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a cura diAlberto de Sanctis

La fede ribelle

edizioni la meridianap a g i n e a l t r e

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Indice

Introduzione 7

PARTE PRIMA

CRITICA RELIGIOSA DEL TOTALITARISMO

Romano Guardini 21di Carlo Morganti

Luigi Sturzo 35di Nicola Carozza

Jacques Maritain 47di Maria Antonietta Falchi

Emmanuel Mounier 59di Andrea Catanzaro

PARTE SECONDA

CRITICA RELIGIOSA DELL’AUTORITARISMO

Mirza Agha Khan Kermani 71di Pejman Abdolmohammadi

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Il Cartismo 81di Milena Bianco

Ernesto Buonaiuti 95di Alberto de Sanctis

Carlo Rosselli 107di Flavio Terranova

Simone Weil 119di Marica Costigliolo

Aldo Capitini 133di Alberto de Sanctis

Samuel Ruiz 145di Simone Savona

Pier Paolo Pasolini 159di Marco Guglielmi

Fabrizio De André 171di Alberto de Sanctis

Gli Autori 183

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Introduzione

Si è soliti pensare, specialmente rimanendo all’interno delcontesto italiano in cui il Cattolicesimo è maggioritario, chela religione predisponga ad un atteggiamento accomodante senon addirittura connivente rispetto al potere. Questo per ovvieragioni storiche, che hanno giustificato una stretta identifica-zione tra religione e istituzione ecclesiastica. Si è così finito perrendere marginali tutti quegli aspetti del Cristianesimo suscet-tibili di innescare una qualche conflittualità col potere. Perquesto si è spesso trascurata la rilevanza di una critica religiosadel potere – anche di matrice cattolica – che ha svolto inveceuna funzione sociale e politica importante.

Critica che, proprio muovendo da presupposti religiosi,ha saputo contrastare il potere, ogniqualvolta questo havestito i panni del totalitarismo e dell’autoritarismo. Nel-l’opporsi a queste due tipologie di potere degenerato, la cri-tica religiosa ha individuato come suo bersaglio sia le devia-zioni imputabili alle chiese e ai cleri, sia quelle dovute a certiapprocci politico-ideologici.

Mentre nel caso del totalitarismo è il Cristianesimo il suovalore fondante: è la dignità di ogni essere umano inquanto dotato di una coscienza che gli consente di aprirsial divino, a rivelarsi l’antidoto più efficace; in quello del-l’autoritarismo il focus della critica religiosa del potere è costi-tuito dall’antitesi immobilismo-dinamismo. È il dogmatismoinfatti a rappresentare ad un tempo la premessa e il corol-lario dell’autoritarismo, dando corpo ad una ortodossia che,cristallizzando il potere, bandisce ogni dissenso.

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Il perno intorno cui ruota il presente volume è pertantol’analisi del fattore religioso o della religiosità come criticadel totalitarismo e dell’autoritarismo. I contributi qui rac-colti, che coprono un arco temporale piuttosto vasto com-preso tra la prima metà dell’Ottocento e la fine del secondomillennio, sono classificati nell’ambito di due parti, rispet-tivamente intitolate: Critica religiosa del totalitarismo e Cri-tica religiosa dell’autoritarismo. Ciascuna di queste fa rife-rimento ad un insieme di saggi. La prima include quelli suRomano Guardini, Luigi Sturzo, Jacques Maritain edEmmanuel Mounier; la seconda quelli relativi a Mirza AghaKhan Kermani, al movimento Cartista, Ernesto Buonaiuti,Carlo Rosselli, Simone Weil, Aldo Capitini, Samuel Ruiz,Pier Paolo Pasolini e Fabrizio De André.

La Critica religiosa del totalitarismo è diretta a scredi-tare un potere che, usurpando il posto che spetterebbe aDio, si muta in idolo, non di rado suscitando l’adorazionedelle masse. La rottura così attuata dal potere colpisce peròinnanzitutto l’umano. È come se l’espulsione del divino dalmondo implichi non tanto la rimozione di determinate tra-dizioni religiose e dei loro simboli, quanto in primis il depau-peramento di una umanità ridotta a cosa e, in quanto tale,assoggettabile e manipolabile senza remore di sorta. Eccoperché le critiche si rivolgono ad ogni genere di monismo.

Monismo, e quindi totalitarismo, è del resto anchequello che, denunciato con forza da Tocqueville, si annidapersino nelle democrazie e nei loro costumi che addome-sticano le coscienze.

La critica religiosa del totalitarismo non può in tal modonon ribadire l’impossibilità di colmare lo iato che separala religione dalla politica. Il dualismo tra le due città ago-stiniane trova il suo luogo di elezione nell’interiorità, in modoche sia questa ad offrire la misura della tollerabilità del

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potere. La degenerazione totalitaria di quest’ultimo non acaso culmina nel tentativo di incrinare il rapporto privile-giato che l’uomo intrattiene col divino. È infatti il persisteredi questa divaricazione tra le due città a scongiurare il peri-colo che il potere si faccia totalitario, venendo a coloniz-zare le coscienze. La religiosità è in quest’ottica una moda-lità di liberazione delle coscienze rispetto a vincoli che leopprimerebbero.

Il primo saggio è dedicato a Guardini, autore che piùdi ogni altro pone in evidenza come il totalitarismo scatu-risca da un malinteso senso di libertà dell’uomo, alimen-tato dall’estromissione di Dio dal mondo. Una volta che ilpluralismo si è mutato in relativismo e la tolleranza in indif-ferenza, è la stessa libertà a rivelarsi un guscio vuoto. Unalibertà che, sciolto ogni legame con Dio, si dimostra prontaa rovesciarsi nel suo opposto: l’accondiscendenza nei con-fronti di una schiavitù non più esterna ma radicata nel-l’interiorità. Al peso ormai insopportabile della responsa-bilità e della decisione morale si sostituisce la richiesta diprotezione e di guida indirizzata ad un Moloch che, spo-destato Dio, è esplicitamente invitato a dimorare nellecoscienze. Perciò Guardini descrive Dio come il “sabota-tore originario” di ogni totalitarismo. Come per Guardini,anche per Sturzo la libertà è un concetto cardine.

Una libertà che, situandosi nella coscienza, fa di questala base di un Cristianesimo che relativizza la politica. Lacoscienza è il luogo in cui, grazie al Cristianesimo, univer-salità e individualità risultano essere per la prima volta coin-cidenti, cancellando definitivamente la possibilità che essasi presti ad accogliere qualsivoglia mito collettivo. Il tota-litarismo è, per Sturzo, frutto di una tensione volta a sosti-tuire Dio con miti riconducibili al clan, alla classe, allanazione.

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Quando essi si traducono nello Stato si assolutizzano,presentandosi come un falso Dio. Per questo, la lotta al tota-litarismo presuppone sempre, per Sturzo, un irriducibiledualismo tra Cristianesimo e potere. La stessa democrazia,in quanto prodotto del Cristianesimo e del valore inesti-mabile da esso riconosciuto alla persona umana, non è sicet simpliciter una forma di Stato, bensì parte di un retro-terra che non ammette negoziazioni. In modo analogo aSturzo, Maritain scorge nella democrazia cristianamente ispi-rata il più valido baluardo contro il totalitarismo.

Maritain chiarisce come la democrazia antitotalitariadenunci il suo carattere più intimamente cristiano rivelandouna innata inclinazione nei confronti del pluralismo edella laicità (intesa come non confessionalità dello Stato).Il Cristianesimo di Maritain sa essere lievito della demo-crazia senza rivendicarne il possesso esclusivo. Ciò è benesemplificato dalla democrazia americana del Federalist. Unademocrazia che, nascendo dal dissenso religioso, traespunto dalla rivendicazione della libertà di coscienza e del-l’eguale dignità di ogni uomo libero. Al contrario il germedel totalitarismo è, per Maritain, coltivato da quella con-cezione della democrazia del numero, che in nome della mag-gioranza schiaccia il singolo. Maritain prospetta così unasorta di fil rouge tra l’assolutismo moderno e la democraziatotalitaria di Rousseau.

Quasi a completamento della disamina di Maritain, la pos-sibile deriva totalitaria della democrazia ha, per Mounier,la sua scaturigine nell’avvento di un sistema subdolo che –come profetizzato da Tocqueville – si infiltra nelle coscienze,addormentandole. Suo emblema è quella forma bonaria diAnticristo impersonata dal borghese, dal suo amore per latranquillità e il quieto vivere. Un’aurea mediocritas che, perMounier, è l’esatto opposto del Cristianesimo. A quello che

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Mounier chiama il regno del denaro, al suo ridurre tutti gliesseri umani a cose suscettibili di essere sfruttate per trarneprofitto, fa da contraltare una concezione cristiana che, invirtù della sua irriducibilità, non può essere assimilata dalcapitalismo. La rivoluzione di Mounier è personalista perchédiretta a liberare da ogni soggezione spirituale e morale. Ècomunitaria perché, attraverso l’emancipazione morale delsingolo, non può non affrancare la collettività da quelle strut-ture economiche miranti a soggiogare l’uomo.

Per la Critica religiosa dell’autoritarismo, l’attenzione si con-centra sul potere come tensione a rigettare il dinamismo. Intal senso il dogmatismo rappresenta quella condizione checoncorre ad irrigidire l’autorità. Il rispetto del dogma nonimplica il dogmatismo, per questo le critiche religiose del-l’autoritarismo non enfatizzano il ruolo della mediazione(chiese, cleri) tra cielo e terra e i contenuti dei vari credi. Lostesso vale per quella ortodossia ideologico-politica che vor-rebbe piegare a sé l’esistente, dando luogo ad un dogmatismonon meno pernicioso di quello partorito in sede religiosa.Come l’ortodossia religiosa anche quella ideologico-politicafinisce facilmente col far scivolare in secondo piano l’uma-nità e i suoi diritti. In entrambi gli ambiti la critica religiosadel potere mira a creare uno spazio di confronto in cui anchegli eretici e i dissidenti possano trovare asilo.

Al fine di contrastare la deriva autoritaria insita nel dog-matismo sono i valori della fraternità e dell’immanenza arecitare un ruolo di primo piano. In taluni casi è il tra-scendente ad essere penalizzato, qualora si presti a sacra-lizzare le gerarchie esistenti, siano esse sociali, politiche oreligiose. In quest’ottica la critica dell’autoritarismo è pro-pensa a recuperare i contorni di una fede più vera in nomedi una fraternità, che costituisce l’unico banco di provaammissibile.

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Luigi Sturzodi Nicola Carozza

In modo del tutto analogo a Guardini, Luigi Sturzo(1871-1959) scorge nella libertà un concetto cardine, inquanto direttamente riconducibile al nesso tra l’umano eil divino. È una nozione di libertà dinamica – che si espli-cita diversamente nell’ambito dei differenti contesti storici– ad alimentare l’interpretazione del Cristianesimo diSturzo. Per Sturzo, “la libertà è come la verità; si conquista;e quando si è conquistata, per conservarla si riconquista;e quando mutano gli eventi e si evolvono gli istituti, per adat-tarla si riconquista. È un perenne gioco dinamico”1.

Individualità e universalità albergano entrambe nellacoscienza del singolo, ma è il Cristianesimo a decretare perla prima volta l’indissolubilità di tale legame, facendo del-l’interiorità il luogo privilegiato della manifestazione deldivino. Con ciò Sturzo sancisce l’impossibilità, per il Cri-stianesimo, di venire a patti con ogni genere di monismo,e quindi di totalitarismo, tendente invece per sua naturaall’annullamento dell’individualità e con essa della coscienzaumana.

Alla luce dell’impostazione antitotalitaria di Sturzo, leforme politiche sono necessariamente relativizzate. Potràsembrare un paradosso ma l’aconfessionalità2 è sentita e vis-suta da Sturzo come un corollario della sua obbedienza alla

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1 L. STURZO, Il partito popolare italiano, Zanichelli, Bologna 1956, p. 195.2 Cfr. P. SCOPPOLA, La aconfessionalità del Partito Popolare Italiano nelpensiero di Luigi Sturzo, in “Civitas”, luglio-agosto, 1969, pp. 3-10.

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Chiesa. Obbedienza che convive con il convincimento di“abbracciare una via che è politicamente giusta senza ces-sare di essere storicamente relativa, tale cioè – sottolineaSturzo – che non turbi quanti nella Chiesa sono ormai sospet-tosi di essere trascinati in ‘assoluti’ temporali” 3.

È tale irriducibilità a trasformare il Cristianesimo in unelemento di critica degli assetti di potere esistenti. Èquanto, per Sturzo, si palesa già all’epoca dell’Imperoromano quando i cristiani, pur non costituendosi in gruppoantagonistico allo Stato, compromettono l’unità politico-religiosa su cui si basa la preservazione dello status quo. Sipotrebbe dire che, agli occhi di Sturzo, sia proprio il lororifiuto di resistere, la volontà di non tradurre in termini poli-tici la loro posizione, a confermare la transitorietà e quindila provvisorietà delle strutture statali rispetto al permaneredi un’umanità che, in quanto fecondata dal divino, ha insé stessa le ragioni del suo dinamismo.

Le persecuzioni scatenate dalla politica romana nondestano nei cristiani “nessuna reazione violenta, nessunarivolta, anzi nessuna effettiva resistenza”4. I cristiani silasciano prendere e mettere a morte. Secondo le medesimemodalità, i sopravvissuti alla persecuzione ricostituiscononuovi nuclei religiosi e continuano a diffondere gli inse-gnamenti del Vangelo allargando la comunità. I cristiani deiprimi secoli non negano il potere politico in genere, né ilpotere imperiale.

I cristiani si oppongono sul piano religioso, che per loroè diventato il complesso sociale prevalente della loro vita.

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a cura di Alberto de Sanctis

3 M. CONDORELLI, Chiesa e Stato in Luigi Sturzo, in AA.VV., Luigi Sturzonella storia d’Italia, in “Atti del Convegno internazionale di studi pro-mosso dall’Assemblea regionale siciliana, Palermo, Caltagirone: 26-28novembre 1971”, F. Malgeri (redatti a cura di) II vol., Edizioni di storiae letteratura, Roma 1973, p. 313.4 L. STURZO, Chiesa e Stato, Zanichelli, Bologna 1958, I vol., p. 7.

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A minare il rapporto tra fattore religioso e ideologia poli-tica dell’Impero è una sorta di “anarchismo sociale”5 delCristianesimo. Semplicemente seguendo il detto di GesùCristo di “dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quelche è di Dio” e gli insegnamenti di Pietro “siate soggetti[…] tanto ai re […] quanto ai governatori” e “bisogna ubbi-dire a Dio più che agli uomini”6, i cristiani compromettonol’unità politico religiosa dell’Impero.

Nel primo volume di Chiesa e Stato, soffermandosi sul-l’incontro tra Cristianesimo e Impero romano, Sturzo evi-denzia come il Cristianesimo, paragonato alle altre religioni,presenti la novità di spezzare ogni rapporto obbligato frareligione e famiglia o tribù, nazione o impero, fissando una“base personale di coscienza”7. Da qui l’universalità del mes-saggio evangelico, che è rivolto “a tutti i popoli, a tutte leclassi, senza distinzione di ebreo o gentile, greco o barbaro,ricco o povero, padrone o schiavo”, ed infine, la costitu-zione della Chiesa come “società religiosa visibile, al di fuoridi qualsiasi struttura familiare o politica, in forma autonomae indipendente, basata su determinate credenze, reputateverità, anzi la verità”8.

In quest’ottica l’incontro fra Cristianesimo e Imperoromano avrebbe umanizzate entrambe le forme di società,“la familiare e la politica”9 incrinando le divinità domestichee quelle del potere imperiale. Grazie al Cristianesimo la per-sonalità umana, ignorata nell’antichità diventa, in virtù diun riconoscimento religioso, “il centro e il fine di ogni atti-vità collettiva”10. Per Sturzo, l’universalità è alla base stessa

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5 Ivi, p. 9.6 Ivi, pp. 8-9.7 Ivi, p. 3.8 Ibidem.9 Ibidem.10 Ivi, p. 4.

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del Cristianesimo: l’unità in Dio e la fratellanza degliuomini non tollerano barriere sociali o politiche.

Già per i primi cristiani la libertà, più che negativa edesterna, è soprattutto interiore; la libertà è la conquista o ildono di una superiorità che rende svincolati e immuni. PerSturzo, la libertà è eminentemente personale, mentre solo percerti aspetti rappresenta un vincolo collettivo11. La libertà èuna “conquista personale, è un’elevazione positiva dello spi-rito, è una penetrazione completa della nuova luce del Van-gelo, è una partecipazione del divino”12. Proprio la libertàdiventa nel pensiero sturziano quel valore fondante, che eglisaprà testimoniare in prima persona negli anni in cui ilfascismo lo costringe all’esilio. Nel cristiano dei primi secolila libertà non è una conquista collettiva della Chiesa, bensìè frutto di conquista individuale, basata sulla rivendicazionedel diritto alla religione come luce di verità13.

Solo successivamente, sotto Costantino, la libertà reli-giosa dei cristiani acquista una rilevanza pubblica. Allacaduta dell’Impero d’occidente lo Stato, pur contenendoin sé elementi antinomici alla vita spirituale, per i cristianiresta un elemento terreno necessario alla vita della comu-nità. Il dualismo da allora rimane insito nell’interiorità delcristiano, radicandosi nella separazione tra vita mondanae “fini religiosi e soprannaturali della Chiesa”14. L’aspira-zione del cristiano-cittadino si proietta inevitabilmente sulpiano giuridico-politico, facendo emergere la questione dellapreminenza del fine spirituale rispetto a quello temporale15.

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11 Ivi, p. 10.12 Ibidem.13 Ibidem.14 Ivi, p. 26.15 E. GUCCIONE, La diarchia Chiesa-Stato nel pensiero politico di LuigiSturzo, in Il pensiero sociologico e politico di Luigi Sturzo nella sua “con-cezione organica”, in “Atti del Convegno”, op. cit., p. 171.

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Per meglio esprimere tale dualismo in Chiesa e Stato,Sturzo usa spesso il concetto di diarchia, spiegato piùapprofonditamente nell’opera La società: sua natura e leggi.Sturzo con tale termine intende la formazione di duepoteri, sia all’interno di ciascun gruppo che nell’ambito delcomplesso sociale. La formazione di questi due poteri puòessere più o meno organica e più o meno estesa; ma duepoteri si affermano sempre come punti di orientamento dellerispettive impostazioni ideali.

Diarchia è la locuzione più adatta a precisare il concettodi dualità sociale, concretizzata in “due forme di potere, qualene sia la forza politica, morale o religiosa”16. Ripercorrendoi diversi rapporti intercorsi tra lo Stato e la Chiesa, la sepa-razione, l’intesa amichevole, il concordato, in Chiesa e StatoSturzo sottolinea come le lotte che la Chiesa si è trovata acombattere non facciano altro che avvalorare la vitalità delladiarchia sociologica Chiesa-Stato, che si rivela più pregnanteproprio quando è negata17. A soffocare tale diarchia, credendodi dar corpo ad una rivelazione laica contrapposta a quellareligiosa, è in primis la ragione illuminista.

Il monismo laico degli illuministi è però, per Sturzo, a suavolta il prodotto di un antecedente monismo di segnoopposto che vede il potere religioso confondersi con quellomonarchico. Per Sturzo, gli illuministi mancano di “senso sto-rico”18 e, abbandonandosi al sogno di una palingenesi totale“negano il passato”19, pretendendo addirittura di cominciarela storia ex nihilo. Confondono il bisogno politico di riforme

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16 L. STURZO, La società: sua natura e leggi, Zanichelli, Bologna 1949, pp.247-75.17 G. PALLADINO, “Don Sturzo oggi”. Nel centesimo anniversario del-l’ordinazione sacerdotale di Don Luigi Sturzo, La Nuova cultura, Napoli1995, pp. 87-88.18 L. STURZO, Chiesa e Stato, II, op. cit., pp. 32-33.19 Ibidem.

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con la demolizione dell’ordine spirituale e civile. Per Sturzoal contrario, una ragione che misconosce le ragioni del pas-sato, “non è più una ragione umana ma una rivelazione”20,seppur laica, da contrapporre a quella religiosa.

D’altro canto, per Sturzo, il flusso e riflusso delle ideeilluministiche trova origine nei due secoli precedenti “diriforme e controriforme; di guerre di religione, di egemonia,di successione”21. Lo sfociare nel razionalismo e nel natu-ralismo testimonia del “fallimento della stretta unione e con-fusione della religione con il potere monarchico, della Chiesacon lo Stato, sotto il segno del conformismo politico e del-l’autoritarismo sistematico”22. Quella di Sturzo è unadenuncia chiara ed inequivocabile. La rivoluzione franceseprende una piega antimonarchica e anticattolica a causa deirapporti e dei privilegi condivisi tra monarchia e clero23. Gliesiti sono disastrosi. Nel culto della dea ragione e dell’entesupremo i rivoluzionari cercano un simbolo religioso chesuperi il Cattolicesimo romano24.

Con rammarico Sturzo rileva come la democraziamoderna dia l’impressione di nascere o al di fuori del Cri-stianesimo o in urto con il Cristianesimo, mentre a suo parereessa è “il frutto della civiltà cristiana, arrivata a maturità”25.Leggi, istituzioni, criteri direttivi nella società democraticadi ieri e di oggi sono per Sturzo talmente cristiani da indurload affermare che “l’ideale democratico dovrà rimanere unitoall’ideale cristiano, altrimenti perirà”26.

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20 Ibidem.21 Ivi, p. 38.22 Ibidem.23 Ivi, p. 59.24 Ivi, pp. 61-65.25 Ivi, p. 305.26 L. STURZO, M. EINAUDI, Corrispondenza americana (1940-1944), op.cit., p. 110.

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Aldo Capitinidi Alberto de Sanctis

Il fatto che Aldo Capitini (1899-1968) conferisca alla suacritica religiosa del potere una impronta decisamenteantiautoritaria si palesa nel suo concepire la religiosità comeun dato destinato a tracimare continuamente gli argini dellapolitica. In sintonia con la diagnosi di Mounier, Capitini èdel parere che senso esistenziale e giustizia costituiscano duefacce della stessa medaglia.

L’interiorità – dove per Capitini si radica la religiosità –diviene in quest’ottica un ineludibile punto di partenza. InAttraverso due terzi del secolo, una sorta di testamento spi-rituale composto poco prima di morire, Capitini raccontacome, una volta rilevato il legame fra trasformazione dellasocietà e ispirazione religiosa, egli non abbia indugiato arifiutare ogni carica pubblica. A partire dal suo privilegiareil nesso tra senso esistenziale e giustizia, Capitini articolauna critica del potere che lo induce alla creazione di alcunineologismi, quali quelli di “omnicrazia” e “compresenza”.

La “compresenza” è, per Capitini, il fondamento della“omnicrazia” o potere di tutti. È all’interno del concettodi “compresenza” che alberga quella visione politico-reli-giosa che Capitini eredita da Gandhi. Una visione che è beneesplicitata da Giovanni Gentile, quando questi scrive la Pre-fazione alla prima edizione italiana della Autobiografia delMahatma. La verità non si può conoscere, deve essere spe-rimentata e, una volta sperimentata, non può lasciare indif-ferente l’uomo.

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“È una verità pertanto – come ammette Gentile – che,essendo lì, fuori del pensiero dell’uomo, non può rag-giungersi senza uno sforzo che l’uomo faccia per uscire dasé e trasformarsi.”1

Per Gandhi, la verità è Dio stesso, che è irraggiungibileed impossibile da possedere. È per avvicinarsi alla verità cheGandhi sposa quella equiparazione tra essere e verità in cuil’essere coincide con tutto ciò che è (piante e animaliinclusi) e con tutto ciò che è stato (i morti). Attraverso “l’a-pertura”, altra espressione, per Capitini, basilare, è possi-bile instaurare una relazione con l’essere e pertanto con laverità chiamandolo a farsi presente ad ogni nostra azione.Da qui discende la “compresenza”. Per tal via il singolo hamodo di vincere anche l’isolamento e il solipsismo, supe-rando altresì la carenza di senso esistenziale. Affinchéquesta apertura dia luogo ad una relazione in cui l’indivi-dualità risalti il meno possibile, è la nonviolenza (e conse-guentemente la scelta vegetariana) la sola modalità credibile.

L’idea di politica implicita in questa prospettiva è del tuttonuova, così come nuovi sono gli strumenti – i mezzi – adot-tati per porla in atto. Mentre per la politica tradizionale ifini prescindono dai mezzi, per Capitini, come per Gandhi,sono i mezzi ad anticipare i fini. La loro scelta è perciò fon-damentale. Alla politica machiavellica, che esige di scindersidall’etica per avere le mani libere, si contrappone una poli-tica che scorge nell’etica e nella religiosità il suo fulcro irri-nunciabile.

Quello che Gandhi e Capitini svelano è il carattere ideo-logico, nel senso di mascheramento, del “realismo politico”.Quella che i realisti presentano come decisione politicamenteefficace non è altro che il prodotto degli interessi di oli-

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1 G. GENTILE, Prefazione a Mahatma Gandhi, Autobiografia, C.F.ANDREWS (a cura di), Treves, Milano 1931, p. 15.

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garchie, che non esitano – qualora lo ritengano necessario– a trasformare in carne da cannone i propri concittadinie connazionali. Si prospetta una chiara equazione: al credodel “realismo politico” corrisponde il potere di pochi, allanonviolenza il potere di tutti, o come dice Capitini, la “omni-crazia”, alla politica vecchia una connaturata tendenza all’e-sclusione, alla politica nuova una altrettanto innata pro-pensione all’inclusione.

Capitini è consapevole di quanto la crisi del suo temposia “anche crisi dell’assolutizzazione della politica”2. Eccoperché sceglie di battersi per allargare il cerchio dell’in-clusione a coloro che non onorano la polis: i colpiti, gli annul-lati dalla vita, “gli abitanti delle insufficienze”3 e per chie-dere al nomos di estendersi sino ad abbracciare anche inemici, in una tensione volta a trascendersi costantemente.Identificando nelle dinamiche istituzionali l’inclinazione adattuare quella reductio ad unum che cristallizza la compre-senza, Capitini si rende interprete della non rappresenta-bilità dell’ideale omnicratico. Egli distingue due forme dipotere: la prima trova la sua legittimità nella forza e neldiritto, mentre la seconda si nutre di “una garanzia nuova,che è questa: se vedete che ho la tensione alla nonviolenza,questo è segno della mia apertura alla compresenza di tutti”4.Solo il nonviolento può incarnare l’omnicrazia.

Non solo, la vecchia politica – che è quindi per forza dicose tendente all’autoritarismo – non è altro che frutto dellascelta di sottrarsi ad ogni ricerca esistenziale, proiettandosiin una fuga in avanti che diminuisce l’umanità. La vecchiapolitica non può non esercitare violenza, almeno a livello

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2 A. CAPITINI, Democrazia e liberal-socialismo, “Il Mondo”, 1 settembre1945.3 ID., La realtà di tutti, Tornar, Pisa 1948, p. 46.4 ID., Il Potere di tutti, La Nuova Italia, Firenze 1969, p. 63.

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potenziale. L’ideale omnicratico è invece, nelle parole diCapitini, “intrinsecamente connesso con la nonviolenza”5.Mutuando l’espressione dal poeta e filosofo gorizianoCarlo Michelstaedter, Capitini si dice “persuaso”, ravvisandonella persuasione e nell’antiretorica “quel tipo di esisten-zialismo che poteva divenire supremo impegno pratico”6.Quando, nel 1946, Capitini pubblica alcuni inediti diMichelstaedter facendoli precedere da una sua introduzione7,appare subito chiaro quanto egli, concordando con l’autoregoriziano, ritenga l’aspirazione al potere coincidente conquella inclinazione che spinge il singolo a colmare il pro-prio vuoto interiore, pensandosi in un futuro che lo distolgadai mali presenti8.

La nozione di progresso, figlia dell’illuminismo, eredi-tata dallo storicismo idealistico e dal marxismo, e peraltrorinvenibile anche all’interno di quella visione di matrice tomi-stica cui si riferisce il Cattolicesimo è, agli occhi di Capi-tini, poco più che un retaggio del passato. Non è più pos-sibile alcuna riduzione della religione a filosofia (imma-nentismo idealistico), né alcuna conciliazione tra fede eragione (neoscolastica). Tutto passa attraverso un nonaltrimenti eludibile appello alla responsabilità individuale.Solo per tal via, è possibile annunciare l’avvento di una civiltànuova e di un nuovo modo di pensare la politica.

La religione scaturisce, per Capitini, dal riconoscimentodei limiti della ragione, di quella che è la finitezza umana.

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5 ID., Attraverso due terzi del secolo, in “Aldo Capitini (1899-1968)”, acura del Comune e della Provincia di Perugia, 1988, p. 21.6 ID., Antifascismo tra i giovani, Celebes, Trapani 1966, p. 53.7 ID., Inediti di Carlo Michelstaedter, in “Letteratura”, 1946, 1, pp. 3-27.Sul rapporto tra Capitini e Michelstaedter, si veda C. LA ROCCA, La per-suasione e il rapporto con Michelstaedter, in “Il Ponte”, LVI, 1998, pp.199-223.8 A. CAPITINI, Inediti di C.M., op. cit., p. 3.

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Ciò si riflette nell’accettazione del fatto che la realtà trascendeil pensiero ed esso non può ingabbiarla. Per i medesimimotivi, il tomismo, che rivive nella neo-scolastica, apparetroppo fondato sulle pretese di una ragione che ritiene dipotere gettare un ponte tra l’umanità e Dio.

Diversamente, per Capitini, la ragione dovrebbe arre-starsi prima di scivolare verso quegli idoli, che allontananol’uomo da se stesso e dalla vera religione.

È tale quel processo che Capitini descrive come crea-zione di un super-individuo, una forma ingigantita di indi-vidualità appunto, che però dell’individualità conservatutti i difetti. Per scongiurare tale deriva idolatrica ed intrin-secamente autoritaria, occorre abdicare alla fede nellaragione. Al pensiero e alle sue astrazioni occorre sostituirela vita, aprendosi infinitamente ad essa.

Significativamente il sottotitolo dell’Autobiografia diGandhi non a caso è: La storia dei miei esperimenti con laverità.

La rivoluzione permanente auspicata da Capitini è in que-st’ottica prodotto di un impegno volto ad esigere dalle isti-tuzioni (anche da quelle democratico-rappresentative) diincludere i progressivi sviluppi di una fraternità che le tra-scende costantemente. L’antiautoritarismo di Capitini – ela sua ferma opposizione al fascismo – si esprime in un gestoche testimonia della tensione a vincere la chiusura istitu-zionale, in virtù di un qualcosa che la supera intimamente.Capitini, che è segretario della Normale diretta da Gentile,si dichiara vegetariano.

Per mettere a tacere lo scandalo provocato dal vegeta-rianismo di Capitini, che continua a mangiare a mensa congli studenti, Gentile gli impone di prendere la tessera delpartito fascista. Di fronte al suo rifiuto, Gentile lo cacciadalla Normale. È da Gandhi che Capitini dice di avere impa-

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rato ad opporsi attivamente, “il dir di no”.9 È dal 1931-32,negli scritti raccolti sotto il titolo di La persuasione religiosa,che Capitini inizia a scrivere nonviolenza tutto attaccato pro-prio per significarne, sulla scia della posizione di Gandhi,il carattere attivo.

La politica auspicata da Capitini situa lo Stato nella com-presenza, vincendo “la tendenza dell’organizzazione achiudersi, a rendersi trascendente all’anima”10. Il Concor-dato del 1929 tra il Vaticano e lo Stato fascista, se da unlato conferma l’esigenza di una riforma religiosa in Italia,evidenziando l’inadeguatezza “di una istituzione ancora unavolta alleata dei tiranni”11, dall’altro corrobora, agli occhidi Capitini, la necessità di respingere qualsiasi dogmatismo.Ne discende l’accettazione solo di quelle forme religiose chepongono l’accento sull’interiorità, prive di ogni pretesa diassolutizzarsi in un credo o in una istituzione.

L’esperienza del rinnegamento religioso perpetrato dalCattolicesimo ai danni del Cristianesimo attraverso l’alleanzacon il fascismo induce Capitini a cercare più radicale forzanegli spiriti religiosi puri, “in Cristo, Buddha, san Francesco,Gandhi, di là dall’istituzionalismo tradizionale che tradivaquell’autenticità”12. S. Francesco ha il merito di avere esal-tato una religiosità fondata sulla “interiorizzazione umanadella divina tragedia”13. Buddha ha dato vita ad una filo-sofia religiosa per sua natura tollerante, compassionevoleed anti-dogmatica.

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9 A. CAPITINI, Antifascismo tra i giovani, op. cit., p. 24.10 A. CAPITINI, Elementi di un’esperienza religiosa, Laterza, Bari 1937,p. 76.11 A. CAPITINI, La mia opposizione al fascismo, in “Il Ponte”, XVI, 1960,p. 33.12 Ibidem.13 A. CAPITINI, Aggiunta religiosa all’opposizione, Parenti, Firenze 1958,p. 162.

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Il santo cristiano più vicino al buddhismo è sicuramentesan Francesco, al punto che il suo ascetismo può essere para-gonato a quello orientale. In un saggio del 1920 si rileva comel’affinità del francescanesimo con lo spirito indiano si espli-citi “nel suo grande amore per gli animali e nel suo consorziocon essi”14. In Gandhi si ritrovano gli insegnamenti orientali,arricchiti da un profondo confronto con la cultura occiden-tale e con il Cristianesimo protestante inglese, che confermala preminenza dell’interiorità (luce interiore).

Gandhi scorge nella morale religiosa lo snodo fonda-mentale al fine di favorire quella convergenza tra Orientee Occidente, destinata ad esplicitarsi nella dottrina della nonresistenza attiva. Sotto il fascismo Capitini, pur non sce-gliendo la lotta armata, crea centri di antifascismo incon-trando soprattutto i giovani. Viene incarcerato dai fascistiper due volte, nel 1942 e nel 1943. Quando il regime crolla,piuttosto che aderire ad un partito politico, Capitini pre-ferisce dar vita all’esperienza dei Centri di OrientamentoSociale (COS), una sorta di consigli di quartiere ante-lit-teram. In essi è permesso a tutti di parlare ed esprimersiliberamente. Ancora una volta, Capitini ritiene di doversibattere per favorire lo sgorgare della consapevolezza dalbasso, scegliendo di collocarsi sul versante della società civileinvece che su quello istituzionale.

Capitini teme che, in virtù dei suoi limiti strutturali, ilpartito possa circoscrivere la sua azione in un ambito tropporistretto.

Con la loro attività i COS tendono, da un lato a svuotarei partiti del loro dogmatismo dottrinale, dall’altro, ad osta-colarne la ricerca del potere fine a se stessa. “Il partito è ilmezzo e il potere è il fine. Ma qui sorgono gravi difficoltà.

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14 G. DE LORENZO, India e buddhismo antico, Laterza, Bari 1920, p. 286.

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