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Convegno di Medio Termine dell’Associazione Italiana di Ingegneria Agraria Belgirate, 22-24 settembre 2011 memoria n. 1 NUOVI E ANTICHI PARADIGMI NELLO STUDIO DEI PROCESSI EROSIVI V. Ferro 1 (1) Dipartimento dei Sistemi Agro-Ambientali, Università degli Studi di Palermo SOMMARIO Nella memoria vengono esposti alcuni nuovi ed antichi paradigmi nello studio dei processi erosivi che contrastano anche con alcune conoscenze ritenute consolidate nella meccanica e nella simulazione dell’erosione idrica dei versanti. Parole chiave: perdita di suolo, modelli di erosione, energia della precipitazione. 1 INTRODUZIONE Una gestione del territorio attenta alle problematiche di difesa del suolo è una prassi trascurata in ambito nazionale, a fronte di altri interessi e priorità, e questa circostanza ha determinato il moltiplicarsi delle situazioni a rischio ed il verificarsi di situazioni emergenziali in concomitanza di eventi naturali di apprezzabile entità. Un illustre giornalista, che è stato Ministro dell’Ambiente della Repubblica Italiana, ha teorizzato che il concetto di manutenzione del territorio che viene adottato in Italia è equivalente ad una pratica di manutenzione adottata negli ascensori indiani: i cavi metallici degli ascensori vengono sostituiti dopo la loro rottura, con conseguente caduta della cabina, e quindi solo dopo che si sono verificate delle vittime (Puglisi, 2010). Sono passati solo due anni dall’evento catastrofico (Fig.1) che ha interessato la provincia di Messina, ed il ricordo dei 200 mm, caduti in 5 ore, che hanno devastato gli abitati di Giampilieri, Scaletta Marina, Altolia, Molino, Briga e Scaletta Zanclea è, già, sbiadito. Eppure, la valutazione dell’apporto solido imputabile all’erosione idrica dei versanti, per i tre bacini idrografici ricadenti nell’area del Messinese (Bagarello et al., 2010f), ha evidenziato che il volume solido movimentato dalle frane di primo distacco che hanno originato le colate detritiche rappresenta appena il 10% dell’apporto annuo dei versanti. Pertanto, la significatività dell’evento di trasporto solido concentrato è legata all’impulsività dell’apporto anche se la sua magnitudo, nel confronto con il contributo dei fenomeni erosivi dei versanti cumulati nell’anno, appare modesta. L’insidia solida dei continui fenomeni di erosione dei versanti risulta meno visivamente apprezzabile, non avendo carattere impulsivo, ma la sua azione silente produce risultati quantitativamente più rilevanti. Con queste premesse appare pienamente individuata la tematica che mi accingo a trattare e di cui ho scelto di esporre sette paradigmi:

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Convegno di Medio Termine dell’Associazione Italiana di Ingegneria Agraria Belgirate, 22-24 settembre 2011 memoria n.

1

NUOVI E ANTICHI PARADIGMI NELLO STUDIO DEI PROCESSI EROSIVI

V. Ferro1

(1) Dipartimento dei Sistemi Agro-Ambientali, Università degli Studi di Palermo

SOMMARIO

Nella memoria vengono esposti alcuni nuovi ed antichi paradigmi nello studio dei processi erosivi che contrastano anche con alcune conoscenze ritenute consolidate nella meccanica e nella simulazione dell’erosione idrica dei versanti. Parole chiave: perdita di suolo, modelli di erosione, energia della precipitazione.

1 INTRODUZIONE

Una gestione del territorio attenta alle problematiche di difesa del suolo è una prassi trascurata in ambito nazionale, a fronte di altri interessi e priorità, e questa circostanza ha determinato il moltiplicarsi delle situazioni a rischio ed il verificarsi di situazioni emergenziali in concomitanza di eventi naturali di apprezzabile entità.

Un illustre giornalista, che è stato Ministro dell’Ambiente della Repubblica Italiana, ha teorizzato che il concetto di manutenzione del territorio che viene adottato in Italia è equivalente ad una pratica di manutenzione adottata negli ascensori indiani: i cavi metallici degli ascensori vengono sostituiti dopo la loro rottura, con conseguente caduta della cabina, e quindi solo dopo che si sono verificate delle vittime (Puglisi, 2010).

Sono passati solo due anni dall’evento catastrofico (Fig.1) che ha interessato la provincia di Messina, ed il ricordo dei 200 mm, caduti in 5 ore, che hanno devastato gli abitati di Giampilieri, Scaletta Marina, Altolia, Molino, Briga e Scaletta Zanclea è, già, sbiadito.

Eppure, la valutazione dell’apporto solido imputabile all’erosione idrica dei versanti, per i tre bacini idrografici ricadenti nell’area del Messinese (Bagarello et al., 2010f), ha evidenziato che il volume solido movimentato dalle frane di primo distacco che hanno originato le colate detritiche rappresenta appena il 10% dell’apporto annuo dei versanti. Pertanto, la significatività dell’evento di trasporto solido concentrato è legata all’impulsività dell’apporto anche se la sua magnitudo, nel confronto con il contributo dei fenomeni erosivi dei versanti cumulati nell’anno, appare modesta. L’insidia solida dei continui fenomeni di erosione dei versanti risulta meno visivamente apprezzabile, non avendo carattere impulsivo, ma la sua azione silente produce risultati quantitativamente più rilevanti.

Con queste premesse appare pienamente individuata la tematica che mi accingo a trattare e di cui ho scelto di esporre sette paradigmi:

V. Ferro

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1) Modelli process oriented o modelli empirici nella stima dei processi erosivi ? 2) L’equazione Universale per il calcolo della perdita di suolo (USLE) è un

modello empirico ? 3) Si può condurre una affidabile analisi probabilistica degli eventi erosivi ? 4) La perdita di suolo aumenta al crescere della lunghezza della pendice ? 5) Esiste una similitudine nei processi erosivi canalizzati ? 6) È possibile raccogliere l’energia della precipitazione ? 7) Il rilievo laser scanner terrestre è utile nello studio dei processi erosivi ?

Figura 1. Vista del tratto terminale del T. Racinazzo, in corrispondenza dell’abitato di Scaletta Zanclea e dell’abitato di Molino dopo l’evento alluvionale dell’Ottobre 2009

2 MODELLI PROCESS ORIENTED O MODELLI EMPIRICI NELLA STIMA DEI PROCESSI EROSIVI ?

Lo studio dei processi erosivi è una “disciplina” giovane dato che appena 60 anni fa Ellison (1947) suggeriva la sua definizione <<a process of detachment and transportation of soil material by erosive agents>> fondata su una divisione in due sub-processi (distacco e trasporto) dipendenti dalla scala adottata nella sua sperimentazione. La necessità di studiare un intero bacino idrografico ha prodotto il ricorso al processo di <<deposition>> e quindi a tenere conto dei processi di trasferimento delle particelle solide sui versanti e all’interno degli elementi della rete idrografica.

Questo studio per sub-processi elementari ha costituito la base di una modellazione, inizialmente denominata physically-based, che opera sui singoli processi elementari (impatto della precipitazione, trasporto della corrente overland, ecc.) oppure sulle differenti tipologie del fenomeno erosivo (interrill, rill, ephemeral gully, gully) accoppiando una componente idraulico-idrologica dello studio con una tipicamente sedimentologica.

Qualunque sia la schematizzazione adottata tra quelle disponibili (SHE, WEPP, EUROSEM) anche i modelli più complessi appaiono, in atto come delle estreme semplificazioni del mondo reale. Permane, infatti, la difficoltà di adottare, ed in maniera

Nuovi e antichi paradigmi nello studio dei processi erosivi

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più rilevante per la componente del trasporto solido, delle equazioni teoriche dedotte per il fenomeno in istudio mentre frequente continua ad essere il ricorso ad equazioni mutuate da altre discipline oppure a fondamento empirico.

Ad esempio la maggior parte degli esistenti modelli a base fisica simula la capacità di trasporto della corrente overland sui versanti, assimilabili a sezioni idrauliche rettangolari molto larghe contraddistinte da tiranti idrici molto contenuti, facendo ricorso all’equazione di Yalin (Ferro, 1998) la cui deduzione si appoggia a misure di trasporto solido effettuate per i corsi d’acqua naturali contraddistinti da sezioni incise e da tiranti idrici rilevanti (assimilabili ad esempio a sezioni rettangolari strette).

Il presunto vantaggio teorico dei modelli fisicamente basati rimane ancora non provato e le equazioni che compaiono in questi modelli sono capaci di descrivere i processi fisici che si verificano in condizioni spazialmente omogenee e strutturalmente stazionarie (Beven, 1989) e quindi, in linea di principio, distanti da un sistema complesso con eterogeneità nelle tre dimensioni e variabile nel tempo quale è un bacino idrografico reale. La fisica su cui si basano le equazioni è la fisica di piccola scala (puntuale o quasi-puntuale) dei sistemi omogenei e nelle applicazioni le suddette equazioni vengono applicate alla scala della mesh di calcolo adottata (ad esempio la cella quadrata del sistema raster o quella triangolare del sistema TIN) impiegando valori dei parametri del modello costanti all’interno della cella.

Il rischio maggiore è legato all’impiego di un numero elevato di parametri (overparameterisation). Ad esempio l’applicazione dello SHE a scala di bacino, fatta eccezione per la topografia ed escludendo la variabilità temporale dei parametri, richiede la conoscenza di circa 2400 parametri (Bathurst et al., 1986). Un numero elevato di parametri non costituisce un problema reale solo se i valori possono essere adeguatamente stimati a priori o se possono essere misurati, con sufficiente accuratezza ed in modo economico, in campo. Se, invece, la loro stima è affidata ad una procedura di ottimizzazione, che si fonda sul confronto tra la risposta del bacino (ad es. il sedimentogramma) misurata nella sezione di chiusura e quella calcolata dal modello, ulteriori problemi derivano dalla interazione tra i parametri che è inerente la fisica dei sistemi idrologici.

Tutte queste considerazioni hanno portato a ridimensionare il clamore iniziale e questi modelli, denominati da Morgan & Nearing (2000) più realisticamente process oriented, si fondano sul presupposto di tenere in conto, nella loro formulazione, dei singoli sub-processi del fenomeno erosivo anche adottando equazioni di simulazione di origine empirica che riducono il modello ad uno schema concettuale.

Tutti i modelli di erosione testati (Risse et al., 1993; Zhang et al., 1996; Nearing, 1998; Jetten et al., 2003) dimostrano una tendenza sistematica a sovrastimare i valori contenuti della perdita di suolo e a sottostimare quelli elevati.

Risse et al. (1993) hanno applicato la USLE sia a scala annua che media annua, utilizzando 1700 misure a scala parcellare, giungendo alla conclusione che, pur consentendo la USLE una stima adeguata, alle due scale temporali, una distorsione della stima è rilevabile per i valori più contenuti ed elevati della variabile.

Zhang et al. (1996) hanno applicato il modello WEPP utilizzando 556 valori annui e 4124 valori a scala di evento della perdita di suolo. Indipendentemente dalla scala temporale adottata (evento, anno) il modello ha evidenziato una tendenza sistematica alla sovrastima dei valori contenuti della perdita di suolo e ad una sottostima di quelli elevati. Il confronto, inoltre, tra i valori misurati e quelli stimati dal modello è risultato

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contraddistinto, ad entrambe le scale temporali adottate, da valori del coefficiente di correlazione più contenuti di quelli ottenuti con la USLE.

Tiwari et al. (2000), utilizzando 16000 misure relative a 20 siti in USA, hanno dimostrato che il modello WEPP e la USLE hanno lo stessa efficienza misurata mediante l’indice di Nash e Sutcliffe (1970). Il risultato dell’analisi di Tiwari et al. (2000) mostrerebbe pertanto che un modello empirico, che ha il vantaggio di essere semplice da utilizzare, ed un modello a base fisica, dotato di una struttura sofisticata e capace di descrivere meglio l’influenza e l’interazione dei vari fattori influenzanti l’erosione, hanno in atto sostanzialmente le medesime capacità predittive.

Wendt et al. (1986) hanno condotto uno studio utilizzando le misure condotte a scala di evento su 40 parcelle in funzionamento contemporaneo. Gli AA. hanno determinato che il coefficiente di variazione dei valori misurati di perdita di suolo diminuisce, dal valore 0.83 a 0.18, all’aumentare del valore medio della variabile misurata. Questo risultato è stato confermato, nell’area sperimentale di Sparacia con riferimento alle variabili deflusso e perdita di suolo misurate su parcelle tipo Wischmeier (Bagarello et al., 2008).

Nearing (1998) attribuisce la distorsione della stima ad un limite, indipendente dalla circostanza che il modello sia empirico o fisicamente basato, derivante dalla natura deterministica dei modelli che si rivelano incapaci di seguire la variazione, che può essere considerata random, dei valori di perdita di suolo. In altri termini, il bias osservato nelle stime di perdita di suolo deriva dalla natura deterministica dei modelli che non sono in grado di tenere conto della significativa componente casuale dei valori misurati. Partendo da queste considerazioni Nearing (1998; 2000) ha proposto che il migliore modello per prevedere l’erosione in una determinata area è un modello fisico caratterizzato dallo stesso tipo di suolo, dimensione e forma della parcella, pendenza ed input erosivo e quindi una replica della misura. In altri termini, Nearing propone di considerare come modello per la stima della perdita di suolo da una parcella la misura in una replica della medesima parcella.

Secondo Jetten et al. (2003) l’incertezza associata ai valori dei parametri di input è probabilmente la ragione primaria perché un complesso modello a base fisica non conduce a stime migliori di un semplice modello empirico. In linea di principio modelli complessi che prevedono una migliore descrizione dei processi dovrebbero consentire una migliore previsione della variabile di output; essi richiedono comunque un maggior numero di dati di input ai quali è associata una quantità di incertezza che determina errori che si propagano attraverso il modello deteriorando la qualità del risultato finale. In altri termini, al crescere della complessità del modello, gli errori addizionali derivanti dall’aggiunta di ulteriori parametri annullano i potenziali miglioramenti della stima derivanti da una migliore descrizione dei processi fisici. La conclusione di Jetten et al. (2003) è che il funzionamento dei modelli di previsione del fenomeno erosivo, indipendentemente dalla tipologia, è insoddisfacente per cui questi modelli forniscono stime solo moderatamente corrispondenti ai valori misurati. Questo risultato può essere imputato ad una elevata variabilità spaziale e temporale dei processi di erosione e trasporto e alla nostra incapacità, allo stato attuale, di descrivere questa variabilità mediante i parametri di input normalmente utilizzati nei modelli di erosione.

Nearing (2006) ha dimostrato che il livello di varianza dei valori misurati di perdita di suolo è elevata. Ad un valore di perdita di suolo pari a 1 t ha-1, corrispondente quindi ad un decimo della tolleranza, corrisponde un coefficiente di variazione del 100%,

Nuovi e antichi paradigmi nello studio dei processi erosivi

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mentre si riduce ad un valore pari al 40% proprio in corrispondenza a 10 t ha-1. Va peraltro evidenziato che la variabilità misurata non tiene conto di possibili ulteriori differenze imputabili alla localizzazione geografica del sito, al tipo di suolo e alla vegetazione che insiste sulla parcella. La conseguenza immediata è che esiste un limite di accuratezza per i modelli di simulazione. Utilizzando le misure relative a repliche di plot, Nearing (1998) ha confrontato il valore medio di perdita di suolo, calcolato sulla base di un certo numero di parcelle replicate, ed il valore relativo ad un plot, scelto tra le repliche, assunto a riferimento (che rappresenta quindi il modello fisico). Il livello di adattamento ottenuto corrisponde ad un coefficiente di determinazione pari a 0.77 che rappresenta, quindi, il migliore scenario di previsione possibile (benchmark). Zhang et al. (1996) hanno confrontato l’applicazione del modello WEPP, applicato a 2119 eventi e senza fare ricorso a calibrazione, con i valori misurati di perdita di suolo pervenendo ad un coefficiente di determinazione pari a 0.4 e quindi di gran lunga inferiore al valore 0.77 che corrisponde al modello fisico.

L’applicazione del WEPP alla scala temporale dell’anno medio (Zhang et al.,1996) ha condotto, invece, a valori, nel confronto con le misure, del coefficiente di determinazione ancora pari a 0.77, confermando, pertanto, che la qualità della stima migliora al crescere della scala temporale di applicazione del modello.

Una delle indagini più significative, per la mole di dati utilizzati, sull’accuratezza delle stime di perdita di suolo fornite dalla USLE è probabilmente quella di Risse et al. (1993) i quali hanno utilizzato le misure corrispondenti a più di 1700 anni di osservazioni parcellari effettuate in 22 località americane.

Figura 2. Confronto tra la perdita di suolo media annua stimata con la USLE e

la corrispondente perdita di suolo misurata (Risse et al., 1993) Sia alla scansione temporale di originaria deduzione del modello (media annua,

Fig.2) che a quella annua, la USLE ha sovrastimato la perdita di suolo per bassi valori dell’erosione misurata mentre ha sottostimato la suddetta grandezza nel campo dei valori più elevati di perdita di suolo. Conformemente alle attese, data la natura del modello, l’applicazione alla scansione temporale media annua ha fornito risultati più soddisfacenti di quelli ottenuti su base annuale. In generale, lo scostamento percentuale tra i valori stimati e quelli misurati si è ridotto all’aumentare della perdita di suolo misurata, evidenziando una maggiore accuratezza delle previsioni nel campo dei valori più elevati di perdita di suolo. I fattori topografici e quello colturale sono risultati critici per la deduzione di valori ragionevolmente accurati della perdita di suolo. In altri

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termini, la formulazione di stime soddisfacenti ha richiesto la disponibilità di valori di L, S e C dedotti specificatamente per il sito considerato. Le incertezze nei fattori R, K e P hanno esercitato invece un’influenza comparativamente modesta sulla qualità delle previsioni.

Su questa base la replica di una parcella costituisce il miglior modello da confrontare con la misura effettuata nella parcella stessa ma in ogni caso, il migliore standard nel confronto misura-stima corrisponde ad un varianza spiegata pari al 77%.

3 L’EQUAZIONE PER IL CALCOLO DELLA PERDITA DI SUOLO (USLE) È UN MODELLO EMPIRICO ?

Le osservazioni formulate dallo stesso Wischmeier (1976) inducono ad alcune considerazioni preliminari sull’applicabilità del modello e sulla qualità attesa dei risultati. In primo luogo, la USLE deve essere ovviamente applicata in situazioni riconducibili a quelle di originaria deduzione. Deve essere, cioè, utilizzata per la stima dell’erosione di superfici su cui avvengono processi di distacco e di trasporto, ma non di deposito, di particelle di suolo (Wischmeier, 1976). L’applicazione del modello deve essere preferibilmente finalizzata alla stima della perdita di suolo media annua in quanto la qualità delle previsioni tende in generale a peggiorare al diminuire della scala temporale considerata. I migliori risultati sono attesi su suoli di medio impasto e su pendici lunghe non più di circa 100 m e inclinate del 3-18%, dato che la maggior parte dei dati usati per la deduzione del modello sono stati ricavati nelle suddette condizioni pedo – morfologiche (Risse et al., 1993).

La scelta dei valori da assegnare ai fattori topografici e a quello colturale costituisce un aspetto critico dell’intera procedura di stima della perdita di suolo. Infine, la qualità attesa delle stime è bassa nelle aree a basso potenziale erosivo e cresce all’aumentare della rilevanza del fenomeno. Quest’ultimo aspetto appare complessivamente incoraggiante ai fini applicativi, dato che l’esigenza di stime accurate è particolarmente marcata nelle aree ad elevato rischio erosivo.

A queste considerazioni si aggiunge la circostanza che la USLE costituisce ancora, nel confronto con i modelli process oriented, il miglior compromesso tra la complessità delle informazioni in ingresso necessarie per la sua applicazione e la qualità delle stime di perdita di suolo ottenibili (Risse et al., 1993).

La principale critica mossa alle applicazioni della USLE è il carattere empirico del modello che ne restringerebbe, pur nella diversità e nella eterogeneità del territorio americano di originaria deduzione, la presunta universalità. La struttura matematica della USLE fu dedotta, come è noto, da Wischmeier, Smith e collaboratori, effettuando una analisi su 10000 parcella-anni di dati di perdita di suolo (Bagarello & Ferro, 2006). Per la determinazione dei fattori della USLE, Wischmeier fece ricorso al concetto di parcella di riferimento, definita come una parcella lunga 72.6 piedi (22.1 m), inclinata del 9%, mantenuta stabilmente priva di vegetazione e lavorata continuamente secondo le linee di massima pendenza (Fig.3).

La parcella di riferimento (lunga 22 m e larga 2 m) venne utilizzata per stabilire una condizione di base rispetto alla quale furono valutati gli indici topografici, colturale e di pratiche antierosive. L’introduzione del concetto di parcella di riferimento agevolò il confronto tra le misure ottenute su parcelle di lunghezza e pendenza differenti e, quindi, la determinazione dei fattori del modello.

Nuovi e antichi paradigmi nello studio dei processi erosivi

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Figura 3. Parcella di riferimento di Wischmeier nell’area sperimentale di Sparacia Consideriamo una parcella sperimentale avente una lunghezza libera della pendice

pari a λ (m) e una pendenza s, sulla quale insiste una vegetazione che lascia una frazione c di superficie di suolo nudo e sia p l’aliquota di superficie della parcella priva di opere di protezione o di sistemi di pratica antierosiva. La parcella è sottoposta ad un evento di nota energia cinetica specifica, cioè per unità di superficie della parcella, E [J m-2] e di intensità massima della precipitazione con durata pari a 30 minuti I30 [m s-1]. Il suolo presente sulla parcella sia caratterizzato da un fattore di erodibilità, definito come la perdita di suolo, espressa in kg m-2, per unità di agente erosivo E I30 [J m-1 s-1], K [s3 m-3]. Le dimensioni del fattore K, essendo l’erodibilità una grandezza fisica derivata, si ottengono pertanto dal rapporto tra la perdita di suolo A [kg m-2] che si realizza in una assegnata condizione di riferimento, da definire, in corrispondenza di un evento erosivo caratterizzato da una aggressività E I30 [J m-1 s-1].

La condizione di riferimento sia caratterizzata da valori noti della lunghezza libera λ, della pendenza s e delle aliquote c e p che denoteremo, rispettivamente λo, so, co e po.

La perdita di suolo A [kg m-2] conseguente ad un generico evento caratterizzato da una aggressività E I30 è esprimibile con la seguente relazione funzionale:

( ) 0,,,,,,,,,,,, 30 =ooooD ppccssKAmIEF λλ (1)

in cui F é un simbolo funzionale e mD [kg m-2 s-1] è la profondità di massa (mass depth). Nella relazione funzionale (1) è stata introdotta, oltre le variabili tipiche dell’impostazione USLE, la profondità di massa al fine di impiegare tutte le variabili strettamente essenziali per ottenere una equazione dimensionalmente corretta. La profondità di massa è il prodotto della densità delle particelle di suolo [kg m-3] per lo spessore di suolo [m] e rappresenta lo spessore di nuovo suolo generato in un dato periodo di tempo [s].

Poiché la relazione funzionale (1) rappresenta un fenomeno fisico che non dipende dalle unità di misura utilizzate per le tredici grandezze che in essa figurano, lo stesso legame può essere espresso facendo ricorso al Π-Teorema, o teorema di Riabucinski-Buckingham, dell’analisi dimensionale (Barenblatt, 1979; 1987) che stabilisce: Se un processo fisico è rappresentato matematicamente da un legame funzionale in cui figurano n grandezze dimensionali, scelte tra esse k grandezze dimensionalmente indipendenti, lo stesso processo può essere rappresentato da un legame funzionale in cui compaiono n-k raggruppamenti adimensionali (Ferro, 2006).

Scelte come grandezze di riferimento E [kg s-2], I30 [m s-1] e mD [kg m-2 s-1], il

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legame funzionale (1) può essere riscritto facendo ricorso a dieci raggruppamenti adimensionali:

( ) 0,,,,,,,,, 10987654321 =ΠΠΠΠΠΠΠΠΠΠφ (2)

in cui si é indicato con φ un simbolo funzionale. In particolare, il raggruppamento Π1 è individuato dalla seguente relazione:

AmIE Dγβα

301 =Π (3)

in cui α, β e γ sono costanti numeriche. Sostituendo nell’eq. (3) le unità di misura di ciascuna variabile si perviene alla seguente relazione:

2221

−−−−−=Π LMTLMTLTM γγγββαα (4)

avendo indicato con M l’unità di misura della massa, con T l’unità di misura del tempo e con L quella della lunghezza.

Poiché il raggruppamento Π1 è adimensionale, i valori numerici delle costanti α, β e γ sono deducibili risolvendo il seguente sistema di tre equazioni che deriva dalla (4):

10 ++= γα (5a)

γβα −−−= 20 (5b)

220 −−= γβ (5c)

La terna α = -1, β = 2 e γ = 0, soluzione del sistema di equazioni (5), permette di stabilire che il raggruppamento Π1 ha la seguente espressione:

EIA 230

1 =Π (6)

In maniera analoga il raggruppamento Π2 è individuato dalla seguente relazione:

KI 3302 =Π (7)

e pertanto può essere utilizzato il seguente raggruppamento:

KIE

AKIE

IA

303

30

230

2

1 1 =⋅=ΠΠ (8)

Ripetendo, in maniera analoga, la procedura per le rimanenti otto variabili, la (2) può essere riscritta nella seguente forma:

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛=

oooo pp

cc

ss

KIEA ,,,,30 λ

λφ (9)

La determinazione dell’esatta forma funzionale della (9) deriva dall’applicazione della teoria della autosimilitudine incompleta (Barenblatt, 1979; 1987).

Un fenomeno fisico è definito autosimile in un dato raggruppamento adimensionale

Nuovi e antichi paradigmi nello studio dei processi erosivi

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Πn quando la relazione funzionale che lo rappresenta ( )nΠΠΠ=Π ,,........., 321 φ è indipendente da Πn. Le soluzioni auto-simili di un problema devono essere ricercate in corrispondenza delle condizioni al contorno; in altri termini il comportamento della funzione φ deve essere studiato per 0→Πn o per ∞→Πn .

Quando la funzione φ ha un limite uguale a zero o ad infinito, il fenomeno fisico è espresso dalla seguente relazione funzionale:

( )13211 ,,........., −ΠΠΠΠ=Π nnφε (10)

in cui si è indicato con ε una costante numerica. La condizione rappresentata dal legame funzionale (10) è denominata auto-similitudine incompleta nel raggruppamento Πn. Poiché quando 0→λ anche 0→A , quando 0→s anche 0→A , quando

0→c anche 0→A e quando 0→p anche 0→A , allora si realizza una condizione di auto-similitudine incompleta e il legame funzionale (9) assume la seguente forma matematica:

q

o

r

o

n

o

m

o pp

cc

ssa

KIEA

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛=

λλ

30

(11)

in cui a, m, n, r e q sono costanti. In altri termini, la condizione di autosimilitudine incompleta si verifica perché la perdita di suolo è nulla quando la lunghezza o la pendenza della pendice sono nulli, il suolo è completamente coperto da vegetazione (frazione di suolo nudo nulla) o quando le pratiche di conservazione del suolo sono abbastanza efficaci da prevenire qualunque forma di erosione superficiale.

Se si assume come condizione di riferimento quella suggerita da Wischmeier & Smith (1978) cioè so = 9%, λο = 22.1 m, co = 1 (suolo nudo) e po = 1 (nessuna pratica di conservazione del suolo), la (11) diventa:

qr

nm

pcsaKIEA ⎟⎠⎞⎜

⎝⎛⎟

⎠⎞⎜

⎝⎛=

91.2230

λ (12)

Ai valori del fattore topografico “pendenza della pendice” ottenuti utilizzando l’espressione proposta da Wischmeier & Smith (1965) è stata adatta la seguente relazione potenziale:

6.15777.1

990099.1 ⎟

⎠⎞⎜

⎝⎛≅⎟

⎠⎞⎜

⎝⎛= ssS (13)

Poiché il rapporto ( )m1.22/λ è il fattore lunghezza della pendice L della USLE e

tenuto conto che dalla eq. (13) si deduce a =1 e ( ) 6.19/sS = , l’eq.(12) può essere riscritta nella seguente forma:

qr pcSLKIEA 30= (14)

Utilizzando l’ipotesi che il trasporto di sedimenti sia limitato dal valore assunto dalla capacità di trasporto della corrente (transport limiting case) ed applicando tre differenti modelli (WEPP, Hairsine-Rose theory, catchment evolution erosion theory), Moore &

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Wilson (1992) hanno dedotto teoricamente, per un plot a pianta rettangolare, la seguente espressione del fattore topografico LS:

nmnm sLS ⎟⎠⎞⎜

⎝⎛⎟

⎠⎞⎜

⎝⎛≅⎟

⎠⎞⎜

⎝⎛⎟

⎠⎞⎜

⎝⎛=

913.220896.0sin

13.22λβλ (15)

in cui β (°) è l’angolo che la pendice forma con l’orizzontale. Pertanto, sia l’equazione (13) di origine empirica sia la (15) dedotta per via teorica suggeriscono che il fattore pendenza della pendice S può essere calcolato mediante una funzione potenziale della pendenza s. Ponendo nell’eq. (14)

rcC = (16)

qpP = (17)

si ottiene la struttura originale della USLE.

C = 0.0033 BS1.1937

R2 = 0.947

C = 0.00001 BS2.3333

R2 = 0.9464

0.01

0.1

1

10 100

Bare soil BS [% ]

Gro

und

cove

r fac

tor,

C

Interrill erosionRill erosion

Figura 4. Fattore di attenuazione della perdita di suolo imputabile

alla copertura vegetale (Toy et al., 2002) La Fig.4, anche se con riferimento al solo effetto di copertura al suolo (ground

cover), mostra che il fattore di attenuazione della perdita di suolo imputabile alla copertura vegetale può essere espresso, sia nel caso di erosione interrill che di tipo rill, come una funzione potenziale della aliquota di suolo nudo e conferma, pertanto, l’applicabilità di una relazione del tipo (16) per esprimere il fattore C.

La condizione C = 0, a cui corrisponde assenza di perdita di suolo, si verifica quando c = 0 cioè per un suolo completamente coperto da vegetazione mentre alla condizione C = 1 compete la massima perdita di suolo che si realizza quando c = co = 1 (suolo nudo).

Queste condizioni estreme sono consistenti con la definizione di fattore colturale proposta da Wischmeier & Smith (1978).

Un ragionamento simile è applicabile al fattore di pratica antierosiva. In conclusione, la struttura moltiplicativa della USLE può essere ottenuta

utilizzando l’analisi dimensionale e la teoria dell’autosimilitudine unitamente alle variabili rappresentative del fenomeno e la condizione di riferimento adottata da Wischmeier e Smith. In altri termini, la USLE ha una struttura matematica logica in relazione alle variabili utilizzate per simulare il processo fisico dell’erosione idrica e

Nuovi e antichi paradigmi nello studio dei processi erosivi

11

alla condizione di riferimento prescelta.

4 SI PUÒ CONDURRE UNA AFFIDABILE ANALISI PROBABILISTICA DEGLI EVENTI EROSIVI ?

La progettazione degli interventi di contenimento dei processi erosivi è generalmente basata sulla stima della perdita di suolo media annua, anche perché la maggior parte dei modelli di previsione dei fenomeni erosivi non sono stati messi a punto per consentire delle stime alla scala temporale del singolo evento (Baffaut et al., 1998). Questa circostanza, però, si scontra con l’occorrenza che la maggior parte della perdita di suolo relativa ad un lungo periodo di tempo è dovuta, di fatto, a pochi eventi di rilevante entità.

Edward & Owens (1991), esaminando le misure condotte per un periodo di 28 anni in nove bacini montani, sono giunti alla conclusione che i tre eventi più rilevanti verificatisi nel periodo di misura rappresentavano oltre il 50% della produzione di sedimenti complessivamente misurata. Inoltre la notevole variabilità della produzione di sedimenti a scala annua ha come conseguenza che una progettazione di interventi o strategie di conservazione del suolo fondate su condizioni medie, anche se si dovessero rivelare adeguate al controllo del fenomeno erosivo nella maggior parte degli anni di un periodo pluriennale, risulterebbero inaccettabili per gli eventi più rilevanti che sono però quelli responsabili della maggiore produzione di sedimenti e che, come già detto, contribuiscono nella misura più rilevante al valore totale a scala annua.

Queste considerazioni impongono il ricorso nella progettazione al valore della perdita di suolo di assegnata frequenza probabile o tempo di ritorno T.

Secondo Larson et al. (1997) gli interventi di conservazione del suolo dovrebbero essere progettati per limitare il valore della perdita di suolo alla tolleranza che sarebbe il valore corrispondente ad un tempo di ritorno variabile tra 10 e 20 anni.

Nonostante il ricorso all’analisi di frequenza sia uno strumento consolidato dell’idrologia dei deflussi, specie in regime di piena, il suo uso negli studi di erosione, probabilmente per la non frequente disponibilità di serie storiche di lunga durata, è molto limitato (Istok & Bersma, 1986; Edwards & Owens, 1991; Hession et al., 1996; Larson et al.,1997; Baffaut et al., 1998; Mannaerts & Gabriels, 2000; Bagarello et al., 2010).

Bagarello et al. (2010a, b) hanno sviluppato una analisi di frequenza della perdita di suolo, facendo ricorso a misure, condotte dal 1999 al 2008 nell’area sperimentale di Sparacia, su parcelle di differente lunghezza λ (0.25, 0.40, 11, 22, 33 e 44 m) e della produzione di sedimenti, misurata nello stesso periodo, su due bacini sperimentali estesi, rispettivamente, 3.67 e 30 ha.

Per utilizzare simultaneamente, come è consueto nelle analisi idrologiche di tipo “regionale”, tutte le misure disponibili relative a parcelle di differente lunghezza, ciascun valore di perdita di suolo SLe è stato normalizzato utilizzando la perdita di suolo media µ(SLe) misurata ad una data scala spaziale e temporale (i.e. il valore medio delle perdite di suolo misurate in un dato evento in tutte le parcelle aventi la stessa lunghezza λ). L’analisi di frequenza è stata sviluppata facendo ricorso alla variabile x = SLe /µ(SLe) nell’ipotesi, pertanto, che tutte le distribuzioni di frequenza empirica F(x) corrispondenti a perdite di suolo misurate su parcelle aventi la stessa lunghezza λ sono estratte dalla stessa popolazione P(x).

V. Ferro

12

La Fig.5 mostra per le due microparcelle che le due distribuzioni di frequenza F(x) sono perfettamente sovrapposte, testimoniando che le distribuzioni empiriche F(x) sono estratte dalla stessa popolazione P(x).

0.0

0.2

0.4

0.6

0.8

1.0

0.0 2.0 4.0 6.0 8.0x

F

l = 0.25 m

l = 0.4 m

λ

λ

0.0

0.2

0.4

0.6

0.8

1.0

0.0 1.0 2.0 3.0 4.0

x

F

l = 11 m

l = 22 m

l = 33 m

l = 44 m

λ

λ

λ

λ

Figura 5. Distribuzione di frequenza della variabile x = SLe /µ(SLe) per le microparcelle e per le

parcelle di differente lunghezza λ Questo risultato, confermato anche per le parcelle di differente lunghezza, ha

consentito di esaminare due distribuzioni di frequenza della variabile x per ciascuna delle due scale (microparcelle, parcelle) mettendo insieme 1064 dati per le micro parcelle e 339 per le parcelle. Il confronto tra le distribuzioni di frequenza relative alle due scale spaziali (microparcelle, parcelle), ha dimostra che la distribuzione di probabilità della variabile x = SLe / µ(SLe) è indipendente dalla scala spaziale λ e da quella temporale che sono rappresentate dal valore medio µ(SLe).

Una ulteriore analisi ha riguardato l’estrazione dalle 1403 misure complessivamente disponibili dei 334 valori massimi annuali. La Fig.6, il cui risultato è anche confermato dal test Kolgomorov-Smirnov, suggerisce che i parametri della distribuzione di probabilità dei valori massimi annuali della perdita di suolo possono essere stimati facendo ricorso a tutto il data base disponibile.

0.0

0.2

0.4

0.6

0.8

1.0

0.0 2.0 4.0 6.0 8.0x

F

tutte le misure

massimi annuali

-4

0

4

8

12

0 2 4 6 8

x

y

y = a1(x1-u1)

y = a2(x-u2)

y = α1 (x − u1)

y = α2 (x − u2)

Figura 6. Confronto tra le distribuzioni F(x) relative al data base complessivo e ai massimi

annuali e rappresentazione della F(x) nel cartogramma probabilistico di Gumbel La rappresentazione dei 1403 valori misurati di perdita di suolo nel cartogramma

probabilistico di Gumbel (Fig.6) mostra chiaramente la forma “a doppia componente” discriminato da un valore di x pari a 2 che corrisponde alla variabile standardizzata y di Gumbel pari a 3.2 e quindi ad un valore del tempo di ritorno T pari a 25 anni.

La stima della perdita di suolo di assegnato tempo di ritorno SLe,T si conduce, pertanto, con la seguente relazione:

Nuovi e antichi paradigmi nello studio dei processi erosivi

13

( ) ( )ei

ieTTe SLTTuSLxSL µ

αµ ⎥

⎤⎢⎣

⎡⎟⎠⎞⎜

⎝⎛

−−==

1lnln1

, (18)

cioè amplificando la media µ(SLe) con un fattore di frequenza xT caratterizzato da parametri u1 e α1 per T < 25 anni (componente ordinaria) e da parametri u2 e α2 per T > 25 anni (componente straordinaria). L’applicazione della (18) ad una fissata scala spaziale, cioè per nota lunghezza λ della pendice, necessita o la disponibilità di misure di perdita di suolo alla fissata scala spaziale o un criterio di stima indiretta della media µ(SLe).

Anche a scala di bacino è stata utilizzata la variabile ridotta x = Ye/µ(Ye) essendo Ye la produzione di sedimenti di un dato evento e µ(Ye) il valore medio della serie storica. Le distribuzioni di frequenza F(x) dei due bacini esaminati sono risultate sovrapposte e, pertanto, anche in questo caso la scala del processo è ben rappresentata dal valore medio µ(Ye). Utilizzando simultaneamente tutte le misure disponibili di produzione di sedimenti (71 dati) è stata ottenuta la distribuzione di frequenza empirica che risulta ben riprodotta da una legge lognormale a due parametri.

Una analisi successiva a scala di parcella (Bagarello et al., 2011), utilizzando le misure relative a plot di lunghezza 11, 22, 33 e 44 m localizzati nell’area di Sparacia, ha permesso di riconoscere che, alla scala temporale del singolo evento, la distribuzione di frequenza della perdita di suolo può essere dedotta a partire da quella dell’indice di aggressività delle piogge. Il valore della perdita di suolo di assegnato tempo di ritorno µ(SLe,T) (valore medio per un dato evento e ad una fissata scala spaziale λ) può essere calcolato con la seguente relazione:

( ) ( )( ) ( ) ( )( )ee

TeeTTe SLM

RMR

SLMxSL µµµ ,, == (19)

in cui xT è il fattore di frequenza, dato dal rapporto tra il fattore climatico a scala di evento di assegnato T e il suo valore medio M(Re), e M(µ(SLe,T)) è il valore medio della perdita di suolo. In altri termini, il valore della perdita di suolo di assegnato tempo di ritorno si ottiene amplificando il valore medio M(µ(SLe,T)) mediante un fattore di frequenza stimato sulla base della distribuzione di frequenza dell’indice di aggressività delle piogge. L’applicazione della (19) a scala annua conduce alla seguente equazione:

( ) ( )( ) ( )( )aTa

aTTa SLMRR

SLMxSL µµµ ,, == (20)

in cui M(µ(SLa)) è il valore medio annuo della perdita di suolo, Ra,T è il valore annuo del fattore climatico di assegnato tempo di ritorno ed R è il valore medio annuo del fattore climatico utilizzato nella USLE.

Utilizzando la USLE per la stima del valore medio annuo della perdita di suolo, dalla (20) si perviene alla seguente equazione:

( ) ( )( ) SLKRxSLKRSLMRR

SL TTaaTa

Ta === ,,

, µµ (21)

In Sicilia, i valori annui dell’indici di aggressività delle piogge risultano distribuiti secondo la legge di Weibull e pertanto il fattore di frequenza ha la seguente espressione:

V. Ferro

14

( )RTxT

εβ /1ln= (22)

in cui β ed ε sono i due parametri della legge di Weibull che dipendono dalla media R e dallo scarto quadratico medio σ(Ra) del valore annuo dell’indice di aggressività delle piogge. Tenendo conto che in Sicilia il valore medio annuo dell’indice di aggressività delle piogge R varia da 502 a 2670 MJ mm ha-1 h-1 anno-1, la Fig.7 mostra la relazione tra il fattore di frequenza xT e T.

1

1.52

2.53

3.5

44.5

55.5

6

0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100

T [years]

xT

R = 502R = 2670

Figura 7. Relazione tra il fattore di frequenza xT e il tempo di ritorno T

In dipendenza del valore medio R, caratteristico del sito di interesse, la Fig.7

evidenzia notevoli differenze nel fattore di frequenza. In particolare al valore minimo siciliano R = 502 MJ mm ha-1 h-1 anno-1 corrispondono valori di xT sempre minori di 2 mentre per il valore massimo di R i valori del fattore di frequenza sono generalmente maggiori di 2. La Fig.7 evidenzia, infine, che al crescere del valore di R aumenta la variabilità del fattore di frequenza con il tempo di ritorno dato che anche i parametri β e ε dipendono dalla media R.

5 LA PERDITA DI SUOLO AUMENTA AL CRESCERE DELLA LUNGHEZZA DELLA PENDICE ?

Uno degli obiettivi della PAC, all’interno del principio di condizionalità, è finalizzato a stabilire la Norma 1.1 <<Interventi di regimazione temporanea delle acque superficiali di terreni in pendio>> e trova applicazione nei terreni declivi che manifestano fenomeni erosivi canalizzati (rill erosion) in assenza di interventi di sistemazione. Poiché i fenomeni erosivi sono particolarmente diffusi su terreni pendenti utilizzati con colture annuali, l’ambito specifico di applicazione è quello delle superfici a seminativo. La norma nazionale, che recepisce quella comunitaria, prevede che l’agricoltore, sulla base della sua esperienza e della conoscenza della morfologia della sua superficie aziendale, dovrà realizzare dei solchi acquai temporanei. Si tratta di piccoli canali in terra che devono seguire un andamento trasversale rispetto alla linea di massima pendenza del versante e quindi devono distaccarsi dall’andamento delle curve di livello (fosse livellari) solo per assegnare al canale in terra un valore di pendenza tale da favorire il moto della corrente all’interno del solco stesso.

Come è noto, un possibile impiego della USLE passa attraverso la definizione del concetto di tolleranza della perdita di suolo, cioè del massimo valore della perdita A [t ha-1 anno-1] compatibile con la conservazione delle attività insediate nel territorio o, in

Nuovi e antichi paradigmi nello studio dei processi erosivi

15

altre parole, la perdita di suolo agrario che riconduce l’erosione entro i limiti dei valori ritenuti normali. Se si indica con TA [t ha-1 anno-1] questo valore, dalla USLE si ricava la seguente espressione:

PCLSKR

TA = (23)

in cui sono stati enucleati a secondo membro i fattori sui quali si può agire per ottenere un prefissato valore della tolleranza TA. In altri termini, il rispetto della tolleranza può essere ottenuto mediante una riduzione della lunghezza libera della pendice (fattore L), con una modifica dell’ordinamento colturale (fattore C) o, infine, mediante l’adozione di una pratica antierosiva (fattore P).

Per stabilire la tolleranza di perdita di suolo, può essere utilizzato un criterio on-site o uno del tipo off-site (Poesen, 1999). Nel primo caso, la tolleranza è stabilita utilizzando criteri legati alla superficie erosa, quali ad esempio il mantenimento dell’attitudine alla produzione colturale. Nel secondo caso, la limitazione è stabilita con riferimento al recapito ultimo dei sedimenti (infrastrutture, corsi d’acqua, laghi, ecc.). Il criterio ha l’obiettivo, pertanto, di controllare i fenomeni di deposito dei sedimenti in aree di particolare interesse, di garantire la risorsa idrica superficiale sia dal punto di vista quantitativo (interrimento degli invasi) che sotto l’aspetto qualitativo (trattamento delle acque e rimozione dei nutrienti), di limitare gli oneri aggiuntivi legati alla rimozione dei sedimenti (Poesen, 1999).

Generalmente, i valori di TA vengono assunti compresi tra 0 e 10-13 t ha-1 anno-1 e pertanto il valore massimo corrisponde, in relazione al valore prescelto per la densità apparente del suolo, a una ablazione media annua di uno strato spesso circa 1 mm. In ambiente mediterraneo, la tolleranza può essere ridotta, rispetto al valore massimo consigliato, per tenere conto che i suoli sono spesso poco profondi e che i processi di pedogenesi sono relativamente lenti (Poesen, 1999; Bagarello & Ferro, 2006).

In Tabella 1 è riportata, con riferimento al criterio on-site, la suddivisione in classi qualitative di erosione (da trascurabile a severa) in corrispondenza dei valori assunti dalla perdita di suolo media annua (Bagarello & Ferro, 2006).

Tabella 1. Classe di erosione massima adottate da Ferro et al. (2008)

Classe di Erosione massima

Perdita di suolo [t ha-1 anno-1]

Necessità di Intervento

Trascurabile < 3 No Trascurabile 3 - 30 No Moderata 30 - 70 Si Moderata 70 - 140 Si Severa > 140 Si

La USLE può essere riscritta nella seguente forma:

PC

TSLKR A= (24)

Nel caso di seminativo si può adottare un valore medio annuo del fattore colturale C

V. Ferro

16

pari a 0.35 (Bagarello & Ferro, 2006) e quindi, in assenza di pratiche antierosive (P = 1) il rispetto di un valore di tolleranza pari a 10 t ha-1 anno-1 conduce, in base alla (24), ad un valore discriminante dell’erosione massima pari a 28.6 t ha-1 anno-1. Pertanto le prime due classi della Tabella 1 sono rappresentative di situazioni tollerabili e non necessitano alcun intervento.

Figura 8. Distribuzione dell’erosione massima RKLS

La Fig.8 riporta per il territorio siciliano la distribuzione spaziale dell’erosione

massima rappresentata utilizzando le tre classi di erosione massima (trascurabile, moderata, severa) di Tabella 1. Infine, a partire dalla distribuzione spaziale di Fig.8, sono state enucleati i valori di erosione massima relativi alle superfici dell’isola, dedotte dalla Carta dell’uso del suolo Corine Land – Cover, interessate da seminativo. La Fig.9 individua le aree del territorio siciliano coltivate a seminativo dove si hanno valori dell’erosione massima superiori al valore tollerabile e sulle quali è quindi necessario effettuare, nel rispetto della condizionalità, gli interventi mitigatori del processo.

Figura 9. Distribuzione dell’erosione massima RKLS nelle aree a seminativo L’applicazione della norma comunitaria si fonda sul presupposto che, in accordo con

la USLE, la protezione del suolo da fenomeni erosivi si può conseguire riducendo la lunghezza libera λ della pendice dato che la perdita di suolo A aumenta con λ.

Sia la USLE che la RUSLE stabiliscono che la perdita di suolo media annua per

Nuovi e antichi paradigmi nello studio dei processi erosivi

17

unità di area, A (t ha-1 anno-1), aumenta linearmente con il fattore topografico L:

m

L ⎟⎠⎞⎜

⎝⎛=

1.22λ (25)

in cui m è un esponente che, nella RUSLE, è legato al rapporto, β, tra l’erosione rill e quella interrill:

β

β+

=1

m (26)

( ) 56.0sin0.30896.0/sin8.0 +

θβ (27)

in cui θ (°) è l’angolo formato dalla pendice con un piano orizzontale. Tuttavia, la relazione tra A e λ determinata sperimentalmente mostra in genere una

accentuata variabilità. In particolare, Laflen & Moldenhauer (2003) hanno segnalato che l’esponente m della USLE ha assunto valori diversi di anno in anno, risultando talora anche negativo (perdita di suolo per unità di area che diminuisce all’aumentare di λ) e che i valori medi annui di m ottenuti in differenti località sono risultati compresi tra 0 (perdita di suolo per unità di area che non varia con λ) e 0.9. Secondo Loch (1996), la dipendenza dell’erosione dalla lunghezza parcellare è legata alla modalità attuativa della componente rill dato che l’erosione interrill non varia con λ. In particolare, la lunghezza della pendice influenza significativamente l’erosione solo quando la suscettibilità del suolo alla formazione dei solchi è elevata e la concentrazione dei sedimenti aumenta con la portata. Rejman et al. (1999) hanno determinato l’effetto della lunghezza parcellare (5 < λ < 20 m) sull’erosione complessiva misurata per quattro mesi in un suolo limoso, inclinato del 12%. La perdita di suolo per unità di superficie si è ridotta all’aumentare di λ in quanto, secondo gli autori, il sedimento intercettato all’estremità di valle della parcella proveniva soltanto dalla porzione della superficie campionata più prossima all’elemento di intercettazione e non dall’intera parcella. Altri risultati sperimentali che suggeriscono l’esistenza di una relazione inversa tra la perdita di suolo per unità di superficie e la lunghezza parcellare, almeno per una parte del range di lunghezze complessivamente campionate, sono stati ottenuti in parcelle coltivate o con altre forme di copertura (Lal, 1998; Parsons et al., 2006).

In una recente indagine condotta nell’area sperimentale di Sparacia (Bagarello et al., 2010c), in Sicilia, la perdita di suolo per unità di superficie misurata alla scala del singolo evento erosivo, Ae, non è risultata statisticamente dipendente da λ o si è ridotta all’aumentare della lunghezza parcellare. La perdita di suolo è risultata una funzione monotona crescente di λ quando l’erosione rill era il processo dominante.

Recentemente, Bagarello et al. (2010d) hanno riconosciuto, per l’area di Sparacia, che, per parcelle prive di vegetazione di differente lunghezza λ (11, 22, 33 e 44 m), la perdita di suolo alla scansione temporale del singolo evento erosivo, Ae (t ha-1), può essere stimata con la relazione:

( ) LSEIQA Re47.1

30031.0= (28)

V. Ferro

18

in cui QR (-) è il coefficiente dei deflusso dell’evento, EI30 (MJ mm ha-1 h-1) è l’indice di erosività della pioggia (Wischmeier & Smith, 1978), L è valutato con le eqq.(25), (26) e (27) e S è il fattore pendenza della pendice, dedotto con la seguente relazione (Nearing, 1997):

( )βsin1.63.2exp1175.1−+

+−=S (29)

La (28) è stata ricavata usando le misure effettuate su parcelle di lunghezza, λ, compresa tra 11 e 44 m. In accordo allo schema USLE, al coefficiente 0.031 è stato attribuito il significato di fattore di erodibilità del suolo, che rappresenta in questo caso una proprietà apparentemente intrinseca del mezzo poroso, essendo indipendente sia da λ sia dall’evento erosivo. L’eq.(28) è stata denominata USLE-MM (Bagarello et al., 2008, 2010d), dato che rappresenta una versione modificata della USLE-M di Kinnell & Risse (1998). Una possibile limitazione della USLE-MM è l’eventuale inadeguatezza delle eqq.(25), (26), (27) e (29) a riprodurre, rispettivamente, l’effetto della lunghezza e della pendenza parcellare sulla perdita di suolo.

Bagarello et al. (2010e), con l’intento di dedurre un’espressione del fattore L utilizzabile con la USLE-MM, hanno utilizzato i dati acquisiti nelle parcelle di 22x8 e 22x2 m2 (N = 162 eventi), inclinate del 14.9%, nonché l’eq.(28), scritta nella seguente forma più generale:

( ) LSKEIQA MMb

Re1

30= (30)

in cui b1 è un coefficiente empirico, (QREI30)b1 è l’indice di erosività e KMM (t ha-1 per unità dell’indice di erosività) è il fattore di erodibilità del suolo. La scelta delle parcelle di 22 m come condizione di riferimento è stata effettuata al fine di porre L = 1. La decisione di considerare congiuntamente le misure effettuate nelle parcelle di larghezza pari a 2 e a 8 m trova fondamento nello schema matematico del modello empirico. Infatti, la USLE originaria, la RUSLE, la USLE-M e la USLE-MM stabiliscono che la perdita di suolo per unità di superficie varia con la lunghezza della parcella ma non con la sua larghezza. Una recente indagine condotta in Sicilia e in Umbria (Bagarello et al., 2010f) ha supportato questa schematizzazione, almeno con riferimento agli eventi a maggiore impatto erosivo.

y = 0.0306x1.4514R² = 0.7985

0.00010.0010.010.11

10100

1000

0.01 0.1 1 10 100 1000

A e/S

QREI30 Figura 10. Relazione tra la perdita di suolo normalizzata, Ae/S (t ha-1), e l’indice QREI30

(MJ mm ha-1 h-1) per le parcelle di lunghezza λ = 22 m

Nuovi e antichi paradigmi nello studio dei processi erosivi

19

Per le parcelle di 22 m, la (30) può allora essere scritta:

( ) MMb

Re KEIQSA 1

30= (31)

Nell’ipotesi che l’eq.(29) (S = 1.86 per la pendice di Sparacia) descriva senza approssimazioni l’effetto della pendenza sulla perdita di suolo parcellare, l’eq.(31) consente di pervenire a una stima di b1 e KMM per la parcella di riferimento. In particolare, l’analisi di regressione lineare delle trasformate logaritmiche di Ae/S e QREI30 ha fornito b1 = 1.4514 e KMM = 0.0306 (Fig.10).

Applicando quindi lo schema USLE, il termine di erosività (QREI30)1.4514 e quello di erodibilità (0.0306) ottenuti sulla parcella di riferimento sono stati ritenuti utilizzabili anche nelle altre tipologie parcellari, attribuendo quindi al solo fattore L il compito di descrivere l’effetto della lunghezza parcellare sulla perdita di suolo misurata. Pertanto, l’eq.(31) può essere riscritta:

( ) 4514.13086.10306.0

EIQLAR

e =×

(32)

In conformità alla metodologia di determinazione del fattore di erodibilità del suolo della USLE discussa da Foster et al. (1981), la stima di L può essere ricavata mediante la relazione:

( )[ ]∑

∑ ⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛×

=1

30b

R

MM

e

EIQSK

A

L (33)

0.0001

0.001

0.01

0.1

1

10

100

1000

0.0001 0.001 0.01 0.1 1 10 100 1000

A e,STIM(t ha‐

1 )

Ae,MIS (t ha‐1)

Figura 11. Confronto tra i valori della perdita di suolo parcellare misurata alla scala dell’evento su parcelle lunghezza compresa tra 11 e 44 m, Ae,MIS, e i corrispondenti valori stimati Ae,STIM I valori del fattore topografico sono risultati pari a 0.6814 (λ = 11 m), 2.0856 (λ =

33 m) e 3.7349 (λ = 44 m) e ai suddetti dati è stata adattata la (25) con un valore di m pari a 1.882. Pertanto, la perdita di suolo per unità di superficie parcellare alla scansione temporale del singolo evento può essere stimata con la seguente relazione:

V. Ferro

20

( ) SEIQA Re

882.14514.1

30 220306.0 ⎟

⎠⎞⎜

⎝⎛= λ (34)

La Figura 11 evidenzia, nel complesso, una soddisfacente corrispondenza tra le misure, Ae,MIS, e le stime corrispondenti, Ae,STIM, dedotte con la (34) e non segnala uno scostamento sistematico di questi ultimi valori.

L’introduzione nel modello di stima della perdita di suolo parcellare di un termine espressivo del deflusso consente di interpretare e prevedere una perdita di suolo per unità di superficie che non aumenta con λ. In particolare, questa circostanza si verifica se il coefficiente di deflusso della parcella, QR, diminuisce al crescere di λ. In effetti, questo risultato è stato già segnalato in letteratura. Ad esempio, Joel et al. (2002) hanno rilevato coefficienti di deflusso che si sono ridotti nel passaggio da una parcella di 0.25 m2 a una di 50 m2. Una relazione inversa tra QR e λ è stata ottenuta da Parsons et al. (2006) su otto parcelle di lunghezza compresa tra 2 e 28 m.

0

0.2

0.4

0.6

0.8

1

0.001 0.01 0.1 1

F

QR

11 m

22 m

33 m

44 my = ‐0.004x + 0.2272

R² = 0.9773

0

0.05

0.1

0.15

0.2

0 10 20 30 40 50

med

ia di Q

R

λ (m)

Figura 12. Distribuzione di frequenza empirica dei valori del coefficiente di deflusso e relazione tra il valore medio dei coefficienti di deflusso misurati e la lunghezza della parcella

La Figura 12, che mostra la distribuzione di frequenza empirica dei valori di QR

corrispondenti alle diverse lunghezze parcellari per l’area di Sparacia e la relazione tra il valore medio di QR e λ, dimostra che, nell’area sperimentale, l’incremento di λ determina una riduzione di QR. Pertanto, l’eq.(34) può essere considerata un avanzamento concettuale rispetto alla USLE originaria, dato che consente l’interpretazione di un fenomeno fisico osservato in campo e non schematizzabile con l’approccio di Wischmeier & Smith (1978). Evidentemente, un’implicazione di questo risultato è l’esigenza di mettere a punto in futuro una semplice metodologia per la valutazione del coefficiente di deflusso parcellare.

6 ESISTE UNA SIMILITUDINE NEI PROCESSI EROSIVI CANALIZZATI ?

Le incertezze insite nell’applicazione di modelli di erosione a base fisica per la simulazione dei processi erosivi canalizzati ha indotto numerosi autori a mettere a punto modelli di calcolo di tipo empirico che consentono la stima dei volumi di suolo eroso attraverso l’applicazione di equazioni semplici in cui figurano grandezze facilmente misurabili (Bagarello & Ferro, 2006). Ad esempio, Nachtergaele et al. (2001) e Capra et al. (2005), relativamente all’erosione da ephemeral gully, ipotizzano che la misura della sola lunghezza possa essere considerata sufficiente per prevederne il volume di

Nuovi e antichi paradigmi nello studio dei processi erosivi

21

suolo asportato secondo una relazione del tipo:

bssLaV = (35)

in cui V è il volume del gully in m3, L la sua lunghezza in m ed as e bs due coefficienti. Sulla base dei dati di letteratura al momento disponibili (Casalì et al., 1999;

Nachtergaele et al., 2001; Capra et al., 2005) la relazione (35) può essere applicata anche agli ephemeral gully con as=0.071 e bs =1.1237 (Fig.13).

0,01

0,1

1

10

100

1000

10000

1 10 100 1000 10000

L [m]

V [m

3 ]

Casalì et al. (1999)Nachtergale et al. (2001)Capra et al. (2005)misure

Figura 13. Confronto tra il complesso di misure (L, V) e la (35)

Il processo erosivo, operato da una precipitazione di intensità i su un suolo che ha

densità ρs e diametro delle particelle d50, che origina un tratto r,s di rill di lunghezza Lr,s, volume Vr,s, larghezza w e profondità massima H, può essere espresso dal seguente legame funzionale:

0),,,,,,( 50,, =idHwLVF ssrsr ρ (36)

Facendo ricorso al Π-teorema o Teorema di Riabucinski-Buckingham (Barenblatt, 1987) lo stesso legame funzionale può essere espresso, scelte come grandezze dimensionalmente indipendenti L, ρs e i, da 4 raggruppamenti adimensionali (Bruno et al., 2007a):

0,,,,

50

,,3,

, =⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

srsrsrsr

sr

Ld

LH

Lw

LV

φ (37)

Nell’ipotesi che il diametro d50, per un dato suolo, possa essere ritenuto costante, il processo erosivo può essere espresso dalla seguente equazione:

⎟⎠⎞⎜

⎝⎛=Π⋅Π=

srsr

sr

LHwFF

LV

,232

,3, )( (38)

in cui F è un simbolo funzionale. La determinazione dell’esatta relazione funzionale della (38) si può ottenere

applicando la teoria dell’autosimilitudine incompleta. Tenendo conto, infatti, che sia quando 0→w che quando 0→H anche 0, →srV , la (38) ha la seguente forma analitica (Barenblatt, 1987):

V. Ferro

22

rn

srr

sr

sr

LwHa

LV

⎟⎠⎞⎜

⎝⎛=

,2

,3, (39)

Sulla base delle misure dirette di rill effettuate sulle parcelle dell’area sperimentale di Sparacia in occasione di 6 eventi erosivi (05.11.04, 16.11.04, 21.12.04, 01.09.05, 13.12.05, 28.06÷02.07.08), l’equazione (39) è stata calibrata pervenendo ai valori delle costanti (ar = 0.4923 e nr = 0.9207). La disponibilità di ulteriori misure dirette di solchi effettuate in occasione di successivi eventi ha permesso di testare la relazione determinata. In particolare, al fine di verificare l’applicabilità della relazione (39), sono state utilizzate le coppie (Vr,s/L3

r,s, wH/L2r,s) relative ai rill misurati in ulteriori tre eventi

meteorici (18.10.08, 18.10.08+28÷30.10.08 e 28.11÷02.12.08 +10÷18.12.08).

0.00001

0.0001

0.001

0.01

0.1

1

10

0.00001 0.0001 0.001 0.01 0.1 1 10

wH/Lr,s2

Vr,s

/Lr,s

3

18.10.0818.10.08+28‐ 30.10.08

28.11‐ 2.12.08+10‐ 18.12.08eq.(5) (a r=0.4923 nr=0.9207)

Figura 14. Confronto tra le coppie di valori (Vr,s/L3

r,s,wH/L2r,s) relative ai rill misurati

successivamente all’evento del 28.06÷02.07.08 e la (39) con ar = 0.4923 e nr = 0.9207.

Il grafico di Fig.14 riporta il confronto tra le coppie di valori misurati negli eventi successivi a quello del 28.06÷02.07.08 in tutte le parcelle dell’area di Sparacia e la relazione (39) con ar = 0.4923 e nr = 0.9207, calibrata sulla base delle misure eseguite nei primi sei eventi monitorati.

0.00001

0.001

0.1

10

1000

100000

10000000

0.1 1 10 100 1000 10000

L (m)

V (m

3 )

rillephemera l gully

gully

Figura 15. Relazione L-V per i rill, gli ephemeral gully e i gully (Di Stefano et al., 2010) Per quanto attiene, invece, la relazione tra il volume totale eroso V e la lunghezza L

Nuovi e antichi paradigmi nello studio dei processi erosivi

23

del canale, in Figura 15 sono riportate le coppie L-V relative ai rill rilevati nelle parcelle sperimentali dell’istallazione di Sparacia (475 dati), alle misure sugli ephemeral gully reperite in letteratura (327 dati) (Capra et al., 2005; Cheng et al., 2006; Zhang et al., 2007; Capra et al., 2009) ed ai rilievi sui gully (44 dati) condotti da Ichim et al. (1990), da Daba et al. (2003) e da Moges & Holden (2008).

Il grafico di Figura 15 dimostra che la relazione V-L di equazione (35) può essere applicata ai rill, agli ephemeral gully e ai gully usando lo stesso esponente bs, pari a 1.1, ed un differente fattore di scala (as = 0.0030 per i rill, 0.0984 per gli ephemeral gully e 35.8 per i gully). In definitiva, la severità del processo erosivo incanalato può essere rappresentata dalla sola lunghezza L del canale.

Un’ultima analisi riguarda la geometria idraulica dei solchi che, secondo diversi studi (Meyer et al., 1975; Foster et al., 1984; Govers, 1992; Abrahams et al., 1996; Ferro, 1999), può essere definita da tre equazioni potenziali che legano, per ciascun tratto di solco, la velocità media u, la larghezza w e il tirante h alla portata Q:

mQku = (40)

bQaw = (41)

eQch = (42)

in cui k, m, a, b, c, e sono delle costanti che rispettano le condizioni ack = 1 e b+e+m=1. In particolare, per quanto riguarda la (40), le misure di Meyer et al. (1975) prima

(m=0.32) e quelle di Govers (1992) poi (k = 3.52 e m = 0.294) hanno stabilito la tendenza dell’esponente m ad assumere valori pari circa a 0.3. Le differenze rilevate nelle indagini di Abrahams et al. (1996) (k = 2.22 m = 0.334) sono, invece, riconducibili ad una diversa concentrazione degli elementi in ghiaia posti sul fondo dei rill (Ferro, 1999). Anche per l’esponente b della (41) gli studi effettuati (Meyer et al., 1975; Gilley et al., 1990; Abrahams et al., 1996) concordano sul valore di 0.3. Assumendo, pertanto, m = b = 0.3 dalla condizione b+e+m = 1 ne deriva e = 0.4.

0.1

1

10

0.0001 0.001 0.01 0.1 1Q (m3/s)

u (m

/s)

misureG overs  (1992)Abrahams et a l. (1996)eq.(6) (k=4.4245 m=0.2668)

Figura 16. Coppie (Q, u) rilevate nei solchi

Utilizzando i valori di pendenza relativi ai tratti in cui è stato suddiviso ciascun

solco e la geometria delle sezioni trasversali rilevate, Di Stefano et al. (2010) hanno calcolato la portata nell’ipotesi di moto uniforme assumendo per il coefficiente di Strickler il valore di 33 m1/3s-1. Nel grafico di Fig.16 si riportano le coppie (Q, u)

V. Ferro

24

relative ai nove eventi monitorati insieme all’eq.(40), con k = 4.4245 e m = 0.2668, che interpola tutti i dati e alle equazioni proposte da Govers (1992) e da Abrahams et al. (1996).

0.01

0.1

1

10

0.0001 0.001 0.01 0.1 1Q (m3/s)

w (m

)

misureAbrahams et a l. (1996)eq.(7) (a=0.8079 b=0.3586)

Figura 17. Coppie (Q, w) rilevate nei solchi

Le misure (Q, w), riportate in Fig.17 insieme all’equazione proposta da Abrahams et

al. (1996) (eq.(41) con a = 4.4728 e b = 0.3), sono state utilizzate per verificare l’applicabilità dell’eq.(41) e determinarne le costanti a e b, risultate pari a a = 0.8079 e b = 0.3586.

0.001

0.01

0.1

1

10

0.0001 0.001 0.01 0.1 1Q (m3/s)

h (m

)

misureeq.(8) (c =0.2809 e=0.3754)

Figura 18. Coppie (Q, h) rilevate nei solchi

Interpolando, infine, tutte le coppie (Q, h), adoperando come tirante h l’altezza hmedia

del rettangolo di base pari a w che ha area equivalente a quella della sezione idrica effettiva, Di Stefano et al. (2010) hanno determinato i valori delle costanti c = 0.2809 ed e = 0.3754 della (42) (Fig.18). Dall’esame delle Figure 17 e 18 è possibile osservare che i rill dell’area di Sparacia sono caratterizzati, a parità di portata e nel confronto con quelli analizzati in letteratura, da sezioni più piccole e velocità più elevate.

7 È POSSIBILE ACCUMULARE L’ENERGIA DELLA PRECIPITAZIONE ?

L’interesse per questa tematica nasce dalla considerazione che energie convenzionali non sono sempre disponibili e che soluzioni alternative basate sul recupero di altre forme di energia disponibili nell’ambiente (environmental energies) sono oggetto di corrente sviluppo tecnologico e scientifico.

Nuovi e antichi paradigmi nello studio dei processi erosivi

25

Il punto di partenza delle possibili applicazioni è la proprietà fisica denominata piezoelettricità: <<…….presentata da alcuni cristalli che, sottoposti ad uno sforzo meccanico, generano al loro interno un polo elettrico positivo e uno negativo.>> Materiali piezoelettrici sono già largamente impiegati per convertire energia meccanica in energia elettrica e sono stati applicati a vari scenari di recupero di energia ambientale: ad esempio materiale piezoelettrico è stato installato sulle pale dei mulini a vento per recuperare l’energia eolica.

Nel caso delle precipitazioni occorre considerare una membrana piezoelettrica sensibili agli impatti sulla sua superficie. Il materiale piezometrico impiegabile, che di recente è stato positivamente testato per il recupero dell’energia delle piogge, è il polimero PVDF (spessore H = 25 µm, coefficiente di sforzo piezoelettrico d31 = 15 pC N-1) avente una lunghezza di 10 cm.

Da una struttura piezoelettrica oscillante in 31 modi, è possibile estrarre energia elettrica Uel:

⎥⎦⎤

⎢⎣⎡= 22

2 avPDVF

el SYkU θ (43)

in cui YPDVF [N m-2] è il modulo di Young del materiale piezoelettrico PDVF, θ [m3] è il volume attivo cioè quello ricoperto da elettrodi, Sav [m3 m-3] è la variazione media di volume a seguito della deformazione dovuta all’impatto delle gocce, k2 è, infine, il coefficiente di accoppiamento del materiale. Poiché la quantità dentro la parentesi quadra della (43) rappresenta l’energia meccanica associata alla deformazione della membrana di materiale piezoelettrico, il coefficiente k2 misura il rapporto tra l’energia elettrica accumulata e quella meccanica applicata. In altri termini, il coefficiente di accoppiamento del materiale rappresenta il “rendimento” dell’operazione di conversione dell’energia meccanica di deformazione in energia elettrica.

Il progetto della struttura piezoelettrica presuppone la determinazione delle dimensioni ottimali (larghezza W e spessore H) necessarie per massimizzare la deformazione del PVDF durante l’impatto della precipitazione.

Le gocce di pioggia impattanti su una superficie possono essere classificate in tre categorie in relazione ai valori che assumono, rispettivamente, il numero di Weber We e quello di Ohnesorge Oh.

Il numero di Weber ha la seguente espressione:

σ

γgVDWe2

= (44)

in cui γ è il peso specifico dell’acqua, pari a 9810 N m-3, D [m] è il diametro della goccia di pioggia,V è la sua velocità di impatto e σ è la tensione superficiale dell’acqua pari a 0.073 N m-1.

Il numero di Ohnesorge ha la seguente espressione:

Re

2/1WeOh = (45)

essendo Re il numero di Reynolds:

V. Ferro

26

νDV=Re (46)

In cui ν è la viscosità cinematica dell’acqua pari a 10-6 m s-2.

Figura 19. Modalità di impatto di una goccia di pioggia su una superficie

La Fig.19 mostra, in relazione ai differenti valori del numero di Ohnesorge e di quello di Weber, le differenti modalità di impatto di una goccia di pioggia su una superficie. In particolare, per valori del numero di Weber inferiori all’unità il moto (spreading-out) è controllato dalle forze di capillarità mentre per valori di We maggiori di 1 e minori di circa 250-300 si presenta la modalità deposition a cui corrisponde la formazione di un film liquido sulla superficie di impatto. Alla presenza di questo strato liquido può corrispondere, in relazione al suo spessore, un’azione di smorzamento dell’energia della goccia impattante. Per valori elevati del diametro delle gocce e della loro velocità di caduta (We > 250-300) si presenta la modalità splash in cui l’impatto da luogo alla formazione di schizzi. Alla modalità splash corrispondono significative perdite di energia imputabili allo scoppio delle gocce (bursting), allo schizzo, alla viscoelasticità, ecc.

100

1000

10000

0,1 0,2 0,3 0,4 0,5 0,6

D [cm]

We

250

10

100

1000

10000

0,1 0,2 0,3 0,4 0,5 0,6

D [cm]

Km

57.7

Figura 20. Relazioni We – D e Km – D per le precipitazioni naturali

Utilizzando, all’interno del campo di variazione dei diametri delle gocce costituenti

le precipitazioni naturali (0.1 – 0.6 cm), la seguente equazione per il calcolo della velocità terminale V [m s-1] delle gocce di diametro D [cm]:

Nuovi e antichi paradigmi nello studio dei processi erosivi

27

( )[ ]DV 6exp15.9 −−= (47)

sono stati calcolati i valori dei numeri adimensionali We, Re e Oh. La Fig.20, che mostra la relazione We – D, evidenzia che le gocce costituenti le

precipitazioni naturali sono caratterizzate da valori del numero di Weber sempre maggiori di 250 e, pertanto, l’unica modalità di impatto che si verifica è quella splash.

Questo risultato è anche confermato dal lavoro di Mundo (1997, 1998) che ha determinato che il limite tra la modalità splash e quella deposition corrisponde ad un valore del raggruppamento adimensionale Km = Oh Re1.25 pari a 57.7. La Fig.21 mostra che le gocce costituenti le precipitazioni naturali sono caratterizzate da valori del raggruppamento Km maggiori di 57.7 e, pertanto, sono tutte contraddistinte dal presentarsi nel loro impatto della modalità splash.

Il bilancio energetico di questa tipologia di impatto può essere affrontato considerando l’impatto anelastico di una sfera su una piastra. In questo caso la perdita di energia a seguito della collisione è quantificata mediante il coefficiente di restituzione ε = V’/V pari al rapporto tra la velocità V’ della goccia dopo l’impatto e quella V prima dell’impatto. I due casi estremi ε = 1 (V’ = V) e ε = 0 corrispondono, rispettivamente, ad un impatto completamente elastico e ad uno perfettamente anelastico. All’impatto perfettamente anelastico (V’ = 0) corrisponde, ovviamente, un completo trasferimento dell’energia dalla goccia alla piastra.

Guigon et al. (2008) hanno determinato che la struttura piezoelettrica in PVDF può essere considerata perfettamente anelastica.

L’uso della teoria dell’impatto anelastico combinato con il principio di conservazione della quantità di moto conduce alla seguente espressione della velocità della goccia V’ dopo l’impatto su un materiale PVDF fermo:

( ) shockPVDFd

d VmmmV+

=' (48)

essendo mPVDF la massa della struttura piezoelettrica in PVDF e Vschok la velocità della goccia all’impatto.

L’energia meccanica di deformazione Edef può essere posta pari all’energia cinetica della massa PVDF deformata:

2

2'

21

21

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛+

== shockPVDFd

dPVDFPVDFPVDFde f V

mmmmVmE (49)

Tenuto conto che il rapporto md/(md +mPVDF) assume valori minori o eguali a 1, l’eq. (49) dimostra che, per massimizzare il trasferimento dell’energia di deformazione al materiale piezoelettrico e quindi massimizzare l’energia raccolta, la massa deformata deve essere significativamente più piccola della massa liquida impattante (mPVDF << md). Guigon et al. (2008) hanno stabilito che il materiale piezoelettrico, al fine di massimizzare l’energia raccolta, dovrebbe essere costituito da strisce, la cui larghezza deve essere pari a circa i 2/3 del massimo diametro delle gocce (3.3 mm), interamente ricoperte, per la loro lunghezza, dagli elettrodi.

Gli AA. hanno realizzato un prototipo del sistema di raccolta utilizzando due strisce trasparenti di materiale piezoelettrico PVDF, aventi uno spessore di 25 µm ed incastrate in una struttura di plexiglass, sulla cui superficie sono stati posizionati i due elettrodi.

V. Ferro

28

Le misure condotte in laboratorio in differenti situazioni di impatto, ottenute impiegando diversi valori del diametro delle gocce con differenti altezze di caduta, hanno dimostrato che il potenziale elettrico è direttamente proporzionale all’energia meccanica trasferita al materiale piezoelettrico mentre l’energia elettrica è proporzionale al quadrato dell’energia meccanica trasferita. Le simulazioni teoriche forniscono risultati più ottimistici di quelli sperimentali all’aumentare dell’altezza di caduta delle gocce dato che la modalità splash è quella che contraddistingue l’impatto. Lo splash causa una perdita di energia trasferita che non è presa in considerazione dal modello teorico e che, allo stato attuale delle esperienze, produce delle differenze tra valori misurati e teorici variabili tra il 20 ed il 30%.

Ovviamente la sperimentazione richiede l’esame di una situazione meno teorica di quella già esaminata, corrispondente alla singola goccia di noto diametro che cadendo da una prefissata altezza colpisce la superficie piezoelettrica, facendo ricorso ad un prototipo della superficie piezoelettrica sottoposto all’azione di una precipitazione naturale la cui distribuzione dimensionale delle gocce varia in funzione dell’intensità della precipitazione.

Per stabilire siti potenzialmente utilizzabili per installare dispositivi per l’accumulo dell’energia della precipitazione, il territorio siciliano è stato inizialmente classificato individuando le aree contraddistinte da un valore medio annuo R dell’indice di aggressività maggiore del valore medio regionale Rmed.

All’interno delle suddette aree sono poi state individuate quelle contraddistinte da valori della pendenza dei versanti maggiori del 40%, che difficilmente trovano una ampia utilizzazione a fini agricoli (Fig.21). Le aree rosse di Fig.21 rappresentano, nell’ambito del territorio regionale, quelle vocate per caratteri climatici e morfologici a costituire sede di impianti di accumulo dell’energia delle precipitazioni.

Figura 21. Distribuzione delle aree vocate per l’accumulo dell’energia delle piogge

8 IL RILIEVO LASER SCANNER TERRESTRE È UTILE NELLO STUDIO DEI PROCESSI EROSIVI ?

L’applicazione dei modelli distribuiti nello studio dei processi erosivi richiede un accurato rilievo topografico del bacino finalizzato alla partizione in aree omogenee dal punto di vista morfologico e al calcolo della pendenza delle suddette aree.

Nuovi e antichi paradigmi nello studio dei processi erosivi

29

Le tecniche di rilievo basate su scansioni laser dello spazio (Di Stefano, 2009) costituiscono, al momento, la più recente innovazione in materia di rilevamento dello spazio anche nel caso di ambienti morfologicamente complessi. Il rilevamento mediante scansione laser si contraddistingue rispetto alle tradizionali tecniche topografiche e fotogrammetriche, innanzitutto, per le caratteristiche di completa automazione ed elevatissima densità di misura (oltre 8000 punti/s) alle quali si aggiunge, nel caso di sistemi terrestri l’ulteriore prerogativa di fornire il risultato del rilievo in tempo reale.

Un sistema laser scanning può essere considerato come l’ideale evoluzione di una stazione topografica terrestre motorizzata ad elevata automazione che misura milioni di valori di distanza e angoli in pochi minuti. Il principio di funzionamento della tecnica laser-scanner si fonda sull’emissione di un impulso laser e sulla misura del tempo di restituzione (tempo di volo) dell’eco di questo impulso. La nuvola di punti rilevata dal sensore viene gestita secondo un sistema di riferimento interno, con origine nel centro strumentale, e, pertanto, ogni rilievo laser scanner acquisito da un differente punto di presa ha un suo proprio sistema di riferimento. Per ottenere un modello tridimensionale è necessario concatenare le differenti scansioni rototraslando i vari sistemi di riferimento e riferendoli ad un unico sistema.

Di Stefano & Giordano (2009), per il piccolo bacino SPA1 esteso 3.67 ha e dotato nella sua sezione di chiusura di una stazione per la misura dei deflussi liquidi e solidi, hanno recentemente costruito il modello digitale delle elevazioni sia a partire dal rilievo laser scanner terrestre sia utilizzando una cartografia (scala 1:500) ottenuta con un rilievo di dettaglio con usuale strumentazione topografica.

Il livello informativo relativo alla morfologia, acquisito per digitalizzazione delle curve di livello relative alla cartografia ottenuta mediante il rilievo topografico di dettaglio, ha permesso di realizzare il DEM (Digital Elevation Model) utilizzando il modulo GRID del software ARC-INFO e una dimensione della maglia pari a 4 m. Facendo ricorso al DEM è stata costruita la copertura raster corrispondente alla distribuzione spaziale delle pendenze.

Per ciascun poligono della mappa di discretizzazione del bacino in unità morfologiche è stata calcolata la pendenza come media pesata, con peso l’area, dei valori delle pendenze di tutte le celle quadrate, o porzioni di esse, ricadenti nel poligono. Per ciascuna unità morfologica la lunghezza della pendice lungo la direzione principale di ruscellamento è stata misurata sulla cartografia in scala 1:500.

La discretizzazione del bacino è stata effettuata anche facendo ricorso alle celle quadrate relative al rilievo laser scanner terrestre effettuato sull’intera superficie del bacino. Il rilievo del bacino SPA1, al fine di produrre una nuvola di punti di coordinate X, Y, Z metricamente corretta e priva di zone d’ombra come quelle determinate dalla presenza di ostacoli (pali elettrici, manufatti, vegetazione, cespugli, etc.), è stato effettuato utilizzando 8 stazioni di misura. La superficie del bacino SPA1 all’epoca del rilievo era caratterizzato dalla presenza di una coltivazione a seminativo in crescita; il rilievo è stato effettuato mediante il laser a scansione Riegl 420i (Fig.22).

Preliminarmente alla fase di rilievo con il laser scanner sono stati posizionati sulla superficie del bacino alcuni cilindri riflettori che costituiscono i punti target che hanno permesso, in fase di elaborazione, la corretta unione (mosaicatura) delle singole riprese.

V. Ferro

30

Figura 22. Strumentazione laser scanner terrestre utilizzata per il rilievo del bacino SPA1 Per concatenare, infatti, le otto differenti scansioni è stato necessario rototraslare i

relativi otto sistemi di riferimento per riferirli ad un unico sistema. Questa operazione richiede l’individuazione di tre o più punti di collegamento, materializzati dai cilindri riflettori, presenti all’interno di due scansioni laser adiacenti. La posizione dei cilindri è nota nei rispettivi sistemi di riferimento delle due scansioni adiacenti e questa circostanza permette la mosaicatura.

A corredo delle informazioni ottenibili con il laser scanner sono stati collezionati una serie di fotogrammi dell’area di ripresa (da 8 a 10 per ogni stazione) per mezzo di una camera fotografica collegata assialmente allo scanner. Questa operazione ha consentito di attribuire un valore di riflettanza nel campo RGB ad ogni singolo punto acquisito con tecnologia laser scanner. L’informazione radiometrica, contenuta in ogni scansione laser come quarto valore puntuale, può contribuire a tutte le successive fasi di elaborazione e di interpretazione, quasi alla stessa stregua di una vera immagine digitale ad altissima risoluzione, migliorando la leggibilità e la navigabilità del modello laser tridimensionale quando ai punti viene attribuito un colore caratteristico (Fig.23).

Figura 23. Rilievo di dettaglio e modello laser tridimensionale del bacino SPA1

Nuovi e antichi paradigmi nello studio dei processi erosivi

31

Contemporaneamente alle scansioni laser è stato effettuato un rilievo di dettaglio

(Fig.23) dell’intera area mediante l’acquisizione di circa 1000 punti quotati uniformemente distribuiti all’interno del bacino e rilevando anche i manufatti e gli elementi di interesse presenti all’interno dell’area in istudio. L’azione combinata dei due strumenti (laser scanner terrestre e GPS differenziale) ha consentito di eseguire un rilievo topografico ottenendo una informazione di tipo areale (nuvola di punti) georiferita in un sistema di coordinate di riferimento note.

Al termine dei rilievi è stata effettuata una sessione di misura GPS statica finalizzata al collegamento del caposaldo locale con un caposaldo della rete IGM95, i cui elementi monografici sono stati preventivamente acquisiti dall’Istituto Geografico Militare di Firenze. Il riaggancio al caposaldo IGM95 ha consentito di rototraslare il rilievo da un sistema di riferimento locale (sistema laser) al sistema cartografico Gauss Boaga.

La nuvola di punti acquisita sul bacino SPA1 con la strumentazione laser scanner presenta una precisione nella misure delle distanze di 10 mm con una risoluzione di 5 mm ed una divergenza del raggio laser pari a 0.25 mrad. L’informazione restituita è di tipo areale con una mesh-size di un punto ogni 5 cm2, nelle aree rilevate con tecnologia laser scanner, e di un punto ogni 5 -10 m2 nelle aree rilevate con GPS. Nel bacino SPA1 sono stati rilevati tutti i punti in corrispondenza delle variazioni topografiche più significative, in modo tale da rendere possibile la definizione delle breaklines altimetriche che sono state restituite a 20 cm per la parte rilevata con tecnologia laser ed a 1 m per la parte rilevata con strumentazione GPS o stazione totale.

La nuvola di punti rilevati è stata sottoposta ad operazioni di filtraggio e di cleanup per eliminare l’influenza di eventuali elementi di disturbo, quali la vegetazione bassa e/o alta, piccoli manufatti (ad es. muretti), edifici e pali della luce, sulla base del confronto tra i punti a terra misurati dal rilievo topografico GPS e i corrispondenti punti laser. Al fine di ottenere una variabilità spaziale continua delle quote, e quindi un dato in formato raster, i valori puntuali ottenuti dall’impiego della tecnologia laser scanner sono stati interpolati mediante tecniche Kriging con una mesh size, d, pari a 0.5 m.

Nel periodo di funzionamento Dicembre 1997-Dicembre 2008 nel bacino sperimentale SPA1 sono stati acquisiti 39 eventi meteorici che hanno provocato una produzione di sedimenti. Utilizzando le misure della produzione di sedimenti Ys,e e del fattore climatico Re sono stati calcolati i valori del coefficiente β per ogni singolo evento (βe) che compare nell’espressione del coefficiente di resa solida di ciascuna unità morfologica. In particolare, la calibrazione del modello SEDD (Ferro & Porto, 2000) è stata condotta utilizzando sia lo schema di bacino suddiviso in unità morfologiche dedotte dalla cartografia sia la discretizzazione in celle quadrate. Per il caso di bacino suddiviso in unità morfologiche sono state distinte due differenti procedure di calcolo della pendenza di ogni unità morfologica. Nel primo caso la pendenza di ogni unità è stata dedotta a partire dal modello DEM ottenuto per interpolazione delle isoipse digitalizzate dal supporto cartaceo, nel secondo caso la pendenza di ogni unità morfologica è stata dedotta dal DEM ottenuto dalla interpolazione dei punti quotati rilevati mediante tecnologia laser scanner. In entrambi i casi la pendenza di ogni unità morfologica è stata calcolata come media pesata, con peso l’area, dei valori delle pendenze di tutte le celle quadrate del DEM, o porzioni di esse, ricadenti nel poligono in esame.

In Figura 24 è mostrata la distribuzione di frequenza dei valori di βe, ottenuti

V. Ferro

32

utilizzando i 39 valori misurati di produzione di sedimenti, per i diversi criteri di suddivisione del bacino e di calcolo delle pendenze utilizzati. La Figura mostra, in particolare, che le due distribuzioni di frequenza F(βe) relative alla discretizzazione in unità morfologiche risultano “shiftate” l’una rispetto all’altra per un fattore di scala che esprime, pertanto, l’effetto della qualità del rilievo delle quote sulla valutazione dei processi di sediment delivery.

0

0,1

0,2

0,3

0,4

0,5

0,6

0,7

0,8

0,9

1

0,001 0,01 0,1 1 10

F(βe)

βe

unità‐cartografia

unità‐laser

cella‐laser

Figura 24. Distribuzione di frequenza dei valori di βe per il bacino SPA1

La variabilità del coefficiente βe da evento ad evento, come già dimostrato da studi

precedenti (Ferro et al., 2001), è stata spiegata facendo ricorso, per i tre schemi di calcolo, all’indice di aggressività delle piogge di ciascun evento Re pervenendo alle seguenti equazioni:

6688.0280.0 −= ee Rβ (50a)

per il bacino suddiviso in unità morfologiche con pendenza dedotta da cartografia,

6666.0367.0 −= ee Rβ (50b)

per il bacino suddiviso in unità morfologiche con pendenza dedotta da rilievo laser scanner, e

5201.1890.0 −= ee Rβ (50c)

per il bacino discretizzato in celle quadrate. La comparazione tra le eqq.(50a) e (50b) dimostra che, per la suddivisione in unità, la scelta del tipo informazione topografica (quota da cartografia o da rilievo laser scanner) è espressa dal solo coefficiente di proporzionalità e quindi si traduce esclusivamente in un effetto di scala.

I valori di βe nel caso di celle quadrate e rilievo laser scanner risultano caratterizzate, nel confronto con lo schema ad unità morfologiche, da una maggiore variabilità anche se il valore centrale delle tre distribuzioni di Figura 26 è sostanzialmente coincidente.

9 CONCLUSIONI

La disamina dei sette paradigmi ha evidenziato che alcune conoscenze consolidate possono essere messe in discussione dalle nuove sperimentazioni condotte o dalle teorie

Nuovi e antichi paradigmi nello studio dei processi erosivi

33

formulate. La USLE rappresenta ancora un valido strumento analitico, di inatteso fondamento

teorico, e che può essere ulteriormente affinato per le applicazioni a differenti scale spaziali e temporali.

La necessità di fare ricorso per la caratterizzazione climatica a fini erosivi di un indice rappresentativo anche del deflusso, e l’apprezzabile miglioramento che si ottiene in termini di riproduzione dei valori di perdita di suolo misurati, impone degli approfondimenti per la messa a punto di modelli di calcolo del coefficiente di deflusso al fine di ottenere la suddetta informazione per bacini non strumentati.

Nuove tematiche di frontiera, di cui occorre valutare, al di là dell’interesse scientifico, la ricaduta applicativa sono rappresentate dall’impiego a fini energetici delle piogge e dall’uso del rilievo laser scanner terrestre per la caratterizzazione morfologica a fini erosivi.

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