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Consiglio di Stato Appalti pubblici: innovazione e razionalizzazione Le strategie di aggregazione e cooperazione europea nelle nuove Direttive Atti del Convengo Presiede: GIORGIO GIOVANNINI, Presidente del Consiglio di Stato Introducono: SERGIO SANTORO, Presidente dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture GABRIELLA M. RACCA, Professore Ordinario di Diritto Amministrativo (Università degli Studi di Torino) Tavola rotonda: CARLO COTTARELLI, Commissario straordinario per la Spending review ALBERTO ZITO, Professore Ordinario di Diritto Amministrativo (Scuola Nazionale dell’Amministrazione) GIANCARLO MONTEDORO, Consigliere del Presidente della Repubblica FRANCESCO MERLONI, Professore Ordinario di Diritto Amministrativo (Università degli Studi di Perugia) Conclude: ROBERTO CAVALLO PERIN, Professore Ordinario di Diritto Amministrativo (Università degli Studi di Torino) Pubblicati sul sito web del Consiglio di Stato al seguente link: http://www.giustizia-amministrativa.it/documentazione/ATT00053.pdf Roma, 14 maggio 2014 ore 14,30 Palazzo Spada Piazza Capo di Ferro, 13

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Consiglio di Stato

Appalti pubblici: innovazione e razionalizzazione

Le strategie di aggregazione e cooperazione europea nelle nuove Direttive

Atti del Convengo

Presiede:

GIORGIO GIOVANNINI, Presidente del

Consiglio di Stato

Introducono:

SERGIO SANTORO, Presidente dell'Autorità per

la vigilanza sui contratti pubblici di lavori,

servizi e forniture

GABRIELLA M. RACCA, Professore Ordinario

di Diritto Amministrativo (Università degli

Studi di Torino)

Tavola rotonda:

CARLO COTTARELLI, Commissario

straordinario per la Spending review

ALBERTO ZITO, Professore Ordinario di

Diritto Amministrativo (Scuola Nazionale

dell’Amministrazione)

GIANCARLO MONTEDORO, Consigliere del

Presidente della Repubblica

FRANCESCO MERLONI, Professore Ordinario

di Diritto Amministrativo (Università degli

Studi di Perugia)

Conclude:

ROBERTO CAVALLO PERIN, Professore

Ordinario di Diritto Amministrativo

(Università degli Studi di Torino)

Pubblicati sul sito web del Consiglio di Stato al seguente link:

http://www.giustizia-amministrativa.it/documentazione/ATT00053.pdf

Roma, 14 maggio 2014 – ore 14,30

Palazzo Spada – Piazza Capo di Ferro, 13

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Le nuove direttive europee sugli appalti pubblici hanno tra gli obiettivi

prioritari la semplificazione dell’attività contrattuale delle amministrazioni pubbliche e

l’aggregazione delle gare pubbliche come strumenti per accrescere le professionalità

che solo organizzazioni complesse sono in grado di sviluppare, anche a mezzo di reti

sovranazionali. L’aggregazione favorisce inoltre l’utilizzo su larga scala di nuovi

strumenti contrattuali come gli accordi quadro che aprono a differenti configurazioni,

capaci di conformare una risposta contrattuale differenziata in ragione dei caratteri dei

mercati di riferimento. Le sinergie europee fra centrali di committenza, oggi favorite

dalle nuove direttive appalti, possono rafforzare la qualità della domanda pubblica.

Uno "Smart buyer" europeo può assurgere a indirizzo di politica industriale per

un miglior uso delle risorse pubbliche, per l'innovazione nei prodotti e nei servizi,

favorendo la partecipazione delle piccole e medie imprese a mercati transnazionali,

accompagnandole verso il mercato unico europeo, per una migliore qualità delle

prestazioni a favore dei cittadini.

Il progetto HAPPI - (Healthy Ageing Public Procurement of Innovations,

http://www.happi-project.eu/), sostenuto dalla Commissione europea (DG Impresa)

nell'ambito della Call “Supporting Public Procurement of Innovative Solutions:

Networking And Financing Procurement” (ENT/CIP/11/C/N02C011) - intende

realizzare una prima concreta esperienza in collaborazione strategica tra centrali di

committenza del settore sanitario di Francia Italia, Gran Bretagna, Belgio,

Lussemburgo, Spagna, Austria aperta alla adesione degli altri Stati Membri. Si vuole

effettuare il primo acquisto aggregato a livello europeo di soluzioni innovative per

l’invecchiamento attivo e in buona salute, con analisi di mercato e suddivisione in lotti

a favore delle piccole e medie imprese innovative.

La collaborazione tra centrali di committenza europee può creare sinergie al

fine di orientare le scelte verso l’ottimale impiego delle risorse pubbliche, in favore

dell’innovazione, della sostenibilità e della concorrenza. Nuove reti di committenti

pubblici possono favorire lo scambio d’informazioni a livello europeo, promuovere gli

appalti pubblici a carattere innovativo, in linea con la strategia "Europa 2020" e

sostenere le piccole e medie imprese innovative per anticipare e orientare le

innovazioni normative sugli appalti pubblici.

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Appalti pubblici: innovazione e razionalizzazione

Le strategie di aggregazione e cooperazione europea nelle

nuove Direttive

Atti del Convengo

Roma, Palazzo Spada, 14 maggio 2014.

Relazioni a cura di:

1. Giorgio Giovannini, Presidente del Consiglio di Stato

2. Sergio Santoro, Presidente dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici

di lavori, servizi e forniture

3. Gabriella M. Racca, Professore Ordinario di Diritto Amministrativo

(Università degli Studi di Torino)

4. Carlo Cottarelli, Commissario Straordinario per la Spending Review

5. Alberto Zito, Professore Ordinario di Diritto Amministrativo (Scuola

Nazionale dell’Amministrazione)

6. Giancarlo Montedoro, Consigliere del Presidente della Repubblica

7. Francesco Merloni, Professore Ordinario di Diritto Amministrativo

(Università degli Studi di Perugia)

8. Roberto Cavallo Perin, Professore Ordinario di Diritto Amministrativo

(Università degli Studi di Torino)

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1. Giorgio Giovannini, Presidente del Consiglio di Stato.

Oggi affrontiamo per la prima volta qui in Consiglio di Stato le problematiche

o, per meglio dire, alcune delle problematiche legate alle nuove Direttive europee in

materia di concessioni e di appalti pubblici emanate nel febbraio scorso.

Questa materia ha visto succedersi in tempi relativamente ristretti una serie di

normative che sono partite dalla prima direttiva del 1971, la n. 305, più volte

modificata ed integrata, seguita poi da quelle, prima del 1993, e successivamente del

2004, che hanno via via ampliato il loro oggetto e posto disposizioni sempre più

particolareggiate e cogenti per gli Stati membri.

Siamo quindi giunti alle Direttive di quest'anno.

L'attenzione degli organi europei alla materia degli appalti pubblici e delle

concessioni di lavori, servizi e forniture è certamente data dal rilievo economico-

finanziario che essi rivesto per l'Unione.

Secondo i dati forniti dagli stessi organismi europei, ogni anno nel complessivo

ambito dell'Unione 250.000 amministrazioni pubbliche spendono circa il 17 per cento

del PIL europeo per acquisizione di lavori, servizi e forniture.

A sua volta, in Italia, secondo i dati dell'Autorità per la vigilanza sui contratti

pubblici esposti dal Presidente Santoro nell'ultima relazione del luglio scorso,

malgrado il periodo di crisi e malgrado il decremento complessivo dei valori rispetto

agli anni precedenti, nel 2012 la spesa totale delle amministrazioni pubbliche per

lavori, servizi e forniture ha raggiunto la cifra di oltre 95 miliardi.

Sono evidenti, dunque, le ragioni dell'interesse dell'Europa per una disciplina

attenta e particolareggiata della materia. Proprio in relazione all'entità del fenomeno

economico c'è stata una evoluzione degli obiettivi delle direttive che sono state via via

assunte.

Originariamente esse volevano, infatti, costituire attuazione dei principi del

Trattato volti a garantire nel territorio dell'allora Comunità economica la libertà di

stabilimento e della prestazione di merci e servizi. Col tempo e, in particolare, con

queste ultime direttive la normativa è stata caricata di nuovi e più ambiziosi obiettivi.

Con la comunicazione del 2010 della Commissione relativa alla strategia

Europa per il 2020 e con il libro verde del 2011, tra le finalità dell'attuale intervenuta

disciplina è stata posta quella della crescita dell'economia dell'Europa. Una crescita

che viene ripetutamente definita come "intelligente, sostenibile ed inclusiva".

Con le loro norme, infatti, le direttive mirano ad assicurare una maggiore

efficienza della spesa pubblica, garantendo la più ampia espressione del canone di

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concorrenza transfrontaliera, rimasto finora non pienamente soddisfatto. Si è calcolato

che in Europa soltanto l'1,6 per cento degli appalti pubblici viene aggiudicato ad

operatori di altri Stati, percentuale che peraltro sale all'11 per cento ove si considerino

anche le aggiudicazioni ad imprese controllate o partner operanti nello Stato sede

dell'amministrazione aggiudicatrice.

Ma accanto a questa finalità che può dirsi tradizionale sono posti dalla nuova

normativa tutta una serie di importanti obiettivi, quali il raggiungimento di fini sociali,

la tutela dell'ambiente e la lotta contro i cambiamenti climatici, la maggiore efficienza

energetica, la promozione dell'innovazione, ed altro ancora.

In tale quadro varie sono, pertanto, le novità introdotte dalle Direttive.

C'è anzitutto la novità costituita dal fatto che per la prima vola con una

apposita direttiva - la n. 23 - vengono disciplinate non soltanto le concessioni di lavori

ma anche le concessioni di servizi, che erano finora rimaste fuori dalla precedente

normativa. Questo colma una lacuna che abbiamo avvertito anche in sede contenziosa,

perché allo stato per le concessioni di servizi nel codice dei contratti pubblici

l'affidamento soggiace soltanto, genericamente, ai principi del Trattato, nonché ai

principi, altrettanto genericamente indicati, della trasparenza, dell'adeguata pubblicità,

della non discriminazione, della parità di trattamento e simili.

Il che ha fatto sorgere talora non poche incertezze interpretative.

Ad esempio, recentemente, è stata sottoposta all'esame dell'Adunanza plenaria

la questione se sia applicabile in materia appunto di affidamento di una concessione di

servizi (nel caso si trattava di una iniziativa di cd. housing sociale) la regola operante

per gli appalti, nella versione antecedente alle modifiche intervenute nel 2012,

secondo cui all'atto dell'offerta i raggruppamenti temporanei di imprese debbono

indicare la quota di partecipazione di ciascuna impresa al raggruppamento stesso e la

propria rispettiva quota in ordine all'esecuzione delle prestazioni convenute.

L'Adunanza plenaria ha risposto negativamente, ponendo fine ad una delle

tante situazioni di incertezza, che l'attuazione della nuova direttiva con la specificità

della sua disciplina dovrebbe in generale superare.

Tra le novità delle Direttive inerenti i contratti - la n. 24 e la n. 25 - va

sicuramente rimarcato l'ampliamento del ruolo della negoziazione con le imprese,

sempre ovviamente preceduto dal bando.

È stato già stato infatti notato in dottrina come i suoi presupposti vengano

fissati in modo molto più elastico e sfumato rispetto alla rigida casistica preesistente.

La negoziazione, inoltre, inerisce ad una ampliata serie di procedure di

selezione e, cioè, al vecchio dialogo competitivo ed alle nuove (o parzialmente nuove)

procedure competitive con negoziazione ed al partenariato per l'innovazione. Ciò

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senza contare i contatti che le stazioni appaltanti vengono legittimate ad operare con il

mercato e con le imprese ancor prima della indizione delle gare, al fine di conferire

loro un oggetto il più possibile concretamente determinato.

Aumentano, inoltre, anche gli spazi di discrezionalità riconosciuti alle

amministrazioni. Al proposito viene espressa una netta preferenza per il criterio

dell'offerta economicamente più vantaggiosa, che, come sappiamo, comporta una

ponderazione di carattere, appunto, tecnico-discrezionale circa gli aspetti tecnici e

quelli economici delle offerte.

Nelle Direttive n. 24 e n. 25 il criterio è ulteriormente specificato in riferimento

a numerosi elementi quali la qualità della prestazione, la sua sostenibilità ambientale e

sociale, il costo relativo all'intero ciclo di vita del prodotto ed altro ancora.

Non scompare ovviamente il criterio di aggiudicazione al prezzo più basso,

anche se ad esso si conferisce un ruolo limitato a taluni tipi di procedure come, nei

sistemi di acquisizione e nelle aste informatiche, soprattutto per acquisti di beni di uso

corrente.

Importante e, almeno in parte, innovativo è anche il richiamo ai mezzi

informatici, che dovranno connotare lo svolgimento delle gare per renderle il più

possibile snelle ed efficaci. Tra le novità delle Direttive in questione c'è, poi, l'insistito,

pressante riferimento agli istituti che consentono l'aggregazione della domanda, sia

nell'ambito del singolo Paese membro, sia nell'ambito di più Paesi membri.

Si passa così da una limitata attenzione a questo fenomeno contenuta nelle

Direttive del 2004, ad una disciplina molto specifica ed articolata nelle direttive di

quest'anno. Nel 2004 ci si limitava, sostanzialmente, a prendere atto della presenza nei

vari Paesi membri di disposizioni concernenti le centrali di committenza ed a fornirne

la definizione e la legittimazione a livello europeo.

Nelle nuove direttive i mezzi di aggregazione della domanda vengono, invece,

fatti oggetto di varie delle considerazioni in premessa e poi di disposizioni analitiche

nell'articolato normativo, in un'ottica di chiaro favore del legislatore europeo per la

loro concreta attuazione.

Si distingue, in particolare, tra centralizzazione delle committenze, centrali di

committenza ed appalti congiunti occasionali, precisando ulteriormente che tali mezzi

possono essere utilizzati - come dicevo prima - tra amministrazioni operanti all'interno

di un determinato Stato membro, sia tra amministrazioni operanti in Stati membri

diversi.

Sono norme le quali fissano le modalità attraverso le quali l'acquisizione di

lavori, servizi o forniture deve avvenire, richiamando primariamente i sistemi dinamici

di acquisizione e gli accordi-quadro, imponendo l'utilizzo degli strumenti informatici e

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distribuendo le diverse responsabilità tra centrali di committenza e amministrazioni

loro fruitrici.

A sua volta poi, riguardo alla centralizzazione delle acquisizioni corrente tra

amministrazioni appartenenti a Stati membri diversi, le direttive pongono una serie di

norme concernenti, tra l'altro, l'individuazione della disciplina nazionale applicabile e,

anche qui, la distribuzione delle responsabilità tra i soggetti partecipi della

centralizzazione. Questa nuova normativa sopravviene in un quadro nazionale molto

complesso in materia. Qui, alla tutto sommato scarna norma contenuta nell'art. 33 del

codice dei contratti pubblici, si è affiancata una serie estremamente nutrita di

disposizioni, che non sempre si contraddistinguono per chiarezza e coerenza.

Si tratta di disposizioni contenute nelle varie leggi prima finanziarie ed ora di

stabilità, nonché nei decreti anticrisi emanati a partire dal 2011, fino all'ultimo decreto

legge n. 66 di pochi giorni fa.

Queste disposizioni talora impongono il ricorso al sistema Consip o per centrali

di committenza e talora ne danno facoltà, stabilendo in quest'ultimo caso modalità

succedanee atte ad assicurare i livelli di risparmio raggiungibili attraverso gli

strumenti di accentramento della domanda. L'interesse del legislatore per le centrali di

committenza si basa su una serie di elementi vantaggiosi.

Esse, infatti, consentono consistenti economie di scala; restringono il numero

delle stazioni appaltanti e rendono, quindi, più rapidi ed efficaci i controlli sulla

legittimità del loro operato; sempre in ragione della restrizione del loro numero,

agevolano le verifiche degli organi di sicurezza circa il sempre incombente rischio di

infiltrazioni della criminalità organizzata; promuovono la formazione di una classe

amministrativa con professionalità specifica nella materia; probabilmente riducono

anche il contenzioso dinanzi al giudice amministrativo, stante da un lato

l'accentramento e, quindi, il minor numero di selezioni espletate su base nazionale e

tenuto conto che l'affinarsi delle competenze tecniche di quanti sono addetti alle

centrali attenua il rischio di errori nello svolgimento delle procedure.

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2. Sergio Santoro, Presidente dell'Autorità per la vigilanza sui contratti

pubblici di lavori, servizi e forniture.

Io qui verrò a portare il punto di vista dell’Autorità che rappresento in

relazione a questo cambiamento epocale che c’è sul fronte della figura delle stazioni

appaltanti. Le direttive portano ulteriori interessi nella materia contrattuale, ulteriori

rispetto a quelli originari, a tutela dei tanti importanti interessi collaterali. Ma quello

che alla cui insegna si sta muovendo in questo momento il Governo italiano è

l’interesse al risparmio, al controllo della spesa. E’ una vera e propria ossessione da

parte di chi sta dalla parte delle Istituzioni, e qui è presente tra di noi l’illustre relatore

(ed amico) Cottarelli, che rappresenta bene questo centro di interessi al contenimento

della spesa che, ripeto, è immanente e onnipresente ed è il problema centrale di tutta la

materia di cui noi stiamo discutendo.

Non parleremmo di ciò con tanto interesse se non fosse presente un’esigenza di

contenimento della spesa. Quindi, anche nel recepimento della direttiva vedremo come

centrale il fine del contenimento della spesa, e valuteremo anche i criteri di

aggiudicazione alla luce di questa esigenza. E quindi, ad esempio, quel criterio che

volevamo espungere, il criterio del prezzo più basso, ritornerà inevitabilmente,

nonostante le proteste di tanti addetti ai lavori. E quindi, dove si sposterà l’interesse

del legislatore in ordine al recepimento? Sull’esecuzione del contratto. Se non si può

transitare in modo totale verso l’offerta economicamente più vantaggiosa, si dovrà

necessariamente mettere a fuoco un problema che non è assolutamente secondario e

cioè l’esecuzione del contratto. In particolare, esecuzione e contenimento dei costi

durante l’esecuzione del contratto, insieme con la previsione di garanzie, non soltanto

di buona esecuzione, ma anche di contenimento del prezzo. Al Consiglio di Stato, che

è anche la mia casa originaria e tornerà ad essere tale, con il consenso dei colleghi, io

dico che qui si svolge una buona parte del preteso aumento dei costi dei contratti

pubblici.

Noi sappiamo che insinuazioni sul tema sono state autorevoli, importanti e ad

altissimo livello, parliamo di ex presidenti della Commissione europea, di Presidenti

del Consiglio, insomma parliamo di personaggi che meritano attenzione massima. Io

mi unisco un po’ non già alle critiche, ma alla risposta alle critiche. La giustizia

amministrativa è la sede che può far lievitare questi costi della contrattualistica

pubblica? Io vi dico, appartenendo alla giustizia amministrativa, ma anche all’Autorità

che cerca di vigilare su questi costi, che non è così in realtà. O meglio, è così a causa

di un utilizzo a volte strumentale della giustizia amministrativa, che noi tutti

conosciamo per essere le negoziazioni sui provvedimenti, di annullamento o cautelari.

Negoziazioni che sappiamo essere frequentissime. Ma se questo contenzioso fosse

contenuto nella fase iniziale, nella scelta di contrarre, fosse contenuto nelle iniziative

preordinate e preliminari (per le infrastrutture, ad esempio, nella progettazione, o per i

contratti in genere, nella fase preliminare della determinazione a contrarre) e avesse

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una sua conclusione in quella fase, probabilmente questo problema che noi avvertiamo

sull’economia pubblica sarebbe estremamente ridimensionato e noi salveremmo anche

la giustizia amministrativa che è minacciata - come era minacciata fino a qualche

attimo fa la mia Autorità da ridimensionamenti - soprattutto sul fronte del primo

grado. Ma questo è un excursus brevissimo e mi ero prefissato di parlare

principalmente della più grande novità che abbiamo in materia in ordine di tempo, che

è il d.l. n. 66 del 2014. Che cosa porta alla contrattualistica pubblica? Soprattutto in

ordine alla aggregazione delle stazioni appaltanti. Come ha detto il Presidente

Giovannini, l’aggregazione risponde a criteri molto razionali, con l’aggregazione si

realizza una migliore formazione delle stazioni appaltanti, si riesce a seguire meglio

l’efficienza delle stazioni stesse e si riesce a prevenire meglio l’infiltrazione, anche se

quest’ultima proposizione è sicuramente da verificare sul campo. Perché l’infiltrazione

è un mostro multiforme, con molte teste e il cui contenimento è sicuramente difficile.

L’aggregazione, e questo lo dico tornando da convegno recente a Napoli con

Prof. Abbamonte, presenta anche un problema di compatibilità con il rispetto delle

autonomie, che è costituzionalmente garantito. Quindi noi valuteremo questa

aggregazione e la attueremo anche nel rispetto delle autonomie. Non per nulla il d.l. n.

66 del 2014 indica in un minimo di 35 le stazioni appaltanti, alle quali si dovranno

naturalmente aggiungere stazioni appaltanti che lo sono per definizione. L’elemento

che il d.l. n. 66 del 2014 porta è naturalmente lo sviluppo ai massimi livelli di tale

aggregazione, ma non è l’unico rimedio che questo decreto legge porta per il

contenimento della spesa. L’elemento più rilevante è l’estensione del sistema di

contenimento dei prezzi attraverso la formazione di prezzi di riferimento. Io stamattina

sono stato intervistato a Unomattina alla Rai, come era inevitabile su Expo 2015 e

quando mi hanno chiesto, di fronte a tanti telespettatori, la mia risposta è stata molto

semplice. Quello che può fare una autorità che ha compiti amministrativi e quindi

compiti anche di prevenzione e non certo di repressione, come anche la Corte dei

Conti afferma di possedere, è essenzialmente quello di individuare e di valutare il

differenziale di prezzo che consente al corruttore di remunerare in modo illecito il

soggetto corrotto.

Questa differenza di prezzi è individuata in un prezzo che non è più di

riferimento ma è un prezzo maggiorato. Questa conclusione è quasi intuitiva, talmente

semplificatrice che poi alla fine può essere posta in secondo piano. In realtà non è così,

l’operazione che il Governo sta tentando tramite questo decreto legge è estremamente

innovativa. Consiste nell’estendere, dal settore della sanità ad altri settori,

l’indicazione dei prezzi di riferimento e tale indicazione non è assolutamente limitata

al contenimento della spesa, ma è un’operazione più propriamente estesa alla

moralizzazione del settore. Perché se noi abbiamo contratti pubblici con prezzi di

riferimento giusti ed equi come indicati inequivocabilmente dall’Autorità attraverso

una rilevazione di banche dati noi abbiamo contratti che non potranno dare luogo a

corruzione, in nessun modo, perché non ci saranno risorse utili a remunerare i corrotti.

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Questa osservazione elementare è sembrata molto plausibile ai telespettatori, speriamo

sia tale anche per noi addetti ai lavori.

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Introduzione al convegno

3. Gabriella M. Racca, Professore Ordinario di Diritto Amministrativo

(Università degli Studi di Torino).

Le nuove direttive europee sugli appalti pubblici definiscono tra gli obiettivi

prioritari, oltre alla “semplificazione”, nuovi modelli organizzativi e contrattuali per

una aggregazione della domanda pubblica di beni, servizi e lavori. Le nuove direttive

europee richiedono un recepimento che innovi profondamente l’attuale disciplina degli

appalti, contenuta nel Codice, con una completa rielaborazione in ragione di nuovi

principi. Così, si è già espresso lo stesso Presidente Giovannini (in audizione alla

Camera dei deputati il 3 marzo scorso).

Il fulcro del sistema appalti si è spostato dalla gara della singola

amministrazione aggiudicatrice ad un sistema, variamente articolato, di aggregazione

della domanda pubblica di più amministrazioni, che va dalla gara delegata ad altra

amministrazione aggiudicatrice sino ad arrivare all’acquisto da una centrale di

committenza che assume la veste di “grossista”; che va dalla aggregazione della

domanda tra amministrazioni italiane sino alla utilizzazione di gare transfrontaliere.

Il cambiamento di prospettiva è notevole. Anzitutto un mutamento strutturale

che in Italia incide particolarmente, così come individuato nelle “Proposte per una

revisione della spesa pubblica” del Commissario per la spending review, dott. Carlo

Cottarelli: da 32.000 amministrazioni aggiudicatrici con capacità di stipulare contratti

di ogni genere e tipo, si scende alla legittimazione sopra soglia di solo 35 centrali di

committenza (cd. soggetti aggregatori).

Sotto altro profilo appare difficile giustificare e rendere comprensibile in

ambito europeo un recepimento di meno di 90 articoli della Direttiva europea con i

616 articoli del vigente Codice appalti e del regolamento attuativo modificati 144 volte

in 7 anni, contro i circa 300 articoli di Spagna e Francia e i 49 articoli della Gran

Bretagna. L’idea di un diritto nazionale fatto a nostro uso esclusivo, addirittura di

cristallizzazione di alcuni indirizzi giurisprudenziali, talora di esclusivo gusto

processuale, rischia di contornare il nostro diritto positivo di una cultura talora

bizantina che non aiuta, anzi lo espone a censure di elusione dei principi europei.

Anzitutto uno sforzo della dottrina, che deve recuperare i momenti migliori

della propria cultura giuridica, quelli in cui uno scritto era utile per chiarire, esplicitare

un pensiero, talora per creare un istituto giuridico e non per creare barriere e

incomprensione. Sforzo della dottrina che appare importante e necessario, ma che

senza l’aiuto e la ponderazione della giurisprudenza non è in grado di trasformare

l’elaborazione di un principio giuridico in diritto positivo. Sul piano qualitativo invece

sono chiamate in causa e poste in rilievo le professionalità necessarie ad esercitare un

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vero e proprio mestiere che è quello che tradizionalmente abbiamo chiamato la

“funzione appalti”.

Non si tratta solo di rimarcare la differenza tra esercizio di funzioni e servizi il

cui prodotto è rivolto agli utenti (es. urbanistica ed edilizia, servizi pubblici, ecc.), da

funzioni e servizi di supporto alla persona giuridica pubblica (es. appalti, concorsi,

ufficio personale ecc.), ma di comprendere che vi sono professionalità necessarie

all’esercizio di ogni funzione o servizio, a ciascuno peculiari, la mancanza delle quali

vale inadeguatezza dell’ente all’esercizio della funzione o servizio, che integra non

solo il vizio di incompetenza o difetto di attribuzione, ma che si erge a vero e proprio

parametro di costituzionalità delle leggi statali e regionali difformi (ex art. 118, c. I

Cost.). In tale contesto normativo, le centrali di committenza non sono solo una

risposta di efficienza, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa, ma

assurgono a modalità strutturale minima affinché le amministrazioni possano, ad un

tempo, continuare ad esercitare servizi e funzioni all’utenza, delegando o accorpando

l’approvvigionamento di beni, servizi e lavori ad enti con adeguata capacità

professionale di cui sono prive.

Le centrali di committenza sono chiamate ad assumere un ruolo nuovo come

strutture complesse ad elevata professionalità, capaci – grazie alla presenza delle

professionalità necessarie - di operare sul mercato europeo, creando anche sinergie tra

centrali di diversi Stati membri che permettono di accrescere nettamente le capacità e

consentire una effettiva riqualificazione della spesa pubblica. Capacità, dunque, di

avere risorse umane con le professionalità necessarie, ma anche capacità come beni e

servizi che consentano l’uso di strumenti elettronici e sistemi informativi di

contrattazione che sono di per sé mezzi idonei ad assicurare la trasparenza e

l’accountability dei funzionari pubblici.

Il rischio da evitare è che l’aggregazione si traduca in una mera sommatoria di

gare e unificazione di risorse umane che, ove non adeguatamente riqualificate, non

potranno che rimanere inadeguate al cambiamento. L’aggregazione favorisce inoltre

l’utilizzo su larga scala di nuovi strumenti contrattuali quali gli accordi quadro che

aprono a differenti configurazioni, capaci di conformare una risposta contrattuale

differenziata in ragione dei caratteri dei mercati di riferimento. Il recente d.l. n. 66 del

2014 “sulla competitività e la giustizia sociale” introduce un modello nuovo di

relazioni tra amministrazioni e centrali di committenza (definite come soggetti

aggregatori).

Se a livello nazionale si vuole prendere atto dell’incapacità di contrattare delle

piccole amministrazioni aggiudicatrici in relazione alla loro inadeguatezza rispetto a

tale funzione, il collegamento e confronto con le esperienze europee può rendere

ancora più evidente e perciò accettabile, il cambiamento, poiché è la necessità di una

scala di mercato europeo di più di 500 milioni di abitanti a richiedere un più esteso

ambito di benchmarking e di attuazione di modelli integrati di centrali di committenza

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transfrontaliere di cui è fondamentale che l’Italia sia parte attiva e non subisca

l’iniziativa di altri.

La messa a disposizione di attività di “centralizzazione delle committenze”

(cioè di accordi quadro aggiudicati in sinergia tra centrali ubicate in differenti Stati

Membri) consente alle amministrazioni italiane di trovare un’alternativa alle centrali

nazionali e, al contempo, obbliga queste ultime a confrontarsi in un mercato europeo,

aprendo anche in Italia ad una competizione tra amministrazioni aggiudicatrici ed in

ultima analisi ad un confronto diretto tra gare sugli stessi prodotti, che pone in

evidenza l’enucleazione di una “gara delle gare” o gara di secondo livello come futura

modalità di acquisto.

Ma le gare possono anche promuovere le imprese innovative. Dal lato delle

imprese, infatti, l’aggregazione della domanda pubblica europea offre nuove

opportunità di partecipare a gare europee, strutturate in lotti territoriali, merceologici o

di diverso tipo, idonei a favorire la crescita delle piccole e medie imprese e tra esse

delle più innovative. La Direttiva europea consente tale sviluppo e di recente si è avuto

modo di partecipare, come Università di Torino, all’elaborazione del primo progetto di

acquisto transfrontaliero che ha permesso all’Italia una prima sperimentazione di

aggregazione della domanda pubblica europea e di accompagnamento delle imprese

italiane alla partecipazione ad un mercato europeo.

Il progetto HAPPI che è stato finanziato dalla Commissione Europea, in

particolare dalla DG Impresa, realizza una prima concreta esperienza di collaborazione

tra le centrali di committenza in sanità di Francia, Italia, Gran Bretagna, Belgio,

Lussemburgo, Spagna e Austria, aperta anche all’adesione delle amministrazioni

aggiudicatrici di altri Stati europei. Il primo acquisto aggregato a livello europeo

riguarda soluzioni innovative per l’invecchiamento attivo e in buona salute, la così

detta silver economy oggi in pieno sviluppo, ed è suddiviso in lotti al fine di favorire la

partecipazione delle piccole e medie imprese, il tutto preceduto da un’accurata analisi

di mercato.

Ciascuna centrale di committenza nazionale ha organizzato degli infodays per

le imprese interessate a partecipare alla gara, che hanno permesso di ricevere oltre 200

proposte innovative. L’analisi normativa consente di affermare che l’esperienza

HAPPI può dirsi un’anticipazione o una prima attuazione dei modelli previsti dalla

recente Direttiva appalti per le centrali di committenza (artt. 2, 37-39) le quali possono

agire come grossisti cioè che comprano per rivendere, oppure come intermediari, cioè

mettono a disposizione delle pubbliche amministrazioni accordi quadro, o svolgono

gare in nome e per conto di terzi. Quest’ultima ha due sottomodelli corrispondenti a

ciò che avviene normalmente in Italia o in Gran Bretagna.

Il primo tipo di intermediazione, infatti, è in nome e per conto delle

committenti, in ottemperanza di istruzioni e impegni vincolanti, il secondo tipo è

svolto invece senza un preciso impegno all’acquisto, dunque “senza istruzioni

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particolareggiate dalle amministrazioni aggiudicatrici” (Dir. 24/2014/UE, consid. n.

69). Proprio quest’ultimo modello può risultare di interesse ove si intenda avere di tutti

i beni un valore di riferimento che non è ancora un prezzo, perché non oggetto di

un’obbligazione corrispettiva a una prestazione oggetto di appalto, il quale segue

normalmente ciò che si configura come accordo quadro, che, di per sé, esclude la

possibilità di acquisto di beni o servizi a prezzi superiori.

Nel modello della sanità inglese la centrale di acquisto nazionale realizza

accordi quadro su tutte le tipologie merceologiche (620 mila) e lascia alle centrali di

committenza locali (TRUST) ed ai loro ospedali la possibilità di scegliere. I trusts

possono aderire agli accordi quadro, direttamente o con un rilancio competitivo,

oppure il TRUST è sempre libero di svolgere una gara per i propri associati al fine di

ottenere condizioni migliori.

Ciò che maggiormente colpisce è il riconoscimento esplicito della nuova

Direttiva appalti ove si chiarisce (art. 39, § 2) che è principio del diritto dell’Unione

Europea l’utilizzazione delle attività di centrali di committenza di altri Stati membri.

Questi ultimi infatti non possono vietare alle proprie amministrazioni aggiudicatrici di

fruire delle attività offerte da centrali di committenza ubicate in altro Stato membro,

specificando così il principio generale dell’ordinamento dell’Unione europea relativo

alla creazione di un mercato unico e alla tutela della concorrenza al suo interno, che

assume rilievo proprio con riferimento ad appalti di interesse sovranazionale.

La fonte di tale cooperazione tra amministrazioni degli Stati membri è stata,

dalle tradizioni giuridiche nazionali, individuata da tempo negli accordi tra

amministrazioni stesse. La citata Direttiva ne riprende l’enunciato stabilendo che,

salvo trattati internazionali, gli accordi tra amministrazioni debbono prevedere gli

elementi essenziali del rapporto (Dir. 24/2014/UE, art. 39). Si tratta dell’applicazione

del principio di cooperazione amministrativa che consente di “sostenere gli sforzi

degli Stati membri volti a migliorare la loro capacità amministrativa di attuare il diritto

dell'Unione” (TFUE, art. 197).

Il riferimento in Italia è agli accordi tra amministrazioni pubbliche, disciplinati

dalla legge generale sull’attività amministrativa, per la quale è prevista la giurisdizione

esclusiva con riferimento alla formazione, conclusione ed esecuzione dell’accordo (l. 7

agosto 1990, n. 241, art. 15). In quanto principio dell’ordinamento dell’Unione

europea, lo stesso si afferma come immediatamente applicabile negli ordinamenti

degli Stati membri, sicché la norma nazionale d’attuazione assume rilievo unicamente

in quanto consente agli Stati membri di precisare le attività alle quali le rispettive

amministrazioni aggiudicatrici possono ricorrere (attività di grossista o di

intermediario svolte dalle centrali di committenza: cfr. Dir. 24/2014/UE, art. 39 § 2,

art. 2, § 1, punto 14, lett. a e b).

Nell’esperienza del progetto HAPPI, con la validazione dell’AVCP, si è scelto

di costituire un raggruppamento di acquisto europeo che deleghi le funzioni di

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intermediario alla centrale d’acquisto francese (Resah-IDF), senza un vincolo

all’acquisto, con l’aggiudicazione di accordi quadro da mettere a disposizione dei

partners del progetto e di altre amministrazioni aggiudicatrici interessate. Alla

aggiudicazione partecipano componenti di tutti i partner tra cui gli italiani. Si realizza

così la condivisione dei vantaggi e rischi connessi all’acquisto di prodotti innovativi,

ancora privi di diffusione sul mercato. Ciò è consentito dalla nuova direttiva che lascia

alle amministrazioni la scelta del diritto nazionale applicabile e della sede prescelta per

la centrale d’acquisto che svolge la procedura di gara.

La determinazione delle responsabilità e delle relative disposizioni nazionali

viene stabilita nell’accordo, anche con riferimento alla disciplina applicabile in

materia di ricorsi, e nel caso di costituzione di un Gruppo Europeo di Cooperazione

Territoriale verrebbero integrate le norme europee in materia di (conflitto di leggi)

diritto internazionale privato (Regolamento n. 593/2008/CE, sulla legge applicabile

alle obbligazioni contrattuali cd. Roma I, consid. 73) e dunque si potrebbe scegliere di

applicare un diritto diverso anche all’esecuzione del contratto.

Le amministrazioni aggiudicatrici appartenenti a Stati membri diversi possono

istituire soggetti giuridici congiunti ai sensi del diritto nazionale o dell'Unione (art. 39,

§ 5). Poco dopo l’entrata in vigore della nuova direttiva appalti (18 aprile) l’Italia con

il citato decreto legge n. 66 del 2014 (del 24 aprile) ha introdotto norme che possono

essere considerate di prima attuazione della direttiva stessa e di alcuni enunciati

costituzionali che parevano relegati a norme programmatiche.

Anzitutto si è detto che la nostra legislazione statale ha voluto prendere atto

dell’incapacità a contrattare delle piccole amministrazioni comunali imponendo a

coloro che non sono capoluoghi di provincia di aggregarsi secondo modalità tra esse

alternative: unione di comuni, specifico consorzio, nuove province, salvo l’adesione

agli accordi quadro e convenzioni conclusi da Consip o da altro soggetto aggregatore.

L’interpretazione conforme al dettato costituzionale sull’adeguatezza delle strutture di

destinazione delle funzioni impone di sanzionare con la nullità per difetto assoluto di

attribuzione lo svolgimento delle funzioni di centrale di committenza ad unioni,

consorzi, o soggetti aggregatori regionali, e fors’anche province, che non abbiano la

capacità professionale, di risorse umane e strumentali sufficienti per la gara e la stipula

di determinati contratti, ivi compresa l’indispensabile analisi di mercato e attività di

benchmarking. Nell’esperienza europea la sanità emerge sempre più come settore in

cui è necessaria una specifica adeguatezza delle centrali di committenza (es. Francia e

GB) e ciò in ragione dell’ampiezza degli ambiti o bacini delle amministrazioni che ne

sono partecipi, sicché al crescere dei territori o amministrazioni di riferimento si

definisce un carattere sempre più specializzato per settori merceologici.

Non si può, infine, sottacere del contenzioso che in Italia in materia di appalti

si afferma avanti alla giurisdizione, che da alcuni è stato addirittura elevato a 2 punti di

PIL che mancano alla conta della ns economia. Anche qui non giova il confronto con

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altri Stati membri ove i ricorsi giurisdizionali sono notevolmente più limitati

(raggiungono poche unità ogni anno in GB o poche decine, massimo centinaia e non le

nostre migliaia).

I fatti più recenti (Expo 2015) hanno chiarito che il formalismo delle gare è del

tutto compatibile con la capacità delle imprese di saperne orientare i risultati,

addirittura con puntigliosa minuzia, sia nella formulazione degli atti di gara (bandi,

capitolati, ecc.) sia nell’attribuzione dei punteggi di qualità e prezzo, le stesse formule

matematiche lasciano perplessi gli specialisti degli algoritmi. Nessuna parità di

trattamento può rendere necessari requisiti che si rivelino inutili, ed in tal senso la

dottrina e la giurisprudenza di un tempo correttamente avevano pensato alla categoria

delle semplici irregolarità ogni qualvolta si trattasse di prescrizione - anche legislativa

- ritenuta alla prova dei fatti irrilevante, per non parlare oggi dell’art. 21 octies, co. 2°,

l. n. 241 del 1990.

Eccessi di formalismo o cieca astrattezza si configurano nel confronto tra

ordinamenti come tentativo ultimo, elusivo dei principi europei di non discriminazione

e parità di trattamento e nel prossimo futuro non agevoleranno la scelta del diritto

italiano come disciplina di riferimento e ancor prima la sede italiana delle centrali di

committenza transfrontaliere. La questione non è dunque di poco conto e non può più

essere considerata come uno strumento improprio di protezione delle nostre imprese,

almeno nel mercato nazionale, poiché è ormai chiaro che il confronto tra prezzi

praticati sugli stessi beni in sanità non consentirà più di frapporre i confini nazionali

come valore di un esoso sovrapprezzo: 25% talora 35%, sono differenziali

insostenibili proprio ora che percentuali minori sono indicate come obiettivi di

razionalizzazione della spesa pubblica. Al contrario la partecipazione delle nostre

imprese alle gare indette dalle nostre centrali di committenza e da quelle di

ordinamenti di altri stati membri mettono a confronto il nostro diritto sostanziale e

processuale con quello d’altri.

Dunque non solo più globalizzazione dei mercati, ma si affaccia anche il

rapporto competitivo tra ordinamenti, tra cui è di rilievo in Italia la disciplina del

processo che dirime le controversie in materia d’appalti, anzitutto il sistema di

giustizia amministrativa che al Consiglio di Stato fa capo.

Troppe volte si sono invocate norme generali e astratte, la necessità di riforme

dell’amministrazione, che dal 1997 in poi non sono mancate, con enunciati

sull’efficienza efficacia ed economicità, di cui sono pieni i trattati, al pari delle

richieste di informatizzazione dei procedimenti ed atti amministrativi. Già più di

vent’anni or sono, si predicava in legge che “Gli atti amministrativi adottati da tutte le

pubbliche amministrazioni sono di norma predisposti tramite i sistemi informativi

automatizzati” (l. n. 39 del 1993, art. 3., co. I). Ciò che è mancato del diritto astratto è

la sua ferma e concreta applicazione, soprattutto perché la fruizione è oggi

notevolmente facilitata dalle innovazioni tecnologiche.

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Innovazione ed uso delle tecnologie che consentono di monitorare e di definire

contratti tipici e relative procedure di aggiudicazione dei principali appalti di forniture

di beni, ma anche di servizi e di lavori, secondo ciò che normalmente accade, ideando

di essi norme imperative, ma anche dispositive di cui è possibile il monitoraggio e la

valutazione della ragionevolezza della deroga a ciò che si è ritenuto lo standard.

Innovazione ed uso delle tecnologie che consentono la vigilanza delle autorità di

settore, ma anche delle imprese e delle associazioni di categoria che possono assumere

funzioni simili a quelle degli ordini professionali (deontologia, ecc.), nonché dei

cittadini e loro associazioni che di determinati servizi non sono solo gli utenti, ma

frequentemente “i pagatori di ultima istanza” poiché tali beni e servizi sono – in tutto o

in parte - a carico della fiscalità generale.

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4. Carlo Cottarelli, Commissario Straordinario per la Spending

Review.

Senza pretesa di esaustività - vista la qualità delle esposizioni fatte dagli esperti

giuristi intervenuti prima di me - vorrei, partendo da un breve inquadramento delle

nuove direttive europee in materia di appalti, evidenziare la rilevanza di strategie di

aggregazione della domanda pubblica e, quindi, illustrare i principali elementi del

recente d.l. n. 66 del 2004, che di fatto ricerca, proprio in questa direzione, nuove

forme di riqualificazione della spesa pubblica.

Breve inquadramento delle nuove direttive europee

Il 15 gennaio 2014 il Parlamento europeo ha approvato i testi delle tre nuove

Direttive in materia di: appalti del settore ordinario (servizi, lavori e forniture);

appalti del settore speciale (acqua, energia, trasporti e postali); concessioni. Le

nuove Direttive sono entrate in vigore il 17 aprile e dovranno essere recepite da

tutti i Paesi membri entro marzo 2016.

Concentrando l’attenzione sulla Direttiva per gli appalti del settore ordinario, il

nuovo corpo normativo modifica ampiamente le norme attuali sugli appalti

pubblici comunitari: rispetto alla Direttiva 2004/18/CE, circa il 70% dei paragrafi

risultano nuovi o modificati, seppur non stravolgendone la struttura di fondo.

La rivisitazione appare dettata dall’esigenza di accrescere l’efficienza della spesa

pubblica, di favorire la partecipazione delle PMI agli appalti pubblici, di

promuovere la concorrenza e quindi di garantire il miglior rapporto qualità-prezzo,

ponendo trasversalmente l’attenzione su tematiche ambientali, sociali e di

innovazione. I principali elementi qualificanti, quindi, riguardano:

Meno burocrazia per gli offerenti

La normativa si impegna a ridurre gli oneri burocratici di partecipazione (per esempio

certificati, facendo ricorso a uno strumento che comporterà una riduzione fino all’80%

degli oneri: il documento di gara unico europeo (DGUE): una autocertificazione, solo

il vincitore produrrà gli originali.

Accesso più facile per le PMI

Al fine di consentire la partecipazione delle PMI agli appalti pubblici, la nuova

direttiva invita le Amministrazioni aggiudicatrici alla suddivisione in lotti, prevedendo

le ipotesi in cui sia obbligatoria e obbligando a fornire un chiarimento in caso

contrario.

Semplificazione e flessibilità

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La nuova disciplina amplia il ventaglio delle procedure utilizzabili, introducendo la

“procedura competitiva con negoziazione” e la “partnership innovativa”, nonché

estendendo l’ambito del “dialogo competitivo (con l’eliminazione del riferimento agli

appalti particolarmente complessi).

Si riducono anche i tempi di presentazione delle offerte da parte dei concorrenti (ad es.

nel caso di procedura aperta, si prevede che il termine minimo per la ricezione delle

offerte scenda da 52 gg. a 35 gg.).

Criterio di aggiudicazione meno accentrati sul prezzo

Enfatizzando il ricorso al criterio di "offerta economicamente più vantaggiosa" nella

procedura di aggiudicazione, le amministrazioni saranno in grado di mettere più

attenzione su qualità, ambiente, aspetti sociali o innovazione, pur tenendo conto del

prezzo e dei costi del ciclo di vita.

In conclusione, la nuova disciplina comunitaria cambia profondamente l’attuale

assetto degli appalti pubblici, ricercando - come già anticipato - nuove forme di

efficienza, di riqualificazione della spesa, di accesso al canale della domanda

pubblica.

Rilevanza delle strategie di aggregazione della domanda pubblica

L’emanazione di una nuova disciplina per gli appalti pubblici avviene in un

momento storico in cui si manifesta, in Europa e non solo, un’attenzione crescente

per le strategie di aggregazione della domanda pubblica.

Ciò è vero sia a livello dei singoli Stati membri, in molti dei quali si è assistito alla

nascita o al potenziamento del ruolo di centrali di committenza nazionali, sia a

livello di legislazione comunitaria, come dimostra il percorso avviato prima con le

Direttive UE sul procurement del 2004, poi con la riforma delle stesse, di cui oggi

siamo a trattare.

Vale la pena, dunque, analizzare in maggior dettaglio benefici e costi di politiche

di aggregazione della domanda pubblica, anche al fine di comprendere più a fondo

il ruolo giocato dalle centrali di acquisto (Consip e territoriali).

In primo luogo, è opportuno evidenziare come la crisi finanziaria che l’Europa ha

attraversato abbia contribuito ad accrescere enormemente l’interesse, da parte dei

policy maker, verso il settore degli appalti pubblici. E’ evidente che la spesa in

beni e servizi per il funzionamento della pubblica amministrazione è un ambito di

razionalizzazione politicamente molto meno “sensibile” rispetto, ad esempio, alla

spesa per pensioni, istruzione e sanità.

L’aggregazione della domanda riduce i costi prima di tutto attraverso il maggiore

sfruttamento della competizione sul mercato delle economie di scala e del

rafforzamento del potere contrattuale della pubblica amministrazione.

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In secondo luogo, l’aggregazione aumenta l’ efficienza dei processi d’acquisto:

o I costi di processo e del numero delle procedure si riducono.

o La possibilità di investimenti in risorse umane specializzate e in

infrastrutture (prime tra tutte infrastrutture ICT per il potenziamento dell’e-

procurement) aumenta, rendendo accessibili i vantaggi della

digitalizzazione alle pubbliche amministrazioni e alle imprese.

o Si riduce il rischio di pratiche non trasparenti facilitate dalla

polverizzazione degli acquisti.

Infine, l’aggregazione consente anche di sfruttare la leva del procurement come

vero e proprio strumento di politica, per esempio lo sviluppo del green

procurement può diventare uno strumento di promozione di politiche a favore

dell’ambiente.

In conclusione, gli acquisti pubblici devono essere fatti da pochi soggetti

competenti.

Principali elementi del recente D.L. 66/2004

Veniamo alla spesa per beni e servizi in Italia. La spesa annua per beni e servizi

ammonta a circa 130mld/€ ed è gestita da 32mila stazioni appaltanti (appartenenti

a quasi 10mila Enti) che realizzano 1.200.000 procedure, delle quali 62mila sopra i

200mila euro. La complessa materia degli acquisti pubblici è regolata da oltre 700

articoli di legge e dal bando al contratto passano in media 15 mesi. Le piccole

stazioni appaltanti fanno spesso bandi di bassa qualità che oltre a disperdere fondi

pubblici vengono annullati dai ricorsi.

Nel recente decreto legge 66/2014 si indirizza, tra le diverse misure, anche la

costituzione di un “Nuovo Sistema Nazionale degli Approvvigionamenti”, che

dovrà dare sostanza all’ambizioso obiettivo di riduzione/riqualificazione della

spesa pubblica, i cui principi cardine sono:

o riduzione dei centri di spesa da indirizzare attraverso l’istituzione

dell’elenco dei soggetti aggregatori (di cui fanno parte la Consip, le centrali

acquisti regionali e pochi altri come le città metropolitane), unici soggetti

preposti a bandire le gare/negoziare soprasoglia per merceologie

applicabili, secondo principi di stretta interazione tra acquirente e rispettive

strutture di servizio

o elaborazione e pubblicazione online - a cura dell’Autorità di Vigilanza sui

Contratti Pubblici, a partire dal 1° ottobre 2014 - dei prezzi di riferimento

per gli acquisti di beni e servizi con maggiore impatto sui costi della PA. I

prezzi saranno poi aggiornati ogni anno e verranno utilizzati per la

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programmazione pluriennale degli acquisti e la pianificazione annuale delle

gare

o soppressione dell’obbligo di pubblicazione dei bandi di gara sui quotidiani:

tutto dovrà andare online e gli operatori economici rimborseranno alle

stazioni appaltanti i costi di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale

o accelerazione dei tempi di pagamento che verranno strettamente

monitorati. Questo dovrebbe facilitare la rinegoziazione dei contratti in

essere per cui si consente una riduzione della spesa del 5%. Si introduce

anche il divieto per i futuri contratti di superare gli importi dei contratti in

essere ridotti del 5% o i prezzi di riferimento stabiliti dall’Autorità di

Vigilanza sui Contratti Pubblici

o crescita della trasparenza della spesa, stabilendo che ogni centro di spesa

pubblichi sul proprio sito istituzionale e renda accessibili anche attraverso

un portale unico, i dati relativi alla spesa desumibili dai propri bilanci e

“l’indicatore di tempestività dei pagamenti”

Queste brevemente accennate sono solo alcune delle misure individuate - e

specificatamente quelle più strettamente connesse al tema degli acquisti pubblici in

beni e servizi – evidentemente come ogni significativo processo di revisione della

spesa, l’azione governativa va letta e analizzata in una dimensione più complessiva

e raccordata (ovvero l’insieme degli articoli costituenti il d.l. n. 66 del 2014)

Ciò per dire, che l’obiettivo strategico d’insieme del processo di revisione della

spesa passa attraverso la capacità di fare aggregazione, ma anche di definire

parametri di spesa da raggiungere, di programmare i consumi effettivi, di

qualificare la domanda, di creare dei flussi trasparenti, leggibili ed integrati di dati

e informazioni, di accentrare le competenze e diffondere le conoscenze, di

utilizzare in modalità “riuso” le più moderne piattaforme tecnologiche, di formare

e riqualificare il personale, di innovare i processi amministrativi ed organizzativi,

di monitorare e controllare i risultati rispetto ai parametri definiti.

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5. A. Zito, Professore Ordinario di Diritto Amministrativo (Scuola

Nazionale della Pubblica Amministrazione).

1. Vi è oggi un concorso di almeno tre fattori favorevoli alla definizione di un sistema

di acquisizione di lavori, servizi e forniture da parte delle pubbliche amministrazioni basato

sull’aggregazione e sulla cooperazione tra le stazioni appaltanti. Uno di questi fattori ha natura

extragiuridica; gli altri invece hanno una natura squisitamente giuridica.

2. Il fattore extragiuridico è dato dal diffuso convincimento, ormai presente anche

nell’opinione pubblica, dell’utilità e dei benefici che possono derivare dall’aggregazione e

dalla cooperazione. Tali utilità e benefici sono generalmente individuati nel fatto che, se ci si

aggrega, i maggiori volumi delle acquisizioni, che sono oggetto di gara, portano a prezzi più

bassi a parità di qualità o addirittura a prezzi più bassi congiunti ad una maggiore qualità.

Aggiungo un’ulteriore notazione che non sempre viene ricordata. Bandire una gara europea ha

un costo notevole. Se dunque si fa una gara, in luogo di molte il risparmio è garantito.

3. I fattori giuridici sono di due tipi: a) la recentissima Direttiva europea 2014/24/UE

che ha disciplinato il tema delle centrali di committenza in modo dettagliato ed innovativo; b)

il recentissimo d.l. n. 66 del 2014 che costituisce quasi una sorta di mini attuazione anticipata

della direttiva stessa.

4. Le opportunità di riuscita dell’operazione di aggregazione nelle acquisizioni

pubbliche ci sono dunque tutte. Per coglierle è necessario però delineare e rendere operativo

un disegno complessivo che agisca su tutte le variabili rilevanti. Tali variabili, o perlomeno

quelle principali, sono a mio avviso le seguenti: a) la disciplina normativa; b) la tutela delle

piccole e medie imprese che possono ovviamente essere penalizzate da un sistema

centralizzato delle acquisizioni di lavori, servizi e forniture; c) la formazione di coloro che

saranno chiamati a gestire i processi di aggregazione.

5. A ben guardare il limite maggiore, che il Paese ha dimostrato sino ad oggi, è

proprio quello di non avere saputo costruire un sistema ben funzionante. In proposito non si

può certo dire che ciò sia imputabile alla mancanza di una disciplina normativa, atteso che su

tale tematica si sono accavallati nel corso degli ultimi anni molteplici interventi sia a livello di

fonti normative primarie sia a livello di fonti normative secondarie sia a livello di atti

amministrativi generali.

Fare anche solo l’elenco completo delle disposizioni vigenti, al netto delle ultime

introdotte con il D.L. n. 66 del 2014, richiederebbe molto tempo. Dunque procedo, per così

dire, a campione evidenziando le più significative. Prescindendo dal codice dei contratti

pubblici, ricordo che nello stesso anno è stato introdotto l’art. 1, c. 455, della legge n. 296 del

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2006 (legge finanziaria per il 2007). In detto articolo si prevede che le Regioni possono

costituire centrali di acquisto anche unitamente ad altre Regioni che operano quali centrali di

committenza ai sensi del codice dei contratti pubblici, in favore delle amministrazioni ed enti

regionali, in favore degli enti locali, degli enti del servizio sanitario nazionale e delle altre

pubbliche amministrazioni aventi sede nel medesimo territorio. Nel 2010 con la legge 13

agosto n. 136/2010 è stato introdotto l’art. 13 ai sensi del quale con DPCM sono definite le

modalità per promuovere l’istituzione in ambito regionale di una o più stazioni uniche

appaltanti (SUA) al fine di assicurare la trasparenza, la regolarità e l’economicità della

gestione dei contratti pubblici e per prevenire il rischio di infiltrazioni mafiose.

Successivamente l’art. 1 del d.l. n. 95 del 2012 ha imposto a tutte le amministrazioni

pubbliche, con eccezione delle centrali di committenza regionale, l’acquisto attraverso le

convenzioni Consip accompagnando tale previsione con la nullità dei contratti stipulati senza

ricorrere alla Consip a meno che non risulti dimostrata la convenienza ad operare direttamente.

Sempre nello stesso decreto all’art. 15, c. 13, lett. b) viene poi previsto in ambito sanitario

l’obbligo di acquisto di beni e servizi attraverso il sistema Consip.

Potrei continuare, ma mi fermo. Quanto ricordato però mi serve per svolgere due

ordini di riflessioni.

La ragione per cui, pur in presenza di un panorama normativo ricco e variegato, non si

sono ottenuti risultati efficaci dal punto di vista dell’attuazione ed implementazione dello

stesso, è dipeso, a mio parere, dalla mancanza di un valido sistema di controllo e di sanzioni a

carico dei soggetti deputati a porre in essere le azioni concrete.

E’ vero che con l’art. 1 del D. L. n. 95 del 2012 si è prevista, come ho ricordato, la

nullità dei contratti stipulati in violazione dell’obbligo di approvvigionamento presso la

Consip, ove le amministrazioni statali non dimostrino che i contratti sono stati stipulati ad un

prezzo più basso e che tra l’amministrazione interessata e l’impresa non siano insorte

contestazioni sull’esecuzione. E’ altrettanto vero, però, che la sanzione della nullità,

unitamente alla responsabilità per danno erariale, risulta per certi versi eccessiva (la nullità) e

per altri versi eccessivamente dilazionata nel tempo (la responsabilità per danno erariale). La

nullità del contratto, infatti, mette in discussione e fa diventare recessivo il principio della

stabilità della regolamentazione contrattuale. E ciò certamente non aiuta ad ingenerare negli

operatori economici affidamento e fiducia nei confronti delle pubbliche amministrazioni,

specie ove il soggetto privato non abbia alcuna responsabilità per l’essere entrato in un

contratto, la cui stipula era preclusa alla parte pubblica. E comunque, quand’anche si voglia

sorvolare su questo profilo, a mio parere importantissimo, resta il fatto che l’operatività della

sanzione, ossia la nullità del contratto, inevitabilmente è destinata a generare un contenzioso,

oltre a produrre incertezze e dilemmi sul giudice competente (ordinario o amministrativo?).

Dunque bisogna forse pensare a sanzioni diverse che vadano direttamente ad agire sul

rapporto di lavoro di colui che è responsabile della violazione dell’obbligo di ricorrere alle

convenzioni Consip. In proposito, non mancano certo sanzioni tipiche che possono essere

irrogate anche in ragione della gravità dell’infrazione commessa (sospensione temporanea al

servizio, diminuzione della retribuzione, risoluzione del rapporto di lavoro nei casi più gravi).

Passo alla seconda riflessione. Il presupposto per la riuscita del passaggio da un

sistema di acquisti decentrato ad un sistema meno o poco decentrato, ovvero aggregato e

cooperativo, è che si metta odine a livello normativo attraverso una duplice mossa: abrogare

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tutte le norme adottate a partire dal 2000 (con salvezza dunque della normativa Consip) e

definire una disciplina organica. E’ un’operazione che si può benissimo fare in un arco di

tempo ragionevolmente breve solo che lo si voglia e se ne capisca l’importanza strategica.

Senza una normativa chiara che offra certezze ai dirigenti e ai funzionari delle stazioni

appaltanti, che sono gli attori principali del processo, è molto difficile attendersi risultati

concreti.

6. Detto questo vengo a formulare qualche suggerimento di merito con riguardo

soprattutto al recepimento della direttiva comunitaria. In primo luogo è opportuno però cercare

di capire quale debbono essere i capisaldi sui cui impostare il sistema che si vuole costruire. In

proposito ho all’inizio esordito ricordando i pregi di un sistema di acquisti centralizzato o

comunque basato sull’aggregazione e la cooperazione tra le stazioni appaltanti. E’ necessario

però ricordare, facendo tesoro di quanto viene detto dalla scienza economica, che, se è vero

che grandi volumi permettono di ottenere prezzi migliori, talvolta si verifica il contrario: è

l’acquisizione per piccoli volumi quella che consente di ottenere il prezzo migliore. Ciò

dipende, come ci dicono gli economisti, dal fatto che la curva dei costi è diversa per la grande

e per la piccola e media impresa. Se si ha presente questo, è dunque evidente come il sistema

degli acquisti vada strutturato su un mix di obbligatorietà e derogabilità. E ciò nel senso che

alle stazioni appaltanti deve essere lasciata la possibilità di procedere alle acquisizioni, in

proprio o attraverso il meccanismo dell’appalto congiunto, ove sia provato che a parità di

qualità il prezzo risulta più basso.

Dosando obbligatorietà e derogabilità il sistema produce benefici e autocorregge i

difetti. Se ben costruito può dunque diventare un principio regolatore della corretta formazione

del prezzo nei diversi segmenti di cui si compone il mercato degli appalti pubblici. In questa

prospettiva peraltro non vi è alcuna penalizzazione delle piccole e medie imprese che

costituiscono una parte centrale del nostro sistema produttivo. Anzi per un verso esse non

verranno private della chance di aggiudicarsi gare bandite al di fuori del ricorso alla centrale di

committenza, ove siano in grado di offrire un prezzo più basso, e per altro verso potranno

essere incentivate ad assumere una dimensione più rilevante per essere presenti anche nelle

gare centralizzate, singolarmente o in Associazione temporanea di imprese.

Naturalmente il tutto può funzionare se vi è un efficace sistema di controllo e di

sanzione per le ipotesi in cui si deroghi al ricorso alla centrale di committenza al di fuori dei

casi in cui tale deroga è consentita. Ho già accennato a questo aspetto poc’anzi. Lo riprendo

per aggiungere che, in aggiunta alla responsabilità del dirigente si potrebbe aggiungere quella

degli organi titolari dell’indirizzo politico-amministrativo con sanzioni ad esempio di tipo

decadenziale dalla carica. Quanto detto non vi sembri esagerato. In ogni caso, a prevenire

critiche, invoco l’autorità di un nostro illustre giurista Fabio Merusi. Ricordo in proposito una

sua proposta formulata tanti anni addietro in un libro sull’ingiustizia amministrativa. Si

parlava allora del tema della risarcibilità dei danni derivanti dalla lesione dell’interesse

legittimo. In sintesi la proposta di Merusi per responsabilizzare i vertici dell’amministrazione,

soprattutto locale, ivi compresi i titolari degli organi di indirizzo politico-amministrativo, era

quella di sanzionare i medesimi, in presenza di condanne dell’amministrazione al risarcimento

dei danni, con sanzioni di tipo decadenziale dalla carica. Mi rendo conto che il tutto va

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studiato con attenzione e poi tradotto in termini legislativi nel rispetto dei vincoli anche

costituzionali. Ma è forse giunto il tempo di affrontare seriamente la questione.

7. Un sistema basato su un corretto mix tra obbligatorietà e derogabilità è quello che

emerge chiaramente dalla direttiva comunitaria. In essa infatti il chiaro favor verso la

centralizzazione viene temperato dalla possibilità per le stazioni appaltanti di scegliere di volta

in volta lo strumento migliore (si pensi alla disciplina dell’appalto congiunto).

Con riferimento alla direttiva europea mi pare infine importante sottolineare

l’opportunità che viene offerta dall’art. 39, comma 2, ai sensi del quale uno Stato membro non

vieta alle proprie amministrazioni aggiudicatrici di ricorrere ad attività di centralizzazione

delle committenze offerte da centrali di committenza ubicate in un altro Stato membro.

Ebbene l’opportunità, come detto, è notevole anche in vista dei risparmi di spesa.

Tuttavia, per coglierla appieno, è opportuno che in sede di recepimento si intervenga per

fornire alle stazioni appaltanti un base giuridica sicura in assenza della quale si determinerà un

inevitabile freno all’utilizzo della suddetta opportunità.

8. In conclusione vorrei accennare anche al fatto che, se si passa verso un sistema di

tendenziale centralizzazione degli acquisti, basato su poche centrali di committenza, è

necessario avviare un grande processo di formazione per coloro che dovranno gestire gli

acquisti. Una formazione, si badi bene, che deve essere non soltanto di elevato livello ed a

contenuto multidisciplinare, ma che deve accompagnare periodicamente i dirigenti ed i

funzionari pubblici, stante la continua evoluzione cui la materia degli appalti pubblici è

soggetta. In proposito non mancano esperienze già avviate in modo positivo presso la Scuola

Nazionale dell’Amministrazione che possono costituire un valido modello di riferimento per

ulteriori e più organiche iniziative.

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6. Giancarlo Montedoro, Consigliere del Presidente della Repubblica.

Ovviamente quanto dico non impegna né il Consiglio di Stato, né tantomeno la

Presidenza della Repubblica.

Vorrei intervenire su tre punti: qual è il modello amministrazione europea che

emerge dalle Direttive; qualche punto fermo sulla Spending-review; un’annotazione

fugace in tema di corruzione. Però prima vorrei confessare un certo disagio, che poi

parte dalle stesse domande e risposte che ha dato Sergio Santoro. Un disagio sulla

funzione del giudice amministrativo di fronte ai ricorrenti scandali in tema di

procedure ad evidenza pubblica, che ci proiettano di fronte ad una realtà

completamente diversa dalla realtà documentale.

Parlando oggi di questo tema non possiamo rimanere indifferenti rispetto a

quello che leggiamo, da cittadini e anche da giuristi, cioè da intellettuali, perché i

giuristi sono intellettuali dotati di un sapere specifico. Il giurista può - astrattamente -

svolgere tre funzioni: il consigliere del principe, legittimando quanto il principe vuole

o dandogli forma legittima o limitando i suoi poteri; ma può anche essere il tecnico

neutrale che funge da bocca della legge; l’intellettuale critico che analizza il rapporto

fra diritto e società. Il suo dovere, quando esercita le funzioni giudiziarie, è essere un

tecnico neutrale; quando ci sono occasioni di incontro come questa, il suo dovere è

invece essere un intellettuale critico. Quindi verificare che vi sia uno specifico

problema italiano in materia di appalti, che ha delle ragioni che cercherò di lumeggiare

brevemente, che credo non abbiano nulla a che fare con diritto europeo e con il diritto

degli appalti. Sono ragioni profonde di crisi dei partiti e della democrazia

costituzionale, crisi che si riflette nel sistema degli appalti e che produce una

drammatica divergenza tra dover essere ed essere, fra mondo del diritto e prassi

amministrativa.

La divergenza fra Sein e Sollen è cosa cui i giuristi sono abituati ma essa,

quando si configura come una forbice che si allarga troppo, ci deve far interrogare

pacatamente sui possibili rimedi. E allora cerchiamo di vedere in sintesi qual è il

modello di amministrazione che risulta dalle Direttive in attesa di recepimento. Tale

modello non è una novità perché risulta anche dalla giurisprudenza comunitaria.

Giurisprudenza che va meditata in chiave sistematica ed unitaria, a partire dalla

sentenza Costanzo del 22 giugno 1989 (causa n. 103/88) fino alle più recenti sentenze

su temi come quello della discrezionalità amministrativa, delle offerte anomale e dei

criteri di aggiudicazione come quello dell’ offerta economicamente più vantaggiosa

(Corte di Giustizia 18 ottobre 2001, causa n. 19/00) .

La Corte di Lussemburgo ha sempre valorizzato la discrezionalità. Anche la

Commissione lo fa. Perché il modello di amministrazione europea è un modello di

amministrazione tecnica che non ha paura della decisione discrezionale. E’ un modello

efficiente, è un modello basato sulla responsabilità, è un modello basato sulla

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trasparenza, è modello capace di far emergere fenomeni di corruzione. Noi abbiamo

alcune caratteristiche del nostro diritto che tendono ad esasperare il giuspositivismo e

che determinano negli interpreti oscillazione tra formalismo e retorica generalista.

Il formalismo è inefficiente per definizione ma anche il diritto basato sui

principi non è risolutivo. I principi sono ugualmente scivolosi, perché creano

incertezza del diritto. Quindi oscilliamo tra ossessione delle regole (il codice degli

appalti ne è un esempio perché contiene tantissime regole) e una retorica dei principi

che ugualmente non è il rimedio perché il principio è elastico quindi non dà certezze

agli operatori. Dobbiamo cercare di capire come uscire da questa specifica condizione.

Naturalmente, le Direttive da recepire sono un’occasione, ma non credo ed in questo

concordo con il Presidente Giovannini, ci siano da attendersi soluzioni miracolistiche.

La Direttiva si basa su tre settori speciali. Appalti pubblici e concessioni si

basano su alcune scelte di semplificazione (es.: autocertificazione) e soprattutto su un

approccio che dovrebbe essere volto a orientare un po’ tutti, cioè un approccio

concreto, specifico: bisogna guardare le situazioni concrete. Lo chiamano tool box

approach. Cioè dobbiamo avere una cassetta attrezzi duttile e dobbiamo sapere

quando si utilizza. Il che significa che i giuristi non possono affrontare questi problemi

da soli - e qua tornano riflessioni fatte più volte con il Prof. Satta nei seminari di

“Aperta contrada” o di “Italia decide” - ma devono fare un lavoro in squadra con gli

economisti e con gli ingegneri nello scegliere un recepimento della direttiva molto

calibrato e se possibile semplice, basato non su principi, ma su regole, che però siano

poche e chiare, se possibile. Quindi una via di mezzo tra un eccesso di regole basato su

una sorta di horror vacui (dobbiamo dire tutto come se gli amministratori non

sapessero fare scelte) e una vaghezza interpretativa che lascia all’interprete la prateria

dei principi che crea problemi. Questo perché l’approccio metodologico che sembra

emergere dagli atti europei è basato sulla flessibilità dei metodi di aggiudicazione.

Sono previste tante cose: procedure aperte, procedure ristrette. Nei settori speciali

sono ammesse procedure negoziate con o senza bando e partenariato. Negli appalti in

generale troviamo disciplinate procedure le più varie: competitive con negoziazione,

procedure negoziate senza pubblicazione, dialoghi competitivi, partenariati, accordi

quadro, sistemi dinamici, aste elettroniche, cataloghi elettronici, centrali di

committenza e così via.

Io credo che il messaggio che viene è operare con flessibilità secondo le

situazioni concrete ed essere in grado di apprezzare senza pregiudizio. C’è il favor è

per l’elettronica e l’informatica e questo aiuta. I termini devono essere brevi. Bisogna

distinguere tra requisiti soggettivi e criteri di aggiudicazione, ma non bisogna neanche

enfatizzare i requisiti soggettivi in modo da farne una barriera. L’art. 38 in effetti è

diventato insostenibile anche perché dentro ci abbiamo messo delle esigenze tutte

specifiche di tutela penale - che dirò come si realizza facendo riferimento a una

semplice idea del collega Davigo - gli appalti verdi e l’attenzione alle piccole e medie

imprese. Poi ci sono le concessioni, che sono state finalmente armonizzate, superando

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una certa indeterminatezza del precedente quadro regolatorio. Ci sono, quindi, le

premesse per superare il codice degli appalti se si farà di queste direttive un’attuazione

light con un dialogo tra competenze diverse, che punti all’informatica e sia attenta ai

costi e soprattutto all’esecuzione. Perché non ha senso concentrarsi solo sulle scelte

del contraente se il momento dell’esecuzione sfugge completamente. Dobbiamo

guardarci da un errore prospettico che credo si ripresenterà inevitabilmente all’atto del

recepimento e che si presenta ogni volta che si parla di questa materia.

L’errore di chi guarda al passato e l’errore di chi pensa che il mondo muti con

un colpo di bacchetta magica. Ricordo quando ci fu il recepimento delle Direttive con

il codice de Lise, il confronto (allora fecondo) tra chi guardava all’esperienza della

legge Merloni che era stato il rimedio a Tangentopoli e rimedio che si deve ritenere

giusto, ma contingente e limitato a quel momento storico (purtroppo il diritto degli

appalti è spesso schiacciato sul presente) e chi guardava al diritto comunitario degli

appalti pensando di poter fare una rivoluzione, destinata come tutte le rivoluzioni a

concludersi con l’inevitabile disillusione. Era come se ci fossero due fronti

fondamentalisti, da una parte di chi sposava l’europeismo portato ad allentare sui

vincoli alla discrezionalità e dall’altra chi invece riteneva che occorresse mettere più

vincoli possibili alla discrezionalità amministrativa.

Oggi bisogna fare scelte equilibrate che siano soprattutto basate su buona

tecnica normativa e dobbiamo prenderci il tempo che ci vuole. Qui vengo a un punto

dolente, perché vivendo noi in una situazione di crisi, non ci prendiamo più il tempo

che ci vuole nella normazione. E quindi, nell’incarico che da qualche tempo rivesto,

vedo che ci sono uno, due, talvolta persino tre decreti legge a settimana. Ora, quando i

governi procedono così, governi di qualsiasi colore (è successo anche alla Repubblica

di Weimar, e si sa come è finita, perché se uno si legge Carl Schmitt il custode della

costituzione, il Presidente della Repubblica aveva poteri emergenziali, e perciò sono

stati fatti tanti decreti legge volti a rispondere a emergenze economiche con un cattivo

coordinamento nelle fonti) significa che vi è un problema nella politica moderna che

potremmo chiamare il problema dell’ossessione normativa.

Noi abbiamo già un caos normativo nel sistema delle fonti dovuto al Titolo V,

che le riforme istituzionali pendenti in Parlamento si propongono di risolvere e

speriamo che vadano in porto, perché è essenziale mettere ordine tra fonti statali e

fonti regionali. Ma non è che il legislatore statale sia tanto più capace di dare ordine da

solo alla società (anche indipendentemente dal caos delle fonti indotto dal Titolo V).

Qualche esempio lo troviamo proprio in materia di appalti Consip. Non ho il tempo di

esaminare tutte le antinomie, ma l’art. 9 del d.l. n. 66 del 2014, che è una delle norme

più importanti e che suscitano più speranze nel decreto sulla c.d. spending review,

tuttavia contiene dei punti rispetto ai quali un giurista da tecnico neutrale si

insospettisce sempre. Io me li sono andato a cercare e probabilmente non sono

neanche tutti, sono norme difficili da coordinare. L’art. 3, c. 34 del d.lgs. n. 163 del

2006 che istituisce centrali di committenza è rimasto vigente; le varie norme che sono

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già state dettate in materia di aggregazione a partire dalla legge n. 488 del 1999, che

istituisce la Consip, poi la legge finanziaria per il 2007 (l. 296 del 2006), la legge

finanziaria per il 2008 (l. n. 244 del 2007), il d.l. n. 98 del 2011 (di stabilizzazione

finanziaria), d.l. n. 95 del 2012, l’art. 13 della l. n. 136 del 2010, le SUA, cioè le

stazioni uniche appaltanti a livello regionale con il d.p.c.m. 30 giugno 2011. Insomma,

c’è di che navigare nel sistema delle fonti. Quando si naviga nel sistema delle fonti, si

fa come il flaneur, cioè si gira, si vedono le strade, si vedono i palazzi, ci si sofferma,

e si sceglie questo mi sta meglio e si applica la norma che contingentemente ci sembra

- o si invoca da parte del cittadino - la norma più conveniente, e nel gioco delle

convenienze nessuno sa qual è il comportamento più corretto.

E’ necessario mettere ordine, e per mettere ordine bisogna rinunciare ai decreti

legge. Infatti, uno dei punti qualificanti delle riforme istituzionali, che sono in corso,

prevede la riforma del bicameralismo perfetto, che ci ha consegnato, per inefficienza

del Parlamento, ad un potere del governo che continuamente si intesta attività

normative. E’ un bicameralismo che per essere perfetto - perché il nodo non fu sciolto

in assemblea costituente - non riesce a decidere. Credo che rispetto a questa situazione

l’urgenza di intervenire sia assolutamente sotto gli occhi di tutti. Naturalmente, in

questa illeggibilità o oscurità del sistema normativo interviene la crisi dei partiti.

Essendo superato il periodo storico - lo dice Piero Ignazi in Forza senza legittimità, il

vicolo cieco dei partiti - del partito ideologico, i partiti post ideologici rappresentano

bande che si organizzano e hanno rapporti trasversali a rete. E ci consegnano la triste

realtà che emerge dalle inchieste. Penso che ci siano da affrontare quindi tanti nodi. La

separatezza fra politica e amministrazione, la rinuncia agli automatismi nei metodi di

aggiudicazione, più risorse, perché è inutile fare questi interventi (es. art. 9: qualche

risorsa economica è prevista) a costo zero. Questa povera amministrazione, come può

rendere una qualità di servizi migliore se viene stressata da tagli che incidono sul

corpo vivo di chi lavora (anche se – va detto – l’incisione è sempre inferiore rispetto a

chi non lavora)?

Il funzionario pubblico quindi risulta demotivato, oltre che sempre più anziano,

non essendoci turnover, a cui vengono dati obblighi performativi sempre maggiori.

Anche qui il discorso di aggravamento delle responsabilità. E’ giusto quello che ha

detto il Prof. Zito sull’aggravamento sanzionatorio, ma non mi sembra l’unica

soluzione. E’ l’unica per la corruzione, ma non in via generale. Perché ho paura che

abbiamo un sistema sbilanciato fra giudice penale e giudice contabile, perché il

sistema penale funziona continuamente irrompendo nella cronaca quotidiana, ma solo

con le indagini, perché poi, data la disciplina prescrizione, si rivela ineffettivo.

Uno dei punti chiave della prossima riforma delle leggi penali, non affrontato

dalla legge Severino, è la disciplina della prescrizione. Come sappiamo essa non viene

interrotta all’atto del rinvio a giudizio. Questa interruzione sarebbe una regola di

civiltà. Il sistema contabile, invece, espone illimitatamente qualsiasi funzionario o

dirigente a responsabilità contabile perché la decorrenza dell’azione contabile di danno

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non risale al fatto e l’unica ratio della prescrizione è il diritto di difesa; dopo il decorso

del tempo un soggetto non si può difendere ed è necessario che lo Stato che lo lasci in

pace. Oggi nel sistema contabile questa è grave stortura, il funzionario ha per questo

paura di decidere ed è quindi sovraesposto soprattutto in materie che hanno riflessi

economici reali come questi, il dipendente pubblico è chiamato a rispondere solo

quando il PM contabile ne ha notizia, la notizia si ha magari dopo 10 anni di un

contenzioso amministrativo che annulla la aggiudicazione e trasmette atti alla Corte

dei Conti. Per fortuna il Consiglio di Stato lo fa cum grano salis, cioè lo fa solo nei

casi in cui emerge fisionomia concreta dell’esito dell’illecito civile in illecito contabile

se non penale, però anche qui sarebbe caso di porre regole che ci avviino verso una

maggiore civiltà giuridica, in modo da dire: si amministra, c’è periodo nel quale il

soggetto è esposto ad azione contabile che è diversa da azione penale, però dopo un

certo periodo di tempo non ci si interessa più della vicenda. E’ perciò necessario

rafforzare l’azione penale (allungando la prescrizione) e rendere più ragionevole

l’azione contabile (prevedendo un diverso termine di decorrenza della prescrizione).

Veniamo alla Spending review: mi sembra un’ottima norma che va coordinata

perché l’obiettivo dell’aggregazione è ambizioso, perché dobbiamo passare da 32.000

a 35 stazioni appaltanti, qui spero possa valere suggerimento in chiave di scienza

dell’amministrazione, nel senso che vedo in documenti comunitari che esistono

parecchi modelli di joint procurement: il full procurement e il piggybacking. Qui ne

approfitto per dire che non dovremmo essere timidi: se esistono reti transnazionali,

non dovremmo dire vabbè non le attuiamo. Io adotterei una prospettiva diversa. Noi

abbiamo amministrazioni di eccellenza, perché non facciamo noi il full procurement

per estero? Dovremmo - come Paese - avere questo obiettivo. Dovremmo invertire la

rotta, decidendo che su alcuni settori noi possiamo essere leader ivi compreso il settore

degli appalti. Certo per fare questo, dobbiamo combattere la corruzione. Anche qui mi

pare che la legge Severino sia rimasta a mezza strada, ha introdotto il whistle-blower,

ha previsto l’anonimato a sua tutela, questo ci permette di sapere quali sono le zone di

disagio nella p.a. e di sapere ad es. di un funzionario onesto che si vede circondato da

rete di malaffare e vorrebbe esserne liberato (perché non si può chiedere a tutti di fare

gli eroi). Noi - per rispondere a questa esigenza di liberazione, a questa domanda che

sale dall’interno della P.A. - dobbiamo chiudere il cerchio, avere, dopo il whistle-

blower, l’agente provocatore, come ha suggerito Piercamillo Davigo. Penso che sia

una via percorribile, cioè che si mandino agenti provocatori, ad es. ufficiali della

finanza sotto copertura, dove i cittadini non possono fare gli eroi. E però questo solo

ove si sappia che c’è un’area infetta di grave deviazione e si offrono delle mazzette

come sussurra il whistle-blower. In quei casi sarà comunque utile intervenire perché

l’attività investigativa non sarà solo dell’agente provocatore ma anche di

intercettazione nella supposizione che i soggetti coinvolti nell’attività corruttiva

parlino e continuino a parlare; e ci vuole una norma perché non si discuta della più

frequente obiezione tecnica che può farsi rispetto all’ attività di provocazione ossia che

essa sia inutile se non illegittima. Perché l’agente da una parte - senza scriminante - è -

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astrattamente correo; dall’altra induce alla commissione di un reato certo, ma,

presumibilmente di un reato impossibile, perché in astratto e già in anticipo non

conducibile a conseguenze ulteriori. L’agente provocatore ed il provocato - può

argomentarsi - non compiono mai effettivamente il reato, né la situazione permette che

il reato si compia, onde quest’ultimo non si consuma mai e perciò non si può

sanzionare. Ma l’agente provocatore è utile sempre, a fini amministrativi per la

rilevanza disciplinare delle condotte ed a fini penali, perché i criminali parlano delle

loro vite che sono vite criminali e quindi parlano del reato supposto impossibile ma

anche di altri episodi, e quindi il whistle-blower serve come innesco di un infiltrato

volto a tirar fuori la verità nel mondo oscuro della corruzione. Perché nei rapporti

umani c’è la chiarezza (che gli amministrativisti chiamano trasparenza) ma vi è anche,

purtroppo, un dark side of the moon.

Arrivederci.

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7. F. Merloni, Professore Ordinario di Diritto Amministrativo

(Università degli Studi di Perugia).

Il mio intervento è centrato sul rapporto tra la tematica degli appalti e la

corruzione. La legge n. 190 del 2012, che chi mi ha preceduto ha definito come “legge

Severino” (dal nome del Ministro di Grazie e giustizia del Governo Monti che ha

seguito la parte penalistico-repressiva della legge), ma che io chiamerei Patroni Griffi-

Severino, giacché la parte di prevenzione amministrativa della corruzione, che qui ci

interessa è dovuta proprio a Filippo Patroni Griffi, si occupa solo tangenzialmente del

tema degli appalti, introducendo solo ulteriori regole di trasparenza. Ciò si deve ad una

scelta che puntava a introdurre emendamenti di carattere generale, rinviando ad un

secondo tempo l’introduzione di misure più specifiche, soprattutto nei settori

tradizionalmente più colpiti da fenomeni corruttivi come gli appalti. Tra le misure che

riguardano in generale la prevenzione amministrativa della corruzione, un rilievo

particolare assumono i Piani triennali di prevenzione che le singole amministrazioni

sono state tenute ad adottare (entro il 31 gennaio di quest’anno). Come sapete questi

piani sono fondati sulla rilevazione delle attività amministrative (dei procedimenti) più

esposti ai rischi di corruzione e sull’adozione di misure, organizzative

(semplificazione del procedimento, fissazione di termini, organizzazione del lavoro

negli uffici, trasparenza sulle singole attività e così via) che dovrebbero ridurre

significativamente il grado di rischio. Gli appalti, come si è detto, costituiscono uno di

quei settori in cui i rischi sono più elevati

Procediamo per punti. Il primo punto che volevo trattare e che è stato

richiamato da molti è il tema della discrezionalità e dell’automatismo. In due battute

vorrei dire quanto tutti noi condividiamo: l’Italia si è contraddistinta in Europa per una

legislazione che resisteva alla discrezionalità, in nome di un automatismo che si

riteneva potesse impedire la corruzione, cosa che si è rilevata del tutto infondata.

Anche i meccanismi maggiormente automatici, come quello del prezzo più basso,

sono meccanismi che si prestano facilmente alla corruzione. Perciò ben venga la

maggiore discrezionalità, ben venga l’offerta economicamente più vantaggiosa

favorite in generale dalla normativa europea, ancora una volta con le ultime direttive

di cui qui ci occupiamo. A condizione che si abbia piena consapevolezza che una

maggiore discrezionalità comporta una capacità delle amministrazioni di usare

correttamente del loro potere discrezionale. Il problema è perlopiù di tipo

organizzativo e a questo riguardo le direttive costituiscono una occasione irripetibile.

Il secondo punto che vorrei trattare è quello relativo alla aggregazione dei

soggetti chiamati ad effettuare procedure di gare per l’aggiudicazione di contratti

pubblici. Il discorso ha oggi riguardato principalmente gli acquisti, ma deve essere

fatto anche per i lavori: a riguardo di questi c’è qualche correzione da fare rispetto a

quanto detto fin ora; da un lato, infatti, va condiviso l’obbiettivo di ridurre

drasticamente le stazioni appaltanti dall’abnorme numero attuale (più di 30.000);

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d’altro lato qualche dubbio va espresso sulla cifra prevista nel decreto sulla spending

review (35). Se penso alla riorganizzazione delle stazioni appaltanti in materia di

lavori pubblici mi viene più spontanea la cifra di 100, cioè corrispondente a quello

delle attuali province, che la legge n. 56 di quest’anno vuole trasformare in enti di

secondo grado. In altra sede ho avuto modo di esprimere le mie perplessità sulla ratio

generale di questa “riforma” dell’amministrazione locale. Qui, però, ciò che ci

interessa è che tra le funzioni che la legge attribuisce alle Province vi è la possibilità di

svolgere le funzioni di stazioni appaltanti (art. 1, c. 88). Anche qui sarebbe necessario

un salto molto più deciso, cioè occorre rendere obbligatoria l’attribuzione alle

Province di questa funzione, da svolgere, naturalmente, nell’interesse dei Comuni. La

nuova natura della Provincia come ente in controllo comunale dovrebbe rimuovere

ogni difficoltà in questa direzione. La Provincia e i suoi uffici operano a favore dei

Comuni e realizzano le loro politiche in materia di lavori e di servizi pubblici. Questa

impostazione sarebbe coerente anche con la distinzione tra politica e amministrazione.

Non si tratta infatti di sottrarre ai Comuni e ai loro organi di indirizzo politico la

decisione sull’opera e sul servizio pubblico da realizzare. La politica deve dire tutto

ciò di cui ha bisogno in termini di lavori, servizi e forniture; nello stesso tempo essa

deve potere contare su un’amministrazione degna di questo nome per trasformare quei

bisogni in un’opera pubblica, in un bando di gara fatto come si deve.

Un’amministrazione che abbia, poi, la capacità di gestire l’intero processo: non la sola

gara, ma anche la vigilanza sull’esecuzione del contratto. Una scelta, quella indicata,

che avrebbe il vantaggio di porre al centro dell’attenzione la qualità tecnica delle

nostre pubbliche amministrazioni. Negli ultimi anni l’Italia ha distrutto le proprie

capacità tecniche a livello nazionale e non ha più curato la creazione di una rete

tecnica qualificata a livello locale. Non voglio rimpiangere i vecchi geni civili: ma ad

oggi la politica copre degli spazi che non dovrebbe coprire se fosse salda la distinzione

tra politica e amministrazione. Tale amministrazione dovrebbe essere tanto più

qualificata, tanto sono più elevati gli interessi pubblici che deve curare. Perciò

riduciamo da 30.000 a 100 le stazioni appaltanti, ma il risparmio che ne otteniamo

usiamolo per migliorarne gli organici, reclutiamo personale di qualità, creiamo delle

vere e proprie amministrazioni di eccellenza in Italia. Perché dobbiamo rassegnarci a

un’amministrazione burocraticamente inefficace e sottoposta a corruzione e

infiltrazioni mafiose? Reinvestiamo i risparmi in quest’ottica di miglioramento

dell’Amministrazione.

Altri punti. Le urgenze e le emergenze. Non mi pare dubbio che: la corruzione

possa annidarsi proprio esattamente quando si opera con procedure emergenziali, cioè

con provvedimenti adottati in deroga alla disciplina ordinaria. Questa soluzione, che

ha consentito di affidare direttamente e senza gara molti appalti di lavori e servizi è

stata adottata ben al di là delle occasioni che effettivamente la giustificano, l’esistenza

di effettivi stati di emergenza, come nei casi di calamità naturali o di gravi eventi

straordinari e non prevedibili. Il ricorso periodico a procedure emergenziali fu reso

stabile dalla configurazione dei c.d. “Grandi eventi”, affidati alla responsabilità della

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Protezione civile con una modifica del 2001 della legge n. 225 del 1992. Solo nel

2012, con il d.l. n. 59, i grandi eventi sono stati esclusi dal campo di applicazione della

legge sulla Protezione Civile, e quindi dalla possibilità di derogare alla disciplina in

materia di contratti pubblici. Nel 2013, però, un successivo decreto legge (n. 43 del 26

aprile) ha di nuovo reso applicabili agli interventi per l’Expo 2015 le deroghe per i

grandi eventi abrogate l’anno precedente. Eppure gli interventi normativi per favorire

la realizzazione di questo evento risalgono ormai al 2007 quando si adottarono i primi

decreti di nomina dei commissari straordinari. Non è perciò mancato il tempo per

organizzare la realizzazione delle opere secondo la disciplina ordinaria in materia di

contratti pubblici, ma questo tempo non è stato adeguatamente utilizzato e, alla fine, si

è fatto ricorso al consueto sistema di deroghe. Se c’è una grande concentrazione di

risorse presso un grande evento come l’Expo 2015 non c’è poi da stupirsi se c’è un

forte interesse a condizionare partite del genere.

I controlli. Questo è un altro tema che la legge anticorruzione non ha affrontato

in modo diretto ed organico, ma che pone un grandissimo problema: come

comportarci rispetto a comportamenti illeciti dell’amministrazione e come farli

emergere. Io penso che la logica principale sia la logica dei controlli successivi, a

campione, ma penetranti, molto penetranti, e il ruolo dell’AVCP è fondamentale. Non

si può avere il dubbio sul mantenimento di una simile autorità, occorre invece

rafforzarla sul piano organizzativo e delle risorse a disposizione perché essa possa

svolgere al meglio i compiti di vigilanza e ispettivi già affidati. Ad esempio se esiste

anche un mero sospetto di una anomala esecuzione di un contratto, fondato anche solo

sul semplice discostamento dai prezzi di riferimento, l’Autorità deve intervenire. E’

necessario che l’AVCP possa ricostruire le vicende, irrogare sanzione e segnalarle

all’autorità giudiziaria. Queste funzioni devono essere rafforzate in termini operativi.

La trasparenza. La legge n. 190 del 2012 si occupa largamente della

trasparenza ma quando siamo andati a leggere il decreto (n. 33 del 2013) ci siamo

accorti che, in riferimento agli appalti, esso riproduce gli obblighi di pubblicità già

previsti dal Codice degli appalti. E’ un’occasione in parte mancata, perché lo scopo

fondamentale del decreto delegato era proprio quello di fare avanzare il livello di

trasparenza, ampliando gli obblighi di pubblicità. Resta, comunque la grande novità

del decreto che dà sostanza e operatività, finora mancate, all’obiettivo del controllo

diffuso, democratico, dei cittadini sull’operato delle amministrazioni pubbliche. Gli

obblighi di trasparenza, infatti, sono sorretti dal riconoscimento del diritto di “accesso

civico”, che consente a qualunque cittadino, indipendentemente dalla titolarità di una

situazione soggettiva coinvolta nel procedimento, di trovare nei siti web delle

amministrazioni tutte le informazioni che la legge impone loro di pubblicare. Poiché

questa nuova trasparenza si rivela come un potente strumento di garanzia

dell’imparzialità (e del buon andamento), gli obblighi di pubblicità in materia di

appalti potevano essere pensati in maniera un po’ più estesa. E’ necessario ragionare in

maniera più organica su che cosa è necessario rendere pubblico in materia di appalti,

nell’ottica di trasparenza non solo per le imprese (di modo che sappiano come

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tutelarsi), ma anche di garanzia della legalità dei comportamenti delle

amministrazioni. In una prospettiva di revisione completa degli obblighi dovranno

collaborare l’Autorità di vigilanza sui contratti e l’Autorità nazionale anticorruzione,

anche al fine di stilare una lista completa dei soggetti, pubblici e privati, da sottoporre

agli obblighi di pubblicità in materia di appalti.

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Relazione conclusiva al convegno

8. Roberto Cavallo Perin, Professore Ordinario di Diritto

Amministrativo (Università degli Studi di Torino).

1. Molte e importanti sono le cose dette oggi che consentono di aprire nuove

prospettive alla disciplina sugli appalti e le concessioni pubbliche, ma l’aspetto di

maggiore interesse è la possibilità che talvolta l’Italia riesce a conquistare la

leadership in Europa e contribuire in modo significativo alle innovazioni giuridiche in

materia.

Così è stato con la sentenza capostipite della Corte di Giustizia sull’in-house

providing che utilizza appieno - grazie ad un Avvocato Generale professore italiano di

diritto comparato - la nostra teoria degli enti strumentali1, vestendola del nomen juris

che nella disciplina inglese impone alle amministrazioni pubbliche una ricognizione di

mercato prima di affidare la produzione di un bene o servizio ai propri uffici2.

Un esempio più recente è quello che è all’origine di una ricerca applicata

condotta da un Dipartimento dell’Università degli Studi di Torino da cui è scaturita

l’osservazione alla proposta di direttiva che è riuscita a fare sistema, certo unendosi

alle più forti centrali di committenza d’Europa come quella che a Parigi svolge

professionalmente da alcuni anni acquisti in sanità3.

La gara organizzata dalle pubbliche amministrazioni nazionali – seppure aperta

a tutte le imprese anche straniere – risulta uno strumento di gran lunga inadeguato se si

scopre che i produttori in sanità (di farmaci, di dispositivi medicali, ecc.) ne

organizzano lo smercio suddividendo il territorio globale in concessionari esclusivisti

con prezzi differenziati in ragione dei diversi mercati nazionali, ove l’Italia ha quasi

sempre i prezzi più alti.

Ricerca applicata e ricerca di base paiono ricongiungersi al fine di uno sforzo

comune: si recupera l’esperienza di vere e proprie centrali di committenza con

“capacità di acquisto” professionale di beni servizi e lavori, ma al tempo stesso risulta

utile ricordare che la disciplina atta a realizzare il mercato comune non può certo

riguardare il solo lato dell’offerta - cioè garantendo a ogni impresa di partecipare a

qualsiasi gara indetta da un’amministrazione pubblica di uno Stato membro - ma

1 Corte giust. CE, 10 novembre 1998, C-360/96 Gemeente Arnhem, Gemeente Rheden c. BFI Holding

BV, conclusioni poi riprese nella più nota sentenza Teckal: Corte giust. CE, 18 novembre 1999, C-

107/98, Teckal c. Com. Viano e AGAC, cfr. anche Corte giust. CE, 7 dicembre 2000, C-94/99, ARGE

Gewässerschutz c. Bundesministerium für Land- und Forstwirtschaft. 2 Sulla comparazione tra soluzioni organizzative realizzata con il sistema del “Best Value”: T. PROSSER,

L’offerta concorrenziale e il best value nel governo locale, in I contratti della pubblica amministrazione

in Europa, a cura di E. Ferrari, Torino, 2003, 243 ss. 3 Università degli Studi di Torino - dipartimento di Management, gruppo di ricerca coordinato dalla

Prof.ssa G. M. Racca, progetto Healthy Ageing and Public Procurement of Innovation finanziato dalla

Commissione UE (DG Enterprises) nell’ambito della call Public Procurement for Innovation (PPI -

ENT/CIP/11/C/N02C011). http://www.happi-project.eu/

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involge anche il lato della domanda, che dell’offerta è il necessario antecedente logico

giuridico.

Disciplina sull’organizzazione della domanda pubblica, che anche solo in via

interpretativa delle norme del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, non

può non consentire a ciascuna amministrazione aggiudicatrice la facoltà di relazionarsi

con qualsiasi altra amministrazione presente nell’Unione europea. Se è consentita la

cooperazione convenzionale o strutturale (in-house providing) tra le amministrazioni

aggiudicatrici di uno stesso Stato membro non si possono alzare limiti a che la stessa

soluzione intervenga anche tra amministrazioni aggiudicatrici di differenti Stati

membri.

La ragione legittimante si ritrova infatti per entrambi i tipi di cooperazione

nell’utilità per il mercato comune di vedere aggregata una “domanda pubblica” e

nell’interesse pubblico ad una cooperazione tra amministrazioni aggiudicatrici che

acquisiscono perciò una maggiore professionalità negli acquisti, instaurando un circolo

virtuoso che stimola l’innovazione4. La ricerca applicata ci ha segnalato una semplice

e concreta convenienza nel provare ad accedere agli acquisti effettuati oltralpe, ove in

molti casi si sono ritrovati prezzi migliori (anche -20%).

2. Il caso Amburgo5 afferma una regola giuridica semplice: l’atto giuridico –

comunque denominato – che abbia ad oggetto l’aggregazione di una domanda

pubblica non è soggetto a gara, poiché configurando - per così dire - un gruppo di

acquisto pubblico non determina ancora un punto d’incontro tra domanda pubblica ed

offerta dei produttori6. Difettando l’incontro tra domanda ed offerta manca l’atto-fatto

giuridico da cui scaturisce l’obbligo per le amministrazioni aggiudicatrici di scelta del

contraente con gara pubblica.

La disciplina è ora esplicita nel testo delle ultime direttive in materia di appalti

e concessioni pubbliche (Dir. 2014/23/UE del 26 febbraio 2014 sull’aggiudicazione

dei contratti di concessione; Dir. 2014/24/UE del 26 febbraio 2014 sugli appalti

pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE), ma la si poteva desumere in via

interpretativa sin dalle precedenti che - assoggettando a gara lo Stato, gli enti

territoriali e loro associazioni - non hanno mai assoggettato a gara gli atti associativi

costitutivi del consorzio, con soluzione che è nota nel nostro ordinamento quanto

4 G. L. ALBANO, F. DINI, G. SPAGNOLO, Strumenti a sostegno della qualità negli acquisti pubblici,

Quaderni Consip, 2008, I, 3; L. FIORENTINO, Introduzione, in Gli acquisti delle amministrazioni

pubbliche nella repubblica federale, a cura di L. FIORENTINO, Bologna, 18; G. MAZZANTINI, La spesa

per consumi finali nella pubblica amministrazione: analisi del trend delle sue componenti e ruolo di

Consip, ivi, 234; G. M. RACCA, R. CAVALLO PERIN, Organizzazioni sanitarie e contratti pubblici in

Europa: modelli organizzativi per la qualità in un sistema di concorrenza, in I servizi sanitari:

organizzazione, riforme e sostenibilità. Una prospettiva comparata, a cura di A. Pioggia, S. Civitarese

Matteucci, G.M. Racca, M. Dugato, Santarcangelo di Romagna, 2011, 197 5 Corte giust. CE, 9 giugno 2009, C-480/06, Commissione c. Repubblica Federale di Germania,

conosciuta anche come “caso Amburgo”. 6 Si consenta il rinvio: R. CAVALLO PERIN, I servizi pubblici locali: modelli gestionali e destino delle

utilities, in Atti del convegno: L’integrazione degli ordinamenti giuridici in Europa, Lecce 23-24

maggio 2014, in corso di pubblicazione.

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meno dai consorzi dei primi anni del secolo scorso7. Si tratta di principi di diritto

amministrativo che perciò non arrivano dall’ordinamento dell’Unione europea se non

nel senso che da tale ordinamento ritornano in quello degli Stati membri dalla cui

cultura istituzionale sono effettivamente scaturiti come cultura dell’amministrazione

pubblica che è stata comune a molti Stati.

Si potrebbe pensare che il diritto amministrativo prenda coscienza con ritardo

di ciò che il diritto commerciale ha elaborato da cinquant’anni con la nota “teoria dei

gruppi”, che vuole prendere atto del superamento in taluni casi della partizione data

dalla pluralità delle persone giuridiche8.

Sennonché il diritto amministrativo almeno dalla fine dell’ottocento declina un

concetto di pubblica amministrazione espresso quasi sempre al singolare e non solo

per un fatto teorico-concettuale, ma anzitutto per la stessa configurazione istituzionale

del Governo in Italia. I ministeri non solo sono Governo perché il presidente del

consiglio e i relativi ministri cui gli stessi fanno capo costituiscono insieme il

Consiglio dei Ministri (art. 92, Cost.), ma ancora prima perché hanno una capacità di

spesa che è definita dall’unico bilancio dello Stato, che qui va inteso nel senso di

Repubblica italiana, cui appartengono tra gli altri sia le amministrazioni statali sia

quelle del sistema degli enti territoriali. Più di recente tutte le amministrazioni

pubbliche sono state ulteriormente limitate dal c. d. “patto di stabilità”, che a sua volta

istituzionalmente introduce un potente legame sovranazionale tra le amministrazioni

pubbliche degli Stati membri dell’Unione europea. La personalità giuridica di ciascun

ministero è dunque forse ancor meno rilevante di quella di una società di capitali che è

divenuta parte di un gruppo societario. Ciò che da tempo ha offerto allo Stato italiano

la norma costituzionale dello Statuto Albertino che con la definizione istituzionale del

governo parrebbe avere anticipato più di 150 anni la teoria dei gruppi.

3. Più in generale l’importanza degli studi sull’organizzazione pubblica è

cresciuta anche per la nostra materia di diritto amministrativo portando l’attenzione

ben oltre le competenze di controllo e di giurisdizione della Corte dei Conti e la

configurazione della responsabilità amministrativa, e così contendendo un’esclusiva -

durata molti anni - agli studi d’organizzazione di sociologi ed economisti. Oggi

apprendiamo che l’organizzazione è capacità dell’amministrazione pubblica definita

secondo le norme e gli usi che le riguardano (art. 11, disp. prel. al cod. civ.), anzitutto

l’adeguatezza dell’ente all’esercizio delle funzioni, poiché per norma costituzionale gli

enti che costituiscono l’organizzazione della Repubblica italiana (art. 114, Cost.) non

possono ricevere la titolarità di posizioni soggettive attive e passive - tra cui le

funzioni - se non ove abbiano un’adeguata organizzazione a tal fine (art. 118, Cost.),

7 G. DE GASPARE, voce Consorzi amministrativi, in Dig. disc. pubbl., 1989, CD rom utetgiuridica; S.

CIVITARESE, Art. 31, in Commentario breve al testo unico sulle autonomie locali, Breviaria Iuris,

diretto da R. Cavallo Perin e A. Romano, Padova, 2006, 182. 8 Di recente: P. MONTALENTI, Direzione e coordinamento nei gruppi societari, in Riv. soc., 2007, 317

ss.

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cioè un’organizzazione che sia capace - anzitutto in fatto e dunque giuridicamente - di

divenire titolare di funzioni pubbliche9.

Attraverso la capacità giuridica la rilevanza dell’organizzazione assume rilievo

anche per la definizione di validità degli atti emanati nell’esercizio di una funzione10

,

non importa ora definire a come nullità oppure annullabilità dell’atto giuridico posto in

essere da un’organizzazione inadeguata e che perciò è giuridicamente incapace11

.

La nozione non è ignota al diritto amministrativo, in particolare a quello in

materia di appalti che limita da tempo la simmetrica capacità – tecnico-professionale,

economico e finanziaria12

– delle imprese che intendano stipulare contratti con

l’amministrazione pubblica. L’ordinamento non può richiedere capacità ad un solo

lato delle organizzazioni che si apprestano a instaurare un rapporto d’appalto o di

concessione pubblica, poiché ciò equivarrebbe a lasciare l’ente pubblico in una

posizione di sudditanza, più esattamente - essendo privo di professionalità o sicurezza

economico-finanziaria - d’incapacità alla stipulazione del contratto d’appalto, ma

ancor più a verificare l’esattezza della successiva esecuzione contrattuale13

.

Le recenti norme sui comuni (d. l. 24 aprile 2014, n. 66, conv. in l. 23 giugno

2014, n. 89) si configurano in tal senso come riacquisita simmetria tra parti di un

rapporto contrattuale, ma ancor prima come disciplina d’attuazione degli assetti sul

riparto di competenza tra gli enti che costituiscono la Repubblica italiana.

Tutti gli studi in ordine alla capacità delle imprese, alla possibilità di costituite

associazioni temporanee d’impresa, all’avvalimento d’aziende altrui o di parti di

esse14

, valgono a fortiori per l’ente pubblico, ove sin dal 1948 si era elevata la

possibilità di valersi di uffici di comuni e degli altri enti locali a parametro normale di

9 A. PIOGGIA, La competenza amministrativa. L’organizzazione fra specialità pubblica e diritto privato,

Torino, 2001, 179 sottolinea la rilevanza dell’adeguatezza come norma che impedisce di considerare in

modo eguale gli enti destinatari delle funzioni. 10

A. FALZEA, voce Capacità (teoria generale), in Enc. Dir., VI, Milano, 1960, 26; A. MASSERA,

Contributo allo studio delle figure giuridiche soggettive nel diritto amministrativo, Milano, 1986, 127

ss., di recente G. SCIULLO, L’organizzazione amministrativa, Torino, 2013, 95. 11

A. FALZEA, voce Capacità (teoria generale), cit., 10; L. FORTI, Sulla formazione dei contratti della

p.a., in Riv. it. Sc. Giur., 1938, 1; F. G. SCOCA, Le amministrazioni come operatori giuridici, in Diritto

amministrativo, a cura di L. MAZZAROLI, G. PERICU, A. ROMANO, F. A. ROVERSI MONACO, F. G.

SCOCA, Bologna, vol. 1, 2005, 304; F. GALGANO, Diritto privato, Padova, 2010, 75; ALB . ROMANO,

voce Autonomia nel diritto pubblico, in Dig. Disc. pubbl., 1987, II, 30 ss., secondo cui “le norme

civilistiche la cui violazione importa nullità del negozio, e cioè, appunto, la sua irrilevanza, possono

essere viste ad un tempo come condizioni e limiti dell'autonomia privata al loro interno riconosciuta, e

come condizioni e limiti della efficacia dei negozi mediante tale autonomia posti in essere, al loro

interno assicurata”. 12

Per tutti D. DE PRETIS, I requisiti di partecipazione alle gare e i limiti alla discrezionalità

dell’amministrazione, in Appalti pubblici di servizi e concessioni di servizio pubblico, a cura di F.

MASTRAGOSTINO, Padova, 1998, 129. 13

R. CAVALLO PERIN, G.M. RACCA, La concorrenza nell'esecuzione dei contratti pubblici, in Dir.

amm., 2010, 330 ss; U. ALLEGRETTI, voce Imparzialità e buon andamento della p.a., in Dig. disc.

pubbl.,1993, CD rom utetgiuridica; da ultimo: A GIANNELLI, Esecuzione e rinegoziazione degli appalti

pubblici, Napoli, 2012, 121; M. E. COMBA, L'esecuzione delle opere pubbliche. Con cenni di diritto

comparato, Torino, 2011, 37 e ss.; ID., Effects of EU Law on Contract Management, in EU Public

Contract Law. Public Procurement and Beyond, a cura di M. Trybus, R. Caranta, G. Edelstam,

Bruxelles, 2014, 317 ss. 14

Corte giust. UE, 10 ottobre 2013, n. C-94/12; Cons. St., sez. V, 9 dicembre 2013, n. 5874.

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esercizio delle funzioni delle Regioni (art. 118, u.c., Cost.), per non trattare

dell’utilizzazione degli uffici comunali di cui molti anni lo Stato italiano fruisce per i

servizi dell’anagrafe e dello stato civile, della leva militare e del sistema elettorale

(d.lg. 18 agosto 2000, n. 267, art. 1415

).

L’adeguatezza dell’organizzazione pubblica è di rilievo anche per un effettivo

contrasto ai fenomeni di corruzione degli enti pubblici16

che si trovano a svolgere un

eccezionale concentrazione di appalti in un determinato periodo (c.d. grandi eventi17

).

Il sindacato di legittimità della Corte Costituzionale per le leggi che distribuiscono le

funzioni assume dunque tutta la sua importanza, sindacato che in materia di appalti,

proviene anzitutto in via incidentale dalla giurisdizione esclusiva del giudice

amministrativo, su cui interviene appunto il d. l. n. 66 del 2014, cit.

4. Adeguatezza come giudizio relazionale sull’organizzazione a essere titolare

dell’attività, che non può tuttavia essere intesa come categoria indifferenziata degli

appalti, ma che va correlata ai diversi tipi di contratti che sono normalmente stipulati

dalle amministrazioni aggiudicatrici18

. La tipicizzazione dei contratti in area pubblica

assume dunque una valenza particolare, poiché definendo il tipo di attività determina il

tipo di professionalità necessaria per la stipula e per il controllo sull’esatta esecuzione.

Tipicità dei contratti pubblici che scaturisce dell’informatizzazione dei pubblici uffici,

dal software che diverrà necessario utilizzare per la stipulazione e l’esecuzione,

offrendo una banca dati sulle funzioni e le prestazioni pubbliche che imporrà ex facto

un giudizio sull’adeguatezza delle organizzazioni a svolgerle.

15

Si consenta il rinvio: R. CAVALLO PERIN, Art. 14, in Commentario breve al testo unico sulle

autonomie locali, Breviaria Iuris, diretto da R. Cavallo Perin e A. Romano, Padova, 2006, 99 ss. 16

G. M. RACCA, R. CAVALLO PERIN, Corruption as a Violation of Fundamental Rights: Reputation Risk

as a Deterrent Against the Lack of Loyalty, in Ius Publicum Network Review, 2014, accessibile in

http://www.ius-publicum.com/. In corso di pubblicazione in G. M. RACCA – C. R. YUKINS (a cura di),

Integrity And Efficiency In Sustainable Public Contracts. Corruption, conflicts of interest, favoritism

and inclusion of non-economic criteria in Public Contracts, Bruylant, 2014; B. G. MATTARELLA,

Doveri di comportamento, in La corruzione amministrativa. Cause, prevenzione e rimedi, a cura di F.

Merloni, L. Vandelli, Firenze, 2011, 227; F. MANGANARO, Corruzione e criminalità organizzata, in

L’area grigia della ‘ndrangheta, a cura di C. La Camera, Roma, 2012, 128. 17

O. R. SPILLING, L'impatto economico dei Mega Eventi: il caso Lillehammer 1994, in Olimpiadi e

grandi eventi – Verso Torino 2006. Come una città può vincere o perdere le Olimpiadi, a cura di L.

Bobbio, C. Guala, Roma, 2002, 115-117; C. GUALA, Introduzione. Olimpiadi e Mega Eventi, ivi, 17 ss.;

M. CAPANTINI, I grandi eventi, esperienze nazionali e sistemi ultrastatali, Napoli, 2010, 6 ss.; R.

CAVALLO PERIN, B. GAGLIARDI, La disciplina giuridica dei grandi eventi e le olimpiadi invernali

“Torino 2006”, in Dir. amm., 2012, 189 ss; 18

R. CAVALLO PERIN, Tavola Rotonda - Convegno Copanello 2005, in AA. VV, Le disuguaglianze

sostenibili nei sistemi autonomistici multilivello, a cura di F. Astone, M. Caldarera, F. Manganaro, A.

Romano Tassone, F. Saitta, Torino, 2006, 128; P. FORTE, Aggregazioni pubbliche locali. Forme

associative nel governo e nell’amministrazione tra autonomia politica, territorialità e governance,

Milano, 2011, 18 ss. Per un’analisi unitamente al principio di sussidiarietà seppur incidentalmente cfr.:

I. MASSA PINTO, Il principio di sussidiarietà. Profili storici e costituzionali, Napoli, 2003, 78 ss; R. BIN,

P. CARETTI, Profili costituzionali dell’Unione europea, 2009, Bologna, 111 ss.; S. BARTOLE, R. BIN, G.

FALCON, R. TOSI, Diritto regionale, Bologna 2005, 186; R. BIN, La funzione amministrativa nel nuovo

Titolo V della Costituzione, in Regioni, 2002, 367; G. FALCON, Modello e transizione nel nuovo Titolo V

della Parte seconda della Costituzione, in Regioni, n. 2001, 1259 s.; ID., Funzioni amministrative ed

enti locali nei nuovi artt. 118 e 117 della Costituzione, in Regioni, 2002, 383 ss; A. D'ATENA, Il

principio di sussidiarietà nella costituzione italiana, in Riv. it. dir. pubbl. comun., 1997, 609.

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Il fatto di avere informazioni ci porta a dovere tenere conto, sia che esse

riguardino le modalità con cui vengono stipulati contratti e la qualità dell’esecuzione

contrattuale, sia che investano le prestazioni che si sono ottenute grazie alle

professionalità profuse nell’organizzazione di una gara, rivelando le costanti

ineludibili tra capacità delle organizzazioni (potenziale - ex ente) e qualità delle

prestazioni (reale - ex post).

Soprattutto in materia di organizzazione si afferma il brocardo ex facto jus

oritur: da un monitoraggio dei dati sulle attività funzioni o servizi scaturisce il vincolo

all’adeguatezza delle organizzazioni. Immaginate contratti aperti per qualsiasi

amministrazione aggiudicatrice che abbia la scelta tra aderirvi o bandire in autonomia.

La scelta preliminare - se bandire o aderire alla gara d’altri - è atto d’organizzazione

che è soggetto al sindacato giurisdizionale che gli è proprio, quello per vizio d’eccesso

di potere di proporzionalità secondo i principi dell’Unione europea19

.

5. Dobbiamo partecipare ad esperienze europee che ci potrebbero consentire di

procedere celermente. Se è vero che il diritto delle organizzazioni pubbliche è più di

altri un diritto essenzialmente istituzionale, è necessario essere presenti nelle

istituzioni, soprattutto in quelle capaci d’innovazione, poiché diversamente il diritto

italiano amministrativo positivo rischia la sua marginalizzazione nelle leggi, nella

giurisprudenza. Non si tratta della cultura del diritto amministrativo che è

sostanzialmente comune a quella degli altri Stati membri20

. Non si tratta di essere

all’avanguardia ma di partecipare ad esperienze che sono oggettivamente più avanzate

delle nostre, non foss’altro perché hanno lavorato su certi temi come le centrali

nazionali d’acquisto in materie determinate da molti anni prima di noi. Partecipare

all’esperienza altrui non significa essere subalterni, ma significa davvero trasformare

la comparazione del diritto da metodo per lo studio giuridico a elemento oggettivo di

confronto nella competizione. Il prezzo di un lotto di fornitura in Italia, bandito da una

centrale a rilevanza sovranazionale unitamente a lotti per la Germania, per la Francia o

per il Regno Unito evidenzia ancor più l’importanza del diritto nazionale, della sua

giurisdizione, dunque di tempi e modi (effettività) in cui sono risolti i conflitti tra

19

Sul principio di proporzionalità di recente: C. giust. UE, 8 luglio 2010, C-343/09, Afton Chemical

Limited c. Secretary of State for Transport; C. giust. UE, 29 giugno 2010, C-441/07 P, Commissione c.

Alrosa Company Ltd; C. giust. UE, 24 giugno 2010, C-375/08, Luigi Pontini e a.; C. giust. UE, 8

giugno 2010, C-58/08, Vodafone LTD e a. c. Secretary of State Business, Enterprise and Regulatory

Reform; C. giust. UE, 20 maggio 2010, C-365/08, Agrana Zucker GmbH c. Bundesminister für Land-

und Forstwirtschaft, Umwelt und Wasserwirtschaft; C. giust. UE, 21 gennaio 2010, C-311/08, Société

de Gestion Industrielle SA (SGI) c. Regno del Belgio. Cfr. D.U. GALETTA, Le principe de

proportionnalité, in Droit administratif Européen, sous la direction de J.B. Auby et J. Dutheil de la

Rochère, Bruylant, Bruxelles, 2013, 501 ss.; ID., Principio di proporzionalità e sindacato

giurisdizionale nel diritto amministrativo, Milano, 1998, 74 ss.; S. COGNETTI, Principio di

proporzionalità: profili di teoria generale e di analisi sistematica, Torino, 2011, 110 ss.; A. SANDULLI,

La proporzionalità dell’azione amministrativa, Padova, 1998, 108 ss. 20

F. MERUSI, Integration between EU law and national administrative legitimacy, in www.ius-

publicum.com, 2, 2013.

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imprese e con l’amministrazione aggiudicatrice nei vari ordinamenti degli Stati

membri.

Oggi si è detto che cambia la natura degli acquisti in Italia, io credo che ciò sia

vero. Non credo invece che l’innovazione debba inevitabilmente dipendere da scelte

legislative essendo sufficiente in molti casi una sentenza della Corte costituzionale, un

cangiamento d’indirizzo dell’Adunanza plenaria, senza proclamare sempre la propria

impotenza perché s’invoca l’intervento della legge.

Il giudice è l’interprete del diritto e perciò ha sul caso concreto - per scelta

costituzionale - l’ultima parola. Nella canonizzazione delle interpretazioni quella

letterale è la prescelta nei primissimi tempi dall’entrata in vigore di una norma, in

ossequio alla tripartizione dei poteri, più precisamente del principio di soggezione dei

giudici alla legge, poi sono la ratio normativa ed altri criteri ermeneutici a prevalere.

Soggezione dei giudici alla legge nel significato proprio di una riserva al legislatore

del monopolio della creazione del diritto. Se si ritiene irragionevole una norma a

seguito dell’innovazione anche repentina dei tempi si disponga per un’interpretazione

altrettanto innovativa, rovesciando se del caso il tenore letterale della norma.

6. Sono state invocate qui le sanzioni alternative all’annullamento dell’atto e

tali sono quelle interdittive di tipo disciplinare che richiedono un procedimento

avverso coloro che le gare le hanno svolte21

, oppure se pensiamo a sanzioni interdittive

irrogate dalla giurisdizione che oggi è quella penale, ma nulla esclude che possano

essere assegnate con legge anche alla giurisdizione esclusiva in materia di appalti e

concessioni.

Di ciò non manca il fondamento costituzionale: se la cittadinanza si fonda sulla

nostra fedeltà alla Repubblica (art. 54, co. 1°, Cost.) un tradimento della stessa fonda

la conseguente sua perdita quanto meno in parte; ancor più il funzionario pubblico

deve assolvere all’incarico con disciplina e onore (art. 54, co. 2°, Cost.)22

e il disonore

ha avuto in effetti una sanzione che nel suo massimo è sempre stata la radiazione, non

importa ora se con possibilità di un riabilitazione di coloro che si siano seriamente

ravveduti.

21

OECD, Principles for Integrity in Public Procurement, OECD publishing, 2009, 34-35, in

www.oecd.org. Cfr. inoltre: R. CAVALLO PERIN, B. GAGLIARDI, La dirigenza pubblica al servizio degli

amministrati, in Riv. trim. dir. Pubbl., 2014, 332 ss.. 22

G. M. RACCA, Disciplina e onore nell'attuazione costituzionale dei codici di comportamento, in Al

servizio della Nazione, a cura di F. Merloni e R. Cavallo Perin, Milano, 2009, 250 ss.; R. CAVALLO

PERIN, L'etica pubblica come contenuto di un diritto fondamentale degli amministrati alla correttezza

dei funzionari, ivi, 152 ss.; B. G. MATTARELLA, Le regole dell’onestà, Bologna, 2007, 136 ss.; G.

ZAGREBELSKY, Sessant’anni di Costituzione, introduzione a La Costituzione Italiana, Roma, 2008, 12;

L. VENTURA, Art. 54, in Commentario della Costituzione, fondato da G. Branca e continuato da A.

Pizzorusso, Bologna-Roma, 1994, 84 ss.; da ultimo: A. MORELLI, I paradossi della fedeltà alla

Repubblica, Torino, 2013, 236 ss.; G. SIRIANNI, Le qualità dei governanti nella Costituzione, in Dir.

pubbl., 2012, 169 ss.