Convegni gratuiti sul contenzioso nei rapporti di lavoro

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Convegni Unoformat gratuiti e accreditati sugli istituti propri della gestione del rapporto di lavoro: fasi costitutive (tipologie contrattuali e caratteristiche essenziali delle stesse), svolgimento (inquadramento del lavoratore ed effettive modalità di esecuzione della prestazione lavorativa), cessazione (legittimità del licenziamento e sistema sanzionatorio).

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Il contenzioso nei rapporti di lavoro

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Obiettivi di apprendimento

• Lo scenario giuslavoristico italiano è caratterizzato da una sempre più rilevante e crescente complessità, dovuta anche ai continui (e non sempre giuridicamente fondati) mutamenti intervenuti sulla materia. Tale complessità investe una pluralità di istituti propri della gestione del rapporto di lavoro, inerenti tanto le fasi costitutive (tipologie contrattuali e caratteristiche essenziali delle stesse) il suo svolgimento (inquadramento del lavoratore ed effettive modalità di esecuzione della prestazione lavorativa), che la sua cessazione (legittimità del licenziamento e sistema sanzionatorio).

• Il convegno si propone di affrontare tali tematiche con lo scopo di far luce sugli aspetti che attualmente interessano più di frequente il contenzioso in materia di gestione dei rapporti di lavoro.

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La Riforma del mercato del lavoro ha previsto che ai fini del calcolo del limite dei 36 mesi, si debba tener conto anche dei periodi di missione nell'ambito di contratti di somministrazione a tempo determinato aventi ad oggetto mansioni equivalenti e svolti tra gli stessi soggetti (art. 5 comma 4-bis del D.Lgs n. 368/2001, così come modificato dall'art. 1, comma 9 della legge n. 92/2012).

La Circolare Min. Lav. n. 18/2012 (come confermato con successivo Interpello del 19 ottobre 2012, n. 32) aveva chiarito che il periodo massimo di 36 mesi rappresenta un limite alla stipulazione di contratti a tempo determinato e non al ricorso alla somministrazione di lavoro.

Pertanto,secondo questa interpretazione, raggiunto tale limite il datore di lavoro potrebbe ricorrere alla somministrazione a tempo determinato con lo stesso lavoratore anche successivamente al raggiungimento dei 36 mesi.

La durata del contratto

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La riassunzione

Il datore di lavoro può assumere un lavoratore che già sia stato alle sue dipendenze con uno o più contratti a tempo determinato, purchè sia rispettato un determinato intervallo di tempo (10 o 20 giorni rispettivamente se il contratto ha avuto una durata fino a 6 mesi o superiore).

Nel caso in cui il lavoratore sia riassunto a termine entro 10 giorni ovvero 20 giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata, rispettivamente, inferiore o superiore ai 6 mesi, il secondo contratto si considera a tempo indeterminato (comma 3 dell'art. 5 del D. Lgs. n. 368/2001, come modificato dall'art. 1, c. 9, lett. g) ed h), L. n. 92/2012 e sostituito dall'art. 7, comma 1, lett. c), n. 3, D.L. n. 76/2013).

Si ricorda che i suddetti termini erano stati precedentemente stabiliti dalla cd. “Riforma Fornero” in 60 e 90 giorni, riducibili dalla contrattazione collettiva rispettivamente fino a 20 e 30 giorni, nel caso di assunzioni nell’ambito di particolari processi produttivi.

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Riduzione dei termini

Il Ministero del Lavoro, con nota n. 5426/2013, ha ritenuto che gli accordi collettivi stipulati a decorrere dall’entrata in vigore del D.L. 76/2013 (28 giugno 2013) possano prevedere una riduzione o addirittura un azzeramento degli intervalli di 10 e 20 giorni nelle ipotesi definite dalla disciplina pattizia con effetti normativi nei confronti di tutti i soggetti rientranti nel campo di applicazione dei citati accordi.

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Termini di impugnazione

Sono stati modificati i termini del Collegato lavoro per le impugnazioni del termine apposto al contratto a tempo determinato

• 120 gg per contestazione• 180 gg per deposito ricorso

Nel rapporto di somministrazione, invece, i termini rimangono• 60 gg per impugnazione termine• 270 gg per deposito ricorso

La L. n. 92/2012 ha modificato i termini di impugnazione del licenziamento, che pertanto risultano di

• 60 giorni per l’impugnazione• 180 per il deposito del ricorso

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Recesso nel periodo di prova

L’art. 2 comma 1, lett. a), D.Lgs. n. 167/2011 nel prevedere la necessità che la regolamentazione dell’istituto avvenga nel rispetto di alcuni principi tra i quali “la forma scritta del contratto, del patto di prova e del relativo piano formativo individuale”, ripropone l’onere rinvenibile nell’art. 2096 c.c. ai sensi del quale “l’assunzione del prestatore di lavoro per un periodo di prova deve risultare da atto scritto”. In particolare il richiamo conferma implicitamente l’assoggettamento del rapporto di apprendistato, anche dopo l’entrata in vigore del Testo unico, a tutta la disciplina civilistica della prova che, oltre all’onere della forma scritta, prevede la facoltà di recesso senza obbligo di preavviso o d’indennità.

Secondo la previsione del comma 2 art. 2096 c.c., “l’imprenditore ed il prestatore sono rispettivamente tenuti a consentire e a fare l’esperimento che forma oggetto del patto di prova”; da ciò la giurisprudenza fa discendere l’illegittimità del recesso intervenuto durante il periodo di prova senza che ne sia decorsa una congrua frazione.

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Recesso per giusta causa o giustificato motivo

Il D.Lgs n. 167/2011, all’art. 2 comma 1, lett. l), ha disposto “il divieto per le parti di recedere dal contratto durante il periodo di formazione in assenza di giusta causa o di un giustificato motivo”, senza alcuna differenziazione rispetto alle modalità di cessazione del rapporto di lavoro afferenti gli ordinari contratti a tempo indeterminato, per quanto attiene le ragioni legittimanti, i tempi di preavviso, le conseguenze sanzionatorie.

La normativa previgente tuttavia correlava il divieto al “ periodo di apprendistato”, mentre la nuova disposizione lo riferisce al “periodo di formazione”.

Le ragioni della diversa definizione non sono esplicite, ma le norme sembrano lasciare intendere la possibilità che la contrattazione collettiva nazionale o interconfederale, nel disciplinare il contratto ai sensi dell’art. 2, comma 1 D.Lgs. n. 167/2011, possa differenziare la durata della formazione e del rapporto contrattuale, non necessariamente corrispondenti.

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Dimissioni

Si deve inoltre rilevare che, secondo il dettato normativo, anche il recesso dell’apprendista per dimissioni appare formalmente vincolato alla sussistenza della giusta causa/giustificato motivo. L’art. 2, comma 1, lett. l), riferisce infatti il divieto di recesso a-causale durante il periodo di formazione alle “parti”, ossia al datore di lavoro e al lavoratore apprendista.

Si potrebbe ipotizzare, in base ai principi civilistici generali, l’attivazione da parte del datore, di una procedura risarcitoria nell’ipotesi di dimissioni dell’apprendista prive di tali causali.

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Recesso e rispetto del preavviso

L’inclusione del contratto di apprendistato nel novero dei contratti a tempo indeterminato, ha lasciato irrisolte alcune problematiche afferenti le modalità di cessazione allo scadere del periodo di formazione.

La giurisprudenza ha sviluppato un orientamento, consolidato e prevalente, secondo il quale il recesso in tali circostanze è da intendersi a-causale, ossia non vincolato ai dettami della L. n. 604/1966 e L. n. 108/1990.

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Licenziamenti disciplinari per giusta causa

Art. 2119 (Recesso per giusta causa)

“Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato o senza

preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche

provvisoria, del rapporto. Se il contratto è a tempo indeterminato, al prestatore di lavoro che recede per giusta causa compete l'indennità indicata nel secondo

comma dell'articolo precedente. Non costituisce giusta causa di risoluzione del contratto il fallimento

dell'imprenditore o la liquidazione coatta amministrativa dell'azienda”.

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Giustificato motivo soggettivo

Il giustificato motivo soggettivo riguarda un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali da parte del prestatore di lavoro (la dimostrazione del quale grava sul datore di lavoro), non così grave, tuttavia, da rendere impossibile la prosecuzione provvisoria del rapporto di lavoro. Ne consegue che il datore di lavoro ha l’obbligo di dare il preavviso al lavoratore (salvo diversa previsione contrattuale).

A differenza di quanto avviene per la giusta causa, l’immediatezza del provvedimento espulsivo, rispetto al momento della mancanza posta a sua giustificazione, non si configura propriamente quale elemento costitutivo del diritto di recesso del datore di lavoro (Cass. 24 giugno 1995, n. 7178).

Nei licenziamenti per giustificato motivo soggettivo, la tolleranza dell’inadempimento è indice della compatibilità di questo con la prosecuzione del rapporto di lavoro, secondo la stessa valutazione del datore di lavoro.

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• PRESUPPOSTO: Procedimento Disciplinare

– Il fatto contestato non sussiste (insussistenza) – Il fatto contestato non è stato compiuto dal lavoratore– Il CCNL prevedeva una sanzione conservativa

– Reintegrazione – Indennità risarcitoria fino a 12 mensilità– Pagamento contribuzione dal licenziamento alla reintegrazione

Licenziamento privo di giusta causa o giustificato motivo soggettivo

Tutela reale: novità ed effetti

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