Convegno del 6 giugno 2014 Bolzano -...

57
Documentazione Convegno Luglio 2014 Salario minimo e reddito minimo garantito: Prospettive per l'Alto Adige Convegno del 6 giugno 2014 Bolzano

Transcript of Convegno del 6 giugno 2014 Bolzano -...

Do

cu

men

tazio

ne C

on

veg

no

Luglio 2014

Salario minimo e reddito minimo

garantito: Prospettive per

l'Alto Adige

Convegno del 6 giugno 2014

Bolzano

IPL • Istituto Promozione Lavoratori

2

Documentazione Convegno

Salario minimo e reddito minimo garantito: Prospettive per

l'Alto Adige

IPL | Istituto Promozione Lavoratori

Coordinamento scientifico

Stefan Perini

Coordinamento per l’IPL | Istituto Promozione Lavoratori

Werner Pramstrahler

Concezione ed elaborazione

Josef Untermarzoner

Werner Pramstrahler

Luglio 2014

Tagungsdokumentation

Mindestlohn und Mindestsicherung: Perspektiven für Südtirol

AFI | Arbeitsförderungsinstitut

Wissenschaftliche Leitung:

Stefan Perini

Koordination für das AFI | Arbeitsförderungsinstitut:

Werner Pramstrahler

Konzeption und Bearbeitung:

Josef Untermarzoner

Impressum

IPL | Istituto Promozione Lavoratori

Ente pubblico di ricerca, formazione e informazione

Palazzo provinciale 12 – Via Canonico Michael Gamper 1

I – 39100 Bolzano

Tel.: 0471-418830 fax: 0471-418849

[email protected] www.afi-ipl.org

Responsabile ai sensi della legge sulla stampa:

Toni Serafini, Presidente della Giunta d’Istituto

L’utilizzo di informazioni, tabelle e grafici e la riproduzione fotomeccanica - anche per estratto - sono ammesse

solo se si indica la fonte (editore e titolo).

IPL • Istituto Promozione Lavoratori

3

Indice

1. Introduzione ___________________________________________________________________________ 4

1.1 I motivi del convegno e della documentazione_________________________________________4

1.2 Prese di posizione ______________________________________________________________4

1.3 Focus tematici _________________________________________________________________5

2. Le sfide per il welfare ____________________________________________________________________ 6

2.1 Il welfare da cui veniamo e verso cui vorremmo andare (Chiara Saraceno) ____________________6

2.2 Misurare il welfare ______________________________________________________________8

2.3 Sintesi Panel I: Misurare il welfare _________________________________________________ 14

3. Il reddito minimo d’inserimento “made in Alto Adige”: Il punto della situazione e

confronto interregionale ___________________________________________________________________ 15

3.1 Reddito minimo di inserimento e assistenza economica sociale in Provincia di Bolzano

(Luca Critelli) ___________________________________________________________________ 15

3.2 Il sistema di tutela economica di base orientata al fabbisogno in Austria ____________________ 21

3.3 Il Reddito di Garanzia nella Provincia Autonoma di Trento ______________________________ 24

3.4 Rapporto Panel II: Strutturare il welfare ____________________________________________ 29

4. Quanto vale il lavoro? ___________________________________________________________________ 33

4.1 Salari minimi in Germania ed Europa (Reinhard Bispinck)_______________________________ 33

4.2 Sintesi Panel II: Il salario minimo legale: una prospettiva per l’Italia e l’Alto Adige? ____________ 48

5. Quale ruolo dare al terzo settore per il welfare locale? _________________________________________ 51

5.1 Terzo Settore: sostegno al sistema di welfare altoatesino? (Carlo Borzaga) ___________________ 51

5.2 Sintesi Panel IV: “Terzo settore”: sostegno del welfare altoatesino _________________________ 52

6. Glossario ______________________________________________________________________________ 55

6.1 Protezione sociale di base / Protezione minima di base _________________________________ 55

6. Salario minimo legale ____________________________________________________________ 57

Filmato riassuntivo del convegno

IPL • Istituto Promozione Lavoratori

4

1. Introduzione

1.1 I motivi del convegno e della documentazione

La crisi economica che perdura ormai dal 2008 comporta nuove sfide per il welfare locale. Ciò vale (1) per il crescente

fabbisogno di sostegni economici e il gruppo di destinatari in continua evoluzione; vanno inoltre (2) individuati strumenti

più adeguati per un’attenta valutazione dell’efficacia delle misure proposte. (3) Lo sgravio dei bilanci pubblici e la

correzione della distribuzione del reddito vanno perseguiti più che mai anche a livello locale attraverso politiche salariali

efficaci e intersettoriali. A partire dal 2015 l’Italia sarà l’unico grande paese UE a non disporre di un salario minimo legale

generalizzato.

Il convegno dell’IPL | Istituto Promozione Lavoratori ha favorito il dialogo e un importante scambio di informazione

tra operatori ed esperti su una serie di tematiche.

Quali principi di protezione minima di base si stanno attualmente discutendo a livello europeo?

L’Alto Adige può fungere da esempio per altre regioni? In quali settori possiamo imparare noi dalle altre regioni?

I salari minimi legali e/o la protezione minima di base sono strumenti adeguati ed efficaci per correggere la

distribuzione del reddito?

Quali opportunità e rischi comporta l’introduzione di un salario minimo legale generalizzato?

Quali modelli di unificazione delle prestazioni sociali si sono dimostrati efficaci in Europa, in particolare nei paesi e

nelle regioni confinanti?

Quale ruolo deve svolgere il “Terzo settore” nel sistema sociale?

I risultati sono documentati nella presente pubblicazione. La documentazione non rispecchia lo svolgimento del

convegno, ma raccoglie le relazioni e gli interventi per tema. Il documento viene quindi completato con un glossario.

1.2 Prese di posizione

L’opinione delle persone sulle prestazioni sociali in Alto Adige

Alla ricerca della giusta retribuzione: L’opinione delle persone

Toni Serafini, Presidente IPL | Istituto Promozione Lavoratori

Martha Stocker, Assessora provinciale alla Salute, Sport, Politiche sociali e Lavoro

Stefan Perini, Direttore IPL | Istituto Promozione Lavoratori

IPL • Istituto Promozione Lavoratori

5

1.3 Focus tematici

Le sfide per il welfare

Il welfare da cui veniamo e verso cui vorremmo andare; Chiara Saraceno, Collegio Carlo Alberto, Torino

Misurare il welfare; Daniela Mesini, IRS, Milano

Sintesi Panel I: Misurare il welfare; Stefan Perini, Direttore IPL | Istituto Promozione Lavoratori

Il reddito minimo “made in Alto Adige”: Il punto della situazione e confronto interregionale

Reddito minimo di inserimento e assistenza economica sociale in Provincia di Bolzano; Luca Critelli,

Direttore Ripartizione Sociale della Provincia Autonoma di Bolzano, Bolzano

"Bedarfsorientierte Mindestsicherung" (sistema di tutela economica di base orientata al fabbisogno) in Austria;

Marion Preßlauer, “Bundesministerium für Arbeit, Soziales und Konsumentenschutz”, Vienna

Il Reddito di Garanzia nella Provincia Autonoma di Trento; Gianfranco Zoppi, Agenzia provinciale per

l'assistenza e previdenza integrativa della Provincia Autonoma di Trento, Trento

Rapporto Panel II: Strutturare il welfare; Karl Tragust, Presidente Agenzia per lo sviluppo sociale ed

economico, Bolzano

Quanto vale il lavoro?

Salari minimi in Germania ed Europa; Reinhard Bispinck, “Wirtschafts- und Sozialwissenschaftliches Institut

(WSI)“, Düsseldorf

Sintesi Panel II: Il salario minimo legale: una prospettiva per l’Italia e l’Alto Adige?; Werner Pramstrahler, IPL |

Istituto Promozione Lavoratori

Quale ruolo al terzo settore per il welfare locale?

Terzo Settore: sostegno al sistema di welfare altoatesino?; Carlo Borzaga, European Research Institute on

Cooperative and Social Enterprises (Euricse), Trento

Sintesi Panel IV: “Terzo settore”: sostegno del welfare altoatesino; Josef Untermarzoner, IPL | Istituto

Promozione Lavoratori

Filmato riassuntivo del convegno

IPL • Istituto Promozione Lavoratori

6

2. Le sfide per il welfare

2.1 Il welfare da cui veniamo e verso cui vorremmo andare

Chiara Saraceno, Collegio Carlo Alberto, Torino

Quello italiano non è mai stato un welfare universalistico. Se guardiamo, infatti, i diversi settori del welfare allargato, solo

sanità e scuola hanno avuto un impianto universalistico, anche se non sempre e non del tutto. Sicuramente universalistico

era l’impianto originario del sistema sanitario nazionale. Lo è rimasto ancora in larga misura, anche se le differenze di

qualità dei servizi a livello locale, ancora più di quelle organizzative, unite alla gestione delle liste di attesa, hanno

consolidato disuguaglianze sia territoriali che di censo. Quanto alla scuola, è vero che quella di base è universalistica per

quanto riguarda l’accesso. Ma nei modelli organizzativi, nei criteri di distribuzione delle risorse, nei sistemi premianti per

gli insegnanti e così via, non si è mai davvero posta la questione di essere uno strumento di pari opportunità per le

successive nuove generazioni e di riequilibrio delle disparità sociali, per quanto non da sola. Non che siano mancate le

riflessioni e le esperienze, alcune delle quali tradotte anche in leggi dello Stato – si pensi all’integrazione nella scuola di

tutti dei bambini con handicap. Ma non sono riuscite a far passare in modo sistematico l’idea che, dove il bisogno, lo

svantaggio è maggiore, occorre mettere più risorse, non solo finanziarie, ma di intelligenza e di capacità di innovazione.

Al di là delle iniziative di singoli e piccoli gruppi, spesso anche eroiche, le disuguaglianze sono per lo più rimaste un dato

di contesto, più che l’oggetto del lavoro della scuola (salvo “compensarle” in modo deviato ed ex post, con promozioni

“generose”, quando non strumentali a liberarsi in fretta degli scolari difficili). Proprio per questa mancanza di messa a

fuoco di che cosa costituisca davvero l’universalismo, ha reso la nostra scuola, come macchina complessiva, non come

singoli, particolarmente impreparata ad accogliere e integrare i bambini migranti, nonostante l’esistenza di saperi ed

esperienze che potrebbero essere messe a frutto. L’idea di universalismo adottata in Italia – che si ferma alle pari

opportunità di accesso – cancella e nasconde la differenza dei punti di partenza, a favore di chi si trova in una posizione

sociale migliore.

Questa idea incompleta di universalismo anche nelle istituzioni “universali” si accompagna al forte categorialismo della

maggior parte delle misure di welfare. Il nostro Paese ha uno dei welfare più categoriali e frammentati nel mondo

sviluppato democratico. Da un lato offre protezioni e risorse diverse – si pensi al variegato sistema di protezione dalla

disoccupazione e al sistema pensionistico - non a seconda del bisogno, ma a seconda della categoria a cui si appartiene.

Dall’altro lato, specie per quanto riguarda i servizi, ma in parte anche i trasferimenti monetari, conta non tanto la

cittadinanza o residenza sul territorio nazionale, quanto la residenza locale. Al categorialismo che differenzia e frammenta

le protezioni e i diritti si somma, così, il territorialismo. Ben prima della riforma del titolo quinto della Costituzione che

ha introdotto il federalismo nel nostro ordinamento, senza prima aver definito la base comune dei diritti dei cittadini, il

nostro è stato (e continua ad essere) un paese dove vince il principio del “cuius regio eius religio”: a seconda di dove abiti

ti tocca non più la religione (anche se con le scuole paritarie confessionali può succedere anche questo), ma un pacchetto

piuttosto che un altro di servizi e risorse.

IPL • Istituto Promozione Lavoratori

7

A fronte dell’aumentare dei rischi e dell’indebolimento dei sistemi di protezione c’è il rischio di sviluppare una sorta di

nostalgia di un welfare idealizzato che avremmo perduto, dimenticandoci che in Italia, anche negli anni di maggiore

sviluppo, il sistema di welfare è stato estremamente frammentato, categoriale, con molti buchi (si pensi all’inesistenza di

un sostegno al reddito per i poveri e alla scarsa diffusione dei servizi sociali non sanitari), con forti gradi di disuguaglianza

tra gruppi sociali e a livello territoriale. Un welfare dei “diritti acquisiti” (per chi apparteneva alle categorie giuste per

acquisirli), non un welfare dei diritti sociali di cittadinanza.

In sintesi, il welfare state italiano soffriva e soffre degli stessi limiti di tutti i welfare maturi in un mutato contesto

demografico, economico, sociale di relazioni internazionali (ciò che nel dibattito internazionale si discute come l’emergere

di “nuovi rischi sociali”, per lo più non contemplati negli assetti tradizionali di welfare), senza aver del tutto

garantito/sviluppato appieno un sistema di welfare “tradizionale”. Non sosteneva la conciliazione tra famiglia e lavoro,

ma non proteggeva neppure del tutto e in modo uniforme i disoccupati. Spendeva quasi tutto in pensioni, ma non

proteggeva dalla povertà una quota di pensionati (soprattutto pensionate), mentre creava grandi disparità tra pensionati

non giustificate da analoghe disparità contributive. Non aveva una misura di reddito minimo per i poveri, ma neppure

politiche del lavoro efficaci. E così via.

Per andare oltre la crisi non possiamo quindi guardare indietro. Dobbiamo partire dai ritardi, delle carenze e delle

ingiustizie del welfare da cui veniamo, usando la crisi come occasione di riorientamento del welfare. Purtroppo non è ciò

che sta avvenendo non solo a livello di decisioni politiche, ma anche di discorsi di sinistra e dei sindacati. Si veda, per

esempio, l’attenzione focalizzata su esodati o cassintegrati, ignorando i molti che non hanno neppure lo status di esodati

o di cassintegrati, neppure in deroga (l’ultima categoria inventata da una fantasia istituzionale-sindacale pervicacemente

categoriale), ma sono lavoratori (lavoratrici) più o meno anziani che hanno perso il lavoro e non hanno diritto a nulla. O

le semplificazioni – spesso ancora categoriali - con cui si parla di “reddito di cittadinanza”, che si parli di reddito

universale, a prescindere dal reddito personale o famigliare, reddito universale per i soli poveri, reddito destinato a

particolari categorie (ad esempio studenti e/o disoccupati) e via elencando.

Istruttivo, da questo punto di vista, è stato il dibattito che ha seguito la proposta dell’allora Ministro Giovannini di

introdurre il “SIA – Sostegno di inclusione attiva”, ovvero una misura di reddito minimo per i poveri. Sono subito scattate

le obiezioni non solo di chi è contrario per principio, ma anche di chi (sindacati, membri di partiti di centro-sinistra)

ritiene che vi sia una graduatoria tra chi ha già acquisito da tempo un qualche tipo di protezione e chi no, ovvero tra

categorie di cittadini, sulla base dei “diritti acquisiti”. In questo modo, storicamente, è stata sicuramente ampliato il

numero delle categorie titolari di qualche protezione (l’ultima è quella dei cassintegrati in deroga), un meccanismo che

funzionava meglio quando i vincoli di bilancio erano meno stringenti. Ma si è costruito un sistema frammentario, poco

trasparente, utilizzabile in modo clientelare, pieno di buchi che a loro volta incentivano imbrogli e abusi. Lo scandalo

delle pensioni di invalidità ne è una conferma: se manca una misura di sostegno al reddito, chi è povero cercherà di

mimare le condizioni di una categoria a cui è riconosciuto un reddito minimo. Ed altri, anche non poveri, lo imiteranno,

visto che è possibile, e talvolta suggerito dagli stessi amministratori nella loro gestione clientelare. Questo produce anche

assenza di fiducia nel sistema e poca solidarietà. Per altro, anche nel campo della disabilità è avvenuto un fenomeno di

categorializzazione impropria, nella misura in cui le differenze nel livello di protezione (ad esempio di sostegno al reddito)

tra uno o l’altro tipo di disabilità non dipendono da una valutazione dal grado di disabilità ma dalla categoria di disabili

cui si appartiene, dalla sua forza contrattuale.

IPL • Istituto Promozione Lavoratori

8

L’Italia ha bisogno di più universalismo: di politiche sociali che, direbbe Amartya Sen, non definiscano diritti in base a

categorie, ma, da un lato, trattino in modo uguale tutti coloro che si trovano nelle stesse condizioni (ad esempio chi perde

il lavoro, o è povero, o è anziano e ha pagato contributi simili ad altri anziani), dall’altro compensino gli “handicap”

individuali e sociali che rendono gli individui disuguali tra loro ai blocchi di partenza e nel corso della vita.

Per questo, a mio parere, oggi la questione cruciale non è tanto chiedere più risorse per il sociale, bensì chiedere maggiore

equità nell’impegno delle risorse e nelle decisioni di spesa, non solo nel sociale, ma in generale. In altri termini, non si

tratta di ampliare la torta di quanto è spendibile (anche se si può lavorare su un sistema di imposizione fiscale più

efficiente), ma di valutare, dal punto di vista della equità e dell’efficacia, come quella torta è divisa. Aver deciso di togliere

l’Imu a chi poteva pagarla, certamente non va nella direzione di una spesa o di una fiscalità più efficiente; così come è

vero che l’Italia non è stata in grado di spendere bene le risorse provenienti dall’Europa, al punto che, non solo spesso

ha speso male e in modo improduttivo, ma non è neppure riuscita a spendere in tempo utile quanto le era stato assegnato.

Quando si parla di risorse bisogna parlare, quindi, non solo della scarsità e dei tagli che sono stati fatti, ma

anche delle cattive spese, degli sprechi e delle iniquità.

Intervista a Chiara Saraceno

2.2 Misurare il welfare

Daniela Mesini, IRS Milano

Nel corso dell’ultimo decennio, anche sulla spinta della legge 328/00, lo sviluppo dei sistemi informativi in ambito sociale

ha segnato una notevole accelerazione in tutto il territorio nazionale. Tuttavia, il trasferimento di competenze in materia

di politiche sociali operato dalla riforma del Titolo V della Costituzione (legge cost. 3/2001) ha di fatto un po’ frenato

questa spinta verso un sistema nazionale unitario e coordinato, contribuendo al fiorire di flussi informativi a vari livelli

istituzionali, che spesso si intersecano e parzialmente si sovrappongono a volte in maniera poco sinergica. Se si escludono

il Nomenclatore dei servizi e degli interventi sociali, il SINBA (Sistema Informativo Nazionale Bambini ed Adolescenti),

il SINA (SISS per le Non Autosufficienze) e il più recente Casellario dell’Assistenza, in fase di istituzione presso l’INPS,

il panorama dei sistemi informativi risulta alquanto eterogeneo e frastagliato.

A rilevazioni ed indagini compartimentali e tematiche (sui bisogni e sul sistema di offerta di interventi), si assommano

flussi sulla spesa, sistemi gestionali territoriali (sulle risorse umane ed organizzative) e cartelle sociali informatizzate, quali

strumenti di lavoro-monitoraggio del servizio sociale professionale. Ma flussi differenti hanno generalmente differenti

titolarità e periodicità, oltre che diversi obiettivi conoscitivi e modalità di restituzione delle informazioni; tutto ciò spesso

a scapito di una regia unitaria che talvolta comporta onerose duplicazioni, settorialità delle rilevazioni e trattamenti non

omogenei dei dati. Per costruire indicatori utili e rispondenti a specifici bisogni conoscitivi è necessario disporre di

informazioni omogenee dal punto di vista delle definizioni e della loro classificazione, delle metodologie di rilevazione e

di elaborazione.

Due dovrebbero essere le parole d’ordine per una buona misurazione del sistema di welfare: l’interoperabilità dei sistemi

IPL • Istituto Promozione Lavoratori

9

informativi, cioè la loro capacità di dialogare e di scambiare informazioni, e la confrontabilità, sia nel tempo che nello

spazio, dei dati prodotti.

Solo in questo modo la misurazione può consentire di generare conoscenza, utile a valutare, programmare e governare

con maggiore equità le politiche e gli interventi.

IPL • Istituto Promozione Lavoratori

10

IPL • Istituto Promozione Lavoratori

11

IPL • Istituto Promozione Lavoratori

12

IPL • Istituto Promozione Lavoratori

13

IPL • Istituto Promozione Lavoratori

14

2.3 Sintesi Panel I: Misurare il welfare

Stefan Perini, Direttore IPL | Istituto Promozione Lavoratori, Bolzano

Un’efficace redistribuzione presuppone la rilevazione completa delle prestazioni sociali e un’elevata qualità del dato. Lo

scopo del panel I è stato quello di valutare come andrebbe costruito un monitoraggio delle prestazioni sociali e da dove

si dovrebbe partire.

Il quadro normativo: nella legge statale 328/2000, Art.21 è radicato il principio che la pubblica amministrazione aspira a

costruire un sistema informativo unitario dei contributi sociali. Tale principio è uscito indebolito in seguito alla riforma

costituzionale del 2001, che ha previsto il trasferimento di una serie di competenze alle regioni. Di seguito i vari sistemi

informativi si sono sviluppati separatamente, spesso a livello regionale, il che ha intralciato l’integrazione ai sistemi

nazionali. Con la legge n. 78/2010 è stato previsto su scala nazionale il “Casellario dell’assistenza”. Questo dovrebbe

costruire in futuro l’anagrafe generale delle posizioni assistenziali e delle relative prestazioni. Lo scopo sarebbe riuscire

ad costruire su questa base anche studi finalizzati a valutare la bontà della spesa pubblica.

Le fonti dati inerenti il sistema del welfare sono molteplici anche in Alto Adige. Da una parte c`è la produzione statistica

ufficiale, rappresentati da ISTAT e ASTAT oppure anche altri istituti di ricerca sociale. Inoltre l’Alto Adige possiede,

anche per via del suo statuto di autonomia e delle relative competenze trasferite, una molteplicità di dati amministrativi.

I principali produttori di dati amministrativi sono ASSE (Agenzia per lo Sviluppo Sociale ed Economico) e la ripartizione

politiche sociali (SozInfo, SozInfoCase, Durp …). Ma esiste anche in altri enti della pubblica amministrazione una grande

quantità di dati in materia di edilizia (edilizia abitativa, Ipes…), sanità (aziende sanitarie), lavoro (servizio lavoro, ufficio

osservazione mercato del lavoro), scuola (intendenza scolastica tedesca e italiana).

Anche in Alto Adige la sfida del momento è l’interconnessione dei sistemi informatici. Il punto di arrivo deve essere un

sistema di tutte le prestazioni sociali erogate ai singoli individui piuttosto che alle famiglie altoatesine. Facendo tesoro

dell’esperienza Durp nell’ambito sociale, questa integrazione dovrebbe essere a poco a poco estesa sugli altri ambiti.

Inoltre vi è l’esigenza di orientarsi verso una regia unica, collocata all’interno della pubblica amministrazione stessa.

L’archivio unico delle prestazioni sociali è la premessa per poter affrontare una discussione seria inerente un sistema di

prestazioni sociali ben mirato.

IPL • Istituto Promozione Lavoratori

15

3. Il reddito minimo d’inserimento “made in Alto Adige”: Il punto

della situazione e confronto interregionale

3.1 Reddito minimo di inserimento e assistenza economica sociale in Provincia di

Bolzano

Luca Critelli, Direttore Ripartizione Sociale della Provincia Autonoma di Bolzano, Bolzano

Il sistema di assistenza economica sociale della Provincia autonoma di Bolzano è stato introdotto con legge provinciale

nel 1973 e nel corso dei decenni si è sviluppato da un sistema di sostegno economico su base comunale a sistema

strutturale di contrasto alla povertà uniforme a livello provinciale. Attualmente gli interventi vengono gestiti dai Distretti

sociali delle otto Comunità comprensoriali (associazioni di comuni) in cui è articolato il territorio, sulla base della relativa

disciplina provinciale (Decreto del Presidente della Provincia 30/2000). I Distretti sociali sono anche il servizio presso il

quale sono collocati gli interventi di natura sociopedagogica dei servizi sociali, garantendo in tale modo la necessaria

integrazione tra i due ambiti di intervento.

Il carattere universalistico del sistema altoatesino é forse il tratto che maggiormente lo contraddistingue dalle esperienze

di altre regioni italiane. Pur non trattandosi di un diritto soggettivo perfetto, non vi sono limitazioni date dalla disponibilità

finanziaria ne altre limitazioni di tipo quantitativo all'intervento, se non quelle definite dai criteri di accesso previsti. In

questo senso il sistema è molto vicino agli schemi di “Grundsicherung/Mindestsicherung” presenti in Germania, Austria

e altri stati europei. In Italia, a parte isolate eccezioni, gli interventi – dove presenti - hanno spesso visto un

contingentamento di tipo quantitativo, una limitazione temporale degli stessi o una previsione degli interventi molto

disomogenea a livello territoriale.

L‘assistenza economica sociale è „l‘ultimo gradino” del sistema di assistenza sociale. Prima dell‘intervento dell'assistenza

economica sociale devono essere utilizzate le risorse economiche disponibili del nucleo familiare (reddito e patrimonio

di tutti i componenti) e tutte le altre prestazioni di Stato, Regione, Provincia e Comune a cui la famiglia ha diritto. Tali

prestazioni vengono considerate come reddito al fine della determinazione del diritto all'intervento di assistenza

economica e della sua entità.

La finalità del sistema è un sostegno finanziario temporaneo - pur senza limite di durata prestabilito - con

accompagnamento sociale. L‘obiettivo è la riconquista dell‘autonomia economica tramite il lavoro, la riqualificazione

professionale o altre attività, nei casi in cui questo sia possibile. A tal fine è fatto obbligo a tutti i componenti adulti del

nucleo familiare di dimostrare gli sforzi intrapresi nella ricerca di un lavoro. In caso di mancata documentazione dei

tentativi intrapresi, ha luogo una graduale riduzione della prestazione erogata fino al suo eventuale azzeramento,

garantendo però in ogni caso una determinata quota per i componenti minorenni del nucleo. In questo senso l'intervento

previsto dalla Provincia di Bolzano è sì di tipo universalistico, ma non un reddito di cittadinanza di natura incondizionata

(“bedingungsloses Grundeinkommen”).

IPL • Istituto Promozione Lavoratori

16

Se si confronta il sistema altoatesino con gli schemi di tutela economica di base presenti in Austria, Germania, Trentino

e in molti altri stati europei, si riscontra che gli aspetti comuni sono molti più delle differenze. Esistono naturalmente

differenze in merito ad importi, tempi di erogazione, regole per la condizionalità della prestazione e procedure di

erogazione, ma l’impianto di fondo risulta ovunque molto simile: una integrazione della disponibilità economica delle

famiglie condizionata ad obblighi di attivazione sul mercato del lavoro e riqualificazione personale.

Il sistema di assistenza economica della Provincia di Bolzano comprende varie prestazioni. Le due più rilevanti sono

sicuramente:

Reddito minimo di inserimento, che ha lo scopo di garantire alle persone impossibilitate per cause psichiche,

fisiche e sociali a provvedere al mantenimento proprio e del proprio nucleo familiare il soddisfacimento dei

bisogni fondamentali di vita, relativi all’alimentazione, abbigliamento e igiene della persona. Si tratta di un

contributo integrativo che viene concesso per portare il reddito del nucleo familiare richiedente ad un livello

prestabilito (“fabbisogno”), che varia in funzione del numero dei componenti del nucleo. Tale “fabbisogno” è

al momento fissato, a titolo esemplificativo, in 600 € per 1 persona, 785 € per 2 persone e 1.020 € per 3 persone.

Contributo per locazione e spese accessorie, che ha la finalità di consentire alle persone e famiglie al di sotto di

una determinata situazione reddituale di far fronte al pagamento delle spese di affitto e accessorie dell'alloggio

abitato dal nucleo familiare. Dal 2013 in questa prestazione è confluito il sostegno garantito dall’Istituto per

l’edilizia sociale IPES tramite il cd. “sussidio casa”, prestazione avente caratteristiche piuttosto simili. In

presenza delle previste condizioni la prestazione è cumulabile con il reddito minimo. La condizione economica

di esclusione da tale prestazione è pari a circa il doppio del reddito minimo di inserimento, e va quindi a

sostenere anche fasce di persone che non si trovano in una situazione di deprivazione economica marcata.

Sono attualmente circa 4.600 i nuclei familiari beneficiari della prestazione Reddito minimo, pari a circa il 2% della

popolazione altoatesina e per una spesa annua di circa 10.800.000€. Complessivamente il volume di spesa degli interventi

di assistenza economica sociale è di circa 35.000.000€, dato principalmente dalla spesa per il Reddito minimo e il

Contributo per locazione.

I punti di forza e le debolezze dell’attuale sistema altoatesino possono essere così riassunti:

Punti di forza:

si tratta di una misura strutturale e uniforme a livello provinciale, non di un intervento „una tantum“;

pur non trattandosi di un diritto soggettivo perfetto, non vi sono limitazioni date dalla disponibilità finanziaria

o contingentamenti di altro tipo; le somme necessarie all'erogazione delle prestazioni vengono considerate come

„spesa obbligatoria“ dalla Provincia;

l'erogazione ha luogo da parte di Distretti sociali capillarmente diffusi sul territorio, con considerevoli vantaggi

in termini di vicinanza all‘utente, conoscenza dell‘utente, possibilità di accompagnamento e controllo sulla

veridicità delle informazioni rese;

gli interventi dell'assistenza economica sociale sono una prestazione „residuale“: devono essere prima utilizzate

le risorse proprie della famiglia e tutte le altre (numerose) prestazioni di sostegno pubblico previste;

gli interventi sono commisurati a quello che é l'effettivo fabbisogno della famiglia;

la Provincia di Bolzano è stata per decenni caratterizzata da un tasso di disoccupazione estremamente

IPL • Istituto Promozione Lavoratori

17

contenuto: chi „cade“ nel sistema di assistenza economica per fattori contingenti ha buone possibilità di uscirne

in tempi brevi; se vi è una permanenza di durata più lunga, é perché vi sono di norma ulteriori fattori personali

che rendono difficile l'ingresso o il reinserimento nel mondo del lavoro. Va però detto, che con la crisi

economica anche in Alto Adige si riscontrano crescenti difficoltà di reinserimento sul mercato del lavoro anche

per fasce che prima avevano minori difficoltà;

vi sarebbero con ogni probabilità elevati „costi sociali“ in assenza della prestazione di sostegno.

Come criticità del sistema vanno invece citati i seguenti punti:

vi è una presenza relativamente significativa di assistiti „di lungo corso“, in particolare in alcuni gruppi specifici:

disagio psichico, dipendenze, malattie croniche, lavoratori con bassa possibilità di reinserimento lavorativo. In

molti di questi casi la prestazione rischia di diventare un „reddito di ultima istanza“ incondizionato, senza reale

possibilità di reinserimento sociale;

rischio di disincentivazione della ricerca di lavoro per via delle prestazioni relativamente „generose“, con

conseguente pericolo di creare o rafforzare una mentalità di tipo assistenzialistico in alcuni utenti;

si presume una significativa presenza di persone che avrebbero i requisiti per accedere agli interventi di sostegno,

ma che per non conoscenza di tale possibilità o per altre ragioni personali decidono di non accedervi;

frequenti critiche da parte della popolazione ed anche da parte di alcuni operatori verso casi di „sfruttamento“

del sistema; anche se contenuti in termini numerici, si tratta nondimeno di casi che incidono negativamente

sull'immagine del sistema assistenziale.

Al momento attuale, sotto il nome di “Bedarfsgerechte Mindestsicherung”, è in corso una analisi sulle possibilità di

miglioramento e razionalizzazione dell’attuale sistema di sostegni pubblici in situazioni di fabbisogno economico legate

a disoccupazione, incapacità lavorativa e reddito insufficiente.

Il focus non è tanto su una rivisitazione della prestazione di Reddito minimo di inserimento, ritenuta tuttora valida nel

suo impianto fondamentale, quanto al fatto che nel corso dei decenni sono andate accumulandosi una pluralità di

prestazioni di sostegno da parte di Stato, Regione e Provincia, nate spesso con finalità simili e in modo non coordinato

tra di loro.

Questa stratificazione ha portato ad un quadro estremamente complesso di diverse prestazioni che risulta spesso di

difficile lettura anche per gli addetti ai lavori e che per gli utenti e gli enti gestori comporta un elevato onere

amministrativo.

L’obiettivo principale del progetto è razionalizzare il quadro delle prestazioni, agendo principalmente sull’integrazione di

prestazioni con finalità simili erogate dallo stesso ente o da enti diversi, nonché individuare ulteriori possibilità di

semplificazione nell’ambito della gestione delle prestazioni stesse.

Intervista a Luca Critelli

IPL • Istituto Promozione Lavoratori

18

IPL • Istituto Promozione Lavoratori

19

IPL • Istituto Promozione Lavoratori

20

IPL • Istituto Promozione Lavoratori

21

3.2 Il sistema di tutela economica di base orientata al fabbisogno in Austria

Marion Preßlauer, Bundesministerium für Arbeit, Soziales und Konsumentenschutz, Vienna

1. Cos’è la "Bedarfsorientierte Mindestsicherung", in breve BMS, e quali sono le sue finalità?

La BMS è il risultato della riforma del sistema della “Sozialhilfe” (l’assistenza economica sociale) della quale ha tuttavia

mantenuto i principi di fondo (ricorso a mezzi propri di sostentamento e alla propria capacità lavorativa). È un pacchetto

di provvedimenti atto a raggiungere in particolare i seguenti obiettivi:

una maggiore armonizzazione dei principali ambiti di regolamentazione dell’ex sistema di assistenza economica

sociale in Austria (non riguarda l’assistenza sociale residenziale per persone non autosufficienti)

assicurazione malattia per tutti i beneficiari della BMS

legame più stretto tra i beneficiari delle prestazioni e il mercato del lavoro

La BMS non è un reddito di base incondizionato (vedi punto 4).

2. Chi può accedere alla prestazione?

La BMS è destinata a tutti coloro che si trovano in condizioni finanziarie precarie e

... non sono in grado di sopperire, con altri mezzi, alle spese giornaliere proprie e dei propri familiari

... il cui reddito è inferiore agli standard minimi previsti dalla BMS

... non dispongono di un patrimonio rilevante (vedi domanda 4)

La BMS è l’"ultima possibilità di sostegno sociale" in Austria cui ricorrere solo in via subordinata rispetto a tutti gli altri

sistemi di sussidio (ad es. eventuali diritti di previdenza sociale).

Solo il 20%-25% dei beneficiari della BMS vive esclusivamente di tali risorse. Tutti gli altri sono i cosiddetti "Aufstocker"

i quali dispongono di una qualche forma di reddito (ad es. indennità di disoccupazione, assegni per i figli, stipendio,

assegno di mantenimento), che però non è sufficiente ad assicurare loro il sostentamento.

3. Chi è competente in materia di BMS? Sulla base di quali disposizioni viene attuata?

Ai 9 Länder spetta la competenza esclusiva di legiferare in ordine alla BMS e darvi attuazione. Fino ad ora il Governo

federale non si è avvalso della competenza attribuitagli dalla Costituzione di legiferare in ordine ai principi generali in

materia di povertà (art. 12 B-VG).

In luogo di una legge sui principi generali, è stato stipulato un cosiddetto accordo art. 15a B-VG (una sorta di "contratto

quadro"), con il quale il Governo federale e i Länder si sono accordati in merito ai principi comuni e agli standard minimi.

La tutela di base viene tuttavia attuata sulla base di 9 leggi dei Länder non identiche ma comunque ispirate dalla medesima

logica (=leggi dei Länder sulla "Mindestsicherung").

Obblighi del Governo federale in base all’accordo:

Inclusione dei beneficiari della BMS privi di assicurazione malattia nel sistema obbligatorio di assicurazione

malattia

Incentivazione dell’integrazione nel mercato del lavoro dei beneficiari della BMS

IPL • Istituto Promozione Lavoratori

22

Obblighi dei “Länder” in base all’accordo:

Definizione di standard minimi nelle 9 leggi dei Länder (in particolare uniformazione delle soglie minime delle

prestazioni).

4. Verifica del fabbisogno: quali requisiti in particolare devono essere soddisfatti per beneficiare della

prestazione?

In linea di massima: diritto di soggiorno permanente

Mancanza di sufficienti mezzi propri di sostentamento (per i dettagli vedi punto 5 sull’ammontare della

prestazione) o di diritti prioritari a prestazioni che coprono il fabbisogno (ad es. quelle della previdenza sociale)

Ricorso al proprio reddito: ogni reddito deve essere conteggiato; eccezioni: ad es. assegni familiari, assegni di

cura

Ricorso al proprio patrimonio: in primo luogo si deve ricorrere al proprio patrimonio; eccezioni: ad es.

autoveicolo necessario per lavoro; franchigia sul patrimonio da valorizzare annualmente (attualmente circa €

4.070,-)

Disponibilità a svolgere un lavoro:

= condizione per beneficiare della prestazione; eccezioni: ad es. familiari che prestano assistenza, persone

che si devono occupare di bambini piccoli

sanzioni per mancata disponibilità a svolgere un lavoro (riduzione graduale fino al 50%, in taluni casi anche

oltre)

5. Prestazioni: a quanto ammonta la BMS? Quali spese vengono coperte?

L’ammontare della prestazione della "Bedarfsorientierte Mindestsicherung" (BMS) si basa sulle aliquote di riferimento

per l’integrazione al trattamento pensionistico minimo (=minimo vitale riconosciuto in Austria) e viene valorizzato

annualmente.

Per il 2014 l’importo è pari a circa 814 Euro per i beneficiari single e le famiglie monoparentali e circa 1.221 Euro per le

coppie (12 mensilità all’anno).

L’ammontare effettivo della prestazione della tutela di base per un nucleo familiare dipende sempre dalla composizione,

nonché dal reddito e dal patrimonio reali:

• gli standard minimi per i diversi nuclei familiari non spettano automaticamente in misura massima; si

deve tenere conto del reddito e del patrimonio di tutti gli appartenenti al nucleo familiare.

• L’importo della prestazione deve essere calcolato per singolo caso.

Copertura del fabbisogno:

Lo standard minimo ha lo scopo di coprire le spese di sostentamento e quelle per l’alloggio e tutelare in

caso di malattia, gravidanza e parto.

• Il 25% dello standard minimo è previsto per il finanziamento dei costi di alloggio.

• I costi eccedenti per la copertura di maggiori oneri connessi all’alloggio o altre necessità possono essere

integrati dai Länder. TUTTAVIA: non sussiste alcuna legittimazione a pretendere tale copertura!

IPL • Istituto Promozione Lavoratori

23

6. La riforma dell’assistenza economica sociale in Austria: quali sono le caratteristiche principali del

pacchetto di provvedimenti della “Bedarfsorientierte Mindestsicherung”?

Sono state introdotte soglie minime uniformi per le prestazioni (=“standard minimi”).

I beneficiari delle prestazioni privi di assicurazione malattia sono stati inclusi nell’assicurazione malattia

obbligatoria senza limiti di accesso alle prestazioni mediche (“E-Card”).

Ai beneficiari della tutela di base è stato accordato l’accesso a parità di diritti alle misure disposte dai servizi

austriaci di collocamento.

Per il gruppo target sono stati/saranno sviluppati “provvedimenti ancora più mirati”.

Sono stati potenziati gli incentivi a favore dello svolgimento di un’attività lavorativa

... con l’introduzione della franchigia per persone in reinserimento lavorativo (temporaneo sgravio fiscale su

parte del reddito aggiuntivo);

... con l’abolizione dell’obbligo di rimborso spese da parte degli ex beneficiari della prestazione che sono stati

reinseriti nel mondo lavorativo.

In caso di mancata disponibilità a svolgere un lavoro, la “Mindestsicherung” viene ridotta e in casi particolari abolita

del tutto (TUTTAVIA: prevenzione degli sfratti e tutela dei familiari)

Per facilitare il controllo della disponibilità a lavorare è stato introdotto per la prima volta uno scambio automatico

di dati tra servizi di collocamento ed enti competenti in ambito sociale.

Aumento delle prestazioni per famiglie monoparentali (particolarmente a rischio povertà)

Sono state introdotte regole chiare per la determinazione del patrimonio

Abolizione degli obblighi di rimborso spese per gli ex beneficiari (in caso di reddito proprio). Gli obblighi di rimborso

spese per i familiari sono stati fortemente ridotti.

7. Cifre, dati e fatti: statistica BMS 2012

Nel 2012, circa 221.000 persone hanno beneficiato di una prestazione nell’ambito della "Bedarfsorientierte

Mindestsicherung".

Suddivisione dei beneficiari in gruppi:

221.000 beneficiari:

27% bambini e ragazzi

40% donne

33% uomini

61% famiglie monocomponente

16% famiglie monoparentali

12% coppie

L’importo delle prestazioni in denaro erogate dai Länder nell’ambito della “Mindestsicherung” è stato nel 2012

pari a circa 540 milioni di Euro.

IPL • Istituto Promozione Lavoratori

24

Dall’introduzione della “Bedarfsorientierte Mindestsicherung” nel 2010

• circa 67.300 beneficiari della BMS hanno iniziato a lavorare (dato aggiornato a maggio 2014);

• circa 45.000 persone sono state incluse nell’assicurazione malattia obbligatoria.

Per maggiori informazioni consultare il sito Internet del Ministero austriaco degli affari sociali,

(http://www.sozialministerium.at/site/Soziales/Bedarfsorientierte_Mindestsicherung /), dove è anche possibile

scaricare un opuscolo informativo esaustivo sulla BMS (vedi ultimo documento PDF)

3.3 Il Reddito di Garanzia nella Provincia Autonoma di Trento

Gianfranco Zoppi, Provincia Autonoma di Trento, Trento

Ci sono tanti strumenti per contrastare la povertà: reddito di cittadinanza, reddito minimo, misure categoriali. Il reddito

di garanzia si inserisce nell’ambito del reddito minimo quindi, a differenza del reddito di cittadinanza, richiede la prova

dei mezzi e rispetto alle misure categoriali, non si rivolge ad una platea predefinita di soggetti, quali potrebbero essere,

invece, i lavoratori con un minimo di versamenti previdenziali piuttosto che gli anziani oltre una certa età o piuttosto i

soggetti portatori di disabilità.

Il reddito di garanzia si sostanzia in un’erogazione monetaria ad integrazione della condizione economica del nucleo

familiare, qualora sia ritenuta insufficiente a soddisfare i bisogni generali della vita. Il valore-soglia della condizione

economica per un nucleo composto da una persona al di sotto della quale si ritengono non soddisfatti i bisogni generali

della vita, è stata fissata in 6.500 Euro in termini di reddito equivalente annuo; tecnicamente quindi il reddito di garanzia

rappresenta l’integrazione monetaria al reddito familiare tale da consentire il raggiungimento della soglia di 6.500 Euro

all’anno per nuclei composti da una sola persona, per nuclei composti da più persone la soglia dei 6.500 Euro viene

aumentata sulla base della scala di equivalenza. Per intenderci questi sono i limiti del reddito di garanzia: per una persona

6.500 Euro all’anno che corrispondono a 542 Euro al mese, per due persone il limite è 10.205 Euro all’anno che

corrispondono a 850 Euro al mese e così via. È facile rendersi conto di quanto possa crescere il valore massimo del

reddito di garanzia per i nuclei familiari di 4-5 persone ed oltre. Come si può vedere sono limiti abbastanza elevati e ciò

ha causato più di motivo di critica da parte di una certa pubblica opinione verso il reddito di garanzia, tant’è che

ultimamente la Giunta provinciale ha posto un limite massimo di euro 950 mensili.

Il reddito di garanzia è una misura che ha, sia una funzione anticongiunturale, sia strutturale. È, infatti, una misura

anticongiunturale quando serve per integrare il reddito di quelle famiglie dove magari l’unico componente che lavorava

ha perso il posto di lavoro. È strutturale, invece, quando serve anche a integrare il reddito di chi strutturalmente appunto

non ce la fa ad arrivare a fine mese. Da queste due funzioni derivano due tipi di competenze nella gestione del reddito di

garanzia: c’è una gestione a livello centralizzato della Provincia autonoma di Trento che consiste in una mera erogazione

monetaria del reddito di garanzia ed è rivolta principalmente a quei nuclei familiari per i quali la difficoltà è solo una

difficoltà di natura economica transitoria. È il caso di quelli che hanno perso il lavoro oppure di quei nuclei familiari dove

un solo componente lavora. Pensiamo al caso delle ragazze madri dove, ad esempio, una donna con uno-due figli piccoli

è costretta a trovarsi un lavoro part-time perché deve organizzarsi il tempo anche per la cura dei figli: il reddito di garanzia

IPL • Istituto Promozione Lavoratori

25

diventa allora un’integrazione al suo reddito da lavoro part-time. Per queste tipologie di soggetti l’intervento si traduce,

come ho detto, in una mera erogazione monetaria ed è gestita direttamente dalla Provincia autonoma di Trento, mentre

laddove oltre a problemi economici si riscontrano anche problemi di natura sociale, il reddito di garanzia, accompagnato

da misure di integrazione/recupero sociale, è gestito dai Servizi Sociali territoriali. In Provincia di Trento i Servizi Sociali

non sono di competenza dall’Ente Provincia che corrisponderebbe all’Ente Regione, ma sono gestiti da quelle che noi

chiamiamo “Comunità di Valle”, cioè un ente intermedio tra la Provincia e i Comuni, che in Trentino sono numerosi e

con pochi abitanti.

I destinatari dell’intervento che gestisce la Provincia autonoma di Trento, tra i vari requisiti fondamentali richiesti devono

avere almeno due mesi di versamenti previdenziali contributivi derivanti da lavoro, nell’ultimo anno e mezzo. Ciò vuol

dire appunto che ci rivolgiamo prevalentemente a nuclei familiari che hanno perso il lavoro “di recente” oppure che non

hanno la possibilità con il lavoro che svolgono di soddisfare i bisogni primari.

Un altro requisito fondamentale è quello di avere una residenza continuativa di almeno tre anni nella Provincia di Trento;

questo requisito è stato necessario per evitare l’attrazione di soggetti da altre Regioni. Chiaramente una volta che tutta

l’Italia avrà uno strumento analogo a quello della Provincia di Trento, questo requisito sparirà.

Ovviamente il requisito fondamentale è quello economico: ed è rappresentato da un indicatore della condizione

economica ICEF inferiore a 0,13. In Provincia di Trento, grazie alla nostra autonomia abbiamo sviluppato un indicatore

della condizione economica familiare in parte simile all’ISEE ma con caratteristiche proprie. L’ICEF di Trento si

differenzia dall’ISEE nazionale soprattutto per la sua flessibilità o adattabilità al tipo di politica cui deve essere applicato.

A dire il vero non si dovrebbe parlare dell’indicatore ICEF trentino ma di più indicatori ICEF. Bisogna però ammettere

che questa flessibilità é giunta a un punto tale per cui nessuno sa più quale sia il suo ICEF: a seconda del tipo di politica

alla quale uno vuole accedere cambia anche lo strumento per misurare la condizione economica del suo nucleo familiare:

per cui non è raro vedersi riconoscere un beneficio per la propria condizione economica e al contempo rimanere esclusi

da un altro beneficio in quanto la condizione economica – misurata in termini diversi – è superiore al limite stabilito.

Per il reddito di garanzia abbiamo sviluppato un indicatore della condizione economica particolare rispetto all’ICEF

standard; il reddito di garanzia è dato da questa semplice formula: il limite che abbiamo visto prima meno il reddito

familiare equivalente e, ovviamente, siccome viene erogato in mensilità, diviso dodici, per un massimo di 950 euro al

mese.

Vediamo come i nostri uffici calcolano la condizione economica dei nuclei familiari: esaminiamo cioè le differenze tra

ICEF e ISEE. Innanzitutto la composizione del nucleo familiare: per ISEE la composizione è data dal nucleo anagrafico

e dai familiari fiscalmente a carico e non ci sono possibilità di adeguare il nucleo familiare; invece con l’ICEF non esiste

un nucleo familiare predefinito che può essere ampliato o ristretto a seconda del tipo di politica. Possiamo quindi avere

politiche, come quelle per la famiglia, dove il nucleo familiare è ( o meglio era fino all’anno scorso) quello ristretto,

composto da marito e moglie e figli minori; politiche rivolte agli anziani non autosufficienti per le quali si potrebbe

prevedere anche l’inclusione nel nucleo familiare da valutare di altri soggetti che non risiedono nel nucleo ma che sono

IPL • Istituto Promozione Lavoratori

26

chiamati a compartecipare alle spese di assistenza.

Redditi netti: un’altra grossa differenza tra l’ICEF Trentino e l’ISEE nazionale è che noi consideriamo i redditi netti, vale

a dire che noi togliamo dal reddito lordo le imposte che uno paga e le spese deducibili. Esempio tipico: famiglia

monoreddito e famiglia con due redditi. A parità di reddito e a parità di componenti il nucleo familiare, le due famiglie

per l’ISEE sarebbero uguali mentre la famiglia monoreddito, pagando più tasse rispetto alla famiglia con due fonti di

entrata, dispone di un reddito netto minore; spese deducibili: noi ammettiamo in deduzione il canone di locazione, anche

se entro certi limiti, come peraltro gli oneri del mutuo sulla casa, le spese mediche e così via. A differenza dell’ISEE

invece includiamo, nella valutazione della condizione economica, i redditi esenti e questo ha suscitato inizialmente nella

Provincia di Trento non poche proteste proteste. Ciò vuol dire che nella valutazione della condizione economica alla fine

inseriamo pensioni di invalidità, indennità di accompagnamento, rendite Inail ma anche i contributi e i sussidi pubblici

che uno riceve. La Provincia autonoma di Trento eroga molti tipi di sussidi analoghi al reddito di garanzia, penso ad

esempio all’assegno regionale al nucleo familiare, al contributo a sostegno del canone di locazione. Per questo motivo si

è reso necessario inserire nella valutazione complessiva della condizione economica del nucleo familiare anche i redditi

esenti per determinare quello che è effettivamente il reddito disponibile delle famiglie e non il reddito lordo.

Deduzioni in luogo di maggiorazioni della scala di equivalenza: Per esempio è previsto un aumento della scala di

equivalenza se ci sono nel nucleo componenti disabili; questo aumento della scala di equivalenza ha un effetto

proporzionale. Faccio un esempio concreto: un nucleo di tre persone di cui una invalida, ha un incremento della scala di

equivalenza di 0,5, cioè il divisore del reddito passa da 2,04 a 2,54, il che si traduce in un beneficio di circa il 10% nel

senso che a parità di reddito lordo il reddito familiare equivalente è inferiore del 10% rispetto a quello di una famiglia di

tre componenti senza persone invalide. Capite quindi che maggiore è il reddito maggiore è la differenza. In termini

monetari se il reddito lordo è di 100.000 Euro, il reddito netto equivalente è di circa 10.000 euro inferiore per la famiglia

con disabile rispetto a quella senza disabile (circa 39.000 rispetto a 49.000). Se però il reddito lordo è di 10.000 Euro, la

differenza fra le due famiglie è di soli 10.000 Euro. Paradossalmente, il coefficiente della scala di equivalenza agisce a

vantaggio dei nuclei familiari più abbienti. L’ICEF, in luogo dell’aumento della scala di equivalenza prevede per i disabili

deduzioni di importo prefissato. Ciò vuol dire che togliere 10.800 Euro dal reddito di una famiglia di 100 mila per tener

conto di un familiare non autosufficiente vuol dire riconoscere a questa famiglia un risparmio del 10%, se invece il reddito

della famiglia con il famialiare non autosufficiente è di soli 10 mila Euro, la deduzione porta ad azzerare il reddito. Sono

evidenti gli effetti in termini di equità che si ottengono con le deduzioni in somma fissa.

Valutazione del patrimonio: noi abbiamo una valutazione del patrimonio graduale. L’ISEE è secco al 20%; nell’ICEF

abbiamo delle franchigie e poi passiamo dal 5 al 20 e al 60% in base a scaglioni di patrimonio crescenti.

Infine, l’ICEF consente di avere determinati parametri variabili: a seconda delle politiche aumentano le franchigie, i limiti

massimi, i limiti minimi, permettendo al nostro ICEF di adattarsi a tutte le situazioni. Come ho già detto prima questa

possibilità di adattarsi ha determinato un fiorire di tanti indicatori, creando al cittadino Trentino qualche problema di

orientamento. Dicevo del canone di locazione, come potete vedere dalla diapositiva questi sono gli importi mensili da

moltiplicare per dodici che noi ammettiamo in deduzione dal reddito.

IPL • Istituto Promozione Lavoratori

27

La valutazione della condizione economica di chi richiede il reddito di garanzia si compone di due ulteriori strumenti,

per riuscire a cogliere in maniera ancora più puntuale l’effettiva situazione reddituale-patriomoniale di quanto riesca il

solo indicatore ICEF. Il primo strumento è l’attualizzazione dell’ICEF. L’ICEF, così come l’ISEE, prende in

considerazione i redditi dell’anno precedente: se oggi presento una domanda mi vengono chiesti i redditi del 2012. Ora,

questo criterio va bene se io chiedo un beneficio ordinario come potrebbe essere la tariffa agevolata per il trasporto

alunni. Se invece chiedo un intervento perché mi si venga data una risposta immediata ad un problema insorto di recente,

come la perdita del lavoro, non posso essere valutato con i redditi di un anno fa, magari prodotti con il lavoro che ho

perso. Quindi in determinate situazioni, che noi sintetizziamo con l’espressione “variazioni significative della situazione

lavorativa”, non si considerano i redditi dell’anno precedente ma i redditi degli ultimi due mesi: più precisamente la media

aritmetica delle buste paga percepite nei due mesi precedenti la domanda.

Il secondo strumento che accompagna la valutazione della condizione economica di chi richiede il reddito di garanzia, è

la valutazione della congruità dei redditi dichiarati in base ai consumi. Questo strumento di valutazione è stato introdotto

partendo da questa semplice considerazione suffragata da dati reali: chi viene a chiedere il reddito di garanzia sicuramente

sono persone che dichiarano poco o nulla come redditi e patrimonio. Ora, sia l’ICEF trentino sia l’ISEE nazionale hanno

senso come strumenti di misurazione della condizione economica se io mi trovo di fronte una platea di beneficiari che

presentano una variabilità della condizione economica entro uno spettro sufficientemente ampio. Se, invece, il mio

obiettivo è quello di contrastare la povertà avrò invece a che fare con una platea di famiglie dove tutte saranno, o meglio

si dichiareranno, mediamente povere, cioè poste al di sotto sia del livello della povertà relativa che di quella assoluta.

Quindi, in altri termini, si è reso necessario affiancare all’indicatore ICEF un ulteriore strumento che misurasse le

differenze effettive fra nuclei familiari tutti risultanti in difficoltà economica e che fornisse una prova di plausibilità a

dichiarazioni di redditi e patrimonio molto bassi, prova da effettuare al momento della domanda senza dover ricorrere

alle verifiche sulle autocertificazioni, che come sappiamo richiedono tempi lunghi non compatibili con i tempi di risposta

del reddito di garanzia.

La Provincia autonoma di Trento ha sviluppato la cosiddetta verifica della congruità dei redditi dichiarati in base ai

consumi. Più precisamene sono state individuate, in primo luogo, alcune voci di spesa relative a consumi ritenuti

necessari. La maggior parte di queste voci di spesa non sono valorizzate sulla base dei consumi effettivi ma sulla base di

valori medi statistici, opportunamente ridotti per tener conto del fatto che si tratta di famiglie in difficoltà economica. La

scelta di utilizzare dei valori parametrici è dipesa dalla esigenza di semplificare la domanda di reddito di garanzia, evitando

al cittadino di dover rendicontare la spesa. In sintesi in funzione del numero dei componenti la famiglia, individuiamo

quella che potrebbe essere la spesa per abbigliamento, alimentazione e la conduzione della casa; in base ai metri quadri

calcoliamo quale potrebbe essere il consumo medio per il riscaldamento della casa; in base al numero delle automobili

deduciamo, non il valore delle automobili, ma la spesa per il loro utilizzo, infine consideriamo quanto uno ha

effettivamente pagato di canone di locazione: il canone di locazione è contemporaneamente una spesa deducibile (dai

redditi dichiarati) ma anche una componente dei consumi. Quindi completato l’elenco delle voci di spesa connesse ai

consumi, noi mettiamo a confronto da un lato i redditi dichiarati dall’altro redditi presunti desunti dai consumi. Tenete

presente che tra il reddito dichiarato ci sono anche le provvidenze e i benefici che uno ha ricevuto dall’Ente Pubblico,

IPL • Istituto Promozione Lavoratori

28

quindi se uno ha perso il lavoro ma ha delle entrate dall’Ente Pubblico può giustificare un certo livello di consumi alla

luce di redditi fiscali bassi. In sintesi, se il reddito dichiarato è più basso del reddito desunto dai consumi presunti,

valutiamo la condizione economica in base ai consumi altrimenti valutiamo la condizione economica in base a quanto

uno ha dichiarato. Come evidenziato nella mia diapositiva, i cosiddetti “falsi positivi”, quelli che sulla base dei redditi

dichiarati risultavano avere un reddito inferiore ai consumi presunti, raggiungevano inizialmente nel primo anno di

applicazione del reddito di garanzia - parlo del 2010 – una percentuale del 25% dei casi. Adesso siamo ad un livello del

10% di casi di incongrui.

L’ultimo requisito del reddito di garanzia è l’impegno a dare la disponibilità immediata al lavoro: quindi tutti i componenti

il nucleo familiare di coloro che chiedono il reddito di garanzia - cioè non solo il richiedente ma anche tutti i componenti

del suo nucleo familiare - in età di lavoro e non esentati dal lavoro, hanno l’obbligo di iscriversi ai Centri per l’Impiego e

di accettare le offerte di lavoro o di formazione che i Centri per l’Impiego propongono loro. Chiaramente anche in

Trentino c’è la crisi economica per cui non c’è stata la possibilità di offrire tanti posti di lavoro; c’è stata invece un’azione

volta ad erogare servizi di formazione al lavoro e in particolare per le donne extracomunitarie è stato possibile fare

formazione linguistica e di integrazione.

Brevemente ricordo che il reddito di garanzia viene erogato per soli 4 mesi; poi si deve fare domanda di rinnovo proprio

perché non vogliamo che il reddito di garanzia diventi un incentivo a tempo indeterminato.

Un’altra cosa importante per la riuscita di questo strumento è stata la valutazione della sua efficacia. La Provincia

Autonoma di Trento ha incaricato un suo Istituto di ricerca di valutare gli effetti del reddito di garanzia. Tenete presente

che noi siamo partiti dal novembre 2009 e siamo tuttora in attività.

Sono state condotte due ricerche, valutando con il sistema contro-fattuale della “differenza nelle differenze”: in poche

parole si è preso un campione significativo di nuclei familiari destinatari dell’intervento e un campione altrettanto

significativo di famiglie che invece erano leggermente al di sopra di quel famoso limite dello 0,13 di ICEF per l’accesso.

Si è analizzata la condizione dei nuclei familiari di questi due campioni, prima dell’avvio dell’intervento e dopo un “tot”

di mesi che beneficiavamo del reddito di garanzia. Si sono potute rilevare alcune caratteristiche fondamentali: innanzitutto

i beneficiari della misura risultano essere una fascia ristretta di popolazione cioè, nella stragrande maggioranza dei casi

abbiamo “beccato” le famiglie bisognose e non famiglie di falsi positivi; in secondo luogo l’intervento si configura come

una misura strutturale di lotta alla povertà, idonea non solo per combattere episodi transitori ma anche duraturi. Per

quanto riguarda la valutazione degli effetti, interessante è stata la differenza tra le famiglie di italiani e le famiglie di

extracomunitari; per quanto riguarda le famiglie degli italiani, il reddito di garanzia è servito per lo più a sostenerle

nell’acquisto di beni durevoli, dove per beni durevoli si intendono gli elettrodomestici mentre, per le famiglie di

extracomunitari l’intervento è servito per lo più a sostenerli per i bisogni di alimentazione; questa differenza di

comportamento può essere spiegata perché le famiglie di italiani tendenzialmente erano quelle di anziani e senza minori

mentre le famiglie di extracomunitari erano famiglie giovani con molti figli minori. La ricerca ha evidenziato però che

l’erogazione di denaro che ha caratterizzato il reddito di garanzia, non è stata accompagnata in misura sufficiente – almeno

in relazione al numero di nuclei familiari coinvolti – da azioni complementari in termini di politiche attive del lavoro.

Tuttavia come dicevo, la crisi economica c’è anche in Trentino, anche se non nelle dimensioni che ho sentito qui in

Liguria. Ciò ha comportato anche da noi la difficoltà di reperire posti di lavoro ai beneficiari del reddito di garanzia.

IPL • Istituto Promozione Lavoratori

29

Proprio in questi giorni ci stiamo confrontando in Trentino con la prossima chiusura di una importante fabbrica di

elettrodomestici che metterà molte famiglie sulla strada e sarà molto difficile proporre ai licenziati un lavoro sostitutivo.

Il reddito di garanzia costa attorno ai 16 milioni di euro all’anno, tenete presente che il bilancio della Provincia è di 4

miliardi e mezzo quindi si parla di millesimi del bilancio della Provincia Autonoma di Trento, una cifra del tutto sostenibile

tant’è che viene rifinanziata ogni anno. Riguarda mediamente 3.500 nuclei familiari all’anno, su una popolazione di 520

mila abitanti, considerato che i nuclei familiari sono intorno ai 300.000 se consideriamo anche i nuclei mono-personali,

quindi vuol dire che siamo intorno all’uno e mezzo percento circa di famiglie coinvolte nell’intervento.

3.4 Rapporto Panel II: Strutturare il welfare

Karl Tragust, Presidente Agenzia per lo sviluppo sociale ed economico, Bolzano

L’obiettivo del presente panel era confrontare i vari sistemi di reddito minimo garantito esistenti in Alto Adige, Austria

e nella Provincia autonoma di Trento in vista di un maggiore scambio reciproco per affrontare le sfide comuni del futuro.

Dopo un’approfondita discussione i partecipanti al panel sono giunti ai seguenti risultati:

1. I sistemi delle prestazioni legate al reddito minimo garantito in Austria, Alto Adige e nella provincia

di Trento sono molto simili:

a. sono mirate al fabbisogno,

b. il nucleo sociale assistito è rappresentato dalla famiglia / dal nucleo famigliare,

c. la prestazione corrisponde alla differenza tra il fabbisogno e i mezzi propri disponibili,

d. i mezzi propri sono costituiti dal patrimonio e dal reddito,

e. si richiede la disponibilità a lavorare; in caso di inadempimento dell’obbligo al lavoro la prestazione

viene ridotta.

2. Peculiarità del sistema austriaco:

a. Il sistema si basa su un accordo tra lo stato federale e le regioni; è un sistema nazionale con alcune

peculiarità regionali.

b. Esiste uno stretto collegamento tra le autorità addette all’assistenza sociale e il servizio del mercato del

lavoro che facilita l’erogazione del reddito minimo garantito e il reinserimento attivo nel mondo lavoro;

è particolarmente importante in presenza di disoccupazione di lunga durata.

c. I contributi alle famiglie non sono considerati reddito.

3. Peculiarità della Provincia Autonoma di Trento:

a. Il reddito di garanzia è una prestazione standard gestita dall’Agenzia provinciale per l'assistenza e la

previdenza integrativa; i casi più complessi sono gestiti dai servizi sociali territoriali.

b. Ai fini della determinazione del reddito si utilizza un modello standard basato sui dati di consumo.

c. Se il destinatario della prestazione si rifiuta di lavorare, la prestazione dell’Agenzia viene sospesa per 12

mesi. È possibile presentare la richiesta ai servizi sociali territoriali.

IPL • Istituto Promozione Lavoratori

30

4. Problematiche presenti in tutti tre i sistemi:

a. Spesso le prestazioni non vengono richieste, soprattutto nelle zone rurali (meno invece in città). Se i

potenziali richiedenti sono conosciuti e l’ufficio competente agisce direttamente in loco, subentra una

“soglia di vergogna”.

b. La combinazione di universalità e adeguatezza della prestazione erogata comporta regolamentazioni,

procedure, metodi di valutazione, tracciabilità delle decisioni molto complessi, oltre al rischio dell’esercizio

di discrezionalità. Ciò indebolisce anche la situazione giuridica delle persone interessate.

c. Domanda: È possibile parlare di universalità se:

• l’adeguatezza dell’assistenza erogata esclude un gruppo consistente di persone dal godimento della

prestazione (tale problematica non riguarda piuttosto la questione dell’erogazione di natura

incondizionata?);

• le difficoltà di accesso (ad es. per i cittadini di paesi terzi o non del posto) escludono determinati

gruppi di persone dall’accesso alla prestazione?

d. Il reddito minimo garantito così strutturato è uno strumento troppo debole per combattere efficacemente

la povertà? Sì, se è l’unica prestazione prevista. Deve essere invece parte di un insieme di prestazioni e

misure per combattere la povertà in cui svolgere un ruolo importante.

e. Il reddito di cittadinanza di natura incondizionata potrebbe essere uno strumento per affrontare i punti

deboli del reddito minimo garantito mirato al bisogno, essendo universale, semplice, di molteplice

applicazione e in linea con l’obiettivo dello stato sociale di garantire i diritti sociali di base e tutelare la

dignità personale (sicurezza materiale, abitazione, istruzione, salute). Ciò soprattutto alla luce del calo

dell’attività lavorativa retribuita. Non è stato possibile approfondire nel corso della discussione la

realizzabilità concreta dell’approccio.

Qualora le varie prestazioni di reddito minimo garantite attualmente esistenti vengano accorpate in un’unica prestazione

unitaria, si pone la questione del grado di adeguatezza dell’assistenza ovv. dei requisiti previsti per l’erogazione;

attualmente tali criteri sono regolamentati in maniera differente a seconda della prestazione.

IPL • Istituto Promozione Lavoratori

31

IPL • Istituto Promozione Lavoratori

32

IPL • Istituto Promozione Lavoratori

33

4. Quanto vale il lavoro?

Alla ricerca della giusta retribuzione: L’opinione delle persone.

4.1 Salari minimi in Germania ed Europa

Reinhard Bispinck, Wirtschafts- und Sozialwissenschaftliches Institut (WSI), Düsseldorf

Dopo dieci anni di confronti politici, anche la Germania ha deciso di introdurre il salario minimo garantito.

La coalizione di governo nero-rossa formata da CDU/CSU e SPD ha presentato un disegno di legge che

prevede l’entrata in vigore il 1° gennaio 2015 di un salario minimo garantito universale di 8,50 € l’ora. In questo

modo la Germania si allinea ai 21 (su 28) Stati membri dell’UE nei quali è già in vigore il salario minimo di

legge. Attualmente il dibattito politico in Germania è concentrato sulle possibili eccezioni a tale

provvedimento. Il fatto che il disegno di legge presentato escluda dal salario minimo i giovani sotto i 18 anni

e i disoccupati di lungo corso ha suscitato molte critiche da parte dei sindacati ("La dignità non conosce

eccezioni!"), mentre sono proprio ulteriori eccezioni che l’economia richiede. È previsto un periodo di

transizione di due anni durante il quale rimarranno in vigore i contratti collettivi in essere che prevedono

compensi inferiori.

Fino ad oggi in Germania esistevano due modi per definire i salari minimi vincolanti: 1) Retribuzione e

contratti collettivi possono essere ritenuti generalmente vincolanti in base alla legge tedesca sulla

contrattazione collettiva, quando ciò è di interesse pubblico, i contratti collettivi raggiungono già un'efficacia

soggettiva del 50% e il comitato negoziale paritetico presso il Ministero federale del lavoro rilascia la propria

approvazione. Siffatte dichiarazioni di vincolatività universale sono attualmente in essere solo per pochi

settori. 2) I salari minimi possono inoltre essere definiti anche in base alla legge tedesca sul distacco dei

lavoratori (Arbeitnehmer-Entsendegesetz) e si applicano anche ai lavoratori stranieri distaccati in Germania.

Tali salari minimi sono attualmente in vigore in 14 settori nei quali sono impiegati circa 4 milioni di persone.

In Europa i regimi di minimi salariali si distinguono in universali e settoriali. I primi sono caratterizzati dalla

definizione di una soglia salariale minima fissata a livello nazionale. Nella maggior parte dei casi il minimo

salariale viene fissato per legge, in pochi Paesi per contratto collettivo o accordi tripartiti tra Stato, datore di

lavoro e sindacati.

Attualmente 21 dei 28 Stati membri dell’Unione Europea prevedono un regime minimo salariale universale

con un salario minimo generalmente valido a livello nazionale. In sette Stati dell'UE esistono invece

IPL • Istituto Promozione Lavoratori

34

esclusivamente sistemi di minimo salariale settoriale. Molti di questi paesi dispongono tuttavia di un'efficacia

soggettiva tanto alta da garantire un’elevata diffusione dei salari minimi settoriali.

Dando uno sguardo ai salari minimi nazionali dentro e fuori l’Europa, è possibile notare notevoli differenze.

All'interno dell'Unione Europea è possibile distinguere 3 gruppi in base al livello dei salari minimi calcolati in

Euro. Il primo gruppo, con salari minimi relativamente elevati, è composto fino ad ora da sette Stati

appartenenti all'Europa occidentale. Il minimo salariale più elevato lo troviamo in Lussemburgo con una tariffa

di 11,10 € all'ora. Al secondo posto la Francia con una tariffa oraria di 9,53 €, seguita dai Pesi Bassi con 9,11

€, dal Belgio con 9,10 € e dall'Irlanda con 8,65 €. Con un salario minimo pari a 7,43 € all'ora, la Gran Bretagna

rappresenta il fanalino di coda del gruppo guida in Europa. Tuttavia il salario minimo britannico calcolato in

Euro subisce una forte distorsione dovuta al cambio della sterlina che dal 2007 si è svalutata di un quarto

rispetto all'Euro. Senza tale svalutazione il minimo salariale in Gran Bretagna sarebbe pari a 9,22 € all'ora, un

valore elevato a livello europeo. Per quanto riguarda la Germania invece, il minimo salariale previsto di 8,50 €

all'ora la porterebbe a posizionarsi ai margini del gruppo guida dell'Europa occidentale.

L’importanza del salario minimo non è data unicamente dal suo valore assoluto, ma anche dalla sua posizione

all'interno dei vari assetti salariali nazionali. Tutti i minimi salariali di legge in Europa si trovano al di sotto

della cosiddetta soglia dei bassi salari. In molti Stati dell'UE i salari minimi garantiti non superano nemmeno

la soglia di povertà. Basandosi sull'Indice di Kaitz che misura l'incidenza del salario minimo su quello medio

(salario mediano) di un Paese, si nota una cospicua fascia di oscillazione che nella maggior parte dei paesi si

muove tra il 40 e il 50%. Un valore elevato è raggiunto dalla Francia con il 62%.

15 paesi dell'UE hanno alzato i propri minimi salariali garantiti con effetto dal 1° gennaio 2014 o poco prima.

Tuttavia, la crisi nell'Eurozona e le misure di risparmio che molti Governi nazionali continuano a perseguire

hanno nuovamente e fortemente rallentato l'adeguamento dei minimi salariali in Europa. Soltanto in alcuni

paesi dell'Europa orientale i salari minimi sono decisamente aumentati anche al netto dell'inflazione, nel

complesso esigua. Nella maggior parte degli Stati dell'Europa occidentale e meridionale gli aumenti hanno

invece, nel migliore dei casi, controbilanciato l'inflazione. Nei Paesi Bassi e in Gran Bretagna il salario minimo

ha perso addirittura di valore in termini reali. Questo vale anche per i paesi dell'UE, tra cui Belgio, Spagna e

Irlanda, che hanno congelato i propri salari minimi.

Soprattutto l'UE spinge ancora per una politica restrittiva che in diversi Paesi prevede il congelamento dei

salari minimi o addirittura la loro riduzione. Considerato il pericolo di deflazione sempre più incombente in

tutta Europa, sarebbe invece necessario mettere in atto una politica che vada in senso contrario.

IPL • Istituto Promozione Lavoratori

35

Fonti e letteratura

Banca dati WSI sui salari minimi: http://www.boeckler.de/mindestlohndatenbank

Th. Schulten, Mindestlohnregime in Europa… und was Deutschland von ihnen lernen kann, Studio FES-Studie, febbraio

2014 (http://www.library.fes.de/pdf-files/id-moe/10529.pdf)

R. Bispinck/archivio contratti collettivi WSI, WSI-Niedriglohnmonitoring 2013. Tarifliche Vergütungsgruppen im

Niedriglohnbereich 2013. Eine Untersuchung in 41 Wirtschaftszweigen, in: Elemente qualitativer Tarifpolitik, Nr. 77,

Düsseldorf, gennaio 2014 (http://www.boeckler.de/pdf/p_ta_elemente_77_2014.pdf)

Intervista a Reinhard Bispinck (in tedesco)

IPL • Istituto Promozione Lavoratori

36

IPL • Istituto Promozione Lavoratori

37

IPL • Istituto Promozione Lavoratori

38

IPL • Istituto Promozione Lavoratori

39

IPL • Istituto Promozione Lavoratori

40

IPL • Istituto Promozione Lavoratori

41

IPL • Istituto Promozione Lavoratori

42

IPL • Istituto Promozione Lavoratori

43

IPL • Istituto Promozione Lavoratori

44

IPL • Istituto Promozione Lavoratori

45

IPL • Istituto Promozione Lavoratori

46

IPL • Istituto Promozione Lavoratori

47

IPL • Istituto Promozione Lavoratori

48

4.2 Sintesi Panel III: Il salario minimo legale: una prospettiva per l’Italia e l’Alto

Adige?

Werner Pramstrahler, IPL | Istituto Promozione Lavoratori, Bolzano

Il panel ci ha permesso da un lato di approfondire alcuni aspetti della relazione di Reinhard Bispinck, e dall’altro di

discutere delle opportunità e dei rischi che comporterebbe l’introduzione di un salario minimo legale in Italia ovv. in Alto

Adige.

1. Il salario minimo legale è previsto in una serie di paesi europei ed extra europei caratterizzati da economie,

istituzioni e relazioni collettive di lavoro molto differenti tra loro. L’introduzione di un salario minimo legale

non è di per sé una soluzione generale contro i salari bassi e la destabilizzazione del sistema di contrattazione

collettiva. L’esempio della Germania ha evidenziato che la discussione sulla regolamentazione di legge pone il

tema dei salari bassi al centro del dibattito sociale. Analogamente a quanto accaduto in Germania, anche in Alto

Adige e in Italia il tema dei limiti minimi di salario dovrà essere oggetto di un’ampia discussione che a sua volta

potrebbe portare ad un innalzamento delle retribuzioni stabilite attraverso la contrattazione collettiva.

2. Non esiste un livello di salario minimo legale che possa essere scientificamente definito; esso è infatti sempre il

risultato dell’accettazione politica e include già di per sè precise indicazioni politiche. Per questo motivo

in Germania esiste a 25 anni dall’unità tedesca anche un salario minimo legale unitario che vale sia per le

regioni occidentali, sia per quelle orientali. Questo aspetto viene ampiamente discusso nel panel, poiché anche

in Italia esistono divergenze significative tra il nord, economicamente più stabile, e il sud più fragile in relazione

al costo della vita e allo sviluppo della produttività. Un salario minimo legale non esclude però una distinzione

IPL • Istituto Promozione Lavoratori

49

territoriale; importante è il messaggio politico implicito a tale differenziazione. Inoltre è possibile prevedere un

aumento graduale dei salari minimi di legge. Occorre anche definire chiaramente le categorie di persone

interessate dal salario minimo fissato per legge: i lavoratori dipendenti, ma anche gruppi di occupati affini (quali

i parasubordinati in Italia).

3. In Italia continuano ad esistere salari minimi contrattuali inferiori a 7 € / ora. Bisogna però capire quali

elementi rientrino nella retribuzione oraria. Si tratta di un aspetto che va tematizzato e analizzato

dettagliatamente, seppure sembri cristallizzarsi il criterio della retribuzione base oraria (quindi senza

maggiorazioni). Come includere allora nel calcolo le quote di tredicesima, il trattamento di fine rapporto o altri

elementi retributivi aggiuntivi? Proprio questo aspetto è stato oggetto di discussioni controverse in Germania.

In alcuni settori le associazioni tedesche dei datori di lavoro hanno cercato clausole di uscita, ad esempio

includendo indennità e contributi sociali.

4. Un altro parallelismo tra Italia e Germania si riscontra nella contrattazione collettiva di prestazioni sociali

aggiuntive, in particolare in settori in cui non ci sono quasi più margini monetari di contrattazione. Bisogna

fare però attenzione che non venga compromessa la funzione sindacale di concordare aumenti salariali

percepibili. Le organizzazioni sindacali ricadono così nel ruolo improprio di “legislatore secondario”.

5. Il salario minimo legale può essere una misura adeguata contro il dumping salariale nel settore

pubblico? Il settore delle pulizie e altri servizi alla persona sono anche in Alto Adige settori per i quali sono

state concordate retribuzioni particolarmente basse. Attraverso le gare pubbliche si fa pressione sulle imprese,

arrivando in alcuni casi anche al “dumping salariale”. In Germania sono state elaborate per questi settori

cosiddette “regolamentazioni per il rispetto della fedeltà contrattuale” (Tariftreueregelungen), diventate legge in una

serie di regioni; possono contenere anche particolari criteri sociali (ad esempio promozione delle donne, posti

di formazione, etc.). Anche a livello europeo si sta cercando di impedire il dumping salariale nelle gare.

6. Stabilizzazione del sistema di contrattazione collettiva attraverso salari minimi legali. In quasi tutti i

paesi europei la rilevanza di regolamentazioni contrattuali collettive sta diminuendo: o attraverso una riduzione

del grado di copertura (vedi esempio Germania) oppure attraverso la ridotta esigibilità degli accordi stabiliti nella

contrattazione collettiva (vedi Italia). Grazie a un limite salariale inferiore e ad altre misure quali la dichiarazione

di applicabilità generale, il sistema di contrattazione collettiva può essere stabilizzato. Così si riduce la possibilità

di concorrenza sleale mediante salari bassi (e cattive condizioni di lavoro). Le parti contrattuali possono

contrattare su aspetti centrali quali la promozione della produttività, l’organizzazione del lavoro, la qualità del

lavoro e la distribuzione degli utili. Soglie salariali minime possono contribuire a garantire che la politica salariale

rimanga una materia principalmente sindacale.

7. Un problema centrale per l’Italia è il carente sviluppo della produttività; una forte deregulation del mercato

del lavoro, l’inefficienza del sistema politico-decisionale, delle regole istituzionali e del sistema contrattuale

nonché a livello aziendale la mancata modernizzazione dell’organizzazione del lavoro ne sono considerati i

motivi principali.

IPL • Istituto Promozione Lavoratori

50

8. Europeizzazione della contrattaziona collettiva. Soprattutto a livello europeo si sta tentando di espletare

una forte concorrenza attraverso i salari (“svalutazione interna”). Nell’interesse dei lavoratori dipendenti le

organizzazioni sindacali devono sottrarsi a questo processo. Gli obiettivi a breve e medio termine sono uno

sfruttamento dei margini di contrattazione (produttività e inflazione) e il coordinamento a livello europeo. Quote

di salario in calo o stagnanti sono fatali dal punto di vista della politica economica in quanto portano ad un

permanente indebolimento della domanda. Allo stesso modo in cui la Commissione europea promuove degli

indici di politica economica per realizzare i propri obiettivi, i sindacati devono stabilire un sistema di indici sociali

e di politica salariale.

9. Che valore attribuiamo al lavoro? Non solo l’utilità sociale ed economica, ma anche l’opinione pubblica

suggeriscono la possibilità di avviare anche in Alto Adige e in Italia un processo di ampio dibattito sociale su

soglie salariali efficaci in tutti i settori. Una campagna europea potrebbe arricchire la discussione a livello locale.

Per approfondimenti

Banca dati salari minimi in Europa (WSI): http://www.boeckler.de/wsi-tarifarchiv_43610.htm

Rapporto WSI sui salari minimi in Europa: 2014:

http://www.boeckler.de/pdf/wsi_mindestlohnbericht_2014.pdf

Salario minimo legale: Gabbia o opportunità: http://www.ingenere.it/articoli/salario-minimo-gabbia-o-

opportunita

Regolamentazioni per il rispetto della fedeltà contrattuale:

http://www.boeckler.de/pdf/wsi_ta_tariftreue_uebersicht.pdf

Coordinamento europeo dei salari: Competitivo o solidale?

http://www.boeckler.de/pdf/v_2014_05_08_schulten.pdf

Antonioli, Davide / Pini, Paolo (2013). Contrattazione, dinamica salariale e produttività: ripensare gli obiettivi

ed i metodi. http://docente.unife.it/paolo.pini/contrattazione-produttivita-crescita-ripensare-gli-obiettivi-ed-i-

metodi/contrattazione-dinamica-salariale-e-produttivita-ripensare-gli-obiettivi-ed-i-metodi-di-davide-

antonioli-e-paolo-pini-gennaio-2013/at_download/file

Bellavista, Alessandro: Il salario minimo legale. http://www.bollettinoadapt.it/wp-

content/uploads/2014/07/dri_3_2014_bellavista.pdf

IPL • Istituto Promozione Lavoratori

51

5. Quale ruolo dare al terzo settore per il welfare locale?

5.1 Terzo Settore: sostegno al sistema di welfare altoatesino?

Carlo Borzaga, European Research Institute on Cooperative and Social Enterprises Trento

In Italia e in Europa, l’interesse per le organizzazioni che compongono il terzo settore – associazioni di vario tipo,

fondazioni e cooperative in generale e soprattutto sociali - è andato via via crescendo negli ultimi vent’anni proprio a

seguito del loro sempre maggior coinvolgimento nella erogazione di servizi di welfare. Un coinvolgimento che ha

determinato oltre che una crescita del numero di organizzazioni e dei lavoratori (volontari e remunerati) in esse impegnati,

anche alcune profonde modificazioni degli assetti organizzativi e giuridici. Le forme più tradizionali, come le fondazioni

e le associazioni, si sono impegnate in modo crescente nella erogazione di servizi piuttosto che nella tutela dei diritti e

nel sostegno alla partecipazione dei cittadini. Sono inoltre nate nuove forme organizzative e giuridiche, ormai

generalmente definite “imprese sociali” con l’obiettivo esplicito e principale di offrire servizi di welfare. Inoltre si sono

venute progressivamente strutturando e diffondendo modalità nuove di collaborazione tra organizzazioni di terzo settore

e pubbliche amministrazioni che sempre più spesso si sono alleate per garantire i servizi richiesti dai cittadini, soprattutto

da quelli in condizioni di maggior bisogno.

In Italia lo sviluppo del terzo settore è stato particolarmente marcato. Da una situazione di quasi irrilevanza fino agli anni

’80 del secolo scorso il settore ha registrato una crescita che si può definire straordinaria. Dalle prime esperienze assai

poco strutturate e largamente basate sull’apporto di volontari il settore si è progressivamente rafforzato soprattutto grazie

alla creazione di nuove forme organizzative, come le organizzazioni di volontariato e soprattutto le cooperative sociali e

il loro successivo riconoscimento a partire dall’inizio degli anni ’90. Secondo i dati dei Censimenti del 2011 (di cui uno

specifico sul terzo settore) tra il 2001 e il 2011 le organizzazioni del terzo settore hanno registrato una crescita sia del

numero di organizzazioni che di occupati superiore a quella sia del settore privato che di quello pubblico. Nel 2011

operavano in Italia oltre 300 mila organizzazioni di terzo settore con quasi 5 milioni di volontari e quasi un milione di

addetti.

Sullo sviluppo del terzo settore e sul suo crescente impegno nella erogazione di servizi di welfare hanno inciso in modo

determinante le relazioni di collaborazione instaurate con le pubbliche amministrazioni, soprattutto locali, che ne hanno

incentivato e sostenuto finanziariamente l’attività prima attraverso l’erogazione di contributi e successivamente sulla base

di accordi contrattuali. Terzo settore e offerta di servizi di welfare sono quindi cresciuti allo stesso ritmo e insieme hanno

contribuito a creare anche in Italia un’offerta diffusa di servizi sociali.

Questa crescente importanza del terzo settore nelle politiche di welfare è stata ed è ancora oggetto di giudizi assai diversi.

Studiosi e politici si sono divisi tra chi sosteneva la collaborazione tra organizzazioni di terzo settore e pubbliche

amministrazioni e chi invece avrebbe preferito che i servizi sociali fossero direttamente gestiti da enti pubblici. Nel tempo

è prevalsa la strategia della collaborazione che ha poi trovato sostegno dall’introduzione in Costituzione del principio di

sussidiarietà orizzontale.

IPL • Istituto Promozione Lavoratori

52

Questa evoluzione, se ha avuto il merito di creare anche in Italia una rete diffusa di servizi di welfare, ha però anche reso

le organizzazioni di terzo settore molto dipendenti dai finanziamenti pubblici. La crisi economica scoppiata nel 2008 e

tuttora in corso e la necessità di ridurre la spesa pubblica stanno ora creando a queste organizzazioni una serie di difficoltà

e le stanno costringendo a ripensare le proprie attività e il modo in cui sono organizzate. La tendenza generale è quella di

una riduzione dei finanziamenti pubblici a cui le organizzazioni stanno cercando di far fronte attraverso interventi di

razionalizzazione e la ricerca di fonti di finanziamento alternative. E’ tuttavia reale il rischio che ciò determini anche una

riduzione dell’offerta di servizi, nonostante il continuo aumento dei bisogni.

L’Alto Adige è una delle realtà dove le organizzazioni di Terzo Settore sono più diffuse e da più tempo. E sono da sempre

sostenute da finanziamenti pubblici, anche a seguito di una cultura della sussidiarietà molto più antica e consolidata

rispetto al resto del paese. Diffusa è in particolare la presenza di associazioni e di cooperative sociali. Anche in Alto Adige

tuttavia sta emergendo la necessità di razionalizzare la spesa pubblica e ciò impone una nuova riflessione sia sul ruolo

effettivo e potenziale delle organizzazioni di terzo settore che operano in provincia, sia sulle forme di collaborazione con

l’amministrazione provinciale.

Le questioni su cui riflettere nel corso del seminario sono quindi le seguenti (anche se l’elenco non deve considerarsi

esaustivo):

quale è oggi in provincia il grado di copertura della domanda di servizi? Vi sono differenze territoriali? Ci sono

bisogni ancora privi di risposte e se si quali? In particolare sono soddisfacenti gli interventi volti a favorire

l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate?

Quale è la situazione delle organizzazioni di terzo settore dal punto di vista sia della capacità di erogare servizi,

dell’efficienza e della consistenza economica e patrimoniale (e quindi della capacità di garantire l’offerta nel

medio-lungo termine)?

Quale è lo stato delle modalità di collaborazione con le amministrazioni pubbliche, soprattutto con riferimento:

alle modalità contrattuali, all’adeguatezza dei finanziamenti alla gestione dei servizi e alla pianificazione e

gestione degli interventi?

Quali sono le condizioni di lavoro nel settore?

5.2 Sintesi Panel IV: “Terzo settore”: sostegno del welfare altoatesino

Josef Untermarzoner, IPL | Istituto Promozione Lavoratori, Bolzano

Ogni discussione sul sistema di welfare è incompleta se non include anche il terzo settore. Negli ultimi decenni il terzo

settore è diventato in Europa, e quindi anche in Alto Adige, un supporto importante del welfare. Dovrà quindi a sua

volta reagire al cambiamento del sistema e affrontare nuove sfide e compiti. Non sempre è ben chiaro cosa comprenda

il cosiddetto “terzo settore” (a volte detto anche “settore non profit”); esistono infatti varie definizioni. In generale si

intendono tutte le organizzazioni e istituzioni che operano aldilà (o, a seconda del punto di vista, tra) lo Stato e il mercato.

Tali istituzioni non fanno quindi parte né del settore pubblico (Stato) né del mondo delle imprese private dell’economia

(mercato); esse formano piuttosto una terza sfera a parte in aggiunta a Stato e mercato. Citiamo alcuni esempi di istituzioni

IPL • Istituto Promozione Lavoratori

53

del terzo settore: tutti i tipi di cooperative, le organizzazioni volontarie, le fondazioni, le associazioni e le federazioni. Il

terzo settore non va assolutamente confuso o comparato con il settore terziario (ovvero il settore dei servizi), dove

operano anche operatori pubblici e economici. Le istituzioni e le organizzazioni del terzo settore non hanno scopo di

lucro (gli utili vengono reinvestiti) e perseguono come obiettivo primario la promozione del bene comune (pubblica

utilità). In esse i cittadini si impegnano volontariamente oppure si raggruppano in forma volontaria; le organizzazioni del

terzo settore possono pertanto assumere varie forme giuridiche.

L’obiettivo del panel IV era discutere – alla luce delle 4 domande poste da Carlo Borzaga al termine della sua relazione –

delle attuali sfide e delle nuove funzioni del terzo settore, del suo ruolo di oggi e di domani e delle sue problematiche.

Come esperti sono intervenuti il prof. Carlo Borzaga e Alberto Stenico che hanno introdotto la tematica con due brevi

relazioni.

Dalle loro relazioni è emerso che la situazione del terzo settore in Alto Adige presenta delle peculiarità sotto due aspetti:

per prima cosa la situazione nazionale si è sviluppata diversamente da quella in altri paesi europei; secondo, l’Alto Adige

rappresenta un caso eccezionale anche all’interno dell’Italia. Già negli anni ottanta il sistema del welfare italiano era basato

più su categorie e trasferimenti finanziari; numerose altre prestazioni sociali in Italia sono state assunte o affidate già

molto presto al terzo settore (ad es. alle cooperative sociali), anche perché la mano pubblica non possedeva le competenze

necessarie per svolgere direttamente tali funzioni. Per questo motivo anche gli operatori privati attivi sul mercato italiano

non sono mai riusciti ad entrare così massicciamente nel settore delle prestazioni welfare come in altri paesi europei.

Grazie all’autonomia, in Alto Adige il settore ha seguito in parte uno sviluppo diverso rispetto al resto d’Italia. In provincia

di Bolzano il terzo settore non è sorto tanto in seguito al fallimento o all’incompetenza della mano pubblica. Rispetto ad

altre regioni italiane, in Alto Adige la mano pubblica continua ad essere molto presente nei servizi welfare assumendosi

direttamente molte funzioni. Oltre al settore pubblico molto sviluppato contribuiscono ovviamente anche le peculiarità

linguistiche e etniche dell’Alto Adige a creare una dinamica particolare nel terzo settore locale. In Alto Adige il terzo

settore è molto presente: la cittadinanza è fortemente legata alla organizzazioni del terzo settore, anche a causa della

cultura radicata del volontariato; ciò nonostante si riscontrano talvolta ancora dei punti deboli nell’organizzazione.

Anche le organizzazioni altoatesine del terzo settore dovranno comunque affrontare le sfide nazionali, soprattutto perché

dipendono da finanziamenti pubblici che diventano sempre più problematici: lo Stato si sta infatti ritirando da alcuni

settori del welfare effettuando tagli alle spese pubbliche. Si arriva così ad un vero paradosso: da un lato si potrebbe

pensare che in seguito al ritiro dello Stato da determinate funzioni ci sia più “lavoro” per il terzo settore, dall’altro però

molte organizzazioni dispongono di meno soldi a causa dei tagli e sono così impossibilitate ad affrontare le nuove sfide.

Spesso accade anche che gran parte delle prestazioni finora realizzate dal terzo settore continui ad essere utilizzata e

finanziata dallo Stato, ma che non ci sono risorse aggiuntive per le nuove sfide che nascono ad esempio dal cambiamento

demografico. È evidente che una delle principali sfide per il terzo settore sarà quella di cercare nuove forme di

cooperazione con la mano pubblica. Parallelamente si pone anche la necessità di cercare fonti di finanziamento alternative

e di razionalizzare e aumentare l’efficienza. Soprattutto queste ultime due operazioni comportano però anche dei rischi

che vanno assolutamente considerati. È sicuramente comprensibile se le organizzazioni del terzo settore si rifiutano di

IPL • Istituto Promozione Lavoratori

54

affrontare le sfide imprenditoriali attraverso razionalizzazioni e aumento dell’efficienza. Il principio della “concorrenza”

non appartiene allo spirito delle organizzazioni del terzo settore, nate soprattutto dalla necessità e dalla volontà di

cooperare per risolvere problemi della comunità. Ne consegue che la produttività in questo settore non può essere

semplicemente aumentata con le stesse strategie applicate in altri settori. Il pericolo è che le condizioni di lavoro per gli

occupati del terzo settore peggiorino a causa della maggiore concorrenza; bisogna quindi intervenire ora per impedire tali

tendenze. Fondamentalmente il problema sorge se la mano pubblica affida i suoi servizi al terzo settore solamente per

“risparmiare”, applicando quindi rispettivi criteri sia nella selezione e nelle gare che nella gestione corrente. Un rischio

specifico è rappresentato anche dalle organizzazioni di fuori provincia che a causa delle nostre retribuzioni elevate rispetto

al livello nazionale potrebbero scatenare un dumping salariale nel terzo settore. L’unica soluzione per evitare tale

fenomeno è garantire agli occupati del terzo settore un minimo salariale e ridurre il costo del lavoro a carico delle

organizzazioni del terzo settore.

Per il momento la situazione del terzo settore è ancora abbastanza buona: è l’unico settore dinamico ad essere cresciuto

negli ultimi anni e a creare ancora posti di lavoro, di cui gran parte a tempo indeterminato. È difficile stabilire la quota di

“precari” sugli occupati del terzo settore; la risposta varia a seconda di quali tipi di organizzazioni e di attività si

comprendano nel terzo settore; ci sono infatti tuttora alcune aree poco definite. Nei prossimi anni si dovrà sicuramente

monitorare attentamente il rischio di una crescente precarizzazione e trasformazione del terzo settore verso un settore

caratterizzato da bassi salari.

Nei prossimi anni le organizzazioni del terzo settore dovranno quindi affrontare queste e altre sfide; esistono però anche

delle opportunità da sfruttare. Alberto Stenico ha ipotizzato un maggiore impegno di istituzioni del terzo settore nel

campo del reinserimento nel mercato del lavoro di disoccupati o di persone che usufruiscono del reddito minimo di

inserimento. Le misure “di attivazione”, ad integrazione del reddito minimo garantito, potrebbero essere affidate in futuro

in misura maggiore al terzo settore (ovviamente in stretta collaborazione con la pubblica amministrazione), anche perché

il concetto dell’autoaiuto rientra nello spirito originario di molte organizzazioni del terzo settore.

Gli attori del terzo settore non possono quindi restare fermi allo stato attuale se vogliono continuare ad essere un

supporto per il welfare altoatesino (e in futuro dovranno comunque esserlo): le nuove sfide richiedono innovazioni

sostenibili nelle prestazioni, nei processi interni delle istituzioni e delle organizzazioni e nelle strutture organizzative stesse.

Un’esigenza centrale che è stata evidenziata dal panel è quella di rinnovare e rafforzare la cultura di rete all’interno del

terzo settore. Per contrastare una sempre maggiore frammentazione del settore che potrebbe avere effetti collaterali

pericolosi, le organizzazioni del terzo settore potrebbero anche in questo caso riprendere i principi della cooperazione e

dello scambio reciproco da cui sono nate e che sono una parte fondamentale della loro storia.

IPL • Istituto Promozione Lavoratori

55

6. Glossario

Josef Untermarzoner, IPL | Istituto Promozione Lavoratori

Reddito minimo garantito

Condizionato (adeguato al fabbisogno) Incondizionato

Reddito minimo di inserimento (Alto Adige)

Reddito di garanzia (Prov. Aut. di Trento)

“Bedarfsgerechte Mindestsicherung” (AT)

“Arbeitslosengeld II” - Hartz IV (DE)

Reddito di cittadinanza di natura incondizionata (o

universale)

Salario minimo

Salario minimo regolamentato per legge Salario minimo regolamentato dal contratto collettivo

Si stabilisce per legge un importo minimo (salario netto

orario) e ogni lavoratore/lavoratrice dipendente deve

ricevere almeno quell’importo come retribuzione oraria – in

genere senza calcolare eventuali indennità e maggiorazioni.

Retribuzioni più elevate per determinati comparti o gruppi di

lavoratori possono in ogni caso essere stabilite in aggiunta

ovv. mediante la contrattazione collettiva.

In alcuni paesi europei le retribuzioni sono stabilite per legge

previa consultazione delle parti contraenti.

Sindacati e associazioni dei datori di lavoro contrattano vari

salari minimi per le singole categorie. Problematicità: cosa

succede ai lavoratori (dipendenti) senza contratto collettivo

o con contratto collettivo scaduto?

6.1 Protezione sociale di base / Protezione minima di base

(“Mindestsicherung”)

Per “protezione sociale di base” o “protezione minima di base” si intende un insieme di prestazioni sociali di base che

spetta a ogni cittadino. Lo scopo di tali prestazioni è evitare la povertà assoluta dei destinatari, garantendo alle persone

in difficoltà un mantenimento adeguato e la possibilità di far fronte a esigenze fondamentali.

IPL • Istituto Promozione Lavoratori

56

La principale prestazione prevista per la protezione sociale di base in Alto Adige è sicuramente il “reddito minimo di

inserimento”; esistono inoltre altre prestazioni quali le pensioni sociali, la pensione di invalidità, le prestazioni regionali

in caso di disoccupazione e altri ammortizzatori sociali che rientrano nel sistema di protezione minima di base. In Alto

Adige si sta discutendo di accorpare tutte queste prestazioni in un’unica prestazione finalizzata alla protezione minima

di base.

In Alto Adige il “reddito minimo di inserimento” è una prestazione erogata in base al fabbisogno; ciò significa che i

richiedenti devono dimostrare il loro stato di bisogno per poter usufruire della prestazione. Prestazioni simili sono

previste anche in altri paesi. Citiamo alcuni esempi:

a) Protezione sociale di base adeguata al fabbisogno (reddito di cittadinanza di natura condizionata)

Terminologie usate: Reddito minimo garantito (RMG), Reddito minimo di inserimento (RMI), Reddito di inclusione sociale

(REIS), Sostegno per l’inclusione attiva (SIA)

Alto Adige: Reddito minimo di inserimento | „Soziales Mindesteinkommen“

“Le persone singole e tutte le famiglie hanno diritto al soddisfacimento dei bisogni fondamentali, come alimentazione,

vestiario, igiene e salute. Coloro che non dispongono di un reddito minimo possono fare domanda presso i servizi

dell'assistenza economica sociale dei distretti sociali per ottenere un sostegno anche economico.”

(Fonte: http://www.provincia.bz.it/politiche-sociali/prestazioni-contributi/reddito-minimo-

inserimento.asp)

Provincia Autonoma di Trento: Reddito di garanzia

“L’articolo 35, comma 2 della legge provinciale n.13 del 2007 (Politiche sociali in provincia di Trento) prevede

l’attivazione di interventi di sostegno economico volti al soddisfacimento di bisogni generali a favore sia di soggetti

che lavorano o sono comunque in grado di assumere o riassumere un ruolo lavorativo sia di soggetti non idonei ad

assumere un ruolo lavorativo.” (Fonte: http://www.apapi.provincia.tn.it/reddito_garanzia)

Austria: „Bedarfsorientierte Mindestsicherung (BMS)“

“Die Bedarfsorientierte Mindestsicherung ist eine Sozialleistung des österreichischen Staates, die von der

Bundesregierung zur Bekämpfung der Armut eingesetzt wird. Sie ersetzt die bisher in jedem Bundesland

unterschiedlich geregelte Sozialhilfe. Die Vereinbarungen zwischen dem Bund und den Bundesländern zur

Vereinheitlichung der Bedarfsorientierten Mindestsicherung werden in Bundes- und Landesgesetzen umgesetzt.”

(Fonte: http://www.ams.at/sfa/23618.html)

Germania: „Arbeitslosengeld II“ (detta anche: „Hartz IV“)

„Mit der Einführung des Zweiten Buch Sozialgesetzbuch SGB II ist ein Sozialleistungssystem geschaffen worden,

das bei Hilfebedürftigkeit Hilfe zur Selbsthilfe anbietet, auf die die Betroffenen einen Rechtsanspruch haben. […] Das

Arbeitslosengeld II umfasst Leistungen zur Sicherung des Lebensunterhalts in Form des maßgebenden

Regelbedarfs einschließlich der angemessenen Kosten für Unterkunft und Heizung.“

(Fonte: http://www.bmas.de/DE/Themen/Arbeitsmarkt/Grundsicherung/arbeitslosengeld-2.html)

b) Reddito di base incondizionato o reddito di cittadinanza universale

In tedesco: bedingungsloses Grundeinkommen

A differenza del reddito minimo di inserimento e alle altre prestazioni sociali citate, lo stato di fabbisogno

IPL • Istituto Promozione Lavoratori

57

non deve essere comprovato. Ogni cittadino ha fin dalla nascita diritto alla prestazione, indipendentemente

dalla sua situazione economica e senza obbligo di controprestazione. Esistono varie posizioni in merito e

diverse varianti; a parte alcuni isolati esempi o tentativi locali, il reddito di cittadinanza universale non è stato

ancora concretamente realizzato su un intero territorio nazionale.

6. Salario minimo legale

(„Gesetzlicher | nationaler Mindestlohn“)

Salario minimo orario stabilito per legge che deve essere corrisposto a lavoratori e lavoratrici: esistono vari approcci in

Europa (ad esempio solo per determinate categorie e branche professionali, fasce di età, etc.). Per un quadro della

situazione attuale vedasi il “Mindestlohnbericht des WSI”: http://www.boeckler.de/wsi-tarifarchiv_43610.htm

Il salario minimo orario può essere stabilito per legge, diventando così vincolante per tutti i lavoratori dipendenti,

oppure stabilito per ogni settore dalla contrattazione collettiva. In quest’ultimo caso sussiste però il rischio che vengano

esclusi dal salario minimo alcuni gruppi di lavoratori, ad esempio i lavoratori con contratti atipici o precari. Inoltre, in

alcuni paesi europei sta calando il grado di copertura della contrattazione collettiva. Seppure l’Italia vanti un grado di

copertura elevato, i cosiddetti contratti pirata, l’efficacia ridotta dei contratti collettivi e i ritardi nella stipulazione dei

contratti rappresentano comunque un grande problema.