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1 INTRODUZIONE La Bluetongue (BT) è una malattia causata da un Orbivirus della famiglia Reoviridae (BTV) e trasmessa da artropodi ematofagi del genere Culicoides, che interessa i ruminanti domestici e selvatici, in particolare gli ovini (Coetzer e Tustin, 2004). In natura si è riscontrata l’infezione anche in alcuni camelidi e altri erbivori, come l’elefante (FAO, 2002). Nelle zone a clima temperato in cui la malattia è enzootica, la sua comparsa è stagionale, associata alla maggior presenza dei vettori Culicoides adulti, e può colpire ruminanti domestici e selvatici (Schwartz- Cornil et al., 2008). E’ caratterizzata da infiammazione, emorragie, escoriazioni ed erosioni, cianosi delle membrane mucose della cavità oronasale, coroniti, laminiti, edema della testa, del collo e torcicollo. Il nome della patologia deriva dalla cianosi della lingua che può, occasionalmente, presentarsi anche in forma grave. In tutto il mondo sono stati riconosciuti 24 sierotipi, i cui anticorpi specifici esplicano bassi livelli di protezione crociata, rendendo complicate le strategie di vaccinazione. A causa del notevole impatto economico la malattia era nella lista A, ora divenuta lista delle malattie soggette a notifica internazionale, dell’OIE. Le perdite economiche dovute all’infezione da parte del virus della Bluetongue derivano direttamente dai cali di produttività e dalla morte degli animali e, indirettamente, dalle restrizioni alla movimentazione degli individui provenienti da aree infette, dalla mancata esportazione di seme di tori infetti e dai costi per implementare le misure di controllo, inclusi i tests diagnostici. Durante il ventesimo secolo il virus era considerato endemico nelle aree sub-tropicali, anche se, storicamente, ne era stata occasionalmente rilevata la presenza nel sud Europa (Mellor et al., 2008). La comparsa in Europa di BTV è da far risalire agli ultimi dieci anni durante i quali, in fasi successive, le popolazioni di ruminanti domestici mai venute prima in contatto con l’infezione, sono state interessate dall’ingresso, dalla circolazione e dall’endemizzazione, spesso associate a forme cliniche e mortalità rilevanti, di diversi sierotipi (1, 2, 4, 8, 9, 16) (Schwartz- Cornil et al., 2008). A partire dall’anno 2000, la BT ha infatti ampliato in modo eclatante la propria diffusione in gran parte d’Europa, anche in regioni nelle quali la sua presenza era ritenuta non ipotizzabile, grazie all’esistenza di vettori competenti, alla densità delle popolazioni suscettibili e alla loro intensa movimentazione. Certamente, la più recente epidemia di Bluetongue in Europa si è diffusa molto più a Nord di quanto si sia mai verificato in precedenza e non solo nel continente Europeo. Le ragioni di questo drammatico cambiamento nell’epidemiologia della malattia sono complesse e da ritenersi collegate all’estensione nella distribuzione del suo maggior vettore, Culicoides

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INTRODUZIONE

La Bluetongue (BT) è una malattia causata da un Orbivirus della famiglia Reoviridae (BTV) e

trasmessa da artropodi ematofagi del genere Culicoides, che interessa i ruminanti domestici e

selvatici, in particolare gli ovini (Coetzer e Tustin, 2004). In natura si è riscontrata l’infezione

anche in alcuni camelidi e altri erbivori, come l’elefante (FAO, 2002). Nelle zone a clima

temperato in cui la malattia è enzootica, la sua comparsa è stagionale, associata alla maggior

presenza dei vettori Culicoides adulti, e può colpire ruminanti domestici e selvatici (Schwartz-

Cornil et al., 2008).

E’ caratterizzata da infiammazione, emorragie, escoriazioni ed erosioni, cianosi delle membrane

mucose della cavità oronasale, coroniti, laminiti, edema della testa, del collo e torcicollo. Il nome

della patologia deriva dalla cianosi della lingua che può, occasionalmente, presentarsi anche in

forma grave.

In tutto il mondo sono stati riconosciuti 24 sierotipi, i cui anticorpi specifici esplicano bassi

livelli di protezione crociata, rendendo complicate le strategie di vaccinazione.

A causa del notevole impatto economico la malattia era nella lista A, ora divenuta lista delle

malattie soggette a notifica internazionale, dell’OIE.

Le perdite economiche dovute all’infezione da parte del virus della Bluetongue derivano

direttamente dai cali di produttività e dalla morte degli animali e, indirettamente, dalle restrizioni

alla movimentazione degli individui provenienti da aree infette, dalla mancata esportazione di

seme di tori infetti e dai costi per implementare le misure di controllo, inclusi i tests diagnostici.

Durante il ventesimo secolo il virus era considerato endemico nelle aree sub-tropicali, anche se,

storicamente, ne era stata occasionalmente rilevata la presenza nel sud Europa (Mellor et al.,

2008). La comparsa in Europa di BTV è da far risalire agli ultimi dieci anni durante i quali, in

fasi successive, le popolazioni di ruminanti domestici mai venute prima in contatto con

l’infezione, sono state interessate dall’ingresso, dalla circolazione e dall’endemizzazione, spesso

associate a forme cliniche e mortalità rilevanti, di diversi sierotipi (1, 2, 4, 8, 9, 16) (Schwartz-

Cornil et al., 2008). A partire dall’anno 2000, la BT ha infatti ampliato in modo eclatante la

propria diffusione in gran parte d’Europa, anche in regioni nelle quali la sua presenza era ritenuta

non ipotizzabile, grazie all’esistenza di vettori competenti, alla densità delle popolazioni

suscettibili e alla loro intensa movimentazione. Certamente, la più recente epidemia di

Bluetongue in Europa si è diffusa molto più a Nord di quanto si sia mai verificato in precedenza

e non solo nel continente Europeo.

Le ragioni di questo drammatico cambiamento nell’epidemiologia della malattia sono complesse

e da ritenersi collegate all’estensione nella distribuzione del suo maggior vettore, Culicoides

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imicola, al coinvolgimento di nuovi vettori appartenenti al genere Culicoides ed ai mutamenti

climatici (Mellor et al., 2008).

In questo contesto di aumentato interesse nei confronti della BT, della sua epidemiologia e

distribuzione geografica, si è ritenuto importante valutare la possibile circolazione di BTV in

quelle aree che, ad oggi, risultano essere scarsamente conosciute, quali, ad esempio, le regioni

desertiche del Nord Africa ed in particolare le zone in cui sorgono le tendopoli Saharawi, nelle

quali era stata in passato segnalata la presenza di ovini e caprini, probabilmente autoctoni,

sieropositivi nei confronti di BTV (Baldan, 2004).

LA BLUETONGUE

Eziologia

Morfologia

Il virus della Bluetongue appartiene al genere Orbivirus, famiglia Reoviridae.

E’ privo di envelope e possiede un genoma di circa 19.200 paia di basi, organizzato in dieci

segmenti lineari di RNA a doppio filamento (dsRNA). I 10 segmenti di dsRNA sono contenuti

all’interno di un capside icosaedrico proteico con tripla stratificazione, di approssimativamente

90 nm di diametro.

Lo strato esterno è composto da due proteine strutturali: 60 trimeri di VP2 (111 kDa) e 120

trimeri di VP5 (59 kDa). Lo strato intermedio è costituito da VP7 (38 kDa), la principale

proteina strutturale avente carattere immunodominante, organizzata in 260 trimeri che formano

un reticolo icosaedrico che copre il subcore (Nason et al., 2004).

Il subcore consiste di 12 decameri di proteina VP3 (100 kDa).

Il core, con un diametro di 54 nm, è formato da 32 capsomeri disposti a forma di anello in una

simmetria icosaedrica (il nome del genere deriva proprio da questa struttura: orbis significa

anello in latino).

I capsomeri sono costituiti da strutture tubulari che constano di piccole unità strutturali disposte

in pattern regolari esagonali e pentagonali (Coetzer e Tustin, 2004).

Le 120 molecole di VP3 possono essere considerate come un reticolo icosaedrico che contiene i

segmenti del genoma virale e tre proteine minori coinvolte nella trascrizione e replicazione:

l’RNA polimerasi RNA-dipendente (VP1, 149 kDa), l’enzima RNA capping (VP4, 76 kDa) e la

dsRNA elicasi (VP6, 36 kDa) (Nason et al., 2004).

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Le proteine non-strutturali (NS1, NS2, NS3 ed NS3A) probabilmente partecipano al controllo

della replicazione, della maturazione e del trasferimento del virus all'esterno delle cellule infette.

A differenza della maggior parte dei virus a catena singola (ssRNA), gli Orbivirus sono

geneticamente e antigenicamente stabili durante l’infezione; non sembrano verificarsi mutazioni

puntiformi in vivo, perlomeno non con l’alta frequenza notata in molti virus ssRNA non-

segmentati.

Figura 1. Schema rappresentativo delle proteine strutturali e dei segmenti di dsRNA in BTV (www.edpsciences.org). Proteine strutturali

VP2

E’ la proteina responsabile del legame coi recettori, dell’emoagglutinazione e della produzione di

anticorpi neutralizzanti sierotipo-specifici.

La proteina VP2 è la maggior determinante di sierotipo assieme alla proteina VP5, che svolge

però un ruolo di minor importanza.

La comparazione filogenetica di VP2 dei 24 ceppi di riferimento mostra una perfetta

correlazione tra le variazioni delle sequenze nel segmento 2 del genoma, codificante per VP2, e

il sierotipo di BTV.

Il sequenziamento e la comparazione filogenetica della proteina VP2 rivelano anche significanti

variazioni tra ceppi dello stesso sierotipo che derivano da aree geografiche diverse, con un

massimo del 30% di variazioni nelle sequenze nucleotidiche all’interno dello stesso sierotipo.

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VP5

Al contrario della proteina VP2, la proteina VP5 è significativamente più conservata, benché

mostri, comunque, alcuni gradi di variazione che riflettono le origini geografiche

VP5 è una proteina di penetrazione della membrana, che media il rilascio delle particelle virali

dal compartimento endosomiale al citoplasma.

Le proteine principali del core: VP3 e VP7

Vp3 e, in minor misura, VP7 (Wilson et al., 2000) sono proteine conservate ed in natura si

presentano come idrofobiche; giocano un ruolo importante nell’integrità strutturale del core del

virus e, inoltre, esprimono determinanti antigenici gruppo-specifici che caratterizzano molti

gruppi filogenetici distinti. E’ importante sottolineare che il core è poco infettante o non

infettante nelle diverse cellule dei mammiferi, ma almeno 100 volte più infettante per gli insetti

adulti del genere Culicoides o per la linea cellulare dei Culicoides (cellule KC).

Il complesso VP3/VP7 protegge il genoma virale dalla sorveglianza intracellulare, in modo da

prevenire l’attivazione della produzione di INF I o l’interazione con la ribonucleasi III e i

meccanismi di silenziamento dell’RNA.

Le tre proteine minori del core: VP1, VP4 e VP6 (complesso di trascrizione)

VP1 può ampliare la sintesi di RNA dai primers (oligo A) e agisce come la replicasi di BTV, che

sintetizza dsRNA da una catena codificante dell’RNA stampo virale

VP1 presenta un'attività ottimale da 27°C a 37°C, permettendo una replicazione efficace sia nelle

cellule di mammifero che nelle cellule degli insetti.

L’mRNA immaturo è provvisto di un cappuccio di metilguanosina, connessa al primo

nucleoside, che stabilizza l’mRNA e permette un’efficiente traduzione.

All’interno delle cellule il ‘capping’ richiede l’azione di quattro distinti enzimi. Nel virus della

BT tutte e quattro le reazioni sono catalizzate dalla proteina VP4.

VP6 lega l’ATP e svolge funzioni ATPasi ed elicasi RNA-dipendenti, è responsabile dello

svolgimento delle doppie catene di dsRNA e può partecipare alla sintesi dell’mRNA.

Le proteine non strutturali: NS1, NS2, NS3, NS3A

Le due più grandi proteine non strutturali di BTV, NS1 ed NS2, sono le due proteine

maggiormente espresse nelle cellule infette, mentre le due proteine minori NS3 ed NS3A, sono

appena rilevabili nelle cellule dei mammiferi. Queste ultime vengono sintetizzate in grande

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quantità nelle cellule degli insetti, e ciò suggerisce che il loro ruolo possa essere primariamente

collegato alla replicazione di BTV ed alla diffusione all’interno dei vettori. NS3 agisce come una

viroporina, facilitando il rilascio del virus attraverso l’induzione della permeabilizzazione della

membrana cellulare. Inoltre questa proteina lega la proteina cellulare Tsg 101, permettendo alle

particelle virali di BTV di lasciare le cellule ospiti grazie ad un meccanismo di gemmazione

simile a quello dei retrovirus. Questo meccanismo di gemmazione potrebbe essere coinvolto

nella fuoriuscita di BTV dalle cellule degli insetti, nelle quali BTV non induce significativi

effetti citopatici (Schwartz-Cornil et al., 2008).

Ciclo virale

BTV interagisce con la superfice delle cellule bersaglio grazie al legame dei trimeri di VP2 con

le glicoproteine di superficie e probabilmente anche con altri recettori.

Le particelle del core possono inoltre legarsi alle cellule (soprattutto a quelle degli insetti)

attraverso i trimeri di VP7.

Il virus viene quindi internalizzato negli endosomi e l’acidificazione induce la fusione di VP5

con la membrana endosomiale rilasciando il core attivo per la trascrizione all’interno del

citoplasma della cellula. Come altri membri della famiglia Reoviridae, BTV replica all’interno

del citoplasma delle cellule infette.

La trascrizione delle proteine virali inizia entro due ore dall’infezione.

Possono verificarsi scambi tra segmenti di dsRNA quando due differenti BTV (sierotipi o ceppi)

infettano la stessa cellula e contribuiscono all’evoluzione di BTV attraverso il processo di

riassortimento. Per ragioni sconosciute alcuni segmenti sono scambiati più spesso di altri .

Il rilascio dei virioni dalle cellule infette avviene attraverso la destabilizzazione della membrana

cellulare mediata dall’attività della viroporina NS3, in alcuni casi per gemmazione, o come

risultato della morte e della lisi cellulare.

La produzione di particelle mature è esponenziale tra l’ottava e la ventiquattresima ora post-

infezione (Schwartz-Cornil et al., 2008).

Epidemiologia

La Bluetongue è stata per la prima volta descritta in una pecora Merino importata in Sud Africa

durante il Diciannovesimo Secolo. Questa malattia può colpire un ampio spettro di ruminanti

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domestici e selvatici, sebbene causi gravi segni clinici soltanto in alcune razze di pecore e di

capre e in alcuni ungulati selvatici americani: Antilocapra americana, Ovis canadensis,

Odocoileus virginianus, Ovis hemionus, Cervus elaphus e Oreamnos americanus (Stallknecht e

Howerth, 2004). Le capre ed i bovini generalmente hanno un infezione di tipo subclinico, e

possono fungere da reservoir inapparenti, anche se alcuni sierotipi come ad esempio il sierotipo 8

che ha colpito recentemente l’Europa del nord, mostrano una maggior virulenza nei bovini, con

serie conseguenze socioeconomiche (Saegerman et al., 2008).

Nel 1902 la malattia fu nominata “a malarial catarrhal fever of sheep” e nel 1905 prese il nome

di “Bluetongue”.

All’inizio del Ventesimo Secolo la BT si diffuse in Africa, con l’introduzione di razze di pecore

non indigene molto suscettibili alla malattia (Monath et al., 1996).

L’infezione da BTV fu in seguito riconosciuta come una malattia enzootica in aree comprese tra

la latitudine 40°S e 53°N in quasi tutti i continenti: America, Africa, Australia ed Asia, causando

danni economici stimati nel 1996 intorno ai 3 miliardi di dollari l’anno. Prima del 1998 vi furono

nel sud dell’Europa brevi manifestazioni del virus (Spagna, Portogallo, Grecia e Cipro) (Mellor

et al., 1995).

Dal 1998 sei differenti sierotipi (tipi 1, 2, 4, 8, 9, 16) hanno invaso l’Europa, inclusi molti paesi

dell’Europa Settentrionale (Sierotipo 8) (Purse et al., 2005; Saegerman et al., 2008). Nell’agosto

del 2006, BTV-8 fu trovato inizialmente in Olanda, prima di estendersi a gran parte dell’Europa

Settentrionale, come descritto dalla seguente figura 2.

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Figura 2. Zone di restrizione per Bluetongue in UE al 15 maggio 2009. Fonte: European Commission 2009.

Situazione in Nord Africa

Algeria

Per quanto riguarda l’Algeria orientale, la presenza del virus BTV-2 è stata segnalata nel luglio

del 2000 nei pressi del confine con la Tunisia e l’insorgenza della patologia si è protratta fino al

mese di Settembre, includendo aree di territorio fino a una distanza di 250 Km ad ovest della

Tunisia. Inoltre, campioni prelevati da animali nei pressi di Algeri, ad oltre 400 Km ad ovest

della Tunisia, sono risultati positivi agli anticorpi per BTV. Il controllo dell’epidemia sì è basato

sull’uso di insetticidi e sulla sorveglianza clinica (Mellor et al., 2008).

Anche se non viene riportata in alcuna pubblicazione e non sono stati inviati nuovi report

all’O.I.E., riguardanti un ulteriore presenza del virus in questi luoghi fino al 2006, le tesi svolte

presso il dipartimento di malattie infettive della facoltà di Medicina Veterinaria di Padova,

dimostrano la presenza di sieropositività per BTV nei territori algerini del Sahara Sud-

Occidentale anche nel 2004 ( Baldan, 2004).

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In data 23/07/2006 è stato inviato all’OIE un report che dichiarava la comparsa di casi clinici di

BT a partire dal 12/07/2006, nelle località e con le caratteristiche indicate in tabella 1. In data

07/12/2008 è stato inviato un secondo report in cui veniva dichiarata la ricomparsa del virus e

della malattia a partire dal 28/10/2008 nelle località e nelle date indicate in tabella 2.

Tabella 1: Tabella riassuntiva dei casi di BT registrati in Algeria nel luglio 2006 (www.oie.int). Numero di animali interessati Tipo di unita

epidemiologica

Località Data di inizio

dell'epidemia

Specie

suscettibili casi decessi distrutti macellati

Allevamento Boualem 12 luglio 2006 ovini 120 5 2 0 0

Allevamento Sidi Amar 12 luglio 2006 ovini 300 7 1 0 0

Allevamento Ain El Orak 12 luglio 2006 ovini 410 5 0 0 0

Allevamento El Gheïcha 12 luglio 2006 ovini 60 4 2 0 0

Allevamento Laghouat 12 luglio 2006 ovini 440 31 13 0 0

Tabella 2: Tabella riassuntiva dei casi di BT in Algeria nell’ottobre/novembre del 2008 (www.oie.int).

Numero di animali interessati Tipo di unita

epidemiologica

Località Data di inizio

dell'epidemia

Specie

suscettibili casi decessi distrutti macellati

Allevamento Ouled Attia 28 ottobre 2008 caprini 12 0 0 0 0

Allevamento Ouled Attia 28 ottobre 2008 ovini 150 5 1 0 0

Allevamento Maadhar 29 ottobre 2008 ovini 105 4 2 0 0

Allevamento Maadhar 29 ottobre 2008 bovini 6 0 0 0 0

Allevamento Dakhla 1 2 novembre 2008 ovini 100 2 2 0 0

Allevamento Dakhla 2 2 novembre 2008 ovini 50 1 0 0 0

Allevamento Dakhla 3 2 novembre 2008 ovini 70 1 0 0 0

Allevamento Dakhla 4 2 novembre 2008 ovini 80 2 0 0 0

Tunisia

In Tunisia il virus è stato riscontrato nel 2000, nel nord-est del paese.

Il periodo di introduzione è stato stimato intorno all’inizio del mese di dicembre del 1999 e il

virus è stato tipizzato come BTV-2 .

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L’origine dell’infezione è incerta, comunque, così come l’afta apparsa in Tunisia ed Algeria

durante il 1999, probabilmente veicolata da bestiame proveniente dalla Costa d’Avorio e dalla

Guinea; è possibile che il virus della Bluetongue abbia utilizzato la stessa via od una similare.

Gli animali in Africa spesso hanno mostrato infezioni subcliniche da BTV e da BTV-2,

fenomeno comune nell’Africa occidentale sub-sahariana. Durante il periodo che va da febbraio a

maggio 2000 non sono stati riscontrati nuovi casi di Bluetongue, ma nel giugno dello stesso anno

nuovi focolai di BTV-2 furono rilevati in 10 distretti nelle zone orientali e centrali del paese.

Questi persistettero in alcune aree fino al mese di ottobre 2000. Le misure di controllo,

implementate nel 2000, includevano l’isolamento delle mandrie infette, l'utilizzo di insetticida

nei terreni dove pascolavano gli animali e vaccinazioni di massa (nel 2000, 2001 e 2002) con un

vaccino vivo monovalente per BTV-2 (Mellor et al., 2008).

Nel dicembre del 2006 fu riscontrato un numero limitato di nuovi casi di BTV-2 nella Tunisia

centrale, in mandrie non vaccinate. Il report riguardante questo evento fu inviato in data

07/01/2007, con le informazioni indicate nella seguente tabella:

Tabella 3: Tabella riassuntiva dei casi di BT registrati in Tunisia nel dicembre 2006 (www.oie.int).

Marocco

Alla fine del 2000 furono rilevati anticorpi BTV in animali provenienti da province del nord del

Marocco, ma non vi erano evidenze cliniche della presenza della malattia. Malgrado il

monitoraggio sierologico, non vi sono stati ulteriori riscontri dell’attività del BTV nei successivi

tre anni.

Nel 2004 la situazione cambiò e dall’inizio di agosto fino alla fine dell’anno furono rilevate

ulteriori infezioni di BTV in pecore clinicamente affette in 14 province nel nord-ovest.

Sorprendentemente, questa infezione è stata causata dal BTV-4, ed è perciò non collegabile a

quella del 2000-2002, causata da BTV-2 in altre aree del Nord Africa. Ad oggi l’origine di

questa infezione è sconosciuta (Mellor et al., 2008).

In data 27/10/2006 è stato inviato all’OIE un report che dichiarava la comparsa di casi clinici di

BT a partire dal 10/09/2006 nelle località e con le caratteristiche indicate in tabella 4.

Località N. di

focolai specie suscettibili casi decessi distrutti macellati

Governatore

Kairwan

Governatore

3

ovini

46

5

21

6

0

0

Monastir 1

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Un secondo report è stato inviato in data 30/10/2006 contenente i medesimi dati.

Tabella 4: Tabella riassuntiva dei casi di BT registrati in Marocco nell'ottobre del 2006 (www.oie.int).

Numero di animali interessati Tipo di unita

epidemiologica Località

Data di inizio

dell'epidemia Specie

suscettibili casi decessi distrutti macellati

Fattoria Allouda 10 settembre 2006 ovini 200 5 1 0 0

Fattoria Allouda 10 settembre 2006 ovini 31 2 0 0 0

Fattoria Lakhloufiyine 10 settembre 2006 ovini 77 2 2 0 0

Fattoria Taghzout 10 settembre 2006 ovini 510 19 3 0 0

Fattoria Beni Hasan 10 settembre 2006 ovini 500 5 0 0 0

Fattoria Beni Hasan 10 settembre 2006 ovini 80 2 0 0 0

Fattoria Cheria 10 settembre 2006 ovini 320 4 1 0 0

Fattoria Cheria 10 settembre 2006 ovini 230 1 0 0 0

Fattoria Cheria 10 settembre 2006 ovini 38 2 1 0 0

Fattoria Ouled Daf 10 settembre 2006 ovini 162 1 0 0 0

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Figura 3: Distribuzione dei focolai di BTV rilevati nell’area Mediterranea dal 1999 al 2007 (Transboundary and Emerging Diseases 55, 2008).

Trasmissione

La trasmissione avviene principalmente grazie ad un insetto ematofago del genere Culicoides,

sebbene il virus possa essere raramente trasmesso anche attraverso il seme, probabilmente a

causa della contaminazione di quest’ultimo con cellule del sangue. Un altro meccanismo

possibile di trasmissione è costituito dall’embryotransfer. E’ stata verificata in via sperimentale,

nei bovini e almeno per il sierotipo 8, anche la trasmissione del virus per via orale e

transplacentare (Backx et al., 2009). Questa modalità di trasmissione ha una certa rilevanza

epidemiologica, poiché si ritiene sia uno dei possibili meccanismi di overwintering del virus,

fenomeno per il quale l’infezione si mantiene in territori che presentano una stagione invernale

di inattività dei vettori più lunga del periodo di viremia degli ospiti. I meccanismi considerati

rilevanti a questo proposito sono infezioni persistenti e, appunto, la trasmissione transplacentare

del virus, dimostrata nella recente epidemia in Nord Europa (Wilson et al., 2008). E’ stata anche

avanzata a tale proposito l’ipotesi della trasmissione transovarica del virus dagli insetti adulti,

sebbene fino ad ora sia stata dimostrata soltanto la presenza di frammenti di RNA virale nelle

larve di Culicoides spp., ma non il virus vivo (White et al., 2005); ciò avvalora l’ipotesi del

passaggio di frammenti di RNA virale inferiori ad 11nm attraverso i pori della membrana

vitellina della uova di Culicoides spp. (Nunamaker et al.,1990).

Figura 4: La trasmissione della Bluetongue in estate (sinistra) e in inverno (destra).

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(doi:10.1371/journal.pbio.0060210.g003).

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Il vettore

Phylum: Arthropoda

Classe: Hexapoda

Ordine: Nematocera

Sottordine: Diptera

Superfamiglia: Chironomoidea

Famiglia: Ceratopogonidae

Genere: Culicoides

Morfologia esterna

Testa

La testa si presenta arrotondata se vista frontalmente, mentre lateralmente si presenta appiattita

in senso antero-posteriore. La sua superficie è occupata per la maggior parte dagli occhi.

Questi sono costituiti da numerosi ommatidi rotondi, separati da spazi ricoperti in alcuni generi

da una fine peluria.

Sono separati nella porzione superiore della testa da uno spazio triangolare, il cui vertice, privo

di ocelli, è rivolto verso il basso ed è ricoperto da micro e macrotrichi. La restante parte del

margine anteriore degli occhi è spesso contigua, anche se in alcuni casi vi può intercorrere uno

spazio.

Nella loro porzione basale sono separati da uno spazio di forma quadrangolare nel quale sono

inserite le diverse appendici della testa.

Le antenne sono situate nella parte superiore della convessità oculare. Sono costituite da 15

articoli. Il primo, detto scapo, si inserisce in una base più o meno invaginata e poco chitinizzata,

A questo fa seguito il pedicello, che spesso è fuso con lo scapo. A questa porzione basale fanno

seguito i flagellomeri in numero di 13. Lo scapo e il pedicello vengono di solito ignorati e per

questo motivo ci si riferisce ai segmenti antennali indicando una numerazione da 3 a 15. Il primo

di questi è allungato e claviforme. Nella femmina gli altri flagellomeri hanno forma sferica o

Figura 5: Visione frontale di Culicoides spp. (CSIRO).

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cilindrica. I primi otto segmenti dopo il primo sono più corti, mentre i restanti sono allungati. Sui

flagellomeri sono presenti degli organi sensoriali chiamati sensilli celoconici, ben visibili solo

nelle femmine. Sono costituiti da una una sporgenza più o meno accentuata attorniata da una

corona di microscopiche setole. La disposizione dei sensilli celoconici è caratteristica del genere

Culicoides e varia nella diverse specie. Sulle antenne sono presenti altri sensilli: i sensilli

tricoidei, i sensilli basiconici, i sensilli ampullacei e i sensilli chaetica (Cornet, 1974). Sono utili

nella distinzione di alcune specie, ma generalmente non hanno una grande importanza.

Nel maschio i flagellomeri presentano una base ripiegata, sferica, sulla quale s’inseriscono uno o

più cerchi di lunghi peli.

Al di sopra delle antenne, in posizione centrale tra esse, si trova il clipeo, la base dell’apparato

buccale. Dal clipeo si diparte l’epifaringe e sotto di essa si trovano gli stiletti formati da

mascelle e mandibole.

Le mandibole hanno forma allungata più o meno quadrangolare, nel mezzo hanno una fenditura

longitudinale, e nella parte distale un bordo dentellato rivolto verso l’interno. Le mascelle sono

costituite da due parti principali: i palpi, distali, e la galea che forma due stiletti ristretti.

La loro estremità è dentellata, ma in casi eccezionali può anche presentarsi liscia.

La parte posteriore della proboscide è formata da due parti impari: l’ipofaringe e il labrum.

L’ipofaringe è una lama allungata che presenta al suo interno il canale salivare che occupa tutta

la sua lunghezza.

La sua parte distale è triangolare e dentellata.

Il labrum, situato al di sotto, è largo e composto da due parti saldate; termina in due labelli

separati sulla linea mediana e leggermente divergenti.

I palpi mascellari si compongono di cinque porzioni: le prime due sono saldate l’una all’altra. La

terza presenta un organo sensoriale di forma variabile. In generale, si tratta di una fossetta di

forma arrotondata situata sul bordo interno. Il fondo è spesso ricoperto di peli o masse

microscopiche. A volte quest’organo è formato da numerose piccole depressioni disposte su di

una superficie variabile.

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Figura 6: Testa di Culicoides spp. (www.iah.bbsrc.ac.uk).

Figura 7: Segmento terminale di antenna di Culicoides spp. con sensilli celoconici. (www.iah.bbsrc.ac.uk). Torace e appendici

Il torace si compone di un protorace, molto ridotto, di un mesotorace con uno scutum e uno

scutellum, che porta le ali, e di un metatorace con i bilanceri. Nella sua parte anteriore lo scutum

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presenta da ogni lato una depressione, l’impronta umerale. Appena davanti allo scutellum vi è la

fossetta prescutale generalmente di colore scuro. Molte specie presentano inoltre dei pattern

caratteristici.

Le zampe sono lunghe sottili, il primo paio è quello più corto. Sono composte da un anca, un

trocantere, un femore, una tibia e cinque parti tarsali, la prima delle quali è detta metatarso. La

quinta ha un paio di uncini semplici, talvolta separati nella loro parte più distale.

L’empodium, posto tra gli uncini, è rudimentale, spesso invisibile e generalmente ridotto ad una

semplice corta setola.

Le ali sono lunghe e ripiegate sulla parte posteriore dell’addome a riposo. Sono ricoperte di

setole più corte e di setole più lunghe, chiamate rispettivamente microtrichi e macrotrichi, la cui

disposizione varia a seconda delle specie. Nella maggior parte delle specie le ali sono ricoperte

di macchie, ma alcune ne sono prive. Comunque la colorazione delle ali e la disposizione delle

macchie restano il principale carattere diagnostico per tutte le specie di Culicoides.

La venulazione nei Ceratopogonidae è ridotta a poche venature. Dal margine anteriore al

margine posteriore si possono distinguere le seguenti venature: la radiale (R che si suddivide a

sua volta in R1 e R2), la mediana (M che si suddivide poi in M1 e M2), la trasversale (T o R-M),

la costale (C), la sub costale (ssC), la cubitale (Cu che si ramifica poco prima di raggiungere il

bordo dell’ala) e l’anale (A che si suddivide in A1 e A2). Il quadrante distale e anteriore dell’ala

può essere percorso da una venatura accessoria a forma di ‘v’ inclinata.

Le celle delimitate dalle venature sono: la cella subcostale (ssc ), le celle radiali r1 ed r2, la cella

r5, le celle mediane m1 e m2, la cella cubitale (cu) e infine la cella anale (an).

Figura 8: Ala di Culicoides spp. con indicate le principali celle e venature

C R ssC

T

M1

M2

Cu1

Cu2 an

M

r5

m1

m2

cu

A2 A1

R2 R1

r2 r1

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Addome e genitali esterni

L’addome è composto da dieci segmenti, dei quali l’ultimo è rudimentale. Nel maschio il nono

segmento è di forma assai complessa e presenta una serie di strutture che servono a trattenere la

femmina durante la copula. La parte dorsale dell’addome è più scura rispetto a quella ventrale.

L’apparato genitale maschile si compone di un edeago (pene), di parameri e di espansioni del

nono segmento addominale.

Il nono sternite si prolunga posteriormente in una placca chitinosa chiamata lamella; il suo

margine distale è munito di due, a volte quattro processi appuntiti, e generalmente è diviso nella

sua parte mediana. Ventralmente sulla lamella si trovano i cerchi, piccoli lobi trasparenti e pelosi

vestigia del decimo segmento addominale.

L’edeago e i parameri si trovano allo stesso livello dei cerchi, ma davanti ad essi. L’edeago è

formato da due braccia prossimali che si uniscono nella parte posteriore. L’aspetto e la

chitinizzazione di quest’organo sono molto variabili. Tale struttura spesso ha forma di doccia o

può essere bifida.

I parameri originano alla base delle lamelle, passano tra le braccia dell’edeago e le lamelle, si

dirigono posteriormente e spesso si torcono posizionandosi al di sotto del corpo del’edeago.

L’edeago è unito al nono sternite da una membrana che in alcune specie presenta delle spicole.

Il nono sternite è di taglia ridotta, e non è unito alla lamella. Il suo margine libero distale è

diversamente conformato.

Lateralmente si trovano le pinze genitali. Sono formate da due parti, una prossimale o basistilo e

una distale o stilo (dististilo). Quest’ultimo è sottile e spesso ricurvo.

Il basistilo si allarga a forma di botte ed è provvisto di una fitta peluria. E’ dotato di due

apodemi, uno situato sulla faccia interna e diretto un po’ ventralmente, chiamato apodema

ventrale, l’altro situato più dorsalmente è chiamato apodema dorsale o esterno. L’apodema

ventrale può essere conico, sottile, e a volte può mancare. L’apodema dorsale è generalmente

cilindrico e grazie alla sua forma può essere utilizzato per l’identificazione.

L’addome delle femmine termina con due cerchi molto più voluminosi di quelli dei maschi,

spesso provvisti di lunghi e abbondanti peli. L’apparato genitale delle femmine è costituito da

due ovaie fusiformi che si riuniscono in un unico canale dove sboccano i dotti delle spermateche.

Le spermateche sono di numero variabile: da una a tre spermateche funzionali e una o due

spermateche rudimentali. Il numero totale delle spermateche non è mai superiore a tre.

Hanno forma ovoidale e sono molto chitinizzate, questo le rende ben visibili attraverso

l’addome; grazie alle loro caratteristiche costituiscono un importante strumento diagnostico.

(Kremer, 1965).

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Figura 9: Apparto genitale maschile di Culicoides spp. (www.iah.bbsrc.ac.uk).

Fisiologia

Il canale alimentare si suddivide in tre segmenti: intestino anteriore, medio e terminale.

L’intestino anteriore si sviluppa dall’apparato buccale, o clipeo. L’insetto è provvisto di

ghiandole salivari differenti a seconda del sesso (Perez de Leon et al., 1994), che secernono un

fattore inibitore del fattore Xa della coagulazione ed una proteina vasodilatatrice, molto

importanti durante il pasto di sangue. Al clipeo fanno seguito faringe, esofago e proventricolo o

stomaco muscolare, che agisce come una valvola e impedisce il rigurgito dell’alimento.

L’intestino medio immagazzina l’alimento e secerne gli enzimi per la digestione. Tra l’intestino

medio e l’intestino terminale si trovano i tubuli del Malpighi, strutture tubulari che hanno la

funzione di filtri dei fluidi corporei, che poi passano all’interno del canale intestinale per essere

eliminati. L’intestino terminale è formato da ileo e retto.

Gli organi interni si trovano all’interno di una cavità corporea unica detta celoma o emocele e

vengono bagnati dall’emolinfa che si trova all’interno di essa. L’emolinfa, che trasporta i

metaboliti, viene mantenuta in continuo movimento da un cuore tubulare posto in posizione

dorsale.

Nei Culicoides la respirazione avviene per diffusione semplice dell’ossigeno attraverso delle

aperture circolari dell’esoscheletro dette spiracoli. Da questi poi l’ossigeno si propaga attraverso

una serie di trachee di diametri diversi fino ai tessuti. Questa via è ripercorsa in senso contrario

dall’ossido di carbonio, che viene così eliminato dall’organismo.

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Il sistema nervoso è formato da un cordone ganglionare ventrale cui si associano gli organi di

senso.

I sessi sono separati, l’apparato riproduttore delle femmine è composto da due ovaie e dai

rispettivi ovidotti, che si continuano nell’ovidotto comune (utero) e poi nella vagina.

Le femmine inoltre possiedono un numero variabile di spermateche, organi accessori con valore

tassonomico nei quali possono immagazzinare il seme maschile anche per tutta la vita

(Meiswinkel et al., 1994).

L’apparato riproduttore maschile si compone invece di due testicoli coi relativi dotti deferenti, i

quali si dilatano distalmente a formare una vesicola seminale. Esternamente la sua forma è

estremamente complessa ed è stata trattata precedentemente nella descrizione morfologica.

Ciclo vitale

Dopo il pasto di sangue le uova maturano all’interno della femmina in un tempo variabile,

dipendente dalla temperatura: a 27°C la maturazione avviene in due giorni, ma può avvenire

anche in tre o quattro giorni se la temperatura scende a 22°C (dati relativi a C. imicola).

Il loro numero è variabile a seconda della specie (C. imicola ne depone ad esempio 162). Sono di

colore bruno, lunghe da 350 a 500 μm e larghe da 65 a 80 μm, di forma cilindrica e leggermente

incurvata.

Vengono deposte in una doppia fila che ricorda la forma di un’impronta di piede. Per ogni pasto

di sangue si ha la deposizione di un gruppo di uova, alcune specie però, come ad esempio C.

circumscriptus, sono autogene e possono quindi deporre il primo gruppo di uova senza dover

effettuare il pasto di sangue. Gli insetti devono sopravvivere circa cinque giorni per poter

deporre le uova (EFSA, 2007). Non è stato ancora determinato il numero di deposizioni che può

avvenire nell’arco della vita adulta.

Le uova sono molto resistenti alle condizioni ambientali: possono sopravvivere fino a due mesi a

temperature minori di 6°C e in zone in cui il clima è temperato possono resistere anche tutto

l’inverno.

Il ciclo vitale comprende quattro stadi larvali, lo stadio di pupa e quello di adulto. I Culicoides

sono insetti olometaboliti, ciò significa che l’adulto differisce in maniera sostanziale dalle forme

larvali.

Per contro gli stadi larvali si differenziano soltanto nelle dimensioni, che aumentano passando da

uno stadio all’altro. Le larve dei Culicoides misurano da 0,5 mm (L1) a 2 cm (L4). L’addome è

costituito da nove segmenti di colorazione biancastra con l’ultimo recante delle tipiche appendici

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(Kremer, 1965). La testa è scura, di piccole dimensioni, il corpo è segmentato e provvisto di

branchie anali terminali.

Si muovono all’interno del loro habitat compiendo movimenti serpiginosi con il corpo.

L’alimentazione delle larve varia a seconda delle specie, come indica la varietà nella struttura

dell’epifaringe e dell’ ipofaringe. La maggior parte delle larve si nutre di protozoi, rotiferi e

nematodi; lo stadio L4 di C. zululensis e di C. nivosus sono cannibali dello stadio L2; esistono

anche specie che si nutrono di materiale vegetale in decomposizione.

Il passaggio allo stato di pupa si ha solitamente in un periodo variabile da 10 a 30 giorni, in

relazione alla temperatura ambientale e alla quantità di nutrienti presenti nell’ambiente, variando

da una settimana nelle specie tropicali a circa due anni in alcune specie artiche. L’allungamento

del ciclo larvale alle diverse latitudini sembra essere regolato dal numero di ore di luce durante il

giorno: in periodi in cui le ore di luce si riducono a 8 o meno, le larve di molte specie che vivono

in climi temperati entrano in diapausa, e il loro sviluppo riprende la primavera seguente, quando

le ore di luce tornano ad aumentare (EFSA, 2007). Le pupe, che rimangono in questo stadio da 2

giorni fino a quattro settimane, sono lunghe 2-4 mm e hanno un paio di antenne protoraciche con

numerosi spiracoli che servono per la respirazione. Non necessitano di nutrimento e nella

maggior parte delle specie compiono movimenti molto limitati (Meiswinkel et al., 1994).

Figura 10: Il ciclo vitale dei Culicoides (Adapted from Purse et al., 2005 by IAH-Pirbright)

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La vita media degli adulti è di circa 3-6 settimane, ma possono sopravvivere fino a nove

settimane. I maschi si nutrono esclusivamente di liquidi zuccherini come quelli presenti nel

nettare dei vegetali, digeriti nel diverticolo intestinale, le femmine si nutrono principalmente di

sangue, digerito direttamente nell’intestino, anche se possono nutrirsi anch’esse di nettare

(EFSA, 2007).

In condizioni di elevata temperatura e bassa umidità i Culicoides hanno sopravvivenza ridotta;

soltanto pochi esemplari raggiungono lo stadio adulto e sono quindi in grado di trasmettere

l’infezione virale. In parte questo effetto può essere moderato da un ritmo di virogenesi più

veloce. Questo aspetto può essere rilevante a fini epidemiologici. Sebbene l’effetto dell’umidità

sia più evidente alle alte temperature, essa ha comunque un ruolo fondamentale sulla

sopravvivenza degli insetti (Mellor et al., 2000). Per C. obsoletus il range di temperatura ideale è

stato stimato tra gli 11°C e i 27,5°C (Dzhafarov, 1964).

Sebbene la maggior parte delle specie sia crepuscolare o notturna ed abbia una maggiore attività

nelle ore meno calde del giorno, non è ancora chiaro in quale misura riescano a sopravvivere alle

alte temperature diurne. Dopo periodi di precipitazioni la sopravvivenza in ogni caso subisce un

incremento notevole. Inoltre anche il vento influisce sulla sopravvivenza (Mellor et al., 2000).

L’età delle femmine di Culicoides può essere determinata grazie al colore che assume l’addome

nei periodi principali della loro vita: le femmine che non hanno compiuto il pasto di sangue

hanno l’addome chiaro, sono di conseguenza giovani e vengono dette nulliparus; l’addome rosso

e aumentato di volume è invece segno dell’avvenuto pasto di sangue, queste femmine sono più

vecchie delle precedenti e sono dette ingorgatus; quando il sangue viene digerito l’addome

assume colore marrone,indice che gli insetti hanno raggiunto lo stadio di parus; l’ultimo stadio è

quello delle femmine gravide, con le uova ben evidenti attraverso l’addome. Queste informazioni

sono molto utili nel valutare il rischio di trasmissione del BTV (EFSA, 2007).

Habitat larvali

Gli habitat larvali si possono suddividere in quattro gruppi:

- acque superficiali: per acque superficiali si intende la zona di passaggio tra superficie

acquatica e terreno; il 50% dei Culicoides africani vive in questo ambiente. Il terreno può

essere costituito da sabbia grossolana, da argilla fine che presenta una maggiore capacità di

trattenere l’acqua, feci di animali o materiale in decomposizione. Sia le caratteristiche

chimico fisiche dell'acqua che l'esposizione diretta alla luce solare possono avere un

influenza diretta sull'animale, che ad ogni modo vive in superficie e non in profondità;

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- deiezioni animali: alcune specie di Culicoides per il loro ciclo vitale richiedono le feci

fresche di un particolare animale, ne costituisce un esempio C. bolitinos che cresce nel

letame di bufalo africano; altre specie necessitano di quello di elefante, zebre e rinoceronti,

animali sui quali si nutrono durante la vita adulta (Meiswinkel et al., 2004). Altri

Culicoides che assumono come loro habitat larvale le feci del bestiame sono ad esempio C.

brevitarsis e C. wadai nel sud-est asiatico e in Australia e C. dewulfi in Europa. In generale

tutti i Culicoides le cui larve hanno come habitat le feci appartengono al subgenere

Avaritia, che comprende circa la metà dei vettori di BTV nel mondo (EFSA, 2007);

- cavità naturali come tronchi, piante, rocce: si suppone che all'incirca un 15% delle specie di

Culicoides che vivono in Africa, soprattutto quelle ornitofaghe (C. circumscriptus), vivano

in questi ambienti, che possono variare di molto in merito a umidità, presenza di acque

stagnanti e di esposizione alla luce (Mercer et al., 2003);

- materiale vegetale in decomposizione, soprattutto banani, ma anche altre specie vegetali; le

larve di C. obsoletus sono in grado di svilupparsi anche in questo tipo di habitat, e

probabilmente questa loro adattabilità ad ambienti anche molto diversi ha fatto si che

questa specie sia divenuta praticamente ubiquitaria in Europa, anche in ambienti di tipo

urbano (EFSA, 2007).

Diffusione

In tutto il mondo circa 32 specie di Culicoides sono considerate implicate nella trasmissione

della BTV. Nell’Africa sub-sahariana C. imicola e C. bolitinos sono vettori di BTV e di altre

malattie come EEV ( equine encephalosis virus) e AHSV ( African horse sickness virus). In Sud

Africa sono stati isolati 14 sierotipi di BTV da C. imicola, tra cui BTV-8, il sierotipo che ha

invaso l’Europa nord-occidentale nel 2006. C. imicola è il principale vettore di BTV ed è

presente in tutta l'Africa, l'Asia, il bacino del mediterraneo e gran parte dell'Europa, sebbene nel

sud europeo altre cinque specie siano implicate nella trasmissione del virus: C. pulicaris, C.

scoticus, C. obsoletus, C. dewulfi e C. chiopterus (Vanbist et al., 2009). Le ultime tre specie

nominate sono probabilmente i maggiori vettori della malattia in nord Europa, dove C. imicola

non trova diffusione. In America nord-occidentale il maggior vettore di BTV è C. sonorensis,

sostituito da C. insignis nel sud-est degli USA; nell’America centrale e nell’America del sud

sono riconosciuti come vettori C. insignis e C. pusillus. Nel sud est dell’Asia e in Australia il

maggior vettore della malattia è considerato C. brevitarsis, cui si associano con minor

importanza C. wadai, C. fulvus e C. actoni.

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Sebbene i Culicoides non possano spostarsi per più di 3-4 chilometri ed abbiano un'autonomia di

sfarfallamento di poche decine di metri, nel tempo possono percorrere diversi chilometri ed

inoltre venti con caratteristiche di temperatura, umidità e forza adatte possono trasportarli a

centinaia di chilometri di distanza (Bishop et al., 2000). Altri fattori come l'altitudine e la

temperatura influenzano la distribuzione dei Culicoides nel territorio; per quanto riguarda

l'esofilia, le specie di interesse epidemiologico sono esofile, tranne C. bolitinus che è endofilo.

Preferenze d'ospite

La cattura di determinate specie in prossimità di determinati raggruppamenti animali non è un

indice sicuro di preferenza nutrizionale, ad esempio specie di Culicoides che venivano

collezionate vicino a pecore è stato osservato che si nutrivano sempre su bovini; tuttavia è stata

dimostrata una certa specie-specificità di molti Culicoides grazie all'identificazione della

provenienza del pasto di sangue (Blackwell et al., 1994). Un metodo per determinare la

preferenza d'ospite è il conteggio del numero di sensilli presenti sul tredicesimo segmento delle

antenne: le specie con numero inferiore o pari a sei si cibano del sangue di mammiferi, quelle

con dodici o tredici sensilli si cibano generalmente su uccelli. Gli insetti che si cibano su

mammiferi non sembrano avere preferenze, ma il pelo corto o rado offre un notevole vantaggio

per la puntura rispetto al pelo lungo e folto. In casi di densità particolarmente alta o di scarse

sorgenti di sangue questi artropodi dimostrano una notevole adattabilità in quanto sono in grado

di cibarsi sia su mammiferi che su uccelli e viceversa. (Venter et al.1996).

Competenza del vettore

I virus che sono in grado di infettare un insetto ematofago, moltiplicare nei tessuti dello stesso ed

essere trasmessi tramite puntura ad un altro ospite vertebrato vengono generalmente indicati con

il termine Arbovirus. Perchè la trasmissione all'insetto avvenga è necessario che il pasto di

sangue si verifichi durante il periodo viremico dell’ospite, che corrisponde con il periodo

febbrile dell'animale: fino a 11 giorni post infezione nella pecora e 49 giorni post infezione nel

bovino (Bonneau et al., 2002). Recentemente altri studi hanno dimostrato una viremia che può

durare fino a 45 giorni in pecore infettate sperimentalmente, più di 31 giorni per capre infettate

sempre in maniera sperimentale e per più di 78 giorni nei bovini inoculati con vaccini attenuati

(EFSA, 2007). Per questa ragione l’OIE ha di recente fissato il periodo infettivo dei ruminanti a

60 giorni. Nel caso in cui l'ospite vertebrato contenga solo l'acido nucleico virale non c'è la

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possibilità di trasmissione della malattia (Tabachnick et al,. 1996). Una volta assunto il BTV

passa nella parte posteriore dell'esofago dell'artropode, by-passando tutti i diverticoli intestinali.

Nei primi due giorni post infezione il titolo virale nel Culicoides diminuisce a causa

dell'inattivazione e dell'escrezione fecale che sono superiori alla replicazione virale (eclipse

phase). Trascorsi 7-9 giorni post infezione il titolo virale raggiunge un plateau (5-6 log10 TCID50)

e questa concentrazione rimane tale per tutta la vita dell'insetto che è di circa 9 settimane. Il BTV

replica una prima volta nella parete intestinale quindi nell'emolinfa e nelle ghiandole salivari e in

altri tessuti secondari come il tessuto neurale e le cellule adipose. La disseminazione

nell'organismo avviene grazie all'emolinfa, i virioni replicano nelle ghiandole salivari

dell'emocele e da qui vengono rilasciati agli acini terminali, successivamente attraverso i dotti

intermedi raggiungono i dotti secretori maggiori in formazioni paracristalline e da qui possono

essere iniettati durante la puntura di un vertebrato (Mellor, 2000). La trasmissione è possibile 10-

14 giorni post infezione (Wittmann et al., 2002; Mecham, 1994; Venter, 1991). La dose di

virioni trasmessa tramite la puntura è di per sé in grado di infettare un ospite recettivo. Nel

mammifero il virione viene rilasciato per estrusione ed esocitosi, con conseguente danno

cellulare, mentre nei Culicoides tramite un meccanismo di gemmazione in cui è coinvolta la

proteina NS3 e questa potrebbe essere la ragione per la quale il virus non induce significativi

effetti citopatici negli insetti vettori (Schwartz-Cornil et al., 2008).

La capacità del vettore di trasmettere il virus dipende dalle complesse interrelazioni tra vettore

stesso, vertebrato e virus. Quattro fattori indicano la competenza di un vettore:

1. isolamento di virus da artropodi con addome privo di sangue fresco.

2. dimostrazione della capacità dell'artropode di infettarsi tramite pasto di sangue su ospite

diretto o sostituti artificiali.

3. dimostrazione della capacità di trasmettere l'infezione tramite la puntura.

4. dati di campo che confermino la correlazione tra l'artropode infetto e un'appropriata

popolazione di vertebrati in cui si abbia malattia o infezione.

Dal punto di vista epidemiologico, la capacità di un dato artropode di trasmettere il virus

efficacemente assume un’importanza fondamentale e allo stesso tempo è influenzata da diversi

fattori:

1. il sierotipo: i diversi ceppi virali possono presentare differenti proteine non strutturali e

proprio queste ultime hanno un’importanza fondamentale nel determinare il rilascio della

particella virale dalle cellule dell’insetto vettore all’ospite vertebrato, di conseguenza la

differenza genetica tra i diversi sierotipi è in grado di influenzare la competenza

vettoriale.

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2. la densità del vettore: alcune specie capaci di trasmettere la malattia non sono presenti in

determinate zone in quantità rilevante per essere considerate importanti nella diffusione e

nella trasmissione della BT, un esempio è rappresentato da C. monoculicoides, in grado

di trasmettere il virus, ma poco presente in Africa e solo stagionalmente.

3. il livello di viremia dell’ospite vertebrato: si deve considerare infatti la viremia soglia,

livello che consente di infettarsi all’1-5% di artropodi che pungono.

4. l’età della popolazione di insetti: maggiore sarà il numero di femmine che hanno già

assunto il primo pasto di sangue e sono pronte a pungere nuovamente, maggiore sarà la

popolazione ematofaga probabilmente infetta (Venter et al., 1997).

5. le circostanze ambientali (Braverman et al., 2001) e la temperatura (Ortega et al., 1999)

sono fattori importanti sia per il vettore che per la replicazione virale: basse temperature

non sono in grado di uccidere l’insetto ma di bloccare la replicazione virale (Mullens et

al., 1995; Wittman et al., 2002).

6. la trasmissione verticale: il recente ritrovamento di larve e pupe infette fa sospettare che

questo tipo di trasmissione, che non ha avuto riscontri in natura fino ad oggi, possa essere

possibile (White et al., 2003).

Bisogna inoltre considerare che i Culicoides sono vettori anche di altre patologie infettive

oltre alla BT, alcune di queste sono:

1. sweet-itch: una dermatite allergica dei cavalli.

2. filariasi sostenute da parassiti: data dai parassiti del genere Onchocerca e Dipetalonema.

3. infezioni da protozoi degli ordini Eucoccida e Kinetoplastida.

4. viriosi quali la Rift Valley Fever (Traore-Lamizana, 2001), la Malattia di Akabane

(Meiswinkel et al., 1994), l'Epizootic Haemorrhagic Disease del cervo (Meiswinkel et

al., 1994), l'Encefalosi equina (Venter et al., 1999), la Peste equina, l'Eastern equine

Encephalomielitis e la Bovine Ephemeral Fever (Nandi e Negi, 1999).

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Tabella 5: Le 30 specie di Culicoides che hanno un ruolo più o meno significativo nella trasmissione della Bluetongue nel mondo (Meiswinkel et al., 2004).

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Patogenesi di BTV nei ruminanti

Dopo l’iniziale replicazione nei linfonodi drenanti il sito d’inoculo, BTV diffonde a siti

secondari, principalmente polmoni e milza, dove replica nell’endotelio e nei fagociti

mononucleati.

La replicazione virale ha luogo primariamente nelle cellule endoteliali e nei periciti dei capillari

e dei piccoli vasi. Gli effetti citopatici in queste cellule comprendono lesioni degenerative e

necrotiche: vescicole citoplasmatiche, ipertrofia, picnosi e carioressi dei nuclei e dei nucleoli.

Questi cambiamenti, spesso accompagnti da ipertrofia dell’endotelio, portano a stasi ed

essudazione, che possono causare ipossia, edema ed emorragie accompagnate da lesioni

secondarie agli epiteli.

La gravità delle lesioni secondarie è influenzata dallo stress meccanico e dall’abrasione: lesioni

molto gravi si sviluppano infatti principalmente in tessuti esposti all’ambiente, come la mucosa

orale e la pelle del cercine coronario degli zoccoli.

Esiste probabilmente una correlazione tra la distribuzione delle lesioni e il gradiente di

temperatura interno dell’ospite, poiché le lesioni più gravi si sviluppano in aree nelle quali la

temperatura è più bassa di quella del sangue circolante.

Inoltre le cellule endoteliali dei vasi di alcuni distretti sono coinvolte in maniera maggiormente

selettiva dal virus, come si riscontra ad esempio nelle arterie polmonari.

Dopo l’iniziale replicazione del virus nei tessuti linfoidi e nelle cellule del sangue, BTV appare

nel circolo da 3 a 6 giorni dopo l’infezione.

La viremia mostra un picco a circa 7-8 giorni dall’infezione e accompagna o precede la reazione

febbrile, che generalmente dura da 4 a 8 giorni. Nelle pecore raramente la viremia persiste per

più di 14 giorni, normalmente dura da 6 a 8 giorni.

La viremia nei bovini si prolunga per più di 50 giorni. Studi condotti in vitro su eritrociti e

linfociti non-replicanti di questa specie dimostrano che l’infezione non progredisce oltre la fase

di adsorbimento del virus e le particelle virali persistono in invaginazioni della membrana

cellulare. Ciò può spiegare sia la prolungata viremia che la mancanza di manifestazioni cliniche

della malattia.

Nel sangue il virus si trova primariamente associato agli eritrociti e in minor misura alla frazione

buffy coat, perciò soltanto una piccola frazione di virus si rinviene libera nel sangue. La viremia

e la reazione febbrile sono sempre precedute dalla panleucopenia, che raggiunge il suo massimo

tra il settimo e l’ottavo giorno dopo l’infezione ed interessa tutti i linfociti, specialmente le

cellule CD8 T. I bovini, inoltre, non sviluppano in genere segni evidenti dell’infezione, ma

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possono manifestare una reazione di ipersensibilità mediata da IgE (Schwartz-Cornil et al.,

2008).

Segni clinici

BTV negli ovicaprini

La gravità della malattia indotta da BTV varia a seconda dell’età, dell’ospite e dello stato di

salute. L’immunosoppressione dovuta ad infezioni concomitanti può esacerbarne le

manifestazioni cliniche così come l’esposizione alle radiazioni solari intense.

L’estrema variabilità nelle manifestazioni cliniche è una caratteristica della BT, anche associata

ai diversi sierotipi. Suscettibilità individuali e condizioni ambientali (clima freddo e umido,

esposizione alle radiazioni solari) concorrono nel determinarne la gravità (Schwartz-Cornil et al.,

2008).

Nelle pecore la malattia può variare dalla forma acuta (la più frequente) fino a quella cronica,

con un range di mortalità che va da 2 al 30%.

La forma acuta può portare a morte in 7-9 giorni dall’infezione, principalmente a causa

dell’edema polmonare ed alla conseguente asfissia. Gli animali mostrano pochissimi segni clinici

prima della morte.

Nella forma cronica la morte può essere causata da polmoniti batteriche secondarie e da

debilitazione, mentre la guarigione può avvenire in tempi molto lunghi; le forme più lievi si

risolvono invece rapidamente e la guarigione è completa.

Il periodo di incubazione dell’infezione naturale è di circa 7 giorni (sperimentalmente il periodo

di incubazione varia da 2 a 15 giorni). Il primo segno clinico è l'innalzamento della temperatura

corporea: in un periodo di circa 48 ore la febbre raggiunge un picco di 41-42°C e può durare 6-8

giorni. La comparsa degli altri segni clinici segue di uno o due giorni quella della febbre.

La mucosa oronasale è la prima ad essere interessata dall’iperemia che poi si propaga ad aree più

estese come la cute delle orecchie e attorno al musello e agli occhi.

Altri segni clinici che compaiono in breve tempo sono l’aumento della salivazione e della

lacrimazione e lo scolo nasale sieroso, che si trasforma poi in scolo mucopurulento col

progredire della malattia; l’aumentata densità di quest’ultimo può portare alla formazione di

croste, tali da rendere la respirazione difficoltosa. L’edema interessa la lingua (che può divenire

cianotica, da questa lesione deriva il nome ‘Bluetongue’), le labbra, la testa, le palpebre, le

orecchie e la regione sottomandibolare, estendendosi nei casi più gravi fino al collo ed alla

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regione ascellare. Quando la malattia si presenta in forma iperacuta i polmoni sono colpiti da

edema grave che porta a fuoriuscita di schiuma dalle narici.

Figura 11: Edema e cianosi della lingua (www.izsler.it). Altre lesioni che interessano il musello, le labbra e le mucose labiale e congiuntivale sono

costituite da petecchie emorragiche che nei casi più gravi esitano in lesioni erosive al musello,

alle narici ed alla bocca. Spesso il primo segno clinico osservato in caso di lesioni buccali

necrotiche è l’alito fetido.

A causa di queste lesioni gli animali vanno incontro ad anoressia e si possono riscontrare stasi

ruminale e diarrea emorragica che precedono solitamente la morte.

Le lesioni podali si sviluppano verso la fine della fase febbrile di defervescenza; inizialmente si

ha iperemia del cercine coronario seguita da striature emorragiche. L’animale si mostra riluttante

al movimento a causa del dolore e in alcuni casi si assiste ad un vero e proprio distacco della

lamina cornea. In fase di guarigione (se l’animale non è stato colpito da malattia grave) queste

lesioni persistono per qualche settimana dopo la scomparsa degli altri segni clinici.

La lana si assottiglia e tende a staccarsi e in alcuni casi si verifica la perdita dell’intero vello a

circa un mese dalla fase di defervescenza.

I muscoli scheletrici vanno incontro a degenerazione e necrosi, e ciò porta a rigidità, debolezza

muscolare, falsa cifosi e a volte, a causa della degenerazione dei muscoli del collo, torcicollo.

Se la malattia colpisce animali gravidi possono verificarsi eventi quali l’aborto, le malformazioni

fetali, o la nascita di animali morti.

Nelle forme meno gravi la patologia può manifestarsi con stati di emaciazione e debolezza, con

torcicollo o anche soltanto con una fase febbrile, accompagnata da aumento della frequenza

respiratoria, della salivazione e della lacrimazione, da rigidità muscolare e infiammazione della

cute, come accade solitamente per la specie bovina (Coetzer e Tustin, 2004).

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Gli animali che sopravvivono all’infezione acuta possono sviluppare dermatiti croniche e lesioni

ulcerative ed erosive interdigitali e sulle superfici mucose (Brodie et al., 1998).

Figura 12: Lesioni congestizio-emorragichee dell’area buccale (www.izs.it).

Figura 13: Congestione dell’area oculare e nasale con scolo mucopurulento (www.izs.it).

Figura 14: Edema della testa (www.izsler.it).

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Figura 15: Cercine coronario con lesioni emorragiche (www.izsler.it).

Figura 16: Emorragie cutanee (www.izsler.it).

Figura 17: Torcicollo come esito della degenerazione muscolare (www.izsler.it).

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BTV nei bovini e nei ruminanti selvatici

Questa patologia può colpire anche alcuni ruminanti selvatici, come ad esempio le specie

americane Antilocapra americana, Ovis canadesi, Odocoileus virginianus, Cervus elaphus e

Oreamnos americanus; in questi animali dà grave sintomatologia, anche con mortalità elevate, in

dipendenza dalla razza colpita, dal sierotipo virale, dalle condizioni di allevamento,

dall’esposizione solare (Stallknecht e Howerth, 2004).

Nel bovino generalmente l’infezione è di tipo asintomatico, a volte si può riscontrare all’esame

clinico soltanto un rialzo febbrile. Nel caso in cui la malattia si manifesti in forma evidente in

questa specie, le lesioni e la sintomatologia sono molto simili a quelle riscontrate nella pecora.

Nelle zone endemiche, la BT raramente si manifesta nei bovini in forma clinica. Nelle aree

endemiche degli USA l'infezione colpisce sino al 90% della popolazione, tuttavia solo un

animale su 1000 manifesta sintomi clinici. Questi ultimi possono presentarsi sotto forma di

dermatite crostosa dell'area toracica e cervicale, iperestesia generalizzata e zoppia conseguente

alla coronite. Le lesioni a carico della bocca, se presenti, consistono inizialmente in piccole

formazioni vescicolari che evolvono in erosioni localizzate, di preferenza, sul palato duro.

L'animale va incontro ad anoressia, ma la morte è molto rara. Le infezioni congenite sono

responsabili di malformazioni fetali e aborti (www.izs.it).

Anatomia patologica

Le lesioni anatomopatologiche rispecchiano la gravità dei segni clinici e lo stadio della malattia

al momento della morte.

La mucosa orale si presenta iperemica, edematosa e a volte cianotica. Possono essere presenti

petecchie ed ecchimosi, escoriazioni sulla faccia interna delle labbra, sulle gengive e sulla

lingua.

Figura 19: Emorragie papillari della lingua (www.izsler.it).

Figura 18: Erosioni buccali (www.izsler.it).

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La cute nelle zone glabre è iperemica.

Nei prestomaci spesso si rilevano iperemia delle papille ruminali, dei pilastri, delle pliche

reticolari e del terzo prossimale della mucosa dell’omaso. A livello di piloro ed esofago sono

frequenti le emorragie. Sulla mucosa di questo tratto del digerente è possibile rinvenire anche

ulcerazioni. Iperemia ed emorragie intestinali sono comuni.

Figura 20: Iperemia, petecchie e ulcere nella mucosa dei prestomaci (www.izsler.it).

I polmoni, che sono interessati in misura maggiore dalla patologia, mostrano grave edema

alveolare o interstiziale, iperemia ed estese emorragie al di sotto delle pleure; all’interno della

trachea, dei bronchi e degli alveoli può essere presente del liquido schiumoso. I sacchi pleurici

possono arrivare a contenere fino a due litri di liquido sieroso.

Figura 21: Iperemia e petecchie polmonari (www.izsler.it).

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Il pericardio può presentare emorragie petecchiali diffuse e contenere un volume variabile di

liquido. Inoltre il cuore può mostrare emorragie ventricolari; emorragie a carico della tunica

media alla base dell’arteria polmonare sono da considerarsi patognomoniche.

Figura 22: Petecchie o emorragie alla base dell’arteria polmonare (lesione patognomonica) (www.izsler.it).

Figura 23: Petecchie o emorragie alla base dell’arteria polmonare (lesione patognomonica) (www.izsler.it).

Altri reperti sono costituiti da linfoadenomegalia, edema e pallore linfonodale. La milza è

ingrossata e sono presenti emorragie subcapsulari.

Se gli animali muoiono dopo le due settimane di malattia, all’esame anatomopatologico spesso la

muscolatura scheletrica presenta degenerazione e necrosi, con fibre muscolari pallide e

infiltrazioni gelatinose (Coetzer e Tustin, 2004). Le lesioni microscopiche includono ipertrofia

endoteliale, stasi vascolare e trombosi con infarto dei tessuti (Schwartz-Cornil et al., 2008).

Figura 24: Emorragie e necrosi della muscolatura scheletrica, fibre muscolari pallide (www.izsler.it).

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Risposta cellulare nei confronti di BTV

I disordini emorragici di origine virale non sono soltanto la conseguenza del danno virale diretto

alle cellule, ma anche il risultato di un intenso ed in alcuni casi incontrollato processo

infiammatorio. L’infezione porta alla morte di molti tipi di cellulari (Schwartz-Cornil et al.,

2008).

Nelle cellule dei mammiferi BTV è in grado di indurre apoptosi e/o necrosi nelle cellule

endoteliali del microcircolo di ovini e bovini, nei monociti e nei linfociti T WC-1 γδ attivati.

Alcuni tipi cellulari nei quali ha luogo la replicazione virale però non mostrano gli effetti

citopatici di BTV, come ad esempio le cellule degli insetti, le linee cellulari T γδ e i linfociti

attivati del sangue. La gemmazione come meccanismo di uscita dalle cellule rispetto al

meccanismo mediato dalla viroporina potrebbe in parte spiegare questa differenza.

L’infezione delle cellule dell’endotelio del microcircolo nei bovini e negli ovini induce la

trascrizione dell’interleukina 1 (IL-1), IL-8, IL-6, ciclossigenasi-2 e della sintetasi inducibile

dell’ossido nitrico.

Questi mediatori sono coinvolti nella patogenesi di una grave febbre emorragica virale.

L’infezione delle pecore e dei bovini con BTV induce aumenti plasmatici di prostacicline e

trombossani. I trombossani costituiscono un forte fattore procoagulante mentre le prostacicline

sono potenti vasodilatatori ed inibitori dell’aggregazione piastrinica. La proporzione

prostacicline/trombossani è più alta nei bovini e ciò può spiegare la minore sensibilità di questi

ultimi ai danni al microcircolo ed ai fenomeni trombotici indotti da BTV. BTV è inoltre un forte

induttore dell’INF tipo 1 in vivo in pecore, bovini e topi.

Risposta immunitaria nei confronti di BTV

Risposta umorale

Studi di trasferimento passivo del siero hanno dimostrato che gli anticorpi BTV specifici

possono conferire protezione in modo sierotipo-specifico, suggerendo un ruolo in vivo per la

neutralizzazione virale mediata da anticorpi. L’esatto meccanismo con cui gli anticorpi

interferiscono con l’infezione da BTV in vivo è sconosciuto. I tentativi di dimostrare l’esistenza

di una citotossicità anticorpo-dipendente cellulo-mediata (ADCC) e di una citotossicità

anticorpo-dipendente cellulo-mediata facilitata dal complemento, sia nei bovini che nelle pecore,

sono sempre falliti. VP2 e VP5 sono le uniche proteine che sembrano indurre anticorpi

neutralizzanti. Generalmente questi sono in grado di dare protezione solo contro virus omologhi,

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benché infezioni di ovini con due sierotipi in serie, possano proteggere gli animali da prove con

un terzo sierotipo.

In dipendenza dal sierotipo, gli anticorpi possono proteggere contro l’infezione di un numero

limitato di altri sierotipi che presentano similitudini nelle sequenze di VP2.

Immunità cellulare

I livelli di anticorpi neutralizzanti non sono sempre correlati con il grado di protezione dopo la

vaccinazione con il virus vivo e alcuni vaccini inattivati possono conferire protezione in assenza

di livelli rilevabili di anticorpi neutralizzanti (Schwartz-Cornil et al., 2008).

Diagnosi

Diagnosi di laboratorio

L’OIE (Manual of Diagnostic Tests and Vaccines for Terrestrial Animals 2008 ) riconosce come

metodi diagnostici ufficiali le procedure riportate di seguito. Occorre ricordare che la qualità dei

campioni e la loro corretta conservazione hanno un ruolo fondamentale nell’esito dei tests. La

diagnosi di laboratorio può essere diretta o indiretta: la prima evidenzia direttamente il virus o l'

antigene virale, la seconda gli anticorpi nei confronti del virus della Bluetongue (BTV).

Diagnosi diretta

Isolamento virale

Campioni da prelevare

Se gli animali sono ancora in vita si procede al prelievo di un campione di sangue di 5-10 ml cui

va aggiunto un anticoagulante: EDTA, eparina o una soluzione di tampone citrato (il sangue va

prelevato durante la fase viremica, che solitamente coincide con quella febbrile). Nel caso in cui

gli animali siano deceduti si prelevano milza e linfonodi. Un campione di sangue può essere

direttamente prelevato dalle camere cardiache. Nei soggetti in avanzato stato di putrefazione il

virus può essere isolato dal midollo di un osso lungo. Gli stessi campioni vengono prelevati da

feti e animali nati morti, aggiungendo al campionamento il tessuto cerebrale. Tutto il materiale

prelevato deve essere mantenuto ad una temperatura di +4°C e analizzato in laboratorio quanto

prima, in alternativa deve essere stoccato a -70°C (www.izs.it).

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1. Inoculazione di uova embrionate di pollo

I tempi richiesti per la prova variano dai 14 ai 35 gg. Si usano sospensioni di globuli rossi

lavati in PBS sterili oppure campioni di milza o di linfonodi omogeneizzati. Vengono

impiegate 5 uova embrionate di 11-13 gg di età e l'inoculazione avviene per via

endovenosa a livello della membrana allantoidea. Le uova sono incubate in camera umida

a 32-33°C per una settimana e vengono controllate quotidianamente. Data la difficoltà

della metodica, la morte degli embrioni entro le prime 24 h post-inoculazione è

considerata non specifica; quella che si verifica tra il 2° ed il 7° giorno può essere causata

dall'infezione virale e pertanto gli embrioni vengono raccolti e conservati a 4°C; gli

embrioni sopravvissuti vengono soppressi. Successivamente, previa asportazione

dell'intestino, gli embrioni vengono omogeneizzati ed i frammenti rimossi con la

centrifugazione.

Se presente, il virus si localizza nel surnatante e dopo amplificazione su monostrato

cellulare, può essere identificato utilizzando un'ELISA diretta ,RT-PCR ,

l'immunofluorescenza o l’immunoperossidasi.

Se non si riscontra alcun decesso in seguito alla prima inoculazione si può tentare un

secondo passaggio su altre uova embrionate o su colture cellulari.

2. Inoculazione di colture cellulari

Si utilizzano cellule VERO (African green monkey kidney), cellule BHK-21(Baby

Hamster Kidney) o cellule di Aedes albopictus (AA). La tecnica fornisce risultati migliori

se preceduta da inoculazione su uova embrionate di pollo; gli embrioni vengono raccolti

e passati su cellule AA. L'effetto citopatico è atteso entro 5-7 gg mantenendo il

monostrato cellulare a 37°C in un' atmosfera contenente il 5% di CO2. Talvolta sono

necessari uno o più passaggi 'ciechi' prima di osservare la comparsa delle lesioni cellulari.

L'inoculazione diretta di colture cellulari con sangue viremico, contenente un numero

ridotto di particelle virali in grado di aderire ai substrati cellulari, può essere causa di

mancato isolamento virale. L'identificazione del virus viene effettuata con l'ELISA

diretta, con il test di immunofluorescenza o di immunoperossidasi, con il test di virus-

neutralizzazione o l’RT-PCR.

3. Isolamento nella pecora

Le pecore vengono inoculate con aliquote di 12-20 ml di cellule lavate (ottenute da una

quantità di sangue che va da 10 a 500 ml, o con 10-50 ml di sospensione di tessuto).

Dopo 28 giorni viene effettuata la ricerca degli antigeni mediante immunodiffusione in

mezzo solido mediante la prova C-ELISA .

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4. Polymerase chain reaction (PCR)

E' una metodica che permette di evidenziare il genoma virale con la sintesi ciclica di

cDNA in vitro per avere un numero elevato di copie di sequenze specifiche e semplice

evidenziazione dell'agente eziologico. I primers oligonucleotidici usati fino ad oggi

derivano da RNA 7 (gene della VP7), RNA 6 (gene della NS1), RNA 3 (gene della VP3)

e RNA 2 (gene della VP2 ).

I primers (le sequenze geniche specifiche, identificative del virus) derivati dai geni per la

VP3, VP6, VP7, NS1 e NS3, possono essere utilizzati per l'identificazione del

sierogruppo e del topotipo; infatti questi reagiranno con tutti i membri dello stesso

sierogruppo e della stessa area geografica, mentre i primers con sequenza derivata dal

gene che codifica per la VP2, forniranno soprattutto informazioni relative al sierotipo.

La metodica prevede tre fasi distinte. Con la prima fase si estrae l'RNA dal sangue o da

campioni di organo, in particolare la milza. La seconda fase include la denaturazione del

doppio filamento di RNA e quindi l'aggiunta della trascrittasi inversa per la sintesi del

cDNA che verrà poi amplificato dalla PCR. Nella terza fase vi è la lettura dei prodotti

della PCR tramite elettroforesi su gel di agarosio.

Diagnostica immunologica

Sierogruppo

La tipizzazione dei sierogruppi inclusi nel genere Orbivirus, famiglia Reoviridae si basa sulla

reattività di antisieri specifici standard con proteine virali, quali la VP7 presente e caratteristica

in ogni sierogruppo.

Vengono utilizzati anticorpi monoclonali siero-gruppo specifici (MAb).

Le metodiche più utilizzate sono:

1. Immunocapture ELISA

sebbene caratterizzato da scarsa sensibilità, è una metodica molto usata poiché rapida e

non dà cross-reazioni con virus correlati. Viene applicata ad organi di embrioni di pollo,

colture cellulari o insetti infetti. Il virus o le particelle del core vengono legate dagli

anticorpi adsorbiti sui pozzetti di piastre per ELISA, l'utilizzo di un secondo tipo di

anticorpi ne permette l'identificazione. L’anticorpo di cattura può essere policlonale o un

MAb specifico di sierogruppo.

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2. Immunofluorescenza diretta

prevede l'impiego di un anticorpo monoclonale anti-BTV coniugato con fluoresceina,

utilizzato secondo procedure standard di immunofluorescenza. su colture cellulari BHK o

VERO che sono state precedentemente infettate col virus BTV e incubate per 24-48 ore a

37° o fino all’apparire dell’effetto citopatico.

3. Immunospot test

piccoli volumi (2 µl) del supernatante ottenuto da colture cellulari infettate o lisate o

sonicate sono adsorbiti alla nitrocellulosa e lasciate asciugare all'aria.

I siti di legame non specifici vengono bloccati, tramite incubazione, con proteine di latte

scremato. Dopo l'incubazione con un anticorpo monoclonale reattivo ad un sierogruppo

della BT, l'anticorpo legato viene rivelato per mezzo di una IgG, antiglobulina di topo

coniugata alla perossidasi di rafano.

4. Perossidasi-AntiPerossidasi (PAP), indiretta e diretta

tale test è attualmente poco utilizzato, poiché è stato sostituito da un test di

immunoperossidasi utilizzando un anticorpo monoclonale diretto contro la VP7 ed un

coniugato anti-topo. Questo tipo di analisi ha diversi vantaggi rispetto

all'immunofluorescenza poiché può essere realizzato in micropiastre, non richiede un

microscopio a raggi UV ed i risultati, rilevabili in piastre colorate, possono essere

conservati nel tempo.

Sierotipo

Per la tipizzazione del sierotipo si utilizzano le prove di neutralizzazione specifiche per i 24

sierotipi di BTV attualmente riconosciuti. Generalmente si utilizzano linee cellulari le come

VERO, L929 e BHK. Le quattro metodiche principali per sierotipizzare BTV sono le seguenti:

1. Riduzione su placca

il virus che deve essere sierotipizzato viene diluito fino a circa 100 unità formanti placca e

incubato con essenza antisiero per BTV, dopodichè la miscela viene aggiunta a monostrati

cellulari e si determina il titolo del virus mediante la valutazione delle placche formatesi.

2. Inibizione di placca

viene eseguita in piastre Petri che contengono monostrati cellulari infettati con 5 x 104

unità formanti placca del virus da determinare. Dopo l’assorbimento e la rimozione

dell’inoculo le cellule vengono coperte da uno strato di agarosio e vengono poste sulla

superficie della piastra filtri di carta specifici cui è aggiunto un antisiero anti-BTV

standard. La piastra viene poi incubata per 4 giorni. L’antisiero omologo farà sì che

attorno al dischetto le cellule sopravvivano.

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3. Neutralizzazione a microtitolo

in una placca di microtitolazione con pozzetti dal fondo piano si aggiungono 100 TCID50

del virus e un volume di 50 μl per pozzetto miscelati con eguale volume di siero

anticorpale diluito in un medium per colture tissutali. La piastra viene incubata per 4-6

giorni. Successivamente il risultato viene letto mediante l’uso di un microscopio a polarità

invertita osservando la presenza nei pozzetti delle cellule vive.

4. Fluorescence inibition test

questo metodo di neutralizzazione, rapido e sensibile, richiede varie concentrazioni di un

virus sconosciuto e concentrazioni standard di un antisiero di referenza. Il virus, cresciuto

in colture cellulari, viene diluito e aggiunto ad un siero anticorpale specifico in pozzetti di

una piastra Lab-Tek un’ora prima di aggiungere le cellule. Viene incubato per 16 ore e poi

fissato e testato con un metodo di immunofluorescenza classico che utilizza anticorpi

monoclonali per BT sierogruppo specifici. Il sierotipo è indicato dalla specificità del siero

anticorpale che dà la maggiore riduzione del numero di cellule fluorescenti.

Diagnosi indiretta

Campioni da prelevare

Le prove sierologiche per evidenziare la presenza di anticorpi sierogruppo-specifici e sierotipo-

specifici negli animali immunocompetenti, venuti a contatto con BTV, si effettuano su campioni

di siero di sangue prelevati da animali in vita. I campioni vanno mantenuti a +4°C e rapidamente

inviati in laboratorio. Dopo la separazione della frazione sierica il siero può essere invece

conservato a -20°C per vari mesi (www.izs.it).

1. Fissazione del complemento

Test usato fino al 1982, quando è stato rimpiazzato dall'AGID test, in alcuni paesi viene

ancora utilizzato.

2. Immunodiffusione in gel di Agar (AGID)

Dal 1982 e per lungo tempo, è stato il test riconosciuto a livello internazionale per la

movimentazione degli animali. Ha sensibilità e specificità minore di altre prove, fra le

quali l'ELISA. Infatti l'AGID può reagire con altri Orbivirus, in particolare con l'EHD,

evidenziando falsi positivi. Il metodo prevede l'utilizzo di antigeni purificati, la cui

produzione non è semplice. A seguito delle problematiche correlate alla presenza di

reazioni crociate e alla soggettività nella lettura e nell'interpretazione dei risultati da parte

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degli operatori, l'AGID è stato progressivamente sostituito da un test più specifico, quale

l'ELISA competitiva.

3. ELISA (enzyme linked immunosorbent assay) competitivo

E' un test caratterizzato da elevata sensibilità e specificità. La specificità è dovuta

all'impiego di diversi tipi di anticorpi monoclonali sierogruppo-specifici. Nonostante la

diversità, tutti sembrano legare la regione aminoterminale della proteina maggiore del

core, la VP7. Di seguito è riportata la procedura standardizzata prevista dal manuale OIE:

- Vengono ricoperte piastre da microtitolazione a 96 pozzetti con 50-100 μl di: (1)

antigene derivato da colture tissutali ottenute da colture cellulari sonicate o (2)

proteine VP7 espresse da Baculovirus o (3) proteina VP7 virale espressa da

lieviti, ognuna delle quali diluita in soluzione tampone di carbonato 0.05 M a Ph

9.6. Le piastre vengono incubate a 4°C per tutta la notte o per un ora a 37°C.

- Le piastre vengono lavate per 5 volte con soluzione PBST (soluzione tampone

salina di fosfato 0.01 M con 0.05% o 0.1% di Tween 20 a Ph 7.2).

- In due pozzetti vengono poste due diverse diluizioni, a 1\5 o a 1\10, di 50 μl del

siero da testare in PBST contenente il 3% di albumina sierica bovina.

- Subito dopo vengono aggiunti 50 μl di una diluizione predeterminata di anticorpo

monoclinale diluito in PBST con 3% di BSA in ogni pozzetto. I pozzetti

contenenti Mab di controllo contengono soluzione tampone al posto del siero.

- Le piastre vengono incubate a 37° per un ora o a 25° per 3 ore agitandole

continuamente.

- Si procede ad un secondo lavaggio con le stesse modalità del punto 2, dopodichè i

pozzetti vengono riempiti con 100 μl di un’appropriata diluizione di IgG (H + L)

di conigli coniugate con perossidasi di rafano e PBST contenente il 2% di siero

normale bovino.

- Dopo essere stata incubata per un ora a 37°C, la soluzione coniugata viene

scartata e le piastre vengono lavate per 5 volte con PBS o PBST. I pozzetti

vengono riempiti con 100 μl di una soluzione substrato contenente ABTS (2,2’-

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azino-bis-[3-ethylbenzothiazoline-6-sulphonic acid]) 1.0 mM e H2O2 4 mM in

sodio citrato 50 nM, Ph 4.0 e vengono agitate a 25°C per 30 minuti.

- La reazione viene bloccata dall’aggiunta di un agente bloccante come il sodio

azide.

- Dopo aver tarato il lettore ELISA su un pozzetto contenente solo substrato e

soluzione bloccante, viene misurata l’assorbanza ad una lunghezza d’onda di 414

nm. I risultati sono espressi come percentuale di inibizione e sono ottenuti come

valori dell’assorbanza media di ogni campione con la seguente formula.

Assorbenza media del campione

% inibizione = 100 - ___________________________ x 100

Assorbenza media del controllo Mab

Valori maggiori del 50% sono considerati positivi. Tra il 40 e il 50% sono

considerati sospetti.

- In ogni piastra dovrebbero essere inclusi sieri fortemente e debolmente positivi e

sieri negativi. I sieri debolmente positivi dovrebbero dare il 60 – 80 % di

inibizione, i negativi meno del 40%.

Profilassi

La Bluetongue è compresa tra le malattie sottoposte a controllo da parte degli organismi sanitari

veterinari internazionali e nazionali, tramite una profilassi di tipo sanitario e immunizzante. La

scelta del tipo di profilassi da attuare è strettamente legata a fattori di tipo epidemiologico,

economico e commerciale.

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La profilassi sanitaria viene attuata principalmente nei paesi indenni e comprende restrizioni

della movimentazione animale quali il divieto di importazioni di animali recettivi e di loro

prodotti da paesi infetti, la disinfezione e disinfestazione dei mezzi di trasporto e la quarantena

per gli animali esotici in entrata destinati ai parchi zoologici.

Se vi è un sospetto di infezione si procede all’accertamento diagnostico con le metodiche sopra

riportate e se il sospetto viene confermato, all’abbattimento degli animali malati, infetti, sospetti

infetti e sospetti contaminati, alla disinfezione e disinfestazione degli ambienti in cui essi erano

stabulati e all’istituzione di zone di restrizione attorno ai focolai accertati. Nei paesi nei quali

l’infezione è endemica la profilassi si basa sulla lotta al vettore mediante l’attuazione di diverse

strategie come l’uso di insetticidi o la bonifica delle aree di riproduzione degli insetti, su norme

di profilassi diretta relative agli animali (restrizioni della movimentazione, trattamenti e

protezione dai Culicoides) e sulla vaccinazione.

Nel capitolo 8.3.1 del Terrestral Animal Healt Code 2008 dell’OIE sono indicate le principali

direttive per il controllo della BT, prendendo come riferimento una durata della capacità di un

ospite di rimanere infettante per un vettore di 60 giorni.

Attualmente l’area di distribuzione del virus è compresa tra la latitudine 53°N e 34°S anche se

dati recenti mostrano che si sta estendendo all’emisfero Nord.

In caso di mancanza di segni clinici in paesi o zone che si trovano in questa parte del mondo, la

loro situazione nei confronti del virus dovrà essere determinata da un sistema di vigilanza

permanente, ad esempio tramite l’utilizzo di animali sentinella e della sorveglianza

entomologica. Inoltre la vigilanza va effettuata in tutte le zone esposte ad un maggior rischio di

infezione (vicinanza a zone enzootiche, presenza di popolazioni suscettibili all’infezione,

presenza di vettori competenti) come indicato negli articoli 8.3.16 e 8.3.21.

La zona di vigilanza deve coprire una distanza di 100 Km dal confine con le aree infette, anche

se è possibile ridurla se esistono fattori ecologici o geografici che possono interrompere la

trasmissione del virus o se ciò è consentito dal programma di vigilanza adottato dalla zona

infetta.

Paese o zona non infetta

Si considera un paese indenne quando questo è situato a nord del 53°N o a sud del 34°S e la

segnalazione della BT è obbligatoria; esso non confina con una zona infetta e un programma di

sorveglianza ha dimostrato l’assenza del virus nei due anni precedenti e l’assenza di vettori

Culicoides spp.

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Se un paese non presenta il vettore non perde il suo status se importa animali vaccinati,

sieropositivi o infetti, seme, ovuli o embrioni da zone infette. Se vi è il vettore lo staus è

mantenuto anche nel caso di importazioni di animali sieropositivi o infetti da zone in cui è

presente la malattia nel caso in cui si tratti di animali vaccinati nei 60 giorni precedenti con

vaccini che coprano i sierotipi virali presenti nella zona d’origine, o non siano stati riscontrati

segni di trasmissione del virus nella popolazione di origine nei 60 giorni precedenti.

Un paese indenne che confina con una zona non indenne per mantenere l’indennità deve istituire

una zona di sorveglianza adeguata in cui vi sia una vigilanza permanente.

Zona stagionalmente indenne

Si definisce tale una zona infetta nella quale in determinati periodi dell’anno non vi è

trasmissione del virus o presenza di vettori Culicoides spp. adulti. Questi periodi iniziano un

giorno dopo l’ultima evidenza di trasmissione virale o dopo la cessata attività del vettore, e

terminano 28 giorni prima della data storica più precoce dell’attività virale, o in alternativa

immediatamente il giorno in cui i dati climatici indichino una possibile attività precoce del

vettore. Anche in questo caso lo status viene mantenuto anche se vengono importati animali

vaccinati, infetti o sieropositivi oppure seme, ovuli ed embrioni da zone infette durante il periodo

in cui non è presente il vettore.

Zona infetta

Zona chiaramente delimitata in cui sia stata segnalata la presenza del virus negli ultimi due anni.

La profilassi indiretta, misura utilizzata per il controllo della Bluetongue nei Paesi Europei,

compresa l’Italia, si basa sull’utilizzo di vaccini.

Attualmente nei ruminanti vengono utilizzati sia vaccini vivi che vaccini inattivati. La loro

azione protettiva è sierotipo-specifica ed è probabilmente dovuta al ruolo chiave della proteina

VP2 nell’immunità mediata dai linfociti T e B. Per questo motivo, nelle aree endemiche con la

presenza di più sierotipi di BTV, sono necessari vaccini polivalenti. Inoltre, i vaccini devono

essere sicuri e permettere la differenziazione tra gli animali infetti e quelli vaccinati (vaccini

DIVA), per agevolare il commercio. A causa di questi tre esigenze (protezione verso più

sierotipi, sicurezza e possibilità di differenziazione animali infetti-vaccinati) la vaccinazione nei

confronti di BTV è una questione problematica e controversa.

Vaccini attenuati

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I vaccini attenuati, prodotti dalla “Onderstepoort Biological Products” (Sud Africa) sono

stati a lungo utilizzati per controllare BT nelle pecore in Sud Africa e più recentemente in

Corsica, nelle Isole Baleari e in Italia.

Questi vaccini offrono un’ottima protezione dopo una singola vaccinazione per quasi un

anno e sono economici da produrre (Savini et al., 2008). Non sono però sempre sicuri,

specialmente in alcune razze suscettibili (Veronesi et al., 2005), poiché l’attenuazione è

difficile da controllare.

Essi possono generare leggeri segni clinici dopo l’iniezione, aborti, cali temporanei nella

produzione di latte e diminuzione della qualità del seme (Savini et al., 2008). Oltre a ciò,

così come il virus può dar luogo ad una viremia che dura anche più di due settimane in

pecore vaccinate (Veronesi et al., 2005), esse possono rappresentare una fonte di

infezione da virus vaccinale per i vettori, nei quali potrebbe rivirulentarsi e/o subire un

riassortimento con geni di virus selvatici dando origine a nuovi ceppi di BTV con

modificazioni della virulenza (Savini et al., 2008). I virus vaccinali attenuati sono

distinguibili dai virus selvatici solo sulla base del sequenziamento genomico. Per tutte

queste ragioni si sono rese necessarie altre strategie di vaccinazione.

Vaccini inattivati

I vaccini inattivati sono sicuri e possono generare un immunità protettiva se preparati

correttamente. Una singola vaccinazione può indurre soltanto il temporaneo rilievo di

anticorpi neutralizzanti e di solito non è sufficiente a garantire un immunità che duri per

più mesi (soprattutto nei bovini). Un’immunità più valida e duratura si può ottenere con

due iniezioni di vaccino (Savini et al., 2008).

Vaccini inattivati DIVA sono teoricamente realizzabili, ma non sono ancora stati

sviluppati (Barros et al., 2009). Sebbene questo tipo di vaccini sia costoso da produrre e il

loro uso sia restrittivo, costituiscono il miglior compromesso sicurezza/efficacia

attualmente disponibile. L’European Food Safety Authority ha consigliato che vengano

utilizzati vaccini spenti (o inattivati) e questi sono stati utilizzati dal 2005 in alcuni Paesi

Europei (incluse Francia e Italia) (Savini et al., 2008).

I vaccini inattivati utilizzabili sono efficaci però soltanto contro pochi sierotipi.

Particelle virus-like

Le proteine strutturali di BTV possono essere prodotte come proteine ricombinanti

codificate da Baculovirus nelle cellule degli insetti, ove si autoassemblano come VLP

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(virus like particles) che presentano gli antigeni di BTV senza le informazioni genetiche

del virus.

Esse sono quindi considerate naturalmente sicure e non richiedono nessun processo di

inattivazione, sebbene uno studio recente abbia rivelato che le aliquote di VPL prodotte in

laboratorio contengano un quantitativo importante di Baculovirus. Queste ultime devono

quindi essere controllate attentamente, a causa del rischio di replicazione e diffusione del

Baculovirus in campo. In ogni caso le VPL rappresentano un promettente strumento di

vaccinazione per produrre vaccini per BT multivalenti, visto che possono essere incluse

VP2 da parecchi ceppi virali.

VLP si sono dimostrate efficaci nel proteggere da rischi da BTV omologa e parzialmente

efficaci nella protezione da BTV eterologa in prove di laboratorio.

Ulteriori studi sono in attesa di valutare la stabilità strutturale a lungo termine, i costi di

produzione e di purificazione e la loro efficacia in campo.

Vettori ricombinanti

I vettori ricombinanti potrebbero essere impiegati in futuro come vaccini, se prodotti in

modo da risultare sicuri, poco costosi, DIVA, adatti all’inclusione di più sierotipi virali e

capaci di fornire un’immunità protettiva a lungo termine in un'unica vaccinazione.

Sebbene la loro realizzazione sia ancora lontana, sono stati pubblicati alcuni preliminari e

promettenti studi di laboratorio sull’uso di vettori derivanti dai Poxvirus (Schwartz-Cornil

et al., 2008).

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IL POPOLO SAHARAWI

Storia

L’origine del popolo Saharawi si può ricondurre all’immigrazione di tribù arabe Maqil

provenienti dallo Yemen, passate dall’Egitto in Tunisia nell’XI sec. e venute ad insediarsi nella

regione meridionale del Marocco, nel Sahara Occidentale ed in Mauritania agli inizi del XIII sec.

In queste regioni vennero a sovrapporsi alle tribù berbere autoctone, principalmente i Sanhaja e

in misura inferiore gli Zenata. I Sanhaja vivevano nella vasta area desertica tra il sud

marocchino, la meridionale Trarza in Mauritania e la città di Timbuctou nell’odierno Mali. La

loro migrazione verso l’interno del Sahara ebbe inizio probabilmente nel X sec. a.C.

A partire dall’XI secolo iniziarono i contatti della popolazione Saharawi con gli europei, che da

quel momento diedero il via all’esplorazione della costa del Marocco e nel 1400 si spinsero fino

alle coste del Sahara Occidentale. Sulla costa furono fondati insediamenti commerciali e vennero

poste le basi del commercio delle tribù sahariane con spagnoli e portoghesi.

Per evitare possibili conflitti derivanti da questa situazione furono firmati diversi trattati tra le

diverse potenze coloniali per definire le differenti zone di influenza in Africa occidentale.

Sebbene la Spagna, che già nel ‘400 aveva raggiunto la cosa atlantica del Sahara, non avesse

mostrato particolare interesse per quei territori, nel XIX secolo, quando la Francia divenne la

potenza dominante dell’Africa nord-occidentale, iniziarono i negoziati per definire le zone di

influenza di queste due nazioni. I confini del Sahara Occidentale furono decisi col trattato di

Berlino del 1884, le convenzioni di Parigi del 1900 e del 1904 e il trattato di Madrid del 1912.

Nel 1934 la Spagna, che assieme alla Francia aveva preso parte alla spartizione di Marocco,

Mauritania e Sahara Occidentale, diede alla popolazione di questa parte di deserto uno stato

civile e documento d’identità, con l’introduzione di un ‘visto’ obbligatorio per la transumanza

nei territori sotto il controllo francese. Questo evento ha costituito un punto chiave per l’auto-

identificazione della popolazione come appartenente al “Sahara Spagnolo”, area definita dai

confini decisi da Francia e Spagna, che prima non esisteva come luogo geografico.

Dopo la scoperta di importanti giacimenti di fosfati, tra il 1947 e il 1958, aumentò l’interesse

commerciale della Spagna, che accrebbe la sua influenza e incrementò gli scambi con la

popolazione.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale iniziarono le lotte per l’indipendenza in territorio africano e

nel 1956 il Marocco divenne il primo stato africano ad ottenerla, seguito negli anni ’50 e ’60 da

molti paesi africani. Nel 1963 l’ONU riconobbe al popolo Saharawi il diritto

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all’autodeterminazione; nello stesso anno scoppiò la Guerra delle Sabbie tra Marocco, Algeria e

Mauritania, in seguito alle rivendicazioni territoriali marocchine nei confronti di questi Paesi.

Tra i progetti di espansione del Marocco era prevista anche l’annessione del Sahara.

Nel 1967 si formò il primo gruppo nazionalista Saharawi, il Movimento di Liberazione del

Sahara (MLS) e in seguito, nel 1973 si costituì il Fronte Polisario, che nacque per opporsi al

colonialismo ma ben presto individuò nell’indipendenza il suo obbiettivo. Lo stesso anno la

Spagna informò l’ONU di voler indire un referendum per l’autodeterminazione e nell’autunno

del ’75 censì la popolazione. Contemporaneamente Marocco e Mauritania firmarono un accordo

segreto di spartizione del Sahara Occidentale e proprio su pressione di questi due paesi, in

seguito l’ONU decise di rinviare il referendum.

Il Marocco organizzò una marcia pacifica di occupazione, la ‘Marcia Verde’, nella quale

350.000 coloni marocchini seguiti dall’esercito entrarono nei territori del Sahara Occidentale.

L’esercito marocchino e quello mauritano si scontrarono in varie occasioni con il Fronte

Polisario; la popolazione fu costretta a fuggire nel deserto protetta da quest’ultimo e sotto i

bombardamenti dell’aviazione marocchina. E’ in questo modo che i Saharawi giunsero in

Algeria, nei pressi di Tindouf, e costruirono la prima tendopoli.

Nel frattempo con l’accordo di Madrid, la Spagna cedette il Sahara Occidentale a Marocco e

Mauritania.

Nel 1976 il Polisario proclamò la nascita della Repubblica Araba Saharawi Democratica (RASD)

e nel 1979 la Mauritania firmò col Fronte Polisario un accordo di pace.

Il Marocco reagì di contro raddoppiando lo sforzo bellico e costruendo sei muri di sabbia dal

confine marocchino a quello maritano, per dividere i territori sotto il suo controllo da quelli sotto

il controllo dei Saharawi.

Nel 1988 Il Marocco accettò i principi base dell’ONU e nello stesso anno il Consiglio di

Sicurezza dell’ONU approvò la risoluzione 621/1988 che autorizzò il Segretario Generale a

nominare un Rappresentante Speciale per il Sahara Occidentale e a formare la MINURSO

(Missione delle Nazioni Unite per il Referendum del Sahara Occidentale). A seguito di nuovi

scontri col Polisario però il Marocco diede il via ad una nuova marcia di 155.000 coloni e chiese

diverse condizioni per definire gli aventi diritto al voto per il referendum riguardante l’auto-

determinazione. Nel 1992 venne stabilita la data di tale referendum, ma nello stesso anno fu

spostato a data da precisarsi.

Tra il ’92 e il ’94, dopo le denunce da parte della Commissione Europea, degli Stati Uniti e del

Fronte Polisario sull’ostruzionismo marocchino, venne indetta una nuova identificazione degli

elettori per il referendum.

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Nel 2004 fu presa in considerazione una nuova proposta che prevedeva un referendum entro

cinque anni.

Da allora il referendum non si è ancora potuto svolgere, a causa del rifiuto da parte del Marocco

delle condizioni per stabilire gli aventi diritto al voto proposte dall’ONU.

La situazione attuale

I campi profughi Saharawi si trovano dislocati per la maggior parte in un’area concessa dal

governo algerino di circa 10.000 km quadrati nei pressi di Tindouf. La popolazione è di circa

200.000 persone. Circa 40.000 Saharawi vivono invece tra i Territori Liberati nel Sahara

Occidentale, la Mauritania e il Marocco.

Circa l’80% dei rifugiati è costituito da donne e bambini (ciò spiega l’importanza socio-

economica della figura femminile) che ricevono aiuti umanitari per il loro mantenimento, e che

ora grazie all’intervento delle organizzazioni Governative e non stanno raggiungendo un certo

grado di autosufficienza. La maggior parte degli uomini è impegnato al fronte e fa ritorno ai

campi solo per brevi periodi.

La popolazione nei campi profughi è suddivisa nelle 4 tendopoli chiamate col nome delle città

delle capitali del Sahara Occidentale (Smara, Auserd, El Aauin e Dajla) e in un nuovo

insediamento sviluppatosi negli ultimi anni attorno alla scuola: “27 Febrero”.

Ogni tendopoli, chiamata “wilaya”, assume ai fini amministrativi il nome e le funzioni di un

distretto regionale, ed è suddivisa in 6 “daire” (ad eccezione di Dajla che ne possiede 7), ognuna

chiamata col nome di una città sahariana, a loro volta suddivise ulteriormente in 4 “barrios”.

In ogni wilaya è presente un mercato, un ospedale, una scuola elementare e media e un centro di

accoglienza per gli stranieri. In tutte, ad eccezione di Auserd, vi è un orto e dal 2002 anche una

divisione de Dipartimento di Veterinaria.

Rabuni rappresenta il complesso dirigenziale, qui si trovano la Presidenza, i ministeri, l’ospedale

principale, l’ufficio centrale del Dipartimento di Veterinaria e la sede dell’ACNUR (Alto

Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati).

Le tendopoli distano da questo centro dai 35 km ai 60 km, mentre Dajla, la più lontana, ne dista

addirittura 160. I collegamenti tra le diverse wilayas avvengono tramite una strada asfaltata che

collega Rabuni a Smara (tendopoli più vicina), mentre per arrivare alle altre tendopoli esistono

solo delle piste nel deserto notevolmente dissestate.

La città algerina più vicina è Tindouf, sede dell’aereoporto e sede inoltre del più consistente

nucleo di forze armate algerine.

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L’economia si basa su un esigua compravendita di generi alimentari e di prima necessità, e sul

commercio agricolo incentrato sugli orti. L’unica altra attività che permette un certo grado di

sostentamento alla popolazione, è l’allevamento di alcune specie domestiche e il loro commercio

(www.arso.org; www.saharawi.it, Solinas, 2006).

Il territorio

I campionamenti si sono svolti presso le tendopoli Saharawi, anche se parte dei sieri analizzati

proviene da territori limitrofi, indicati in allegato 2.

Le tendopoli si trovano nei pressi della città di Tindouf, in Algeria sud-occidentale, tra i 27° e i

28° N., su un’altopiano desertico, l’Hammada, a circa 500 metri s.l.m. Il territorio è di tipo

desertico, e varia dal vero e proprio deserto sabbioso (101.000 km² ), a zone ad aspetto pietroso e

pianeggiante. Sono inoltre presenti anche zone di origine fluviale, con pietrisco e sabbia. La

vegetazione è scarsa, e comprende soltanto poche specie di piante che crescono nei punti dove la

falda acquifera sotterranea, molto salata, scorre più vicina alla superficie ( 2-6 m di profondità). I

vegetali in questione vivono in condizioni di umidità relativa a volte anche molto bassa, scarsità

di acqua e scarso nutrimento, sviluppando cicli vitali molto brevi. L’unica oasi vera e propria è

presente a Dajla. In ogni wilaya sono presenti inoltre degli orti artificiali.

Figura 25: Terreno e vegetazione

I pozzi principali si trovano a Dajla, El Aaioun e a Rabuni.

Le temperature presentano notevoli escursioni tra il periodo estivo e quello invernale: in estate si

raggiungono 45-50°C, con le temperature massime registrate in luglio; in inverno al contrario la

temperatura può toccare 0°C, con le temperature più basse registrate in gennaio. La piovosità

annua è di circa 50 mm; le precipitazioni si concentrano nei mesi di ottobre e novembre. Inoltre

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quando piove si possono formare veri e propri fiumi torrenziali estemporanei, molto pericolosi,

chiamati sabka.

L’umidità relativa in gennaio è inferiore al 20-30%, e scende a valori ancora più bassi in luglio,

arrivando anche a valori inferiori al 10%.

Il clima subisce l’influenza della corrente del Golfo, e dei venti secchi e polverosi che soffiano

per quasi tutto l’arco dell’anno dalle pendici meridionali dell’Atlante, e prendono il nome di

hartmattan. Le correnti influenzano anche la nuvolosità e l’esposizione solare diretta (stimata

attorno alle 3.600 ore annue) (www.arso).

La zootecnia nei campi profughi

L’allevamento per il popolo Saharawi è un attività di particolare importanza, per il ruolo rivestito

da sempre dalla pastorizia per questo popolo e poiché costituisce la principale fonte di proteine

della dieta.

Quest’attività si suddivide in due grandi gruppi: l’allevamento di stato e l’allevamento a carattere

familiare.

L’ allevamento statale di galline ovaiole (75.000 capi) è gestito dal Ministero della Cooperazione

ed realizzato in 3 capannoni contenenti ognuno 25.000 capi, situati a Rabuni. Vengono prodotte

uova vendute nei campi profughi e, se vi sono eccedenze, nel mercato algerino; inoltre le ovaiole

a fine carriera vengono macellate in una struttura adiacente e anch’esse vendute.

L’allevamento nomade di dromedari statali è effettuato nelle zone liberate del Sahara

Occidentale (area ad est dei muri) fino alla Mauritania. I ricavi di questa attività vengono usati

come forma di autofinanziamento dei vari Ministeri proprietari dei dromedari.

Ogni mandria è generalmente composta da 80-100 capi con un solo maschio intero; i restanti

maschi vengono castrati.

L’allevamento a carattere familiare di ovicaprini e dromedari si svolge attorno alle aree abitative.

Questa realtà, considerata come un’attività marginale e di poco conto, risulta però nella realtà

come la numericamente più consistente, con grande rilevanza sia dal punto di vista economico,

alimentare e sanitario. Il numero totale dei capi si aggira intorno alle 30.000 unità (censimento

eseguito dai veterinari saharawi dal 11/2000 al 5/2001).

Esistono inoltre piccoli allevamenti familiari di polli e conigli in prossimità delle abitazioni,

gestiti dalle donne o dai bambini, con un numero di animali generalmente inferiore a 10 capi.

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I dromedari allevati nell’ambito familiare, con un sistema di tipo transumante, sono animali di

passaggio perchè destinati alla macellazione, oppure sono femmine tenute solo nel periodo della

lattazione per fornire latte agli anziani e ai bambini.

Tabella 6: Popolazione animale nelle tendopoli Saharawi (Baldan, 2004)

Specie allevate Numero di capi % femmine

Caprini 16456 77%

Ovini 13658 75%

Dromedari 617 57

Asini 171 Non rilevato

Cani 81 Non rilevato

Altro (gatti, galline, piccioni) 173 Non rilevato

L’allevamento di capre e pecore nelle tendopoli

L’allevamento di ovicaprini, di maggior interesse ai fini di questa tesi, si svolge in recinti

chiamati “corrales”, costruiti con materiali di recupero tra cui soprattutto lamiere, lastre di ferro

o plastica, reti metalliche e talvolta legno e pelli di animali.

Le dimensioni dipendono dal numero di animali in essi stabulati, ma soprattutto dalla condizione

economica dei proprietari.

In alcuni casi vengono utilizzate costruzioni di mattoni di sabbia, che un tempo fungevano da

unità abitative. I “corrales” sono generalmente privi di tetto, e gli animali si trovano confinati al

loro interno solitamente di notte, mentre durante il giorno vengono lasciati liberi di pascolare per

le tendopoli. I vari recinti sono raggruppati attorno alle tendopoli, nei pressi delle diverse daira.

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Figura 26: Corral.

Figura 27: Corrales nei pressi delle Tendopoli.

Figura 28: Animali al pascolo all’interno di una wilaya.

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L’alimentazione si basa sui resti dei pasti delle famiglie (ortaggi vari, riso, lenticchie, pasta,

fondi di thè, pane) mescolati assieme e bagnati con acqua. Se vi sono le disponibilità

economiche, occasionalmente questa dieta ‘di base’ viene integrata con foraggi o mangime.

Inoltre gli animali si nutrono di ciò che riescono a trovare durante il giorno pascolando nelle

tendopoli. Spesso arrivano a strapparsi reciprocamente il vello per ottenere materiale da

ruminare. L’acqua viene fornita come già ricordato, con il pasto, e una certa quantità è

somministrata a parte in contenitori generalmente di latta.

Le razze allevate derivano da un lungo processo di selezione, con il quale sono stati ottenuti

animali in grado di sopravvivere e produrre in condizione climatiche e ambientali così avverse.

La produttività di questi animali è inevitabilmente ridotta, ma costituiscono comunque una fonte

indispensabile di sostentamento per la popolazione che vive nei campi profughi (Zerbinato,

2001).

Tabella 7: Razze allevate nei campi profughi. Razze ovine Razze caprine

TAKARATA CANARIA

TIDIMENT ARABA

SIKE

BUSGHENDER

Il progetto “Salute animale nelle Tendopoli Saharawi”

Le attività di campionamento si sono svolte nell’ambito del progetto “Salute animale nelle

Tendopoli Saharawi”, una collaborazione Africa 70 e SIVtro-VSF Italia che ha avuto inizio nel

2003.

L’obbiettivo di tale progetto prevedeva il miglioramento della qualità della vita della

popolazione delle tendopoli attraverso una più adeguata gestione sanitaria del settore

zootecnico, da attuarsi mediante il consolidamento delle capacità della struttura istituzionale

del Dipartimento di Veterinaria nella gestione di tale settore, con la definizione di strategie

settoriali e di normative adeguate in collaborazione con le comunità interessate.

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OBIETTIVI DEL LAVORO

Presso i campi profughi Saharawi nel 2004 sono state svolte indagini per l’accertamento della

presenza della Bluetongue e di eventuali vettori in grado di trasmetterla. E’ stato pertanto

prelevato un campione di siero da un numero significativo di ovicaprini presenti nelle tendopoli

e da quelli in entrata, e sono stati catturati insetti mediante una trappola di tipo “Ondertsepoort”.

Data la recente esplosione della diffusione di BTV e la scoperta di nuove specie di vettori in

grado di trasmetterlo, si è ritenuto interessante valutare la presenza dell’infezione in un'area sulla

quale esistono poche informazioni, sia per quanto riguarda la positività a BTV, sia per quanto

riguarda la presenza di vettori.

In particolare lo scopo della tesi è stato stabilire se vi fosse ancora una rilevante positività al

virus negli animali presenti nelle tendopoli, come dimostrato precedentemente da Baldan nel

2004 e se fossero presenti in loco vettori competenti riguardo alla sua trasmissione.

Per realizzare tale obbiettivo i punti fondamentali di questa tesi sono stati:

- accertamento della presenza all’interno delle tendopoli Saharawi di animali (ovicaprini)

autoctoni e non che presentino anticorpi anti-BTV;

- accertamento della presenza di specie di Culicoides nella medesima area in grado di

trasmettere l’infezione.

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MATERIALI E METODI

I campionamenti sono stati effettuati nel periodo 04-23 aprile 2006 presso le tendopoli Saharawi

(Repubblica Araba Democratica Saharawi) ed hanno previsto la cattura di Culicoides spp. in

diverse zone del territorio mediante una trappola di tipo “Onderstepoort”, oltre che il prelievo di

sieri ovini e caprini di greggi locali, per determinare l’eventuale sieropositività al virus della

Bluetongue.

Per la cattura e lo studio dei Culicoides sono state seguite, con alcune eccezioni dovute a

difficoltà incontrate sul campo, le linee guida del piano per la sorveglianza entomologica della

Bluetongue in Italia.

Protocolli di campo per la cattura dei Culicoides

I Culicoides sono stati catturati mediante una trappola luminosa di tipo “Onderstepoort”. Le

trappole “Onderstepoort blacklight suction” sono costituite dalle seguenti componenti: un telaio

di metallo con profilo laterale a tronco di piramide rovesciata (che fa da supporto a delle

lampade a fluorescenza), una ventola (Baldan 2003) ed una rete a maglie fini (circa 4 mm). La

rete ha la funzione di attuare una prima selezione degli insetti che arrivano attirati dalla luce ed

escludere dalla cattura gli insetti più grandi, specialmente le falene, le cui scaglie possono

contaminare la raccolta e rendere le analisi di un campione più laboriose. Al di sotto della

ventola di aspirazione della trappola luminosa, vi è un sacco di garza bianca sottile, collegata ad

un bicchiere di raccolta bianco della capacità di 500 ml. Il bianco è il colore più adatto da

utilizzare per il bicchiere, poiché permette di individuare meglio i piccolissimi Culicoides a

occhio nudo e di stabilire subito se è stata fatta una buona raccolta. Le lampade da 8W, in

numero di 2, sono dei tubi al neon che emettono luce ad una lunghezza d’onda nel campo

dell’ultravioletto. E’ stato dimostrato che la luce ultravioletta attrae da 8 a 10 volte più insetti

della luce bianca e può aumentare la sensibilità del monitoraggio in aree caratterizzate da una

scarsa presenza dei vettori (è inoltre in grado di fornire un elevato numero di insetti nei casi in

cui si vogliano compiere studi di isolamento del virus) (Goffredo e Meiswinkel, 2004).

La ventola, mossa da un motore elettrico da 6,8 W, è posta al di sotto delle lampade e produce un

flusso d’aria dall’alto verso il basso. La trappola è stata alimentata tramite una batteria da auto da

12 V.

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Equipaggiamento

Il kit di raccolta comprende:

- trappola blacklight (completa di rete, sacco di garza bianca e corda per sospendere la

trappola), modificata in modo da poter essere alimentata da una batteria per auto.

- batteria per auto da 12 V, con autonomia di tre giorni circa.

- caricabatteria per auto portatile.

- due bicchieri bianchi da 500 ml.

- acqua e detergente (sapone liquido commerciale senza profumo).

- contenitori con coperchio a vite etichettati, contenenti 100-150 ml di etanolo al 70%.

- un termometro elettronico interno/esterno con memoria di temperatura min/max LCD

modello THM912.

- moduli “SBT06” del Sistema Nazionale di Sorveglianza della BT.

Posizionamento della trappola nelle tendopoli

La trappola è stata posizionata nelle notti del 6, 8, 10, 15, 17, 18, 19, 20 aprile in cinque diverse

postazioni: nei pressi del Protocollo Rabuni, negli orti delle wilaya di Smara, di El Aaiun e di

Dajla e nel cortile adiacente al Dipartimento di Veterinaria della wilaya 27 Febrero.

Figura 29: Trappola Onderstepoort.

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Tabella 8: Coordinate delle località in cui è stata posizionata la trappola. Coordinate di posizionamento della trappola

El Aaiun HUERTA N27 44.876 W7 59.972 374,6 mt s.l.m.

Smara HUERTA N27 29.855 W7 49.098 391,7 mt s.l.m

Dajla HUERTA N26 49.700 W6 52.160 331 mt s.l.m

Rabuni DEPVET N27 28.392 W8 05.148 148,7 mt s.l.m

27 Febrero DEPVET N27 30.950 W8 00.574 390,7 mt s.l.m

A Rabuni la trappola è stata posta nei pressi del Protocollo, in vicinanza di una pozza d’acqua

stagnante ai bordi della quale vengono fatti pascolare durante il giorno alcuni ovini e caprini.

Durante la notte il bestiame viene poi rinchiuso all'interno di un recinto all'esterno del

Protocollo.

Gli orti delle diverse wilaya sono stati scelti come luoghi di posizionamento della trappola per la

presenza di acqua e per la vicinanza di animali al pascolo durante il giorno.

Nella wilaya 27 Febrero la trappola è stata posta nel cortile provvisto di mura del Dipartimento

di Veterinaria, per proteggerla dal vento che avrebbe potuto comprometterne il funzionamento;

poiché alcune specie di Culicoides possono volare anche a 26 m d’altezza, le mura del perimetro

non dovrebbero aver influenzato la cattura (Braveman e Linley, 1993).

Procedura di cattura

La procedura di cattura dei Culicoides è stata eseguita come segue:

- la trappola era appesa ad un altezza compresa tra 1,5 e 2 metri, il più vicino possibile agli

animali.

- il termometro massimo-minimo veniva posizionato in vicinanza della trappola.

- il bicchiere, collegato all'estremità inferiore del sacco di garza bianca, veniva riempito

(attraverso il sacco) con circa 200 ml di acqua alla quale erano state aggiunte alcune

gocce di detergente.

- l’attivazione della trappola e del termometro avveniva circa 1 ora dopo il tramonto, e la

loro disattivazione veniva effettuata il mattino seguente, appena dopo l’alba.

- al termine del periodo di cattura gli insetti venivano trasferiti, tramite l’uso di una pipetta,

in contenitori contenenti etanolo al 70%. Tale trasferimento è stato effettuato più volte in

diverse soluzioni di etanolo, in modo da eliminare progressivamente i residui di soluzione

saponata.

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- i contenitori sono stati conservati in un luogo fresco, al riparo dalla luce diretta del sole,

fino al trasporto in laboratorio.

- alla fine di ogni raccolta è stato compilato il modulo “SBT06”.

Protocolli di laboratorio per l’analisi delle catture

Ogni cattura è giunta al laboratorio accompagnata dal modulo “SBT06”, utilizzato nel piano di

sorveglianza in Italia, ed è stata quindi registrata con un numero in codice (il quale veniva

annotato di norma anche sul modulo e sull’etichetta presente sui contenitori).

Analisi delle catture

Di seguito viene riportata la procedura applicata per l’analisi delle catture:

1. la prima operazione è consistita nel separare i Culicoides dagli altri insetti trasferendo le

catture su piastre Petri contenenti etanolo ed utilizzando uno stereomicroscopio a bassa

magnificazione (6-10 X);

2. per calcolare la proporzione tra i Culicoides e gli insetti appartenenti ad altre specie, anche

tutti gli altri insetti catturati sono stati sottoposti a conteggio;

3. i Culicoides sono stati successivamente conservati in etanolo al 70% in luogo fresco per

ulteriori ricerche.

Riconoscimento dei Culicoides

Il primo passo consiste nel separare il genere Culicoides dal resto degli insetti.

La famiglia dei Ceratopogonidae comprende più di 100 generi, ma soltanto quattro di questi si

nutrono su ospiti vertebrati a sangue caldo: Leptoconops, Austroconops, Forcipomya

(sottogenere Lasiohelea) e Culicoides. La forma del corpo di questi insetti è caratteristica, ma

grosso modo simile a quella di altri generi di Ceratopogonidae. Una caratteristica distintiva dei

Culicoides è la presenza di ali maculate (tutte le specie implicate nella trasmissione del BTV,

tranne alcune eccezioni, possiedono un proprio pattern alare), anche se il pattern alare non è

esclusivo dei Culicoides. Basandosi soltanto sulla forma del corpo e sul pattern alare (a bassa

magnificazione tramite lo stereoscopio) è possibile identificare i Culicoides con un 80% di

specificità ed un 80% di sensibilità; il 20% di “falsi positivi” sarà rappresentato da altri insetti

con ali maculate (e.g. Chironomidae), mentre il 20% di “falsi negativi” sarà costituito da

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Culicoides dalle ali prive di pattern. L’identificazione di quest’ultimo gruppo si realizza al

meglio tramite un esame scrupoloso delle venature delle ali ed utilizzando un alta

magnificazione.

Un accurata identificazione a livello di specie richiede conoscenze altamente sviluppate; la

maggior parte delle specie, soprattutto quelle dei complessi dei vettori, possono essere

identificate con relativa facilità soltanto fino al livello di “complessi di specie”.

Allestimento dei vetrini: Chiarificazione e Fissaggio

Gli insetti conservati in etanolo al 70% sono stati trasferiti direttamente in alcol-fenolo

all’interno di provette di vetro; in questa soluzione la chiarificazione avviene in circa quattro ore.

Il mezzo d’elezione utilizzato per il fissaggio è il balsamo del Canada. Il vantaggio principale di

tale mezzo, rispetto ad altri, risiede nell’elevata stabilità che ha dimostrato avere anche per molti

anni. I principali svantaggi sono invece rappresentati dal fatto che la preparazione richiede molto

tempo in quanto i vetrini impiegano molto tempo per asciugare (parecchie settimane o mesi),

inoltre il balsamo ha la tendenza a scurirsi col passare degli anni. In ogni caso è sempre possibile

estrarre i campioni immergendoli in xilene o in fenolo alcolico e procedere a un rimontaggio,

sebbene tale procedura comporti dei rischi dovuti all’estrema fragilità dei campioni.

Il balsamo del Canada è molto denso e spesso non può essere versato all’interno della bottiglia se

questa non viene precedentemente riscaldata con acqua calda. Esso può essere fluidificato con

alcol-fenolo, una soluzione satura di cristalli di fenolo in alcol etilico assoluto. Per prepararlo

occorre aggiungere una quantità molto piccola di alcol (10 ml alla volta) ad una bottiglia di

cristalli di fenolo.

Il liquido tende a raffreddarsi molto durante questa operazione e potrebbe essere necessario

riscaldarlo prima di aggiungere altro alcol. E’ opportuno lasciare uno spesso strato di cristalli

non dissolti sul fondo della bottiglia. Il fenolo alcolico è molto caustico, è consigliabile quindi

una particolare attenzione nel maneggiarlo.

Per ottenere risultati migliori è auspicabile diluire piccole quantità di balsamo al bisogno e

conservarle per periodi di tempo brevi.

La quantità di alcol-fenolo necessaria per diluire il balsamo dipende dalle preferenze personali

dell’operatore, soluzioni dense non si stenderanno molto facilmente sul vetrino e i campioni

potrebbero essere più facili da sezionare.

La preparazione dei vetrini avviene collocando quattro gocce di balsamo separate al centro di un

vetrino, poi si procede a trasferire l’insetto nella goccia in basso a sinistra. Mediante uno

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stereomicroscopio ad un ingrandimento di 12-15x si separa la testa dal resto dell’insetto e la si

pone all’interno della goccia in alto a destra. Con un ago tagliente si separano le ali dal torace e

si pongono nella goccia di balsamo in basso a destra. Con due aghi si posiziona il torace in modo

da farlo giacere di lato e si asporta il mesonotum assieme allo scutellum, facendo attenzione a

non tagliare le zampe. Si posiziona il mesonotum assieme al resto del torace e delle zampe nella

goccia in basso a sinistra. Infine si rimuove l’addome e lo si posiziona nella goccia di balsamo in

alto a sinistra.

Figura 30: Posizionamento delle diverse parti di Culicoides spp. sul vetrino.

Le gocce di balsamo contenenti gli insetti vengono ricoperte con parti quadrangolari di un

vetrino coprioggetto dalle dimensioni di 7x7 mm (ottenute dividendo un vetrino coprioggetto di

22mm di lato in nove parti uguali mediante un tagliavetro con punta in diamante). La testa deve

essere orientata in modo che si trovi in posizione frontale con le antenne distese; la parte ventrale

dell’addome in modo che sia rivolta dorsalmente; le ali devono presentarsi distese e la parete

dorsale del mesonotum deve trovarsi rivolta dorsalmente.

I microbisturi adatti alle operazioni sopraccitate si ottengono appianando l’ago di una comune

siringa ipodermica mediante un piccolo martello su di una superficie piana d’acciaio, facendo

attenzione a mantenere il bordo smussato verso l’alto. Si ottiene così un ago con la parte finale a

forma di punta di freccia, con due bordi taglienti. Questo ‘bisturi’ viene infine montato su di una

bacchetta di vetro scaldandola al bunsen. Per disporre le gocce di balsamo sui vetrini è stata

utilizzata una barretta di vetro con un estremità arrotondata. Per trasferire i Culicoides dalle

provette di vetro al vetrino sono state utilizzate pinze chirurgiche con punta dritta acuta

(Boorman e Rowland, 1988).

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Figura 31: Sezionamento di un Culicoides.

Figura 32: Sezionamento di un Culicoides.

Identificazione dei Culicoides

Le caratteristiche di maggior importanza sono:

1. macchie presenti sulle ali

2. distribuzione dei sensilli celoconici nelle antenne delle femmine

3. proporzione delle antenne

4. forma degli organi sensori sul terzo segmento dei palpi

5. numero e forma delle spermateche

6. forma dei genitali maschili

La testa

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Gli occhi sono talvolta utili all’identificazione: in alcune specie essi sono separati, in altre sono

contigui. Occasionalmente presentano piccolissimi peli o setole tra le celle degli occhi composti

(per questo motivo vengono anche definiti occhi “pelosi”). Questa caratteristica è più visibile in

campioni trattati con potassio caustico e chiarificati, ma si può apprezzare anche osservando

attentamente il loro profilo.

La forma dei palpi, in particolare del terzo segmento e la lunghezza della proboscide forniscono

utili elementi diagnostici. Il terzo segmento dei palpi è spesso rigonfio e il rapporto dei palpi

”palp ratio” definito come lunghezza del segmento 3 divisa per la maggior larghezza è spesso

utile. Il terzo segmento dei palpi è provvisto di un gruppo di sensilli o di un foro sensoriale la cui

forma può essere utile per differenziare alcune specie.

Le antenne hanno una considerevole importanza diagnostica. Sono costituite da quindici

segmenti: una base, un pedicello, e tredici segmenti flagellari. Per questo motivo i segmenti

vengono indicati con la dicitura 3-15 (o da III a XV). E’ comunque più preciso indicarli come

segmenti flagellari o flagellomeri. La proporzione delle antenne a/b si trova dividendo la

lunghezza dei cinque segmenti apicali (11-15) per la lunghezza degli otto segmenti basali (3-10).

I vari segmenti possiedono una varietà di sensilli, i più importanti dei quali sono i sensilli

celoconici. Essi sono piccolissimi fori circondati da corte setole che si trovano generalmente

verso l’apice dei segmenti; il loro numero varia da uno a molti, e possono essere presenti o

assenti in ogni segmento.

Tutti i Culicoides possiedono sensilli celoconici al segmento 3 e la distribuzione nelle femmine è

spesso diagnostica (per esempio possono essere presenti su 3-15, o 3, 11-15 soltanto, o su 3, 5, 7,

9, 11-15, o in altre combinazioni).

Inoltre sulle antenne sono presenti altri sensilli, i sensilli tricoidei, i sensilli basiconici, i sensilli

ampullacei e i sensilli chaetica (Cornet, 1974). Sono utili nella distinzione di alcune specie, ma

generalmente non hanno una grande importanza. I sensilli tricoidei (chiamati ‘sensilli

trasparenti’ da alcuni autori francesi) sono utili nella distinzione di alcuni membri del gruppo

obsoletus (non nel Regno Unito). Le antenne degli esemplari maschi possiedono anch’esse

sensilli celoconici, che però hanno una differente distribuzione rispetto alle femmine e non sono

ancora stati studiati in modo approfondito.

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Il torace

Il mesonotum dovrebbe essere chiaro, non chiazzato o, in alcune specie, con evidenti macchie

scure.

Queste sono più visibili nei campioni a secco, sebbene il mesonotum in questo caso possa

presentarsi distorto; se esso viene separato durante il montaggio su vetrino e montato appiattito

con la parte dorsale rivolta verso l’alto le macchie potrebbero essere distinte con l’uso del

microscopio. Le zampe occasionalmente mostrano bande scure che però non rivestono grande

importanza nell’identificazione dei Culicoides.

Le ali sono di primaria importanza. La venatura è ridotta e si può sempre notare la formazione di

due celle radiali.

Le descrizioni più datate potrebbero riportare nomi diversi per le celle e per le venature; Kremer

(1966) ha preparato una tabella con i vecchi nomi. Molti Culicoides presentano ali con macchie

più chiare e più scure e la disposizione e l’estensione di queste distingue le varie specie. Le ali

forniscono inoltre indicazioni sulle relative dimensioni. La loro lunghezza si misura dall’arco

basale alla punta dell’ala (l) e la lunghezza della costa dall’arco alla fine della seconda cella

radiale (c). Il rapporto costale si ottiene dal c/l, sebbene questo rapporto sia di uso limitato per il

genere Culicoides.

na.

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Figura 35: Ala di C. circumscriptus.

L’addome

Per quanto riguarda l’apparato genitale femminile, il numero delle spermateche costituisce un

importante strumento diagnostico: le femmine di Culicoides possono averne da una a tre.

I genitali nel maschio rappresentano uno dei tratti maggiormente diagnostici. I caratteri da

osservare sono: la forma del nono sternite ed in particolare il suo bordo posteriore, la presenza o

l’assenza di processi laterali; la forma dell’edeago e dei parameri.

Il nono sternite può essere separato e la membrana che lo ricopre può presentare numerose

piccole spicole o può essere “nuda”. La sua forma ha un’importanza particolare nel differenziare

i membri del gruppo obsoletus. Anche le radici ventrali del basistilo danno informazioni: in

alcune specie si presentano lunghe e si assottigliano, in altre sono a “forma di piede” (Rawlings,

1996).

Figura 36: Apparato genitale maschile di C. sejfadinei.

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Prelievo di sangue ovino e caprino

Le attività di prelievo sono state effettuate durante le visite routinarie alle greggi da parte del

capo-progetto e del personale del Dipartimento di Veterinaria, in concomitanza con la campagna

di vaccinazione per il vaiolo ovino.

Sono stati utilizzate Vacutainer con aghi da 23G. Il sangue è stato prelevato dalla vena giugulare,

messa in evidenza facendo pressione con la mano a valle del punto di prelievo. Un volta

prelevato il sangue, il siero è stato isolato mediante centrifugazione e trasferito all’interno di

provette Eppendorf da 1,5 ml.

Le provette sono state poste in congelatore a -20°C fino al momento della spedizione.

Il trasporto è avvenuto in borsa termica, mantenendo la temperatura sotto lo zero mediante

sacchetti di ghiaccio istantaneo in busta.

Sono stai inoltre trasportati altri sieri prelevati da ovini e caprini da altri operatori nei territori

limitrofi ai campi profughi, per verificare la presenza anche in questi ultimi del virus BTV ed

avere maggiori informazioni sull’epidemiologia del virus in un area più ampia di territorio.

Tutti i sieri sono stati inviati all’Istituto Zooprofilattico di Teramo nel gennaio 2007 (una volta

separata la frazione sierica il siero può essere conservato a -20°C per parecchi mesi).

Prove di laboratorio per la diagnosi indiretta

Negli animali immunocompetenti venuti a contatto con BTV si osserva la comparsa di anticorpi

sierogruppo-specifici e sierotipo-specifici che possono essere rilevati con i seguenti test eseguiti

dall’ Istituto:

1. ELISA (enzyme linked immunosorbent assay) competitiva

E' un test caratterizzato da elevata sensibilità e specificità. La specificità è dovuta

all'impiego di diversi tipi di anticorpi monoclonali sierogruppo-specifici. Nonostante la

diversità, tutti sembrano legare la regione aminoterminale della proteina maggiore del

core, la VP7. Il siero in esame viene posto in contatto con l'antigene noto. Se nel siero

sono presenti gli anticorpi, questi si legheranno all'antigene occupando i siti di legame,

competendo con gli anticorpi monoclonali coniugati con enzima aggiunti

successivamente. Questi ultimi infatti, non trovando siti di legame liberi, non si legano e

l'aggiunta del successivo substrato cromogeno non determina colorazione. Al contrario,

in assenza di anticorpi sierici, si ha evidenza di colorazione. Il test, raccomandato

dall'OIE, permette di evidenziare gli anticorpi di tutti e 24 i sierotipi, inoltre, data

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l'elevata specificità, non si hanno reazioni verso antigeni correlati o proteine cellulari. La

lettura, infine, è effettuata tramite spettrofotometro con risultati oggettivi che possono

essere ottenuti in 4 ore.

2. Sieroneutralizzazione

E' una prova molto sensibile ed altamente specifica, in grado di rilevare gli anticorpi

neutralizzanti nel siero di animali venuti a contatto con il BTV. Questi, legandosi alla

proteina VP2 caratteristica per ogni sierotipo, conferiscono alla sieroneutralizzazione la

facoltà di identificare il sierotipo virale. Il test si basa sulla capacità degli antisieri tipo-

specifici di neutralizzare l'effetto citopatico del BTV. I sieri diluiti per raddoppio a partire

dalla diluizione di 1:10 sono messi a contatto con i diversi sierotipi di BTV

preventivamente titolati per consentire la eventuale neutralizzazione virale. Ai campioni

sono successivamente aggiunte cellule VERO come sistema rilevatore dell'attività del

virus. La lettura effettuata dopo 4-7 giorni valuta la presenza di effetto citopatico sul

tappeto cellulare. Un siero è considerato positivo per un determinato sierotipo virale

quando è in grado di inibirne l'effetto citopatico (www.izs.it).

Analisi dei dati

Per verificare la presenza di differenze significative nella positività al test ELISA dipendente dal

genere (Ovis e Capra) è stata costruita una tabella di frequenza; le frequenze ottenute sono state

confrontate con le frequenze attese mediante Test del χ2. Sono state considerate significative

differenze tra le frequenze associate a p<0,05.

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RISULTATI

Le catture

Sono state eseguite otto diverse catture in cinque località differenti nel periodo 04-23 aprile 2006

(Tabella 9).

Il protocollo di cattura dei Culicoides prevedeva anche la misurazione delle temperature e delle

umidità relative massime e minime durante il giorno e durante la notte; a causa di un

inconveniente verificatosi sul campo (esposizione del termometro a temperature troppo elevate e

perdita di alcune funzioni dello stesso) non è stato possibile raccogliere direttamente questi dati.

Per sopperire alla mancanza di tali informazioni è riportata, di seguito, la tabella con i dati

relativi alle temperature e alle umidità relative massime e minime diurne e notturne misurate

dalla stazione meteorologica DAOF 60656 situata nei pressi dell’aeroporto di Tindouf,

latitudine: 27° 42' 1" N (deg min sec), longitudine: 8° 10' 2" W (deg min sec), elevazione: 431 m

(Tabella 10).

Tabella 9: Località e date in cui sono state effettuate le catture e animali allevati presenti. Luogo delle catture

Data delle catture

Animali presenti

Rabuni 08/04/2006 Caprini, Ovini El Aaiyoun 10/04/2006 Caprini, Ovini, Dromedari, Asini Smara 15/04/2006 Caprini, Ovini, Dromedari, Asini Rabuni 17/04/2006 Caprini, Ovini 27 Febrero 18/04/2006 Caprini, Ovini Rabuni 19/04/2006 Caprini, Ovini Smara 20/04/2006 Caprini, Ovini, Asini Dajla 06/04/2006 Caprini, Ovini, Dromedari, Asini

Tabella 10:Temperature e umidità relative misurate dalla stazione meteorologica DAOF 60656 situata nei pressi dell’aeroporto di Tindouf (www.underground.com). Data catture T max

diurna (C°)

T min diurna (C°)

T max notturna (C°)

T min notturna (C°)

Umidità rel max diurna (%)

Umidità rel min diurna (%)

Umidità rel max notturna (%)

Umidità rel min notturna (%)

06/04/2006 30 14 24 14 72 9 67 21 08/04/2006 35 17 31 17 45 7 42 14 10/04/2006 35 23 28 22 38 5 38 14 15/04/2006 37 22 22 30 43 8 46 18 17/04/2006 31 15 26 13 59 5 67 19 18/04/2006 31 15 24 14 82 11 77 34 19/04/2006 31 14 26 13 77 11 77 21 20/04/06 31 14 26 13 77 11 77 21

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Da questi dati si evidenzia che la temperatura massima raggiunta è stata di 37° C il giorno 15

aprile, mentre quella più bassa è stata di 13° C nei giorni 17, 19 e 20 aprile.

La media delle temperature registrate in questo periodo è di 25° C.

L’umidità relativa è, invece, stata caratterizzata da un range di variabilità più elevato, oscillando

da un massimo del 77% nei giorni del 18, 19, 20 aprile ad un minimo del 7% il giorno 8 aprile.

Delle otto catture effettuate due hanno portato alla raccolta di un numero molto esiguo di insetti

ed in due casi tale raccolta è stata completamente nulla, probabilmente a causa del forte vento

che ha investito le tendopoli il giorno 14 aprile.

Le quattro catture con il maggior numero di insetti hanno portato all’identificazione di cinque

diverse specie di Culicoides, come riportato in tabella 11.

Tabella 11: Descrizione e identificazione degli insetti raccolti nelle diverse catture

Delle specie identificate, C. obsoletus è considerato vettore della Bluetongue, mentre C. schultzei

potenziale vettore; le caratteristiche morfologiche che hanno portato all’identificazione e le

località nelle quali è stata riscontrata la loro attività sono riportate in allegato 1 e 2. In allegato 1

vengono descritte anche le altre specie identificate, con le loro principali caratteristiche.

Luogo della cattura Data Numero di insetti totali

Culicoides spp.

Specie identificate

Rabuni 06/04/2006 782 19 C. semimaculatus C. sejfadinei

El Aaiyoun 08/04/2006 2163 46 C. semimaculatus C. sejfadinei C. schultzei C. circumscriptus

Smara 10/04/2006 1838 8 C. semimaculatus C. sejfadinei C. obsoletus

Rabuni 15/04/2006 9 0 0 27 Febrero 17/04/2006 8 2 C. sejfadinei Rabuni 18/04/2006 0 0 0 Smara 19/04/2006 0 0 0 Dajla 20/04/2006 164 20 C. semimaculatus

C. sejfadinei

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70

Sierologia

In totale sono stati esaminati i sieri di 369 animali, 179 prelevati all’interno delle tendopoli e 190

provenienti dalle aree limitrofe indicate in allegato 2.

I prelievi sono stati effettuati per i primi nel periodo dal 6 aprile al 20 aprile 2006, durante la mia

permanenza nei campi profughi Saharawi, mentre i secondi sono stati prelevati in un periodo

precedente, che va da dicembre 2005 a gennaio 2006, dal personale del Servizio Veterinario

della RASD. Il seguente grafico mostra le località di provenienza dei campioni e la quantità di

sieri per ogni località.

Per quanto riguarda i sieri prelevati nelle tendopoli, di 179 animali il 36,87% è risultato positivo

al test ELISA, mentre il 63,13% è risultato negativo a tale test.

Il grafico seguente riporta la proporzione tra le due categorie per ogni località di prelievo.

0 10 20 30 40 50 60 70

Numero di campioni

RABUNI

EL AAIOUN

SMARA

DAJLA

27 FEBRERO

Località

positivi negativi

0 10 20 30 40 50 60 70

Numero di campioni

Numero di campioni prelevati per ogni località SMARALEHFERAALZAUAD27 FEBREROEL AAYOUNZEMURWAD LEZELTAGANTWAD ASKAFEMKADA DE LEGMA TIRSBIR TILISITBIR MOGREINBEN HEMERARABUNIDAJLA

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Per i sieri di questi animali è stato inoltre valutata la positività al test ELISA per gli animali

autoctoni. Dei 73 animali nati in loco, il 42,46% è risultato positivo al test, il 57,54% è risultato

negativo, come mostrato dal grafico seguente. Ai fini statistici, va segnalato inoltre che l’età di

due capi esaminati era inferiore a 2 anni.

Nei territori limitrofi alle tendopoli l’82,63% dei campioni è risultato positivo. Confrontando

questi due dati si può anche notare una maggiore sieropositività per i sieri prelevati al di fuori dei

territori delle tendopoli, come mostrato nel grafico sottostante.

E' stato anche valutato, relativamente ai soli sieri delle tendopoli, se vi fossero differenze nella

positività al virus dipendenti dal genere. Tramite una tabella di contingenza è stata messa in

relazione la positività o negatività al virus con l'appartenenza del soggetto al genere ovis spp. o

0

10

20

30

40

50

campioni

ELISA positive ELISA negative

Test ELISA su animali autoctoni

0 10 20 30 40 50 60

Numero di campioni

TAGANT

TIRS

WAD ASKAF

WAD LEZEL

ZEMUR

LEHFERA

EMKADA DE LEGMA

BIR TILISIT

BIR MOGREIN

BEN HEMERA

ALZAUAD

Località

positivinegativi

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capra spp. Il test del χ2 ha rilevato differenze significative (χ2=4.16, gdl=1, p<0.05) nella

positività al virus, in particolare sembra esservi una maggior frequenza di positività nel genere

ovis.

Negativi Positivi Totali

Capraspp. 63 27 90 Ovis spp. 48 39 87 Totali 111 66 177

0

10

20

30

40

50

60

70

80

90

100

CAPRA PECORA

Positivi

Negativi

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I sieri prelevati nelle tendopoli sono stati inoltre sottoposti a sierotipizzazione per identificare i diversi sierotipi presenti. Soltanto due sieri sono risultati positivi per BTV-1.

Le località prossime ai campi hanno indicato la presenza

di un numero esiguo di capi positivi ai seguenti sierotipi: BTV-1, BTV-2, BTV-4, BTV-8, BTV-16. località Siero. 1 Siero. 2 Siero. 4 Siero. 8 Siero. 9 Siero. 16 WAD ASKAF 0 0 0 0 0 0 BEN HEMERA 0 0 0 0 0 0 WAD LEZEL 0 0 0 0 0 0 ALZAUAD 0 1 3 4 0 2 TAGANT 0 0 0 0 0 0 TIRS 0 0 0 0 0 0 ZEMUR 0 3 0 1 0 0 EMKADA DE LEGMA 0 0 0 0 0 0 LEHFERA 0 1 1 0 0 0 BIR MOGREIN 0 0 0 0 0 0 BIR TILISIT 3 1 1 0 0 0 totali 3 6 5 5 0 2

località Siero. 1 Siero. 2 Siero. 4 Siero. 8 Siero. 9 Siero. 16 RABUNI 0 0 0 0 0 0 EL AAIOUN 1 0 0 0 0 0 SMARA 1 0 0 0 0 0 DAJLA 0 0 0 0 0 0 27 FEBRERO 0 0 0 0 0 0 totali 2 0 0 0 0 0

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DISCUSSIONE E CONCLUSIONI

I risultati del test ELISA, effettuati sui sieri degli animali presenti nelle tendopoli, hanno

evidenziato una consistente percentuale globale (36,87%) di animali positivi. Questi risultati, pur

non dimostrando direttamente la presenza del virus, hanno dato conferma dell’esistenza di

animali che, in qualche modo, sono venuti a contatto con esso (è da notare che nei campi

profughi Saharawi non viene eseguito alcun tipo di vaccinazione per BT), come si era già

verificato in precedenza (Baldan, 2004).

Sebbene la sieropositività sia elevata, gli animali da cui sono stati prelevati i campioni non

mostravano segni clinici evidenti della malattia, salvo in alcuni rari casi, nei quali però i sintomi

clinici erano aspecifici. Questo può essere spiegato dal caratteristico adattamento all’ambiente

sfavorevole delle specie di ovi-caprini presenti in territorio Saharawi, considerate

particolarmente resistenti alla BT e quasi sempre colpite da infezioni di tipo subclinico. Le zone

nelle quali è stata verificata la sieropositività al virus si trovano nello Stato Algerino, nel quale il

virus della Bluetongue è stato segnalato ufficialmente per la prima volta nel 2000 (Mellor et al.,

2008), nel 2004 (Baldan, 2004) e nel biennio 2006-2007 (www.oie.int).

Inoltre, la malattia è stata segnalata nell’anno 2000 in Tunisia e in Marocco; in quest’ultimo stato

la segnalazione è avvenuta anche nel 2004 (Mellor et al., 2008). Le ultime segnalazioni riportate

dall’O.I.E. in questi due paesi riguardo alla presenza della malattia risalgono al 2006

(www.oie.int).

Le analisi effettuate per monitorare le zone limitrofe ai campi Saharawi rivelano, inoltre, una

percentuale ancora maggiore di sieropositivi per BT al test ELISA, rispetto alla percentuale di

positivi nei campi stessi.

Sui sieri provenienti dalle tendopoli è stata anche effettuata un’analisi utilizzando una tabella di

contingenza, per accertare eventuali differenze di sieropositività dipendenti dal genere. I risultati

del test hanno messo in evidenza una maggior frequenza di positività nelle pecore rispetto alle

capre.

Inoltre si è evidenziata una percentuale molto alta di animali autoctoni positivi al virus (42,46%);

questo dato fornisce un ulteriore prova a favore della tesi di una positività dovuta ad un effettiva

circolazione del virus nella popolazione animale, oltre che all’importazione di animali infetti. Va

inoltre segnalato che tra i capi autoctoni sieropositivi vi erano 2 soggetti che per la loro età (<2

anni) non potevano essere presenti nei campi al tempo dell’effettuazione dell’indagine

precedente (Baldan, 2004) e che quindi sono spia di trasmissione dell’infezione in tempi

successivi al 2004.

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Le prove di siero neutralizzazione, svolte ai fini della sierotipizzazione, hanno dato scarsi

risultati e ciò è probabilmente da mettere in relazione alla difficoltà di conservare i campioni ad

una temperatura adeguata.

In ogni caso all’interno delle tendopoli due sieri sono risultati positivi per BTV-1, in accordo con

i report che dichiaravano la comparsa di questo sierotipo in Algeria e Marocco nel 2006

(www.oie.int).

Nei territori limitrofi alle tendopoli, ad Alzauad è stata riscontrata un’esigua quantità di campioni

positivi per i sierotipi BTV-2, BTV-4, BTV-8 e BTV-16; a Zemur i sierotipi rinvenuti sono stati

BTV-2 e BTV-8 e a Bir Tilisit i sierotipi BTV-1, BTV-2, BTV-4. Mentre, in precedenza, in Nord

Africa i sierotipi BTV-2 e BTV-4 erano stati segnalati in Algeria e Marocco (www.oie.int), per

BTV-8 e BTV-16 non è mai stata fatta alcuna segnalazione in questi territori. L’origine di tali

capi è però non accertabile e pertanto la spiegazione della origine dell’infezione impossibile.

Per quanto riguarda le catture, la densità degli insetti vettori non è risultata particolarmente

elevata, raggiungendo un massimo di 46 Culicoides; inoltre, il numero di Culicoides è risultato

minore in proporzione agli altri insetti nelle catture con il maggior numero di insetti totali. Sono

state identificate cinque diverse specie di Culicoides: C. schultzei, C. obsoletus, C.

semimaculatus, C. circumscriptus, C. sejfadinei, la cui presenza era già stata segnalata in

precedenza in territorio Algerino, ed in particolare per C. sejfadinei e C. circumscriptus si

riportano segnalazioni anche nel deserto del Sahara algerino (Szadziewski, 1984). Le specie di

maggior interesse dal punto di vista epidemiologico sono risultate essere due: C. obsoletus, del

quale è stato catturato un singolo esemplare, e C. schultzei. La prima specie è indicata come

vettore della Bluetongue (Mehlhorn et al., 2007) (Vanbinst et al., 2009) (Jasmin et al., 2009)

(Savini et al., 2005). La seconda specie, di cui sono stati invece catturati più esemplari, è indicata

come potenziale vettore della malattia (Cornet e Brunhes, 1994). Il riscontro della presenza di un

vettore accertato e di un vettore potenziale di BTV, associata al rilievo di percentuali

significative di sieropositività negli animali, che per di più confermano sieropositività già

evidenziate in passato (Baldan, 2004), orientano verso la tesi di un effettiva circolazione del

virus in loco. Il passo successivo, per confermare tale tesi è la verifica della presenza dell’RNA

virale all’interno degli insetti, verifica che non è stato possibile eseguire sui campioni di

Culicoides utilizzati per questo studio, sia per le condizioni di cattura e di conservazione cui

sono stati sottoposti, sia perché per l’identificazione delle specie è stato necessario montarli su

vetrino.

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ALLEGATO 1

C. circumscriptus Diagnosi e note

Le ali presentano una macchia nera appena distalmente alla venatura T, e la venatura Cu2

presenta un bordo pallido per tutta la sua lunghezza.

Le femmine hanno un rapporto di 1,37-1,50 e spermateca singola di forma ovoidale. Il terzo

segmento dei palpi è rigonfio con un unico grande foro sensoriale.

I genitali maschili presentano due processi laterali sporgenti e divergenti, l’edeago è triangolare,

e la membrana del nono sternite presenta spicolature.

Distribuzione dei sensilli sulle antenne: [3-14]

Figura 37: Ala di C. circumscriptus.

Figura 38: Apparato genitale maschile di C. circumscriptus (www.culicoides.net).

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Distribuzione

Dalla Gran Bretagna e maggior parte dell’Europa, alla Russia; dal Nord Africa a Israele.

C. semimaculatus

Diagnosi e note

Poche specie presentano ali grigiastre, senza macchie o con poche macchie sbiadite. E’ presente

una macchia pallida sopra la venatura crociata, appena al di là della seconda cella radiale, una in

cu e un’altra nella cella anale. Le femmine hanno un rapporto a/b di 1.21-1.30.

Distribuzione dei sensilli sulle antenne: [3-10]

Figura 39: Ala di C. semimaculatus.

Figura 40: Apparato genitale maschile di C. semimaculatus.

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78

Figura 41: Spermateche di C. semimaculatus.

Distribuzione

Algeria, Italia, Israele, Cecoslovacchia.

C. sejfadinei Diagnosi e note

Le ali sono grigio-pallide, senza macchie. I genitali del maschio sono simili a quelli di C.

ibericus ma la membrana del nono sternite è spicolata. Nella femmina il rapporto a/b è 0,85-1.0

e le spermateche sono tre, chitinizzate e ben visibili.

Distribuzione dei sensilli sulle antenne: [3,5-10]

Figura 42: Ala di C. sejfadinei.

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Figura 43: Apparato genitale maschile di C. sejfadinei.

Figura 44: Spermateche di C. sejfadinei.

Distribuzione

Europa Meridionale, Nord Africa e paesi confinanti col Mediterraneo, Russia.

C. obsoletus

Diagnosi

Le ali hanno un pattern alare tipico e la seconda cella radiale pallida. Questa specie si può

facilmente distinguere dalla forma dei genitali del maschio, in particolare dal nono sternite

profondamente scisso (ma non completamente diviso). Il rapporto a/b nella femmina è di 1,04-

,23. Inoltre le femmine delle specie C. obsoletus, C. scoticus e C. dewulfi sono difficilmente

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distinguibili sebbene in generale le femmine di C. scoticus siano piuttosto grandi ed abbiano

macchie più evidenti. Potrebbero essere scambiate per C. impunicatus, ma i palpi in C. obsoletus

hanno una sola piccola cavità sensoriale mentre in C. impunicatus hanno numerose piccole

cavità superficiali. Entrambi i sessi sono molto simili a C. montanus, ma le femmine di questa

specie hanno sensilli tricoidei corti, robusti e smussati (“sensilli trasparenti”) nel segmento

basale delle antenne, che sono lunghi circa quanto un articolo delle antenne, mentre in C.

obsoletus i sensilli sono lunghi circa quanto due articoli , affusolati e appuntiti.

Distribuzione dei sensilli sulle antenne: [3,11-15]

Figura 45: Ala di C. obsoletus.

Figura 46: Apparato genitale maschile di C. obsoletus.

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Ruolo come vettore di BTV

BTV è stato isolato da C. obsoletus per la prima volta a Cipro (Mellor e Pitzolis, 1979).

Successivi studi hanno più volte confermato il suo coinvolgimento nella trasmissione del virus

(Meiswinkel et al.,2004), sia dimostrando la sua presenza consistente in aree in cui si è avuta

l’infezione come ad esempio l’Europa Centrale, sia dimostrando mediante PCR la presenza di

BTV all’interno dell’insetto (Mehlhorn et al, 2007) ( Vanbinst et al., 2009) (Jasmin et al.,

2009) (Savini et al., 2005).

Distribuzione

Si distribuisce dall’Inghilterra, attraverso l’Europa e la Scandinavia fino alla Russia e al

Giappone e dal Marocco attraverso il Nord Africa fino allo stato di Israele.

C. schultzei

Diagnosi e Note

Sono presenti due macchie pallide nella cella cubitale, e le macchie chiare in entrambi i lati della

base della venatura M2 sono separate dalla venatura stessa.

Distribuzione dei sensilli sulle antenne: [3,8-10]

Ruolo come vettore di BTV

I Culicoides appartenenti a questa specie sono indicati come potenziali vettori di BTV (Jennings

et al., 1983) (Cornet e Brunhes, 1994).

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Figura 47: Ala di C. schultzei.

Distribuzione

Afrotropicale: Namibia, Kenya, Zaire.

(Le aree di distribuzione per le diverse specie di Culicoides sono tratte dal sito

www.culicoides.net).

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ALLEGATO 2 LOCALITA’ DI PRELIEVO Riporto di seguito le località da cui provengono i sieri non prelevati all’interno delle tendopoli

Saharawi.

I nomi in alcuni casi possono essere lievemente diversi da quelli indicati dal personale che ha

effettuato il prelievo.

Bir Tilisit

Ben Amera

Uad Ascaf

Wad Lezel

Tirs

Zemur

Bir Mohgrein

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TAGANT

Località situata nel centro sud della Mauritania, confina a nord con la regione Adrar, a est con

Hodh Ech Chargui, a sud con Hodh El Gharbi e Assaba e a ovest con Brakna.

(www.wikipedia.org)

AZAOUAD

La località indicata con questo nome comprende parte del nord del Mali, il nord del Niger, e

parte del sud dell’Algeria e non corrisponde quindi ad una singola regione amministrativa. E’ un

territorio di 80.000 Km2 pianeggiante, arido, interrotto in alcuni punti da rilievi di arenaria. I Tre

quarti del territorio sono semiaridi. Confina a est col massiccio Adrar des Ifoghas, a sud ovest

col fiume Niger, a sud est con le colline Ader Douchi e a nord con la base sud del massiccio

Hoggar.

(www.wikipedia.org) Per le località EMKADA DE LEGMA e LEHFERA non è stato possibile trovare alcun

riferimento geografico.

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