Moltitudine Inarrestabile

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Moltitudine Inarrestabile, di Paul Hawken

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MOLTITUDINE INARRESTABILE Come è nato il più grande movimento

al mondo e perché nessuno se ne è accorto

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Edizioni Ambiente

PAUL HAWKEN

MOLTITUDINE INARRESTABILE

Come è nato il più grande movimento al mondo e perché nessuno se ne è accorto

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Paul HawkenMOLTITUDINE INARRESTABILEcome È nato il più grande movimento al mondo

e perché nessuno se ne è accorto

realizzazione editoriale

Edizioni Ambiente srlwww.edizioniambiente.it

titolo originale

Blessed Unrest: How the Largest Movement in the World Came Into Being and why no one saw it ComingCopyright © Paul Hawken, 2007All rights reserved including the right of reproduction in whole or in part in any formThis edition published in arrangement with Viking, a member of Penguin Group (USA) Inc.

traduzione

Patrizia Zaratti

progetto grafico: GrafCo3 Milano impaginazione: Agenzia X Milano immagine di copertina: © Samuele Pellecchia/prospekt

© copyright, 2009 Edizioni Ambiente via Natale Battaglia 10, 20127 Milanotel. 02.45487277, fax 02.45487333

ISBN 978-88-96238-08-0

Le emissioni di CO2 conseguenti alla produzione di questo librosono compensate da processi di riforestazione certificati

Finito di stampare nel mese di maggio 2009presso Genesi Gruppo Editoriale – Città di Castello (Pg)

Stampato in Italia – Printed in ItalyQuesto libro è stampato su carta riciclata 100%

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sommario

La crisi economica e le nostre società al bivio:

la costruzione della sostenibilità dello sviluppo socioeconomico 9Gianfranco Bologna

1. gli inizi 27

2. benedetta irrequietezza 39

3. il lungo cammino verde 59

4. i diritti del mondo degli affari 83

5. i saggi di emerson 107

6. le popolazioni indigene 127

7. interrompiamo questo impero 159

8. immunità 187

9. il ripristino 219

appendice 247

ringraziamenti 341note 345bibliografia 357

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A Margaret Reed, fonte di tutto ciò

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la crisi economica e le nostre società al bivio:

la costruzione della sostenibilità

dello sviluppo socioeconomico

Gianfranco Bologna

un esercito pacifico che vuole cambiare rotta

Leggendo questo bel libro di Paul Hawken mi sono venute immediata-mente in mente le parole scritte nel 1974 da Aurelio Peccei (1908-1984),lo straordinario fondatore e presidente del Club di Roma: “A qualunquelivello, dall’individuo ai piccoli gruppi e comunità, dalla città alle arenenazionali e internazionali, vi sono migliaia di decisioni e di azioni checiascuno di noi può avviare o influenzare quotidianamente. Sono lieto divedere un numero sempre crescente di uomini progressisti e coraggiosinegli organi delle comunicazioni di massa, negli organismi internaziona-li, nelle chiese, nelle accademie e nelle università, nell’industria, in molticentri nevralgici della società, uomini che desiderano e intendono prepa-rare il terreno all’azione capillare del cittadino medio che, a sua volta, lipuò stimolare a fare di più. Vedo anche un immenso esercito popolareche lentamente sorge e si muove su fronti sparsi e frammentati in tutto ilmondo. È un esercito di cittadini qualunque, che ritengono che sia giun-to il momento di cambiare le cose. Sono tanti, e tanti sono i loro obietti-vi, disparati e in apparenza senza alcuna reciproca connessione. Sono ecostituiscono i movimenti per la pace e i movimenti di liberazione, i grup-pi spontanei di conservazione e di difesa ecologica, il movimento di libe-razione femminile e le associazioni per il controllo della popolazione, idifensori delle minoranze, dei diritti umani e delle libertà civili, gli apo-stoli della tecnologia dal volto umano e dell’umanizzazione del lavorostesso nella fabbrica o dovunque si svolga, i difensori del consumatore, icontestatori non violenti, gli obiettori di coscienza e una moltitudine diuomini e donne vecchi e giovani, ispirati da quello che essi ritengonoessere un nuovo bene comune, da obblighi morali più forti di qualsiasialtro dovere. Come è nella tradizione, questo esercito del popolo ha altemotivazioni e un pessimo equipaggiamento, vince le scaramucce e perde

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le battaglie, ed è destinato a essere spietatamente sopraffatto a livello stra-tegico e schiacciato dal tallone dei conservatori: ma ciò nonostante, poi-ché la storia marcia con esso, prima o poi prevarrà. Purtroppo, però, nel-le circostanze attuali sarà una vittoria assai amara, perché arriverà troppotardi per salvare l’anima e le condizioni dell’umanità. Gli eventi mondia-li vanno troppo in fretta perché una marcia lenta possa raggiungerli, e laproblematica che sta di fronte all’umanità è un mostro troppo formida-bile per attaccarlo poco alla volta, perifericamente. Questa disponibilità equesto attivismo popolare, quindi devono affilare e coordinare i propriobiettivi, devono acquistare una possente forza d’urto; devono soprattut-to diventare quella inarrestabile corrente di rinnovamento radicale dellanostra società tutta, che può essere la nostra salvezza.”1

Wangari Maathai, premio Nobel per la Pace nel 2004, ha detto nel suodiscorso di ricevimento del premio stesso: “Benché io sia la vincitrice delPremio esso è un riconoscimento al lavoro di tantissimi individui e grup-pi in ogni parte del globo. Queste persone lavorano in silenzio e spessosenza gratificazione per proteggere l’ambiente, promuovere la democra-zia, difendere i diritti umani e assicurare l’uguaglianza tra donne e uomi-ni. Facendo questo, essi piantano dei semi di pace.”I problemi che l’umanità si trova ad affrontare oggi sembrano veramentesenza precedenti e richiedono una straordinaria capacità di innovazione,di previsione, di fortissima attenzione al futuro, a partire dall’immediato,dal nostro agire quotidiano. È necessario che si formi una mentalità com-plessiva di approccio ai problemi che certamente non li affronti con lestesse modalità che continuiamo a seguire tuttora.Si tratta, purtroppo, di consapevolezze che sono ancora drammaticamen-te carenti nel mondo politico ed economico che, a tutt’oggi, continua afornire altre priorità di azione per il nostro mondo e per le nostre societàe che, invece, sono sempre più presenti in quello che Hawken definisce“il più grande movimento del mondo”. La soluzione alle tante sfide che dobbiamo affrontare nel nostro imme-diato futuro sono oggetto delle mobilitazioni, delle riflessioni e delle ana-lisi di tantissimi gruppi organizzati in tutto il pianeta e che costituisconol’oggetto di questo libro di Hawken.Oggi, in particolare, ci troviamo in una situazione molto difficile a segui-to della grave crisi finanziaria ed economica esplosa nel 2008. Questa cri-si, come tante altre che si sono già manifestate o che stanno per manife-starsi, era stata di fatto prevista dalle analisi del cosiddetto movimento.

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Questo ampio movimento ha acquisito alcune consapevolezze fondamen-tali che oggi costituiscono le basi dell’economia ecologica:1. il nostro sistema economico e produttivo è un sottosistema del piùampio sistema naturale, grazie al quale vive, e non viceversa. Considerarel’economia come il sistema principale non solo non riflette la realtà maci conduce a situazioni disastrose che possono diventare irreversibili. Inostri processi economici trasformano energia e materie prime disponi-bili in beni e servizi, liberando nei sistemi naturali rifiuti, inquinanti,entropia. Le modalità con le quali opera il nostro sistema economico eproduttivo si scontrano con le leggi biofisiche dei nostri sistemi naturalie, pertanto, non possono durare all’infinito;2. la crescita della popolazione, la crescita continua del prodotto globalelordo, la crescita continua dei consumi non possono continuare come senulla fosse. Oggi in pochi giorni il nostro sistema economico e produtti-vo “produce” l’equivalente della massa totale dei beni fisici prodotti nel-l’intero anno 1900. I limiti dei sistemi naturali non sono affatto rispetta-ti dal nostro sistema economico e produttivo. Anche se il progresso tec-nologico può cercare di ritardare il raggiungimento di soglie pericolose eirreversibili, non è però affatto in grado di arrestare il processo che con-duce ad esse, a meno che non si decida di cambiare rotta;3. non sembra ci siano più dubbi sul fatto che la stessa economia di libe-ro mercato è oggi minacciata dalla crescita. La crescita continua a essereconsiderata da tutti i leader politici e dalla stragrande maggioranza deglieconomisti come il motore fondamentale dell’economia e l’assenza di cre-scita è considerata un declino economico. Oggi invece è diventato unvero imperativo categorico riesaminare e ridefinire il concetto di crescita.Sappiamo ormai bene che la crescita economica non è più correlata a unaumento generale del benessere. Anzi, i processi di crescita provocanouno straordinario incremento dei danni sociali e ambientali che la stessadisciplina economica non ha mai considerato e che hanno raggiunto dei“costi”, anche in termini squisitamente economici, intollerabili;4. ormai non assistiamo solo a un “restringimento” delle risorse disponi-bili, quindi ad una scarsità di risorse fondamentali per i nostri sistemiproduttivi, come ad esempio il petrolio, ma, soprattutto, ci troviamo difronte a una riduzione delle capacità globali dei sistemi naturali di rige-nerare risorse rispetto ai nostri livelli di prelievo, di sopportare il nostroimpatto e di assorbire i nostri rifiuti.

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un mondo fuori controllo

Esiste una sterminata letteratura economica e sociale di grande valore,che annovera tra le sue fila anche premi Nobel per l’economia, comePaul Krugman e Joseph Stiglitz,2 relativa agli effetti di un processo diristrutturazione dell’economia mondiale basato su di un “consenso poli-tico” che si è avuto sulle scelte definite neoliberiste in campo macroe-conomico e che ha profondamente esacerbato tutti i problemi dellenostre società.Tali scelte di ristrutturazione, che sono state proposte e applicate in par-ticolare in seguito al crescente carico del debito estero dei paesi menoabbienti e soprattutto dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989 e lafine dell’Unione Sovietica, hanno visto la progressiva crescita di un siste-ma economico e finanziario privo di regole accompagnata da una straor-dinaria abdicazione della politica nell’indicarle e nel farle rispettare.Ha scritto l’economista canadese Michel Chossudovsky: “In questa retefinanziaria globale, il denaro passa a gran velocità da un paradiso fiscaleall’altro, nella forma intangibile di trasferimenti elettronici. Le attivitàaffaristiche ‘legali’ e ‘illegali’ si intrecciano sempre di più e vengono accu-mulate ingenti ricchezze private non denunciate. Favorite dai programmidi aggiustamento strutturale e dalla concomitante deregolamentazionedel sistema finanziario, le mafie hanno allargato il raggio di azione al cam-po dell’attività bancaria internazionale. In diversi paesi in via di sviluppo,i governi sono sotto l’influenza delle organizzazioni criminali. Queste sisono impadronite di numerose proprietà statali mediante programmi diprivatizzazione presentati dalla Banca Mondiale.”3

E più avanti Chossudovsky scrive: “A Sud, Est e Nord una minoranzaprivilegiata ha accumulato cospicue ricchezze a spese della più vasta mag-gioranza della popolazione. Questo nuovo ordine finanziario internazio-nale si alimenta della povertà umana e della distruzione ambientale. Essogenera l’apartheid sociale, incoraggia razzismo e conflitti etnici, lede idiritti delle donne e spesso fa precipitare le nazioni in scontri distruttivifra etnie. Inoltre queste riforme – se applicate contemporaneamente inoltre cento paesi – portano alla ‘globalizzazione della povertà’, un proces-so che riduce i mezzi di sostentamento e distrugge la società civile a Sud,Est e Nord [...] La “globalizzazione” di questa lotta è essenziale, richiedeun grado di solidarietà e internazionalismo che non ha precedenti nellastoria mondiale. Il sistema economico mondiale si nutre della divisione

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sociale fra i vari paesi e all’interno di essi. L’unità di intenti e la coordi-nazione su scala mondiale fra i diversi movimenti e gruppi sociali saran-no decisive. Ci vuole un’iniziativa comune che unisca i movimenti socia-li in tutte le principali regioni del mondo nella ricerca e nell’impegnocomuni per eliminare la povertà e conseguire una pace duratura”.

Le istituzioni create dalla conferenza di Bretton Woods,4 il Fondo Mone-tario Internazionale e la Banca Mondiale, hanno ricoperto un ruolo chia-ve in questo processo di ristrutturazione economica con i loro piani diaggiustamento strutturale che tanti danni hanno provocato allo statosociale e alla salute ambientale di tantissimi paesi del mondo.Questa impostazione economica, di forte ispirazione liberista, nasce dauna modalità di affrontare e risolvere le questioni mondiali che viene defi-nita anche “Washington Consensus”.5

I piani di aggiustamento strutturale proposti e imposti dalle istituzionifinanziarie internazionali, a fronte dei prestiti richiesti da paesi in diffi-coltà economiche, prevedono:• la svalutazione della moneta nazionale con l’obiettivo di stabilizzare intempi brevi l’economia dei paesi interessati;• la drastica riduzione dei deficit di bilancio attraverso i tagli alle spese,soprattutto quelle di interesse pubblico, e cioè istruzione, sanità e ambien-te; forti incrementi delle imposte, al fine di liberare risorse per pagare ildebito;• liberalizzazione del regime dei prezzi per favorire un maggiore sviluppodel libero mercato (determinando una conseguente e drastica limitazionedel potere di acquisto dei salari reali);• liberalizzazione del mercato del lavoro (con pericolosi azzeramenti dellenorme a tutela dei lavoratori e incremento dello sfruttamento del lavorominorile);• liberalizzazione delle importazioni ed esportazioni con l’eliminazionedelle barriere doganali di protezione dei prodotti nazionali (con conse-guente invasione di merci straniere, esposizione alla concorrenza interna-zionale delle economie deboli, stravolgimento dei consumi tradizionali,perdita di competitività dei prodotti nazionali);• completa liberalizzazione dei flussi di capitali (con invasione di capitalistranieri sotto forma di investimenti di imprese multinazionali e con iprofitti realizzati nel paese che vengono trasferiti in paradisi fiscali ocomunque all’estero, sottraendo così ricchezza all’economia nazionale);

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• passaggio di imprese pubbliche al settore privato (con acquisizione daparte di imprese straniere di parti significative dell’apparato produttivonazionale e l’impossibilità di realizzare interventi con finalità sociali attra-verso strutture pubbliche);• piena autonomia per la Banca centrale che viene svincolata dal control-lo del governo o del parlamento nazionale (con la condizione impostadagli organismi monetari e finanziari internazionali per la banca centraledi seguire politiche di stampo “liberista”).

L’impostazione culturale che sta dietro alle azioni politico-economiche diquesti ultimi decenni continua a essere basata sul concetto fondamentaleche una crescita economica, materiale e quantitativa, è la base per lo svi-luppo sociale e deve essere perseguita senza soste.Questa narrazione del mondo viene messa profondamente in discussionedalle tante proposte culturali e scientifiche, acquisite ormai da decenni,che costituiscono le basi concettuali cui si riferisce, in forme diverse e conimpostazioni differenti, il vastissimo movimento planetario oggetto diquesto volume di Paul Hawken.

dalla crescita alla sostenibilità

Credo che la base più sostanziale e robusta di tutto quello che sottostàalla cultura dell’ampio movimento planetario di cui parla Hawken sia laconsapevolezza che non è più possibile per le nostre società abbracciareun meccanismo continuo di crescita illimitata, e che questo approccioporta con sé profonde ingiustizie sociali ed economiche e ci allontana daforme di governo realmente democratiche, provocando profonde deva-stazioni alla base stessa della nostra sopravvivenza: la natura. Un numero sempre più vasto di persone, anche di autorevoli economisti,si rendono conto che non è più possibile andare avanti in questo modo.Ad esempio, l’economista Jeffrey Sachs, direttore dell’Earth Institute del-la Columbia University e special adviser del Segretario Generale delleNazioni Unite sugli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, ricorda nel suoultimo libro6 che, se le stime sulla crescita della popolazione elaboratedalle Nazioni Unite saranno rispettate, entro il 2050 il prodotto globalelordo potrebbe essere di 420.000 miliardi di dollari. La domanda che sor-ge spontanea è come sia veramente possibile che si possa continuare su

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questa strada senza creare una situazione di preoccupante collasso dellanostra civiltà rispetto alla capacità della nostra Terra di mantenerci.Nelle pagine del suo volume sullo stato stazionario, pubblicato origina-riamente nel 1977, il grande bioeconomista Herman Daly scrive: “Seb-bene molti discutano se un’ulteriore crescita demografica sia desiderabile,pochissimi mettono in discussione la desiderabilità o la possibilità diun’ulteriore crescita economica. In verità, la crescita economica è l’obiet-tivo più universalmente accettato nel mondo. Capitalisti, comunisti, fasci-sti, socialisti vogliono tutti la crescita economica e si sforzano di massi-mizzarla. Il sistema che cresce al tasso più alto è considerato il migliore.Il fascino della crescita è che su di essa si fonda la potenza della nazionee rappresenta un’alternativa alla ridistribuzione come mezzo per combat-tere la povertà. [...] Se si intendesse aiutare seriamente i poveri, si dovreb-be fronteggiare il problema morale della ridistribuzione e cessare dinasconderlo dietro la crescita globale”.7

All’inizio del 2009 la popolazione mondiale ha superato i 6,7 miliardi diabitanti. Avevamo iniziato il secolo scorso con 1,6 miliardi di abitanti e loabbiamo concluso varcando la soglia dei 6 miliardi. Immaginatevi che cosaquesta crescita abbia potuto significare per i sistemi naturali grazie ai qua-li viviamo, e quali sono stati gli impatti causati dalla continua e crescentepressione, in quantità e qualità, derivante dall’incremento dei consumi dienergia e di risorse in soli 100 anni. Il tasso di crescita della popolazionemondiale è sceso dal 2,1% del 1970 a circa l’1,2% attuale, ma l’1,2% cal-colato su una popolazione che supera i 6,7 miliardi significa un incremen-to annuale di oltre 70 milioni di esseri umani. Gli esperti demografi delleNazioni Unite ci dicono che la popolazione umana raggiungerà, con ogniprobabilità, gli 8 miliardi nel 2025 e più di 9 miliardi nel 2050. La crescita della maggioranza di questa popolazione, il 95%, avrà luogonei paesi cosiddetti in via di sviluppo e l’Africa presenta il tasso di cresci-ta superiore rispetto agli altri continenti, il 2,4% annuale. Ci si aspettache la popolazione di questo continente andrà oltre il raddoppio nel 2050,raggiungendo i 2 miliardi. Cina, India e Stati Uniti sono i paesi al mon-do con la popolazione maggiore. L’attuale popolazione indiana di 1,1miliardo dovrebbe raggiungere 1,7 miliardi nel 2050 mentre quella cine-se, oggi di 1,3 dovrebbe raggiungere gli 1,4 miliardi entro il 2050. Oggiqueste due nazioni da sole rappresentano il 37% della popolazione mon-diale. Nel 2006 la popolazione degli Stati Uniti ha raggiunto quota 300milioni e nel 2050 dovrebbe raggiungere 420 milioni di abitanti.8

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Nel 2007 la popolazione urbana ha sorpassato, per la prima volta nellanostra storia (e probabilmente si tratterà di un passaggio irreversibile),quella rurale. In poco più di mezzo secolo la popolazione mondiale urba-na è infatti passata dai 732 milioni di abitanti, presenti nel 1950 nellecittà di tutto il mondo, ai 3,15 miliardi del 2005. L’88% della crescitadella popolazione urbana che avrà luogo dal 2000 al 2030 avverrà nellecittà dei paesi in via di sviluppo.L’impatto che la continua crescita quantitativa e qualitativa della nostraspecie esercita su tutte le complesse sfere del sistema Terra è ormai davve-ro preoccupante e non fa che confermare quanto il periodo che stiamoattraversando possa essere definito, nell’ambito della geocronologia delnostro pianeta, “Antropocene”, dalla felice intuizione del premio Nobelper la chimica Paul Crutzen che ha proposto tale definizione già nel2000.9

Questa proposta è stata ormai accettata dalla comunità scientifica inter-nazionale che, proprio recentemente, ha fatto presente che il termine puòessere adottato dai geologi che, a livello internazionale, elaborano e veri-ficano la scala geologica del nostro pianeta proprio sulla base delle provesin qui acquisite che dimostrano la profonda trasformazione che la specieumana ha esercitato sulla Terra.10

Tutte le conoscenze scientifiche raccolte documentano infatti con chia-rezza che i sistemi naturali sono sottoposti a una straordinaria e profondamodificazione e distruzione dovuta alla nostra continua pressione, basatasulla crescita, materiale e quantitativa, del nostro intervento.Le preziose informazioni che provengono dai satelliti che scrutano ilnostro pianeta ci hanno consentito di elaborare vere e proprie mappe del-l’“impronta umana” sul pianeta.11 Un’impronta che ha trasformato fisica-mente le terre emerse dal 75 all’83% dell’intera loro superficie.Sempre ai primi del 2008 un team di noti scienziati esperti degli ecosi-stemi marini ha concluso un lungo e interessantissimo lavoro per tratteg-giare la mappa globale dell’impatto umano sugli ecosistemi marini.12

L’analisi indica che nessuna area marina del pianeta può definirsi noninfluenzata in qualche modo dall’intervento umano e che diversi fattoriantropogenici esercitano un forte impatto su un’ampia frazione degli eco-sistemi marini (il 41%). La comunità scientifica è impegnata in sforzi straordinari e affascinanticon l’intento di comprendere al meglio i meccanismi di funzionamentodel Sistema Terra e di analizzare il nostro ruolo: basti pensare all’Earth

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System Science Partnership (ESSP) che riunisce i quattro maggiori pro-grammi internazionali di ricerca sui vari aspetti delle scienze del SistemaTerra, tutti patrocinati dall’International Council for Science (ICSU),13

oppure agli sforzi di coordinamento delle ricerche che utilizzano i satelli-ti da telerilevamento, come il Global Earth Observing System of Systems(GEOSS), che ha recentemente elaborato un piano scientifico per il coor-dinamento di tali ricerche per i prossimi dieci anni.14

Ormai la comunità scientifica internazionale ha acquisito una massa didati imponente sul drammatico effetto che la specie umana sta provocan-do al funzionamento e alla variabilità naturale degli ecosistemi della Ter-ra. Il patrimonio di queste conoscenze costituisce una base molto impor-tante della consapevolezza dell’ampio movimento planetario di cui ci par-la Hawken. E questa consapevolezza ci induce chiaramente al cambia-mento.Nell’edizione 2008 dello State of the World del Worldwatch Institute, GaryGardner e Thomas Prugh, nel capitolo introduttivo dedicato proprio alleinnovazioni necessarie per un’economia sostenibile scrivono: “Il mondo èmolto diverso, filosoficamente e fisicamente, da quello noto ad AdamSmith, David Ricardo e agli altri economisti del XVIII secolo; diverso alpunto da rendere inutilizzabili nel XXI secolo i punti chiave dell’econo-mia convenzionale. Il rapporto dell’umanità con la natura, la compren-sione delle fonti di ricchezza e degli scopi stessi dell’economia, l’evolu-zione dei mercati, degli assetti statali e dei singoli individui come attorieconomici, tutte queste dimensioni dell’attività economica sono cambia-te talmente tanto negli ultimi 200 anni da dichiarare chiusa un’era eco-nomica e indispensabile un cambiamento.Ai tempi di Smith e Ricardo la natura era percepita come una risorsaimmensa e pressoché inesauribile: la popolazione mondiale non arrivavaal miliardo – un settimo di quella attuale – e le tecnologie estrattive eproduttive erano di gran lunga meno potenti e dannose per l’ambiente.L’impatto ambientale di una determinata società era più leggero e circo-scritto, e risorse come oceani, foreste e atmosfera sembravano pratica-mente infinite.Contemporaneamente, la percezione che l’umanità aveva di se stessa sta-va cambiando, almeno in Occidente. Le scoperte degli scienziati illumi-nisti suggerivano che l’universo operasse secondo immutabili leggi fisicheche avrebbero potuto, una volta comprese, aiutare gli esseri umani a capi-re e controllare il mondo fisico. Quando il matematico svizzero Daniel

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Bernoulli, ad esempio, elaborò i concetti chiave della fisica del volo nel1738, la strada per il dominio dei cieli era praticamente spianata. Dopoaver sofferto disperatamente, per secoli e secoli, le conseguenze di pesti-lenze, carestie, uragani e altre catastrofi naturali, la crescente sensazionedella supremazia umana – accompagnata dall’apparentemente inesauribi-le ricchezza della natura – rafforzò la convinzione che la storia dell’uma-nità potesse essere scritta in modo quasi del tutto indipendente dalla natu-ra. Anche l’economia sposò questa visione del mondo, radicalmente nuo-va, al punto che fin verso la fine del XX secolo la maggior parte dei testidi economia si preoccupava ben poco di quanto la natura potesse assor-bire i rifiuti o del ruolo preziosissimo dei ‘servizi offerti dalla natura’ ecostituiti da funzioni naturali come l’impollinazione delle colture o laregolazione climatica. Un economista, premio Nobel per l’economia neglianni Settanta, affermò che (fino a prova contraria) ‘il mondo può, inrealtà, cavarsela benissimo anche senza risorse naturali’. E per quanto cre-scita demografica e potenza tecnologica, nell’ultimo secolo, abbiano fattovenire qualche dubbio sulla limitatezza delle risorse, gli economisti han-no continuato a predire tranquillamente che sarebbero stati i segnali diprezzo dei liberi mercati a suggerire modalità produttive e di consumopiù appropriate, o che il lavoro umano avrebbe prodotto, o scoperto,alternative. La natura non avrebbe certo costituito un ostacolo al progres-so dell’umanità.”15

Lester Brown, fondatore del Worldwatch Institute e dell’Earth PolicyInstitute, che attualmente presiede, ha scritto in un suo bellissimo e pio-nieristico libro: “Una lettura attenta dei segnali indica che le pressioni suiprincipali sistemi biologici e sulle principali risorse di energia della Terrastanno aumentando. Sollecitazioni molto forti sono chiaramente percepi-bili in ciascuno dei quattro principali sistemi biologici – le zone di pescaoceaniche, i pascoli, le foreste e le terre coltivate – da cui l’umanità dipen-de per il cibo e le materie prime industriali. Se si fa eccezione per i terre-ni agricoli, sono tutti essenzialmente sistemi naturali, modificati poco onulla dall’uomo. In grandi aree del mondo, la pressione di una domandaumana crescente su questi sistemi ha raggiunto il punto in cui essa comin-cia a incidere negativamente sulle loro capacità produttive. Le discussionisulle prospettive di crescita economica a lungo termine si sono concen-trate in anni recenti sulle risorse non rinnovabili, specialmente su mine-rali o combustibili fossili. L’attenzione sulle risorse non rinnovabili è sta-

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ta rafforzata dall’assunto implicito che, poiché le risorse biologiche sonorinnovabili, non era il caso di preoccuparsene troppo. In realtà, invece, sisono andate contraendo le basi tanto delle risorse non rinnovabili quantodi quelle rinnovabili. I sistemi biologici della Terra costituiscono il fon-damento del sistema economico mondiale. Oltre al cibo, i sistemi biolo-gici forniscono praticamente tutte le materie prime all’industria, eccezionfatta per i minerali e per le sostanze sintetiche derivate dal petrolio”.16

Il deterioramento dei sistemi biologici non è un problema secondario cheinteressi soltanto agli ecologi. Il nostro sistema economico dipende daisistemi biologici della Terra. Tutto ciò che minaccia la vitalità di questisistemi biologici minaccia anche l’economia mondiale. Ogni deteriora-mento di questi sistemi rappresenta un deterioramento delle prospettivedell’umanità.La restaurazione di un rapporto stabile fra l’umanità e i sistemi naturaliche sostengono la vita umana non potrà non preoccupare gli uomini poli-tici nei prossimi anni e nei prossimi decenni. Gli adattamenti che dob-biamo oggi introdurre nei modelli di consumo, nella politica demografi-ca e nel sistema economico, se vogliamo preservare i sostegni biologicidell’economia mondiale, sono profondi; essi rappresentano una sfida mol-to impegnativa sia per l’intelligenza dell’uomo sia per la sua capacità dimodificare il proprio comportamento.Scrive ancora Brown: “Il bisogno di adattare la vita umana simultanea-mente alla capacità di rigenerazione dei sistemi biologici della Terra e ailimiti delle risorse rinnovabili richiederà una nuova etica sociale. L’essen-za di questa nuova etica è l’adeguamento: l’adeguamento del numero edelle aspirazioni degli esseri umani alle risorse e alle capacità della Terra.Questa nuova etica deve soprattutto arrestare il deterioramento del rap-porto dell’uomo con la natura. Se la civiltà, quale la conosciamo oggi,deve sopravvivere, quest’etica dell’adeguamento deve sostituire la domi-nante etica della crescita”.

Uno straordinario protagonista del dibattito sulla crescita e sulla neces-sità di avviare un’etica dell’adeguamento è stato proprio il già citato Clubdi Roma, una struttura informale nata alla fine degli anni Sessanta.Nell’aprile del 1968, un personaggio dalle straordinarie qualità intellet-tuali e umane, Aurelio Peccei, economista e dirigente industriale, riuni-sce a Roma, presso la prestigiosa Accademia dei Lincei, una trentina distudiosi di tutto il mondo.17 L’obiettivo è quello di dar vita a una sorta di

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think-tank informale, libero e indipendente, dedicato a stimolare il dibat-tito sulle complesse dinamiche e sulle interconnessioni esistenti tra i siste-mi naturali e i sistemi sociali, tecnologici ed economici creati dalla nostraspecie e sulle loro prospettive di evoluzione futura. Successivamente a questo meeting Peccei, con l’apporto di alcune figureinternazionali di spicco, come Alexander King, allora direttore scientificodell’OCSE, fonda il Club di Roma, al quale partecipano un centinaio distudiosi.Dall’anno della sua istituzione (1968), il Club di Roma è stato uno straor-dinario pioniere nel dibattito internazionale sui limiti della nostra cresci-ta economica, materiale e quantitativa, in un mondo dagli evidenti limitibiofisici; sui limiti delle nostre capacità di comprensione della grandecomplessità di problemi da noi stessi creati, e che esigono soluzione; sul-la necessità di una nuova economia che tenga conto delle risorse natura-li; sulle rivoluzioni sociali prodotte dalle grandi innovazioni tecnologichee informatiche.Tutti elementi che sono alla base dell’attenzione dell’ampio movimentooggetto di questo volume di Hawken.Nel 1972, alla vigilia della prima grande Conferenza delle Nazioni Unitesull’ambiente umano, tenutasi a Stoccolma, il Club di Roma pubblicò unapposito rapporto commissionato al System Dynamics Group del presti-gioso Massachusetts Institute of Technology (MIT), con un titolo moltochiaro: The Limits to Growth (“I limiti della crescita” che, a sottolineare laconfusione ancora esistente tra i termini “crescita” e “sviluppo”, è stato tra-dotto nell’edizione italiana con il titolo “I limiti dello sviluppo”). Il volu-me, destinato a fare epoca, presentava le analisi, le riflessioni e i risultatidi una ricerca che – impiegando per la prima volta elaboratori elettroniciper la costruzione di modelli di simulazione matematica del sistema mon-diale – cercava di comprendere le tendenze e le interazioni di un certonumero di fattori dai quali dipende la sorte delle società umane nel loroinsieme: l’aumento della popolazione, la disponibilità di cibo, le riserve ei consumi di materie prime, lo sviluppo industriale e l’inquinamento. La ricerca del MIT18 si proponeva di definire le costrizioni e i limiti fisicirelativi alla moltiplicazione del genere umano e alla sua attività materialesul nostro pianeta. Si trattava di fornire risposte concrete ad alcunedomande fondamentali per il nostro futuro: che cosa accadrà se la cresci-ta della popolazione mondiale continuerà in modo incontrollato? Qualisaranno le conseguenze ambientali se la crescita economica proseguirà al

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passo attuale? Che cosa si può fare per assicurare un’economia umanacapace di soddisfare la necessità di un benessere di base a tutti e anche dimantenersi all’interno dei limiti fisici della Terra?Le conclusioni erano le seguenti:1. nell’ipotesi che l’attuale linea di crescita continui inalterata nei cinquesettori fondamentali (popolazione, industrializzazione, inquinamento,produzione di alimenti, consumo delle risorse naturali) l’umanità è desti-nata a raggiungere i limiti naturali della crescita entro i prossimi centoanni. Il risultato più probabile sarà un improvviso e incontrollabile decli-no del livello di popolazione e del sistema industriale;2. è possibile modificare questa linea di sviluppo e determinare una con-dizione di stabilità ecologica ed economica in grado di protrarsi nel futu-ro. La condizione di equilibrio globale potrebbe corrispondere alla soddi-sfazione dei bisogni materiali degli abitanti della Terra e all’opportunitàper ciascuno di realizzare compiutamente il proprio potenziale umano;3. se l’umanità opterà per questa seconda alternativa, invece che per laprima, le probabilità di successo saranno tanto maggiori quanto più rapi-damente essa comincerà a operare in tale direzione. Il Rapporto del MIT al Club di Roma scatenò un dibattito internazionaledi enormi proporzioni. Al di là di alcune intrinseche debolezze dovute allasemplificazione dell’intero modello mondiale in una simulazione compu-terizzata ancora molto approssimativa, esso ha avuto e manterrà sempre ilmerito di aver colpito seriamente il mito culturale della crescita.Non è un caso che in quegli anni gli attacchi al Rapporto provenisseroda tutti quei fronti ideologici e politici che, come ricorda Herman Daly,non mettevano minimamente in discussione il concetto di crescita e lanostra incapacità di sorpassare i limiti dei sistemi naturali.Lo stesso Club di Roma, due anni dopo, nel 1974,19 ritenne opportunoprecisare e affinare il proprio messaggio attraverso un secondo interessan-te rapporto scientifico, curato da Mihajlo Mesarovic e Eduard Pestel, stu-diosi di analisi dei sistemi. Il documento ha il merito di valutare l’etero-geneità esistente fra le regioni socioeconomiche che compongono il mon-do e le specificità di ciascuna, tenendo conto anche delle differenze cul-turali e ambientali, dei diversi livelli di sviluppo e della distribuzione nonuniforme delle risorse naturali. Non solo, ma approfondisce il concettodi crescita, distinguendo tra crescita indifferenziata e crescita organica.Mesarovic e Pestel scrivono: “È un fatto ben noto che nelle regioni delmondo sviluppato e industrializzato i consumi materiali hanno raggiun-

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to le proporzioni di uno sperpero assurdo. In tali regioni oggi è necessa-ria una diminuzione relativa nell’uso di diverse materie prime. Invece inaltre regioni del mondo meno sviluppate deve verificarsi una sostanzialecrescita nell’uso di certi beni essenziali, per la produzione alimentare oper la produzione industriale. In queste regioni la stessa sopravvivenzadella popolazione dipende da tali crescite. Quindi le argomentazioni gene-riche ‘a favore’ o ‘contro’ la crescita sono ingenue: crescere o non crescerecostituisce una questione né ben definita né pertinente quando la si ponesenza aver definito in precedenza il luogo, il senso, il soggetto della cre-scita e lo stesso processo di crescita esaminato in se stesso”.Gli autori del rapporto ricordano che, per rendersi conto della ricchezzae della complessità del concetto di crescita, occorre risalire all’analisi deiprocessi di crescita in natura. In particolare vengono analizzati due tipidi processi: la crescita indifferenziata e la crescita organica.La prima riguarda, ad esempio, la crescita cellulare che ha luogo median-te divisione: una cellula si suddivide in due, due in quattro, quattro inotto e così via, molto rapidamente, finché ci sono milioni e miliardi dicellule. Il risultato è un mero accrescimento esponenziale del numero del-le cellule. Va precisato, anche se Mesarovic e Pestel non lo fanno presen-te, che questo è un meccanismo che in biologia è riconducibile prevalen-temente alle fasi di sviluppo dei gameti e alle formazioni tumorali, chesfuggono alle regole di autocontrollo e di apoptosi (cioè capacità di “sui-cidio” cellulare)20 che lo stato vivente della materia possiede. Nella crescita organica invece avviene un processo di differenziamento.Ciò significa che i diversi gruppi di cellule cominciano a differenziarsicome struttura e come funzione. Le cellule acquistano specificità in baseall’organo a cui appartengono, seguendo il processo evolutivo dell’orga-nismo nel suo complesso. Durante e dopo il differenziamento, il numerodelle cellule può ancora accrescersi e gli organi aumentare di grandezza;ma mentre alcuni organi crescono, altri possono ridursi. L’equilibrio rag-giunto nella crescita organica è dinamico, non statico: infatti in un orga-nismo vivente maturo le cellule che lo compongono subiscono un conti-nuo processo di rinnovamento nonché di apoptosi.Gli attuali dibattiti sulla crisi dello sviluppo mondiale si concentrano sul-la crescita come se essa fosse necessariamente di tipo indifferenziato.

Mesarovic e Pestel ritengono che non ci sia però ragione per non ipotiz-zare un’analogia con la crescita organica. In un sistema mondiale interdi-

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pendente e interconnesso, quale è il nostro, una crescita indesiderabile diuna parte qualsiasi mette in pericolo non solo quella parte, ma tutto l’in-sieme. Se il sistema mondiale riuscisse a imboccare la via della crescitaorganica, le interrelazioni organiche agirebbero come un freno contro unacrescita indifferenziata in un punto qualsiasi del sistema.Mesarovic e Pestel chiudono il loro rapporto con un appello estremamen-te importante: “Noi non siamo il mondo sviluppato; siamo oggi il mon-do sovrasviluppato. La crescita economica in un mondo in cui alcuneregioni sono sottosviluppate è fondamentalmente contraria alla crescitasociale, morale, organizzativa e scientifica dell’umanità. In questo momen-to della storia ci troviamo di fronte a una decisione terribilmente diffici-le. Per la prima volta da quando esiste l’uomo sulla Terra, gli viene chie-sto di astenersi dal fare qualcosa che sarebbe nelle sue possibilità; gli sichiede di frenare il suo progresso economico e tecnologico, o almeno didargli un orientamento diverso da prima; gli si chiede – da parte di tuttele generazioni future della Terra – di dividere la sua buona fortuna con imeno fortunati – non in uno spirito di carità, ma in uno spirito di neces-sità. Gli si chiede di preoccuparsi, oggi, della crescita organica del siste-ma mondiale totale. Può egli, in coscienza, rispondere di no?”.21

verso un futuro diverso

Ciò che stiamo sempre più comprendendo si può riassumere in alcunipunti chiave:• la documentazione scientifica sull’impatto esercitato dalla specie umanasui sistemi naturali è ormai chiara e ingente; gli effetti di questo impattopossono essere paragonati a quelli prodotti da forze geologiche e astrofi-siche che hanno avuto e hanno luogo sul nostro pianeta. Questi effettisono profondamente nocivi anche per lo stesso benessere e la stessa salu-te degli esseri umani;• è necessario e urgente mettere le nostre società su percorsi di svilupposociale ed economico che siano sostenibili nel medio e lungo periodo. Lasostenibilità, nelle dimensioni dinamiche che hanno sempre caratterizza-to la storia del nostro pianeta, la storia della vita su di esso e la storia del-le interrelazioni tra sistemi naturali e sistemi sociali (da quando la nostraspecie è apparsa ed è andata evolvendosi su questo pianeta), richiede dimantenere continuamente sane e vitali le capacità dei sistemi naturali e

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di quelli sociali di reagire ai cambiamenti. Perché ciò possa aver luogo ènecessario ridurre il flusso di utilizzo di energia e materie prime che attra-versano i metabolismi dei nostri sistemi sociali; è quindi urgente e indi-spensabile ridurre il nostro impatto sui sistemi naturali; • le soluzioni pratiche per l’applicazione di percorsi di sostenibilità nonpassano attraverso singole “ricette” o prescrizioni prefissate. Non esistonopanacee per risolvere i complessi problemi che caratterizzano le interrela-zioni esistenti nell’ambito dei sistemi socio-ecologici (Social-EcologicalSystems) che costituiscono l’oggetto della scienza della sostenibilità. Èquindi necessario proporre approcci basati sull’esperienza, sull’innovazio-ne, sull’interdisciplinarietà, sul continuo adattamento di obiettivi e indi-cazioni date rispetto a ciò che continuamente si impara facendo, ecc.22

Come affermano Donella e Dennis Meadows e Jorgen Randers nel lorobellissimo volume I nuovi limiti dello sviluppo,23 che costituisce il terzoaggiornamento dell’originale rapporto del 1972, ponendosi il tema delletransizioni verso un sistema sostenibile: “Ma in che modo, concretamen-te, ognuno di noi può affrontare questi problemi? In che modo nel mon-do può evolversi un sistema capace di risolverli? Vi è qui lo spazio per lacreatività e la capacità di scelta. Le generazioni viventi a cavallo del XXIsecolo sono chiamate non solo a riportare la loro impronta ecologica aldi sotto dei limiti della Terra, ma, insieme, a ristrutturare il proprio mon-do, interno ed esterno. Questo processo toccherà ogni ambito della vitae farà appello a ogni sorta di talento umano. Richiederà innovazioni tec-niche e imprenditoriali, così come invenzioni a livello comunitario, socia-le, politico, artistico e spirituale. [...] Il passaggio dal mondo industrialeallo stadio successivo della sua evoluzione non è una sciagura, ma unameravigliosa opportunità. Come cogliere questa opportunità, comecostruire un mondo che sia non solo sostenibile, efficiente e giusto, maanche profondamente desiderabile, è qualcosa che riguarda la capacità diguida, l’etica, l’immaginazione e il coraggio: tutte qualità che non appar-tengono ai modelli per calcolatore, ma al cuore e allo spirito umani”.

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note

1. Peccei, Aurelio, Quale futuro?, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1974.2. Vedasi, ad esempio, Stigliz, Joseph, Globalization and its Discontents, New York, W.W. Norton,2002 (trad. it. di Daria Cavallini, La globalizzazione e i suoi oppositori, Torino, Einaudi, 2002);Stigliz, Joseph, The Roaring Nineties, W.W. Norton, 2003 (trad. it. di Daria Cavallini, I ruggentianni Novanta, Einaudi, 2004); Stigliz, Joseph, Making Globalization Work, W.W. Norton, 2006(trad. it. di Daria Cavallini, La globalizzazione che funziona, Einaudi, 2006); Krugman, Paul, TheReturn of Depression Economics and the Crisis of 2008, W.W. Norton, 2008 (trad. it. di NicoloRegazzoni e Roberto Merlini, Il ritorno dell’economia della depressione e la grande crisi del 2008,Garzanti, 2009). 3. Chossudovsky, Michel, The Globalization of Poverty: Impacts of IMF and World Bank Reforms,London, Zed Books, 1997 (trad. it. di Porzia Persio, La globalizzazione della povertà, EdizioniGruppo Abele, 1998). Vedasi anche Sachs, Wolfgang (a cura di), The Development Dictionary,London, Zed Books, 1992 (edizione italiana a cura di Alberto Tarozzi, traduzione di Marco Gio-vagnoli, Dizionario dello sviluppo, Edizioni Gruppo Abele, 1998).4. La conferenza di Bretton Woods, che ebbe luogo dal 1° al 22 luglio del 1944 nell’omonimalocalità dello stato del New Hampshire negli Usa, vide la partecipazione di 730 delegati di 44nazioni e stabilì le regole concordate per le relazioni commerciali e finanziarie tra i principalipaesi del mondo. Questi accordi costituirono il primo esempio nella storia di un ordine mone-tario concordato. Il piano approvato a Bretton Woods istituì il Fondo Monetario Internazionalee la Banca Mondiale, che divennero operativi solo quando un numero sufficiente di paesi ratifi-carono l’accordo, e ciò ebbe luogo nel 1946. Nel 1947 fu istituito il GATT (General Agreementon Tariffs and Trade) che, alla conclusione del suo ultimo round i negoziati, l’Uruguay Rounddurato dal 1986 al 1994, sfociò nella costituzione della World Trade Organization, istituita nel1995.5. Il termine “Washington Consensus” è un’espressione proposta nel 1989 dall’economista JohnWilliamson e utilizzato per descrivere un insieme di direttive di politica economica destinate aipaesi che si trovino in stato di crisi economica, e che costituiscono un pacchetto di riforme “stan-dard” indicato da organizzazioni internazionali quali appunto il Fondo Monetario Internazionalee la Banca Mondiale, entrambi con sede a Washington ed entrambi fortemente influenzate dallapolitica economica statunitense. L’espressione ha poi assunto anche un significato informale, iden-tificando un insieme di politiche volte a esaltare il ruolo del libero mercato a discapito dell’inter-vento dei governi nell’economia di un paese, secondo i dettami dell’orientamento cosiddetto neo-liberista.6. Sachs, Jeffrey, Common Wealth. Economics for a Crowded Planet, London, Allen Lane PenguinBooks, 2008.7. Daly, Herman E., Steady-State Economics: the Economics of Biophysical Equilibrium and MoralGrowth, Freeman and Company, 1977 (ed. it. Lo stato stazionario. L’economia dell’equilibrio biofi-sico e della crescita morale, Firenze, Sansoni editore, 1981).8. Worldwatch Institute, Vital Signs 2007-2008, New York, W.W. Norton & Co, 2007.9. Crutzen, Paul J. e Stoermer, Eugene F., Anthropocene, IGBP Newsletter, 41, 2000; Crutzen,Paul J., 2002, “Geology of Mankind”, Nature 415; 23, 2002; Crutzen, Paul J., 2005, Benvenutinell’Antropocene!, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2005.10. Zalasiewicz J. et al., “Are we now living in the Anthropocene?”, Geological Society of AmericaToday, GSA Today, v.18, no. 2 doi:10.1130/GSATO1802A.1, 2008.11. Sanderson E.W. et al., “The human footprint and the last of the wild”, Bioscience, 52; 891-904, 2002.

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12. Halpern B.S., et al., “A Global Map of Human Impact on Marine Ecosystems”, Science; vol.319; 948-952, 2008.13. Si veda l’interessantissimo sito internet http://www.essp.org che riunisce una quantità ingentedi notizie, informazioni, documentazioni e newsletter sulle ricerche effettuate e sui dati raccoltisul Sistema Terra.14. Si vedano i siti internet http://www.earthobservations.org e http://www.epa/gov/geoss.15. Worldwatch Institute, State of the World 2008. Innovations for a Sustainable Economy, NewYork, W.W. Norton & Co., 2008 (trad. it. di Fiamma Lolli, Franco Lombini, Alessandra Loren-zoni, Liana Rimorini, Elena Simonelli, State of the World 2008, Milano, Edizioni Ambiente, 2008).16. Brown, Lester R., The Twenty Ninth Day. Accomodating human needs and numbers to the earth’sresources, New York, W.W. Norton & Co., 1978, (Il 29° giorno, Firenze, Sansoni Editore, 1980).17. Si veda, tra gli altri suoi scritti, la sua autobiografia: Peccei, Aurelio, La qualità umana, Mila-no, Arnoldo Mondadori Editore, 1976.18. Donella H. Meadows, Dennis L. Meadows, Jørgen Randers, William W. Behrens III., TheLimits to Growth, New York, Universe Books, 1972 (I limiti dello sviluppo, Milano, Mondadori,1972).19. Mesarovic, Mihajlo D. e Pestel, Eduard (a cura di), Mankind at the Turning Point, New York,E.P. Dutton, 1974 (ed. it. Strategie per sopravvivere, Arnoldo Mondadori Editore, 1974).20. Ameisen, Jean C., Le sculpture du vivant. Le suicide cellulaire ou la mort créatrice, Paris,Editions du Seuil, 1999 (trad. it. di Alessandro Serra, Al cuore della vita. Il suicidio cellulare e lamorte creatrice, Milano, Feltrinelli, 2001).21. Pestel è tornato in periodi più recenti, prima della sua scomparsa, a riflettere sulla crescitaorganica rispetto a quella indifferenziata in un altro Rapporto al Club di Roma. Cfr. Pestel, Eduard,Beyonds the Limits of Growth, New York, Universe Books, 1988 (trad. it. di Giuliana Falco Lom-bardini e Sandra Sazzini, Oltre i limiti dello sviluppo, Torino, Edizioni ISEDI, 1989).22. Vedasi l’interessantissimo inserto speciale apparso nei “Proceedings” della National Academyof Sciences statunitense, coordinato da tre noti scienziati della sostenibilità, Elinor Ostrom, Mar-co Janssen e John Anderies, e contenente otto articoli più quello introduttivo dei summenzionatiautori, dal titolo Going beyond panaceas. L’inserto è stato pubblicato nel numero dei PNAS del 25settembre 2007, vol. 104, n. 39.23. Donella H. Meadows, Dennis L. Meadows, Jørgen Randers, Limits to Growth, Chelsea GreenPublishing Company, 2004 (trad. it. di Maurizio Riccucci, I nuovi limiti dello sviluppo, Milano,Arnoldo Mondadori Editore, 2006).

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Negli ultimi quindici anni ho tenuto circa mille conferenze sull’ambientee, ogni volta, mi sono sentito come un funambolo alla ricerca dell’equili-brio perfetto. Le persone desiderano sapere cosa sta succedendo al loropianeta, ma nessuno vorrebbe mai deprimere il proprio pubblico, perquanto cupo e preoccupante sia il futuro previsto dalla scienza che studiai tassi di perdita ambientale. Tuttavia, essere ottimisti riguardo al futurorichiede delle basi convincenti per un’azione costruttiva: è impossibiledescrivere le possibilità future senza prima definire accuratamente le pro-blematiche attuali. Colmare tale divario ha sempre costituito per me unasfida e le platee, ignorando soavemente il mio turbamento intellettuale,mi hanno fornito un insolito punto di vista. Dopo ogni conferenza, unapiccola folla mi circondava per parlare, porre domande e scambiarebiglietti da visita. Generalmente, queste persone si occupavano delle tema-tiche più dibattute ai nostri giorni: cambiamenti climatici, povertà, defo-restazione, pace, risorse idriche, fame, conservazione, diritti umani. Pro-venivano dal mondo del non profit e delle organizzazioni non governati-ve, noto anche come “società civile”: si erano presi cura di fiumi e golfi,avevano insegnato ai consumatori i principi dell’agricoltura sostenibile,installato pannelli solari sulle loro abitazioni, esercitato azioni di lobbysui legislatori nazionali per contrastare l’inquinamento, lottato contropolitiche commerciali tagliate a misura d’impresa, lavorato per rendereverdi le principali metropoli e fornito un’istruzione ai bambini in mate-ria di ambiente. Semplicemente, avevano dedicato le loro esistenze a cer-care di salvaguardare la natura e a difendere diritti. Malgrado fossimonegli anni Novanta e i mezzi d’informazione ignorassero queste persone,queste occasioni mi offrivano la possibilità di ascoltare le loro preoccupa-zioni. Incontravo studenti, nonne, adolescenti, membri di tribù, uominid’affari, architetti, insegnanti, professori in pensione e genitori preoccu-pati. Dato che mi spostavo continuamente e che le organizzazioni rap-

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presentate da queste persone erano radicate nelle loro comunità, in unanno iniziai a farmi un’idea della varietà di questi gruppi e del loro nume-ro complessivo. I miei interlocutori avevano molto da dire. Erano infor-mati, ricchi d’immaginazione e di vitalità; offrivano idee, spunti e intui-zioni. In un certo senso, Moltitudine inarrestabile rappresenta la sommadi ciò che mi hanno donato.I miei nuovi amici mi davano libri e articoli, infilavano piccoli regali nelmio zaino o avanzavano proposte per imprese verdi. Un nativo america-no mi spiegò che la separazione fra ecologia e diritti umani è artificiale,che i movimenti ambientalisti e quelli per la giustizia sociale affrontanodue aspetti dello stesso, grande dilemma. I danni inflitti alla Terra rica-dono su tutte le persone e il modo in cui un uomo tratta un altro uomosi riflette sul nostro modo di trattare il pianeta. Mano a mano che le mieconferenze iniziavano a rispecchiare una maggiore consapevolezza, ilnumero e la varietà di persone che offrivano biglietti da visita crebbero.A ogni conferenza collezionavo dai cinque ai trenta biglietti da visita e,dopo una settimana o due di viaggi, tornavo a casa con qualche centinaiodi biglietti ficcati in tutte le tasche. Li disponevo sul tavolo della mia cuci-na, leggevo i nomi, guardavo i loghi, esaminavo la missione e rimanevomeravigliato dalla diversità di azioni e scopi che questi gruppi persegui-vano a favore di altri. Quindi, conservavo i biglietti in cassetti o sacchettidi carta, come ricordi di viaggio. Negli anni, avevo raccolto migliaia diquesti biglietti e, ogni volta che li guardavo, mi sorgeva spontanea la stes-sa domanda: esiste qualcuno realmente in grado di valutare il numeroenorme di gruppi e organizzazioni coinvolti in queste cause? Dapprima,si trattò di semplice curiosità, ma lentamente si trasformò nella sensazio-ne che qualcosa di molto più grande stesse nascendo, un importante movi-mento sociale che stava eludendo i radar della cultura di massa.Sempre più curioso, iniziai a contarli. Consultai i documenti governatividisponibili per i diversi paesi e, utilizzando i dati dei censimenti fiscali,valutai in circa 30.000 il numero delle organizzazioni ambientaliste spar-se per il mondo; quando poi presi in considerazione anche quelle per lagiustizia sociale e per i diritti delle popolazioni indigene il numero superòle 100.000. Successivamente, feci delle ricerche per capire se era mai esi-stito un movimento uguale a questo per dimensioni o finalità, ma nonriuscii a trovarne uno, passato o presente che fosse. Più indagavo, piùapprofondivo e più il numero continuava a salire: trovavo elenchi, indicie piccoli database specifici per settori o aree geografiche. Avevo iniziato

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un percorso che mi avrebbe portato molto più lontano di quanto avessiimmaginato. Realizzai subito che la mia valutazione iniziale di 100.000organizzazioni era sottostimata di almeno dieci volte, e attualmente cre-do che esistano più di un milione, forse anche due, di organizzazioni cheoperano per la sostenibilità ecologica e la giustizia sociale.In base alle definizioni convenzionali, questa immensa varietà di indivi-dui impegnati non costituisce un movimento. I movimenti hanno leadere ideologie. Le persone “aderiscono” ai movimenti, ne studiano i testi e siidentificano con un gruppo. Leggono le biografie del fondatore e ascol-tano i suoi discorsi, con registrazioni o dal vivo. In breve, i movimentihanno dei seguaci. Tuttavia, questo movimento non corrisponde ai model-li tradizionali. È frammentato, non organizzato e orgogliosamente indi-pendente. Nessun manifesto o dottrina, nessuna autorità che eserciti uncontrollo. Prende forma in scuole, fattorie, giungle, villaggi, aziende,deserti, aree di pesca, slum, persino negli alberghi di lusso di New York.Uno dei tratti che lo caratterizza consiste nel suo essere un movimentoumanitario globale che, timidamente, sta emergendo dal basso verso l’al-to. Una moltitudine unita da una condizione che non ha precedenti: ilpianeta ha una malattia, caratterizzata da pesante degrado ecologico erapidi cambiamenti climatici, che mette a rischio la sua esistenza. A manoa mano che calcolavo il numero delle organizzazioni, nella mia testa siaffacciò il dubbio di essere testimone della crescita di qualcosa di organi-co, se non biologico. Piuttosto che un movimento nel senso tradizionaledel termine, non potrebbe trattarsi di una risposta istintiva e collettivaalla minaccia? La sua natura frammentaria non potrebbe rispondere a esi-genze connaturate ai suoi scopi? Quali sono i meccanismi alla base delsuo funzionamento? Qual è la sua velocità di crescita? E la natura dei suoicollegamenti? Perché continua a essere ignorato? Ha una storia? Riusciràa fronteggiare con successo quelle problematiche che i governi non sonostati in grado di risolvere: energia, occupazione, conservazione, povertà eriscaldamento globale? Diventerà centralizzato o continuerà a essere fram-mentario? Si sfalderà davanti a ideologie e fondamentalismi?Ho cercato un nome per questo movimento, ma non ne esistono. Hoincontrato persone che volevano conferirgli un assetto o dargli un’orga-nizzazione, un compito difficile, si tratta del movimento più complessoche l’umanità abbia mai costituito. Molte persone esterne lo consideranoprivo di forza, ma ciò non arresta la sua crescita. Quando lo descrivo apolitici, accademici e uomini d’affari, mi rendo conto che molti credono

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già di conoscere il movimento, i suoi modi d’operare, la sua natura e lesue dimensioni approssimative. Basano le loro convinzioni sui rapportidei mezzi d’informazione su Amnesty International, Sierra Club, Oxfamo altre rispettabili istituzioni. Possono essere direttamente informati inmerito ad alcune organizzazioni più piccole e possono addirittura far par-te del consiglio direttivo di qualche piccolo gruppo. Per loro, e per altri,il movimento è piccolo, noto e circoscritto, è un tipo nuovo di volonta-riato con una manciata di attivisti fuori controllo che occasionalmentegli procurano una cattiva fama. Anche le persone all’interno del movi-mento possono sottostimarne l’ampiezza, basando il loro giudizio solosull’organizzazione a cui appartengono, anche se i network sono in gradodi comprendere solo una parte del tutto. Dopo aver trascorso anni a stu-diare il fenomeno e aver creato insieme ad alcuni colleghi un databaseglobale delle organizzazioni coinvolte, sono giunto alla seguente conclu-sione: si tratta del più grande movimento sociale in tutta la storia dell’u-manità. Nessuno conosce il suo scopo e i meccanismi del suo funziona-mento sono più misteriosi di quanto sembri.Quello che salta agli occhi è indiscutibile: aggregazioni coerenti, organi-che, autorganizzate, che riuniscono decine di milioni di persone che ope-rano per un cambiamento. Nei college, quando mi chiedono se sono otti-mista o pessimista riguardo al futuro, la mia risposta è sempre la stessa:se si guarda alla scienza che descrive ciò che sta accadendo oggi sulla Ter-ra e non si è pessimisti, vuol dire che non si è in possesso di dati corretti.Se si incontrano le persone di questo movimento senza nome e non si èottimisti, significa che non si possiede un cuore. Ciò che vedo sono per-sone normali e fuori dal comune disposte ad affrontare disperazione, pote-re e avversità incalcolabili nel tentativo di ripristinare alcune parvenze digrazia, giustizia e bellezza in questo mondo. Nella categoria “persone fuo-ri dal comune”, si distinguono l’ex presidente Bill Clinton e George W.Bush.* Mentre sto scrivendo, Bush appare in televisione, prigioniero diuna spirale di menzogne mentre tenta di tenere sotto controllo una guer-ra terrificante, provocata da una sciocca e malriposta ambizione; nellostesso tempo, la Clinton Global Iniziative (un’organizzazione non gover-nativa) in un incontro a New York ha raccolto 7,3 miliardi di dollari intre giorni per combattere riscaldamento globale, ingiustizia, intolleranza

* Il mandato di George W. Bush è scaduto il 20 gennaio 2009, ndR.

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e povertà. Quale delle due iniziative, la guerra o la pace, affronta i pro-blemi alla radice? Quale contiene passione? Quale non ferisce il mondo?Quale è aperta a nuove idee? Il poeta Adrien Rich ha scritto: “Il mio cuo-re è toccato da tutto ciò che non posso cambiare. Così tanto è statodistrutto che ho dedicato la mia sorte a coloro che, era dopo era, con per-severanza, senza poteri straordinari, ricostruiscono il mondo”.1 Nonpotrebbe esserci descrizione migliore per il pubblico che ho incontratodurante le mie conferenze.Questo è il racconto, privo di intenti celebrativi, di quello che funzionasu questo pianeta, di storie di immaginazione e convinzione, senza reso-conti disfattisti sui limiti. “Sbagliato” è un termine che si ripete e creaassuefazione; “giusto” è il punto in cui si trova il movimento. Un inse-gnamento rabbinico dice che se il mondo sta finendo e il Messia sta arri-vando, si deve prima piantare un albero e poi controllare se la storia èvera. Anche nel mondo islamico c’è un insegnamento simile, che si rivol-ge ai fedeli dicendo che se il giorno del giudizio avranno un pezzo di pal-ma in mano, lo dovranno piantare. L’ispirazione non proviene dalle lita-nie sui danni già fatti; piuttosto, si trova nella disponibilità umana a rico-struire, riparare, ricomporre, ripristinare, recuperare, reinventare e ricon-siderare. “Considerare” (con sidere) significa “con le stelle”; riconsideraresignifica riunirsi al movimento e ai cicli del cielo e della vita. Qui l’enfasiè posta sulle intenzioni degli esseri umani, dato che gli esseri umani sonofragili e imperfetti. Le persone non sempre sanno leggere e scrivere o sonoistruite. Molti individui nel mondo sono poveri e soffrono di malattiecroniche. Non sempre i poveri riescono a procurarsi il cibo giusto perun’alimentazione corretta e devono lottare per nutrire ed educare i lorofigli. Se persone con tali carichi riescono ad andare oltre le loro difficoltàquotidiane e agire con il chiaro scopo di combattere lo sfruttamento eoperare per la ricostruzione, allora si sta preparando qualcosa di veramen-te potente. Non si tratta solo di poveri, ma di persone di tutte le razze,di tutte le classi sociali e di tutti i luoghi del mondo. “Un giorno final-mente hai capito quel che dovevi fare e hai cominciato, anche se le vociintorno a te continuavano a gridare i loro cattivi consigli”.2 Questa è ladescrizione che Mary Oliver fa del passaggio da un’atteggiamento profa-no a un profondo senso di connessione con il mondo vivente.Anche se generalmente i telegiornali annunciano la morte di persone anoi estranee, milioni di uomini e donne continuano ad agire proprio innome di quegli estranei. Questo altruismo ha origini religiose, persino

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mitiche, e affonda le sue radici nell’estrema concretezza del XVIII secolo.Gli abolizionisti furono il primo gruppo a creare un movimento nazio-nale e globale per difendere i diritti di persone che non conoscevano. Finoa quel momento, nessun gruppo di cittadini aveva avanzato reclami chenon avessero a che fare con i loro stessi interessi.3 I conservatori miseroin ridicolo gli abolizionisti, allo stesso modo in cui oggi deridono libera-li, progressisti, attivisti e tutti quelli che vogliono risolvere i problemi delmondo, rendendo questi termini dispregiativi. Curare le ferite del mon-do e dei suoi abitanti non richiede santità o un partito politico, ma solobuon senso e perseveranza. Non si tratta di un’attività liberale o conser-vatrice, si tratta di un atto sacro. È un’impresa enorme che cittadini comu-ni, e non governi autonominati od oligarchie, stanno portando avanti intutto il mondo.Moltitudine inarrestabile è un’esplorazione di questo mondo, dei suoiappartenenti, dei suoi scopi e dei suoi ideali. Ne ho fatto parte per decen-ni e, di conseguenza, non posso affermare di essere come un giornalistadistaccato che esamina obiettivamente il suo soggetto. Spero che le pagineche seguono possano essere considerate l’espressione di un ascolto attento.Il sottotitolo del libro, Come è nato il più grande movimento del mondo eperché nessuno se ne è accorto, è una domanda per cui non esiste una solarisposta. Come quello di chiunque altro, il mio punto di vista si basa suconvinzioni accumulate nel tempo e su giudizi arricchiti da una rete diamici e colleghi. In ogni caso, ho scritto questo libro soprattutto per sco-prire quello che ancora non so. Parte di ciò che ho appreso riguarda unastoria antica che sta riemergendo, ciò che il poeta Gary Snyder chiamava“la grande clandestinità”, una corrente di umanità che risale al Paleolitico,e che affonda le sue radici in guaritori, sacerdotesse, filosofi, monaci, rab-bini, poeti e artisti “che parlano a nome del pianeta, delle altre specie, del-l’interdipendenza; un flusso vitale che scorre sotto, attraverso e intornoagli imperi”.4 Nello stesso tempo, ho imparato molte cose nuove. I gruppisono interconnessi, non esiste un parola che descriva esattamente la com-plessità di questa rete di relazioni.5 Internet e gli altri strumenti di comu-nicazione hanno rivoluzionato le possibilità, per i piccoli gruppi, di rag-giungere dei traguardi e di conseguenza stanno cambiando i luoghi delpotere. Sono sempre esistite reti di persone potenti, ma, fino a poco tem-po fa, non è mai stato possibile mettere in collegamento il mondo intero.Moltitudine inarrestabile descrive cosa differenzia questo movimento daiprecedenti movimenti sociali, in particolare per quanto riguarda l’ideolo-

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gia. Le organizzazioni all’interno del movimento sono nate una alla volta,generalmente senza una visione predeterminata del mondo, e si sono datei loro obiettivi prescindendo da qualunque ortodossia. Secondo alcunistorici e analisti, i movimenti esistono solo quando possiedono un nucleodi credenze ideologiche o religiose. Inoltre, non esistono nel vuoto totale:un forte leader caratterizza qualsiasi movimento e spesso ne costituisce ilfulcro intellettuale, anche dopo che è morto. Il movimento che descrivoin questo libro, come ho già detto, non si riconosce in nessun leader e, diconseguenza, rappresenta un fenomeno sociale del tutto diverso.I prossimi tre capitoli si concentrano sulle radici del movimento. Nonbasterebbero diversi libri per rendere giustizia alla sua storia, tantomenopossono bastare pochi capitoli. In America sono nati alcuni dei più impor-tanti ideali progressisti della storia: il suffragio alle donne, l’abolizioni-smo, i diritti civili, la sicurezza alimentare, ma pochi lo sanno, data lapovertà dei programmi scolastici attuali. Il mio studio riflette il punto divista di un nordamericano, perché questa è l’unica storia che posso rac-contare adeguatamente. È importante tenere presente questo elemento,in quanto la storia mondiale, vista con gli occhi della cultura occidenta-le, risulta invariabilmente alterata, malgrado tutti i tentativi di rimanereobiettivi. Esistono altre storie, quella africana e quella dei nativi america-ni, quella inglese e quella giapponese, brasiliana e mediterranea; tutteegualmente valide, e tutte con i loro particolari punti di vista. Per esem-pio, in India l’ambientalismo è un movimento per la giustizia sociale,impegnato per il diritto delle persone alla terra e ai suoi frutti. Nel 1991,Sunita Narain, direttrice del Center for Science and the Environment diNew Delhi, definì “colonialismo ambientale” il riscaldamento globale efu una dei primi a chiedere che la gestione dell’ambiente fosse basata suidiritti umani e non su convenzioni legali. Negli Stati Uniti, il movimen-to ambientalista fu ostacolato dall’accusa di anteporre i diritti degli ani-mali e delle piante a quelli delle persone. Ron Dellums, un membro afroa-mericano del Congresso proveniente da Oakland, California, domandòal Sierra Club: “So che vi interessate degli orsi neri, ma vi interessate deineri?”.6* In Germania, il movimento dei verdi è diventato un partito poli-tico organizzato e ora i suoi membri ricoprono alte cariche dello stato.Nel Sud del mondo, l’ambientalismo è un movimento di poveri, con gli

* Gioco di parole fra “black bears” e “black people”, ndT.

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agricoltori che portano avanti campagne che comprendono la riformaterriera, i diritti commerciali e l’egemonia imprenditoriale. In Inghilter-ra, durante la Rivoluzione industriale, il movimento ambientalista avviòuna serie di campagne per il servizio sanitario nazionale. In Italia, si occu-pa ad esempio delle dinamiche fra città e campagna;* in Sudafrica, l’am-bientalismo è legato indissolubilmente ai temi della giustizia sociale insitinella storia del paese.7 Il mio scopo, nel raccontare alcune storie del pas-sato, non consiste solo nel magnificare grandi personaggi come Darwin,Gandhi, Rachel Carson o Thoreau, ma nel riconoscere l’importanza dicollegamenti e coincidenze. Molto tempo fa sono stati compiuti alcunipiccoli gesti, apparentemente senza conseguenze, che, alla fine, hannocambiato il mondo: un risultato che gli autori di quelle azioni non avreb-bero mai potuto immaginare. Uno di questi avvenimenti si verificò quan-do Emerson incontrò la famiglia Jussieu a Parigi, un piccolo evento che,123 anni dopo, contribuì a dar forma al movimento per i diritti civili. Inun’epoca in cui le persone si sentono impotenti, una storia di altruismopuò dare conforto, perché rivela la forza della collaborazione e dell’u-miltà, ricordando che negli esseri umani i cambiamenti costruttivi pro-vengono dalla volontà e non dalla coercizione.I capitoli “Le popolazioni indigene” e “Interrompiamo questo impero”riguardano la globalizzazione. “Le popolazioni indigene” concerne le cul-ture indigene. Le loro terre costituiscono i più grandi santuari della vitaesistenti sulla Terra e le multinazionali, affamate di risorse, stanno com-mercializzando e distruggendo queste arche biologiche. Le culture che sisono coevolute con questi ambienti, insieme ad alcune organizzazioni nonprofit, si stanno opponendo a tale invasione, per definire responsabilità elimitare lo sviluppo incontrollato. “Interrompiamo questo impero” èincentrato sulle organizzazioni che proteggono i cittadini, i lavoratori el’ambiente dalle mostruosità del fondamentalismo del libero mercato.Gli ultimi due capitoli guardano all’intero movimento da due diversi pun-ti di vista. “Immunità” utilizza la metafora delle cellule di un organismoche si difende per descrivere l’attività collettiva del movimento. Il sistemaimmunitario costituisce il sistema più complesso del corpo umano e for-nisce un modello utile per esaminare le proprietà di questi gruppi. I ter-mini “ambiente” e “giustizia sociale” includono organizzazioni innovati-

* In italiano nel testo originale, ndT.

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ve, ricche di idee e tecniche originali, alcune delle quali vengono analiz-zate in questo capitolo, insieme alle debolezze del movimento: in qualemodo le sue molteplicità e diversità potrebbero indebolirlo quando ilmondo precipita nella violenza e nel disordine. L’ultimo capitolo, “Il ripri-stino”, descrive i principi biologici di tutte le forme di vita, compresi gliesseri umani, e utilizza tali principi come modello per avvicinare il movi-mento a un nuovo vocabolario. Secondo la definizione fondamentale del-la biologa Janine Benyus, “la vita stessa crea le condizioni che portanoalla vita”. È giusto chiedersi se questo principio si adatti a tutte le attivitàumane, dall’economia al commercio fino alle modalità di costruzione del-le nostre città. Se affidarsi alle scienze biologiche per spiegare i fenomenisociali può essere rischioso, ugualmente rischioso è presupporre che il lin-guaggio normalmente utilizzato per descrivere i movimenti sociali delpassato sia sufficiente per descrivere il movimento di cui si parla in que-sto libro. Le persone citate cercano tutte di agire per il meglio, ma que-sto libro non parla solo dell’agire per il meglio. Parla delle persone chedesiderano salvare la cellula sacra alla base dell’esistenza, l’intero pianetae tutta la sua incredibile diversità. In breve, il libro è involontariamenteottimista, cosa strana per questi tempi tristi. Non era mia intenzione, èstato l’ottimismo a trovare me.

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