CONTENUTI Il popolo dei 31 paesi. E qualche ospite di ... · Saltini è sempre stato un pittore...

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1 Magazine 2018 / febbraio - marzo CONTENUTI Il popolo dei 31 paesi. E qualche ospite di passaggio di M. Santacatterina SCOPE New York - Ddessin Paris marzo 2018 Marco Raugei - Queste sono... Un foglio non basta: Giuseppe Barocchi - Lia Castel - Mattia Fiordispino - Annemarie Gbindoun

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Magazine 2018 / febbraio - marzo

CONTENUTI Il popolo dei 31 paesi. E qualche ospite di passaggio di M. SantacatterinaSCOPE New York - Ddessin Paris marzo 2018Marco Raugei - Queste sono... Un foglio non basta: Giuseppe Barocchi - Lia Castel - Mattia Fiordispino - Annemarie Gbindoun

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Il popolo dei 31 paesi. E qualche ospite di passaggio di Marta Santacatterina

È una mostra volutamente affollata, quella di Andrea Saltini: opere di piccole o medie dimensioni creano dei gruppi di figure accostate per consonanza, per sintonia, per linee o dettagli che si richiamano e si cercano. Si tratta di un’umanità varia che si mescola con animali reali o fantastici memori dell’antica tradizione delle fa-vole di La Fontaine illustrate sullo scorcio dell’Ottocento nonché dei moderni fumetti in un bizzarro popolo che traspone in opera visiva un progetto nato dalla parola: perché Ritual de lo Habitual non è solo una mostra, ma un’idea complessa germogliata nella mente dell’artista fin dal 2007 e che piano piano, con pause, strappi e balzi, si è concretizzata prima in un libro e ora in una mostra. La prima tappa del viaggio che conduce spettatori e lettori in un percorso lungo “31 paesi fatali” è quindi costituita dal volume edito da Fermoeditore che riuni-

sce una serie di racconti dove i protagonisti sono gli strambi personaggi e l’atmosfera densa, surreale, a volte inquietante e altre volte poetica della Bassa Pianura Padana: quell’area geografica che si distende a ridosso del Po, dalla provincia di Reggio Emilia alle Valli di Comacchio, e in cui si concentrano paesi, località, grumi di case da cui scaturiscono quasi come dei fontanili d’acqua cristallina o torbida, a seconda dei casi, le storie narrate dall’autore. Nel testo conclusivo in cui illustra le origini del libro Andrea Saltini confessa: “rimasi folgorato da quella in-felice, breve visita, e ripromisi a me stesso che sarei tornato in quei posti, da quelle persone; con quella gente ci avrei parlato e di quei luoghi avrei scritto, delle loro maniere, della loro vita normale che lascia trasparire il mistero stesso dell’esistenza, e temo che sia proprio questo a renderli irresistibili per uno scrittore. Qualcuno doveva assolutamente raccontare tutto ciò, e quello sarei stato io”.

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D’altro canto l’autore – che è scrittore, poeta ma soprat-tutto pittore – spesso ama dichiarare: “scrivo quadri e dipingo poesie”, a testimonianza di una doppia anima sempre compresente e fusa in un’unica poetica ben de-finita, che attraverso le serie di dipinti e di disegni por-ta man mano Andrea Saltini ad approfondire la pratica della pittura e a comunicare ogni volta un pensiero ori-ginale, traendo spunto dalla realtà e ricomponendola in un sistema personalissimo, a tratti visionario, altre volte poetico, ma certo mai scontato. La seconda tappa del viaggio è costituita allora dalle opere autentiche di Sal-tini pensate per illustrare i racconti dai toni forti e mar-cati, come forte e marcato è il segno materiale delle cre-azioni: sono soprattutto tavole che lasciano trasparire, anche nelle riproduzioni stampate, le venature del legno, ma non manca qualche tela con i suoi bianchi gessosi, gli inchiostri, i pigmenti puri e qualche carta, e i rimandi alle storie sono talvolta puntuali e descrittivi, come nel caso del cagnolino di Piratello o del bacio di Libolla, al-tre volte solamente allusivi di un’atmosfera che si viene a creare grazie all’uso sapiente del linguaggio e della creatività che dilagano tra le pagine e i colpi di pennello. Quello che ne risulta è uno spaccato di umanità che dal particolare giunge al generale, rappresentando l’intero genere umano con le sue emozioni, le sue debolezze e fragilità, la sua bontà e cattiveria che si svolgono quoti-dianamente all’interno di un “rituale dell’abituale” – il titolo, per la cronaca, riprende il titolo di un album dei Jane’s Addiction del 1990 – comune a tutti e che fonda il normale vivere nei paesi della provincia padana. Realizzati in un arco di tempo ampio, e quindi documen-to di passaggi stilistici anche radicali, i lavori testimo-niano senza ombra di dubbio che Andrea Saltini ha sem-pre creduto nella pittura, e questo fin dal suo esordio, in quegli anni Novanta in cui sembrava ormai decretata la fine delle tele, delle tavole, dei pennelli, senza parlare della figura che era ambito scivolosissimo e quasi segno di un accademismo ottocentesco. Allora spopolavano altri media, si riponeva una grande fiducia nella video-arte, gli artisti ritenuti più contemporanei si prestavano a performance più o meno estreme, era in grande voga la body art e sembrava che internet dovesse fare terra bruciata su tutto ciò che era manualità, studio dei ma-estri, pratica quotidiana e disciplina. Oggi, a vent’anni di distanza, di web o net art non si sente più parlare – e francamente senza ricerche approfondite non rimane nei ricordi alcun protagonista che abbia prodotto qual-cosa di memorabile -, la videoarte ha lasciato tracce

decisamente significative, ma nelle fiere e nelle biennali ormai compare di rado, gli artisti – forse per una globale tendenza salutistica – non mettono più a repentaglio il loro corpo con pratiche pericolose. Rimangono vive la performance e l’installazione: la prima, in forme spesso depurate da certi eccessi, è ancora in grado di comu-nicare in particolare messaggi d’ambito sociale, l’altra occupa spazi chiusi o all’aperto relazionandosi spesso con essi in un legame coinvolgente, significativo e di grande impatto.Di contro, è tornata a splendere la pittura, e con essa la figura. Sempre più artisti riprendono in mano gli stru-menti tradizionali del lavoro e assumono la realtà come fonte di ispirazione primaria con cui esprimersi. Ovvia-mente con nuovi stili, con nuovi materiali, con nuovi messaggi ma le riflessioni e le meditazioni si esprimono sempre più di frequente con i mezzi millenari messi a punto dall’uomo per fare arte. E se per tanti pittori la figura e la natura sono tornati al centro delle opere – complice forse una crisi epoca-le che ha costretto a concentrare le attenzioni, a non disperdere le energie e i mezzi tecnici – per Andrea Saltini figura e natura sono sempre stati il centro e la periferia della propria opera, anche quando (ancora un volta) questa scelta era decisamente, coraggiosamente

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e radicalmente controcorrente. Conoscere un artista da tanti anni vuol dire – banalmen-te – vederlo crescere, ma anche comprendere se il suo metodo di lavoro è costante o mutevole a seconda delle occasioni: oltre alle scelte di cui si è appena parlato, Saltini è sempre stato un pittore studioso, e tutto ciò con il passare del tempo è diventato la sua forza: Andrea studia storia dell’arte, fa esercizio quotidiano di scrittu-ra, è sempre aggiornato sulla cronaca di settore, ha una biblioteca ricchissima con libri di pregio, romanzi, enci-clopedie, testi introvabili, oggetti da Wunderkammern. Sfoglia, consulta, usa decine di riviste e ne conosce la linea editoriale, ne critica i contenuti, sa quanto vale monetariamente una pagina di pubblicità su un maga-zine di arte. È un artista estremamente consapevole del mondo contemporaneo e questa consapevolezza trapela con una forza non comune dalle sue opere, ognuna delle quali non è – e non è mai stata – semplice esercizio di buon disegno e di padronanza della tecnica pittorica ma è il racconto di una storia, o il trampolino di lancio per una narrazione inventata. Di nuovo è opportuno citare la doppia anima dell’artista, perché proprio in questa pre-dilezione si nasconde ancora una volta la propensione al racconto e al narrare storie. Proprio in base a questa sua caratteristica Saltini ha potuto illustrare i 31 pa-esi protagonisti di Ritual de lo Habitual, creando nello spettatore/lettore una continua sorpresa che giunge nei punti più forti fino allo sbigottimento.C’è un’altra caratteristica che non manca mai: Andrea Saltini non si risparmia. Ecco allora che la mostra al-lestita presso Rizomi Art Brut consta di ulteriori due tappe, la terza e la quarta.Chi passa davanti alla vetrina della galleria può infat-ti incantarsi davanti all’opera La festa che con le sue grandi dimensioni non passa sicuramente inosservata. La tela fa parte della serie The Razors Edge, recente protagonista di una mostra tenutasi a Milano e anche gli osservatori meno esperti riconosceranno riprese di-rette di autentici miti della pittura di tutti i secoli: tra una folla stupefatta di individui anonimi con lo sguardo rivolto al cielo, dove ogni volto assume nuovo significato accanto a quelli che gli stanno attorno, compaiono in-fatti La Gioconda e La dama con l’ermellino, La ragazza con l’orecchino di perla, un ritratto di Vincent Van Gogh che svolazza come un lieve personaggio chagalliano. Il tratto distintivo di quella serie è appunto l’inserimento decontestualizzato di brani di opere più che celebri, non

per pedanteria o per allargare la schiera degli estima-tori che vi riconoscono dettagli conosciutissimi, ma per prestare un omaggio ai Maestri a cui Saltini ha sempre guardato. Un giorno, chiacchierando di mostre da anda-re a visitare in giro per l’Italia, Andrea mi ha ironicamen-te detto “Se vedo la mostra su Caravaggio, non troverò più il coraggio di dipingere”: ma a Caravaggio e al suo Narcisus ha di recente dedicato con una rara sensibilità un’opera. Lo splendido ragazzo si specchia sull’acqua ma invece di vedere se stesso, scorge nel riflesso un lot-tatore di sumo ispirato alla scuola xilografica Utagawa: ancora straniamento, ancora capovolgimento di senso, ancora amore verso i grandi pittori del passato, come Rembrandt e Dürer che fanno sfacciatamente capolino in due dipinti appesi in un angolo della galleria. Ultima tappa di Ritual de lo Habitual è quella che vede esposte le opere più recenti, assolutamente inedite e ideate appositamente per la mostra. Chiusa la serie The Razors Edge, i dipinti realizzati nelle ultime settimane – se ancora non si fosse capito, Andrea Saltini è un autore prolifico, inarrestabile – sono una transizione verso il futuro, e come tutti i futuri anche questo è ancora inde-finito, incerto, avvolto da una nebulosa che pian piano si dipanerà rendendo visibile il nuovo sentiero. Sono opere dalla cromia molto accesa, perché volutamente rappre-sentano una sperimentazione sia nella scelta dei colori, sia nel modo di stenderli. Secondo le parole dell’artista questi quadri si potrebbero quasi definire dei “peinture-collage” che citano il Cubismo, il Futurismo, il Dadaismo, mescolano elementi diversi e lettere, numeri, oggetti, dettagli che compongono tuttavia un insieme armonico e che come molte delle opere di Andrea Saltini si arric-chiscono ancor di più grazie al titolo: Accanto è un posto per pochi, Modena – Per Carpi, Sassuolo, Mantova si cambia, Momento 38, dove compare un Luchadore mes-sicano, combattenti poveri che esibendosi raccoglievano qualche soldo.Emerge quindi anche da quest’ultima impresa, senza ombra di dubbio, la portata e il significato delle opere di Andrea Saltini, con quel suo rifarsi ai Maestri del pas-sato pur non allontanandosi mai da una poetica origi-nalissima, con quella sua conoscenza consapevole della lettura, della filosofia, del mondo dell’arte e infine con quel narrare onirico e surreale che non smette mai di sorprendere. Del resto è l’artista stesso ad aver di re-cente dichiarato che l’arte che funziona è “quella che ti mette in una posizione diversa dalla realtà”.

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Andrea Saltini è il protagonista della prima mostra dell’anno di RIZOMI. Nonché della prima mostra di RIZO-MI interamenrte consacrata all’arte ufficiale. Tutte e 50 le illustrazioni, mixed media su tela o tavola, estratte dal libro edito da Fermo “Ritual de lo habitual” più tre opere su grande formato realizzate appositamente per l’evento. Con Andrea Saltini e Massimo Lagrotteria, RI-ZOMI, sarà a Scope - New York e poco dopo a Ddessin - Parigi, nelle settimane di Armory e Art Paris.

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23 - 25 MARZO60 RUE RICHELIEU, ATELIER RICHELIEU75002 PARIS

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Massimo LAGROTTERIA Nasce a Luserna nel 1972, oggi vive e lavora a CarpiIl suo lavoro, da sempre incentrato sullo studio della figura, comincia ad assumere le caratteristiche attuali dal 2007. E’ un periodo di grande sperimentazione. I supporti si alternano, la tela viene resa materica con un collage di carta e cartone, ferro, rame e legno vengono usati come basi. I volti e i corpi vengono isolati fisicamente e psicologicamente.Dal 2012 il suo lavoro subisce una metamorfosi. Le opere iniziano a diventare più “leggere”, le tele in questo periodo vengono preparate con smalti e acrilici prima del disegno; i soggetti sembrano quasi rassegnati a perdere la loro falsa centralità nel mondo. Con lo sguardo sempre rivolto ai grandi maestri: Freud, Dumas o Maria Lassnig cambia, in questo periodo, anche la tavolozza dei colori. Le sfumature dei grigi, gli incarnati e il bitume prendono il sopravvento tra i visi e le figure. Nel 2014 in occasione della mostra IN EXCELSIS HOMO presenta per la prima volta una scultura in cemento e ferro, preludio di un nuovo percorso artistico.

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MARCO RAUGEI “Questi sono i quadri bellissimi”

A quattro anni di distanza una nuova selezione di opere di uno degli autori più iconici dell’art brut italia-na. Un classico minore Raugei è presente in tutte le collezioni specializzate da ABCD Paris al Museum of Everything, oltre naturalmente alla Collection de l’Art brut e la Creation Franche.

Marco Raugei nasce a Firenze nel 1958 da una famiglia operaia, il primo di quattro figli. A un anno e mezzo viene già ricoverato nel reparto pediatrico dell’ospedale psichiatrico di Firenze. Fino a 19 anni frequenta diversi istituti medico-pedagogici. Dopo alcuni ricoveri inizia a frequentare la Tinaia dove all’i-nizio ha difficoltà nel concentrarsi sul lavoro: misura a grandi passi il laboratorio, parla incessantemente sotto-voce come se recitasse diverse voci di un dialogo. Col tempo scopre il suo stile: con pennarello fine riempie il foglio con un soggetto che ripete all’infinito fino ad esaurimento dello spazio. Mancino, inizia tutti i suoi disegni partendo dal margine in basso a destra per finire in alto a sinistra. I suoi temi sono il quotidiano: pacchetti di sigarette, orologi, barattoli di crema, televisioni…E’ affascianto dal ritmo e dalle ripetizioni, dal piacere del foglio che si riempie, dal seguire i percorsi e le identi-tà delle cose mentre escono dalla sua penna. Il suo lavoro, di chiara attinenza pop, è in realtà un modo di stare nel tempo. Nel 2002 per un incidente è costretto ad interrompere l’attività. Muore nel 2006 per aggravamento di un problema cardiaco.

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Un Foglio non bastaGIUSEPPE BAROCCHI / LIA CASTEL / MATTIA FIORDISPINO / ANNEMARIE GBINDOUN

Un foglio non basta continua la ricerca iniziata nel 2017 con In/carta/mi per indagare l’uso di supporti meno tradizionali. Nella produzione di Giuseppe Barocchi. Lia Castel, Mattia Fiordispino e Annemarie Gbin-doun l’uso di quaderni e agende non è esclusivo ma risponde contemporaneamente ad esigenze contrapposte di espansione e contenimento. La scrittura sulle agende esprime il bisogno di tenere traccia di azioni e pen-sieri quotidiani in un modo che ne permetta sia la liberazione sia la sicurezza di trattenerli e rinchiuderli.Si tratta di un rituale necessario e incontenibile, un alfabeto personale che si traduce in parole e forme e, pagina dopo pagina, diventa rappresentazione del mondo interiore dell’autore.

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progetto grafico: Gloria MarchiniElementi grafici: Giulia Gallolay out: Nicola Mazzeo