi-immobilità dei suonatori.Generalmente l’organettista sardo compone lamelodia utilizzando solo tre dita della mano de-stra – indice, medio ed anulare – e di rado fa ri-corso anche al mignolo. Il ricorso alla tecnicadetta lineare (che consiste nel comporre la melo-dia utilizzando i tasti di una sola fila) è partico-larmente legato all’uso del mantice ed agli effettiritmici che esso permette; la tecnica incrociata(la melodia viene composta usando alternativa-mente i tasti delle due file) è utilizzata soprattut-to nelle parti melodicamente più elaborate. Ingenerale, tranne che nei balli antichi, di solitoeseguibili su una sola fila con la tecnica lineare edi mantice, vi è un passaggio continuo da unatecnica all’altra.Quanto alla mano sinistra, essa non è solo re-sponsabile dei movimenti del mantice, ma an-che dei bassi dello strumento. Questi vengonoutilizzati soprattutto per mettere in evidenza lastruttura metrica, ma anche, in alcuni casi, co-me contrappunto al canto. Nel primo caso, bi-sogna distinguere fra bassi legati e bassi puntatia cui si ricorre per sottolineare le due differentiparti dei vari balli (“passo basso” e “passo al-to”). Tramite l’azione del mantice la mano sini-stra influisce anche sulla melodia, con un giocodi legato-staccato. Questa tecnica viene utilizza-ta per suddividere le note di valore lungo, affin-ché i ballerini mantengano la percezione dellapulsazione soggiacente.Queste precise caratteristiche stilistico-musicalied esecutive dell’organetto sardo, che – va ri-cordato – si sono definite e stabilizzate in pochidecenni, costituiscono un’ulteriore prova dellacoerenza e della omogeneità della tradizionemusicale sarda, soprattutto se si considera che

nalizzazione. Salvo rare eccezioni, a tutt’oggi sitratta comunque di semiprofessionalità, sia sottoil profilo economico (di solito il suonare è un se-condo lavoro), sia per l’impegno, non a tempopieno ma occasionale o calendariale, richiesto alsuonatore.L’organettista mantiene, in ogni caso, dei lega-mi privilegiati col proprio paese, essendo il re-sponsabile del ballo o dei balli specifici dellasua comunità. Di fatto ogni paese che ha ancorauna propria danza all’organetto ha almeno unsuonatore accreditato ad eseguirla anche in al-tre località. Nel caso in cui in un determinatopaese ci siano diversi organettisti di buon livel-lo, ci sarà sempre un suonatore riconosciuto su-periore agli altri per abilità e ruolo. Quest’ordi-ne di priorità è determinato, di solito, da unafiliazione (padre-figlio, maestro-allievo, peremulazione dello stile del virtuoso locale) alloscopo di garantire che almeno un musicista delpaese detenga una certa rappresentatività (edautorità) di suonatore principale. Esistono inol-tre organettisti di altissimo livello, rinomati intutta la Sardegna (come Pietro Porcu e ToninoMasala, purtroppo scomparsi, Mondo Vercelli-no, Totore Chessa ed altri), il cui repertoriocomprende danze di quasi tutta l’Isola. Alcunidi questi impartiscono lezioni private ad allieviprovenienti anche da altri paesi ed in ogni casosono presi a modello di tecnica e stile da moltisuonatori, occasionali e professionali. In questocaso, il principio della filiazione si trasforma inconformità con il passaggio da una dimensione

paesana e interpersonale ad una dimensione re-gionale in cui viene privilegiato il virtuosismoindividuale. Si consideri in tal senso come lacircolazione nell’Isola di questi organettisti pro-fessionisti (e delle loro musicassette) abbia de-terminato da un lato un’assimilazione sincreti-ca, in base ai tratti stilistici comuni, di alcuniballi “di paese” in balli “di zona” (per cui ad es.,accanto ai particolari ballos di Orgosolo, di Olie-na, di Desulo ecc., esiste oggi anche un ballu bar-baricinu), dall’altro un’associazione fra specificitipi di danza e suonatori che ne hanno dato in-terpretazioni particolarmente apprezzate (ad es.sa danza ’e Porcu, su ballu ’e Vercellino ecc.).Connessa a questi sviluppi del professionismo edel virtuosismo strumentale è inoltre la diffu-sione di sofisticate procedure improvvisative,normalmente operanti nell’accompagnamentoestemporaneo della danza (GIANNATTASIO -LORTAT-JACOB 1981; GIANNATTASIO - LORTAT-JACOB 1982: 13-17; GIANNATTASIO 1987; GIAN-NATTASIO 1992: 183-204), che costituiscono adun tempo l’indizio e la garanzia di una costanterivitalizzazione di stili e repertori.Soprattutto queste ultime considerazioni porta-no a ritenere che l’assimilazione dell’organettonel folklore sardo abbia di fatto comportato unarricchimento, piuttosto che una semplificazio-ne, delle dinamiche di produzione musicale, an-che se queste ultime, ovviamente, vanno oggireinterpretate nel quadro di una più complessi-va trasformazione dell’assetto culturale tradi-zionale dell’Isola.

106. Carmelo Floris,Ballerine di Baronia, 1920, illustrazione per Rivista Sarda

esse sono il frutto non di una spe-cifica scuola, ma di sparse pratichemusicali individuali. Infatti, a dif-ferenza del suonatore professioni-sta di launeddas, cui occorrevanoanni di severo apprendistato (WEISBENTZON 1969), e di chi canta a te-nore, che non può praticare la mu-sica al di fuori del gruppo di cui faparte, il suonatore di organetto hacon la musica che esegue un rap-porto autonomo e personale (GIAN-NATTASIO 1979: 87-96), non essen-do tenuto né ad un lungo tirocinio,tradizionalmente formalizzato, né auna pratica di gruppo. Sulla base diquesto rapporto libero ed indivi-duale si sono definiti col tempo nonsolo i tratti stilistici peculiari dell’or-ganetto sardo, ma anche – natural-mente – diversi livelli di competen-za esecutiva, valutati e riconosciuticome tali dalla comunità, e perciòdeterminanti nel caso di professio-

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• Dati generaliStrumento in usoCarattere armonico/melodicoNon costruito generalmente da chi lo suonaOccasione indeterminata

• Area di attestazione Tutta la Sardegna

Strumento a mantice conosciuto e diffuso in tutto il mondo specialmente per l’esecuzione di musichefolkloristiche, è attestato in Sardegna a partire daiprimi decenni del nostro secolo, dove haparzialmente sostituito in modo lineare (insiemeall’organetto e all’armonica a bocca) strumentiautoctoni come le launeddas e i sulittus. È attestatosia il modello cosidetto “a piano”, con i tasti bianchie neri come quelli appunto del pianoforte, sia quello“a bottoni”, meno diffuso. Solo la tastiera dellamelodia differenzia i due tipi di strumenti, mentre il mantice, il sistema dei registri e la tastieradell’accompagnamento sono del tutto simili. Sonorare anche le fisarmoniche semidiatoniche, una viadi mezzo tra l’organetto e la fisarmonica, con latastiera d’accompagnamento cromatica e quelladella melodia diatonica con tre file di tasti adoppia intonazione che consentono di realizzarel’intera gamma cromatica. Come gli organetti, anche le fisarmoniche nonvenivano costruite nell’Isola e si provvedevapertanto ad importarle dal continente.

106

ANCE LIBERE

AEROFONO

LIBERO

A INTERRUZIONE

CON SUONO PROPRIO (ANCE LIBERE)IN SERIE

Fisarmónica

FisarmónicaSonu

BIBLIOGRAFIAFARA 1940: 79;DORE 1976: 131-132;DORE 1988: 201;GUIZZI 1990: 53

DISCOGRAFIAMUSICA SARDA 1973;DANZE SARDE 1976;ERBI S. D.

FONTI D’INFORMAZIONEPIETRO MADAU (SAN VERO MILIS);BENIAMINO MASSESI (MURAVERA)

RIFERIMENTI FOTOGRAFICI:106-108, 211

TRACCIA CD: 32

107. Fisarmonica “scalapiano”, cm 47, costruita

dalla ditta Baile, già di proprietà di Francesco

Bande, 1960 ca.

108. Lula, festa di S. Francesco, riposo dopo

il banchetto, 1959-61(foto Franco Pinna)

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ANCE LIBERE

AEROFONO

LIBERO

A INTERRUZIONE

CON SUONO PROPRIO (ANCE LIBERE) IN SERIE

Armónium

• Dati generaliStrumento in usoCarattere melodico/armonicoNon costruito generalmente da chi lo suonaOccasione indeterminata

• Area di attestazione Tutta la Sardegna

ArmóniuArmónium

HarmóniumÓrganos

BIBLIOGRAFIADORE 1976: 135-136;DORE 1988: 201

FONTI D’INFORMAZIONEGIUSEPPE CARTA (MASULLAS);ROBERTO MILLEDDU (CAGLIARI)

TRACCIA CD: 33

Lo strumento, tipicamente liturgico, è composto dauna cassa in legno con una tastiera che agisce su unaserie di valvole che consentono all’aria, spinta oaspirata da mantici a pedali, di mettere in vibrazioneuno o più ordini di ance libere disposte su unsomiere. Tiranti meccanici (registri) disposti sopra latastiera possono aprire o chiudere i canali checonducono l’aria alle ance modificando il timbro e ilvolume sonoro. Le dimensioni sono variabili e vannodal semplice armonium “guidavoce”, dotato di ununico registro, molto piccolo e trasportabile permezzo di maniglie poste ai lati, a quelli di grandidimensioni che nelle chiese dell’Isola hannosostituito, a partire dagli ultimi decenni del secoloscorso, gli antichi organi a canne. L’armonium, comel’organo, veniva utilizzato per accompagnare i cantireligiosi, e addirittura quello trasportabile potevaessere utilizzato per accompagnare le serenate. In Sardegna si ha notizia di un’unica dittaproduttrice di armonium, quella dell’organaroGiuseppino Piras di Pimentel, che però, tra il XIX e il XX secolo, si limitava ad assemblare i propristrumenti con materiali importati da Francia e Germania.

109. Armonium “guidavoce”,già di proprietà di Giuseppe Lutzu,

sacrista della parrocchiadi S. Sofia (San Vero Milis,

chiesa di S. Michele)

110-111. Armonium a 6 registri, 1950 ca.(Assemini, parrocchiale di S. Pietro)

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110 111

AEROFONI LIBERI

AEROFONO

LIBERO

A INTERRUZIONE

PRIVO DI SUONO PROPRIO

A VORTICE

Frusciu

• Dati generaliStrumento desuetoGiocattolo musicaleCostruito generalmente da chi lo suonaOccasione indeterminata

• Area di attestazione Gavoi

Burriburri (Gavoi)Frúsciu (log.)

Frusciu (log.)Frusiu

AEROFONI LIBERI

AEROFONO

LIBERO

A INTERRUZIONE

PRIVO DI SUONO PROPRIO

A VORTICE

Muscone

• Dati generaliStrumento desuetoGiocattolo musicaleCostruito generalmente da chi lo suonaOccasione indeterminata

• Area di attestazione Quasi tutta la Sardegna

Semplicissimo trastullo infantile formato da ungrosso bottone da cappotto o da un pezzetto dimattonella opportunamente forato e sagomato, in cui si infila una cordicella annodata alle estremità. Si fa roteare il bottone o il pezzetto di ceramicatenendo la cordicella ben tesa tra le mani finché nonè completamente ritorta. Quindi, tendendo il filo, si provoca la rotazione del bottone in senso inversorispetto a quello in cui era stato precedentementeattorcigliato. La rapida rotazione produce un debole ronzio che ricorda il volo di un moscone.L’abilità consiste nel coordinare il movimento dellemani per sfruttare al massimo la forza d’inerzia deldisco e riavvolgere automaticamente la cordicellasenza fermarsi.

Buttone cun filu (centro-nord)Carroghedda (Campidano)

Mumusu (Bosa) Muscone (Logudoro)

BIBLIOGRAFIAFARA 1915: 162;FARA 1923a: 15;FARA 1940: 28-33;DORE 1976: 197;GERMI 1977: 64;ALZIATOR 1982;SATTA 1985: 69;DORE 1988: 201

TRACCIA CD: 34

BIBLIOGRAFIAFARA 1915: 161-162;FARA 1923a: 15;FARA 1940: 26-27;DORE 1976: 203-204;GERMI 1977: 65;SATTA 1985: 55;DORE 1988: 201

TRACCIA CD: 35

La forma di questo oggetto sonoro, conosciuto fin dall’antichità con il nome di rombo, è piuttostosemplice: a un’assicella di legno smussata ai bordi(lunga tra i 15 e i 25 centimetri) forata a una delleestremità corte viene legata una cordicella di circa un metro. La cordicella deve essere precedentemente ritorta su se stessa prima di far roteare l’oggetto. Si preferiscono legni leggeri, come il pioppo sardo, o più semplicemente il legno delle cassette per lafrutta, ma non è raro trovarne di più resistenti. L’effetto sonoro è simile al rombo del motore di unamotocicletta (da cui il termine onomatopeicoburriburri utilizzato a Gavoi per indicare questogiocattolo) e può essere regolato nell’intensità e nellafrequenza modificando la velocità della rotazione. Il rombo, che nell’antichità, come anche oggi inqualche regione extra europea, aveva una funzionerituale, in Sardegna è scaduto a livello di giocattoloinfantile.

112. Frusciu (burriburri, Gavoi),cm 35, costr. M. Pira, Gavoi

113. Muscone,ø bottone cm 4,

costr. M. Pira, Gavoi

114. Muscone, da FARA 1915: tav. III

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112 113

GIOCATTOLO A ESPLOSIONE

AEROFONO

LIBERO

A INTERRUZIONE

PRIVO DI SUONO PROPRIO

A ESPLOSIONE

Isciapette

• Dati generaliStrumento desuetoGiocattolo musicale Costruito generalmente da chi lo suonaOccasione vagamente determinata

• Area di attestazione Barbagia, Mandrolisai, media valle del Tirso

Ischizzarolu (Ghilarza)Isciapette (Ploaghe)Iscopette (Gavoi)

Istrúfulu (Ula Tirso)Su zogu ’e sa bérti‘ta (Gavoi)

FISCHIETTI

AEROFONO

STRUMENTO A FIATO PROPRIAMENTE DETTO

A FESSURA

FLAUTO GLOBULARE

Ossu ’e pruna

• Dati generaliStrumento desuetoGiocattolo musicaleCostruito generalmente da chi lo suonaOccasione indeterminata

• Area di attestazione Quasi tutta la Sardegna

Rudimentale fischietto che si ottiene da unnocciolo di albicocca o di prugna levigando su unasuperfice ruvida le due facce del seme fino a forarnele pareti. Lo strumento si suona appoggiandolo allelabbra e soffiando all’interno del foro. Si può anchefar passare l’aria durante l’inspirazione, ottenendo un risultato analogo. Il suono è molto acuto e venivautilizzato come richiamo per gli uccelli o, piùsemplicemente, come giocattolo musicale.

Frusciu Ossu ’e barracocco (Logudoro)

Ossu ’e prunaSulittu de pisu ’e piricoccu

BIBLIOGRAFIAFARA 1923a: 13;FARA 1940: 19;DORE 1976: 189;SATTA 1985: 38;DORE 1988: 201

FONTI D’INFORMAZIONEMARCELLO MARRAS (GHILARZA)

TRACCIA CD: 37

Cilindro in legno di sambuco (la lunghezza variadai 20 ai 30 centimetri circa), all’interno del qualescorre un pistoncino di olivastro chiamato a Gavoibérti‘ta (ossia “piccola pertica”). Nelle estremità delcilindro vengono introdotti due tappi di sughero o distoppa, dei quali uno, spinto dal pistoncino diolivastro, funge da stantuffo che comprime l’ariainterna al tubo e proietta lontano l’altro, inseritonell’estremità opposta. Il lancio di questo tappo èovviamente accompagnato da uno scoppio. A Gavoi il tappo interno viene trattato con la ceracalda mentre a Ula Tirso la stoppa, masticata per uncerto periodo, viene intrisa di saliva per garantire laperfetta tenuta dell’aria. Va considerato quindi come un’antica e rudimentalearma-giocattolo più che un oggetto musicale. L’unicaoccasione di impiego che può suggerire un suoinserimento tra i congegni sonori rituali è la veglia diNatale, quando in alcuni centri veniva usato dai ragazziper salutare la nascità di Gesù.

AEROFONO

STRUMENTO A FIATO PROPRIAMENTE DETTO

A BECCO

FLAUTO GLOBULARE

Surbiette

• Dati generaliStrumento desuetoGiocattolo musicaleCostruito generalmente da chi lo suonaOccasione indeterminata

• Area di attestazione Barbagia di Ollolai

È costruito con un semplice nastro di lamiera dialluminio della lunghezza di una decina di centimetri e della larghezza di 1-2 centimetri, piegato a formareun ricciolo. Attorno alla sezione rettilinea dell’oggettoviene avvolta e appiattita una lamella di latta che necostituisce il canale di insufflazione. Si suona come un normale fischietto chiudendo la parte aperta delricciolo tra i polpastrelli del pollice e dell’indice.

PipioluedduPipiriolu

Srubiette (Gavoi)

115. Isciapette (iscopette, Gavoi),cilindro cm 31,

costr. M. Pira, Gavoi

BIBLIOGRAFIASATTA 1985: 67-68

FONTI D’INFORMAZIONEMICHELE LOI (ULA TIRSO);MICHELE PIRA (GAVOI)

TRACCIA CD: 36

BIBLIOGRAFIATUCCI 1991: 193

FONTI D’INFORMAZIONEMICHELE PIRA (GAVOI)

TRACCIA CD: 38

117. Ossu ’e pruna,cm 1,6, costr. M. Marras,Ghilarza

116. Isciapette, cilindro cm 20,

costr. M. Loi, Ula Tirso

118. Srubiettos, cm 2,7 x 1; cm 2,4 x 1,9;

costr. M. Pira, Gavoi

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114 115

FLAUTI A BECCO

AEROFONO

A FESSURA

A IMBOCCATURA INDIRETTA (FESSURA INTERNA) SINGOLO

APERTO

CON FORI PER LE DITA

Pipiolu del LogudoroSulittu del Campidano

• Dati generaliStrumento in usoCarattere melodicoCostruito generalmente da chi lo suonaOccasione indeterminata

• Area di attestazione Campidano di Cagliari, Logudoro, media valle del Tirso

Frusiu (Logudoro)PipioluPippaioru (Milis)Pippariolu (Sennori)Pippiriolu (Ploaghe,VillanovaMonteleone)

Suitt’e cannaSulitt’e cannaSulitt’e pastoriSulittuSulittu de cannaSulittu de pastori

BIBLIOGRAFIAANGIUS 1833-56: I 382;SPANO 1851: 390;FUOS 1899: 153;FARA 1909: 725;FARA 1916: 509-533;FARA 1923a: 17;FARA 1940: 48;WAGNER 1960-64: I 553,II 273, 447;VARGIU 1974: 28-29;DORE 1976: 87-88, 91-96;GERMI 1977: 64;SCRIMA 1982: 400-418;DORE 1988: 200;GUIZZI 1990: 49;TUCCI 1991: 195-196

DISCOGRAFIAMUSICA SARDA 1973

FONTI D’INFORMAZIONEMARIO EXIANA (QUARTUCCIU);LUIGI LAI (SAN VITO);MICHELE LOI (ULA TIRSO);MARCELLO MARRAS (GHILARZA);GIOVANNI MURTAS (MURAVERA);GIUSEPPE OBBILI (ASSEMINI);BENIGNO SESTU (MURAVERA)

TRACCIA CD: 39-42

Costruito con un unico pezzo di canna comune con l’estremità superiore tagliata ad angolo acuto performare il becco, il cosiddetto pipiolu del Logudoropresenta un nodo che interrompe il corpo dellostrumento a circa metà o due terzi del canneggio, una finestra rettangolare immediatamente sottol’imboccatura e quattro fori per le dita, di cui tre nella parete anteriore della canna, al di sotto delnodo, e uno posteriore al di sopra del nodo. Lo sicostruisce in diversi tagli che prendono il nome dallatonica dello strumento che si trova un semitono soprala nota più grave e produce intervalli diatonici (nonsempre precisi) di semitono, tono, tono, semitono (ad es. in uno strumento in do si avrà la successionesi, do, re, mi, fa). Lo strumento in uso nel Campidano di Cagliari (dove prende il nome generico di sulittu o suittu) non presenta rispetto a questo sostanzialivarianti organologiche, tranne un maggiore diametroesterno e un’angolatura meno pronunciata del becco.

In sol, 1972,cm 22,5, ø cm 2,7

In si bemolle, 1981-82, cm 20, ø cm 2,4

In la bemolle, 1979, cm 21,3, ø cm 2,5

In si, 1980,cm 20, ø cm 2,4

In do, 1951,cm 18,1, ø cm 2

In re, 1982,cm 15,4, ø cm 2

In la, 1975,cm 21,8, ø cm 2,3

In la bemolle, 1979,cm 21,5, ø cm 2,2

119-126. Pipiolus del Logudoro,costr. M. Exiana, Quartucciu

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116 117

FLAUTI A BECCO

AEROFONO

A FESSURA

A IMBOCCATURA INDIRETTA (FESSURA INTERNA) SINGOLO

APERTO

CON FORI PER LE DITA

Sulittu della Marmilla

• Dati generaliStrumento in usoCarattere melodicoCostruito generalmente da chi lo suonaOccasione indeterminata

• Area di attestazione Campidano di Cagliari, Marmilla

Molto simile al pipiolu del Logudoro, se nedifferenzia per avere il foro posteriore al di sotto del nodo e un foro in più nella parete anteriore al di sopra, foro che produce il suono più acuto dellostrumento. Quello posteriore, aperto come si è detto al di sotto del nodo, non ha (come in nessunodei flauti sardi) la funzione di portavoce, ossia nonserve per favorire l’emissione degli armonicisuperiori, ma è un foro reale che modifica lalunghezza della colonna d’aria vibrante. Il numerototale dei fori è quindi di cinque e la tonica, cheindica il taglio dello strumento, si ottiene conl’apertura del primo foro. Tagliato in varie tonalitàproduce generalmente la successione degli intervallidiatonici ascendenti di semitono, tono, tono,semitono, tono (ad es. in uno strumento in do si avràla successione si, do, re, mi, fa, sol). Come tessituracorrisponde in pratica al pipiolu del Logudoro conuna nota in più verso l’acuto.

BIBLIOGRAFIAFARA 1940:TAV. IV;WAGNER 1960-64: II 447

FONTI D’INFORMAZIONEMARIO EXIANA (QUARTUCCIU);MICHELE LOI (ULA TIRSO);MARCELLO MARRAS (GHILARZA);GIOVANNI MURTAS (MURAVERA);GIUSEPPE OBBILI (ASSEMINI)

TRACCIA CD: 43-44

127. Sulittu (sulittu de pastori),da FARA 1940: tav. IV

In la bemolle, 1992, cm 25, ø cm 2,1,

costr. G. Obbili, Assemini

128-132. Sulittus della Marmilla

In la bemolle, 1992,cm 25,3, ø cm 2,2,

costr. G. Obbili, Assemini

In fa diesis, 1980,cm 26,4, ø cm 2,6,

costr. M. Exiana, Quartucciu

In fa, 1969,cm 28, ø cm 2,9,

costr. M. Exiana, Quartucciu

In re minore, 1980,cm 17, ø cm 2,

costr. M. Exiana, Quartucciu

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118 119

FLAUTI A BECCO

AEROFONO

A FESSURA

A IMBOCCATURA INDIRETTA (FESSURA INTERNA) SINGOLO

APERTO

CON FORI PER LE DITA

Pipaiolu della Barbagia

• Dati generaliStrumento in usoCarattere prevalentemente melodicoCostruito generalmente da chi lo suonaOccasione indeterminata

• Area di attestazione Barbagia

Il pipaiolu della Barbagia presenta evidenti differenzeorganologiche rispetto ai flauti precedentementedescritti: i quattro fori per le dita vengono infattipraticati esclusivamente sulla parete anteriore e lacanna non è interrotta dal nodo che, opportunamentesfondato, è invece situato nell’estremità inferiore.Non vi è quindi alcun foro posteriore ed il becco hauna minore inclinazione rispetto a quella del pipioludel Logudoro e del sulittu della Marmilla. La zeppa in sughero presenta inoltre un’angolatura nella parteinterna parallela al taglio del becco. La nota più grave corrisponde alla sensibile (che siottiene con tutti i fori chiusi) mentre la tonica, comenegli altri flauti a becco della Sardegna, si ottiene con l’apertura del primo foro. I pipaiolos, tagliati invarie tonalità, producono partendo dal grave lasuccessione intervallare di semitono, tono, tono, tono e mezzo (ad es. in uno strumento in do si avrà la successione si, do, re, mi, sol).

Pipaiolu Pipiolu ’e ‘anna (Gavoi)

In Sardegna si riscontrano tre tipologie principali diflauti a becco: il sulittu della Marmilla, il cosiddettopipiolu del Logudoro in uso nel Campidano diCagliari e il pipaiolu della Barbagia. Le differenze tra i primi due si evidenziano nel numerodei fori e nella posizione di quello posteriore rispetto alnodo centrale dello strumento, mentre il pipaiolubarbaricino si distingue ulteriormente per l’assenza delforo posteriore e per la posizione del nodo. Altra caratteristica che accomuna i flauti delLogudoro e della Marmilla è l’inclinazione del beccoche oscilla tra i 40° e i 45° e si ottiene generalmentecon un taglio netto della canna (è raro invece il beccoricurvo). Tale inclinazione differisce sensibilmente daquella più accentuata dei pipaiolos della Barbagia.L’angolazione del becco dei flauti della Barbagia èsimile anche a quella dei pipiolus del Logudorocostruiti nei paesi al confine con il Campidano cheper il resto si rifanno alla tipologia logudorese. Sa fentana (la finestra del becco) rappresenta invecel’elemento di distinzione tra i vari costruttori e lezone di diffusione. Si riscontrano fentanas aperte inmaniera molto rudimentale con due tagli a tacca(diffuse nella media valle del Tirso), con una fessuradi qualche millimetro di larghezza (Sarrabus), o finestre tagliate con notevole precisione (Campidano di Cagliari). Sia negli strumenti della Marmilla sia in quellicampidanesi su tupponi (la zeppa del becco) è dilegno (salice selvatico “molle” o “duro”, qualchevolta anche oleandro o ferula nel Sarrabus). Neipipiolus del Ghilarzese è invece frequente su tappu o tupponi di sughero, tipico del pipaiolu barbaricino. Da su tupponi dipende la qualità sonora deglistrumenti. La sua inclinazione interna deve infattifavorire il fendersi dell’aria insufflata sul bordotagliente de sa fentana (in sardo s’invitu). Per costruire un sulittu nelle sue varietà bisognaanzittutto procurarsi una buona canna stagionata. Le tecniche di raccolta sono generalmente comuni ai diversi costruttori: la canna deve essere raccoltadurante i mesi invernali, quando la pianta è a riposoe contiene una minore quantità di acqua (è impor-tante anche scegliere la fase lunare giusta e l’orariodel taglio della canna, ma non tutti i costruttori sono d’accordo su questo punto). La stagionatura prevede un tempo minimo di unpaio d’anni; talvolta i costruttori ricavano la materiaprima dagli incannucciati che reggevano il tetto divecchie case in demolizione e pertanto non è raro

BIBLIOGRAFIAANGIUS 1833-56:VII 286;WAGNER 1960-64: II 447;DORE 1976: 89;GERMI 1977: 64;SCRIMA 1982: 400-418;DORE 1988: 200;GUIZZI 1990: 49;TUCCI 1991: 195-196

FONTI D’INFORMAZIONEMARIO EXIANA (QUARTUCCIU);LUIGI LAI (SAN VITO);MICHELE LOI (ULA TIRSO);MARCELLO MARRAS (GHILARZA);GIOVANNI MURTAS (MURAVERA);GIUSEPPE OBBILI (ASSEMINI);MICHELE PIRA (GAVOI);PIERGAVINO SEDDA (GAVOI)

TRACCIA CD: 17, 45-46

133-136. Pipaiolosdella Barbagia

In si, 1992,cm 15,8, ø cm 1,8

In fa, 1992, cm 21,6, ø cm 2,3

In la, 1993,cm 17,7, ø cm 2,2,

costr. P. Sedda,Gavoi

In mi, 1992,cm 12, ø cm 1,5

Analisi comparativa delle varie tipologie di pipiolus, sulittus, pipaiolos

trovare sulittus fatti con canne ultracentenarie. La sezione migliore della canna è quella tagliata oltreil terzo nodo partendo dal basso, perché risulta laparte più resistente ma non eccessivamente spessa. Anche per la zeppa del becco è necessario tagliare illegno in un determinato periodo, solitamente ininverno, e si richiede una stagionatura di almeno dueanni, mentre il sughero, quando viene usato perrealizzare la zeppa, deve essere della migliore qualità,e il più compatto possibile. La tecnica costruttiva varia a seconda del grado di abilità artigianale e musicale raggiunto dalcostruttore e va dall’impiego di misurazioni di tipoantropometrico (si dispongono cioè le dita sullacanna come per impugnare lo strumento e quindi si determina la posizione dei fori), all’osservanzameticolosa di proporzioni e misure precise. Solitamente si realizza prima sa fentana e in seguitosu tupponi, procedendo con vari aggiustamenti sinoad arrivare a una soddisfacente qualità del timbro. Si asporta la canna sino ad ottenere un buco di formaquadrata o rettangolare e successivamente siprovvede a realizzare s’invitu assottigliando il bordoinferiore della finestra. Nel caso in cui, a becco ultimato, lo strumentopresentasse alcune note crescenti si provvede achiudere leggermente i fori con un po’ di cera,mentre se le note sono calanti si allargano.L’intonazione generale dello strumento può essereinvece abbassata leggermente mettendo un po’ di cera sul bordo superiore della fentana.Non è possibile invece innalzare l’intonazione. Nella finitura dei vari strumenti si riscontrano diverse tecniche decorative, dal semplice intaglio alla pirografia, alla pittura ad olio e, in certi casi, al rivestimento in pelle di biscia d’acqua. È inoltrefrequente la sottolineatura, attraverso segni grafici,dei vari elementi strutturali dello strumento comefori, finestra, becco, nodi. Oltre alle tecniche di tipodecorativo è quasi sempre d’obbligo, per dare unacerta rifinitura, levigare esternamente il nodo sino arenderlo privo di asperità. In certi casi vengonoanche realizzate delle legature che circoscrivono, inalcuni punti deboli, la circonferenza del canneggio in maniera tale da rafforzarne la struttura. Alquanto ridotto, come si può immaginare, è l’elencodegli attrezzi necessari per costruire i flauti, checomprende quasi unicamente un coltello per lalavorazione della canna e della zeppa ed un tondinodi ferro che viene arroventato per aprire i fori.

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PIFFERO E TAMBURO

AEROFONO

A FESSURA

A IMBOCCATURA INDIRETTA (FESSURA INTERNA) SINGOLO

APERTO

CON FORI PER LE DITA

UNITO AD ALTRO STRUMENTO(MEMBRANOFONO A PERCUSSIONE INDIRETTA)

Sulittu e tamburinu

Come si evince dal nome, si tratta di un lungoflauto a becco e di un tamburo cilindrico bipelle di piccole dimensioni, suonati da un unico esecutore.Poiché tale pratica ha determinato una specificaevoluzione dei due oggetti in modo da rendernepossibile l’utilizzo simultaneo, si considera la coppiapiffero-tamburino come un unico strumento.Nell’organografia tradizionale la coppia viene descrittatra gli strumenti aerofoni in quanto si attribuisce alflauto un ruolo principale. Lo strumento è ormai del tutto scomparso in Sardegna ma nei secoli passatiaveva un ruolo importante nell’accompagnamentodella danza e in alcuni riti paraliturgici. Lo si deduce dalle numerose attestazioni iconografiche a partire dall’angelo musicante nella tavola dipinta dal Maestro di Castelsardo, conservata attualmentenella Pinacoteca Nazionale di Cagliari, o dalbassorilievo cinquecentesco della chiesa di S. Bachisiodi Bolotana, fino alle stampe e ai dipinti del secoloscorso. Si può dire altresì che lo strumento avesse in passato un’importanza non inferiore a quella dellelauneddas, come testimoniano i resoconti di viaggiatorisette-ottocenteschi tra cui l’abate Fuos e il La Marmora o musicisti quali l’Oneto. A differenza di quelle, come rileva Giulio Fara, che nel 1917 glidedicò un esauriente saggio, non è però un prodottoautoctono dell’Isola, essendo stato importato dai dominatori iberici, e rivela una sorprendentesomiglianza con gli analoghi strumenti in uso nell’isoladi Maiorca. Le ultime notizie del suo impiegorisalgono agli anni Cinquanta di questo secolo. Il flauto aveva un canneggio stretto e lungo checonsentiva la realizzazione di numerosi suoni armonici,per cui con appena tre fori si potevano avere, secondoil Fara, fino a 17 suoni differenti (anche se nella praticacorrente se ne ottenevano appena una dozzina). Con la mano sinistra si reggeva il flauto econtemporaneamente si realizzava la melodiachiudendo con il pollice il foro posteriore e con l’indicee il medio quelli anteriori, mentre la mano destrapercuoteva con un piccolo mazzuolo un tamburinoappeso all’avambraccio sinistro. Giulio Fara, nel citatoarticolo, descriveva ben tre strumenti di San Vero Milis

e proprio qui si è trovatoil più antico, di proprietàdegli eredi di GiuseppeOrro. Il tamburo,conservato in ottimecondizioni, a detta deiproprietari dovrebbeavere un’etàultracentenaria, mentreappare verosimile fissarela data della suacostruzione agli ultimidecenni del secolo scorso.

• Dati generaliNe è rimasta solo la memoriaCarattere melodico e ritmicoOccasione indeterminata

• Area di attestazione Campidano

Píffaru (Logudoro)Pipaiolu e tamburinuSuittu e tambuniu (San Vero Milis)

Suittu e tamburinuSulittuSulittu e tamburinu (camp.)

BIBLIOGRAFIAMIMAUT 1825:TAV. F.T.;ANGIUS 1833-56: IX 165, XII 263,XVIII BIS 541;LA MARMORA 1839: II 259;ONETO 1841;FUOS 1899: 153;FARA 1916-17: 151-174;FARA 1923a: 17;FARA 1940: 56-67;GABRIEL 1954;ALZIATOR 1957: 148;LEYDI - MANTOVANI 1970: 206-207;VARGIU 1974: 25;DORE 1976: 97-106;GIRALDI 1979: 16;ARCE 1982: 236-238;SCRIMA 1982: 400-418;MUSICA 1983-84: III 652, IV 624;SPANU 1989: 83-84, 97;TUCCI 1991: 195

FONTI D’INFORMAZIONEFEDELE CABRAS (QUARTUSANT’ELENA);GIOVANNI LONGONI (QUARTUSANT’ELENA);ANTONIO ORRO (SAN VERO MILIS)

RIFERIMENTI FOTOGRAFICI:10, 14, 92, 137-146

138. Alfred Mimaut,Paysans et costumes sardes,

litografia, da MIMAUT1825: tav. f. t.

139. Suonatore di sulittu(pipaiolu) e tamburinu,

da FARA 1940: tav. V

137. Sulittu e tamburinu(suittu e tambuniu, San VeroMilis), tamburo cm 20,5, ø cm 21; mazzuolo cm 20;flauto cm 46, ø cm 1,8; già di proprietà diGiuseppe Orro (1914-1993).Il tamburo è stato costruitopresumibilmente nellaseconda metà dell’Ottocento;il flauto è invece più recentema anteriore agli anniCinquanta di questo secolo

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140. Membrana inferiore del tamburinu;è visibile la cordiera che attraversa la pelle

141. Estremità del sulittu(«Imboccatura del pipaiolu»; «Parte inferiore del pipaiolu con i due forilaterali anteriori»), da FARA 1916-17: figg. I-II

122 123

Mentre il tamburino risponde perfettamente allecaratteristiche descritte dal Fara, altrettanto non sipuò dire del sulittu, in bambù e non in sambucocome riporta il noto etnomusicologo, e dalle qualitàfoniche poco apprezzabili. In assenza di informazionia riguardo è presumibile che, in seguito aldeterioramento o allo smarrimento del flautooriginale, si sia provveduto a realizzarne uno dibambù. Quello che si conserva attualmente è lungo46 centimetri con un diametro interno della canna diun centimetro, presenta tre fori per le dita inprossimità dell’estremità inferiore, due nella pareteanteriore e uno in quella posteriore dello strumento.Sia le misure, sia la dislocazione dei fori nondifferiscono molto da quelle dell’antico flauto disambuco (in sardo sammucu fémina), di lunghezzavariabile dai 52,3 ai 54,4 centimetri e dal diametro di 1,2-1,5. Una volta stagionato il legno, secondoquanto riferisce il Fara, si provvedeva ad asportarecon un ferro appuntito il midollo interno, a toglierela corteccia e ad aprire i fori per le dita e la finestracon la linguetta, che talvolta poteva essere rinforzatacon una sottile lamina di ferro. Il tamburino, che come si è detto si è conservatointegro, ha la cassa cilindrica formata da due laminecircolari di legno sovrapposte e fissate con chiodi

metallici. I cerchi che tendono le pelli hannosezione circolare e sono ricavati da fuscelli di legno elastico, mentre i tirantisono disposti a “Y” con fascette di cuoio chepermettono di variarne la tensione. Sulla

membrana non battente si posa diametralmente unacordiera, ossia un legaccio teso con un pirolo infissonella cassa e realizzato con un rametto biforcuto chefunge da vera e propria chiave.

142. Giovanni Cominotti, Enrico Gonin, Fête à une Chapelle rurale (environs de Cagliari),cromolitografia (part.), da LA MARMORA 1839:tav. IV. L’incisione era stata già pubblicata nellaprima edizione dell’Atlas de la première partie duvoyage en Sardaigne (Paris 1825) con il titolo Un jour de fête aux environs de Quartu.

in basso:143. Cassa del tamburinu

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Il mazzuolo è di piccole dimensioni; realizzato inlegno duro, termina con un arrotondamento alle dueestremità. Lo strumento veniva tenuto con unacordicella fissata alla cassa e passante intorno al collo. A Quartu Sant’Elena è stato fedelmente ricostruitoun sulittu e tamburinu da Andrea e Fedele Cabrascon la supervisione attenta di un anzianocostruttore e suonatore, Francesco Cogoni. Il flauto in legno di sambuco corrisponde alle dimensioni e alla forma descritta dal Fara,mentre particolarmente interessante risulta il tamburo con la cassa formata da doghe di abete alternativamente larghe estrette incollate tra loro. I cerchi e i controcerchi sono ricavati daarbusti di olivastro. La pelleovina conciata con la calce è cucita ai cerchi, mentrel’allacciatura dei tiranti è a“Y” con anelli di pelle chene regolano la tensione.Quattro spire di cordaintersecano e legano i tirantiin prossimità dellamembrana inferiore, sullaquale inoltre passa unabordoniera regolata da una chiave inlegno (su scetti). Il tamburo viene appeso all’avambraccio sinistromediante una cinghia disposta longitudinalmenterispetto alla cassa ed è percosso con un lungo esottile mazzuolo, impugnato con la mano destramentre la sinistra tiene il flauto.

124 125

144-145. Sulittu e tamburinu, flauto cm 43, ø cm 2;

tamburo cm 19, ø cm 26; mazzuolo cm 49;ricostruiti da Andrea e Fedele Cabras,

Quartu Sant’Elena

146. Simone Manca diMores, Invito al ballo tondo.Veduto in Oristano alla festadella Madonna d’Itria nel1876, tempera dell’albumRicordo alla mia cara figliaLuigia Riccio – Costumi evedute dell’Isola di Sardegna– Lavori originali eseguiti dalsettembre 1878 al settembre1880, tav. XXVIII

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grandi ante. Aprendo questi sportelliappaiono le canne di mostra disposte auna o tre campate cuspidate, una piccolatastiera incassata sotto le canne e ipomelli dei registri alla sua destra. Neimodelli più antichi la tastiera dispone di45 tasti (do1-do5) con l’ottava corta o “ascavezza”, priva cioè dei semitoni cromaticinell’ottava più grave. Dalla base dello strumentosporge inoltre una piccola pedaliera collegatadirettamente alla prima ottava della tastiera. La trasmissione è meccanica, il somiere “a tiro” e i mantici del tipo “a cuneo”, anticamente azionati da una robusta leva di legno ma attualmentealimentati da una ventola elettrica. Le canne frontali,o di mostra, sono di stagno o di lega, quelle internedi piombo e legno. Lo strumento dispone solitamente dei registri diprincipale con i suoi armonici in quinta e ottava(ripieno), il flauto in quinta e la voce umana, ma sitrovano anche curiosi effetti “speciali” come leuccelliere, il tamburo rullante, o una nota fissa dibordone azionabile con un pomello. Questo effetto,frequente negli organi napoletani, era certamentefamiliare ai sardi, abituati al persistente ronzio deltumbu delle launeddas, e veniva impiegatoprincipalmente per eseguire sa pastorella, la pastorale natalizia. C’è da ricordare, a questoproposito, che l’organo veniva suonato anche con lelauneddas e oltre ai brani strettamente liturgici nonera infrequente sentire in chiesa le note de su ballu.

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ORGANO

AEROFONO

A FESSURA

A IMBOCCATURA INDIRETTA (FESSURA INTERNA) IN SERIE

CANNE APERTE E CHIUSE

Órganu

BIBLIOGRAFIAPORRU 1832: 407;SPANO 1851: 329;MALTESE - SERRA 1969: 332;MILLEDDU C. S.

FONTI D’INFORMAZIONEGIUSEPPE CARTA (MASULLAS)

TRACCIA CD: 47

147. Organo, cm 265 x 139 x 91, costruitonella prima metà del XVIIIsecolo (Galtellì, parrocchialedel SS. Crocifisso)

Órganu Órganos

• Dati generaliStrumento in usoCarattere melodico/armonicoNon costruito da chi lo suonaOccasione indeterminata

• Area di attestazioneTutta la Sardegna

A partire dal XVI secolo diverse fonti documentarieattestano l’uso dell’organo in ambito urbano. Nelsecolo successivo, sempre con maggior frequenzacompaiono notizie sulla sua presenza nei centri ruralidove viene impiegato per accompagnare il riccopatrimonio di canti devozionali liturgici e paraliturgici:gosos e pregadorias, antifone, sequenze, interi branidell’ordinarium missae tramandati oralmente. Apparepertanto pienamente giustificato il suo inserimento nelcatalogo degli strumenti popolari sardi. Tra le varie tipologie, quella più antica e diffusa èrappresentata dall’organo positivo di scuolanapoletana “ad armadio”, in cui canne, mantici,meccanica e tastiera sono contenuti in una cassa di legno alta e stretta, chiusa sul davanti da due

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FLAUTO TRAVERSO

AEROFONO

STRUMENTO A FIATO PROPRIAMENTE DETTO

A FESSURA

FLAUTO TRAVERSO

APERTO

CON FORI PER LE DITA

Píffaru

• Dati generaliStrumento in usoCarattere melodicoNon costruito generalmente da chi lo suonaOccasione indeterminata

• Area di attestazione Sassari

Fonti iconografiche e letterarie del secolo scorsoattestano l’esistenza a Sassari e in alcuni centridell’Anglona de lu píffaru, un flauto traverso dimedie dimensioni suonato solitamente insieme altamburo. Lo si può vedere nei dipinti di SimoneManca di Mores ed è ricordato nei celebri versi delpoeta sassarese Pompeo Calvia: Lu píffaru e tamburu,e sona e ruglia forti, tra marcia e duru-duru, con notilonghi e forti. Lo strumento cadde in disuso già nell’Ottocento, sostituito da un ottavinoopportunamente modificato. Giulio Fara scrivevainfatti nel 1917 a proposito di questo strumento:«non mi è stato possibile trovare alcun esemplareoriginale, di fattura isolana, contadinesca, poiché già

Flautu ’e linnaPíferu

Píffaru (Sassari)Pipiriolu (Nulvi, Ossi)

BIBLIOGRAFIAPORRU 1832: 454;ANGIUS 1833-56: XIX 96;SPANO 1851: 342;FARA 1916-17: 152;DORE 1976: 107-110

FONTI D’INFORMAZIONEGIUSEPPE RUSSO (SASSARI)

TRACCIA CD: 18

da oltre un secolo i pochi suonatori popolareschituttora esistenti, si contentano di servirsi di antichiottavini che adattano alla capacità propria, turandonei buchi e legandone le chiavi». Ancora oggi le processioni solenni del gremio deiViandanti sono accompagnate dalle melodie di unostrumento simile a quello descritto dal Fara: unnormale ottavino d’orchestra in ebano al quale sonostate asportate le chiavi e otturati i fori che non servonoalla realizzazione delle ristrette melodie tradizionali. Si hanno invece notizie indirette sull’esistenzadell’antico flauto traverso di sambuco in alcuni centridel Sassarese ancora nella prima metà di questo secoloma non si è potuto reperire nessuno strumento.

149. Simone Manca di Mores,Foggie di vesti di alcunecorporazioni di Sassari nelleprocessioni ed il Gonfalonedel Capitolo (part.), temperadell’album Ricordo alla miacara figlia Luigia Riccio [...]Lavori originali eseguiti dalsettembre 1878 al settembre1880, tav. III

148. Píffaru, cm 28, ø cm 2

150. Píffaru sulla membranadel tamburu di Sassari

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ANCE QUADRUPLE GIOCATTOLO

AEROFONO

AD ANCIA QUADRUPLA

A CANNA CILINDRICA

SINGOLO

SENZA FORI PER LE DITA

Ischéliu

• Dati generaliNe è rimasta solo la memoriaGiocattolo musicaleCostruito generalmente da chi lo suonaOccasione indeterminata

• Area di attestazione Ula Tirso

Lo strumento, un giocattolo molto semplice, èrealizzato con un tubo di canna della lunghezza di circa10 centimetri e del diametro di 8-10 millimetri, apertoad un’estremità e chiuso all’altra dal nodo spaccato inquattro sezioni ottenute con due tagli ortogonali diqualche centimetro. Si formano così quattro ance chevibrano soffiando energicamente dalla parte opposta. La costruzione appare piuttosto semplice, ma a dettadei costruttori è estremamente difficile controllare laspaccatura delle quattro ance e si possono quindi gettarvia decine di strumenti prima di riuscire ad ottenerneuno con le qualità richieste. Dato che la vibrazione dell’ancia avviene soffiandodentro lo strumento al contrario dei normali strumentiad ancia (cioè nell’estremità aperta verso l’ancia e nonnell’ancia verso l’estremità aperta), lo strumento nonpresenta fori per le dita e può emettere un unico suono dal timbro molto nasale, usato un tempo daibambini per imitare il verso del capriolo, da cui il nomescrámia-betu (grido di capriolo).

Ischéliu (Logudoro)Scrámia beta

Scrámia-betu (Campidano)

AEROFONO

AD ANCIA SEMPLICE BATTENTE (CLARINETTI) A CANNA CILINDRICA

SINGOLO

CON/SENZA FORI PER LE DITA

Trumbitta

• Dati generaliStrumento in usoGiocattolo musicaleCostruito generalmente da chi lo suonaOccasione indeterminata

• Area di attestazione Quasi tutta la Sardegna

Pezzetto di canna, chiuso da un nodo nella partesuperiore e aperto dalla parte opposta. Vicino alnodo viene escissa una piccola ancia a tegola conl’estremità libera verso il basso. In sostanza è simile al cabizzinu delle launeddas. Spesso i ragazzi costruivano trumbittas di varialunghezza (che venivano intonate accorciando i tubisonori) da suonare contemporaneamente; altre voltesi aprivano uno o due fori sulla canna per realizzarenote di differenti altezze.

Cabizzinu (Campidano)Itriedda (Bitti)PipioluTriedda (Dorgali, Oliena, Orosei)Triuledda (Dorgali)Trobedda (Villanova Monteleone)

Trubéddura (Sassari)Truedda (gall.)Truéddula (Castelsardo)Trumbitta (Logudoro)Truvedda (Monti, Nuoro, Oschiri)

BIBLIOGRAFIASPANO 1851: 272;FARA 1916-17: 166;FARA 1923a: 14;FARA 1940: 20-21;WAGNER 1960-64: I 212, II 656;DORE 1976: 115-119;GERMI 1977: 64;DORE 1988: 200

FONTI D’INFORMAZIONEMICHELE LOI (ULA TIRSO);MARCELLO MARRAS (GHILARZA)

TRACCIA CD: 48

ANCE SEMPLICI GIOCATTOLO

BIBLIOGRAFIAFARA 1915: 152-170;FARA 1923a: 15;WAGNER 1960-64: II 529-530;VARGIU 1970: 497-498;VARGIU 1972: 30;DORE 1976: 33-36;GERMI 1977: 65;SATTA 1985: 29;DORE 1988: 200

FONTI D’INFORMAZIONEMICHELE LOI (ULA TIRSO)

TRACCIA CD: 49

AEROFONO

AD ANCIA SEMPLICE BATTENTE (CLARINETTI) A CANNA CILINDRICA

SINGOLO

SENZA FORI PER LE DITA

Trumbitta ’e forraini

• Dati generaliStrumento desuetoGiocattolo musicale Costruito generalmente da chi lo suonaOccasione indeterminata

• Area di attestazione Quasi tutta la Sardegna

Giocattolo infantile realizzato con una cannucciad’avena o di altre piante erbacee ( forraini in sardosignifica “fieno”), chiuso da un nodo ad unaestremità e aperto nella parte inferiore. In prossimitàdel nodo viene escissa con un temperino o con leunghie un’ancia oppure, più sbrigativamente, si schiaccia lo stelo con i denti.

Enarzu (Ula Tirso)Launedda ’e forrainiMudurru (Lula)Pimpiriolu (Campidano)

PipioluPipiriolu (Logudoro)Trumbitta ’e forrainiTruvedda (Gallura)

BIBLIOGRAFIAFARA 1913: 769;FARA 1923a: 13;FARA 1940: 18-19;VARGIU 1970: 497-498;VARGIU 1972: 30;VARGIU 1974: 29-30;SATTA 1985: 30, 40

FONTI D’INFORMAZIONEMICHELE LOI (ULA TIRSO)

151. Ischéliu,cm 17, ø cm 1,

costr. M. Loi, Ula Tirso

dall’alto:152-155. Trumbitta ’e forraini

(enarzu, Ula Tirso), cm 14, ø cm 0,6;

trumbittasa un foro, cm 12, ø cm 0,8;a due fori, cm 14, ø cm 0,7;

senza alcun foro, cm 10, ø cm 0,7;costr. M. Loi, Ula Tirso

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Il termine bena deriva dal latino avena,nome che già in epoca classica indicavagli strumenti di canna. Come infatti ènoto, questa pianta – cava al suo internoe interrotta da nodi, facilmentelavorabile ed elastica – è stata impiegatadai popoli che si affacciano sulMediterraneo per la costruzione di tubisonori di vario genere. In alcune zonedella Sardegna il termine è rimasto ad indicare le launeddas, mentre nella media valle del Tirso si riferisce ad elementari strumenti ad anciasemplice battente. In realtà la bena è una cannuccia chiusada un nodo nella parte superiore e sucui viene escissa un’ancia con l’aperturaverso il basso (in questo senso il termineè sinonimo di cabizzinu o launedda), mala trasformazione progressiva di questocannello ha dato origine a strumentiorganologicamente elaborati. In primoluogo, il prolungamento della canna haconsentito l’apertura dei fori per le ditafino ad un massimo di quattro. In secondo luogo, la sua resistenza ha suggerito la realizzazione di uncanneggio separato dall’ancia, anche sesono attestate con frequenza le benasricavate da un’unica porzione di canna. Lo strumento è formato dunque da unao più canne sulle cui estremità èinnestata o escissa un’ancia conl’estremità libera rivolta verso il basso e che il suonatore imboccacompletamente. Solo una cannapresenta quattro fori circolari per le dita,tre nella parete anteriore, uno in quellaposteriore; nel caso delle benas doppie laseconda canna non ha fori per le dita efunge da bordone. Le benas, che il Fara, annoverando tra igiocattoli infantili, chiamava trumbittas,hanno un impiego musicale nella mediavalle del Tirso.

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CLARINETTI POPOLARI

AEROFONO

AD ANCIA SEMPLICE BATTENTE (CLARINETTI) A CANNA CILINDRICA

SINGOLO

CON FORI PER LE DITA

Bena

• Dati generaliStrumento desuetoCarattere melodicoCostruito generalmente da chi lo suonaOccasione indeterminata

• Area di attestazione Media valle del Tirso

AenaBena

EnaTrumbitta

AEROFONO

AD ANCIA SEMPLICE BATTENTE (CLARINETTI) A CANNA CILINDRICA

IN SERIE

CON FORI PER LE DITA

Benas

• Dati generaliStrumento desuetoCarattere prevalentemente melodicoCostruito generalmente da chi lo suonaOccasione indeterminata

• Area di attestazione Media valle del Tirso

Benas Benas a duas cannas

BIBLIOGRAFIAFARA 1915:TAV. III;FARA 1916-17: 169-170;FARA 1940: 76;DORE 1976: 69-72;GUIZZI 1990: 50

FONTI D’INFORMAZIONEMICHELE LOI (ULA TIRSO);MARCELLO MARRAS (GHILARZA);ANTIOCO PINNA (ZURI)

TRACCIA CD: 50, 53BIBLIOGRAFIADORE 1976: 77-82;GERMI 1977: 64;DORE 1988: 200;GUIZZI 1990: 50

FONTI D’INFORMAZIONEMICHELE LOI (ULA TIRSO);MARCELLO MARRAS (GHILARZA);ANTIOCO PINNA (ZURI)

RIFERIMENTI FOTOGRAFICI:11, 161-162

TRACCIA CD: 52

156. Bena (trumbitta), da FARA 1915: tav. III

157-160. Benas semplici, dall’alto: cm 17, ø cm 0,8; cm 16,5, ø cm 0,8; cm 21, ø cm 1; cm 28,5, ø cm 0,9;costr. M. Loi, Ula Tirso

161-162. Benas doppie,max cm 29; max cm 25,5;costr. M. Loi, Ula Tirso

L’ancia delle benas, che come nellelauneddas si apre dal basso verso l’alto, differisce da queste perl’assottigliamento e appiattimento dellasuperficie esterna. L’intonazione dellostrumento si ottiene infatti levigandol’ancia e non aggiungendo o togliendouna pallina di cera, come si usa fare conle launeddas, mentre viene utilizzato uncapello, un filo di cotone o un crine dicavallo per tenere sollevata la linguettaquando questa tende a bloccarsi. Altroelemento di distinzione tra le benas e lelauneddas è dato dalla forma dei fori:nelle launeddas rettangolari o quadrati,intagliati con una lama affilata; nellebenas invece circolari e aperti con unferro arroventato.Comunque le benas (sia semplici siadoppie o triple) sono considerate ingenere meno “professionali” dellelauneddas che infatti vantano unatradizione costruttiva e musicale piùevoluta e accurata. Il suonatore/costruttore di benas badapoco alla perfetta intonazione dellostrumento e al risultato estetico, essendopiù interessato alla realizzazione delritmo che accompagna il ballo, unacaratteristica comune ai suonatori disulittu del Barigadu, la regione dell’Isolain cui sono diffuse le benas. Le dimensioni dello strumento varianoin funzione del numero dei fori, deldiametro e dello spessore della canna e possono oscillare tra i 12 e i 25-30centimetri. Lo strumento puòpresentare, oltre ai rinforzi alle estremitàcon spago impeciato, legature di variotipo per tenere insieme più canne, cosìcome fori rettangolari per regolarel’intonazione. Si possono legare insieme, come si èaccennato, due o tre canne (benasdoppie e triple) ma in questo caso comesi è detto solo una canna presenta i fori. Alle benas semplici si possonoapplicare anche dei padiglioni che nearricchiscano la sonorità, aumentandoil volume e modificandone il timbro,lasciando pressoché invariatal’intonazione. Questi padiglionipossono essere ricavati da corna diovini o bovini o da zucche seccheprivate dell’estremità inferiore. Gli strumenti così ottenuti prendono il nome rispettivamente di bena cuncorru e bena cun zucca.

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CLARINETTI POPOLARI

AEROFONO

AD ANCIA SEMPLICE BATTENTE (CLARINETTI) A CANNA CILINDRICA

SINGOLO

CON FORI PER LE DITA

CON PADIGLIONE

Bena cun zucca

• Dati generaliNe è rimasta solo la memoriaCarattere prevalentemente melodicoCostruito generalmente da chi lo suonaOccasione indeterminata

• Area di attestazione Media valle del Tirso

Bena cun croccoriga Bena cun zucca

134 135

CLARINETTI POPOLARI

AEROFONO

AD ANCIA SEMPLICE BATTENTE (CLARINETTI) A CANNA CILINDRICA

SINGOLO

CON FORI PER LE DITA

CON PADIGLIONE

Bena cun corru ’e boe

• Dati generaliNe è rimasta solo la memoriaCarattere prevalentemente melodicoCostruito generalmente da chi lo suonaOccasione indeterminata

• Area di attestazione Media valle del Tirso

Bena cun corru Bena cun corru ’e boe

BIBLIOGRAFIADORE 1976: 75-76;GUIZZI 1990: 50

FONTI D’INFORMAZIONEMICHELE LOI (ULA TIRSO);MARCELLO MARRAS (GHILARZA);ANTIOCO PINNA (ZURI)

BIBLIOGRAFIADORE 1976: 73-74;DORE 1988: 200;GUIZZI 1990: 50

FONTI D’INFORMAZIONEMICHELE LOI (ULA TIRSO);MARCELLO MARRAS (GHILARZA);ANTIOCO PINNA (ZURI)

TRACCIA CD: 51

166-167. Benas cun zucca(benas cun croccoriga), cm 40, ø max cm 15,5,

costr. M. Loi, Ula Tirso;cm 33, ø max cm 8,5,

costr. M. e P. Marras, Ghilarza

163-165. Benas cun corru ’e boe, dall’alto:cm 26,5, ø max cm 5,

costr. M. Marras, Ghilarza;cm 35, ø max cm 5;

cm 38,5, ø max cm 4,5; costr. M. Loi, Ula Tirso

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A ppartenenti alla stessa famiglia dei clarinetti egizi,degli auloi greci e delle tibiae romane, le launèd.d.assono uno strumento a fiato antichissimo, che con-

sta di tre tubi di canna, in cui un’ancia singola battente,cioè una lamella elastica, fa vibrare direttamente il soffioproduttore e tali vibrazioni vengono trasmesse per ampli-ficazione e regolamento d’altezza alla colonna d’aria che sitrova entro i tubi risonatori.L’ancia non è un organo separato, ma risulta escissa in uncannello chiuso all’estremità superiore ed incastrato dallaparte aperta in ciascuna delle canne che compongono lostrumento. La tecnica con cui si ricava l’ancia è la stessa ches’incontra nei clarinetti egizi, nella zummara e nell’arghuldell’Africa settentrionale: nella parete del cannello destinatoad essere imboccato si ritaglia per soli tre lati, con una inci-sione obliqua, una linguetta rettangolare, in modo tale chel’attaccatura dell’ancia sia rivolta verso la bocca dell’esecuto-re e la parte libera vibrante verso la canna di risonanza. Co-me in tutti gli strumenti a fiato di questo tipo, l’ancia è l’or-gano principale, costituendone in qualche modo la lingua.Lo sapevano bene i Greci e i Romani, per quanto concer-ne gli auloi e le tibiae. Lo sanno altrettanto bene in Sarde-gna i costruttori e i suonatori di launèd.d.as. Costoro, comeriferisce il musicologo danese Weis Bentzon, possono an-che accedere all’idea di indicare ad un rilevatore etnogra-fico le località in cui si approvvigionano del particolare ti-po di canna usato per confezionare i tubi risuonatori, manon sono disposti a svelare dove cresce l’altro tipo di can-na, da cui essi ricavano l’imboccatura con l’ancia. Segnoevidente del fatto che il segreto di un buon strumento èracchiuso nella linguetta vibrante dell’imboccatura.Non stupisce, quindi, che il termine campidanese launèd.d.as,la cui etimologia ha dato filo da torcere a generazioni di lin-guisti, restando fino ad oggi misteriosa, derivi in effetti, co-me ho mostrato più ampiamente altrove (PAULIS 1991: 279-311), da LIGU LELLA, diminutivo della parola latina chedesigna l’ancia della tibia: ligula, variante popolare di lingu-la (proprm. «linguetta»), calco semantico sul greco glossís«ancia dell’aulos».La derivazione, perfettamente chiara dal punto di vista se-mantico, trova la sua giustificazione fonetica nell’instabi-lità del vocalismo pretonico campidanese (si noti l’esisten-za della variante liunèd.d.as ancora nell’Ottocento) e nellatendenza alla dissimilazione consonantica, per cui, delletre laterali successive L – L – LL, una si muta in nasale den-

tale. Nella parola sarda la trasfor-mazione l > n interessa la lateralesemplice interna; nel vocabolocatalano neulella «ugola; parte

inferiore dello sterno, vicina alla bocca dello stomaco», an-ch’esso discendente da LIGULELLA, la dissimilazione l > ncolpisce la laterale iniziale.Probabilmente già da epoca protostorica le launèd.d.as “clas-siche” a tre canne erano proprie della Sardegna meridionalee di quelle regioni dell’Isola più esposte all’influsso della ci-viltà fenicio-punica. Invece, ancora all’epoca della romaniz-zazione, le tribù nuragiche della Sardegna interna dovevanoavere un clarinetto più primitivo a due canne, di lunghezza ediametro disuguali, tali da emettere due suoni differenti.Donde la denominazione bís

.onas/bis

.ònas, bís

.unas/bis

.únas,

bis.ònes, dal latino BISONUS, che spetta alle launèd.d.as “classi-

che” in un’ampia zona dell’Ogliastra, assai conservativa.La raffigurazione di questo tipo di launèd.d.as a due canneappare in un bassorilievo del XVI secolo all’interno dellachiesa campestre di S. Bachisio a Bolotana.Verosimilmente il clarinetto bicalamo delle aree interne do-veva avere, almeno all’origine, un’ancia tecnicamente menoevoluta rispetto a quella delle launèd.d.as classiche meridio-nali, come ancora si osserva nelle bènas, ènas, aènas dellaSardegna centro-settentrionale.Infatti nelle launèd.d.as la linguetta conserva la lucida cor-teccia della canna, la naturale convessità di questa e tutto ilsuo spessore, talora assai notevole. Come nella zummara,un pezzetto di cera vergine posto sopra l’estremità liberadell’ancia permette di regolarne la frequenza delle vibra-zioni, modificando l’altezza del suono. Quando accadeche, per un motivo qualsiasi, il tono originale in cui è ta-gliata una delle canne dello strumento si alteri, il suonatoredi launèd.d.as aggiunge un po’ di cera per ottenere un suonopiù grave e ne toglie un po’ per avere un suono più acuto.Nelle bènas, invece, la linguetta viene liberata dalla cortec-cia liscia e, tramite una lama, è sgrossata, appiattita e resasottile, sino a trovare la tonalità desiderata. Non si fa usodella cera per l’accordatura e, ove la canna cali di tono, so-prattutto a causa di una variazione di temperatura, non èpiù possibile regolare la vibrazione dell’ancia in modo daottenere un suono più grave. È necessario sostituire l’im-boccatura o costruire ex novo tutto lo strumento.Il carattere tecnicamente meno evoluto e più rozzo diquesto clarinetto della Sardegna interna fece sì che i Ro-mani lo denominarono AVENA, propriamente in origine lostelo d’avena in cui i pastorelli e i ragazzi sono soliti rica-vare un’ancia vibrante per formare una sorta di clarinettood oboe primitivo. Il termine tecnico LIGULELLA fu riser-vato, invece, alla denominazione dello strumento dall’an-cia vibrante più perfezionata e regolabile con la cera.Quindi, anche se le launèd.d.as sono uno strumento antichissi-mo, il cui prototipo è stato indicato in un bronzetto nuragico

I nomi delle launeddas : origine e storiaGiulio Paulis

168. Sant’Antioco, suonatoredi launeddas, ante 1915(foto fratelli Alinari)

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del VII-VI secolo a.C. raffigurante un suonatore itifallico, il loronome è di pura origine latina.Oltre ai tipi meridionali sónu de g⁄ ánna, sònus, sònus de g⁄ ánna ekuntsèrtus = italiano concerto, riferentisi agli accordi dellelaunèd.d.as ed alle loro combinazioni, altre denominazioni dellostrumento sono truvèd.d.as e simili nella Sardegna centro-setten-trionale e víd

_ulas, bíd

_ulas nella zona di Fonni, Belvì e Ovodda.

Come ho mostrato in dettaglio in un mio scritto recente (PAU-LIS 1992: 505-528), di cui riassumo qui le conclusioni, questivocaboli enigmatici hanno un’origine che riflette il modo incui le popolazioni locali percepivano ed apprezzavano il suo-no e l’uso dello strumento.Il tipo truvèd.d.as e simili è attestato in quella parte della Sarde-gna, la metà centro-settentrionale, in cui l’impiego delle lau-nèd.d.as si presenta sporadico e anche del tutto assente sin dalleprime testimonianze etnografiche risalenti alla seconda metàdel Settecento. In quest’area il ballo sardo, che nel Meridione è

delle canne dello strumento, con l’incrocio di truvare «stimo-lare il bestiame, farlo andare avanti con violenza» < TURBARE.Tale incrocio rivela un’attitudine ironica e non positiva neiconfronti delle launèd.d.as. Infatti le popolazioni della Sarde-gna centro-settentrionale, abituate a cadenzare il ballo sardocol canto di un coro di uomini, irridevano l’usanza meridio-nale di ballare al ritmo delle launèd.d.as, paragonando implici-tamente i danzatori ad asini o a cavalli sospinti ed incitati dalsuono dello strumento.Per quanto riguarda, invece, il termine barbaricino víd

_ulas,

bíd_ulas, esso si riferiva propriamente a quel tipo di launèd.d.d.as

che i suonatori impiegavano per accompagnare, nell’esecu-zione del ballo sardo, la cosiddetta “danza delle vedove”, ti-pica della parte meridionale dell’Isola e contraddistinta da unritmo grave e serio. Pertanto víd

_ulas, bíd

_ulas è il continuatore

regolare di VIDULA, diminutivo di VIDUA «vedova», con iltrattamento della V– iniziale proprio dei dialetti barbaricini.

a sinistra:169. Simone Manca di Mores, La cena deimietitori. Provincia di Sassari, temperadell’album Ricordo alla mia cara figlia LuigiaRiccio [...] Lavori originalieseguiti dal settembre1878 al settembre 1880,tav. XXVI

170. Giovanni Cominotti,Enrico Gonin, Noces(Arrivée de l’épouse), cromolitografia (part.), da LA MARMORA 1839:tav. VI. L’incisione erastata già pubblicata nellaprima edizione dell’Atlas(1825)

a destra:171. Antonio Ballero, I rapsodi ciechi, 1915,olio su tela, cm 29,9 x 37

accompagnato costantemente dal suo-no delle launèd.d.as, si svolge invece alcanto di un coro di uomini dispostial centro del cerchio dei danzatori.Pertanto truvèd.d.as e simili deriva datúvu «cavo, vuoto» (di sterpi, alberi)< TUFUS in riferimento alla cavità

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CLARINETTI POPOLARI

AEROFONO

AD ANCIA SEMPLICE BATTENTE (CLARINETTI) A CANNA CILINDRICA E CONICA

IN SERIE

CON FORI PER LE DITA

Launeddas

• Dati generaliStrumento in usoCarattere prevalentemente melodicoCostruito generalmente da chi lo suonaOccasione indeterminata

• Area di attestazione Cabras, Campidano di Cagliari, Campidano di Oristano,Ovodda, Sarrabus

Aenas (Logudoro)Benas (centro)Bídulas (Ovodda)Bísonas (Tortolì)Bisonas (Villaputzu)Bisones (Talana)Bísunas (Perdasdefogu)BízzulasÍsunas (Perdasdefogu)EnasLauneddasLeuneddasLioneddasLiuneddasSonus de cannaTrieddaTrubeddas (Montiferru, Planargia)TrueddaTrupeddasTruveddasVídulas (Barbagia)Visones (Baunei)

È indubbiamente lo strumento più antico eoriginale della tradizione musicale sarda, unostrumento che nel corso dei millenni ha raggiunto un notevole grado di perfezione costruttiva. È composto essenzialmente di tre tubi di cannacomune (Arundo donax) di differente diametro,spessore e lunghezza, due legati ed uno sciolto. Le due canne legate, che formano sa croba, o loba,prendono il nome di tumbu e mancosa (o mancosamanna), quella sciolta è chiamata mancosedda odestrina. Su ciascuna di esse si innesta su cabizzinu o launedda, una canna sottile su cui viene escissal’ancia (linguazza). Su tumbu è la canna del bordone, senza fori per ledita e dal canneggio lievemente conico. A secondadel taglio del cunzertu può avere una lunghezzavariabile dai 40 ai 150 centimetri circa e per poterloriporre nella custodia (straccasciu) può esseresmontato in due o anche tre pezzi. La prolungasmontabile del tumbu prende il nome di ’nzetta(Sarrabus), iuntura (Trexenta) o guetta (Cabras). Per innestare i vari pezzi si svuota internamente il bordo superiore della prolunga, che costituirà lafemmina; quindi, con una modanatura nell’estremitàinferiore del tumbu si realizza il maschio dellagiuntura. Inoltre, per facilitare il montaggio dellecanne vi si incidono dei segni in prossimità di duegiunti, segni che devono essere affiancati quando il tumbu è montato correttamente. Nei tumbus di una certa lunghezza, in tre pezzi, si procedeanalogamente, realizzando il maschio nella parteinferiore del primo prolungamento e la femminanella parte superiore del secondo. Per rinforzare lagiuntura femminile, che come si è detto è assottigliataall’interno, si riveste il bordo con alcune spire dispago impeciato. La canna viene perfettamente pulita all’internosfondando tutti i nodi, i quali esternamente vengonoinvece accuratamente lisciati o asportati facendoattenzione a non rovinare la superficie lucida eresistente della canna. Come si è detto, nell’estremitàsuperiore di ciascuna canna si innesta su cabizzinucon l’ancia. Questo deve essere di dimensioniproporzionate alla lunghezza e alle dimensioni deltubo, ma nel caso che risultasse troppo grosso siprovvederà a creare anche qui un innesto o unsemplice “invito” assottigliando internamente

172. Gaston Vuillier, Lejoueur de launedda, xilografia,da VUILLIER 1893: 92

173. Simone Manca di Mores, Costumi delCampidano. Ballo “sa danzacun is launeddas”, temperadell’album Ricordo alla miacara figlia Luigia Riccio [...]Lavori originali eseguiti dalsettembre 1878 al settembre1880, tav. III

174. Simone Manca di Mores,Danza cun is launeddas(part.), tempera dell’albumRaccolta di costumi sardieseguita e offerta a S. A. il Principe Umberto [...],1861-76, tav. 11 (Torino,Biblioteca Reale)

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la parte superiore deltumbu ed esternamentequella de su cabizzinu. Al contrario, se il suodiametro è troppo sottilerispetto a quello dellacanna, si dovrà inserireall’interno del tumbu un anello di canna comespessore. In ogni caso si sigilla l’innesto delcabizzinu con ceravergine per garantirne la perfetta tenuta e sirinforza esternamentecon alcune spire dispago. Il tumbu, non avendofori per le dita, produceovviamente un unicosuono che rappresenta la tonica, o notafondamentale dellostrumento. Una voltacostruito, l’intonazionepuò essere modificataunicamenteappesantendo l’anciacon un grumo di cera o eventualmenteaccorciando la lunghezzadella canna. La canna del tumbu deveessere dritta e sottile;una canna di grosso spessore risulterebbe oltremodopesante negli strumenti di grandi dimensioni,sbilanciandoli in avanti. Per la mancosedda, esoprattutto per la mancosa, si ricerca invece unacanna di spessore molto grosso con una luce internaestremamente ridotta (canna ’e Saddori o cannamascu), che cresce in una zona ben circoscrittadell’Isola, grosso modo tra Barumini, Sanluri eSamatzai. Questa canna è estremamente resistentema allo stesso tempo presenta un canneggio molto

da sinistra:175. Cabizzinus di launeddas, da FARA 1913: 773

176. Suonatore di launeddas(Beniamino Palmas, Sinnai 1875 - Pirri 1961), da FARA 1913: 780

177. Suonatore di launeddascon straccasciu, da FARA 1913: 777

in basso:178. Launeddas, ante 1915(foto fratelli Alinari)

stretto che conferisce un particolaretimbro allo strumento. La mancosa è la seconda canna,costruita in un unico pezzo con cinquefori rettangolari nella parete anteriore. I primi quattro partendo dall’alto sonoi fori per le dita (crais), l’ultimo inbasso, più lungo degli altri (s’arrefinuo bentiadori), serve per accordare lostrumento. Aggiungendo o togliendodella cera vergine nella parte superioredi questo foro si può infatti allungare oaccorciare la colonna d’aria vibrante neltubo con il conseguente abbassamentoo innalzamento dell’intonazione. È ovvio inoltre che la porzione di cannache si trova più in basso de s’arrefinuè ininfluente per l’intonazione dellostrumento ma a detta dei costruttoricontribuisce ad arricchirne il timbro.L’estremità superiore della mancosa,dove si innesta la cannuccia dell’ancia, è simile a quella del tumbu con il bordorinforzato dallo spago impeciato. La posizione e la distanza dei fori per le dita è proporzionale al taglio dellostrumento: più è grave, più sonodistanziati e viceversa. Come si è accennato, la coppia tumbu-mancosa forma la croba o loba. Laprima legatura si effettua con lo spagoin prossimità dell’innesto dei cabizzinus,e viene rinforzata con della cera; laseconda in prossimità del nodo della

mancosa e oltre allo spago prevede l’utilizzo di unpezzetto di canna per distanziare i due tubi. Nel punto in cui viene realizzata questa secondalegatura si provvede spesso ad intagliare nelle canneun’apposita sede. La mancosedda, la canna sciolta suonata con ladestra, è del tutto simile alla mancosa; l’unicadifferenza costruttiva può essere data in certistrumenti dalla presenza di un quinto foro per le dita.Ordinariamente questo foro è chiuso con la cera.

BIBLIOGRAFIACETTI 1776: II 297-298;MADAU 1787: 25, 27-28;MADAU 1792: 112;LA MARMORA 1826: 203;SMITH 1828: 192;PORRU 1832: 355, 618, 625;ANGIUS 1833-56: I 382, II 36, 104,165, 533-534, 723, III 32, 225,VI, 193, 198, 747,VIII 36-37, 437-438, IX 161-163, 165-168, 991,X 135, 585, XII 754-755, 772, XIII375, XVIII 25, XVIII BIS 540;VALERY 1837: 225;LA MARMORA 1839: I 258-259;ONETO 1841: 15;SPANO 1851: 296;FUOS 1899: 401-403;FARA 1909: 725-735;BAGLIONI 1912;FARA 1913: 763-791;FARA 1914a: 13-51;FARA 1914b: 322-323;ALINARI 1915: 111-114;FARA 1918b: 259-270;GUARNERIO 1918: 209-226;FARA 1923a: 17-18;BYHAN 1928: 253-267;GABRIEL 1936: 861-865;VOIGHT 1937: 28;FARA 1940: 68-75;GABRIEL 1954;DELLA MARIA 1958: 7-15;KARLINGER 1958: 42;WAGNER 1960-64: I 210, 526,II 16-17, 63, 426, 529-530, 532,577, 611;WEIS BENTZON 1961: 21-33;ALZIATOR 1963: 209-213;CIRESE 1967: 3;WEIS BENTZON 1969;LEYDI - MANTOVANI 1970: 166-169;TINTORI 1971: II 981-982;LEYDI - PIANTA 1972;WEIS BENTZON 1972-73: 3-8;VARGIU 1974: 33-41;WEIS BENTZON 1974;CIRESE 1976: 82, 87-90;DORE 1976: 37-66;CINQUE 1977: 53-86;GERMI 1977: 64;LAUNEDDAS 1977;STRUMENTI 1977: 38-39;SCHAEFFNER 1978: 320, 346;GIANNATTASIO 1979: 57-82;SACHS 1980: 94-95;BAINES 1983: 236;MUSICA 1983-84: II 669-670;GIANNATTASIO 1985: 203-236;DORE 1988: 200;GUIZZI 1990: 51;PAULIS 1991: 279-311;TUCCI 1991: 272-278;GIANNATTASIO 1992: 145-164;PAULIS 1992: 505-528

DISCOGRAFIAMUSICA SARDA 1973;ZAMPOGNA 1973;

LAUNEDDAS 1974;BURRANCA 1982;LAI 1984;MELIS 1984;MUSEO DELLE ARTI 1991;

SONUS DE CANNA 1994;PORCU S. D.

RIFERIMENTI FOTOGRAFICI:1, 4, 11, 16, 168-195

TRACCIA CD: 54-60

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179 a-z. Fasi di costruzione delle launeddas(A. Ghiani, Assemini)

a. Taglio delle sezioni della canna che formeranno il tumbu

b. Pulitura interna della cannac. Intaglio del maschio della giuntura

che unisce le sezioni del tumbu

d. Rinforzo del giunto con alcune spire di spagoimpeciato

e. Giuntura delle sezioni di canna che formano il tumbu (le sezionipossono essere due o treo anche una soltanto aseconda del taglio dellostrumento)

f. Taglio e pulitura interna della mancosag. Rinforzo dell’estremità superiore della

canna dove verrà innestato il cabizzinuh. Appianamento della parete anteriore

della mancosa dove verranno aperti i foriper le dita e s’arrefinu

a

d

e

f

g

h

b

c

145

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r. Legatura dell’estremità superiore dellecanne

s. Inserimento dell’ancia nella mancosa

i. Apertura dei fori per le dita e de s’arrefinul. Preparazione dei cabizzinus, intaglio di

una tacca trasversale nella pareteanteriore della cannuccia

m. Escissione dell’ancia con il gradualesollevamento della canna mediante una lama

n. Rinforzo, con lo spago impeciato,dell’estremità superiore del cabizzinu

o. Inserimento dell’ancia nel tumbup. Prova del tumbuq. Unione del tumbu e della mancosa per

formare sa loba (o croba), divaricazionedelle due canne mediante un pezzetto dicanna e legatura con spago impeciato

u. Fissaggio della loba e dell’innesto delleance con cera vergine

v. Realizzazione della mancosedda in modoanalogo a quello della mancosa e provadella canna

w. Unione delle tre cannez. Ulteriore accordatura dello strumento

ottenuta appesantendo le ance con ungrumo di cera vergine

t. Prima accordatura dello strumentoottenuta con la parziale chiusura des’arrefinu con cera vergine

i

l m

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z

146

p

n

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u

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180. Launeddas,punt’e órganu in mi bemolle,

1980, max cm 142, costr. D. Burranca, Ortacesus

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Volendo suonare lo strumento nel modo cosiddetto a pipia, guadagnando cioè una nota verso l’acuto, si toglie la cera. È evidente che in questo caso ilprimo foro dal basso non può essere diteggiato. Abbiamo lasciato per ultimo la descrizione delcabizzinu, o launedda in alcune parlate dell’Isola,l’elemento comune alle tre canne e sicuramente laparte più importante dello strumento. Come si èdetto è costituito da un cannello di lunghezza,spessore e diametro variabile a seconda del taglio

delle launeddas in cui viene escissa un’anciabattente a tegola con l’estremità libera

verso il basso. Il cabizzinuviene accuratamente pulito

all’interno e si rinforzal’estremità superiore, chiusa

dal nodo naturale, con lesolite spire di spago impeciato.

La superficie esterna dell’anciapresenta talvolta delle

piccolissime incisioni trasversaliche servono anzitutto per

ammorbidire le ance troppo“dure” intaccando la fibra del

legno e in secondo luogofavoriscono l’aderenza della cera, che

come si è detto serve per modificarel’intonazione delle singole canne.

Dosando il peso di un grumo di ceradisposto sull’ancia si può infatti

aumentare o diminuire la frequenza delle vibrazioni e quindi abbassare

o innalzare l’intonazione. Le tre canne insieme formano un giogu de

launeddas, o cunzertu. Esistono diversi tipi di cunzertus, ciascuno caratterizzato da una

differente gamma di suoni e da una precisasuccessione degli intervalli (scala) mentre ogni

cunzertu a sua volta può essere tagliato indiverse tonalità. I cunzertus principali, per la

struttura dei quali rimandiamo alla trattazione diFranco Oppo, sono la mediana, il punt’e órganu,

il fiorássiu, s’ispinellu, s’ispinellu a pipia, la fiudabagadia, ciascuno dei quali può essere intonatosecondo tutte le note della scala cromatica. Le launeddas, quando non vengono utilizzate,vengono disposte dal suonatore nello straccasciu, unacustodia di pelle a sezione circolare o quadrangolarecon coperchio e tracolla per il trasporto.

184-185. Ballo Sardo; Ballo Sardo (Campidano),cartoline postali, primi del Novecento(Nuoro, Istituto SuperioreRegionale Etnografico, coll. Colombini)

152 153

181-183. Oristano –Suonatore di Zampogna;Cabras – Suonatore dilauneddas e cantante; Ritorno da una festa nel

Campidano, cartoline postali,primi del Novecento(Nuoro, Istituto SuperioreRegionale Etnografico, coll. Colombini)

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154 155

186-193. Cunzertus di launeddas, da sinistra:mediana in do, 1990, max cm 65,5,costr. A. Ghiani, Assemini;punt’e órganu in fa, 1991, max cm 98,costr. G. Murtas, Muravera; fiorássiu in si bemolle, 1982, max cm 77, costr. D. Burranca, Ortacesus; ispinellu in sol, 1985, max cm 88,costr. A. Scroccu, Muravera; simpónia in sol, 1988, max cm 94,5; contrappuntu in mi, 1992, max cm 56; fiuda in do, 1988, max cm 65,5;mediana in do alto e mancosedda bassa, 1993,max cm 92,5; costr. A. Ghiani, Assemini

194. Suonatore di launeddas (Felicino Pili), 1959-61 (foto Franco Pinna)

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fig. 1 Pentacordi su cui si basa il sistema

La prima nota di ogni pentacordo (segnata inbianco nella fig. 1) corrisponde al foro più distan-te dall’imboccatura, l’arrefinu; essa ha un ruoloesclusivamente armonico e solo casualmente sem-bra assumere una debole, intrinseca funzione me-lodica. Il fatto che questa nota appena prodottavenga assimilata alla struttura armonica, perden-do il legame di continuità melodica con le altrenote del pentacordo, è una peculiarità acusticadelle launeddas che non trova riscontro in nessunaltro strumento e che è il risultato dell’azione con-giunta di tre distinti fattori: l’arrefinu, l’insufflazio-ne continua e il sistema d’accordatura.L’accordatura delle launeddas consiste esclusiva-mente nella puntualizzazione dei rapporti inter-vallari tra la frequenza del tumbu e quella dei duearrefinus, che devono essere in consonanza perfet-ta (di 8ª, 5ª, 3ª o loro multipli). Nulla però può es-ser fatto per “migliorare” l’intonazione delle altrenote: le “imprecisioni” dovute a difetti di costru-zione (distanze dei fori) o alla conformazione ir-regolare della canna non possono essere corrette.Nel pentacordo vi è quindi una dicotomia6 chenon può essere annullata: da una parte una notaperfettamente intonata, dall’altra quattro note, untetracordo dall’intonazione “approssimativa”7; laprima viene quindi completamente assimilata allastruttura armonica, diventando una risonanza am-plificata di un suono armonico del tumbu (e diconseguenza una parte del pedale), mentre le se-conde risuonano stridenti e penetranti, “diverse”,inconfondibili nel loro ruolo melodico.La distanza tra l’arrefinu e la prima nota del te-tracordo è diversa in ogni pentacordo e assumetutti i valori compresi tra 2 e 5 semitoni8:

nel pentacordo 1 = 2 semitoni» » 2 = 3 »» » 3 = 4 »» » 4 = 5 »

Le note dei tetracordi (segnate innero nella fig. 1), prodotte ciascunaaprendo uno dei fori diteggiati, sonosempre comprese all’interno di un

intervallo di quar-ta giusta (5 semito-ni)9 ottenuto som-

mando due intervallidi tono [t] e uno di semitono [s]in ogni possibile ordine:

nel tetracordo 1 = t + s + t» » 2 = t + t + s» » 3 = s + t + t» » 4 = t + t + s

La struttura del pentacordo può essere così sche-matizzata10:

P = A + T = (i1) + (i2 + i3 + i4) = (2... 5) s + 5 s.

L’ampiezza del pentacordo dipende pertantoesclusivamente dal valore dell’intervallo i1 e iquattro pentacordi avranno l’estensione di 7, 8, 9e 10 semitoni.Nel suo insieme il sistema dei pentacordi si pre-senta omogeneo e compatto, regolato da alcunichiari principi strutturali.

Ma tanto “rigore” strutturale non è una caratteri-stica esclusiva dei pentacordi. Tutto il sistema mu-sicale delle launeddas si presenta “accuratamente”articolato in ogni sua parte e denota una culturamusicale evoluta, che tra i suoi valori ha messo inprimo piano sia la conservazione della tradizionesia l’interesse per l’esplorazione di nuovi spaziacustici ed espressivi.

LOBASLa parte più articolata del sistema-launeddas èquella relativa all’assemblaggio delle canne. Lepossibilità di accoppiare i pentacordi e di abbi-narli ad un tumbu sono molte, ma sono stati adot-tati criteri di raggruppamento selettivi, tendenti acaratterizzare in modo forte i diversi strumenti.Le launeddas moderne hanno il tumbu e la mancosalegati assieme, la loba, e sono strumenti ormai stan-dardizzati, il prodotto di un lungo lavoro di speri-mentazione. Il fatto di dover manipolare un oggetto(le launeddas) composto da tre elementi (le canne)con caratteristiche variabili (dimensione e posizionedei fori) è di per sé un invito a provare le diversecombinazioni, a verificarne la compatibilità e a va-lutarne l’efficacia per fini musicali. Ma tutto ciòpresuppone l’autonomia delle canne mentre laloba, che tende a far assumere alle launeddas unaforma “definitiva”, immutabile, costituisce un frenoper la sperimentazione. Non è azzardato pensareche l’attività di sperimentazione si sia svolta soprat-tutto quando tutte e tre le canne erano autonome11,sebbene ancora oggi si possa constatare quanto siavivo in molti suonatori e costruttori l’interesse per iraggruppamenti inconsueti e inediti12.Attualmente la loba costituisce la base organolo-gica delle launeddas e diventa inevitabile assu-merla come riferimento per la loro classificazio-ne. Il modo più appropriato per farlo è quello diconsiderare appartenenti alla stessa famiglia tutti

157

�� �P1 P2 P3 P4�

195. Straccasciucon launeddas Il sistema dei cunzertus

nelle launeddasFranco Oppo

Launeddas è un termine generico utilizzatoper indicare l’insieme delle tre canne (man-cosedda, mancosa e tumbu)1 imboccate con-

temporaneamente da un suonatore. Le caratteri-stiche di queste canne non sono però uguali intutti gli strumenti; esse possono differenziarsi perlunghezza e/o grossezza, per la posizione dei forie per il criterio del loro raggruppamento in ununico strumento. Le peculiarità acustiche dellelauneddas sono quindi il prodotto di tre variabili:a) dalla dimensione delle canne dipende la loro ap-partenenza ad una tonalità2;b) dalla posizione dei fori dipendono i rapporti in-tervallari dei suoni prodotti da ogni singola canna;c) dal criterio di raggruppamento delle canne di-pendono i rapporti armonici reciproci e le caratteri-stiche intervallari del sistema delle altezze risultantedalla somma dei suoni producibili con le tre canne.Quindi, diversamente da quanto comunementesi crede, il termine launeddas non è indicativo diuno strumento ma di una famiglia di strumenti.L’assemblaggio delle tre canne delle launeddas vie-ne fatto tenendo conto di due diverse esigenzemusicali, una di natura armonica e l’altra di naturamelodico-contrappuntistica3. Mentre il tumbu, dalmomento che produce soltanto un suono, ha unafunzione esclusivamente armonica, la mancosa e lamancosedda assommano in sé le due funzioni. Que-sta doppia esigenza è risolta sul piano organologicoin modo assolutamente originale utilizzando unatecnica costruttiva molto semplice che permette ditenere distinte in ogni momento le due funzioni edi sfruttare al meglio l’insufflazione continua, senzache il piano armonico e quello melodico-contrap-puntistico risultino indeboliti o confusi.

PENTACORDI, TETRACORDI, ARREFINULe canne impiegate con funzione di mancosa edi mancosedda hanno ciascuna cinque fori4. I fo-ri possono essere incisi in punti diversi per rica-varne quattro diversi pentacordi5.

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Se si osserva la fig. 5 non è difficile notare che icunzertus d1, d2 e d3 (medianas) sono gli stessistrumenti resi più brillanti dalla trasposizione al-l’ottava superiore del pentacordo della mancosae, solo nella fiuda bagadia, anche di quello dellamancosedda. I pentacordi incrociati, le nuoveconfigurazioni delle scale e le diverse posizionidella tonica conferiscono però agli ispinellus unapropria individualità, che spiega come mai ab-biano assunto il ruolo di cunzertus autonomi (ciòche non è invece accaduto per altre forme di tra-sposizione).Si può inoltre osservare (vedi fig. 6) come lastruttura armonica degli ispinellus sia la stessadel punt’e órganu (12ª e 15ª), ma con gli arrefinusincrociati, e come questi cunzertus siano comple-mentari per quanto concerne l’accoppiamentodei pentacordi17 (vedi fig. 8).

fig. 8 Schema degli accoppiamenti dei pentacordi nel punt ’e órganu e negli ispinellus

Nella fig. 9 viene messa in evidenza l’apparte-nenza della fiuda e della mediana alla stessa fa-miglia di strumenti18.

fig. 9 Famiglia delle mediane: stessa loba (pentacordo P1) accoppiata con i pentacordi P2, P3 e P4

Il principio della trasposizione trova nelle lau-neddas una vasta ed elaborata applicazione condue diversi tipi di approccio19:

a) Trasposizione omogenea delle tre canne, conla conservazione di tutte le relazioni intervallari(cambiamento di tonalità del cunzertu);

b) Trasposizione all’ottava, sopra e sotto, di unao due canne (modificazione del carattere dellostrumento: più cupo, più brillante).

fig. 10 Estensione dei tumbus nei cunzertus principali (trasposizione omogenea)

Nella pratica corrente, oltre alle trasposizioni giàviste (ispinellus e fiuda bagadia), hanno rilievosoltanto le trasposizioni del tumbu:a) un’ottava sotto: cunzertu mannu;b) un’ottava sopra: cunzertu a frassettu o minore20.

I cunzertus mannus nascono dall’accoppiamentodei tagli di mancosedda più acuti con quelli ditumbu più bassi. La famiglia di launeddas chemeglio si presta alla trasposizione bassa del tum-bu è quella della mediana, ed infatti sono questi isoli cunzertus mannus usati.

fig. 11 Mediana manna: la più bassa e la più acuta possibile

I cunzertus a frassettu (o frassettus)21 sono strumen-ti agili e stridenti nei quali la struttura armonica ri-sulta compressa nel minimo spazio intervallare.

fig. 12 Esempi di cunzertus a frassettu

Di tutti i cunzertus principali esiste quindi ancheuna versione con il tumbu trasportato (sopra o sot-to). Questo fatto denota l’interesse dei suonatori edei costruttori per la diversificazione delle sono-rità, per la scoperta di timbri nuovi: un modo perpersonalizzare gli strumenti22.Ho avuto occasione di sentire launeddas con tra-sposizioni che producono intervalli di sesta tra gliarrefinus (quindi suoni armonici non contigui).Evidentemente c’è stato, o si sta sviluppando, uninteresse verso questi accoppiamenti e vi è la consa-pevolezza della possibilità di realizzarli. Nella fig.13 B e C sono riportate due di queste combinazio-ni, ottenute con procedimenti diversi: l’accoppia-mento di una loba di punt’e órganu con una manco-sedda di fiuda bagadia23 e la trasposizione all’ottavabassa della mancosedda del fiorássiu24. Un altroesempio di accoppiamento atipico è quello riporta-to nella fig. 13 A25.

� � �Punt’e órganu Ispinellu Ispinellu a pipia

Loba

Mancoseddas

Mediana a pipia

�Fiuda

� �Mediana

�Punt’e órganu(contrappuntu)�

Ispinellua frassettu

Fiudabagadia(fiudedda)

Fiorássiu(fiorasseddu)� �

�� ���

� ��

Punt’e órganuFiuda bagadiaIspinelluMediana, fiuda, fiorássiu

� ��

158 159

tigui del tumbu (vedi fig. 6); il secondo l’ambitomelodico del tetracordo, considerato anche ri-spetto a quello della mancosa (vedi fig. 7).

fig. 6 Tumbu (nota fondamentale) e coppie di arrefinus(armonici naturali contigui) nei principali cunzertus

fig. 7 Estensione melodica (scale) dei principali cunzertus

I due tetracordi, sommandosi, formano una scalache però non è sempre composta di otto note, vi-sto che i tetracordi hanno spesso dei suoni in co-mune. Sotto il profilo melodico ha rilievo non soloil numero delle note disponibili, ma anche la loroposizione rispetto alla tonica (indicata nella fig. 7).

Relativamente all’articolazione delle scale vi so-no tre diversi tipi di launeddas:

a) cunzertus con tetracordi congiunti (fiuda, fiorás-siu, punt’e órganu, fiuda bagadia)16, i quali hannouna nota in comune;

b) cunzertus con tetracordi disgiunti (mediana,mediana a pipia) dove la scala risulta nettamentedivisa in due parti;

c) cunzertus con tetracordi sovrapposti, dove l’am-bito melodico è ridotto a sei (ispinellu) e cinquenote (ispinellu a pipia).

Relativamente alla posizione della tonica nelle variescale è sufficiente osservare che essa è diversa intutti i cunzertus ad eccezione, ovviamente della fiu-da bagadia, essendo questa nient’altro che la tra-sposizione all’ottava della fiuda. Infatti la tonica è:

1ª nota della scala nell’ispinellu a pipia2ª » » » nell’ispinellu3ª » » » nel punt’e órganu4ª » » » nel fiorássiu5ª » » » nella mediana a pipia6ª » » » nella mediana7ª » » » nella fiuda bagadia

gli strumenti che utilizzano la stessa loba (accop-piata con mancoseddas diverse) e le loro trasposi-zioni nelle varie tonalità.Le lobas comunemente usate sono quattro; essecaratterizzano strumenti con denominazione pro-pria e con gamme di suoni specifiche13:

fig. 2 Lobas

Si può osservare che tutte le note in consonanzaperfetta con il tumbu comprese tra l’8ª e la 15ª sonoutilizzate come arrefinu, mentre dei quattro penta-cordi ne vengono impiegati soltanto due, il P1 e ilP214. Per la formazione delle lobas vi è quindi unanotevole potenzialità che non trova applicazionenelle quattro famiglie di launeddas sopra elencate.

fig. 3 Estensione entro cui possonoprodursi i tetracordi

fig. 4 Il più basso e il più acuto tetracordo possibile

CUNZERTUSAttualmente lo strumento launeddas consiste nel-l’unione di una loba con una terza canna, la manco-sedda, la quale, essendo autonoma, può esserescambiata con un’altra. Tra i tanti raggruppamenti(cunzertus) possibili, soltanto otto sono entrati nel-l’uso comune; essi formano una rosa di strumentiorganologicamente consolidati, i quali sono diven-tati essenziali per la conservazione della tradizionemusicale delle launeddas, in quanto ciascuno di es-si ha sviluppato un proprio repertorio che non puòessere eseguito con un altro cunzertu, visto cheognuno ha una gamma di suoni diversa15.

fig. 5 Cunzertus principali

I criteri che guidano la scelta della mancoseddada abbinare alla loba sono essenzialmente due: ilprimo riguarda il rapporto armonico tra gli arre-finus, i quali devono essere armonici naturali con-

Tumbu Mediana Punt’eórganu

e ispinellu

Fiuda Fiorássiu

��

�Fiuda

a1 � �Mancosa

Mancosedda

�Tumbu

� ���

Mediana

a2

Medianaa pipiaa3

Fiorássiu

b

Punt’eórganuc

Fiudabagadiad1

Ispinellu

d2

Ispinellua pipiad3

�Fiuda Mediana Mediana

a pipiaFiorássiu Punt’e

órganuFiudabagadia

Ispinellu Ispinellua pipia

� � � � � �

�Mediana

a (P1)

Fiorássiu

b (P2)

Punt’eórganuc (P1)

Ispinellu(fiuda bagadia)d (P2)�

Tumbu

Mancosa ��

� � �

� �

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1 Mancosedda è la canna impugnata con la manodestra, mancosa e tumbu le canne legate insieme,impugnate con la sinistra.

2 Questo principio rimane valido anche per le can-ne mancosa e mancosedda ma va riferito al forodell’arrefinu. Sotto il profilo acustico la lunghez-za di queste canne deve essere calcolata a partiredall’attacco dell’ancia sino all’arrefinu.

3 Contrappuntistico è il rapporto tra due diversisegmenti melodici eseguiti contemporaneamen-te; contrappunto è la tecnica compositiva (o ese-cutiva, nel caso di musica improvvisata) per ilcontrollo di questi rapporti.

4 La mancosedda della mediana ha in realtà sei fori.Uno di essi però, il primo o il quinto, rimane sem-pre chiuso con la cera durante l’esecuzione di unbrano; quindi la struttura pentafonica delle cannenon viene intaccata. Si tratta semplicemente di unespediente costruttivo, verosimilmente d’originerecente, che permette di realizzare due pentacor-di (il 3° e il 4° della fig. 1) con un’unica canna.

5 L’insieme (gamma o scala) di cinque suoni.6 Il pentacordo (P) è il risultato della somma dell’ar-

refinu (A) e di un tetracordo (T), cioè: P = A + T.7 È difficile trovare uno strumento dove le note

siano “giustamente” intonate. Questo non dipen-de soltanto dalla tecnica di costruzione, artigia-nale ed empirica, ma da motivazioni più profon-de. Infatti solo per gli arrefinus esiste un criteriosicuro (la consonanza perfetta) per stabilire lagiustezza dell’intonazione, mentre non ne esisteuno per le note del tetracordo, al di là di una lo-ro adesione, nel senso di massima approssima-zione, agli intervalli di una scala diatonica. Co-munemente (lo fa anche Weis Bentzon) ci siriferisce alla scala maggiore, ma questa risale al-l’inizio del XVII secolo, mentre le launeddas so-no molto anteriori. Quindi quale scala diatonicae quale sistema intervallare? Per uno strumentovecchio di tremila anni la risposta non è sempli-ce. Non è difficile credere che nel tempo l’ideadi “strumento intonato” si sia modificata e che isuonatori (e gli ascoltatori) abbiano subìto l’in-fluenza di culture musicali diverse. È comprensi-bile (o addirittura ovvio) che oggi per molti suo-natori (e ascoltatori) l’intonazione ideale siaconsiderata quella che ricalca la scala temperata.Fortunatamente fare ciò non è né semplice, néfacilmente ripetibile. Le launeddas continueran-no ad essere caratterizzate dall’intonazione pun-tuale degli arrefinus e dalla variabilità delle altrenote (entro certi limiti dettati anche dall’adatta-bilità delle dita ad assumere sulla canna posizioniidonee all’esecuzione).

8 Cioè: i1 = (2... 5) s; dove i1 = primo intervallo delpentacordo e s = semitono.

9 Quindi: i2 + i3 + i4 = 5 s; dove i2.3.4 = secondo,

terzo e quarto intervallo del pentacordo.10 P = pentacordo; A = arrefinu; T = tetracordo; i =

intervallo; s = semitono.11 Nel 1986 ho avuto occasione di conoscere, sen-

tire e fotografare un anziano suonatore dilettan-te di Cabras, Giovanni Meli, nato nel 1904, chesuonava con le tre canne slegate. Questi affer-mava che quando era giovane tutte le launeddasavevano le canne autonome, riferendosi eviden-temente alla sua esperienza personale, limitataalla zona del Campidano di Oristano. Fu unacircostanza fortunata; infatti uno degli obiettividella mia ricerca era proprio quello di documen-tare l’esistenza di tale prassi esecutiva al fine difornire un supporto storico alle mie ipotesi teo-riche sulla struttura del sistema delle altezze del-le launeddas.

12 Osservando il comportamento dei suonatori edei costruttori e dialogando con loro, si ha chiarala sensazione che l’interesse per la ricerca di nuo-vi raggruppamenti delle canne (e più in generaleper il “diverso”, il “sensazionale”) sia qualcosache trascende l’occasionale curiosità individualee che sia invece una componente culturale rile-vante della tradizione launeddistica, tramandatadi pari passo con le tecniche costruttive, il reper-torio ecc.

13 Tutti gli esempi che implicano un riferimento to-nale sono stati fatti nel tono di sol (nota del tum-bu: sol1) perché questo è l’unico comune a tuttele varietà di launeddas.

14 Il P1 è l’unico pentacordo che può avere come ar-refinu sia l’8ª (o la 15ª) sia la 12ª del tumbu. Gliarrefinus degli altri pentacordi assumono invececiascuno una sola funzione armonica. Le ragionidi questa diversità sono state da me ampiamenteindagate in uno studio del 1986 (cfr. nota 30).

15 I suonatori più abili, quelli che padroneggiano letecniche di improvvisazione e variazione (comeAurelio Porcu e Luigi Lai), sanno adattare i bra-ni a cunzertus diversi, consapevoli però del fattoche si tratta di forzature (di esibizioni di bravu-ra) che alterano le “vere” forme tradizionali.

16 Non a caso questi sono i cunzertus preferiti daisuonatori «perché più ricchi».

17 Infatti il pentacordo (P1) che ha per arrefinu la15ª si accoppia con tre pentacordi (P1, P2 e P4)che hanno per arrefinu la 12ª.

18 Cfr. nota 14.19 Un terzo tipo di trasposizione, una quinta sopra,

è quello del pentacordo P1 con l’arrefinu alla 12ªdel tumbu: si tratta di una trasposizione di diver-sa natura che qui non può essere presa in consi-derazione.

20 Minore in sardo significava “piccolo”, non vi èquindi nessuna realizzazione con il minore dellamusica colta. Impropriamente si è anche tradot-

to il termine mannu, che significa “grande”, co-me maggiore, alimentando l’equivoco che esista-no, o siano esistite, launeddas basate sulla scaladiatonica minore. Le testimonianze in tal sensonon sono attendibili.

21 È diffusa anche la denominazione frassettu a...seguita dal nome del cunzertu. Frassettu, tradottoalla lettera, significa “falsetto” ma nelle launeddasassume il significato specifico di cunzertu con iltumbu trasportato un’ottava sopra.

22 Vi sono costruttori che fabbricano esclusivamen-te frassettus (Giovanni Orrù di Muravera) e altrispecializzati in cunzertus mannus (Pietrino Mur-tas di Muravera).

23 Cunzertu costruito e suonato da Daniele Casu eda lui indicato con denominazione impropria co-me fiuda bagadia. La denominazione corretta do-vrebbe essere punt’e órganu a fiuda. La stessacombinazione loba-mancosedda viene presentatacome possibile dal costruttore Attilio Scroccu diMuravera.

24 Dionigi Burranca, che possiede e suona questocunzertu, lo chiama fiorássiu specificando cheera in uso nell’Ottocento. La denominazionecorretta dovrebbe essere fiorássiu a ispinellu.

25 Cunzertu, che potrebbe essere denominato punt’eórganu a ispinellu, costruito e suonato seguendo unatradizione locale da Giuseppe Cuga di Ovodda.

26 “A zampogna” è una denominazione generica-mente usata per indicare accoppiamenti che han-no ad entrambi gli arrefinus l’armonico di quinta(12ª e 19ª). Ma la traduzione corretta di simpónia èsinfonia. “Zampogna” è probabilmente una corru-zione dovuta ad un equivoco semantico nella tra-smissione orale del termine.

27 Si ottengono una sorta di mediana falsa manna edi simpónia manna. Questi accoppiamenti mi sonostati mostrati nel suo laboratorio da Attilio Scroc-cu di Muravera.

28 Questo accoppiamento, che ha la struttura ar-monica (solo 15ª) e quella melodico-contrap-puntistica (quattro note) poverissime, non meritadi essere considerato un vero cunzertu. È cono-sciuto e segnalato (ma di fatto non suonato) soloa Cabras.

29 Il suonatore Giovanni Casu di Cabras afferma dipossederne un vecchio esemplare, ma non è statopossibile vederlo. Potrebbe essere il moriscu fattoricostruire da Weis Bentzon negli anni Sessanta.

30 Questo testo non avrebbe potuto prendere for-ma se non fosse stato preceduto da due lavori diricerca finanziati dall’Istituto Superiore Regiona-le Etnografico di Nuoro e dall’associazione Spa-ziomusica Ricerca di Cagliari, ai quali va il mioringraziamento per aver reso possibile il primoun’ampia ricerca sul campo (1986) e la secondal’elaborazione teorica dei dati (1990).

Note

160

fig. 13 Esempi di cunzertus anomali

Il quadro delle possibilità combinatorie dellecanne delle launeddas non è completo se non siconsiderano anche alcuni raggruppamenti ano-mali, i quali si scostano notevolmente dalle quat-tro principali famiglie di strumenti non rispet-tando una qualche loro proprietà strutturaleessenziale.

Un primo gruppo è composto da strumenti lacui struttura armonica (suoni pedale) è formatada due sole note, in quanto la mancosa e lamancosedda hanno come arrefinu la stessa notaall’unisono. Abbiamo così una loba di punt’eórganu accoppiata ad una mancosedda di me-diana o di mediana a pipia (fig. 14 A e B). Il pri-mo cunzertu è denominato mediana falsa, il se-condo simpónia (o zampogna)26 e non è altroche una mediana falsa a pipia. Una variante ori-ginale di questi cunzertus è ottenuta trasportan-do all’ottava alta la mancosedda, ovvero all’ottavabassa la loba27 (fig. 14 C e D). Ma il raggruppa-mento più atipico è quello denominato su par’esa mongia, il frate e la monaca28, composto da unaloba di ispinellu accoppiata ad una mancoseddache replica all’unisono le altezze della mancosa(fig. 14 E).

fig. 14 Launeddas con la struttura armonica (note pedale)composta di due sole note

Un secondo gruppo di strumenti anomali, carat-terizzato dall’utilizzazione del pentacordo P3con funzione di mancosa, è rappresentato da unsolo cunzertu, segnalato da Weis Bentzon ma og-gi totalmente sconosciuto: il moriscu29, che utiliz-za gli stessi pentacordi dell’ispinellu ma in posi-zione naturale, cioè con il pentacordo più acutocome mancosedda e quello più basso come man-cosa, l’inverso dell’ispinellu.

fig. 15 Moriscu

L’attuale assetto strutturale delle launeddas puòessere letto in modi diversi. Può essere conside-rato un sistema statico, che ha trovato un giustoequilibrio ed una sua perfetta funzionalità; mapuò anche essere visto come un momento di unlungo processo evolutivo, di cui non è dato sa-pere in quale stadio oggi ci troviamo, visto chenon se ne conoscono né l’origine, né la storia.Le possibilità offerte dal sistema globale potreb-bero essere state tutte già esplorate e la maggiorparte di esse sarebbe stata scartata e dimentica-ta, in favore di un gruppo di cunzertus che rias-sumono in modo ottimale le potenzialità del si-stema globale, semplificandolo senza per questoimpoverirlo; oppure il sistema attuale potrebbeessere stato interamente mutuato da una prece-dente cultura musicale (per esempio ellenica omedio-orientale) e tramandato in forma cristal-lizzata preservandolo nei secoli da qualsiasi mo-difica; oppure oggi il sistema sarebbe tale perchénon tutte le possibilità combinatorie dei penta-cordi e le loro trasposizioni sono state esploratee pertanto rimangono aperti ampi spazi evolutivii quali, se percorsi, potrebbero determinare latrasformazione del sistema ed un suo nuovo or-dine strutturale.

fig. 16 Accoppiamenti non utilizzati

Ma il destino delle launeddas non dipende cer-tamente da questioni strutturali (anche se que-ste conservano sempre un ruolo rilevante) etanto meno dalla speculazione teorica sulle pro-prietà del sistema dei cunzertus, bensì dallacondizione sociale e culturale delle popolazionidella Sardegna; dalla loro capacità di resistere ereagire alla pressione della cultura dominante,che costantemente propone (o impone) modellidi vita che ostacolano la conservazione delletradizioni popolari; dalla capacità di progrediresenza rinunciare al proprio passato e alla pro-pria identità30.

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MedianafalsaA C D E

Simpónia

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� � �Mai come mancosedda Mai come mancosa

Tumbu

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162 163

TROMBETTA AD ANCIA

AEROFONO

AD ANCIA SEMPLICE BATTENTE

A CANNA CONICA

SENZA FORI PER LE DITA

Trumbittada banditore

• Dati generaliStrumento desuetoCarattere indeterminatoNon costruito da chi lo suonaOccasione vagamente determinata

• Area di attestazione Quasi tutta la Sardegna

Trombetta da caccia (da battitore) in ottone o ramedi forma conica e leggermente ricurva con un’ancia di metallo alloggiata all’interno di una capsula in cui si immette il fiato. Lo strumento, che può emettereun’unica nota, era impiegato dai banditori nei centrirurali. Non si hanno notizie nell’Isola di costruttori di questi strumenti, ordinariamente importati dalcontinente.

TRACCIA CD: 61 196. Trumbitta da banditore,cm 26

197. Orani, banditore, 1958(foto Bavagnoli)

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CORNI NATURALI

AEROFONO

TROMBA

A CANNA CONICA

A INTONAZIONE NATURALE

SENZA BOCCHINO

Corru marinu

Bórnia (Campidano)Bucconi de mariCarramusa (Gallura)Conchizzu (Montiferru, Nuorese,Planargia)Cornu (Carloforte)Corra (Bosa,Ghilarzese,Logudoro)Corraina (Orosei)Corredda (Siniscola)Correna (Castelsardo)

Corriteddu (Orosei)Corroina (Orosei)Corronetta (Barigadu)CorronitaCorruCorru de mariCorru marinuTofa (Alghero)Tufa (Alghero, Campidano)Tuvisceddu (Cagliari)

164 165

Corno bovino tagliato all’estremità su cui si innestaun corto tubo di canna che funge da bocchinosemplice. Per poter essere utilizzato a tale scopo,viene privato dell’osso attendendone il distacconaturale mentre la successiva pulitura interna vieneaffidata esclusivamente al lento lavoro delle formicheche spolpano i residui materiali molli. In certi casi il costruttore può operare qualche modifica dellaforma immergendo il corno in acqua bollente, in maniera da ammorbidirlo e poterlo lavorareagevolmente. È importante, per la buona riuscita delsuono, che lo strumento abbia un canneggio conico.

198. Corru ’e boe,cm 30, ø max cm 5,6,costr. M. Pira, Gavoi

• Dati generaliStrumento desuetoCarattere indeterminatoOccasione vagamente determinata

• Area di attestazione Ghilarza, Muravera

Grossa conchiglia, in genere dellaspecie Charonia nodifera, cui si asporta l’apice,aprendo così un bocchino semplice sul quale si poggiano le labbra per produrre il suono. Era utilizzato come strumento burlesco nel carnevalee in particolare insieme ad altri rumorosi strumentiimpropri nei matrimoni di vedovi (correddas,corrainas); con questa funzione è attestato già nellefonti ottocentesche.

BIBLIOGRAFIAANGIUS 1833-56: II 433-534;SPANO 1851: 172;FARA 1918a: 63-83;FARA 1923a: 16;FARA 1940: 40-47;WAGNER 1960-64: I 219,387, II 531;DORE 1976: 219-220;GERMI 1977: 64;SATTA 1985: 41-42;DORE 1988: 201

RIFERIMENTI FOTOGRAFICI:5, 199-200

TRACCIA CD: 63

199. Corru marinu, cm 31, ø max cm 16

200. Corru marinu(bórnia, Campidano), da FARA 1940: tav. III

CORNI NATURALI

AEROFONO

TROMBA

A CANNA CONICA

A INTONAZIONE NATURALE

CON BOCCHINO

Corru ’e boe

• Dati generaliStrumento desuetoCarattere indeterminatoCostruito generalmente da chi lo suonaOccasione vagamente determinata

• Area di attestazione Gavoi, Ula Tirso

Corru (Logudoro)Corru ’e boe

Corrus

BIBLIOGRAFIAANGIUS 1833-56:VIII 36-37;CALVIA 1894: 949-953;FARA 1940: 48;ALZIATOR 1957;VARGIU 1974: 28;DORE 1976: 217-218;GERMI 1977: 64;SATTA 1985: 36-37;DORE 1988: 201

FONTI D’INFORMAZIONEMICHELE LOI (ULA TIRSO);MARCELLO MARRAS (GHILARZA);MICHELE PIRA (GAVOI)

RIFERIMENTI FOTOGRAFICI:2-3, 9, 198

TRACCIA CD: 62

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BASTONI MUSICALI

LIUTI

Serrággia

Ghitarra

Appena due i cordofoni attestati in Sardegna, la serrággia ela chitarra. Come si deduce dal nome assegnato a questa

classe, si tratta di strumenti il cui suono è prodotto dalla vibra-zione di corde. La serrággia, cordofono a bastone, si utilizzaunicamente a carnevale in alcuni centri dell’Isola, mentre la chi-tarra, che appartiene alla sottoclasse dei liuti a pizzico, da secoliaccompagna i canti tradizionali di quasi tutta la Sardegna.

I CORDOFONI

201. Il cantante FrancescoCubeddu alla chitarra, foto di copertina del discoSaldigna mia, 1967

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BASTONE MUSICALE

CORDOFONO

SEMPLICE

SALTERIO A BASTONE

CON RISUONATORE

Serrággia

Buffeta (Alghero)SerragaSerrággia (Bosa)Serragu (Thiesi)

Serraja (Mores)Tumborro (Gavoi)Violinu antigu (Ploaghe)Zanzarra (Sassari)

• Dati generaliStrumento desuetoCarattere indeterminatoCostruito generalmente da chi lo suonaOccasione vagamente determinata

• Area di attestazioneGavoi, Planargia, Sassari

I tre elementi principali dello strumento sono: il bastone di canna, una corda tesa da due piroli, una cassa di risonanza ricavata da una vescica dimaiale gonfiata. Il bastone può avere una lunghezzavariabile tra i 120 e i 200 centimetri. Alle dueestremità vengono praticati i fori in cui si inserisconoi piroli di legno che tendono la corda. Questa puòessere di crine di cavallo intrecciato ed impeciato, di budello ritorto, di filo di rame o di ottone. La vescica di maiale viene pulita dalle nervature,essiccata all’ombra e gonfiata come un palloncino. Si dispone quindi tra la corda e la canna dellostrumento per amplificare il suono. All’interno della vescica si possono introdurre sassolini o semi che sottendono significati apotropaici,mentre in alcuni modelli di serrággiaè anche possibile trovare una sortadi tastiera di canna fissata

169

al corpo e posta sotto la corda. Oltre che a pizzico, la corda si può sfregare con un archetto di lentischio su cui sono tesi crini di cavallo.Lo strumento si suona in piedi appoggiandolo ad unaspalla (soprattutto se possiede la tastiera); con unamano si tiene la canna mentre l’altra pizzica la cordao la sfrega con l’archetto. La funzione dellostrumento è ormai essenzialmente legata al carnevaledi Bosa e Sassari, ma secondo alcuni venivaanticamente usato per eseguire melodie e brani veri e propri. BIBLIOGRAFIA

ANGIUS 1833-56: XIX 96;FARA 1918a: 75-78;FARA 1923a: 15;FARA 1940: 37-40;WAGNER 1960-64: II 409, 484;DORE 1976: 153-156;GERMI 1977: 65;SATTA 1985: 75-76;DORE 1988: 202;GUIZZI 1990: 53

RIFERIMENTI FOTOGRAFICI:17, 202-203

TRACCIA CD: 64

202. Serrággia con tastiera e archetto,cm 144, ø canna cm 2,5,costr. P. Marras, Ghilarza

203. Serrággia senza tastieracon corda di crine intrecciato,

cm 160, ø canna cm 2, costr. M. Pira, Gavoi

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Nel quadro della musica popolare tradiziona-le sarda, la chitarra è ampiamente presentenell’accompagnamento al canto, ma si ma-

nifesta anche in una veste solistica che – seppure didiffusione più marginale – rivela dei motivi di gran-de interesse musicologico.Il canto con accompagnamento di chitarra, o cantoa chitarra, costituisce in ogni caso uno degli stili car-dine del folklore musicale isolano, ponendosi comeil genere probabilmente più seguito dal pubblico, sesi tiene conto del fatto che è il più documentato nel-la produzione discografica a 78 giri e conserva lostesso primato nella produzione di dischi micro-solco e musicassette a circolazione prevalentementeregionale. Le sue radici etnolinguistiche affondanoprincipalmente nelle aree del Logudoro e della Gal-lura in provincia di Sassari, sebbene il canto sia oggidiffuso in varia misura in tutta la Sardegna. Del re-sto la sua vasta circolazione è stata pure favorita dauna certa “specializzazione” e da un certo “profes-sionismo”, che si sono sviluppati tra i cantatori e isuonatori soprattutto dopo la seconda guerra mon-diale nell’ambito delle gare di canto a chitarra, con-solidando così ulteriormente l’omogeneità dello stilee del repertorio, che ha finito per racchiudere al suointerno tutta una serie di particolarità locali del pas-sato. Il programma completo della gara prevede in-fatti dodici forme di canto, che in vario modo fannoriferimento a diverse aree geografiche, a diversi im-portanti elementi della cultura tradizionale, a diver-se caratteristiche musicali: il canto in re, la nuoresa(che conserva una qualche relazione con le lamen-tazioni funebri), i mutos (che erano largamente uti-lizzati nella terapia rituale dell’argia oltreché nelleserenate d’amore), la galluresa (o tempiesina, daTempio in Gallura), la filognana (legata alle riunioniper la cardatura della lana), la corsicana, il trallalleru(di origine campidanese), il mi e la (nato tra i pesca-tori di Bosa), il fa diesis, l’isolana (o ploaghese anticadi Ploaghe), il si bemolle e la disisperada (originaria-mente una forma di serenata).Per lo stile in oggetto la gara rappresenta quindi l’o-biettivo culminante, verso il quale tendono e si mo-dellano le altre occasioni meno ufficiali di canto: lefeste familiari, le serenate, gli sposalizi, le riunioniconviviali o nelle bettole. Generalmente la competi-zione si svolge in occasione delle feste patronali nellepiazze dei paesi e, di norma, i contendenti sono trecantanti accompagnati da un chitarrista: i cantanti si

affrontano alternandosi di strofa in strofa, nel tentati-vo di dimostrare la propria maggiore abilità nel va-riare e abbellire i canti, nonché una buona cono-scenza dei testi verbali e dei modelli melodici, tale daconsentire loro di ripetersi il meno possibile. I testifanno riferimento soprattutto alla tradizione poeticadialettale dell’Ottocento, di contenuto prevalente-mente amoroso, ma anche ad autori più recenti.Il chitarrista deve così saper seguire all’impronta levariazioni estemporanee dei cantori, attraverso unaprofonda consuetudine con i meccanismi di baseche regolano i numerosi modelli melodici impiega-ti nel canto ed eventualmente attraverso un buonaffiatamento con gli stessi cantanti. Il tipo di chi-tarra maggiormente attestato nell’uso, in particola-re nell’ultimo dopoguerra, monta delle corde me-talliche ed è di dimensioni superiori rispetto almodello classico: la sua accordatura, pur conser-vando gli stessi intervalli tra le corde, è sempre dialtezza complessivamente inferiore a quella abi-tuale (almeno di un tono, anche se l’accordaturaconsolidata fino a oggi nella pratica professionaleoscilla da una quarta a una quinta più in basso del-l’accordatura classica). Con uno strumento cosìpredisposto, che in passato veniva suonato soprat-tutto a dita nude o eventualmente con un plettrodigitale per il pollice, mentre attualmente è suona-to soprattutto con il plettro, il chitarrista sardo ese-gue una forma di accompagnamento alquanto ric-ca, che mette in mostra una tecnica mista: suonacioè alternando una tecnica “a botte” o “raschiata”– che come nel rasgueado spagnolo consiste nelprodurre più note contemporaneamente, o in rapi-da successione, strusciando una o più dita, o ilplettro, su diverse corde – ad una tecnica “punta-ta” a note singole, che si libera soprattutto negli in-termezzi virtuosistici tra una strofa e l’altra.Questo tipo di accompagnamento si fonda comun-que ampiamente su di un uso accordale della chi-tarra, che può ricollegarsi allo stile accordale dellapolivocalità sarda – a sua volta imparentato con ilfalsobordone cinquecentesco – e al tempo stesso al-le sequenze di accordi maggiori impiegate nel cantoa sonettu, il canto sardo con accompagnamento diorganetto. Ne deriva un vasto repertorio di accordiper lo più maggiori che – a contatto con uno stilemelodico di impostazione arcaica – determinanodelle successioni spesso estranee alle convenzioniarmoniche classiche. Ma interessante è soprattutto

il sistema musicale complessivo del canto a chitarra:la nota re e una cadenza armonica basata sull’accor-do di re vi costituiscono il costante motivo conclu-sivo di ciascuna forma melodica. Tuttavia, a questasorta di “centro tetico” i vari canti o i vari modellimelodici di un canto contrappongono uno o più“centri dinamici”, che ne possono caratterizzare l’i-nizio oppure un passaggio modulante. Così l’interorepertorio del canto a chitarra, all’interno del ciclorituale in qualche modo costituito dalla gara, finisceper rappresentare come un tracciato musicale sim-bolico, destinato a indicare i vari percorsi che èpossibile seguire per risolvere le tensioni instauratedai centri dinamici e ritornare infine alla nota e al-l’accordo fondamentali.Se il canto a chitarra mostra quindi un originaleconnubio tra la melodicità mediterranea arcaica el’armonia accordale, il repertorio solistico della chi-tarra sarda rinvia invece all’impianto “modale” dellamusica per le launeddas. E così come la diffusione diqueste ultime è attualmente una prerogativa dellapianura campidanese tra Cagliari e Oristano, l’ese-cuzione di brani strumentali per chitarra è appan-naggio soprattutto di suonatori di quella zona, seb-bene non possano essere esclusi contributi sporadicida parte di alcuni virtuosi di altre aree. In particola-

re questo repertorio strumentale si manifesta nelcorso delle gare di poesia fra poeti estemporanei, chein Campidano si svolgono seguendo un procedi-mento peculiare: dopo una prima fase della gara ve-ra e propria, si passa a un intermezzo dedicato a unaforma di poesia più breve, sempre improvvisata maimperniata sui mutettus (versione campidanese deimutos) e con accompagnamento di chitarra. Alla fi-ne dell’intermezzo, per dare il tempo ai poeti di de-cidere il tema successivo della gara, il chitarristaesegue allora un ballo strumentale. Simili balli noncostituiscono però ancora un vero e proprio reper-torio collettivo, in quanto ogni chitarrista interpretadi solito un ballo in qualche misura “personale”,ispirato alla danza o alle danze caratteristiche especifiche del proprio paese. Il motivo di maggio-re interesse chitarristico, comunque, è rappresen-tato dall’uso frequente di varianti significative nel-l’accordatura: modificando la tensione di una opiù corde, infatti, i suonatori cercano di otteneresulle corde basse suonate a vuoto le note necessarie(la fondamentale con la quinta, ed eventualmenteanche la terza) per poter realizzare agevolmente unsolido bordone di accompagnamento alla melodia,eseguita di solito sulle corde più acute.

204. Simone Manca di Mores, Danzaaccompagnata dallachitarra, seconda metàdell’Ottocento, temperasu carta, cm 22 x 30

La chitarra nella musica popolare sardaAndrea Carpi

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CHITARRA

CORDOFONO

COMPOSTO

LIUTO A MANICO INCASTRATO

CON CASSA A FONDO PIATTO

Ghitarra

• Dati generaliStrumento in usoCarattere prevalentemente melodicoNon costruito generalmente da chi lo suonaOccasione indeterminata

• Area di attestazione Tutta la Sardegna

La chitarra, nella forma per così dire “popolare” a quattro corde e in quella “classica” della vihuela, è attestata in Sardegna già dal XVI secolo. Oltre alletestimonianze iconografiche che figurano in questovolume, ricordiamo un pregone viceregio emanato a Cagliari nel 1598 con cui si vieta di suonare chitarre e liuti per le vie della città dopo il rintocco dellacampana vespertina (Archivio di Stato di Cagliari,Antico Archivio Regio, vol. C 2, c. 39). Questa è laprima menzione dello strumento in Sardegna e siriferisce inequivocabilmente ad un uso popolare dellachitarra, confermato da una cronaca di alcunidecenni più tardi in cui si racconta di un giovanenobile morto dopo una notte di balli e cantiaccompagnati dalla chitarra (Madrid, ArchivoHistórico Nacional, Fondo Casa de Osuna). È perchitarra anche una canzonetta del Seicento con

Chitarra (camp., log.)Chiterra (log.)Ghitarra

Ghiterra (Sassari)Ghitterra (Gallura)Quartina

205-207. Chitarra “terzina”appartenuta a Gavino Gabriel,

cm 96,5, cassa cm 47,5 x 34,5 x 8(Tempio Pausania, Associazione

G. Gabriel)

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174 175

211. Ballo Sardo, cartolina postale, 1902(Nuoro, Istituto Superiore RegionaleEtnografico, coll. Colombini)

212. Cetera (cetra) gallurese, strumento scomparso ricostruitodall’Associazione G. Gabriel di TempioPausania, sulla base di testimonianzeorali, letterarie e iconografiche

un’approssimativa notazione musicale,individuata nella BibliotecaUniversitaria di Sassari. La chitarra,strumento facilmente trasportabile ealla portata di qualsiasi esecutore, hasempre avuto una specificacaratterizzazione popolare. Avrebbestupito quindi una sua assenza nellamusica folklorica della Sardegna, anchein considerazione dei profondi legamicon la Spagna, centro di diffusionedella chitarra in tutta l’Europa. La chitarra sarda non differisce daquella in uso nel continente e, sebbenesi abbia notizia di costruttori isolani,non si può parlare di una specifica evoluzione locale dello strumento se si eccettuano i sistemi di accordatura e alcuni dettagli costruttivi di scarso rilievo. La tecnica esecutiva, legata per quanto ci risultaall’accompagnamento del canto e più raramente a quello della danza, ha avuto invece una specifica

BIBLIOGRAFIAPORRU 1832: 297;ANGIUS 1833-56:VII 144, IX 991,XIII 199;SPANO 1851: 153, 228;FUOS 1899: 401-403;FARA 1909: 725;GABRIEL 1910: 926-950;FARA 1916-17: 163-164;FARA 1923a: 16;GABRIEL 1923: 100-130;GABRIEL 1936: 861-865;GABRIEL 1951;WAGNER 1960-64: I 349;DORE 1976: 157-159;GERMI 1977: 65;LORTAT-JACOB 1984: 65-89;DORE 1988: 202;GUIZZI 1990: 55

DISCOGRAFIAAGGIUS 1966;AGGIUS 1973;DANZE SARDE 1976

FONTI D’INFORMAZIONEPIETRO LONGONI (GAVOI);GIUSEPPE SOTGIU (TEMPIO PAUSANIA)

RIFERIMENTI FOTOGRAFICI:13, 15, 17, 204-212

TRACCIA CD: 15, 65

evoluzione e un particolare adattamento allamusica sarda, come risulta dalla trattazione diAndrea Carpi. Fino agli anni Quaranta era diffusa la chitarranormale, e ancor di più la cosiddetta “terzina”,uno strumento di dimensioni più piccole, ma dal dopoguerra si è universalmente imposto l’usodella chitarra “folk”, caratterizzata da una cassa di risonanza di grandi dimensioni su cui èincollato, in prossimità del foro di risonanza, un battipenna di materiale plastico decorato aintarsio. Le corde metalliche sono fissate ad unacordiera nella fascia inferiore e passano attraversoun sottile ponticello mobile sulla tavola armonica.Nella tastiera si possono trovare cerchietti obarrette segnatasti nel III, V, VII, X e XII tasto.Singolare è il fatto che, nelle chitarre con cordemetalliche in uso nella moderna musica cosiddetta“leggera” o popular, uno dei segnatasti siaposizionato al IX anziché al X tasto, differenza probabilmente da attribuire alle specificità del canto sardo. Si registrano, infine, differenti sistemi diaccordatura, in relazione ai diversi usi e occasioni.

208. Giovanni Cominotti, Enrico Gonin, Réunion pour travailler la laine (Tempio) – 1822 –

Graminatorgiu in Tempio, cromolitografia, da LA MARMORA 1839: tav. IX. L’incisione (nella

quale è visibile la cetra gallurese) era stata giàpubblicata nella prima edizione dell’Atlas (1825)

209. Chitarra, cm 97, cassa cm 49,5 x 37,5 x 10,

costr. P. Lunesu, Gavoi

210. Chitarra “folk”, cm 109, cassa cm 54 x 44 x 12,

costruita in Sicilia

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176 177

I n certe ore del pomeriggio o della notte (orasferiadas o férias), la campagna e il paese, per-corsi da strepiti, suoni, rumori, si popolano

di presenze inquietanti.Nel Nuorese si aggira l’érchitu, un uomo che,colpevole di omicidio, assume l’aspetto fantasti-co di un bue, con grandi corna di acciaio (a Be-netutti è detto infatti su voe corros d’attalzu) ocon due candele accese sulle corna, e vaga scon-tando la sua pena fino a che qualcuno non lo li-beri da questa triste condizione tagliandogli lecorna o spegnendo le candele.L’érchitu, che a Buddusò è detto su oe múdulu, aLula e Mamoiada boe muliache, a Ollolai voemúlinu, a Orgosolo voe travianu, si mostra an-che sotto forma di ercu, forse un cervo o un de-mone dall’aspetto non chiaramente definibile.I suoi tremendi muggiti, ripetuti tre volte davan-ti ad una casa, preannunciano una grave malattiao la morte, entro tre mesi, per chi vi abita. Tal-volta, prima della metamorfosi, una schiera didiavoli si reca presso l’abitazione dell’uomo chesi trasformerà poi in érchitu, per prelevarlo econdurlo con sé.La guida un diavolo più grande e con due corna,mentre gli altri, tutti vestiti con differenti colori,hanno un corno soltanto, d’acciaio, e lancianofiamme dalla bocca e dalle narici.Uno dei diavoli porta un tamburo, altri delletrombe.Avvenuta finalmente la metamorfosi, la compa-gnia si muove al rullo del tamburo per le vie delpaese, fino al luogo in cui il capo dei diavoli or-dinerà all’érchitu di muggire, mentre i diavolisuonano i loro strumenti.Il tamburo, del resto, è uno strumento del diavolo.Volendo distruggere Aggius, questi si era stabili-to sulla vetta più alta dei monti che circondanoil paese. Nelle notti di bufera, gli abitanti udiva-no il rullo cupo e prolungato de lu tamburumannu («il tamburo grande»), un lastrone digranito in equilibrio mobile, con cui il diavoloannunciava una morte violenta, ripetendo pertre volte: Aggius meu, Aggius meu, candu sarà ladì chi t’agghiu a pultà in buleu! («Aggius mio,Aggius mio, quando verrà il giorno in cui ti por-terò in volo!»). Soltanto quando fu piantata una

croce sul monte, che perciò ha preso il nome dimonti di la Crucitta, il diavolo si dileguò in unfragoroso turbine di vento.Le trasformazioni di uomini in animali, peral-tro, sono numerose: in prummunida, un asinoche corre, raglia e uccide chiunque incontri, fin-ché non lo si precipiti in una vasca colma d’ac-qua, facendogli così riacquistare sembianzeumane (Villanova Monteleone); in lupu manna-ru, un indemoniato o malato che, durante lenotti di luna piena, esce all’aperto e si trasformain cane ululante, ma che può guarire con unapuntura di spillo o mediante un getto di acquagelida; in vitello muggente che, percorse le viedi Cagliari, ritorna a casa, si immerge in unaconca d’acqua, perde la pelle e ridiviene, tem-poraneamente, uomo: malattia, questa, che duradieci anni o fino a quando qualcuno non colpi-sca lo sventurato alla schiena con un coltello af-filato, riportandolo quindi alla sua primitivacondizione umana; in boe de santu Iaccu («buedi S. Giacomo»), un uomo invasato da uno spi-rito o tramutato in bue che, aggiogato ad uncarro, percorre la via dove debba presto morirequalcuno, fermandosi a muggire davanti allasua abitazione; in boi furraniu, mostro abnormedella palude di Nurachi, con il corpo ricopertodi squame e la testa di bue; in boi muliache (maesiste anche la vacca muliache), infine, nel Go-ceano e nelle Baronie.Quest’ultimo, detto anche voe qultu («colto») aTalavà; voe mulianu («muggente»), boe mùrinu(«color topo») a Galtellì; boe musteddinu («co-lor donnola») a Lollove, è un uomo che, percondanna o fatalità, è costretto a trasformarsi inbue, assumendone sembianze e comportamento.Preannuncia gravi disgrazie nel luogo in cui si ri-voltola per terra (s’imbrossinadura), emette mug-giti spaventosi, produce un suono di campanac-cio o un rumore di catene e vederlo, o soltantoudirlo, è assai pericoloso perché ci si può amma-lare o morire di spavento (assustu o assustru).Rumore di grosse catene e ferraglie produce an-che il diavolo quando, sempre di notte, traspor-ta da un luogo all’altro i suoi tesori affinché nes-suno li trovi, o quando si aggira per le strade informa di cavallo (su caddu ferradu).

A Bosa, ogni anno, nella notte fra l’ultimo gior-no di luglio e il primo di agosto, il diavolo, cari-co di catene, si aggira per le vie del paese su uncavallo indomato, arrestandosi presso la casa dichi dovrà morire entro l’anno.In queste sembianze il demonio (su dimóniu) èdetto da alcuni su traicolzu, termine che per altriindica invece la malasorte (sa mala sorte).Inteso alla lettera, traicolzu significherebbe «chetrascina cuoio», ed è infatti con questa valenzache lo si ritrova in Gallura.A Tempio Pausania, lu traicógghiu è una schieradi morti che assunto l’aspetto di cani o di altrianimali, tutti uguali fra loro per dimensioni e co-lore, nella mezzanotte del 1 agosto, va di corsatrascinando dietro di sé delle pelli non conciateo qualcosa che produce un rumore secco.Nel Meilogu, a Mara, la compagnia di morti che,sempre alla mezzanotte del 1 agosto, corre per levie del paese trascinando con grande rumorepelli non conciate, è detta invece sas travadolzas.In Gallura, tuttavia, il termine traicógghiu indicapiù solitamente uno spirito che, a mezzogiornoo mezzanotte, precedendo una schiera di mortiche recitano salmi, trascina catene e una pelleseccata di bue oppure di cavallo. È l’anima di unladro, dannato in eterno a questa pena per averrubato in vita un bue, ed incontrarlo o sentirnesoltanto il rumore porta disgrazia.In qualche località denomina invece il fragore, si-mile a quello di un uragano, che fa il diavoloquando sposta da una località all’altra il tesoro(suiddatu) che custodisce, per nasconderlo meglio.In Gallura, però, lu traicógghiu è anche un parti-colare strumento fonico costituito da un cilindrodi sughero chiuso da una pelle ben tesa. Al centrodi questa è praticato un piccolo foro attraversocui viene fatto scorrere uno spago impeciato che,tirato da un capo, fa vibrare le membrane produ-cendo un suono sgradevole, sordo o acuto, comedi animale sconosciuto e inquietante, attribuitotalvolta a spiriti maligni.Con qualche variante nella tecnica di costruzione(la pelle, di cane, può ricoprire una sola estre-mità del cilindro e su di essa, mediante chiodi dilegno fissati ai bordi del sughero, è tesa talvoltauna treccia di crine di cavallo per prolungare le

vibrazioni), questo strumento era diffuso, forsefino al secolo scorso, soprattutto nella parte cen-tro-settentrionale della Sardegna.Segnalato dagli studiosi di musica popolare, maormai scomparso, aveva varie denominazioni: mo-liaghe (Canales, Barigadu), scórriu (Nuorese), tira-trímpanu (Montiferru, Nuorese, Planargia), trím-panu (Ghilarzese, Mandrolisai).Poiché il suono che esso emette avrebbe la capa-cità di innervosire notevolmente gli animali, e inparticolare i cavalli, veniva usato dai malviventiper disarcionare i carabinieri, e dai bracconieriper stanare la selvaggina, tanto che, ancora oggi,è ritenuto qualcosa di illegale.È uno dei rari casi in cui la denominazione di unafigura mitica coincide, in qualche modo per ragioni

La musica, il suono, il rumore nelle tradizionie nella cultura dell’immaginario in Sardegna

Andrea Mulas

213. Mario Delitala,Pastore nella tormenta,1924, xilografia, cm 39,2 x 29

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di sonorità, con quella di uno strumento musicale.A Bosa, invece, su traigolzu è un animale mo-struoso, cavallo e bue insieme, che, ogni notte del1 agosto, va trascinando un carro carico di ossa.Questo grosso carro, nero e privo di sponde, è sucarru de sos mortos («il carro dei morti») o su carrude sa morte («il carro della morte»), detto anchecarru cócciu («cocchio» o «carrozza») o carru drottu.Trainato talvolta da cavalli, ma spesso senza chenessuno lo tiri, carico di anime dannate, è guida-to dal diavolo (s’aremigu) o dalla morte stessa.Esce a mezzanotte, producendo un sinistro ru-more di catene, e si arresta davanti alla casa dichi deve morire in breve tempo.Lì, con grande frastuono, udibile però soltantodai parenti di colui che morirà, si sfascia, incen-diandosi poi fra alte lingue di fuoco attorno allequali i folletti danzano una ridda sfrenata.A Siniscola, dove esce il 1 gennaio, è accompa-gnato da S. Giacomo che, con un pungiglione,colpisce chi dovrà morire entro l’anno.A Samassi e Villasor, dove è detto carru accócciude is sogas («cocchio delle streghe»), fa invece lasua comparsa a mezzanotte, presso i cimiteri, in-cedendo con lugubre cigolio di ruote.Nelle ore notturne, dal cimitero, dove fa quindiritorno, esce poi la réula o sa régula, una proces-sione di morti salmodianti, ciascuno con in ma-no un cero, acceso o spento, che si rivela esserein realtà un osso umano. Sono anime penitenti ilcui numero varia da una decina fino a diversecentinaia, ed hanno un aspetto inquietante, poi-ché possono apparire prive della testa, vuote allespalle, in lunghe vesti bianche. Incontrarle, e piùancora accettare incautamente il cero che esserecano, è molto pericoloso, perché si può averneun forte spavento, col rischio di ammalarsi gra-vemente e morire. Il passaggio de sa régula, perle vie del paese o per le strade di campagna, èsegnalato da un suono di campanelli.Régula (o arréula o roda) è però anche la ruotadi campanelli (lat. rota cum tintinnabulis; rota ocirculus nolarum; tintinnabula rotis) che in talu-ne chiese segnalava l’inizio delle funzioni religio-se o ne sottolineava i momenti più solenni. Èuna grossa ruota in legno oppure in metallo,semplice o doppia, in alcune zone a raggi, in al-tre piena, sulla cui circonferenza sono posticampanelli di varia grandezza e tonalità. Fissatosu una parete del presbiterio, ad altezza di qual-che metro da terra, lo strumento veniva azionatomediante un’asta o una corda legata ad una ma-novella posta al centro della ruota. Suoni dicampanelli, ma anche di zoccoli e finimenti, siavvertono di notte, in Gallura, al passaggio della

temibile almata di Rodas («armata di Erode»),dodici cavalieri su altrettanti cavalli bianchi,usciti dall’inferno e guidati da Rodas, che di-struggono quanto incontrano sul loro cammino.E se a Perfugas si ode il sibilo di certi spiriti bian-chi che passano sul tetto dell’abitazione di chi do-vrà morire di lì a breve, dileguandosi poi in can-dide nuvole; se a Sassari vagano, per le stanzedella casa dove nacquero, gli spiriti dei bambinimorti senza battesimo (ánimi buláttigghi), facen-do rumore; un po’ dovunque, in Sardegna, e inparticolare in Gallura, Goceano, Logudoro, Mar-ghine, Planargia, Trexenta, si può avvertire, dinotte, presso i corsi d’acqua, il battere cadenzatodelle panas o páiani.Sono, queste, le anime di donne morte di parto,forse colpevoli di un infanticidio commesso per-ché non sposate, condannate a lavare i pannidelle loro creature, talvolta su una tavola (sadaedda), con uno stinco di morto (su mazzuccu),per due, tre, sette anni.Disturbarle, rivolgendo loro la parola e interrom-pendone così la penitenza, che deve perciò ripren-dere daccapo, è pericoloso: esse scagliano allora,contro l’importuno, il panno bagnato che stanno la-vando e la parte colpita resta macchiata per sempreoppure va in cancrena, portando infine alla morte.Le ore della notte però serbano anche suoni piùlieti, ma non per questo meno carichi di rischio.Appena terminata la festa dei vivi, i sagrati dellechiese campestri si animano di note di armoniche,di chitarre, di canti a tenore: lì, ogni anno, le animedei morti celebrano con balli, suoni e canti, la lorofesta. Il vivo che vi capiti senza rendersi conto diquanto sta accadendo, invitato dai morti a prendereparte alle danze, è quasi tentato di accettare. Fra iballerini, però, riconosce un suo compare morto datempo, che lo avverte del pericolo e gli rivela le pa-role con cui dovrà rispondere all’invito, se vorrà sal-varsi: danzare con i morti, che non conoscono piùlimiti fisici, né temporali, propri delle cose umane,un ballo senza fine, vuol dire infatti morire.La formula magica che farà cadere per terra i mor-ti, presi da un irrefrenabile convulso di risa, men-tre il vivo, allontanatosi a spron battuto, guaderàun fiume e si salverà (i morti non possono attraver-sare corsi d’acqua), dice così: Ballade e cantade vois/ chi sos ballos sun sos vostros. / Cando ana a essersos nostros / amus a ballare e cantare nois («Ballatee cantate voi / ché i balli sono i vostri. / Quandosaranno i nostri / balleremo e canteremo noi»).Si ribadisce, così, l’estrema separatezza di duedifferenti universi. Sovente accade, però, che in-sieme s’incontrino, nel ballo e nella musica, sal-vezza e perdizione.

Apparati

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187

Aggius, 176Aidomaggiore, 21, 38, 73, 77, 79-81Alghero, 165, 168Anglona, 128Assemini, 47-48, 92-93, 109, 114, 116-117,

119, 144, 155Barbagia, Barbagie, 19, 23-24, 36-37, 42, 66,

77, 79, 91, 94, 112, 118-119, 140Barbagia di Ollolai, 38, 75, 84, 113Barigadu, 64, 84, 133, 165, 177Baronia, Baronie, 105, 176Barumini, 143Baunei, 140Belvì, 23, 66, 138Benetutti, 176Bidonì, 71Bitti, 52-53, 64, 69-70, 95, 131Bolotana, 18, 29, 121, 137Bonorva, 57Bosa, 21, 32, 87, 111, 165, 168-170, 177-178Buddusò, 176Cabras, 9, 20, 37, 101, 140-141, 152, 161Cagliari, 29, 39, 87, 109, 123, 165, 171, 176- Archivio di Stato, 172- Associazione Spaziomusica Ricerca, 161- Biblioteca Universitaria, 33- Museo Archeologico Nazionale, 11, 13, 16,

27-29, 33- Pinacoteca Nazionale, 29-30, 33, 121- santuario di N. S. di Bonaria, 33 Campidano, 16-17, 24, 30, 33, 37, 52-53, 57,

64, 66-69, 71, 94, 101, 111, 114, 119-120,130-131, 141, 152-153, 165, 171

Campidano di Cagliari, 36-37, 82, 92, 114,116, 119, 140

Campidano di Oristano, 36, 140, 161Canales, 66, 84, 177Capo di Cagliari, 17, 19, 23Capo di Logudoro, Capo di sopra, 17, 23 Capo di sotto, vedi Capo di Cagliari Carbonia, 12Carloforte, 165Castelsardo, 33, 131, 165Cossoine, 23, 30Costera, 53Desulo, 24, 105Dorgali, 36, 69-71, 131Escalaplano, 69, 95Fonni, 52-53, 64, 138Gairo, 52, 57Gallura, 23, 36, 38, 42, 53, 69, 71, 131, 165,

170, 172, 177-178Galtellì, 127, 176Gavoi, 20-21, 36-38, 40-43, 64-67, 69-70, 73-

77, 84-88, 91, 94, 110-113, 118-119, 164,168-169, 174

Genoni, 11, 27-28Ghilarza, 37-38, 41-43, 45, 67, 69, 71, 83, 88, 112-

114, 116, 119, 130, 132, 134-135, 164-165, 169Ghilarzese, 84, 94, 119, 165, 177Goceano, 21, 176, 178Guasila, 39Iglesias, 87Ittiri, 11, 16, 27-28, 33Lodine, 94Logudoro, 21, 23, 37, 51-52, 57, 68, 71, 84,

91, 94, 104, 111, 113-114, 116, 118-120,130-131, 140, 164-165, 170, 178

Lollove, 176Lula, 53, 106, 131, 176Macomer, 52Mamoiada, 50, 59-60, 63, 176Mandrolisai, 66, 84, 112, 177Mara, 177Marghine, 51, 69, 178Marmilla, 91, 116, 118-119Masullas, 47, 109, 126Media valle del Tirso, 36, 38, 42, 66, 70, 83,

88, 94, 112, 114, 119, 132-135Meilogu, 52, 177Milis, 114Mogoro, 87Monti, 131Montiferru, 51, 84, 140, 165, 177Mores, 168Muravera, 106, 114, 116, 119, 155, 161, 165Nule, 51-52Nulvi, 128Nuorese, 51, 53, 84, 165, 176-177Nuoro, 17, 52, 56, 64, 69-70, 131- Istituto Superiore Regionale Etnografico, 18,

29, 152-153, 161, 175Nurachi, 176Ogliastra, 137Oliena, 37, 105, 131Ollolai, 20, 176Olzai, 33, 64Orani, 29, 33, 101, 162Orgosolo, 105, 176Oristanese, 101Oristano, 30, 33, 125, 152, 171Orosei, 47, 52, 69-70, 131, 165Orotelli, 59-61Ortacesus, 148, 155Orune, 52Oschiri, 131Ossi, 128Ottana, 35, 45, 59, 63

Ovodda, 138, 140, 161Padria, 33Perdasdefogu, 70, 95, 140Perfugas, 178Pimentel, 109Pirri, 12, 142Planargia, 40, 51-52, 66, 69, 84, 94, 140, 165,

168, 177-178Ploaghe, 36-37, 68-70, 112, 114, 168, 170Posada, 52Quartu, Quartu Sant’Elena, 24, 30, 37, 92-93,

121, 123-124Quartucciu, 82, 97, 114, 116-117, 119Riola, Riola Sardo, 37Saddori, vedi SanluriSamassi, 178Samatzai, 97, 143Samugheo, 57, 59Sanluri, 143San Nicolò Gerrei, 87Sant’Antioco, 13, 16, 29, 48, 137Santulussurgiu, 36, 64, 69-70, 95San Vero Milis, 47-48, 64, 91, 106, 108, 120-121San Vito, 114, 119Sarrabus, 24, 69, 82, 95-96, 119, 140-141Sassarese, 53, 64Sassari, 20-21, 30, 33, 52, 56, 73, 78-79, 92, 97,

128-129, 131, 139, 168-170, 172, 178- Biblioteca Universitaria, 174- Comune, 79- Museo Nazionale G. A. Sanna, 30Sennori, 114Sindia, 53Siniscola, 69-70, 165, 178Sinnai, Sinia, 30, 142Su Carroppu, 12Talana, 140Talavà, 176Tempio, Tempio Pausania, 30, 170, 174, 177- Associazione Gavino Gabriel, 172, 175Thiesi, 168Tonara, 24, 50, 52-54Tortolì, 140Trexenta, 24, 141, 178Tuili, 27, 33Ula Tirso, 66-67, 95, 112, 114, 116, 119, 130-

135, 164Villagrande Strisaili, 69-70Villamar, 33Villanova Monteleone, 114, 131, 176Villaputzu, Villa Putzu, 82, 140Villasor, 178Zeddiani, 37Zuri, 132, 134-135

186

AGGIUS 1966Gli Aggius, Coro del Galletto di Gallura, pre-sentazione di A. M. Cirese, I Dischi del SoleDS 131-133, 1966 (30 cm, 33 giri).

AGGIUS 1973La me’ brunedda è bruna. Gli Aggius, Coro delGalletto di Gallura (“Folk Sardegna”, 14), a curadi S. Laurani, Cetra LP 211, 1973 (30 cm, 33 giri).

BURRANCA 1982Burranca, a cura di A. e D. Mariani, RivieraRVR 2, 1982 (30 cm, 33 giri).

DANZE SARDE 1976Danze sarde, fisarmonicista L. Saderi, chitarri-sta N. Serra, Quadrifoglio International VDS394, 1976 (30 cm, 33 giri).

ERBI S. D.Ignazio Erbì e la sua fisarmonica, Tirsu LIP 320,senza data (17 cm, 45 giri).

LAI 1984Luigi Lai e Aurelio Porcu, Sardaigne. Launed-das, a cura di B. Lortat-Jacob, Ocora 558-595,1984 (cd).

LAUNEDDAS 1974Is launeddas, ricerca su uno strumento musicalesardo condotta sul campo da A. F. Weis Bent-zon (“Gli uomini, le opere, i giorni. Serie regio-nale: Sardegna”), I Dischi del Sole DS 529-531,1974 (30 cm, 33 giri).

MELIS 1984Efisio Melis, Launeddas, a cura di P. Sassu eR. Leydi, Albatros VPA 8486, 1984 (30 cm,33 giri, da dischi 78 giri del 1930-37).

MUSEO DELLE ARTI 1991Disco allegato al volume Museo delle arti e tradi-zioni popolari. Roma. La collezione degli stru-menti musicali (“Cataloghi dei musei e delle gal-lerie d’Italia”), a cura di P. E. Simeoni e R.Tucci, 1991 (17 cm, 33 giri).

MUSICA SARDA 1973La Musica Sarda, III (“Documenti originali delfolklore musicale europeo”), a cura di D. Car-pitella, P. Sassu e L. Sole, Albatros VPA 1852,1973 (30 cm, 33 giri).

ORGANETTO 1982Sardegna 1: organetto (“I Suoni”), a cura di F.

Giannattasio e B. Lortat-Jacob, Fonit-CetraSU 5007, 1982 (30 cm, 33 giri).

PORCU S. D.Aurelio Porcu, Danze a launeddas, Tirsu LIP727, senza data (17 cm, 45 giri).

RITUALI DELL’ARGIA 1967I rituali dell’argia, documenti sonori a cura diC. Gallini e D. Carpitella, allegato al volumedi C. Gallini, I rituali dell’argia, Padova, 1967(17 cm, 33 giri).

SONUS DE CANNA 1994D. Burranca e S. Lecis, Sonus de canna (“Po-liphonies de la Mediterranée”), Amori AM003, 1994 (cd).

ZAMPOGNA 1973La zampogna in Italia e le launeddas (“Docu-menti originali del folklore musicale europeo”),a cura di R. Leydi e B. Pianta, Albatros VPA8149, 1973 (30 cm, 33 giri).

Indice dei luoghiDiscografia

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189

aenas, vedi benasaffuente, 20, 35, 45‘annábida, vedi canna isperrada‘annucra, vedi cannugaarghul, 18, 20, 29, 137armonica a bocca, vedi sonetto a buccaarmónium, armonium, 91, 108-109arrefinu, vedi launeddasarréula, vedi régulaarrullonis, vedi ischiglittosaulos, 28-29, 137battole, 39-40, 42bena, 91, 132-133bena cun corru, bena cun corru ’e boe, 91, 133-134bena cun croccoriga, bena cun zucca, 91, 133, 135benas, 11-13, 16-18, 20, 25, 28-29, 91, 100,

132-133, 137bidulas, bisonas, bisones, bisunas, vedi launeddasbórnia, vedi corru marinubottu, 21burriburri, vedi frusciucabizzinu, vedi launeddascampanacci, vedi sonazzoscampanacci dei mamuthones, 35, 50, 59-60campanas, campane, 35, 39, 47, 49-50, 88-89, 172campaneddas, campaneddas ladas, 35, 49-51,

59-60campanelle, campanelli, 13, 29, 39, 49-51, 57,

60, 63, 73, 82, 178cannábida, vedi canna isperradacanna furistera, 21cannaiolu, 21canna isperrada, 35, 37cannuga, 35, 64-65cetera, cetra gallurese, 30, 174-175cetra, 17chígula, 91 94-95chitarra, 9, 21, 23, 25, 29-30, 89, 167, 170-

172, 174-175, 178cimbalini, 73, 82clarinetti, 11, 13, 16, 18, 20, 132, 134-135,

137, 140contrappuntu, vedi launeddascorni naturali, 164-165corno di bue, vedi corru ’e boecorno marino, corraina, corredda, vedi corru

marinucorru ’e boe, 11, 16, 18, 27-29, 91, 164corru marinu, 12, 91, 165croba, vedi launeddascrotali, 28, 36-37, 39, 42cunzertu, cunzertu a frassettu, cunzertu mannu,

vedi launeddasena, enarzu, vedi trumbitta ’e forraini

enas, vedi benasdestrina, fiorássiu, vedi launeddasfisarmónica, fisarmonica, 20, 91, 97, 100-101, 106fischietti, 10, 89, 91, 113fiuda, fiuda bagadia, vedi launeddasflauti, 10, 16-17, 20, 29, 33, 91, 100, 114, 116,

118-119, 121, 123-124, 128flautu ’e canna, 73, 88frassettu, vedi launeddasfruscaiolu, 21frusciu, frusiu, 21, 91, 110frusta, fuette, fuettu, 21, 91-93furrianughe, 22, 35, 66-67furriolu, 39ghitarra, vedi chitarraischeliu, 89, 91, 130ischiglittos, 35, 49-50, 56-57, 59-60isciapette, 91, 112ispinellu, ispinellu a pipia, vedi launeddaskazoo, vedi mirlitonlaunedda, launeddas, liuneddas, 9-13, 16-20, 23-

25, 27-30, 32-33, 49, 89, 91, 100-101, 105-106,121, 126, 131, 133, 137-152, 155-161, 171

liuti, 167, 172loba, mancosa, mancosa manna, mancosedda,

vedi launeddasmandola, 23, 30matracca, 35, 37, 39-41, 69matracca a roda, 35, 39, 42-43matraccheddas, 37matráccula, 39matráccula de battarzos, vedi matracca a rodamediana, mediana a pipia, mediana falsa, mi-

nore, vedi launeddasmirliton, 73, 88moliaghe, vedi trímpanumoliette ’e canna, 35, 68moriscu, vedi launeddasmumusu, 21-22, 73, 87, 89muscone, 21, 89, 91, 111organette, organetto, organettu, organittu, 9, 13, 20,

23, 38, 77, 81, 91, 96-97, 99-101, 104-106, 170organo, órganu, 89, 91, 109, 126-127ossu ’e pruna, 21, 89, 91, 113ottavino, vedi píffarupiatto sospeso, vedi affuentepíffaru, 20, 30, 79, 89, 91, 128-129piffero, 17, 25, 120-121piffero e tamburino, vedi sulittu e tamburinupipaiolu della Barbagia, 38, 91, 118-119, 122pipaiolu e tamburinu, vedi sulittu e tamburinupipiolu, 20, 89, 100, 119pipiolu del Logudoro, 91, 114, 116, 118-119pisica ’e porcu, 88

pitaiolos, pittiolus, vedi sonazzospunt’e órganu, vedi launeddasraganella, 39, 42, 70rana ’e canna, 35, 39, 69-70rana ’e taula, 35, 70régula, roda, 47-49, 178rombo, 89, 110sarmentu, 91, 94scacciapensieri, vedi trunfascórriu, vedi trímpanuscrámia-betu, vedi ischeliuserrággia, 167-169simpónia, vedi launeddassistri, 28sizilianu, vedi tamburellusonaggiolos, vedi ischiglittossonagliera, 28, 39, 57, 59, 63sonaglio, sonallu, sonazzos, 24, 35, 49-50, 52-

55, 59-60, 176sonette a ervozzu, 21sonette de iscrareu, vedi sarmentusonetto a bucca, 91, 95, 97, 100-101, 106, 178sonu de ganna, sonus, sonus de ganna, vedi

launeddassrubiette, 91, 113strocciarranas, 39strócculas, 39suittu, vedi sulittusuittu e tambuniu, vedi sulittu e tamburinusulittu, 30, 38, 89, 100, 106, 116, 119, 122-

124, 133sulittu del Campidano, vedi pipiolu del Logudorosulittu della Marmilla, 91, 116, 118-119sulittu de pastori, vedi sulittusulittu de pisu ’e piricoccu, vedi ossu ’e prunasulittu e tamburinu, 17-18, 25, 29-30, 33, 73,

91, 120-124su par’e sa mongia, vedi launeddastabeddas, 22, 37, 39táccula, 39tamburello, vedi tamburellutamburello basco, 82tamburellu, 20, 30, 32, 73, 82tamburi, 10, 17, 20-21, 28-29, 38, 73-75, 77-84,

87, 89, 120-124, 128, 176tamburo “spagnolo”, tamburu di Sassari, 20, 30,

73, 78-79, 129tammorra, 79tammurinu, 79taubeddas, vedi tabeddastaulittas, 22, 35-37, 39, 69tibia, 137tiratrímpanu, vedi trímpanutirriolu, 39

Indice degli strumenti

188

Alinari, fratelli, 137, 142Angioni, Giulio, 24Angius, Vittorio, 11, 18, 77Arui, Raffaele, 30, 33Baglioni, Silvestro, 18Baile, ditta, 106Ballero, Antonio, 32, 139Bande, Francesco, 96, 99, 106Bande, Inoria, 97Bavagnoli, 162Biasi, Giuseppe, 32, 79, 101Burranca, Dionigi, 148, 155, 161Cabitza, 21Cabitza, Francesco, 99Cabras, Andrea, 124Cabras, Fedele, 121, 124Calvia, Pompeo, 128Carpi, Andrea, 21, 175Carpitella, Diego, 104Carta, Giuseppe, 109, 126Casalis, Goffredo, 11, 77Casu, Daniele, 161Casu, Giovanni, 161Cavaro, Michele, 33Cavaro, Pietro, 33Cetti, Francesco, 17-18, 23Chessa, Totore, 105Cogoni, Francesco, 124Cominotti, Giovanni, 30, 123, 139, 174Cubeddu, Francesco, 167Cuga, Giuseppe, 161Dallapè, Mariano, 100Deledda, Grazia, 32Delitala, Mario, 177Dore, Giovanni, 9, 12, 20, 22, 37Exiana, Mario, 82, 114, 116-117, 119Fara, Giulio, 9, 12, 20, 22, 27, 32, 121, 123,

128, 133Figari, Filippo, 32Floris, Carmelo, 48, 105Fuos, Joseph, 11, 17, 25, 121Gabriel, Gavino, 172, 175Ghiani, Antonio, 144, 155Gonin, Enrico, 30, 123, 139, 174Guarnerio, Pier Enea, 12Hohner, ditta, 95Hornbostel, Erich von, 9, 35Lai, Luigi, 114, 119, 161La Marmora, Alberto de, 11, 18, 30, 121Leoni, Tonino, 97Ligios, Salvatore, 56, 59Lilliu, Giovanni, 16, 33Loi, Michele, 66-67, 95, 112, 114, 116, 119,

130-135, 164

Longoni, Giovanni, 37, 121Longoni, Pietro, 174Lunesu, Pietro, 174Lutzu, Giuseppe, 108Madau, Matteo, 17-18, 23Madau, Pietro, 106Maestro di Castelsardo, 27, 29-30, 33, 121Maestro di Olzai, 33Mahillon, Victor Charles, 9, 35Maltzan, Heinrich von, 11-12Manca di Mores, Simone, 30, 33, 125, 128, 139,

141, 171Mandas, Fedele, 92-93Marghinotti, Giovanni, 30Marras, Marcello, 37-38, 41, 43, 45, 67, 69-

71, 83, 88, 113-114, 116, 119, 130, 132, 134-135, 164

Marras, Peppino, 41, 135, 169Masala, Tonino, 105Massesi, Beniamino, 106Medde, Tino, 38, 80-81Melas, Elvio, 47-48Meli, Giovanni, 161Melis, Melkiorre, 32Merella, Adolfo, 21Milleddu, Roberto, 109Mimaut, Alfred, 33, 121Mimaut, Jean François, 30Murru, Giuseppe, 92Murtas, Giovanni, 114, 116, 119, 155Murtas, Pietrino, 161Obbili, Giuseppe, 114, 116-117, 119Oneto, Nicolò, 18, 121Oppo, Franco, 152Orro, Antonio, 121Orro, Giuseppe, 121Orrù, Giovanni, 161Palmas, Beniamino, 142Paulis, Giulio, 12, 17-18, 25Picci, Vincenzo, 92-93Pili, Felicino, 155Pinna, Antioco, 132, 134-135Pinna, Franco, 101, 106, 155Pira, Michele, 36-38, 40-41, 43, 65-67, 69-70,

74-77, 84-88, 94, 110-113, 119, 164, 169Piras, Giuseppino, 109Pittau, Massimo, 12Porcu, Aurelio, 161Porcu, Pietro, 105Riccio, Luigia, 30, 33, 125, 128, 139, 141Russo, Giuseppe, 79, 129Sachs, Curt, 9, 16, 35Satta, Stefano, 22Schaeffner, André, 9, 21

Schneider, Marius, 19Scroccu, Attilio, 155, 161Sedda, Piergavino, 38, 75, 84, 118-119Seebass, Tilmann, 27Sestu, Benigno, 114Soprani, Paolo, 96, 99-100Sorrenti, Claudio, 35Sotgiu, Giuseppe, 174Spanu, Gian Nicola, 22Stengel & C., ditta, 30Sulis, Tonino, 52, 54Taramelli, Antonio, 27Tavolara, Eugenio, 79Umberto, principe di Savoia, 30, 33, 141Vacca, Enzo, 73Vercellino, Mondo, 105Volta, Pablo, 9, 59Vuillier, Gaston, 23, 30, 140Wagner, Max Leopold, 12Weis Bentzon, Andreas Fridolin, 9, 13, 18,

25, 137, 160-161Zicca, Paolo, 97

Indice dei nomi

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tracca, vedi sonazzostraccola, 42tráccula de battarzos, vedi matraccatraicógghiu, vedi trímpanutriangolo, triángulu, 20, 35, 38, 77, 81tric-trac, 36trillitus, vedi ischiglittostrímpanu, trimpanu ’e lama, 21, 73, 84-86, 177trombe, 176trombe naturali, vedi cornitrombetta, 162trumbitta, 89, 91, 130-131, 133trumbitta da banditore, 91, 162trumbitta ’e forraini, 89, 91, 130-131trunfa, 35, 38, 71truvedda, 21truveddas, vedi launeddastumbarineddu, 73, 83, 88-89tumbarinos di Gavoi, 73-77, 84tumbarinu di Aidomaggiore, 73, 77, 80-81tumbu, vedi launeddastunciu, 21-22tympana, 28‘urriaiola, vedi furrianughevidulas, vedi launeddasvihuela, 27, 30, 33, 172violino, 89Waldteufel, 87zaccarredda, vedi rana ’e cannazampogne, 11, 13, 18, 25, 152zirriaiola ’e linna, vedi rana ’e taulazucchittas, 22zummara, 20, 29, 137

Istituto Superiore Regionale Etnografico della Sardegna

Ai fini dello studio e della documentazione dellavita sociale e culturale della Sardegna nelle sue ma-nifestazioni tradizionali e nelle sue trasformazioni,l’Amministrazione regionale istituisce, con sede inNuoro, l’Istituto Superiore Regionale Etnografico,nell’anno centenario della nascita della scrittricesarda Grazia Deledda.(Art. 1 L.R. 5 luglio 1972, n. 26)

L’Istituto Superiore Regionale Etnografico, con se-de legale ed amministrativa in Nuoro, al fine direalizzare gli scopi previsti dall’art. 1 della legge5.7.1972, n. 26, ed in quanto centro di ricerca suimovimenti reali che hanno come fine il progressoeconomico, sociale, politico e culturale della Sar-degna, si propone:a) di promuovere lo studio della vita dell’Isola nel-le sue trasformazioni, nelle sue manifestazioni tra-dizionali e nelle relazioni storicamente intrattenutecon i popoli dell’area mediterranea;b) di raccogliere la documentazione idonea allaconservazione, allo studio, alla divulgazione delleattività produttive, della vita popolare della Sarde-gna e del suo patrimonio etnografico;c) di promuovere la conoscenza della lingua, delletradizioni popolari e della storia della Sardegna,attraverso tutte quelle iniziative e manifestazioniculturali (convegni, seminari, stage, nazionali edinternazionali, inchieste sul campo, ecc.) da essoritenute idonee;d) di promuovere con iniziative adeguate i rapporticon istituzioni nazionali ed internazionali aventicome finalità la salvaguardia dei patrimoni regio-nali nei processi di aggregazione internazionale edi fronte ai fenomeni di rapida trasformazione;e) di favorire la conoscenza degli usi, delle tradi-zioni popolari e della storia di quelle popolazionidell’area mediterranea che hanno avuto ed hannocon la Sardegna comunità di interessi culturali.(Art. 1 del D.P.G. 14 maggio 1975, n. 144)

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