Contro la paura - micropolis.umbria.it · alle elezioni politiche del 2001. Purtroppo il ceto...

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on è una novità il fatto che la reda- zione di “micropolis” non abbia alcuna simpatia politica per Rutelli. Più volte abbiamo scritto che l’ex radicale avrebbe fatto meglio a scomparire dalla scena politica dopo la sconfitta subita alle elezioni politiche del 2001. Purtroppo il ceto dirigente italiano è quello che è. Rutelli ha un sogno: costruire il partito democratico. Propugna la democrazia ame- ricana, ma non ne applica la regola fonda- mentale: chi perde alle elezioni va a casa. Così è stato per Al Gore e da ultimo per l’inconsistente Kerry. Il nostro continua a sacrificarsi per il bene di tutti noi. Rutelli è una dell’espressioni del trasformismo italia- no. Ciò che propone Rutelli non può che sollecitare la nostra più profonda avversione politica. Detto tutto il male possibile del leader della Margherita, ci sentiamo in dovere di affer- mare che la responsabilità del disastro, che sta annichilendo il popolo del centrosini- stra, è anche di chi ha voluto inventarsi il listone e la federazione dei riformisti e di chi, sperando in un tornaconto elettorale che non c’è stato, non ha denunciato l’erro- re compiuto da Prodi e Fassino. Ogni riferi- mento a Rifondazione è puramente casuale. Le giravolte rutelliane sono state possibili grazie ad un sistema politico che premia le oligarchie e le oligarchie non sono espres- sione soltanto dei riformisti. Sono il modo di essere di tutta la classe dirigente politica in campo. I partiti si sono trasformati in strutture a-democratiche al servizio della carriera amministrativa dei miracolati di Berlusconi: un ceto inossidabile e inattacca- bile nella sua insaziabilità di prebende e incarichi. Dietro la bandiera onorata della identità di partito si nasconde la merce ava- riata della spartizione di collegi elettorali e di posti ben pagati nella struttura pubblica. Trovare un qualche residuo di identità in raggruppamenti informi come i partiti attuali è impresa vana. Prevale il vaniloquio sul riformismo. In questi anni non c’è stata alcuna seria ini- ziativa volta a combattere la deriva della democrazia rappresentativa italiana. La stes- sa debole discussione attorno ai nodi del programma dell’Unione per il futuro gover- no del Paese non ha mai contenuto la que- stione della qualità del sistema politico con- solidatosi in questi anni. La leaderite acuta rimane la malattia infantile della politica e il sistema maggioritario la bibbia dei fonda- mentalisti dell’americanizzazione all’italia- na. Ne abbiamo avuto un piccolo esempio in Umbria nella discussione dello Statuto regionale. L’iperpresidenzialismo previsto è stato denunciato soltanto fuori delle aule di Palazzo Cesaroni da voci flebili come la nostra. L’opposizione di Rifondazione ha ricordato l’opposizione di sua maestà, senza lasciare il minimo segno politico. La deci- sione della presidente di promulgare lo Statuto a prescindere da tutte le osservazio- ni di opportunità tecnica e politica, non ha trovato contrarietà nelle componenti dell’Unione. Le ultime vicende dell’elezione degli organi di direzione del consiglio regionale hanno dimostrato come l’appetito dei partiti rifor- misti o della sinistra alternativa sia senza fondo. Si è trattato di un vero arrembaggio all’incarico. Un assalto all’arma bianca che ha determinato la scelta di costituire sette commissioni permanenti per trenta consi- glieri regionali. Scandaloso è il minimo che si può dire. Conoscendo il movimento legi- slativo della Regione Umbra degli ultimi dieci anni, siamo certi che il sindacato dei presidenti non potrà rivendicare alcun pre- mio di produttività. Ci sarà risparmiato un qualche ticket a copertura della spesa. I feudatari piccoli e grandi sono stati tutti soddisfatti. Una sistemazione non è stata negata a nessuno. La mitica “regione legge- ra” degli anni ‘90 si va consolidando in una struttura burocratica elefantiaca per staff e consulenze varie. La spesa per la gestione degli amministratori cresce come il buco del bilancio dello Stato senza alcun control- lo da parte di alcuno. L’opinione pubblica ci sembra annichilita e sempre più lontana dalla politica. Lunga vita a Berlusconi, gridano i leader e gli amministratori umbri baciati dalla fortuna. Fin che c’è Lui non ci tocca nessuno, dico- no sottovoce. commenti Il treno fantasma Insegne abusive Vus e terza Provincia. Localismi in conflitto L’Università a Terni La morte in agguato 2 politica Il mercato delle poltrone 3 di Re.Co. Presidenzialismi comparati 4 ElleEmme società Un progetto per la salute 6 di Pier Luigi Bruschi Gli autobus e i loro autisti 7 di Stefano De Cenzo, Francesco Morrone regione Bassa stagione 8 di Renato Covino ambiente La guerra delle immondizie 10 di Alberto Barelli cultura L’economia del petrolio a un punto critico 11 di Roberto Monicchia E’ la stampa bellezza 12 di Paolo Lupattelli Tra storia e memoria 13 di Olga Lucchi Benni a Perugia di Marco Sciamanna Sartorio e Mirò ad Orvieto 14 di E.S. Un pittore in Umbria di Enrico Sciamanna Mostri e mostre 15 di P.L. Libri e idee 16 Maggio 2005 - Anno X - numero 5 in edicola con “il manifesto” Euro 0,10 mensile umbro di politica, economia e cultura copia omaggio in edicola con “il manifesto” il 27 di ogni mese N Contro la paura urante l’ultima, tragicomica, assemblea della Margherita, l’on. De Mita, ad una interruzione della senatrice Dato a proposito di refe- rendum e di libertà di coscienza nel parti- to, ha replicato con un secco: “Zitta tu, stiamo parlando di cose serie”. La frase non era solo una canagliata maschilista, ma nascondeva un desiderio, forse una valutazione. Il redivivo avellinese, oltre a voler fare un regalo al cardinale Ruini, collocando di fatto il suo partito sulla linea dell’asten- sione, probabilmente pensa che il referen- dum non abbia effetti sulla politica mano- vrata. Di sicuro lo spera. Da una consimi- le chimera sono sedotti molti anche a sinistra, perfino tra i nostri più vicini. Si presume che è meglio depotenziare lo scontro. Comunque finisca, poi si farà un’altra legge, meno aberrante, più rispet- tosa delle donne e della ricerca scientifica. E’ un’ipotesi poco credibile. Dopo il referendum nei partiti e in parla- mento nessuno oserà toccare una materia così scottante. A destra intanto sono flebili le voci laiche nello schieramento berlusconico e Fini non sembra ottenere nessuna solidarietà di partito nella sua scelta di votare, nella sua ipotesi di una destra gollista, autorita- ria ma laica e moderna. In tanti sperano che il trionfo dell’astensionismo favorisca la riscossa, da Pera agli anisti di ogni cor- rente, dalla Lega ad Adornato, Bondi e Buttiglione. Lo schema è quello dei neocons americani: Dio-Patria-Famiglia, politiche d’ordine segnate da proibizionismi e intolleranze, fino alla guerra infinita, e di di civiltà. E’ la paura il sentimento che la destra solle- cita: contro la scienza, contro il diverso, contro l’altro. Il feticcio dell’embrione, sacralizzato come persona (sebbene nean- che i preti più preti osino battezzare quelli soprannumerari per scamparli dal limbo) viene brandito come arma in questa “guerra culturale”. Alla fine della contesa la bandierina clericale piantata sulla lai- cità dello Stato darà più forza alla destra in ogni campo. Marx disse che anche le idee, quando si diffondano tra le masse, diventano un’ar- ma, una forza materiale. Vale per le idee di progresso e di rivoluzione. Ma anche per quelle di involuzione, di regresso. D Americanismo all’italiana Americanismo all’italiana

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on è una novità il fatto che la reda-zione di “micropolis” non abbiaalcuna simpatia politica per

Rutelli. Più volte abbiamo scritto che l’exradicale avrebbe fatto meglio a scompariredalla scena politica dopo la sconfitta subitaalle elezioni politiche del 2001. Purtroppoil ceto dirigente italiano è quello che è.Rutelli ha un sogno: costruire il partitodemocratico. Propugna la democrazia ame-ricana, ma non ne applica la regola fonda-mentale: chi perde alle elezioni va a casa.Così è stato per Al Gore e da ultimo perl’inconsistente Kerry. Il nostro continua asacrificarsi per il bene di tutti noi. Rutelli èuna dell’espressioni del trasformismo italia-no. Ciò che propone Rutelli non può chesollecitare la nostra più profonda avversionepolitica. Detto tutto il male possibile del leader dellaMargherita, ci sentiamo in dovere di affer-mare che la responsabilità del disastro, chesta annichilendo il popolo del centrosini-stra, è anche di chi ha voluto inventarsi illistone e la federazione dei riformisti e dichi, sperando in un tornaconto elettoraleche non c’è stato, non ha denunciato l’erro-re compiuto da Prodi e Fassino. Ogni riferi-mento a Rifondazione è puramente casuale. Le giravolte rutelliane sono state possibiligrazie ad un sistema politico che premia leoligarchie e le oligarchie non sono espres-sione soltanto dei riformisti. Sono il mododi essere di tutta la classe dirigente politica

in campo. I partiti si sono trasformati instrutture a-democratiche al servizio dellacarriera amministrativa dei miracolati diBerlusconi: un ceto inossidabile e inattacca-bile nella sua insaziabilità di prebende eincarichi. Dietro la bandiera onorata dellaidentità di partito si nasconde la merce ava-riata della spartizione di collegi elettorali edi posti ben pagati nella struttura pubblica.Trovare un qualche residuo di identità inraggruppamenti informi come i partitiattuali è impresa vana. Prevale il vaniloquiosul riformismo. In questi anni non c’è stata alcuna seria ini-ziativa volta a combattere la deriva dellademocrazia rappresentativa italiana. La stes-sa debole discussione attorno ai nodi delprogramma dell’Unione per il futuro gover-no del Paese non ha mai contenuto la que-stione della qualità del sistema politico con-solidatosi in questi anni. La leaderite acutarimane la malattia infantile della politica eil sistema maggioritario la bibbia dei fonda-mentalisti dell’americanizzazione all’italia-na. Ne abbiamo avuto un piccolo esempio inUmbria nella discussione dello Statutoregionale. L’iperpresidenzialismo previsto èstato denunciato soltanto fuori delle aule diPalazzo Cesaroni da voci flebili come lanostra. L’opposizione di Rifondazione haricordato l’opposizione di sua maestà, senzalasciare il minimo segno politico. La deci-sione della presidente di promulgare lo

Statuto a prescindere da tutte le osservazio-ni di opportunità tecnica e politica, non hatrovato contrarietà nelle componentidell’Unione. Le ultime vicende dell’elezione degli organidi direzione del consiglio regionale hannodimostrato come l’appetito dei partiti rifor-misti o della sinistra alternativa sia senzafondo. Si è trattato di un vero arrembaggioall’incarico. Un assalto all’arma bianca cheha determinato la scelta di costituire settecommissioni permanenti per trenta consi-glieri regionali. Scandaloso è il minimo chesi può dire. Conoscendo il movimento legi-slativo della Regione Umbra degli ultimidieci anni, siamo certi che il sindacato deipresidenti non potrà rivendicare alcun pre-mio di produttività. Ci sarà risparmiato unqualche ticket a copertura della spesa.I feudatari piccoli e grandi sono stati tuttisoddisfatti. Una sistemazione non è statanegata a nessuno. La mitica “regione legge-ra” degli anni ‘90 si va consolidando in unastruttura burocratica elefantiaca per staff econsulenze varie. La spesa per la gestionedegli amministratori cresce come il bucodel bilancio dello Stato senza alcun control-lo da parte di alcuno.L’opinione pubblica ci sembra annichilita esempre più lontana dalla politica. Lungavita a Berlusconi, gridano i leader e gliamministratori umbri baciati dalla fortuna.Fin che c’è Lui non ci tocca nessuno, dico-no sottovoce.

commenti

Il treno fantasma

Insegne abusive

Vus e terza Provincia.Localismi in conflitto

L’Università a Terni

La morte in agguato 2

politica

Il mercato delle poltrone 3di Re.Co.

Presidenzialismicomparati 4ElleEmme

societàUn progettoper la salute 6di Pier Luigi Bruschi

Gli autobus e i loro autisti 7di Stefano De Cenzo,Francesco Morrone

regioneBassa stagione 8di Renato Covino

ambienteLa guerra delle immondizie 10di Alberto Barelli

cultura

L’economia del petrolioa un punto critico 11di Roberto Monicchia

E’ la stampa bellezza 12di Paolo Lupattelli

Tra storia e memoria 13di Olga Lucchi

Benni a Perugia di Marco Sciamanna

Sartorio e Miròad Orvieto 14di E.S.

Un pittore in Umbria di Enrico Sciamanna

Mostri e mostre 15di P.L.

Libri e idee 16

Maggio 2005 - Anno X - numero 5 in edicola con “il manifesto” Euro 0,10

mensile umbro di politica, economia e cultura

copia omaggio

in edicola con “il manifesto” il 27 di ogni mese

N

Contro la pauraurante l ’u l t ima, tragicomica,assemblea della Margherita, l’on.De Mita, ad una interruzione

della senatrice Dato a proposito di refe-rendum e di libertà di coscienza nel parti-to, ha replicato con un secco: “Zitta tu,stiamo parlando di cose serie”. La frasenon era solo una canagliata maschilista,ma nascondeva un desiderio, forse unavalutazione.Il redivivo avellinese, oltre a voler fare unregalo al cardinale Ruini, collocando difatto il suo partito sulla linea dell’asten-sione, probabilmente pensa che il referen-dum non abbia effetti sulla politica mano-vrata. Di sicuro lo spera. Da una consimi-le chimera sono sedotti molti anche asinistra, perfino tra i nostri più vicini. Sipresume che è meglio depotenziare loscontro. Comunque finisca, poi si faràun’altra legge, meno aberrante, più rispet-tosa delle donne e della ricerca scientifica.E’ un’ipotesi poco credibile.Dopo il referendum nei partiti e in parla-mento nessuno oserà toccare una materiacosì scottante. A destra intanto sono flebili le voci laichenello schieramento berlusconico e Fininon sembra ottenere nessuna solidarietàdi partito nella sua scelta di votare, nellasua ipotesi di una destra gollista, autorita-ria ma laica e moderna. In tanti speranoche il trionfo dell’astensionismo favoriscala riscossa, da Pera agli anisti di ogni cor-rente, dalla Lega ad Adornato, Bondi eButtiglione. Lo schema è quello dei neocons americani:Dio-Patria-Famiglia, politiche d’ordinesegnate da proibizionismi e intolleranze,fino alla guerra infinita, e di di civiltà. E’la paura il sentimento che la destra solle-cita: contro la scienza, contro il diverso,contro l’altro. Il feticcio dell’embrione,sacralizzato come persona (sebbene nean-che i preti più preti osino battezzare quellisoprannumerari per scamparli dal limbo)viene brandito come arma in questa“guerra culturale”. Alla fine della contesala bandierina clericale piantata sulla lai-cità dello Stato darà più forza alla destrain ogni campo. Marx disse che anche le idee, quando sidiffondano tra le masse, diventano un’ar-ma, una forza materiale. Vale per le ideedi progresso e di rivoluzione. Ma ancheper quelle di involuzione, di regresso.

D

Americanismo all’italianaAmericanismo all’italiana

La morte verrà a l l ’ im-provviso” - cantavaFabrizio De Andrè.

E, tuttavia, alla morte improvvi-sa del prossimo non ci si rasse-gna, anche quando ha tutta l’ariadi essere, oltre che naturale(come è sempre la morte), com-prensibi le nel le sue cagioni .Intorno alla metà di maggio duedecessi, gridati dalle locandinedei giornali ed enfatizzati dagliarticoli, tengono banco. A Terniun ragazzo di 13 anni è mortodurante una corsa amatoriale; aCittà di Castello un artigianoventinovenne viene trovato acca-sciato a terra e privo di vita dalpadre. In entrambi i casi unaspiegazione si trova e i giornalilo lasciano intendere, parlano di“cause naturali”. Il ragazzino ter-nano aveva fatto tutte le visite dir i to, aveva tutt i g l i esami aposto, il giovane tifernate eraconsiderato e si considerava inperfetta salute. Qualcosa, evi-dentemente, nella macchina nonha funzionato. Succede. Si puòanche “morire di morte” come

diceva il grande Edoardo. Mal’opinione pubblica e la magi-stratura non ci stanno: autopsia.I risultati saranno nulli, ma senon altro sarà servita da tran-quillante. A perturbare interviene qualchegiorno dopo il meningococco.Tre casi in pochi giorni allarma-no. Si dice che le tre ragazze col-pite (di cui una gravissima) sisiano incrociate in discoteca, mai medici ritengono improbabileil contagio. Ci si sta abituando invece allapresenza o, almeno, all’immi-nenza della morte nei luoghi dilavoro. Il 13 maggio un operaiodi Narni rimane incastrato sottouna betoniera in un cantiereedile. Per questa morte scampatale cause sono certamente anchesociali. Quando, nei giorni suc-cessivi, i carabinieri di varie loca-lità dell’Umbria si mettono inmoto per i cantieri edili scovanoa Terni cottimisti che lavoranododici ore senza contributi e astipendio ridotto. Sono immi-grati irregolari, ma non solo. A

Nocera in un cantiere ci sonoalmeno cinque irregolari romenisottopagati e, si legge, sottoali-mentat i che dormono nel lebaracche. A noi sembra che nell’edilizia(ma non solo) il nesso tra questaorganizzazione del lavoro e gliincidenti , anche mortal i , inaumento sia evidente. Le politi-che proibizionistiche sull’immi-grazione non solo favoriscono illavoro nero, ma rendono piùdebole e precaria la situazionedegli stessi regolari, immigrati oindigeni che siano. Quello degliimmigrati senza permesso di sog-giorno è “un esercito di riserva”assai più efficace di quello deidisoccupati autoctoni. La loropresenza spinge molti lavoratori,pur di portare a casa qualcosa,ad accettare prolungamenti d’o-rario, fatiche supplementari,condizioni di lavoro meno sicu-re, decurtazioni di sa lar io.Quando ci scappa il morto, èfacile individuare il nome del-l’assassino. Si chiama sfrutta-mento.

Vus e terzaProvincia.Localismiin conflitto

o scontro è cominciato con il dibattitoorganizzato dal Rotary e dal Lions Club diFoligno sulla terza provincia. D’accordo

solo i folignati. Brunini, sindaco di Spoleto, hadenunciato l’avidità dei vicini e ha sostenuto chedi terza provincia avrebbe cominciato a riparlaresolo se la sua città ne avesse tratto vantaggi con-creti. Alemanno, sindaco post-fascista di Norcia,ha invece sostenuto che a lui della nuova entitàterritoriale non frega proprio nulla. E’ proseguitocon l’assemblea della Valle umbra servizi, la Spache associa 22 comuni. Neppure un utile di 1milione e 150 mila euro ha frenato l’ira bruninia-na. Il dibattito si è concentrato sul nuovo presi-dente della società. Il candidato designato èPierluigi Mingarelli proposto dal Comune diFoligno. Brunini si è messo di traverso, favoritodal fatto che Spoleto detiene il 28% delle azioni eche per eleggere il presidente ne occorre l’80%:anche se tutti gli altri 21 comuni fossero d’accor-do non si raggiungerebbe la maggioranza prevista.La giustificazione formale è che Mingarelli nonsarebbe al l ’a l tezza, che come vicepresidentedell’Ato avrebbe commesso errori che avrebberocomportato l’aumento delle bollette. In realtà die-tro la questione c’è un rapporto difficile che ha lesue radici nel fatto che a Foligno si sono concen-trate funzioni, cosa che - a torto o a ragione -avrebbe penalizzato Spoleto. C’è anche l’ulterioreconvinzione che proprio a Foligno imprenditoriprivati ricavino vantaggi nei settori dei rifiuti edell’acqua gestiti e controllati dalla Vus. Tutto ciòsi intreccia con i problemi delle prossime candida-ture al Parlamento, dove già si sa che è in poleposition Maurizio Salari, ex sindaco di Foligno.Insomma il gioco è: se io do una cosa a te e tu

cosa dai a me? In sottofondo c’è l’accusa non dettae ormai ripetuta in tutta l’Umbria: i folignati sonodei prepotenti.

L’Universitàa Terni

l 15 maggio, alla presentazione a Terni dellibro di Angelo Vescovi sulle cellule stamina-li, il sindaco Raffaelli ha attaccato il rettore

Bistoni. La questione è nuovamente quella dellaricerca nel campo biotecnologico. Raffaelli hasostenuto che appoggerà sia l’Istituto di ricovero ecura a carattere scientifico progettato da Bistoniche il centro di ricerca di Vescovi. In pillole hadichiarato che sot t rarrà r i sorse a l progettodell’Ateneo perugino. D’altro canto è irritato per-ché non è stato riconosciuto dall’Università diPerugia il corso interuniversitario della Rete euro-pea di nanotecnologie, non è partito il corso dibiotecnologie, sono in ritardo i laboratori proget-tati a Pentima per cui Stato, Regione, Comune eFondazione Carit hanno messo a disposizionecirca 3 ,5 mi l ioni d i euro, manca la f i rmadell’Università per l’istituzione del Consorzio perl’Università. La questione è, naturalmente, com-plessa e varrà la pena di tornarci sopra. Tuttaviavale la pena di sottolineare che al momento aTerni non ci sono né dipartimenti né corsi di lau-rea, ma sedi ed insegnamenti. E’ difficile in questasituazione pensare ad uno sviluppo della ricerca,ma anche ad un incremento degli iscritti. Nonmancano solo i laboratori - costosi e di impiantonon semplicissimo - ma anche le biblioteche e ifondi librari. Insomma la didattica è carente e laricerca, anche quella di minor costo, langue.Come si pensi in queste condizioni di far decolla-re il Polo ternano è di difficile comprensione.Forse, piuttosto che pensare a cose costose e desti-nate se non alla sconfitta a defatiganti bracci diferro e a incursioni furbesche, varrebbe la pena diconcentrarsi su questo.

Il treno fantasmaNella cronaca di Foligno del 19 maggio il “Corriere dell’Umbria”dà conto di una interrogazione alla Giunta del consigliere regiona-le Vinti (Prc). Vorrebbe scongiurare la ventilata soppressione didue treni, “uno in partenza da Perugia alle 5.10, con arrivo aRoma alle 8, l’altro in partenza da Foligno alle 22.40, con arrivoa Perugia alle 23.25 e successivo proseguimento per Terontola”.In verità i treni in questione sono stati soppressi da tempo esostituiti da Trenitalia con bus. Poco male. L’inghippo sta altrove:la corsa per Foligno che permette “ai cittadini umbri di giungere aRoma la mattina presto” previo trasbordo su treno non parte daPerugia alle 5.10, ma più di mezz’ora prima, alle 4.39. Insommachi si fida di Vinti perde il treno.

Il terrore delle farmacie

Quattro colpi dal 26 marzo al 22 aprile. Tre farmacie e una tabac-cheria: a Santa Lucia, Ponte Valleceppi, via Campo di Marte eVilla Pitignano. Tecnica sempre la stessa: minacciava farmacistie tabaccai con un taglierino. Bottino complessivo 4.300 euro.Alla fine la Squadra mobile lo individua e lo arresta. E’ un trenta-settenne folignate. Politici e amministratori pubblici di Perugiaavranno pensato: “Anche le farmacie?”.

L’amore e la danzaLui le aveva insegnato a ballare, si erano amati e poi lasciati. Luinon si rassegna e la insegue in macchina, a piedi, col telefonino.Lei lo denuncia più volte. Lui giunge ad aggredirla. La cosa fini-sce in tribunale dove l’uomo, il maestro di danza, viene condan-nato. Ma lì spiega come lei non si fosse limitata solo a lasciarlo,ma gli avesse rubato gli allievi, mettendosi a insegnare - lei a cuiaveva trasferito tutte le sue abilità - per conto proprio. Domanda:scontro d’amore o conflitto d’interessi?

Insegne abusiveA Sigillo i vigili urbani hanno fatto rimuovere le insegne dei Ds edi “Crescere con Sigillo”, il comitato di opposizione delle destre.Questi ultimi non avevano atteso un parere della commissioneprovinciale, i diessini invece erano del tutto abusivi. Insomma iDs di Sigillo, convinti che avere in mano l’amministrazione con-senta di avere una sorta di impunità, non si erano neppure peri-tati di fare domanda per affiggere la loro targa. Forse Berlusconiperderà le elezioni e tornerà a casa, ma è certo che il berlusconi-smo ha fatto proseliti anche a sinistra.

Il Palio sequestrato ovverol’onore di San FelicianoIl Palio della Quintana dello scorso anno non è stato utilizzato.San Feliciano vi compariva nudo a cavallo; preti, frati, monache edevoti hanno fatto le barricate, costringendo gli organizzatoridella “cavallata” a farsene fare un altro. L’autore, Jeffrey Isaac,più volte ha chiesto gli venisse restituito. L’Ente Quintana hafatto orecchie da mercante e l’americano residente a CastelRitaldi si è rivolto ad un avvocato. Domenico Metelli, presidentedell’Ente, oppone resistenza, ma non per motivi ar tistici, peravere intatta la collezione dei Palii, anche quelli non utilizzati, maper salvare l’onore del santo: “Una immagine che ha turbato cosìtanto i nostri concittadini non può e non deve andare in giro”.Perché nessuno lo veda Metelli si dichiara addirittura disponibilead acquistarlo.

il piccasorci

2commentimaggio 2005

Il piccasorci - pungitopo secondo lo Zingarelli - è un modesto arbusto che a causa delle sue foglie duree accuminate impedisce, appunto, ai sorci di risalire le corde per saltare sull’asse del formaggio. Larubrica “Il piccasorci”, con la sola forza della segnalazione, spera di impedire storiche stronzate e,ove necessario, di “rosicare il cacio”.

L

il fatto

La morte in agguatoL

I

3p o l i t i c amaggio 2005

a sì, raccontiamola questa sto-ria un po’ tragica e un po’ ridi-cola, anche i nostri lettorihanno diritto ad un po’ di acre

divertimento e di riso amaro. La vicenda èquella dei contorcimenti della politicaregionale: sostituzioni di assessori comunalie di dirigenti di partito eletti al Consiglioregionale, mal di pancia dei perdenti, spar-tizione dei posti di comando.Avevamo preannunciato i possibili assessori,le nomine hanno puntualmente premiato ipapabili, a dimostrazione della prevedibilitàdella politica umbra. Questa volta ci soffer-miamo sulle evoluzioni successive, sui per-corsi seguiti.

Vincitori e vintiLa campagna elettorale svoltasi a tavola si èconclusa... a tavola. Feste con ristorazione aPerugia e Foligno per la vittoria.Governatrice danzante con staff ed eletti.Fin qui i vincitori, ma i perdenti? Il centrodestra ha aperto subito una querellesui giornali in cui sono intervenuti un po’tutti. Forza Italia ha eletto a maggioranza ilsuo capogruppo, Fiammetta Modena; ilcoordinatore regionale Luciano Rossi conti-nua a comportarsi da uomo forte, insomma- almeno in Fi - siamo ancora alla guerra ditutti contro tutti. Ma ciò che è più diver-tente sono i manifesti di ringraziamento deinon eletti agli elettori. Il più bizzarro èquello di Armando Fronduti (Fi) che rin-grazia per il raddoppio dei suffragi rispettoalla sua precedente presentazione, solo cheun anno fa si era presentato candidato con-sigliere a Perugia che, però, ha qualche elet-tore in meno della circoscrizione provincia-le. Rimarchevole l’appello a favore diLuigino Ciotti, primo dei non eletti del Prc,uscito sul sito Giorgione. In sintesi, elettori,e non, del candidato hanno chiesto allagovernatrice di nominare assessore MauroTippolotti e a quest’ultimo di dimettersicosicché Ciotti - espressione di sensibilitàche, a detta dei firmatari dell’appello, avreb-bero meritato di essere rappresentate inConsiglio - potesse entrare a far parte delmassimo consesso umbro. Passi per chi loha votato, ma chi dichiara di non averlovotato? Ma, a parte ciò, il percorso era unpo’ troppo arzigogolato e l’appello non haavuto alcuna risposta. Nulla scriviamo di Stefano Cimicchi, primadichiarato vincente su Mara Gilioni per 8preferenze e poi escluso per... 8 preferenze.Ha fatto ricorso.

La Giunta La governatrice aveva fatto il muso duro,chiedendo ad ogni partito terne di nomi.L’unico caso su cui l’ha spuntata è stata AdaGirolamini. Lo Sdi si è rifiutato di fornire laterna e alla fine Maria Rita Lorenzetti hascelto, sembra su input di Renato Locchi, ilvicesindaco di Perugia Silvano Rometti. Pergli altri: i nomi della Margherita erano statecontrattati prima delle elezioni (CarloLiviantoni e Maria Prodi), Rifondazione

aveva richiesto Damiano Stufara e Stufaraha avuto. Per i Ds come preannunciatosono divenuti assessori Bottini, Giovanetti,Riommi e Rosi. Restavano i problemi delPdci e dei Verdi. I primi avevano indicatocome assessore l’ingegnere GiuseppeMascio. La governatrice aveva richiesto laterna anche ai comunisti di confessione cos-suttiana che non avevano intenzione - forseper scontri interni - di dargliela. Nel frat-tempo tra i Ds ternani iniziava un pressingincomprensibile su Mascio. Nella direzione

ternana qualcuno lo definiva come legato apoteri forti, in direzione regionale lo siaccusava di inconfessabili colpe. Pare cheaddirittura l’ingegnere abbia dovuto assicu-rare i vertici nazionali del suo partito di nonessere stato raggiunto da avvisi di garanzia.La questione vera era che gli assessori,secondo lo Statuto con cui si è votato, dove-vano essere otto più la governatrice eMascio si configurava come soprannumera-rio. Nessuno paura. Si è adottato il nuovoStatuto, gli assessori sono diventati nove ecosì Mascio ha potuto sedersi in giunta.Con Tippolotti presidente del Consiglio ilquadro sembrava quasi completato. Restavain ballo il verde Dottorini, ma nessunodubitava che una soluzione si sarebbe tro-vata. Fatto sta che ad osservare le deleghe sifanno alcune scoperte di cui la più rilevanteè la frammentazione dei settori di compe-tenza con l’ambiente diviso in quattro, i tra-sporti in tre e via di seguito. Tutto ciò corri-sponde ad un peso più rilevante che siintende attribuire alle agenzie ed ai loroorgani dirigenti, che sempre più sonoespressione della governatrice. Più semplicemente si rafforza il ruolo diquest’ultima che diviene il vero deus ex

machina del processo di decisione.

Fibrillazioni in periferiaMa i problemi non finivano qui. C’eranoposti rimasti liberi da ricoprire di assessori odi responsabili di partito. Per questi ultimiballava la questione del posto lasciato liberoda Damiano Stufara, dimessosi da segretarioprovinciale ternano di Rifondazione. Lastampa sosteneva che gareggiassero per l’in-carico Monelli e Sabatini. In realtà era inlizza solo Alberto Sabatini, già assistente

dell’ex assessore all’ambiente alla Regione.Che senso avrebbe avuto assumersi lagestione di un partito quando è sufficientecontrollarla con un uomo fedele? Si apriva,inoltre, la questione dell’Unione comunaleDs ternana. Il suo segretario, Sciarrini, hasostenuto che non si era tenuto conto dellesue indicazioni per la nomina dell’assessoree, quindi, poiché ognuno decideva da solo acasa sua, anche lui avrebbe provveduto adattenersi a questo principio, rimaneggiandola composizione della segreteria con uominia lui fedeli. D’altro canto ci si poneva ilproblema di sostituire Rossi da segretarioprovinciale. Diverrà capogruppo Ds a set-tembre. Per il momento l’incarico l’avrebbeassunto Fabrizio Bracco che alla ripresaavrebbe lasciato il posto a Rossi che, a suavolta, si sarebbe dimesso da segretario pro-vinciale. Per gli assessori uscenti, mentre aGubbio e Spoleto le sostituzioni sono statefatte in modo tutto sommato indolore, aPerugia si è aperta la competizione nello Sditra Fioriti e Perari per l’incarico di vicesin-daco. La soluzione è stata salomonica: nessunodei due, ma Artioli, un trentaduenne cala-brese, impiegato di banca come Locchi. Tesii rapporti nella Margherita a Foligno dove

Lucio Salari, coordinatore del partito riven-dicava per sé l’incarico lasciato da Masci,pretesa cui si opponeva Stella, portandocome pezza d’appoggio la sua lunga milizia.Alla fine l’ha spuntata quest’ultimo che èstato premiato con l’assessorato. A Terni,infine, dove le sostituzioni da fare sonoaddirittura tre (Brega, Mascio eGiovannetti), la questione è ancora in altomare.

Lo show downSi è giunti cosi alla prima riunione delConsiglio. L’ipotesi di suddivisione degliincarichi di nomina consiliare erano per lamaggioranza Tippolotti presidente, MaraGilioni vicepresidente e Eros Brega segreta-rio. Per la minoranza venivano indicatiEnrico Melasecche e Lignani Marchesani,rispettivamente come vicepresidente esegretario. Per le commissioni oltre quella di garanzia,istituzionalmente attribuita alla minoranza,che aveva designato Luciano Rossi, le altretre sarebbero spettate a Ronca e Cintioli peri Ds e a Tomassoni della Margherita.Conclusione i voti per il presidente non tor-navano, si astenevano Girolamini eDottorini. Ira di Vinti e riunioni convulse.Alla fine si decideva di istituire unaCommissione speciale per lo statuto da affi-dare alla consigliera dello Sdi e nel frattem-po i Ds cedevano una commissione ai Verdiin attesa dell’adeguamento al nuovoStatuto. Nuova ira di Vinti che voleva unacommissione per l’eugubino Pavilio Lupini.Nuove riunioni, minoranza rumoreggiantein attesa ed, infine, il coniglio dal cappello:un accordo scritto che attribuisce le com-missioni che divengono - da settembre -cinque più quella speciale attribuita allaGirolamini e quella che spetta alla minoran-za. Le cinque della maggioranza vanno a Roncae Cintioli (Ds), Tomassoni (Margherita),Dottorini (Verdi), Lupini (Prc). Il consiglie-re Pdci viene tacitato attribuendogli l’incari-co di revisore dei conti. Questo scontrosulle commissioni e gli altri incarichi puòsembrare sovradimensionato, ma non lo è sesi pensa che ai presidenti spetta la stessaretribuzione e gli stessi benefit degli assesso-ri. Se si fanno i conti si scopre che quasinessun membro della maggioranza tra inca-richi di gruppo, di giunta e di consiglio èrimasto fuori: sono uno o due i consiglierisemplici. Diciamolo francamente sembranoi ragazzi della via Paal. Bracco sostiene,rispondendo alla minoranza, che tutto èstato fatto secondo le regole e che non c’èproprio da scandalizzarsi. Non siamo statimai convinti della sacralità delle istituzioni,ma neppure siamo tra coloro per cui se nonc’è reato non c’è colpa. Brutalmente: laprima seduta del Consiglio regionale piùche ad una assemblea istituzionale assomi-gliava ad un mercato delle vacche. La gover-natrice, tuttavia, ha sostenuto che cinqueanni fa l’esordio era stato nettamente peg-giore. Se lo dice lei...

Il mercatodelle poltrone

Re.Co.

M

4po l i t i c amaggio 2005

on la legge regionalen.21 del 16 apri le2005 si è provvedutoalla pubblicazione e

promulgazione del nuovoStatuto regionale, divenutodopo quindici giorni operativo,cosa che ha permesso, tra l’al-tro, di portare g l i assessor iregional i da otto a nove.Insomma sembrava che il lungoed accidentato iter, iniziato nelgennaio del 2001 con la istitu-zione della Commissione spe-cia le per la r i forma del loStatuto fosse finalmente giuntoa termine, quando, come siconviene alla migliore tradizio-ne del cinema di suspense, men-tre il pubblico in sala era ormaiin attesa dello scorrere dei titolidi coda, il Governo nazionale(colpo di scena!) presenta ricor-so alla Corte Costituzionale,motivandolo con alcune pre-sunte irregolarità nelle procedu-re di approvazione. Pronta lareazione della Giunta e dellamaggioranza di centro-sinistrache accusa il Governo di unasorta di accanimento, non si saquanto terapeutico, control’Umbria. A dire la verità ad avanzare iprimi dubbi sulla correttezzadella procedura seguita nellapromulgazione dello Statuto erastato proprio “micropolis”, e intempi non sospett i (vedi i lnumero di gennaio). La predicaarriva da un pulpito incongruo,da un Governo che sarebbemegl io per tutt i andasse i lprima possibile a casa, e la deci-sione di ricorrere è tutta politi-ca, di revanscismo post eletto-rale, come l’ha defi-nita la presidenteLorenzetti. Per que-sta ennesima impu-gnazione del loStatuto, dal saporea dir poco grotte-sco, non c’è pertan-to da scendere inpiazza a fare festa,ma si può legitti-mamente continua-re a pensare, a sini-stra, che nella approvazionedello Statuto, per la volontà diapprovarlo a tutti i costi, per lanecessità di far presto, per leg-gerezza, si sono commesse for-zature e persino irregolarità.

Per capire come stanno le cose ènecessario fare qualche passoindietro, par tendo propriodalla, ormai fatidica, seduta delConsigl io regionale del 10dicembre 2004. In quella datail Consiglio regionale, con unordine del giorno votato a mag-

gioranza dei presenti, compivafondamentalmente tre opera-zioni:- prendeva atto dell’obiezioneformulata nella sentenza finaledalla Corte Costituzionale, che

si era pronunciato sullo Statutoumbro a seguito di ricorso pre-sentato dal Governo;- valutava che lo Statuto, unavolta privato delle disposizionidell’articolo 66 (quello sull’in-compatibilità assessore-consi-gliere) dichiarate illegittime

dalla Corte, potevaconsiderarsi comple-to;- dava mandato allaPres idente del laGiunta af f inchéprovvedesse “neitempi più rapidiposs ibi l i ed unavolta esaurita la fasedel la poss ibi le r i -chiesta di referen-dum ed ovviamente

dopo la svolgimento dello stes-so, ove richiesto”, alla promul-gazione dello Statuto medesi-mo.A questo punto sulla questionetempi del referendum, scoppia-

va un’a l tra grana. La leggeregionale sul referendum fissain novanta giorni il tempo mas-simo per presentare una even-tuale richiesta di referendum,ovvero per raccogliere le firmenecessarie all’indizione dellostesso. Il problema era da quan-do far partire questi novantagiorni: dall’11 agosto 2004,data di pubblicazione del loStatuto sul Bollettino Ufficialedella Regione, calcolando unasospensione dalla data del ricor-so del Governo a quella dellapresa d’atto da par te delConsiglio regionale delle osser-vazioni della Corte Costituzio-nale , i l 10 dicembre 2004,oppure, come sosteneva i lcomitato referendario, diretta-mente dalla data di presa d’at-to, cioè il 10 dicembre.Logica e buon senso, primaancora della giurisprudenza,sugger ivano questa ult imaopzione. Una rapida approva-

zione del lo Statuto avrebbeconsentito, in un’affannosacorsa contro il tempo, di chiu-dere il cerchio approntandouna nuova legge elettorale, conla possibilità di portare i consi-glieri da 30 a 36, secondo idesideri (e gli appetiti di quasitutti i gruppi politici). Poiché itempi s tr ingevano non eraindifferente dover aspettare dal10 dicembre 55 giorni (primaipotesi) in luogo di 90, per per-mettere ai referendari di racco-gliere le 15.000 firme per larichiesta di referendum. A diri-mere la questione veniva chia-mato il Consiglio di Stato. Ilparere del Consiglio di stato,reso noto a fine gennaio, risul-tava inequivocabile: i 90 giornidovevano essere conteggiati apartire dal 10 dicembre, perché,e questo è il punto centrale,con la cancellazione del famosoarticolo 66 si era operata unamodifica sostanziale del testostatutario e non un sempliceaggiustamento formale. E quisorgevano nuovi problemi. Incasi di modifica sostanziale diun testo statutario la legge pre-vede la procedura della doppialettura a distanza di sessantagiorni l’una dall’altra. Quindila sola ed unica approvazioneavvenuta il 10 dicembre nonera sufficiente, ne occorrevauna seconda a sessanta giorni didistanza. Naturalmente i 90giorni per la raccolta del lefirme per il referendum sareb-bero scattati in questo casodopo questa seconda lettura(approssimativamente attornoalla metà di febbraio 2005).Ma la questione era ancora piùcomplicata. Trattandosi di untesto statutario, la maggioranzarichiesta per legge è quella asso-luta, cioè 16 consiglieri su 30.Ebbene il 10 dicembre a votarea favore dell’ordine del giorno,con il quale si dava il via liberaallo Statuto, erano stati 15 con-s ig l ier i , ovvero la metà delConsiglio regionale e non lamaggioranza assoluta dei suoicomponenti, che è di 16 consi-glieri. Di conseguenza mancan-do la maggioranza richiestadalla legge, quel 10 dicembre loStatuto non sarebbe statoapprovato ma addir i t turarespinto. Un bel ginepraio, per

Il maledetto imbroglio dello Statuto regionale

Presidenzialismicomparati

ElleEmme

Mosse e contromosse:la Regione promulgail nuovo Statuto, i l governo nazionalericorre. Un bel ginepraio

C

non usare altre espressioni.Nonostante le controindicazioni ed ilrischio di esporre lo Statuto ad una seriedi ricorsi e controricorsi (cosa che comevisto si è puntualmente verificata), l’a-prirsi di polemiche e così via, si è decisodi promulgarlo. Si è pensato che proce-dere immediatamente alla promulgazio-ne fosse l’unico modo per uscire da unaimpasse complicata, visto che non sivoleva rinviare tutto al nuovo Consiglioregionale, riprendendo daccapo l’iter.Così facendo si sono nuovamente elusedelle regole. Non si tratta di cavilli pro-cedurali, roba opinabile da azzeccagar-bugli, ma di norme che presiedono alprocesso democratico di formazione diatti fondamentali per una comunità,come appunto lo Statuto. Le regole nonsono come i peccati, distinguibili traveniali o mortali, le regole sono regole.Non si può perciò chiederne il rispetto aRoma, denunciare gli atteggiamenti e lepratiche di un centro-destra insofferenteverso le norme che regolano la vitademocratica, fino alla palese violazione,e poi a Perugia comportarsi come se leregole fossero un optional da piegare aseconda della convenienza o dell’urgenzapolitica. In questo modo si offre il fian-co alle posizioni qualunquiste, alle criti-che di coloro che affermano che, unavolta “al potere” tutti, destra o sinistrache siano, si comportano alla stessamaniera e, soprattutto, si apre la strada aviolazioni di regole ben più pesanti ecorpose. Adesso la parola passa, per laseconda volta, alla Consulta.Aspetteremo. In questo contesto, siadetto per inciso, la polemica sollevatadal centro-destra regionale sulla questio-ne del nono assessore, ci appassiona benpoco.

Statuto umbro e revisione della Costituzione In attesa che la Consulta si esprima, leforti riserve avanzate dal nostro giornale(e culminate in un appello che ha avutoun gran numero di sottoscrizioni) neiconfronti dell’opzione presidenzialista edelle sue conseguenze sul terreno stessodella democrazia rimangono tutte. Al dilà di motivazioni di stretto merito, sullequali non torniamo, questa scelta non ciconvince perché, guarda caso, si poneesattamente in linea e finisce per perse-guire un modello di assetto dei poteriassai simile a quello che proprio in que-sti giorni la maggioranza di centro-destra sta per approvare in via definitivain Parlamento con il progetto di revisio-ne costituzionale. La lettura comparatadelle parti dedicate a questi aspetti delnuovo Statuto regionale e del disegno dilegge di revisione della parte secondadella Costituzione approvato in viadefinitiva il 25 marzo scorso dal Senatomostra somiglianze impressionanti. Innanzitutto sia il nuovo Statuto regio-nale (Capo II, articolo 63) che il testo diriforma costituzionale (Titolo III, arti-colo 92) prevedono l’elezione diretta daparte del corpo elettorale del Presidentedella Giunta regionale come del Primoministro, eliminando ogni forma diinvestitura assembleare. In ambedue icasi l’unico obbligo che i Presidentihanno nei confronti delle assembleeelettive è quello di illustrare il proprioprogramma di legislatura. Ambedue iPresidenti hanno potere di nomina degliassessori o dei ministri, come di revoca,in qualsiasi momento, di uno o piùcomponenti della Giunta o del Con-siglio dei Ministri, senza dar conto diciò alle assemblee elettive (nello Statutoregionale è prevista una comunicazioneal Presidente del Consiglio, un atto di

cortesia, nulla di più). Ma le somiglianze più inquietanti sonoquelle degli articoli che regolano i rap-porti tra Primo ministro/Presidentedella Giunta ed assemblea elettiva, inparticolare le questioni della fiducia edella sfiducia. L’articolo 94 del testo direvisione costituzionale prevede che ilPrimo Ministro possa porre la questionedi fiducia e chiedere alla Camera deideputati di esprimersi con priorità suogni altra proposta. Le votazioni hannoluogo per appello nominale. Nel caso divoto sfavorevole il Primo Ministro sidimette e su sua richiesta il Presidentedella Repubblica decreta lo scioglimentodel Parlamento ed indice nuove elezioni.Può anche essere il Parlamento stesso adobbligare il Primo Ministro alle dimis-sioni con l’approvazione, a maggioranzaassoluta dei suoi componenti, di unamozione di sfiducia. Anche in questocaso il Parlamento viene sciolto e si va anuove elezioni. Il Primo Ministro sidimette altresì qualora la mozione di sfi-ducia sia respinta con il voto determi-nante (si vota per appello nominale) deideputati non appartenenti alla maggio-ranza. Sempre l’articolo 94 prevede unsolo caso in cui la sfiducia espressa dallaCamera dei deputati non dia luogoautomaticamente allo scioglimento delParlamento: “qualora sia presentata edapprovata una mozione di sfiducia, conla designazione da parte dei deputatiappartenenti alla maggioranza espressadalle elezioni in numero non inferiorealla maggioranza dei componenti dellaCamera”. In tutti gli altri casi si va acasa e la decisione di sciogliere o meno ilParlamento non è, come ora, nelle pote-stà del Presidente della Repubblica, madel Primo Ministro. Il proposto articolo88, infatti, prevede che il Presidentedella Repubblica decreti lo scioglimentodel Parlamento o su richiesta del Primoministro, che ne assume la esclusivaresponsabilità, o in caso di morte delprimo ministro o di impedimento per-manente, o in caso di dimissioni delPrimo ministro, o nel caso in cui lamozione di sfiducia sia respinta con ilvoto determinante dei deputati nonappartenenti alla maggioranza.Nel complesso il disegno di revisionecostituzionale del centro-destra ha comerisultato un potenziamento estremodella figura del Primo ministro, chediviene una sorta di presidente all’ameri-cana, eletto direttamente dal popolo,esente dal la f iducia iniz ia le delParlamento, cui si accompagna “il pote-re di forzare la Camera dei deputatiall’approvazione delle misure legislativeda lui ritenute essenziali, l’automaticitàdello scioglimento della Camera conse-guente la sfiducia ed il larghissimo pote-re di determinarlo in altri casi da luiesclusivamente valutati: tutte queste pre-rogative, assieme ad altre, ne irrigidisco-no la supremazia oltre la realtà attualeed oltre ogni ragionevolezza....Insommail potere personale del premier sembrasostituire ogni articolazione della formadi governo giustificando la definizionedi chi parla di premierato assoluto “(Allegretti).Le scelte contenute nello Statuto regio-nale, se si procede ad una attenta letturadel testo, non si differenziano in manie-ra significativa da quanto previsto neldisegno di legge di revisione costituzio-nale elaborato dal centro-destra. E’ veroche non si prevede la possibilità da partedel Presidente della Giunta di porre laquestione di fiducia su atti o provvedi-menti, togliendogli dalle mani un’armapesantissima di ricatto nei confrontidell’Assemblea (o votate questo provve-

dimento come voglio io o tutti a casa),resta comunque l’arma delle dimissioni(articolo 64 del nuovo Statuto) per pie-gare un consiglio riottoso alla volontàdel Presidente. Certo, sempre l’articolo64 prevede, in caso di dimissioni volon-tarie non determinate da ragioni dicarattere personale (quindi dimissioni dicarattere politico), che il Presidentemotivi le ragioni della sua decisione inConsiglio regionale, che può invitarlo amaggioranza assoluta dei suoi compo-nenti , a recedere dal le dimiss ioni ,costringendo così il Presidente a ritorna-re di nuovo in Consiglio dopo quindicigiorni per confermare o meno la suavolontà di dimettersi. Ma si tratta, è deltutto evidente, di palliativi procedurali;resta il fatto che in situazioni di contra-sto politico Presidente/Consiglio, adavere l’ultima parola è il Presidente, chedi fatto ha i l potere di sciogliere i lConsiglio. Di più, all’articolo 71 delloStatuto regionale approvato si prevede lapossibilità che il Consiglio regionaleesprima la sfiducia nei confronti delPres idente del la Giunta mediantemozione motivata, sottoscritta da alme-

no un quinto dei componenti e appro-vata per appello nominale a maggioran-za assoluta dei componenti. L’approvazione della mozione comporta,come prevedibile, le dimissioni delPresidente della Giunta, ma anche loscioglimento del Consiglio regionale el’indizione di nuove elezioni congiuntedel Consiglio regionale e del Presidentedella Giunta. A differenza di quantoprevisto dalla revisione costituzionale,non viene data la possibilità al Consiglioregionale di sfiduciare il Presidente dellaGiunta e al contempo indicare un nuovoPresidente, che faccia pur sempre riferi-mento alla stessa maggioranza espressadalle elezioni. Quindi mentre il model-lo di presidenzialismo adottato a livellonazionale dà comunque la possibilità, sevi è accordo all’interno della maggioran-za politica che ha vinto le elezioni, disostituire il Primo Ministro senza perquesto interrompere la legislatura, que-sta possibilità non è data dallo Statutoregionale, che prevede una sorta dimatrimonio indissolubile fino a che

morte non li separi tra Presidente emaggioranza che lo ha eletto, nessunapossibilità di divorzio. Ma ancora, il Consiglio (articolo 64) vaa casa e si indicono nuove elezioni anchenel caso di rimozione, impedimentopermanente, morte o dimissioni volon-tarie. Questa previsione è la trasposizio-ne nello Statuto regionale di quanto det-tato dall’articolo 126 della Costituzionenel testo vigente, che sancisce, nei casidi elezione diretta e a suffragio universa-le del Presidente della Giunta, il princi-pio del “simul stabant, simul cadunt”, elega indissolubilmente le sorti di un’as-semblea legislativa eletta dal popolo,quale il Consiglio regionale, ai destini,non solo politici, ma personali, di unuomo (o una donna) eletto alla carica diPresidente della Giunta. Per la cronacaricordiamo che questo principio del fer-reo legame Presidente/Consiglio è statointrodotto con la legge costituzionale n.1 del novembre 1999, una legge voluta evotata dall’allora maggioranza di centro-sinistra. Adesso nel testo di revisionecostituzionale approvato dal centro-destra, sempre all’articolo 126 questo

principio di simultaneità vieneattenuato, prevedendo, conuna norma francamente dibuon senso, che “non s i faluogo a dimiss ioni del laGiunta e a scioglimento delConsiglio in caso di morte oimpedimento permanente delPresidente della Giunta. In talcaso lo statuto regionale disci-plina la nomina di un nuovoPresidente”. Insomma per ipresidenzial ist i del centro-destra resta forte il legame traPres idente e Consigl io, unmatrimonio indissolubile, mase i l coniuge, pardon i lPresidente, viene a mancare, alconiuge superstite, i l Con-siglio, viene data la possibilitàdi risposarsi. I difensori della scelta di unmodello presidenzialista per lo

Statuto umbro (scelta a detta loro obbli-gata, ma non si comprende da chi, vistoche l’articolo 122 della Costituzioneprevede implicitamente modalità di ele-zione del Presidente diverse da quelladiretta e a suffragio universale) afferma-no che lo Statuto medesimo contienemisure tese a controbilanciare il poteredel Presidente, riequilibrando il rappor-to tra questi ed il Consiglio. Si tratta dipalliativi, di misure, in buona sostanza,limitate a funzioni di generico indirizzodell’azione di governo regionale, comequelle previste dall’articolo 43, o dialtrettanto generico controllo, comequelle dell’articolo 61, dai profili assaipoco cogenti. Resta su tutto, come unmacigno, l’impostazione presidenziali-sta, la stessa, anzi, come si è visto, percerti versi più pesante, che caratterizzal’intervento di revisione costituzionaledel centro-destra. Il nome di governato-re, usato sovente da una stucchevolepubblicistica, non c’è, ma l’opzioneamericaneggiante vale anche in questocaso.

5po l i t i c amaggio 2005

Primo TencaArtigiano Orafo

Via C.?Caporali, 24 - 06123 PerugiaTel. 075.5732015 - [email protected]

Le concordanze

tra il presidenzialismo

scelto per l’Umbria

dal centro-sinistra

e la riforma

costituzionale votata

in Parlamento

dalla destra

a modifica del Titolo V dellaCostituzione e prima ancora l’ap-provazione del Decreto Legislativon.56 del 2000 hanno mutato in

modo sostanziale gli assetti istituzionali delServizio Sanitario e le Regioni, con l’introdu-zione del principio della legislazione concor-rente, hanno aumentato notevolmente il lororuolo, che non è più solo di programmazionee controllo, come peraltro dimostra l’intesaStato- Regione recentemente sottoscritta.Questo mutato scenario ed una diretta mag-giore responsabilizzazione sul piano dellacostituzione e gestione del fondo sanitariodevono inevitabilmente tradursi, a livelloregionale, in un diverso e più responsabileapproccio sia sul versante della garanzie e siasul versante della gestione. In entrambi i ver-santi, il ruolo delle forze sociali, ed in partico-lare delle organizzazioni sindacali, non puòche essere centrale nella fase della concertazio-ne e della contrattazione. Sul piano delle garanzie la Cisl dell’Umbriacondivide l’obiettivo di un Servizio Sanitariopubblico, solidale e di qualità e ritiene che aquesto obiettivo vada subordinato l’interoassetto organizzativo.Sul piano della gestione, pur dando atto allaRegione dell’Umbria, di aver perseguito finoad ora importanti risultati di equilibrio dibilancio e, quindi, di non aver introdottonuove tasse, tuttavia una analisi delle tendenzenon può che preoccupare.Per questo motivo riteniamo che siano possi-bili alcuni interventi che, mantenendo intattied anzi rafforzando il sistema delle garanziespecie a favore delle fasce sociali più deboli(anziani, malati cronici, nuovi poveri), mirinoad accrescere efficacia al sistema perseguendolivelli di maggiore efficienza gestionale recupe-rando risorse da investire nei settori più esclu-sivamente sanitari.1. Riguardo all’assetto istituzionale la Cisl siinterroga se il Servizio sanitario umbro potreb-be guadagnare in efficienza da una riduzionedel numero delle aziende sanitarie e, di conse-guenza, da una riduzione dei livelli di compe-tizione anche economica che il processo diaziendalizzazione ha innescato e che il sistemadi finanziamento del tipo global budget non èriuscito a recuperare, come peraltro hanno evi-denziato in maniera esplicita, se pure ce n’erabisogno, alcune recenti polemiche di alcunisindaci e di alcuni territori nei confronti diqualche azienda sanitaria che pure dovrebbe,con la propria mission, garantire all’intero ser-vizio sanitario regionale i maggiori livelli dicomplessità assistenziale. 2. Riguardo all’assetto organizzativo riteniamoche una logica di “sistema” e di reale integra-zione di “rete” possa costituire una base perperseguire una maggiore e complessiva qualitàdi tutto il servizio sanitario nelle sue diversefasi di assistenza ospedaliera e territoriale e nei

suoi diversi momenti della prevenzione, dellacura e della riabilitazione.Fondamentale in questa ottica, a nostro avvi-so, dovrebbe risultare una revisione organizza-tiva che sposti il baricentro dall’attuale assettoche è centrato sui “territori” ad un nuovoassetto centrato sulle “funzioni” attraversolivelli di gestione unitari preferibilmente su

base regionale in una ottica di “sistema-Regione” che le dimensioni geografiche edemografiche dell’Umbria rendono non solopossibili ma anche auspicabili. Potrebbero così essere gestiti in maniera davve-ro unitaria ed uniforme servizi essenziali edimportanti come l’emergenza, la riabilitazioneed il trattamento di alcune delle più diffusepatologie come quelle cardiovascolari ed onco-logiche, puntando non solo sulla capillaritàdei servizi ma anche e fondamentalmente sullaqualità delle prestazioni che gli stessi garanti-scono. Come è noto infatti non sempre laquantità di servizi è tale da garantire la qualitàdelle prestazioni sia perché non permette disviluppare negli stessi operatori una continuamaturazione professionale e sia perché lemutate condizioni e l’utilizzo di sempre più

nuove ed innovative tecnologie comportanorisorse e professionalità che un sistema eccessi-vamente decentrato non riuscendo a utilizzareal meglio, molto spesso diventa un fattore nonsolo di inefficienza ma anche di inefficacia.La costituzione di una “società per la gestioneintegrata di funzioni tecnico-amministrativein materia di sanità pubblica”, approvata alla

fine della passata legislatura dal ConsiglioRegionale, di cui pure la Cisl non ha condivi-so alcuni passaggi, se venisse a collocarsi inmaniera esplicita e non surrettizia in un muta-to assetto istituzionale ed organizzativo,potrebbe avere una qualche coerenza.Si andrebbe in tal modo con maggiore corag-gio e con una maggiore tempestività nelladirezione di un “sistema-Regione” che peraltroè uno degli obiettivi, se non il principale dellostesso Piano sanitario regionale. La nostra principale preoccupazione è che nonvediamo all’orizzonte immediato condizionipolitiche che giustifichino un tale inevitabilecoraggio, pur in presenza di condizioni semprepiù precarie che invece rendono inevitabileuna maggiore tempestività. Le condizioni sempre più precarie del sistema

di finanziamento, prima o poi, imporrannoun po’ più di coraggio. Per noi è prioritaria efondamentale la garanzia dei servizi e la qua-lità delle prestazioni che questi garantiscono enon l’apparato che li organizza. E prima didover mettere le mani in tasca, perché prima opoi ci chiederanno anche questo se le cose noncambiano, riteniamo che altri debbano e pos-sano metter mano ad una revisione, anchelegislativa, del nostro servizio sanitario regio-nale. Non è sufficiente, ovviamente, agire sol-tanto sul sistema sanitario. Il federalismo,soprattutto se non sarà solidale, ed il modelloproposto dal Governo non lo è, mettel’Umbria nella condizione di dover fare i conticon le proprie risorse. E, allora si dovrà perse-guire, da una parte, l’aumento della ricchezzae quindi della base contributiva, attraverso lacrescita qualitativa del lavoro e, dall’altra, lariduzione degli sprechi e la qualificazione dellaspesa, attuando la riorganizzazione degli assettiistituzionali. Lo stato di avanzamento dellariforma è lento, quando invece sarebbe urgen-te attribuire le nuove funzioni amministrative,evitare la sovrapposizione di competenze fra ivari enti, promuovere l’associazionismo fraComuni, definire il principio di sussidiarietàorizzontale, snellire e razionalizzare i livelli digoverno superiori a quello dei Comuni.Questo significherebbe, non solo, costruireuna pubblica amministrazione più leggera, maanche più moderna e avanzata, capace cioè disaper interagire con il mondo che cambia epromuovere lo sviluppo qualitativo.Senza crescita non ci sarà neanche protezionesociale e sanitaria. Lo ripetiamo perché a noisembra che si sottovaluti il fatto che la nostraregione, dopo essere cresciuta fortemente per30 anni di seguito, da alcuni anni il suo svi-luppo si sia arrestato. Negli ultimi due anni laricchezza prodotta è diminuita, e questo èavvenuto mentre gli investimenti industrialisono aumentati e l’occupazione ha sostanzial-mente tenuto. Ciò significa che produciamopoco valore aggiunto e che si punta più allaquantità che alla qualità. L’Umbria ha unaoccupazione operaia più elevata delle regioni anoi vicine, è, cioè, l’anello terminale ed esecu-tivo delle cosiddette filiere produttive. In con-creto significa che si progetta altrove, si produ-ce in Umbria ed altri commercializzano. Nona caso da noi esiste una maggiore disoccupa-zione giovanile intellettuale, mentre vi è unamaggiore presenza di lavoratori con bassolivello di istruzione. La situazione è tale che ciimpone di uscire dall’ordinaria amministrazio-ne. Per lo sviluppo della nostra regione occorreun progetto che non sia incentrato sull’esisten-te, dovremmo chiederci come vorremmo chefosse l’Umbria dei prossimi decenni ed evitaredi procedere per inerzia o per compartimentistagno.

* Segretario Generale della Cisl dell’Umbria

6s o c i e t àmaggio 2005

Un intervento della Cisl sul Servizio Sanitario in Umbria

Un progettoper la salute

Pier Luigi Bruschi*

L

i siamo più volte occu-pati dello spinoso temadei trasporti, soprattuttoin chiave politica.

Questa volta abbiamo deciso disentire la voce dei lavoratori delsettore. L’idea era in cantiere datempo, ma le recenti dichiarazionidel presidente dell’Apm MarcelloPanettoni, il quale, in sede diCommissione consiliare comuna-le, ha stigmatizzato l’assenteismodei dipendenti dell’azienda, hannoreso l’incontro più urgente.Hanno dialogato con noi RaffaeleD’Amato, Fabrizio Rossi e MauroNovelli, tutti dipendenti Apm. Ilquadro che si è delineato è riccodi spunti interessanti.

Come giudicate le affermazionidi Panettoni?Molto gravi. Abbiamo da pocoottenuto, peraltro ricorrendo inmisura minima allo sciopero, ilrinnovo del contratto nazionaleche, tra le altre cose, attribuiscealle aziende l’onere di corrispon-dere ai lavoratori le indennità dimalattia ed infortunio. Panettoninon ha perso tempo accusandocidi assenteismo e sostenendo che inostri salari sono troppo alti: circa1.500 euro mensili, più i premi diproduzione. E’ falso. Perché, piut-tosto, ha taciuto sulla pesantezzadei turni (tra le 6 e 7 ore di guidaspalmate su 14 ore) o sul fatto chemolti lavoratori, vista l’impossibi-lità di avere giorni di ferie al difuori delle due settimane estive,ne hanno accumulato un numerospropositato?Non potrebbe essere proprio talesituazione di malcontento all’ori-gine della scelta di ricorrere alcertificato medico?Noi contestiamo gli stessi dati for-niti da Panettoni: tranne in raricasi, come ad esempio nel periododelle frequenti nevicate invernali,il livello di assenteismo nellanostra azienda è allineato conquello medio nazionale. Inoltre,come è noto, un lavoratore inmalattia è sotto controllo, in regi-me di visita fiscale. Peraltro lostesso Panettoni, in evidente con-traddizione con se stesso, ha dovu-to ammettere che in Apm un kmpercorso costa 2,48 euro contro3,5 euro a livello nazionale, facen-do così risaltare la nostra produtti-vità. Con ciò non si vuole negareche il ricorso al certificato medicopossa anche essere interpretato dallavoratore come una forma ditutela. Non dimentichiamo che inpassato i contratti nazionali deltrasporto pubblico contemplavanola possibilità che il lavoratore“usurato” potesse cambiare man-

sioni. Queste garanzie, ormai, nonci sono più.Avete tentato di darvi una spiega-zione del perché il presidente siaintervenuto in modo così pesan-te?Siamo convinti che si stia prepa-rando il terreno alla riduzione dipersonale che seguirà, inevitabil-mente, l’apertura del minimetrò.D’altro canto l’amministrazionecomunale di Perugia sostiene dinon avere più risorse. Tutti nega-no ufficialmente che ciò avverrà,ma intanto, più o meno segreta-mente, si fanno i conti dei postiche verranno tagliati. Il fatto è cheormai, da tempo, si è abbandona-ta l’idea che il trasporto pubblicodebba svolgere un ruolo sociale,ma si preferisce ragionare esclusi-vamente in termini di costi e rica-vi. Sono anni che la rete urbananon viene ripensata, se non pertagliare i “rami secchi” e ridurre lafrequenza delle corse, ma nel frat-tempo la città si è modificata. Cisono oggi zone industriali, comead esempio Santa Sabina o PonteFelcino, meta quotidiana di lavo-ratori extracomunitari, che sono amalapena lambite dalle nostrelinee. Come si vede sono propriole fasce più deboli della cittadi-nanza ad essere penalizzate.Torniamo alle vostre condizionidi lavoro. Quanti e quali sono itipi di contratti in essere?Quelli cosiddetti atipici (forma-zione lavoro, part-time, interinale)non ci sono più. Tutti i lavoratorisono assunti con contratto atempo indeterminato. Per gli auti-sti più anziani si applica in pienoil contratto nazionale, ma anche

quelli con 7-8 anni di anzianità diservizio riescono, con gli integrati-vi, ad attestarsi ad un livello sala-riale di circa 1.300 euro. Rimane,tuttavia, il ricorso agli stagionali,ad esempio, in estate, quando c’èbisogno di incrementare il serviziodi navigazione al Trasimeno oppu-re, a Perugia, quello di scale mobi-li o ascensori in occasione di even-ti di massa. La vera anomalia dasuperare è, però, la distinzione,ormai priva di significato, traApm esercizi e Apm servizi.L’azienda satellite, che oggi occu-pa una quarantina di addetti afronte degli oltre 500 diquella madre, nata percoprire i servizi ausiliari(pulizia dei mezzi, paghe,etc.), si è progressivamentetrasformata in un doppio-ne della prima, senza peròoffrire gli stessi diritti ailavoratori: oggi un autistadi Apm servizi non sololavora di più dei colleghidi Apm esercizi, ma percepisce unsalario, decisamente più basso, cheoscilla tra 800 e 1.000 euro. Se siaggiunge il fatto che Apm esercizinon assume più lavoratori, se nondall’azienda satellite, è evidentecome il meccanismo non serva adaltro che a contenere i costi, atutto discapito dei lavoratori.Intanto, però, si continuano atenere in vita, inutilmente, duedistinti consigli di amministrazio-ne.Questa ultima considerazione ciindirizza verso un discorso piùampio di politica dei trasporti. Aldi là delle contraddizioni presentiin Apm, qual è il vostro giudizio

sul sistema regionale dei traspor-ti? Siete o no favorevoli alla crea-zione di un’azienda unica del tra-sporto su gomma?Per anni l’azienda unica è stata ilcavallo di battaglia della Cgil. Noisiamo ancora convinti che questasia la strada giusta; la Regione,tuttavia, è andata in altra direzio-ne. Forse i motivi all’origine diquesto cambio di rotta sono piùpolitici che sindacali. Sta di fattoche le tanto reclamizzate gared’appalto sono fallite: se, aPerugia, Apm ha posto con suc-cesso la sua candidatura, nei baci-

ni di Foligno-Spoleto e di Terninessuna azienda si è presentata. Ingenerale, è a livello nazionale chela procedura non ha funzionato,anche perché l’attuale maggioran-za di governo ha fatto di tutto perfarla fallire. In Umbria, a nostroparere, è soprattutto il localismo,che continua ad allignare all’inter-no sia delle amministrazionicomunali che delle imprese, aostacolare il cammino, che ripetia-mo auspicabile, verso l’aziendaunica. Valga a riprova il modosbagliato con cui si è affrontato iltanto decantato obiettivo dellacomunità tariffaria: ogni aziendasi è mossa per proprio conto - ad

esempio ognuna si è dotata dimacchine obliteratrici di tipodiverso - con il risultato che sidovrà ricominciare da zero. Senzacontare lo spreco di risorse.In un quadro così complessocome si stanno movendo le orga-nizzazioni sindacali? Tendono afare emergere le contraddizioni inessere o, piuttosto, ad occultarle?E i lavoratori si sentono adegua-tamente tutelati?Le ultime elezioni della Rsu inApm hanno premiato la Cgil, cheè passata da 5 a 7 rappresentanti, ascapito del sindacato autonomo dibase, e confermato, sostanzial-mente, il peso di Cisl e Uil. Si ètrattato di un importante segnaledi una fiducia da parte dei lavora-tori. Ciò non toglie che molti tradi noi si chiedono fino a chepunto il sindacato confederale, ela Cgil in particolare, sia in gradodi mantenere una reale autonomianei confronti di aziende che sonoespressione, più o meno diretta,degli enti locali ovvero, inUmbria, del centro-sinistra. Adogni modo bisogna riconoscereche in questa occasione la rispostadella Cgil alle accuse di Panettoniè stata abbastanza dura, seppuretardiva. Non solo essa ha posto ilproblema della legittimità del pro-liferare delle “scatole cinesi” digestione per ogni singolo aspettodell’attività della Apm, con lelaute ed esagerate spettanze che idirigenti di tali società nate ad hocsi attribuiscono, ma soprattuttoha rimarcato la necessità di unarazionalizzazione delle aziende

umbre di trasporto, sia sugomma che su strada fer-rata, chiedendo la costitu-zione di un’unica aziendadi trasporto pubblico.Fin qui il resoconto delcolloquio. E’ intenzione diquesto giornale ritornaresulla questione dei traspor-ti, sulla loro natura pub-blica e sul ruolo che

dovrebbe avere un sistema di tra-sporto efficiente dentro un siste-ma di welfare state civile e rispetto-so della dignità dei cittadini, ingenerale, e dei lavoratori del setto-re, in particolare. Inoltre, nellospecifico dell’Apm, siamo curiosidi conoscere alcune risposte inmerito alla prevista nuova organiz-zazione del lavoro, all’utilizzo deiproventi dovuti all’aumento deiticket di viaggio ed allo sviluppodella rete di sicurezza (lavoro dimanutenzione, igiene e puliziadei “mezzi”) che deve garantire,preventivamente, tanto la salute diviaggiatori e dei lavoratori quantol’efficienza delle “macchine”.

7 so c i e t àmaggio 2005

Incontro con i lavoratori dell’Apm

Gli autobus e i loro autistiStefano De Cenzo, Francesco Morrone

C

Dietro le stravagantiaccuse di Panettonisi intravedono taglial servizio pubblico

8 r e g i o n emaggio 2005

La sconfitta del centrosinistra

Le regionali del 16 aprile 2000 sono il pro-logo di quanto avverrà l’anno successivo. Imesi che seguono vedono diffondersi unclima generalizzato di sconfitta nel centrosi-nistra. Vani sono i provvedimenti “elettora-li” del governo Amato che vanno dalla redi-stribuzione del prelievo fiscale all’approva-zione delle modifiche del titolo V dellaCostituzione, che introducono nell’ordina-mento forti elementi di federalismo. Né amolto serve la ricomposizione delle forze dicentro della coalizione nella Margherita. Simanifestano, come contraltare, da unaparte la costituzionedi Democrazia Euro-pea ad opera di SergioD’Antoni, che lasciala segreteria nazionaledella Cisl, e dall’altrala volontà di AntonioDi Pietro di presenta-re una sua lista auto-noma, Italia deiValori, mentre nonvengono ricompostele lacerazioni tra ilcentrosinistra e Rifon-dazione, nonostanteun accordo limitatoalla Camera definiscauna sorta di desistenzatra Ulivo e Prc.L’esito è per moltispetti obbligato. Il 13maggio si ha il tracol-lo elettorale del cen-trosinistra. Non sonosolo i 100 seggi in piùalla Camera a fare ladifferenza, ma è l’evi-denza dei quasi1.500.000 voti di dif-ferenza tra centrode-stra e centrosinistranel proporzionale asegnare la differenza. IDs a livello nazionaleconquistano a mala-pena il 16,6%, laMargherita il 14,5%,Sdi e Verdi insieme l’1,1%. Rifondazione siattesta sul 5%, mentre Di Pietro conquistail 3,9%, rimanendo per un soffio esclusodal Parlamento. In Umbria i votanti sono 575.371, solo10.000 in meno rispetto al 1996 e quasi90.000 in più rispetto alle regionali. I Dsscendono al 25,9% (55.000 voti in menorispetto al 1996), la Margherita raggiunge il13,1%.Rifondazione si attesta al 7,7%. A destraForza Italia è sul 21,5, An totalizza il 17%,Ccd-Cdu il 2,5%, la lista di D’Antonil’1,6% contro il 2,4 nazionale. Il centrosini-stra, senza Di Pietro e Rifondazione, rag-giunge il 43,2%, con le due liste dissidentiil 53,6%: quasi 5 punti sotto il risultatodelle regionali. Il centrodestra senzaD’Antoni è al 42,8% con la lista dell’exsegretario della Cisl raggiunge il 44,4%, unaumento del 5%. Il 2% dei radicali comple-

ta il quadro. Nelle contemporanee elezionicomunali quasi ovunque si manifesta, comenel 1999, il fenomeno delle terze liste, nor-malmente due dell’area di centrosinistra.Gli esiti sono alterni. A Gubbio vince la coalizione capeggiata daRifondazione, a Città di Castello MarioCapanna raggiunge il 25%, mentre Assisi eNocera restano al Polo. E’ anche questo ilsintomo di uno sfarinamento a cui pari-menti contribuiscono umori municipalisti etensioni tra le diverse forze politiche. Inizia così in Italia la fase del governo dicentrodestra, di cui oggi stiamo vivendo lafase finale dopo la vittoria elettorale del 3-4

aprile alle regionali, che ratifica un trendelettorale durato tre anni, frutto dei diffusied imponenti movimenti di massa deltriennio 2001-2003 che hanno molecolar-mente inciso sull’opinione pubblica, oltreche - naturalmente - dell’insipienza e del-l’arroganza del governo e dello stessoBerlusconi, e delle continue tensioni cui èsottoposto. In Umbria comincia un periodo in cui laRegione e le autonomie locali non possonopiù contare sul “governo amico”. Vero è chenell’anno che va dalla sua elezione allasconfitta elettorale del centrosinistra la pre-sidente aveva provveduto a rastrellare quan-to più possibile dal governo centrale e, tut-tavia, nel quadriennio che va dal giugno2001 ad oggi il flusso rallenta, fino a porrein discussione persino il rinvio dei rimborsidella busta pesante concessa nel periodo delterremoto. Come sempre quando ci si avvi-

cina al presente la prospettiva e la riflessionerischiano di appannarsi, di scadere nellapolemica politica o nella ricostruzione diparte degli eventi. Conviene allora astenersida una disanima puntuale dei fatti e cerca-re, piuttosto, di leggere i movimenti mole-colari che hanno attraversato la regione nelcorso del ventennio, con i dati disponibili,tentando di capire, alla luce di questo,come e quanto la realtà umbra sia mutata.Si tratta di provare a comprendere, inmodo meno impressionistico da quello cor-rente, in che misura la politica sia capace diintervenire in un quadro mutato. Il quin-quennio è stato caratterizzato dall’elabora-

zione di un nuovo Statuto da cui filtranoumori presidenzialisti, per alcuni aspettisimili a quelli della riforma costituzionaleelaborata dal centrodestra e non a casovotato anche da settori consistenti dell’op-posizione al Consiglio regionale, e da unapolitica economica fondata sul “Patto perl’innovazione, lo sviluppo e la coesionesociale”, ossia da una scelta di concertazionea livello territoriale e sociale che finora hapartorito scarsi risultati. Perché, nonostantetensioni e rotture periodiche e una legisla-tura non particolarmente brillante - il cen-trosinistra è riuscito a mantenere la presasulla società e ad aumentare i suffragi fino atotalizzare un risultato di tutto rispettocome il 63,4% realizzato alle ultime regio-nali? La risposta, forse, più che in abilitàamministrative sta nel quadro sociale cosìcome si è andato configurando nell’ultimoventennio.

Una regione più vecchia, più istruita, più “moderna”

In primo luogo l’Umbria ha smesso di per-dere popolazione. Il punto più basso è statoil 1971 con 775.783 abitanti. Nel 1981 siera già a 807.552 unità che salivano al 1991a 813.831, il censimento del 2001 dava unapopolazione di 840.482 residenti. Quelloche, però, emerge è che l’aumento avvienecon un saldo naturale negativo, il che signi-fica che almeno la crescita degli ultimi anniè dovuta ad un saldo migratorio positivoperlomeno doppio rispetto all’Italia. Piùsemplicemente muoiono più persone di

quelle che nascono eil numero degli immi-grati è enormementepiù rilevante di quellodi coloro che emigra-no. Gli immigrati,peraltro, sono soprat-tutto extra comunitarie, presumibilmente,quelli censiti sonomeno di quelli pre-senti. Ne deriva unapopolazione con unalto tasso d’invecchia-mento e, per le quotegiovanili, provenientesoprattutto da paesiextra europei.Il tasso di scolaritànella scuola mediasuperiore sale dal67,7% dell’anno sco-lastico 1980-1981 al96,7% del 2000-2001con valori più alti diquelli italiani. Deigiovani tra 18 e 29anni la quota di colo-ro in possesso didiploma superiore odi una laurea nel2002 è pari a circa il70%. Le famiglieumbre hanno, inoltre,un numero medio dicomponenti di 2,6pari al dato italiano.

Questi indici grossolani ci dicono che lasocietà umbra ha perso alcuni dei caratteridi arretratezza che l’avevano caratterizzatanei decenni precedenti. Siamo di fronte adun struttura sociale caratterizzata dalla finedella famiglia polinucleare, con alti tassi d’i-struzione, con molti vecchi e con quoterilevanti di immigrati che sempre più costi-tuiscono quote stabili della popolazionedella regione.

Meno industria, più servizi, piùprecari

Per quanto riguarda l’occupazione e lastruttura economica, si consolida il trendche si era cominciato a manifestare neglianni ottanta. Deperisce ancora l’occupazio-ne in agricoltura, gli addetti all’industria,che avevano conosciuto un forte calo nel1991 rispetto al 1981, scendendo da

Note sull’ultimo ventennio in Umbria (VIII e conclusiva)

Bassa stagioneRenato Covino

9 r e g i o n emaggio 2005

117.454 a 104.863, risalgono nel 2001 a107.012. L’aumento è dovuto soprattuttoall’industria delle costruzioni che cresce diquasi 6.000 addetti, mentre le manifatturie-re registrano un calo di oltre 2.500 unità.Ma sono i servizi il comparto in cui simanifesta in modo più intenso la crescitaoccupazionale. Si passa dagli 80.792 addettidel 1981 ai 104.630 del 1991 ai 128.962del 2001. La crescita si realizza in modo piùaccentuato nelle “Attività immobiliari,noleggio, informatica, ricerca, altre attivitàprofessionali e imprenditoriali” (+14.581addetti nel decennio 1991-2001). Per com-pletare il quadro emerge come le istituzionipubbliche vedano calare l’occupazione dicirca 1.500 unità per contro il settore noprofit cresca dai 3.7191 addetti del 1991 ai7.297 del 2001. Complessivamente l’au-mento dell’occupazione è di poco più di28.000 unità nel corso del decennio. Aparte il lavoro nero non censito, si assisteall’espandersi del lavoro atipico con 11.426collaboratori coordinati continuativi e 1006interinali, concentrati nei servizi, nel nonprofit e nelle istituzioni. Insomma, a partele luci e le ombre, per molti aspetti simili aquanto emerge a livello nazionale, c’è tutta-via un dato che mostra una debolezza strut-turale dell’Umbria che è la dimensione delleimprese. Se nel 1981 le unità locali con piùdi 250 addetti collocate nel settore dell’in-dustria e dei servizi (al netto delle istituzio-ni pubbliche e del settore no profit) erano43 di cui sedici con più di 500 occupati,nel 1991 esse scendevano a 34 (con ottosuperiori a 500 occupati) nel 2001 a 27 (dicui solo 6 con più di 500 occupati). In que-ste imprese l’occupazione totale scendevadal 14,6% al 9,6 (1991) al 6,3%. Per con-tro nel ventennio le imprese con meno di10 addetti salivano dall’87,1% del 1981all’88,3% del 1991 all’89,1% del 2001. Mail dato più interessante è la crescita delleimprese con un solo addetto che dal 47,7%del 1991 passano al 55,8% del 2001.Insomma la dimensione occupazionalemedia nel 2001 è di 3,8 addetti per unitàlocale. Il settore delle imprese mostra tuttala sua fragilità, con quelle maggiori, spessocontrollate da multinazionali (10 con circa6.000 occupati) con centri decisionali fuoridell’Umbria e dell’Italia, con quelle minoriche non riescono né a crescere né a faresistema o di porsi in rete. Nel corso del ven-tennio l’impresa umbra non è riuscita adistrettualizzarsi né a fare il salto versoforme di quarto capitalismo, passando alladimensione della media: a tale proposito icasi si contano sulle dita di una mano.Peraltro l’impresa minore non ha neppurela rete di salvaguardia rappresentata dal cre-dito locale: le banche sono state ormaiassorbite da grandi gruppi nazionali -Unicredit, Banca Intesa, Monte dei Paschi -meno attenti allo sviluppo locale.

Una società civile debole

C’è un ulteriore elemento che merita diessere sottolineato che è la perdurantedebolezza di quelli che erano i tessuti cherappresentavano e connettevano i “poteriforti” in Umbria dall’Università alla masso-neria alle stesse Fondazioni bancarie che -nonostante la cospicua disponibilità finan-ziaria - hanno un ruolo sempre meno eco-nomico e sempre più di erogatrici di spesa.Fragile e disarticolati sono anche i cetipopolari - tra cui si contano ben 46.000poveri a cui alcune stime aggiungono altret-tanti lavoratori precari una quota consisten-te dei quali è rappresentata da immigrati.Tali dati definiscono, sia pure in modorozzo e approssimativo, il quadro. Non esi-ste, cioè, nessuna possibilità d’un patto deiproduttori, non fosse altro perché mancanosoggetti ed interlocutori. Se ciò vale per leclassi dirigenti vale anche per quelle subal-

terne e ciò segna una diversità rispetto alpassato. L’Umbria contemporanea è, finoagli anni cinquanta, un insieme di cittàassediate dalle campagne. Gli esili e radigruppi operai rappresentano gli alleati deiceti medi poveri presenti nel mondo rurale,ciò salda un blocco sociale forte, capace didarsi rappresentanza e costruire le sueforme di organizzazione sociale. Oggi ipochi e dispersi nuclei di classe operaiasono costretti ad asserragliarsi nella lorospecifica condizione, fabbrica per fabbrica,settore per settore, come ha dimostrato ladinamica e l’esito dell’ultima vertenzaall’Ast di Terni, mentre il resto dei cetiurbani vive in una condizione di dispersio-ne, in cui non esiste nessun elemento dicoesione che nel passato era rappresentatodalle sedi comunitarie e di solidarietà che sierano progressivamente costituite nelmondo contadino. La modernizzazione leha progressivamente liquidate senza che essevenissero sostituite da nulla di simile.

L’autonomia del ceto politico

Resta allora la domanda centrale: perché ilcentrosinistra ha vinto? Si potrebbe rispon-dere, come si è fatto da destra, che esiste unsistema clientelare diffuso, oppure come si èdetto a sinistra, perché ha governato bene.In realtà entrambe le ipotesi sono deboli,pur contenendo qualche elemento di verità.Il punto è che le amministrazioni locali e ilcontrollo della spesa pubblica rappresenta-no - in una situazione di debolezza dellasocietà civile e di frantumazione dei poterieconomico- sociali - l’unico momento dimediazione e di compensazione nellasocietà regionale. A ciò si aggiunga che ladestra umbra non è riuscita a saldare intro-no a sé un blocco sociale simile a quellodella vecchia Dc, neppure nel periodo incui ha gestito il governo centrale. Ma talerisposta va ulteriormente dettagliata percomprendere anche come si è andato ridefi-nendo - sulla base delle nuove leggi eletto-rali e delle nuove attribuzioni di poteri asindaci e presidenti di Regione e Province -il sistema politico locale. Negli anni novan-ta le nuove leggi elettorali a forte impiantomaggioritario e l’aumento dei poteri di sin-daci e presidenti hanno configurato unsistema politico in cui prevale il peso delcapo dell’esecutivo sulle assemblee elettivee sulle stesse giunte. A ciò ha corrispostouna lievitazione delle retribuzioni di asses-sori e consiglieri. Questi due dati hannocambiato profondamente il sistema politicoin generale e in particolare il sistema politi-co locale. In generale c’è da osservare, conMauro Calise, come i partiti non sianoaffatto spariti, ma abbiano trovato “nuovalinfa proprio nello stretto rapporto che si èvenuto consolidando tra la loro organizza-zione - e i loro uomini - e l’apparato statale... oggi i partiti, a molti effetti sono loStato”. Ne derivano due novità rispetto alpassato: la prima è che diminuisce il volon-tariato e aumenta il professionismo politico.Non è un fenomeno nuovo ed era statoanalizzato già agli inizi del Novecento daRoberto Michels. Ma in quel caso si analiz-zava la nascita della burocrazia di partito,che traeva il proprio reddito ed il propriostatus dalla crescita dell’organizzazione, oggial contrario dei vecchi organizzatori politici“i nuovi professionisti hanno una specializ-zazione diversa; nei loro curriculum è pre-valente l’esperienza all’interno delle istitu-zioni statali. Dalle amministrazioni locali aiparlamenti regionali e centrali, dal lavoronelle commissioni legislative a quello deivertici dei ministeri, il professionismo poli-tico di oggi è molto più statale che politi-co”. La seconda novità riguarda le forme difinanziamento dei partiti, che derivanosempre meno dalla società e dagli iscritti esempre più dallo Stato sotto forma di rim-

borsi elettorali e salari ai professionistiimpegnati nelle assemblee elettive.Insomma oggi fare politica è redditizio nonsolo dal punto di vista della promozionesociale ma anche dal punto di vista finan-ziario. Non è questa la sede per elencare sti-pendi e benefit di consiglieri, assessori, pre-sidenti, ecc. quello che è certo e che sono ditutto rispetto. C’è tuttavia un elemento chemerita di essere sottolineato ed è il fatto checiò avviene in un momento in cui il ruolodelle assemblee elettive deperisce. In sintesioggi presidenti di Regioni e Province e sin-daci sono molto più autonomi del passato.Ciò ha cambiato gli stessi snodi decisionalied operativi. Aumenta il ruolo degli stafftecnici e delle agenzie operative che semprepiù divengono centri di decisione politica ei cui gruppi dirigenti, i presidenti e i consi-gli di amministrazione vengono scelti subase discrezionale dai capi dell’esecutivi. Icomponenti delle assemblee si trasformanosempre più in mediatori istituzionali.Questo spiega sia il legame personale conl’elettorato, sia il proliferare delle preferen-ze, fenomeno che esalta la territorialità dicandidati ed eletti ed alimenta quei feno-meni di municipalismo, localismo e territo-rialità descritti in precedenza. Insomma lecaratteristiche del nuovo sistema politicolocale esaltano i processi di sganciamentodella politica dalla società, diminuiscono oconfigurano in modo diverso i meccanismidella rappresentanza, confermano quelfenomeno che Calise chiama il partito per-sonale inteso come apparato al diretto servi-zio del leader, in macchina personale “al ser-vizio di questo o quel leader politico”, inapparto elettorale in cui il legame personalee d’interresse ha la prevalenza sul legameideologico e programmatico.

Per concludere

In una regione piccola come l’Umbria, le

cui caratteristiche si è cercato in precedenzadi delineare, l’effetto di questo fenomenodiviene un elemento frenante. Appare ovvio, in questo quadro, che ilgioco politico si sviluppi sempre sul breveperiodo, che la prevalenza l’abbia la gestio-ne della congiuntura, la soluzione dei pro-blemi come si configurano nell’immediato.Ciò spiega perché, al di là dei patti tra pro-duttori e per lo sviluppo, alla fine il ruolorilevante che hanno, nelle politiche locali, ilciclo edilizio e i lavori pubblici, con il con-seguente privilegiamento delle posizioni direndita. Detto in modo più semplice la politicaregionale dovendo tener conto di spezzonidi ceti, di interessi territoriali, di esigenzediversificate e in molti casi confliggenti,senza entrare in contraddizione con talequadro, non è in grado di progettare ilfuturo dell’Umbria nel medio periodo. Lastessa dichiarata esigenza di una nuova clas-se dirigente regionale si configura, così, piùcome un auspicio che un impegno concre-to. Il centrosinistra allora continua a vince-re, nonostante le sue evidenti deficienze e lamediocrità del suo personale politico,comunque minori di quelle del centrodestra, perché aderisce a questa configura-zione sociale ed economica, pur non facen-do scelte definite e di lungo respiro. Finchéci saranno flussi di finanziamento di unaqualche consistenza, fino a quando si riu-scirà a garantire la riproduzione sociale èdifficile preconizzare sia un cambio neigoverni locali che un rinnovamento dellasinistra. Ciò può continuare ancora perqualche anno in cui i governi locali conti-nueranno ad agire come equilibristi sullapalude. Del resto l’immagine dell’Umbriacome regione dove si vive meglio che altro-ve, dove tutto si tiene, dove le sacche dimiseria evidente sono limitate e in un qual-che modo tamponate, continua a persistere.La questione semmai è: fino a quando?

così è ufficiale: sarà la Gesenu, enon l’azienda tifernate Sogepu, agestire il trasporto dei rifiuti daCittà di Castello a Perugia e,

soprattutto, ad accaparrarsi i tre milioni emezzo di euro (!!!) che per tale servizio sbor-serà nei prossimi tre anni la RegioneUmbria.A pochi mesi dalla sottoscrizione dellanuova convenzione, che ha rivoluzionato laraccolta e lo smaltimento dei rifiuti in AltoTevere (della quale ci siamo occupati nelnumero di marzo, per altro dando per scon-tato tale sviluppo), viene così a concretiz-zarsi uno degli aspetti dell’accordo, ma nonè certo il solo, destinato a penalizzare forte-mente l’azienda tifernate. E se è stata scon-fessata l’ipotesi del coinvolgimento dellaSogepu, prospettata fino all’ultimo dal sin-daco tifernate Fernanda Cecchini (ma allaquale in pochi credevano), si è avuta inveceuna conferma di quanto anticipato a suotempo dall’ex presidente dell’azienda tifer-nate Vincenzo Bucci, che proprio denun-ciando la dannosità della convenzione avevapolemicamente rassegnato le dimissioni. Unatto clamoroso e non usuale, deciso daBucci dopo essersi trovato di fronte a talescelta a cose fatte e motivato da una lungaserie di perplessità e critiche. E così ora il sindaco Cecchini, dopo averfirmato la convenzione senza sottoporre laquestione ad un minimo di confronto ediscussione (la vicenda non era stata discus-sa né dalla Giunta Comunale, né dalla mag-gioranza, tanto meno era stata portata inConsiglio comunale) e dopo averla impostaalla Sogepu, ha aperto... la fase partecipativaper la designazione del nuovo presidentedell’azienda.C’è proprio da scommettere che le associa-zioni tifernati faranno a gara per indicare ilnominativo del futuro presidente, quandoancora non si sono sopite le polemicheseguite alle dimissioni di Bucci e proprionel momento in cui le speranze che fosse laSogepu a garantire il trasporto dei rifiutisono definitivamente andate deluse, deter-minando ancora più preoccupazione tra glistessi dirigenti e dipendenti. Per la cronaca,proprio a maggio si è registrato uno sciope-ro del personale. Ma invece di aprire una partecipazione perla designazione del presidente (noi scom-mettiamo che sarà un fedelissimo dellaCecchini, disposto a firmare per conto dellaSogepu l’accordo in questione), non erameglio che fosse stata promossa una parte-cipazione vera per discutere un progettocosì importante per l’intero comprensorio?Un interrogativo, questo, che ci pare legitti-mo ma che si scontra con una vicenda natamale e gestita peggio.La convenzione prevede che i rifiuti prodot-ti in Alto Tevere, fino ad oggi raccolti econferiti dalla Sogepu nella discarica tifer-nate di Belladanza, saranno in un primo

momento raccolti nella stessa discarica, perpoi essere trasferiti a Ponte Rio per la prese-lezione (l’impianto di Città di Castello nonha infatti la struttura per tale processo).Una volta selezionati, i rifiuti saranno ripor-tati nella discarica di Città di Castello. Deltrasporto dei rifiuti, il cui costo graveràsulla Regione, si occuperà appunto esclusi-

vamente la perugina Gesenu. Nella discari-ca tifernate andranno inoltre a finire ancheuna parte dei rifiuti prodotti a Perugia, peruna quantità totale che passerà da trenta aquarantamila tonnellate annue. Tutto que-sto per i prossimi tre anni, nel corso deiquali la discarica tifernate dovrà essere dota-ta dell’impianto di preselezione.

Ma perché, per esempio, non si è provvedu-to a realizzare subito il preselettore, comeprevisto da tempo dalla normativa? La que-stione non è di poco conto e il fatto che ilprimo cittadino abbia siglato l’accordosenza promuovere un minimo di confronto,dimostra come si sia trattato di un progettoimposto da Perugia.

Proprio da Perugia, del resto, sono partite lepressioni sugli stessi esponenti dei partiti dimaggioranza che, saputo della cosa leggen-do i giornali (perché così è andata), in unprimo momento avevano minacciato fuocoe fiamme. Per settimane le polemiche nate sulla que-stione sono state accompagnate da una

miriade di incontri, assemblee, summitcome non se ne vedevano da tempo.Settimane di acceso dibattito, che nonhanno fatto altro che rendere più evidentel’ennesimo dietrofront delle forze politiche,Margherita in testa, che, dopo aver alzato lavoce arrivando perfino a minacciare ledimissioni dalla Giunta, hanno finito peraccettare a testa bassa l’accordo. Ma è ungioco al quale i tifernati sono abituati: dicerto non ci credeva nessuno che per esem-pio la Margherita, o sarebbe meglio dire lemargherite, non avesse finito per fare l’en-nesimo passo indietro. Certo resta singolareche il primo documento approvato dallaGiunta tifernate sulla questione rechi ladata del... 20 aprile!Ma se sul fronte della maggioranza il primocittadino Cecchini, che evidentementesegue le orme della “muscolosa” presidentedella Regione Umbria Lorenzetti (che haorchestrato l’intero progetto), non ha avutoproblemi ad imporre le proprie decisioni,gli ultimi sviluppi rischiano di riaccendereil clima all’interno della Sogepu. La con-venzione era stata accolta da un duro docu-mento sottoscritto dalla metà dei dipenden-ti, alcuni dei quali sono arriva alla clamoro-sa restituzione delle tessere sindacali.Il problema è che, dopo mesi, nel concretonessuna risposta è stata data ai tanti dubbirispetto ad un accordo che non dà alcunagaranzia all’azienda.Nessuna certezza è venuta dallo stessodocumento approvato dalla Giunta di Cittàdi Castello: un documento tutto scritto alcondizionale, dal quale si potrebbe vedere iltentativo del Comune di scaricare sullaSogepu i problemi che non mancherannodi caratterizzare la gestione della discarica diBelladanza.Insomma gli interrogativi rimangono sultappeto: come proseguire il rapporto con iComuni toscani, fondamentale per Città diCastello, se questo aspetto non è stato nep-pure preso in considerazione? Quali garan-zie ci sono che i Comuni che hanno sotto-scritto la convenzione si impegneranno aconferire i rifiuti a Città di Castello unavolta realizzato il preselettore?A che punto è la stessa realizzazione dell’im-pianto? Quali garanzie per scongiurare concreta-mente un aumento delle tariffe, che in AltoTevere attualmente sono la metà di quelleapplicate a Perugia, se è chiaro l’orienta-mento di arrivare ad una tariffa unica?Tutto continua ad essere nebuloso. Ma se inodi, come dimostra la definitiva esclusionedella azienda tifernate dal trasporto deirifiuti, non mancheranno di venire al petti-ne, purtroppo il rischio è che a farne lespese saranno i cittadini. Intanto per i pros-simi tre anni le strade dall’Alta Valle delTevere a Ponte Rio saranno intasate da deci-ne di camion per il trasporto dell’immondi-zia.

10ambientemaggio 2005

Gesenu contro Sogepu. A Città di Castello interrogativi e proteste

La guerradelle immondizie

Alberto Barelli

E

11c u l t u r amaggio 2005

l bel libro di Paul Roberts, Dopo ilpetrolio. Sull’orlo di un mondo pericolo-so, pubblicato recentemente daEinaudi, parte da un dato che agli

esperti sembra incontrovertibile: l’economiadel petrolio sta raggiungendo il punto criti-co. Al di là delle schermaglie ideologiche edelle esigenze pubblicitarie e di sicurezza, ildibattito non verte più tanto sull’attendibi-lità della tendenza all’esaurimento delpetrolio sfruttabile, quanto sulla data in cuiquesto avverrà, più o meno vicina secondole stime “pessimiste” o “ottimiste”, nonchésulla rapidità, le modalità e i rischi del pas-saggio dal petrolio ad un altro paradigmaenergetico. La questione tocca un complesso di proble-mi economici e politici, dallo sviluppo deipaesi terzi alle relazioni tra le potenze. Ed èuna questione urgente anche prescindendodall’esaurimento delle scorte: le emissioni diCO2 tendono a causare alterazioni climati-che catastrofiche, per cui la trasformazionesi pone comunque come una necessitàentro pochi decenni.Ma l’orientamento deciso verso fonti alter-native è di là da venire, mentre la “geopoli-tica del petrolio” opera pienamente nelladirezione opposta, quella della “sicurezzaenergetica”, attraverso l’allargamento a tuttii costi dell’offerta di idrocarburi. Il “circolovizioso” è alimentato da una domanda incostante crescita, sia nei paesi maturi sia inquelli in via di sviluppo (Cina e India inprimo luogo), per i quali la diretta propor-zionalità tra consumi energetici e crescita ètuttora irrinunciabile. Mentre il gas natura-le può rappresentare una fonte “di transizio-ne”, per rendere meno traumatica l’uscitadal petrolio, le alternative “pulite” soffronoancora di problemi pari almeno alle poten-zialità. Scartato il nuclearedopo Chernobyl,solare ed eolicorisultano le fonti piùpromettenti, chepotrebbero in pro-spettiva rappresenta-re il mezzo per laproduzione di idro-geno, l’altra “grandepromessa”.Soprattutto l’aeroge-nerazione si è dimo-strata un’alternativaeffettiva (e non solouna risorsa di mar-gine) agli idrocarbu-ri. L’ipotesi più otti-mistica (resa popolare da Rifkin) vede già aportata di mano un sistema integrato in cuil’idrogeno prodotto da sole e vento, possaimmagazzinare a livello “familiare” tutto ilfabbisogno energetico, convertibile a piace-re in trasporti e in energia elettrica (le autofunzionerebbero da mini centrali); la gestio-ne informatica garantirebbe l’efficienza diquesta rete “dal basso”. In realtà i limiti tec-nici ed economici di vento sole e idrogeno

sono lungi dall’essere superati. Per limitarsia pochi esempi, le centrali a sole e ventorichiedono, per via della loro “intermitten-za”, margini di capacità produttiva moltopiù ampi delle centrali a carbone, mentrel’immagazzinamento dell’idrogeno è pro-blematico e costoso. L’alternativa “tradizio-

nale” consiste nellapurificazione delcarbone, che nelimiterebbe l’impat-to ambientale.Anche qui esistonolimiti economici etecnici (lo stoccag-gio della CO2“depurata”), mentreil problemaambientale vienesolamente spostato.Tutto ciò ritardal’orientamento forteverso le fonti rinno-vabili, contribuen-do ad alimentare ildivario tra tempi,

necessità e fabbisogno.Si è davanti dunque ad un’equazione amolte incognite: la crescita esponenzialedella domanda di energia; l’avvicinamentodel picco produttivo del petrolio, comun-que dominato per quote crescenti da paesi“geopoliticamente” insicuri; l’aumentoesponenziale dei costi di gestione ambienta-le; le difficoltà e i limiti intrinseci dellefonti rinnovabili. Aggrava la situazione, spe-

cie negli Usa, l’abbandono delle politiche dirisparmio, che invece sono utilissime peralleggerire la domanda di idrocarburi e rag-giungere alti standard di efficienza. In termini economici il passaggio ad unaltro paradigma energetico è ancor piùcomplesso: mentre i precedenti salti (dalegna a carbone, da carbone a petrolio)erano stimolati e richiesti da potenti stimolieconomici (esaurimento scorte, ecc.), cheacceleravano la ricerca di soluzioni tecnolo-giche e dimensioni produttive in grado diabbattere i costi, la scelta di risorse rinnova-bili o comunque alternative ai combustibilifossili pone troppe incognite rispetto agliinvestimenti necessari. I mercati, il cuiruolo nella trasformazione resta indispensa-

bile, tendono all’inerzia, ovvero a puntaresui combustibili fossili (petrolio e gas inoccidente, carbone in Asia). Per una svoltaoccorre promuovere l’”internalizzazione” diquei costi, come la salute, la sicurezza, larovina ambientale, che le imprese e i consu-matori non considerano. Nella forma dellacarbon tax, o in quella delle quote commer-ciabili di emissioni (modello Kyoto), similipolitiche spingerebbero verso la trasforma-zione del sistema, senza troppi strappi e convantaggi anche economici diffusi. Si apri-rebbe la strada ad una transizione “guidata”,con minori traumi, all’era post petrolifera.Solo così sarebbe possibile promuovere(finanziandolo) anche nei paesi terzi unosviluppo basato su risorse energetiche menopericolose.Attualmente l’Europa è all’avanguardia delprocesso: decenni di dipendenza petroliferala portano a sostenere più di altri risparmioe fonti alternative, di cui hanno il primatotecnologico; di particolare valore è l’esem-pio tedesco, dove si è impostata una politicaalternativa “spinta” che entro il 2010 assicu-rerà 1/7 del fabbisogno da sole e vento. GliUsa, d’altra parte, sono incamminati su unadirezione del tutto opposta: la ricerca dialternative al petrolio è vista comunquecome minaccia al proprio ruolo mondiale, ela politica energetica è basata sull’allarga-mento spasmodico dell’offerta e sul soste-gno lobbistico a tutti i produttori, mentrenessun incentivo alla riduzione dei consu-mi. Con Bush, anche per una totale insensi-bilità dei consumatori americani, si è tocca-to il punto più basso della parabola. Ma lapolitica dell’offerta ha il fiato corto: il siste-ma potrebbe crollare ben prima di metàsecolo. La conclusione è che anche le alter-native più promettenti hanno chance di riu-scita solo se adottate tempestivamente, conuna forte spinta pubblica che orienti i mer-cati e sulla base di un’intensa collaborazioneinternazionale. Il contrario delle attualicondizioni economiche e geopolitiche, allequali il declino del petrolio aggiunge uncarico ulteriore di confusione e rischio. E’molto improbabile, insomma, che quelladell’Iraq sia stata l’ultima “guerra del petro-lio”.

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I

Un mondo pericoloso

L’economia del petrolioa un punto critico

Roberto Monicchia

Le conseguenzeeconomichee geopolitichedell’imminenteesaurimentodell’oro neroe del suo paradigmaenergetico

12 c u l t u r amaggio 2005

l giornale è la preghiera del-l’uomo moderno” ha scritto ilfilosofo tedesco FriedrichHegel. Sono passati più di due

secoli e, almeno a guardare le statistiche,sembra che in Italia siano davvero pochi gliuomini moderni e in Umbria ancora meno.Oppure che, essendo in tutte altre faccendeaffaccendati, disdegnino la pratica di questotipo di preghiera. Tante le occasioni quoti-diane per riflettere sulle cause di questadisaffezione per la stampa nel nostro Paese.Una ce la offre un utile manuale dal titoloAv’anti un’altro, uscito da poco dalla tipo-grafia (non siamo riusciti a trovare la data distampa) a firma di Sandro Petrollini, diret-tore dell’edizione umbra de “il Messaggero”.Ma prima di prendere in esame il manualecrediamo non sia superfluo dare un’occhiataad alcuni dati comparativi che caratterizza-no il panorama della stampa mondiale.Secondo i dati pubblicati nel 2003 dalWan, il World Association of Newpapers,nel rapporto periodico sullo stato di salute ele tendenze della stampa mondiale, l’Italiaoccupa le zone basse della classifica conappena 118 copie ogni mille abitanti.Molto più devoti in Norvegia dove 705 abi-tanti su mille acquistano ogni mattina ungiornale. Segue il Giappone con 653, laFinlandia con 532, la Svezia con 509. Neipaesi europei la statistica ci dice che inInghilterra le copie diffuse sono 402, inAustria 365, in Danimarca 334, inGermania 333 e in Olanda 328, in Belgio204 e in Francia 164. Tra i 25 paesi chefanno parte dell’Unione europea l’Italiaricopre il ventunesimo posto della classificaprecedendo la Polonia (116 copie), Cipro(93), Portogallo (83) e Grecia (71). I motiviche spingono a livelli così bassi di diffusio-ne dei quotidiani nel nostro Paese, classifi-cato tra i primi dieci paesi più sviluppati nelmondo, sono complessi e molteplici. Tra iprincipali possiamo elencare: lo strapoteredella televisione che assorbe la maggiorparte delle risorse pubblicitarie e tende piùa imbonire e a formare veline, cantanti ecalciatori che ad informare gli spettatori; lapoco elevata qualità dei quotidiani italianispesso giornali fotocopia; la mancanza dirisorse riservate al mondo della scuola per laconoscenza e l’uso del quotidiano; la caren-za della rete dei punti vendita. Secondol’Audipress, l’organizzazione che registra ladiffusione della stampa e le abitudini deilettori italiani, solo il 39,3 per cento dellapopolazione superiore ai 14 anni legge unquotidiano tutti i giorni. Le donne rappre-sentano il 71 per cento di coloro che nonleggono mai un quotidiano e tra coloro chenon aprono mai un giornale tendono adaumentare i più giovani e i più anziani.Rispetto ad una media nazionale del 39 percento di lettori, le regioni del Nord si collo-cano sopra la media con tassi del 55 percento registrati in Friuli ed in EmiliaRomagna. Nel Centro i tassi di lettura piùelevati si registrano in Toscana con il 51 percento della popolazione che legge abitual-mente un giornale, il Lazio con il 41 per

cento mentre l’Umbria si attesta di pocosotto la media nazionale con il 38 percento. Nel Sud la percentuale dei lettoriabituali si attesta intorno al 25 per cento. Idati dell’Audipress sottolineano come lapercentuale dei lettori sia maggiore neicapoluoghi di provincia rispetto al resto delterritorio e come la presenza di testate localifaccia da traino alla diffusione sia perchéoffrono un’informazione più capillare siaperché hanno una distribuzione migliore.Rivolgendo uno sguardo, anche superficia-le, ad una qualsiasi edicola si può notareuna sovrabbondanza di carta stampata eanche il numero delle testate quotidiane èaumentato negli ultimi anni, dimi-nuiscono invece i lettori. Aparte i dati di diffu-sione sembrache la

cartas t am-p a t aa b b i aperso lap r o p r i asfida con latelevisione esi sia adegua-ta alla sua cul-tura. Sembrache sia miopenell’osservare larealtà circostante,reticente o bugiar-da nel descriverla,compiacente o osse-quiosa nei confrontidel potere. “L’agenda dei quotidiani- ha scritto Umberto Ecosul “l’Espresso” - è fissatadalla televisione. Chiunquepuò decidere cosa andrà in prima pagina ilgiorno dopo mettendosi in mutande duran-te un’intervista (...) I quotidiani hanno giàil problema assai serio che arrivano in ritar-do rispetto ai telegiornali, e per ovviare allospiacevole inconveniente decidono di arri-vare in ritardo anche rispetto alle trasmissio-ni di varietà. L’intera comunità dei quoti-diani italiani pare aspirare soltanto a diven-tare il supplemento di ‘Sorrisi e Canzoni’”.E in una pagina del Padrone in redazione,Giorgio Bocca conferma: “La dipendenzadel giornalismo dalla Tv aumenta ognianno, la Tv non è più confinata nelle rubri-che e nelle pagine degli spettacoli ma svariadalla prima all’ultima (...). Se l’intrattenito-re televisivo Maurizio Costanzo discute nel

suo talk-show di omossessualità o di razzi-smo o di critica d’arte; se lo show-manGiuliano Ferrara dibatte sulla giustiziaingiusta, sulla Mafia, sulla droga il giornoappresso tutti i giornali parlano di questiargomenti come se li scoprissero al momen-to, come se li avessero tirati fuori dal nulla imaghi della televisione”. Insomma tutti die-tro al Grande Fratello televisivo e al suocavaliere-padrone, alla sua concezione dellanotizia legata al sensazionale, allo scoop atutti i costi. Si spacciano per scoop notizie

non controllate o consapevol-mente gonfiate e drogate purdi apparire, di essere prota-gonisti. La carta stampatainvece di notizie propinaflussi di parole così comecerte trasmissioni televi-sive propinano flussi diimmagini che frastor-nano il lettore-spetta-tore. Il risultato èquello di toglierespazio a notizievere, quello didistrarre con ilsensaz ional i -smo retorico,di offrire unababele dinotizie e diparole . A l t r amalattiacronicad e l l acarta

stampata èla irrefrenabile pro-

pensione verso il potere.Non quello degli editori e della

proprietà in genere ma quello dei poteriforti e della politica. Invece di contribuirecriticamente alla conoscenza e al funziona-mento di tutto ciò che riguarda la vita dellacollettività sono troppi i giornalisti che,spesso con eccesso di zelo, decidono di pub-blicare quintali di dichiarazioni di parla-mentari, sindaci, assessori e presidenti senzaun minimo di verifica della loro attendibi-lità e veridicità.Nei giornali di provincia la pubblicazionesenza controlli e commenti dei comunicatidegli uffici stampa è spesso una abitudineche incrina non poco il rapporto con i let-tori. Fulminante la definizione che amavaripetere Indro Montanelli: “I giornali diprovincia? Spesso succubi di potenti epotentelli locali; magari solo il direttore del-l’azienda sanitaria...” .Giornalisti incapaci o giornalisti dimezzati

come li ha definiti Giampaolo Pansa? Sta difatto che pubblicare una notizia non con-trollata o falsa riservandosi poi di smentirlaè uno dei meccanismi viziosi che fanno per-dere la credibilità dei giornali e portano alcalo delle vendite. Av’anti un’altro di Petrollini già dal titolotende a caratterizzare la sua diagnosi nellasottolineatura dei vizi della scrittura giorna-listica. Non sappiamo se il manuale sia statoadottato dalla scuola di giornalismo televisi-vo di Ponte Felcino diretta dal pio Socci masiamo convinti che la sua lettura sia consi-gliabile a tutti coloro che si pongonodomande sull’informazione ed in particola-re su quella locale. Petrollini raccoglie, tral’altro, interessanti aneddoti sulla storia delgiornalismo, una miniguida sul linguaggiomigliore da usare per la stesura di un artico-lo e una bonaria quanto parziale antologiadegli strafalcioni più divertenti pubblicatidai quotidiani umbri. La lettura del volumeoltre che utile è anche piacevole perché nonè noiosa e non ha la presunzione di insegna-re ma quella di presentare al lettore il pro-prio punto di vista. Nel risvolto di coperti-na l’autore simpaticamente scrive “Sonogradite osservazioni e segnalazioni di corbel-lerie (non volute) presenti nel libro. Chinon ci farà le pulci vuol dire che non l’haletto”. Da parte nostra ci permettiamo sol-tanto di riferire una sensazione che ci haaccompagnato nella lettura del manuale:tutto giusto, tutto condivisibile eppure cisembra manchi l’analisi delle cause princi-pali che allontanano il lettore dalla cartastampata. Abbiamo il sospetto che tra itanti motivi della crisi di vendite dei quoti-diani italiani, quella dello stile di scrittura edegli strafalcioni non sia determinante.Spiacevole sì, decisiva no. Crediamo pesimolto di più il conformismo e la compia-cenza dilaganti nelle redazioni, la ricerca delsensazionale, l’asservimento al potere, leomissioni volute, i doppi o tripli incarichidi qualche redattore, i conflitti di interessi,la scomparsa delle inchieste, la confusionetra dicerie e notizie e così via. Petrollini hadimostrato di conoscere bene quello che èmeglio non fare nel redigere un giornale.Sarebbe auspicabile che in una sua prossimafatica letteraria (o giornalistica) affrontasseanche gli altri temi, magari con nomi ecognomi. Siamo sicuri che un lavoro similesarebbe apprezzato da molti, darebbe un belcontributo al dibattito sulla stampa locale eavvicinerebbe molti lettori ai quotidiani.Un ragionamento serio, documentato eapprofondito, senza gogne o indici, un’ana-lisi comparata sui diversi modi di affrontareo di omettere le notizie. Senza retorica.Magari tenendo a mente quel sogno, perfortuna ancora oggi ricorrente in molteredazioni: le immagini finali del filmL’ultima minaccia quando HumphreyBogart, direttore di un giornale, risponde airicatti di un politico corrotto facendoglisentire attraverso il telefono il rumore dellerotative che stampano le copie con ladenuncia dello scandalo e gli grida dallacornetta: “E’ la stampa, bellezza!”.

Cause ed effetti del calo della diffusione dei quotidiani

È la stampa bellezza!Paolo Lupattelli

I“

ppare arduo, ed è sicura-mente tardivo, il tentati-vo di ricostruire lamappa della deportazio-

ne di cittadini umbri nei lager nazi-sti. La documentazione esistentesulle deportazioni dall’Italia, raccol-ta con un lavoro di oltre cin-quant’anni da Italo Tibaldi, soprav-vissuto al lager di Mauthausen-Ebensee e memoria storicadell’Aned (Associazione nazionaleex deportati politici nei lager nazi-sti) dice di luoghi di arresto, lagerdi destinazione, trasferimenti, tra-sporti, decessi e superstiti. Lamemorialistica ricorda spesso com-pagni di sofferenze e destini. Macome e perché, in quali circostanze,tanti uomini sono stati arrestati epoi deportati è compito della ricer-ca, che in questo caso deve ricorreresoprattutto alla memoria, dirlo. Ènecessario per questo rintracciareparenti, familiari, conoscenti, eintrecciare i ricordi con fatti e daticonosciuti.Oltre alla perdita dei dati, altri fat-tori, di carattere generale, concorro-no alla complessità dell’impresa.Per esempio la definizione stessadella deportazione.I primi ad essere catturati e depor-tati furono i militari dell’esercitoitaliano, rimasti senza ordini edirettive all’indomani della comu-nicazione dell’armistizio, considera-ti subito nemici, ma soprattutto“traditori” e “vigliacchi”, dall’exalleato nazista, ora esercito di occu-pazione. Si calcola che seicentomilauomini tra soldati e ufficiali sianostati deportati nei campi di concen-tramento nazisti, trasformati da pri-gionieri di guerra in IMI (Internatimilitari italiani) e poi, dall’agosto1944, costretti al lavoro forzato. Lafinalità della deportazione, oltre alla“punizione” dei traditori era finaliz-zata allo sfruttamento del lavorocoatto e al reperimento di uominiper l’esercito della Repubblica diSalò.Nel 1943, quasi contemporanea-mente cominciò anche la deporta-zione razziale (16 ottobre, granderastrellamento del ghetto di Roma)e “politica”. Migliaia di italianifurono deportati solo per apparte-nenza alla “razza ebraica”, cosìcome stabilito dalle leggi razzistedel regime fascista nel 1938; e inquesto caso si era deportati, amigliaia di chilometri di distanza,per essere uccisi, soprattutto nellecamere a gas di AuschwitzBirkenau. Intere famiglie scompar-vero in questo modo, in alcuni casiintere comunità, senza distinzionetra vecchi e bambini, uomini edonne.Nel biennio 1944-1945 si aggiunsela deportazione “politica”, conse-

guente allo sviluppo della guerra diLiberazione, che conobbe alcuni“picchi” in concomitanza con irastrellamenti nelle aree occupatedalle bande partigiane e con gliscioperi delle grandi fabbriche delnord Italia. Deportati prevalente-mente nei KZ di Mauthausen,Dachau, Buchenwald, Flossenbürge Ravensbrück, lager di sterminioattraverso il lavoro, il triangolorosso cucito sulla divisa di tela astrisce azzurre, i deportati politicierano destinati a sopravvivere soloper alcuni mesi, a causa delladurezza del lavoro, della malnutri-zione e della disciplina, oltre chedelle cattive condizioni igienico-sanitarie. I rastrellamenti del 1944-1945 col-pirono anche i cosiddetti renitentialla leva, coloro cioè che tentavanodi sfuggire all’arruolamento dellaRepubblica sociale, o semplici civi-li, talora giovanissimi, ma la lorodestinazione fu prevalentemente illavoro coatto nelle campagne enelle città tedesche, colpite daibombardamenti.Per convenzione è ormai consolida-to riservare l’uso del termine depor-tazione solo alla deportazione raz-ziale e politica, quella che concen-trò circa 40.000 italiani (di cuicirca 10.000 “ebrei”) nei lager disterminio; di essi solo una bassissi-ma percentuale (intorno al dieci percento) fece ritorno nel 1945.Questa schematica distinzione, sep-pur utile a far luce nel fenomenocomplesso della deportazione, nonrende tuttavia pienamente giustiziadella realtà dei fatti in termini disofferenze individuali e sorti subite.Non era impossibile che un Imi,con l’accusa di sabotaggio o disob-bedienza, finisse in un Kz, peresempio, o perdesse la vita ( 40.000i morti considerati tra gli Imi), siaper malattia o inedia, sia perché

fucilato da una Ss. Si può ricordarein proposito la strage diTreuenbrietzen, ove il 23 aprile1945 vennero uccisi a fucilate 127soldati italiani., tra cui un giovanedi Montefalco.Sulla deportazione umbra qualchericerca ha cominciato a gettare unpo’ di luce sull’argomento. Nel foli-gnate si deve a una ricerca scolastica(Curve nella memoria... angoli delpresente, a cura di O. Lucchi,Foligno, 2002) l’individuazione deideportati dalla montagna folignatea seguito del rastrellamento del 3febbraio 1944, insieme alla catturadell’avvocato Gabriele Crescimbenie a quella di Antonio Salcito e delfiglio Vincenzo, il 15 febbraio1944.L’area del rastrellamento era statasino a pochi giorni prima l’area d’a-zione della brigata Garibaldi, trasfe-ritasi da giorni sui piani diColfiorito. Ma i giovani AugustoBizzarri, Franco Pizzoni e FrancoSantocchia avevano pensato, incon-sapevoli del rischio, di presidiare lacascina Radicosa lasciata incustodi-ta, mentre il comandante della bri-gata, tenente Antonio Salcito, veni-va preso con suo figlio nella casa diRoviglieto dove tutta la famiglia erasfollata. Gli altri, giovani di Scopolivicini ai partigiani, il parroco diCasale don Pietro Arcangeli, il gio-vane Lino Spuntarelli, sfollato conla famiglia a Rasiglia dove fu presocon lo zio e un cugino, alcuni con-tadini di Civitella e Acqua SantoStefano. In quest’ultima frazione inparticolare, oltre ai fratelli Federici,la numerosa famiglia Salvati videdeportati tre uomini e un giovane,Gregorio, ucciso a freddo durante ilrastrellamento, colpevole solo divestire le divisa militare, mentre eraa casa in convalescenza.Di ventiquattro deportati, tutti aMauthausen e nei vari sottocampi,

e uno a Flossenbürg, solo cinquefecero ritorno.Rosario Militello, un siciliano cat-turato nel torinese, sopravvissuto diMauthausen-Ebensee, testimonenel giorno della memoria 2005 aFoligno e nel viaggio a Mauthausencon studenti e familiari, accompa-gnati dal sindaco della città ManlioMarini e dalla vicepresidentedell’Aned Umbria, signora MariaPizzoni, è legato alla città propriodall’amicizia che lo unì a FrancoNardone, uno dei giovani presi aScopoli e sopravvissuto aMauthausen.Altre due ricerche riguardano l’areadella Valtiberina, Umbertide, SanGiustino, Città di Castello e la vici-na, seppur toscana, Sansepolcro.Sono state pubblicate in due volu-mi recenti: A.Guerrini, Il giornodell’inganno, San Giustino 2004, eDeportati. Dall’Alta Valle del Tevereai lager nazisti, a cura di A.Tacchini, Città di Castello, 2005.In tali studi si ricordano i quattromorti nel lager di Mauthausen diSan Giustino e i numerosi deporta-ti nel lager di Kahla e campi limi-trofi per il lavoro coatto nelle fab-briche militari del Reich, a seguitodel rastrellamenti del maggio neicomuni sopracitati. Ma furonooltre un centinaio i deportati umbrinei lager nazisti, nati e provenientida moltissimi comuni della regione.Alcuni furono presi nel carcere diPeschiera (Vr) e deportati aDachau, in un trasporto di 1800persone circa (20 settembre 1943);altri furono catturati a Sulmona l’8ottobre 1943 e deportati a Dachaucon un trasporto di “politici”; altriancora furono presi per la loro atti-vità politica nelle fabbriche delnord dove si erano trasferiti perlavoro (Nello Buono di Spello,Luigi (??) Terenzi di Castel Ritaldi,Mario Finetti di Terni, arrestato aSesto San Giovanni, dove era tecni-co alla Breda); e altri ancora all’este-ro, dove erano emigrati, come iFioriti di Valfabbrica, TommasoFilippetti di Gualdo Tadino, LuigiGiretti di Gubbio, Sante Sbralettadi Bevagna. Si possono fare calcolie statistiche sulle loro destinazioni,sulla loro sorte, età e talora profes-sione, ma quello che ci interessasarebbe poter ricostruire le loro bio-grafie, le loro scelte, i loro destini,le loro famiglie. Ma questo è vera-mente un lavoro immane. Ancheattraverso questo articolo vogliamosollecitare l’avvio di una ricerca dimemoria che aiuti a ricostruireidentità e destini che rischiano discomparire con la scomparsa deitestimoni. Se si hanno notizie sudeportati umbri nei lager nazisti sipuò scrivere all’indirizzo [email protected].

La deportazione umbra nei lager nazisti

Tra storia e memoriaOlga Lucchi

A

13 c u l t u r amaggio 2005

25 aprileQuest’anno la ricorrenza dellaLiberazione è stata celebrata conenfasi maggiore rispetto al passato.Sarà che siamo al sessantesimoanniversario, sarà che abbiamo irevisionisti pacificatori al governo,fatto sta che è divenuta una festadell’opposizione, nonostante lapartecipazione dimessa delle auto-rità di governo. Così grandi cortei,lapidi e fiori in molte città italiane,con il momento centrale a Milano.Anche in Umbria la ricorrenza èstata celebrata con solennità.Nessuna grande manifestazione,ma settimane di iniziative promos-se dagli enti pubblici, dibattitinelle scuole, discussioni pubblichetra storici e via di seguito.Insomma, e per fortuna, comediceva Franco Fortini per ilVietnam, la “Resistenza non ciunisce, ma ci divide” e speriamocontinui a lungo a dividere, checostituisca una festa non irenica,ma di richiamo continuo alleresponsabilità di chi ha voluto laguerra, alla diversità tra chi hacombattuto da una parte e dall’al-tra, ecc. D’altro canto è giusto siacosì: nel momento in cui l’eventorientra nella melassa delle ricorren-ze, quando si trasforma in proces-so che avrebbe coinvolto tutti oche si ritiene universalmente - efalsamente - da tutti condiviso,perde qualsiasi capacità di parlare achi non l’ha vissuto, obbligo scola-stico e momenti per reduci sempremeno numerosi. Abbiamo semprediffidato delle manifestazioni uni-tarie, non ci pare il caso di smette-re proprio adesso. Ma c’è un altroelemento che vale la pena di ricor-dare di questo 25 aprile che vaoltre la passione politica che l’haattraversata quest’anno. E’ l’atten-zione sempre più forte nei con-fronti del nesso guerra-miseria-occupazione staniera, a come lavicenda, che si svolge tra il 1943ed il 1945, non riguardi solo parti-giani e fascisti, ma l’insieme degliitaliani, anche quelli che non siinteressavano di politica, e come lamaggioranza del popolo manifestiin molteplici forme la sua opposi-zione e resistenza. E’ questo il verofondamento della Repubblica al dilà dell’insistenza defeliciana neiconfronti della zona grigia o laretorica sulla “fine della patria”.

Collana i Pamphlet

Francesco Mandarini

Scrittia perderePer richiederlo:Tel. 075 5728095075 5739218e-mail: [email protected] www.crace.it

L’associazione “Filodarianna” ha organizzato,in concorso con Umbrialibri, una serie diincontri con gli autori. Il target dell’iniziativa èrappresentato soprattutto dagli studenti univer-sitari. Non a caso gli incontri si svolgono al“100dieci caffè” contiguo alla mensa universi-taria di via Pascoli. Ultimo ospite è statoStefano Benni, lo scrittore che è tra i più popo-lari collaboratori de “il manifesto” ed è partico-larmente apprezzato dai lettori più giovani.Un giovane universitario, un fan dell’autore diBar sport, ci ha inviato questa vivace cronacache volentieri pubblichiamo.

tefano Benni si fa attendere poco.Prendo posto nella sala (enorme adire il vero) del 100dieci. Stefanoarriva, sposta il tavolo e si mette di

fronte al pubblico con la pesante sedia desi-gn. Nessun filtro fra il giovane scrittore e ilsuo pubblico di lettori. Per chi non ha avutol’opportunità di conoscere Stefano Benni,partecipare alla presentazione del suo ultimoromanzo, Margherita Dolcevita, costituisceun buon modo per rifarsi. Nato a Bolognanel 1947, giornalista, pubblica dal 1976 rac-conti, romanzi e poesie. Il suo marchio difabbrica è l’invenzione linguistica, un’aura inbilico fra la realtà sognante e il surreale vero eproprio, insieme a una capacità comica epoetica innata e coltivata. I personaggi sonospesso bambini, malati o anziani (che volen-tieri indossano i panni degli aiutanti), gentead ogni modo ai margini della società: unsistema quasi irrimediabilmente marcio edecadente, un Impero da Guerre Stellarisubalpino massmediatico che ne La compa-gnia dei Celestini (1992) si chiama Gladonia,nell’escatologico Spiriti (2000) solo Impero,mentre il nostro Paese con facile ironia èribattezzato Usitalia. Stefano parla, interpellail pubblico, ma sostanzialmente espone il suopensiero. Sulle prime è una delusione. Dov’èil funambolismo linguistico dei suoi roman-zi, quella fucina di neologismi e comicità?Voglio vedere Elianto, Lupetto, Ulisse, nonun acuto intellettuale dell’età di mio padre.Lo sconforto dura poco: parla l’autore, non ilnarratore. Sospendere l’incredulità per unavolta serve a sopportare la delusione, non adassaporare il gusto del cavolo diavolo.Stefano ci confessa che all’indomani dell’u-scita prova una certa depressione post partoper ogni sua opera, e perciò, in questo caso,un disprezzo, anzi proprio un odio nei con-fronti di Margherita. Benni si mostra comeuno scrittore che sa il fatto suo, non si scher-misce dietro ad una falsa modestia, mamostra di apprezzare genuinamente i com-plimenti che gli vengono fatti. Essendo aPerugia per parlare di Margherita, è chiaroche ce ne narri la genesi. Il romanzo nascedalle ceneri di un’altra opera; gli ultimi dueanni (una gestazione da pachiderma) sonostati tormentati, e di quel primo embrionesolo alcune parti sono state giudicate degnedi assurgere alle vette delle tipografieFeltrinelli. Si dilunga sulle sue amicizie, sulvalore dei suoi rapporti con Dario Fo, FrancaRame, Goffredo Fofi, Beppe Grillo, maanche con Andrea Pazienza, Fabrizio DeAndré o la sua editor Grazia Cherchi, quelliche non ci sono più. Così i ricordi di chi sene è andato si intrecciano con la compagnia,l’intervento e il sostegno di chi è “attualmen-te vivo”. Un avverbio e un aggettivo non si

potrebbero accostare più goffamente, maBenni ci tiene a ricordare questo aneddoto:era l’unico autore comico “attualmentevivo”, secondo la ragazza che stava redigendola tesi di laurea sull’argomento.Sicuramente, una categoria da cui rifugge eche ripudia è quella del “carino”. Carino èun aggettivo che trova il suo posto nella tele-visione, nella miseria della testa di chi,sostanzialmente, non parteciperebbe mai algrande abbraccio in cui ci stavamo profon-dendo. Non che Benni abbia una mentefuori dal comune, non che la sua fantasia siauna santabarbara di fuochi d’artificio morfo-sintattici: crescendo in campagna senza cor-rente elettrica, o coltivi due o tre sinapsipoco ortodosse e regali al mondo Terra!, odiventi come Baget Bozzo. Non manca l’ana-lisi dei media: televisione in calo, web inascesa vertiginosa e libri sempre lì, a quellivello, nonostante la playstation. C’è sì un’e-ditoria prepotente, fatta di Bruno Vespa ecompagnia bella, che imperversa e toglie spa-zio a chi, pur non essendo parte di quellacompagnia, non si chiama neppure StefanoBenni: lui, grazie a noi pubblico lì presente,non ha bisogno della televisione come cassadi risonanza.Dopo una lettura di presentazione dei perso-naggi (pochi, meno di quegli eserciti di figu-re che ci deliziavano nelle trame intricatedegli anni ‘80-’90), passiamo alle domande.L’atmosfera in Margherita è quella della pri-mavera. Una ragazza chiede di confrontare laprimavera del mondo con quella dell’Italia, ese è possibile non avere una primavera nellavita. Dall’analisi scopriamo che il mondo diprimavera ne ha ben poca. Il diritto a talestagione va rimarcato, anche nella miseria deibambini del Rwanda, ma il globo è troppooccupato a fare altro; l’Italia invece ha dallasua una generazione di ragazzi veramenteanticonformista, indipendente (anche dallapolitica) e sveglia. Segue un parere sul suoamico Daniel Pennac e su Roberto Benigni.

Lodi a non finire per l’uno, e un amaro rico-noscimento di grandezza per l’altro: Benignisi è prestato ad operazioni discutibili, manon è detto che non siano solo fasi di unpercorso che lo riporterà ad essere il migliortalento che lo stivale possa offrire.Riesco ad ottenere il microfono, e faccio unadomanda ruffiana, più che altro una provo-cazione mascherata da boutade, ma mi pren-do l’applauso della folla. Chiedo come ci sisente ad essere un autore di bestseller, comeVespa o Melissa P. Gli offro così l’opportu-nità per chiarire il suo status di long seller.Uno che vende piano ma sempre, comePlatone, insomma. Distingue Melissa dall’in-setto, e si dissocia da Grisham. I best seller -spiega - li legge chi normalmente non usu-fruisce del medium libro.Chiedo anche quale sia stata l’opera che gliha dato più piacere mentre la scriveva. Cosìritorna al periodo del servizio militare, quan-do si consolava mettendo nero su bianco ibrani di Bar Sport.Veniamo congedati con un consiglio: legge-re, viaggiare, amare. Verbi che insieme al sot-tovalutato potere, devono caratterizzare laparte più importante delle nostre azioni edelle nostre idee, possibilmente dal momen-to dell’uscita da quel luogo.

Sartorio e Miròad OrvietoE. S.

La Pentecoste in Orvieto scende in macchina.La colomba si proietta verso dei santi carto-nati tra uno scoppiettio di mortaretti. Il mira-colo si compie, il piccione, controllato dalveterinario, risulta in perfette condizioni disalute: miracolo. Un miracolo che avvienesotto gli occhi di una folla attonita e stupefat-ta, totalmente presa dall’accadimento che cer-tifica, come accadeva ai fedeli del Seicento, ilcontatto tra cielo e terra. Infatti è da un cieloanch’esso di blu cartone che si precipita ilvolatile a rinnovare la discesa dello spiritosanto su Vergine e apostoli, a cui si incendia-no i pensieri grazie all’infusione di grazia. Lìper lì sembra che ci sia un po’ di confusioneteologica in quanto il Duomo vedeva leragioni della sua edificazione per il CorpusDomini, mentre la Pentecoste sarebbe cosadiversa, ma tant’è. Chi è andato ad Orvietoper assistere al rinnovarsi del miracolo, intan-to ha avuto l’opportunità di vedere la città inuna giornata di primavera che è già molto, inpiù con l’occasione c’erano due importantiofferte che decliniamo in ordine d’importan-za: dall’8 maggio al 18 luglio presso PalazzoCoelli, Il Realismo Plastico tra Sentimento edIntelletto, circa settanta opere fra cui moltiinediti del pittore romano, Giulio AristideSartorio; e poi Mirò. Le Meraviglie. Opere gra-fiche dal 1960 al 1981, in esposizione fino al12 giugno al Museo Emilio Greco-PalazzoSoliano. Del pittore italiano che è stato gran-de nei primi decenni del secolo scorso, affre-scando con un prezioso fregio il Parlamento,è stata offerta una visione indubbiamenteparziale, più intimistica che profetica, comeinvece risulta nella sua produzione piùmagniloquente - c’è una sala a lui riservatanella Gnam di Roma - con figure mitologi-che di chiara impronta simbolista e classi-cheggiante. Invece qui i lavori di maggiorpregio, nelle sale con i quadri accalcati e illu-minati un po’ a caso, risultavano i pastelli dipaesaggio equoreo, espressi con un trattoemozionante, con il colore dato a leggeri toc-chi soffici. La mostra di Mirò è una rassegnache comprende più di ottanta opere tra lito-grafie e acqueforti realizzate dall’artista catala-no dal 1928 agli anni Settanta. Organizzatacongiuntamente da Artemisia e SistemaMuseo con il patrocinio del Comune diOrvieto - Assessorati alla Cultura e alTurismo, è particolarmente significativa per-ché comprende opere tutte appartenenti adiverse collezioni private e perciò in granparte sconosciute al pubblico. Nel superbocontenitore del piano di Palazzo Soliano cheospita anche i bronzi e i disegni di E. Greco.Due iniziative che si sovrappongono senzaurtarsi, convivono bene e permettono di con-fermare che ad Orvieto la cultura prospera.Molti sono i fattori che spiegano il fenome-no, però, di fatto, gli interventi non manca-no. Comprese le discussioni sulla correttainterpretazione della Pentecoste.

14c u l t u r amaggio 2005

Benni a PerugiaMarco Sciamanna

S

Totale al 23 aprile 2005: 8680 Euro

Enrico Mantovani: 500 euro; Cinzia Spogli: 212,50 euro.

Totale al 23 maggio 2005: 9392,50 Euro

12.000 Euro per micropolis

Una tavola di Andrea pazienza

entre si apriva la settimana dellacultura in Italia, la cultura haperso a Perugia un suo importan-te esponente: Piero Dorazio.

Credo che si sia tentato invano di definire lasua arte, lo si è fatto anche in maniera contrad-dittoria. Quindi questo modesto, sentito edoveroso necrologio non sarà rivolto all’espo-nente di questo o quel movimento, bensì adun artista che ha percorso la seconda metà delnovecento da interprete di rilievo assoluto.Dalla ribalta internazionale fino al suo rifugiar-si a Todi. Qui ha trascorso, fino agli ultimi,molti giorni della sua vita, producendo ancheopere che sono state oggetto di dure critiche daparte di chi avrebbe voluto che la sua attivitàcontinuasse in quei versanti che lo avevanovisto protagonista non solo in Italia. Moltiastrattisti italiani ed europei, infatti, lo avevanoeletto come proprio padre “spirituale”. InUmbria, in particolare, al suo esempio guarda-va il gruppo di Città di Castello “Luce al mas-simo”. Nel dopoguerra, quando insieme aglientusiasmi politici anche quelli artistici ripren-devano vigore (sono di quegli anni i movimen-ti che hanno visto crescere l’arte in analogadirezione anche in Umbria) Piero Dorazio fu,poco più che ventenne, tra i fondatori del“Gruppo Forma” che rivendicava una maggio-re aderenza alle forme essenziali dell’arte.Approdò negli anni sessanta verso il “GruppoZero” e fu considerato con la sua pittura rigori-sta e minimale un precursore della tendenzaanalitica riduttiva, che inseguiva le possibilitàespressive dell’astrattismo che, già vivo dalsecondo decennio del secolo, grazie alle infinitevariazioni che spalancava, era oggetto di esal-tante interesse. Per certi versi con le sue telemonocrome con fitte trame di colore a retico-lato egli riuscì ad anticipare e influenzare anchealcuni pittori minimalisti americani.La sua fede all’informale e all’impressionismoastratto lo portarono a creare opere piene evibranti di colori puri che si fondono a intreccidi linee verticali, orizzontali e diagonali (inderoga ai dettami di Mondrian, indiscutibilenume tutelare dei pur importanti esiti successi-vi dell’astrattismo). La forza d’espressione mag-giore è data dalla potenza e dalla tensione deglielementi cromatici, ma anche dal tocco delica-to e pieno, dal gesto che coniuga la sottigliezzatenera del segno con l’arditezza degli accosta-menti cromatici. Queste scelte favorirono l’in-terpretazione erronea di chi lo vedeva come un

esponente della pittura con valenze ottiche epercettive, l’op art per intenderci. Gli va rico-nosciuto senz’altro il coraggio di rivendicare asé stesso, all’arte che perseguiva, la possibilitàdi essere marxista fuori dalle pastoie del “pen-siero unico” stalinista e zdanoviano, quandoancor giovane sostenne che si poteva essere“formalisti e marxisti” senza doversi appiattiresui dettami del realismo socialista, come altripiù disciplinati e, forse, provinciali facevano.La coerenza con le sue inclinazioni gli giovò inogni caso l’attenzione della critica europea eamericana, tanto che insegnò nell’universitàdella Pennsylvania. Al colmo della fama la suaproduzione godé di una gloria notevole,mescolandosi con i grandi maestri soprattuttoamericani e ottenendo spazi espositivi in Italiaed all’estero, perfino in Giappone. Le sue fre-quentazioni personali si chiamavano Rothko,De Koonig, Pollock. In Umbria viveva da oltretrenta anni e qui ha scelto di morire, precoce-mente, anche se la malattia lo insidiava datempo. Da più parti, le sue ultime esternazio-ni, da artista e da critico, sono state percepitecon delusione. Ripetitivo, nelle composizioni easpro nelle polemiche contro i contemporanei,seppure sempre con geniali spunti, in quantola sua intelligenza, seppure condita da atteggia-menti che taluni hanno fortemente censurato,non è mai venuta meno.

15c u l t u r amaggio 2005

Un pittorein Umbria

Enrico Sciamanna

M

ostra: sostantivo femminilederivante dal latino monstrum“prodigio, portento, presenta-zione di qualcosa di singolare e

di nuovo che si vuol far vedere e conoscere”.E la mostra titolata Prima di Burri e conBurri allestita presso la Pinacoteca di Cittàdi Castello e promossa dal Comune di Cittàdi Castello, dalla Regione dell’Umbria edalla Fondazione Albizzini è riuscita senzadubbio a centrare l’obiettivo di stupire. Ilproblema è che lo stupore è suscitato damolti aspetti, ma tutti di aspetto negativo.Primo di tutto la mancanza di un filo logi-co, di uno spessore cul-turale e di un reale lega-me con Burri. Una rac-colta di quadri che tentadi attirare visitatori piùcon i nomi degli artistiche con la qualità e larappresentatività delleopere esposte.Rilievo sottolineatoanche dagli scarsi com-menti della critica.Scrive Vittorio Sgarbinella sua rubrica Arte sul settimanale“Grazia”: “Non hanno lasciato il segno leiniziative che Città di Castello ha finoradedicato a Burri. Rispetta la regola anchequesta mostra. Fino a che punto può inte-ressare quali fossero i pittori che Burri pre-feriva o che conosceva, se non si distinguo-no quelli che realmente hanno avuto un’in-fluenza importante sulla sua arte da quelliche furono semplicemente apprezzati? Inquesta mostra di Città di Castello tuttiappaiono in modo quasi indistinto, come seBurri fosse non il punto di riferimento, maun elemento accessorio.(...)”. Rilievi non dapoco confermati anche dalle proteste espli-cite ma interessanti di qualche visitatore sullibro delle presenze della mostra. Pubblicitàambigua o ingannevole come quella apparsasu “Umbria Regione” organo della Regione

dell’Umbria che presenta la mostra comeun’antologica del Maestro tifernate.Mancanza di riduzioni sul biglietto diingresso per studenti e pensionati. Opereannunciate nei manifesti e negli inviti manon esposte come quella di Francio Bacon.Errori grossolani nel catalogo nonostante lacura poco disinteressata di una nutritaschiera di esperti: sono ben cinque le opereriprodotte che appaiono rovesciate, quelledi Willelm de Kooning, di Toti Scialoia, diJoseph Beuys, di Nuvolo e di BenNicholson. Controllare per credere.Avranno sbagliato gli allestitori o i curatori

del catalogo? Natural-mente a questi rilievi haprovveduto a dare unapronta risposta qualchesolerte responsabile del-l’assessorato alla culturasemplicemente toglien-do il libro delle presen-ze trasformatosi in librodelle critiche. La mostrastupisce anche per laricchezza di mezzi: unbudget di 213.300 euro

messi insieme dal Comune di Città diCastello (105mila), dal Gal locale (60mila),dalla Regione Umbria (40mila), dalle previ-ste vendite di biglietti e cataloghi (8mila).Una pioggia di soldi che più che un omag-gio a Burri sembra essere un omaggio aitroppi curatori e allestitori della mostra.Infine da registrare lo stupore del mondodella tipografia tifernate che pur venendosbandierato spesso e volentieri come polod’eccellenza in Europa, si è visto preferiredal Comune e dalla Regione la Silvana edi-toriale, per la stampa e la diffusione delcatalogo. Stupiti infine molti cittadini che sichiedono con preoccupata insistenza se siaquesto il modo migliore di spendere i soldiper una politica culturale che ha una rica-duta solo per coloro che l’organizzano e nonper la cultura o per il territorio.

Città di Castello

Mostrie mostre

P.L.

M

Ricordo di Piero Dorazio

Bruna Antonelli, Dodici arresti perun funerale, Perugia, Era Nuova,2005.

Il 18 febbraio 1934 muore a TerniArturo Luna, spoletino, barbieresocialista, esponente di spicco delmovimento operaio ternano fino alfascismo. Luna era stato consiglieree assessore comunale, segretariodella sezione socialista, redattoredella “Turbina” e corrispondentedell’“Avanti!”, dirigente dellaCamera del lavoro. Era stato dura-mente aggredito il 24 ottobre 1922da una squadra fascista, le conse-guenze delle percosse mineranno ilsuo fisico e lo porteranno allamorte a soli 59 anni. Il giorno suc-cessivo al decesso viene vietata l’af-fissione di un manifesto funebrefirmato gli “amici”, contempora-neamente inizia un tam tam neiquartieri popolari e nelle fabbricheper garantire una partecipazione dimassa al corteo funebre. LaQuestura anticipa l’orario del fune-

rale, ne abbrevia il percorso, cercadi evitare insomma che il funeralesi trasformi in una forma di tacitacontrapposizione al regime, un tri-buto ad un oppositore coerente.L’evento vede, invece, una grandepartecipazione di lavoratori e dicompagni del defunto. Scatta larepressione. Gli estensori del mani-festo, i dodici che compaiono neltitolo del libro, vengono arrestati,in parte ammoniti, in parte con-dannati al confino, sono operai,commercianti, impiegati e artigia-ni, con antiche militanze socialiste.I più giovani sono comunisti. Illavoro di Bruna Antonelli ne rico-struisce, sulla scorta delle schededel Casellario politico, i percorsibiografici e politici e le vicendesuccessive a quel febbraio 1934, masoprattutto attraverso - questa rico-struzione - mette in luce le diverseforme che assume la resistenza al

regime, i modi di organizzazione diun antifascismo troppo superficial-mente definito passivo. Ciò indicacome “le basi del consenso al regi-ne nella città operaia e popolaresiano tutt’altro che consistenti esolide ... Ciò non è tanto il fruttodi istanze politiche, ma di culture edi atteggiamenti stratificatisi neltempo, di sistemi di valori, diforme di organizzazione socialestrutturatesi nel tempo”.

Foligno 1952...e dintorni, Progettoa cura di Laura Cerreti, MartaGaburri, Fausto Gentili, CarlaOliva, Serena Rondoni, Foligno,Istituto statale di istruzione classi-ca: Liceo Ginnasio Federico Frezzied Istituto Magistrale BeataAngela, 2005.

E’ raro che, in una scuola mediasuperiore, un gruppo di insegnanti

cerchi di strutturare su terreni inu-suali la propria attività didattica eproporla ad un pubblico più ampiodi quello degli allievi e dei colleghi.Ancora meno abituale è che ci siponga il problema di lasciarne unatraccia che vada oltre la congiuntu-ra e l’evento. E’ quello che hannofatto un gruppo di insegnantidell’Istituto statale di istruzioneclassica di Foligno con i loro allievi.Dapprima hanno organizzato unaricerca intorno alla quale hannocostruito una mostra esposta neldicembre 2002-gennaio 2003.Oggi esce questo volume che con-tiene e riorganizza i materiali espo-sti. La scelta del 1952 come annocardine indica il tema della ricerca:cogliere gli elementi portanti dellarealtà degli anni cinquanta in unacittà dell’Umbria. Il gioco è quellodel continuo rimando tra eventinazionali e internazionali e fatti

locali. L’idea che ne viene fuori èquella di una comunità ripiegata epreoccupata, che non vede moltielementi di speranza nel futuro, incui i poveri emergono e sottolinea-no la miseria di una società prostra-ta dalla guerra e dalle distruzionimateriali provocate dalla stessa. Inquesto quadro emerge il ruolo disupplenza e di orientamento dellapolitica, non solo come momentodi gestione dell’amministrazionepubblica, ma anche come momen-to di organizzazione della societàcivile. Testimoniano il cambiamen-to, il desiderio di modernizzazione,la speranza nel futuro le sezionifinali della mostra, quelle dedicatealla vita quotidiana, ma soprattuttoagli oggetti, da cui emergono i mitie la realtà di una società che cercavafaticosamente di uscire da unostato di arretratezza e di bassi con-sumi. L’operazione è riuscita: bellele foto, ampia la massa di informa-zioni, nuove le notizie sulla città.Insomma un brillante lavoro didat-tico che riesce a fornire elementi diriflessione e possibili terreni diapprofondimento ad addetti e nonaddetti ai lavori.

16 libri- idee maggio 2005

Sottoscrivete per micropolisc/c 13112 ABI 1005 CAB 03001Intestato a Centro Documentazione e Ricerca c/o BNL Perugia Agenzia 1

chille Occhetto ha, nei giorni successivi alleelezioni, dichiarato a più riprese il suo inte-resse nei confronti dell’ipotesi delineata dallamaggioranza del Prc e dal suo leader maximo.

Dopo tanto cercare l’irascibile Achille sembra aver tro-vato il suo Patroclo in Fausto Bertinotti. L’idea di unariorganizzazione della sinistra dei movimenti lo allettae, del resto, dice, a suo modo, questo doveva essere la“cosa”: un’uscita teorica dalle secche del comunismonovecentesco e il rilancio di una politica di alternativa,da realizzare attraverso un’osmosi tra pezzi di societàcivile e partito. Rifondazione ha ringraziato e si èdichiarata attenta a quanto ha sostenuto l’antico segre-tario del Pci-Pds. Non crediamo si tratti di un dato dicortesia, ma che invece sia la presa d’atto di un’ ipotesiconvergente, non fosse altro per l’indeterminatezza dicontenuti e di tempi che la caratterizzano. In pillole: sitratta di costruire uno schieramento in cui umorisociali e ideologie vecchie e nuove convivano, in cui -come nel Labour party delle origini - la rappresentan-za politica sia diretta espressione delle organizzazionisociali, di spostare l’asse delle contraddizioni dal rap-porto capitale-lavoro alla galassia di bisogni e sugge-stioni che emergono dalla società civile e che trovanouna qualche espressione organizzativa (la pace, ledonne, i gay, l’ambiente, ecc.). Insomma la questioneè quella di dare rappresentanza ad istanze articolate edifferenziate, assumendole nella loro immediatezza.Sembra un processo più democratico delle confedera-zioni di partiti e movimenti, sdegnosamente bollatecome assemblaggio di ceti politici. In realtà non lo è,non fosse altro per la configurazione che hanno imovimenti nell’età contemporanea, per la loro naturacarsica, per la difficoltà a darsi forme di organizzazio-ne stabile, ma anche per la loro natura settoriale.

Insomma il movimento dei movimenti non configurané un blocco sociale né una forza politica. Va da sé chebon gré mal gré esiste il problema di una specificitàdella mediazione politica, che consenta autonomia alleforme di organizzazione sociale e gestisca il nodo dellarappresenta e del punto di vista generale che ad essapresiede. A questa obiezione se ne aggiunge un’altra,per così dire congiunturale. In un quadro come quelloche si configura da qui ad un anno, con una derivacentrista della Margherita in atto che trova ascoltoanche in settori del centrodestra, sarebbe necessario unpolo di sinistra alternativa di una qualche consistenzae di un qualche coordinamento. In che modo e in cheforma non siamo titolati a dirlo, facciano loro, maquesta è un’esigenza di un qualche rilievo, se si vuoleche la sinistra di alternativa viva istituzionalmente perluce propria, ma non per concessione altrui (Ds,Margherita e quant’altro). Sarebbe, anche, di unaqualche utilità porre al centro della discussione qual-che elemento se non di programma perlomeno sul chefare (insomma almeno sul ritiro delle truppe in Iraq sipuò imporre una soluzione unitaria e non pasticciata?)che impedisca - qualora il centrosinistra vincesse - disegnare una qualche discontinuità. Infine: sono sicuriBertinotti e Occhetto che questa scelta paghi? FinoraRifondazione è, elettoralmente e organizzativamente,al palo. Vero è che l’antico socialista che dirige il Prc èconvinto che i frutti alle elezioni politiche verranno eche il modello vincente sia quello pugliese, ma taleconvinzione ci pare abbia basi fragili, non fosse altroperché quanto è avvenuto con Vendola è destinato arestare una rara avis. Insomma il rischio è immaginarequalche altra gioiosa macchina da guerra, destinata afare la stessa fine del 1994. Alla fine il bottino sarebbecostituito da Folena e, forse, da Occhetto.

la battaglia delle idee

libri

Editore:Centro di Documentazione e Ricerche SegnoCritico Via Raffaello , 9/A - PerugiaTipografia: LitosudVia di Tor Sapienza 172 Roma

Autorizzazione del Tribunale di Perugiadel 13/11/96N.38/96 Chiuso in redazione il 23/05/2005Fotolito: Grafos PerugiaImpaginazione: Giuseppe Rossi

Direttore responsabile: Fabio MariottiniRedazione: Salvatore Lo Leggio (coordinatore)Alfreda Billi, Franco Calistri, Renato Covino,Stefano De Cenzo, Osvaldo Fressoia, PaoloLupattelli, Francesco Mandarini, Enrico Mantovani,

Roberto Monicchia, Maurizio Mori, Franco MorroneResponsabili delle redazione localiAssisi: Enrico SciamannaCittà di Castello: Mauro AlcherigiOrvieto: Stefano Corradino

PatrocloRe.Co.

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