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www.judicium.it 1 ROBERTA TISCINI Considerazioni intorno a natura, effetti e regime dell’ordinanza di assegnazione del credito ex art. 553 c.p.c.* Sommario: 1.La nuova immagine dell’ordinanza di assegnazione del credito.- 2. L’efficacia di titolo esecutivo e l’inattitudine al giudicato secondo dottrina e giurisprudenza. - 3. Un titolo esecutivo “opportuno”. - 4. Il contenuto di “accertamento” o meramente esecutivo dell’ordinanza di assegnazione. - 5. Segue: le recenti conferme del Consiglio di Stato in punto di “attitudine al giudicato” dell’ordinanza di assegnazione dell’art. 553 c.p.c. - 6. Provvedimento “decisorio senza accertamento”? - 7. I rimedi avverso l’ordinanza di assegnazione. - 8. Segue: opposizione agli atti esecutivi o appello? - 9. Segue: opposizione all’esecuzione? - 10. Margini di contestabilità dell’ordinanza quale titolo per la successiva esecuzione diretta contro il terzo assegnato. - 11. In sintesi. 1.La nuova immagine dell’ordinanza di assegnazione del credito. Il dato testuale dell’art. 553 c.p.c. offre una immagine del regime che dovrebbe governare l’ordinanza di assegnazione del credito nell’espropriazione presso terzi molto diversa da come essa si propone nella realtà concreta. La norma si limita a stabilire che “se il terzo si dichiara o è dichiarato debitore di somme esigibili immediatamente o in termini non maggiori di novanta giorni, il giudice dell'esecuzione le assegna in pagamento, salvo esazione, ai creditori concorrenti” (comma 1). In misura parzialmente simile, il comma 2 per i crediti esigibili in un termine maggiore di novanta giorni, nel qual caso la strada dell’assegnazione è percorribile ove i creditori ne facciano richiesta su accordo (in mancanza di accordo per l'assegnazione, valgono le regole richiamate dall’art. 552 c.p.c. per la vendita di cose mobili). Nulla dice la legge sul procedimento, né essa impone una particolare efficacia all’atto che ne è conclusione, dovendo il giudice sempre stando al testo dell’art. 553 c.p.c. limitarsi ad assegnare le somme in pagamento “salvo esazione”, senza che l’assegnazione sia preceduta da indagini più o meno sommarie sulla sussistenza e quantificazione del credito, o sui presupposti della procedura esecutiva. Tuttavia, tenuto conto degli effetti che l’ordinanza produce tra le parti e nei confronti del terzo, si è venuto creando uno scollamento tra ciò che la legge dice e ciò che dovrebbe dire per rispondere alle esigenze del caso concreto; sicché, giurisprudenza e dottrina ne hanno elaborato letture e ricostruzioni a dir poco creative.

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ROBERTA TISCINI

Considerazioni intorno a natura, effetti e regime dell’ordinanza di assegnazione del

credito ex art. 553 c.p.c.*

Sommario: 1.La nuova immagine dell’ordinanza di assegnazione del credito.- 2. L’efficacia di titolo

esecutivo e l’inattitudine al giudicato secondo dottrina e giurisprudenza. - 3. Un titolo esecutivo “opportuno”.

- 4. Il contenuto di “accertamento” o meramente esecutivo dell’ordinanza di assegnazione. - 5. Segue: le

recenti conferme del Consiglio di Stato in punto di “attitudine al giudicato” dell’ordinanza di assegnazione

dell’art. 553 c.p.c. - 6. Provvedimento “decisorio senza accertamento”? - 7. I rimedi avverso l’ordinanza di

assegnazione. - 8. Segue: opposizione agli atti esecutivi o appello? - 9. Segue: opposizione all’esecuzione? -

10. Margini di contestabilità dell’ordinanza quale titolo per la successiva esecuzione diretta contro il terzo

assegnato. - 11. In sintesi.

1.La nuova immagine dell’ordinanza di assegnazione del credito.

Il dato testuale dell’art. 553 c.p.c. offre una immagine del regime che dovrebbe governare

l’ordinanza di assegnazione del credito nell’espropriazione presso terzi molto diversa da come essa

si propone nella realtà concreta. La norma si limita a stabilire che “se il terzo si dichiara o è

dichiarato debitore di somme esigibili immediatamente o in termini non maggiori di novanta giorni,

il giudice dell'esecuzione le assegna in pagamento, salvo esazione, ai creditori concorrenti” (comma

1). In misura parzialmente simile, il comma 2 per i crediti esigibili in un termine maggiore di

novanta giorni, nel qual caso la strada dell’assegnazione è percorribile ove i creditori ne facciano

richiesta su accordo (in mancanza di accordo per l'assegnazione, valgono le regole richiamate

dall’art. 552 c.p.c. per la vendita di cose mobili).

Nulla dice la legge sul procedimento, né essa impone una particolare efficacia all’atto che ne

è conclusione, dovendo il giudice – sempre stando al testo dell’art. 553 c.p.c. – limitarsi ad

assegnare le somme in pagamento “salvo esazione”, senza che l’assegnazione sia preceduta da

indagini più o meno sommarie sulla sussistenza e quantificazione del credito, o sui presupposti della

procedura esecutiva.

Tuttavia, tenuto conto degli effetti che l’ordinanza produce tra le parti e nei confronti del

terzo, si è venuto creando uno scollamento tra ciò che la legge dice e ciò che dovrebbe dire per

rispondere alle esigenze del caso concreto; sicché, giurisprudenza e dottrina ne hanno elaborato

letture e ricostruzioni a dir poco creative.

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L’ordinanza di assegnazione ha funzione satisfattiva1 e determina una cessione “forzata” del

credito2 (in linea generale riconducibile alla disciplina dell’art. 1264 c.c.) con carattere pro

solvendo3, operando un trasferimento coattivo del credito stesso a favore del creditore pignorante la

cui soddisfazione è subordinata all’effettivo pagamento della somma dovuta (“salvo esazione”)4;

l’effetto satisfattivo, in altri termini, non si realizza nel momento in cui è emessa l’ordinanza, bensì

*Questo scritto—testo della Relazione al Convegno dal tema «L’espropriazione presso terzi: esperienze applicative alla

luce della riforma», tenutosi presso l’Universita` del Molise, il 13-4-2012 — e` dedicato al prof. Romano Vaccarella in

occasione della sua ultima lezione in ruolo.

1 Così senz’altro l’ordinanza di assegnazione di crediti scaduti o a scadere nei successivi novanta giorni, la quale – oltre

che satisfattiva – è anche “necessitata”, costituendo l’assegnazione l’unica modalità liquidatoria contemplata.

Diversamente, per i crediti con scadenza oltre novanta giorni, per i quali l’assegnazione (che perciò è “facoltativa”)

costituisce una delle possibili modalità di liquidazione (con scelta rimessa all’accordo delle parti), da collocare in

alternativa alla vendita. Sul tema, vd. ampiamente Vaccarella, voce Espropriazione presso terzi, in Digesto, disc. priv.

sez. civ., 2001, vol. VIII, 94 ss., spec. 122; Capponi, i, Manuale di diritto dell’esecuzione civile, Torino, 2010, 260;

Soldi, Manuale dell’esecuzione forzata, Padova, 2012, 656.

2 Vaccarella, voce Espropriazione presso terzi, cit., 104.

3 Questa lettura è certa per i crediti scaduti o con scadenza entro novanta giorni dalla dichiarazione del terzo (art. 553

comma 1 c.p.c.), mentre dubbi si pongono per quelli con scadenza dopo i novanta giorni (art. 553 comma 2 c.p.c.), per i

quali si prospetta anche l’alternativa secondo cui la cessione avverrebbe pro soluto (Satta, Commentario al codice di

procedura civile, Milano, 1966 (rist.), vol. III, 337 ss.). Anche per questi ultimi prevale comunque la tesi della cessione

pro solvendo, argomentando dal principio generale sugli effetti dell’assegnazione dell’art. 2928 c.c. (Andrioli,

Commento al codice di procedura civile, Napoli, 1957, vol. III, 211; Vaccarella, voce Espropriazione presso terzi, cit.,

123; Bove, Dell’espropriazione presso terzi, in Bove, Capponi, Martinetto, Sassani, L’espropriazione forzata, Torino,

1988, 321, ss., spec. 376). Vd. sul tema Capponi, Manuale di diritto dell’esecuzione civile, cit., 260; Soldi, Manuale

dell’esecuzione forzata, cit., 656; Majorano, L’espropriazione presso terzi, in L’esecuzione forzata riformata, a cura di

Miccolis e Perago, Torino, 2009, 183 ss. (dell’A. vd. anche Id, Sull’applicabilità del termine di cui all’art. 14, 1°

comma, del d.l. 669/1996 alla banca d’Italia terza pignorata, in FI, in corso di pubblicazione.

4 E’ stabile la giurisprudenza nel ritenere che “In tema di espropriazione presso terzi, l'ordinanza di assegnazione al

creditore del credito spettante verso il terzo al debitore esecutato, non impugnata con l'opposizione agli atti esecutivi

nei termini di cui all'art. 617 c.p.c., opera il trasferimento coattivo ed attuale del credito al creditore pignorante,

producendo una modificazione soggettiva del rapporto creditorio e la conclusione dell'espropriazione. Peraltro

l'assegnazione del credito, in quanto disposta in pagamento salvo esazione ai sensi dell'art. 553 c.p.c., cioè pro

solvendo , non opera anche l'immediata liberazione del debitore esecutato verso il creditore pignorante, la quale si

verifica soltanto con il pagamento che il debitore assegnato esegua al creditore assegnatario (art. 2928 c.c.), momento

nel quale questi realizza il pieno effetto satisfattivo dell'assegnazione che, quindi, integra una "datio in solutum"

condizionata al pagamento integrale” (Cass. 11-12-2007, n. 25946; Cass. 26-1-2006, n. 1544; Cass. 28-3-2001, n.

4494, GC 2002, I,3265, nt. Cavallo). Cass. 21-11-1988, n. 6262 attribuisce all’ordinanza di assegnazione carattere di

“accertamento costitutivo” in quanto – sul semplice presupposto della dichiarazione positiva del terzo e della mancata

contestazione da parte del debitore-creditore – accerta e trasferisce in diritto non in via provvisoria o cautelare.

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è rimesso alla successiva riscossione dell'importo assegnato5. Essa, dunque, pur realizzando la

cessione del credito, non assicura all’assegnatario il pagamento, restando egli creditore – nei

confronti del terzo ceduto – dell’importo che quest’ultimo avrebbe dovuto versare al debitore-

creditore. Può perciò accadere che, una volta assegnato, il credito resti insoddisfatto e necessiti di

altro strumento coattivo per il concreto adempimento.

D’altra parte, l’evoluzione della società e dei traffici commerciali hanno dimostrato negli

anni come non basti il carattere puramente ricognitivo dell’ordinanza di assegnazione che vorrebbe

leggersi nell’art. 553 c.p.c. e come la realtà concreta imponga di corredarla di un quid pluris.

Non manca di osservare la dottrina come, nonostante l’idea originaria del codice fosse

quella di negare al giudice alcun potere di valutazione circa l’opportunità dell’emissione

dell’ordinanza (una volta ottenuta la dichiarazione positiva del terzo, ovvero la sentenza che accerta

il debito ex art. 548 c.p.c.), essendo piuttosto vincolato all’assegnazione per gli importi

corrispondenti a quelli precettati, siffatta immagine della procedura era “incentrata, da un lato sulla

rappresentazione di un terzo lealmente collaborativo e, da un altro, sulla figura di un debitore

consapevole dei propri debiti e vigile sulle relative procedure”6. Tuttavia, “l’evoluzione della

società ha inciso non poco su questo scenario. La moltiplicazione dei debitori pubblici e seriali

(ASL, enti territoriali ecc.) ha di molto attenuato l’idea di un soggetto passivo che sorveglia di fatto

la procedura e sol per questo suscita la fiducia del giudice (e del codice) che gli importi assegnati

siano effettivamente dovuti”7. Si è allora abbandonata la visione del giudice mero spettatore della

dichiarazione del terzo e dell’inerzia del debitore8, in favore di quella del giudice che – lungi

dall’essere chiamato solo a pronunciare vincolativamente l’ordinanza di assegnazione – dispone di

un potere valutativo nel verificarne i presupposti.

Lo schema originario del codice è stato rimodellato e innovato per “evidenti esigenze di

giustizia”9 , non potendo più il giudice dell’esecuzione confidare nella certezza somministrata dal

5 Cass. 26-1-2006, n. 1544.

6 “Riposava perciò sulla saldatura fra dichiarazione imparziale del terzo e silenzio eloquente del debitore l’affidamento

del giudice cui, nell’impianto ideale del III libro, non era commesso alcun sindacato officioso sull’entità del credito

azionato”(Della Pietra, Le vicende del pignoramento e dell’assegnazione di crediti, in Le espropriazioni presso terzi, a

cura di Auletta, Bologna, 2011, 37 ss., spec., 46-47).

7 Della Pietra, Le vicende, cit., 47.

8 “la notoria incapacità di controllo degli enti non privati sul proprio debito, in uno alla consapevolezza che il danaro

erogato proviene da (o sarebbe destinato a) fondi pubblici, ha indotto la giurisprudenza ad abbandonare la visione di un

giudice mero spettatore della dichiarazione del terzo e dell’inerzia – in questo quadro tutt’altro che operosa – del

debitore” (Della Pietra, Le vicende, cit., 47).

9 Così ancora Della Pietra, op. cit., 47.

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titolo esecutivo, bensì essendo tenuto a sindacare sia l’an che il quantum della pretesa esecutiva

seppure nel silenzio del debitore.

Questo mutato contesto ha imposto di rivedere sul piano applicativo la disciplina

dell’ordinanza di assegnazione, non solo sotto il profilo del presupposti per la sua concessione (oggi

subordinata ad un potere valutativo che la legge non riconosce al giudice dell’esecuzione)10

, ma

anche sotto il profilo della sua efficacia, costituendo essa – secondo l’opinione del tutto prevalente –

titolo esecutivo11

.

Queste brevi considerazioni puntano ad offrire un quadro di sintesi dell’attuale regime, non

senza rilevarne i profili di criticità e qualche persistente lacuna.

2. L’efficacia di titolo esecutivo e l’inattitudine al giudicato secondo dottrina e

giurisprudenza.

E’ opinione diffusa in giurisprudenza che nell’espropriazione presso terzi, preliminarmente

alla emissione dell'ordinanza di assegnazione del credito, il giudice dell'esecuzione dispone del

potere-dovere di verificare l'idoneità del titolo esecutivo del creditore pignorante, la correttezza

della quantificazione del credito operata dal creditore nel precetto12

, potendo finanche ridurre

l’importo delle somme da assegnare rispetto a quelle precettate, nonché ancora di accertare se, per

come è stata resa, la dichiarazione del terzo sia positiva o negativa13

; potere-dovere, questo, che il

giudice esercita anche d’ufficio14

. È opinione altrettanto diffusa che tale ordinanza contiene un

accertamento che non “fa stato”, bensì esaurisce la sua efficacia nell'ambito del processo esecutivo,

in quanto è funzionale all'emissione di un atto esecutivo e non alla risoluzione di una controversia

in un ordinario giudizio di cognizione15

; con l’ulteriore conseguenza che – in quanto atto

10

Infra § 4.

11 Infra § 3.

12 Cass. 8-4-2003, n. 5510; Cass. 16-2-2000, n. 1728, in questa Rivista, 2000, 353; Cass. 10-9-1996, n. 8215.

13 Cass. 16-5-2005, n. 10180; Trib. Benevento 20-3-2012, in questa Rivista, con nota di Majorano.

14 “In sede di assegnazione ex art. 553 c.p.c. di crediti pignorati, il giudice dell'esecuzione deve controllare, anche

d'ufficio e al di fuori di una specifica contestazione insorta tra le parti, se il credito preteso dal creditore pignorante

corrisponda alle indicazioni del titolo esecutivo, ferma restando la possibilità per il creditore di proporre opposizione

agli atti esecutivi avverso il provvedimento che riconosca l'eccedenza quantitativa del credito azionato rispetto a quello

effettivamente spettante” (Cass. 16-2-2000, n. 1728, cit.; conf. Cass. 10-9-1996, n. 8215, cit.).

15 Così ancora Cass. 8-4-2003, n. 5510, cit.; Cass. 20-4-2004, n. 7575, in questa Rivista, 2004, 614; Cass. 18-5-2009, n.

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dell’esecuzione – essa è unicamente impugnabile con l’opposizione agli atti esecutivi16

(strumento

idoneo ad accogliere anche contestazioni che attengono all’assegnazione del credito per un importo

inferiore a quello richiesto17

).

Ancora, costituisce orientamento condiviso da prevalenti giurisprudenza18

e dottrina19

quello

secondo cui l’ordinanza di assegnazione dell’art. 553 c.p.c. costituisce titolo esecutivo nei confronti

del terzo pignorato.

16

Su quest’ultimo profilo, vd. amplius infra § 7 ss.

17 Cass. 8-4-2003, n. 5510, cit.

18 Ex pluribus, Cass. 5-2-1968, n. 394, in RDComm., 1969, II, 91, nt. Monteleone; in GI, I, 1, 126, nt. Colesanti; Cass.

10-2-1966, n. 453; Cass. 30-5-1963, n. 1426. Nel senso contrario appare condurre Cass. 30-12-2001, n. 30457, così

massimata: “in tema di espropriazione presso terzi, l'ordinanza di assegnazione del credito, emessa ai sensi dell'art.

553 c.p.c., con contestuale liquidazione delle spese del processo di esecuzione, non costituisce titolo esecutivo nei

confronti del debitore, né può contenere una condanna nel caso di incapienza del residuo credito soddisfatto”. Dalla

lettura della motivazione, si evince tuttavia che la sentenza nulla dice sull’attitudine dell’ordinanza di assegnazione a

costituire titolo esecutivo: essa si sofferma piuttosto sul (diverso) profilo dell’efficacia di titolo esecutivo del capo sulle

spese ex art. 95 c.p.c., norma da leggere nel senso che “nel procedimento di espropriazione forzata - come nella specie -

l'onere delle spese non segue il principio della soccombenza, come nel giudizio di cognizione, ma quello della

soggezione del debitore all'esecuzione con il proprio patrimonio (artt. 2740 e 2910 c.c.), per cui il provvedimento di

liquidazione delle spese, ancorchè autonomamente emesso dal giudice dell'esecuzione, ha solo funzione di verifica del

relativo credito, del tutto analoga a quella che il giudice dell'esecuzione compie per il credito per cui si procede (ed i

relativi interessi) ai fini del progetto di distribuzione e dell'assegnazione della somma ricavata dalla vendita dei beni

pignorati”. Sicché, è ritenuta esente da vizi “la sentenza in questa sede impugnata, la quale ha ritenuto che l'ordinanza

di assegnazione ex art. 553 c.p.c., non costituisse titolo esecutivo nei confronti del debitore, né potesse contenere una

condanna, nel caso - verificatosi nella specie - di incapienza del residuo credito soddisfatto”. In senso contrario, Cass.

7-10-2005, n. 19652, ma in obiter dictum, dal momento che oggetto dell’impugnazione era nel caso di specie una

ordinanza resa ex art. 593 c.p.c. con la quale illegittimamente il giudice dell’esecuzione – anziché limitarsi ad esaminare

gli atti compiuti dal custode, aveva assunto un provvedimento che avrebbe potuto adottare solo a seguito di un ordinario

giudizio di cognizione in ordine all’accertamento del credito dell’esecutante; provvedimento ritenuto perciò ricorribile

in cassazione ex art. 111 comma 7 cost.

19 Favorevoli all’attribuzione di efficacia di titolo esecutivo all’ordinanza di assegnazione, Andrioli, Commento, cit.,

214; Vaccarella, voce Espropriazione presso terzi, cit., 107; Bonsignori, Assegnazione forzata e distribuzione del

ricavato, Milano, 1962, 127; Id, L’esecuzione forzata, Torino, 1990, 206 ss.; Sparano, L’espropriazione forzata e i

diritti di credito, Napoli, 1958, 216; Id, Efficacia esecutiva del provvedimento di assegnazione nell’espropriazione

presso terzi, in DGiur., 1955, 422; De Rosa, Sull’ordinanza che ha disposto l’assegnazione dei beni nell’espropriazione

forzata, in GC, 1953, 2, 1980; Tesoriere, A proposito di debitore e di espropriazione di crediti, ivi, 1969, I, 957. In

senso contrario D’Onofrio, Commento al codice di procedura civile, Torino, II, 1957, 133; Colesanti, Il terzo debitore

nel pignoramento di crediti, Milano, 1967, II, 386; Id, In tema di efficacia esecutiva dell’ordinanza di assegnazione del

credito pignorato, in GI, 1969, I, 1, 126; Cordopatri, Posizione e tutela del debitor debitoris nel processo di

espropriazione, in RDP, 1976, 834.

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Diverse le ragioni20

: a) secondo alcuni, tale efficacia, sarebbe da ricondurre alla sola

ordinanza emessa a seguito della sentenza di accertamento dell’obbligo del terzo ex art. 548 c.p.c.

(non anche quando il terzo ha reso la dichiarazione positiva, senza alcun accertamento giudiziale in

sede contenziosa), essendo quest’ultima una sentenza di condanna, perciò esecutiva; b) altri

ricostruiscono l’efficacia esecutiva dell’ordinanza di assegnazione invocando analogicamente gli

artt. 590 e 586 c.p.c. che attribuiscono la medesima efficacia al decreto di trasferimento o di

assegnazione di beni mobili o immobili; c) altri ancora ricollegano l’attitudine del provvedimento

ex art. 553 c.p.c. a valere quale atto vincolante per il terzo nel fatto che esso contiene un ordine al

terzo-debitore in ragione della sua previa nomina a custode ex art. 546 c.p.c.21

; d) vi è chi invoca

più generiche ragioni logico-sistematiche, non essendo né possibile né coerente che un

procedimento espropriativo si concluda con un provvedimento a contenuto dichiarativo22

; e) non

manca, infine, chi individua gli effetti esecutivi dell’ordinanza di assegnazione in un complesso di

elementi dati dall’atteggiamento confessorio (volontario) del terzo ovvero dall’accertamento

giudiziale, dall’ordine rivolto al terzo di non disporre del debito, dalla sua qualificazione di

custode23

.

20

Per una completa ricostruzione delle varie posizioni, vd. Soldi, Manuale, cit., 662.

21 Andrioli, Commento, cit., III, 214, il quale supera il problema della qualificazione dell’ordinanza come titolo

esecutivo, riconoscendo come “per escutere il terzo non è affatto necessario qualificare il provvedimento di

assegnazione titolo esecutivo, ma è sufficiente ricordare che il terzo, per essere custode, deve rispetto agli ordini del

giudice dell’esecuzione”. Nello stesso senso sostanzialmente Satta, Commentario, cit., 338; Bonsignori, Assegnazione

forzata e distribuzione del ricavato, cit., 127; Id, L’esecuzione forzata, cit., 206; Contra Colesanti, In tema di efficacia

esecutiva, cit., 126; Id, Il terzo debitore nel pignoramento di crediti, cit., 386.

22 Vaccarella, voce Espropriazione presso terzi, cit., 106, insistendo sull’”esigenza pratica” di evitare che il creditore

procedente sia costretto a procurarsi un (nuovo) titolo esecutivo (contro il terzo) percorrendo la strada della cognizione.

Il che a sua volta trova ragione, sia nel comportamento del terzo, qualora questi, rendendo spontaneamente la

dichiarazione, accetta che la sua situazione debitoria venga utilizzata come mezzo per la soddisfazione del creditore

procedente e quindi venga coinvolto nell’esecuzione, sia nell’accertamento giudiziale dell’obbligo del terzo (in caso di

sua contestazione) reso in un giudizio pienamente cognitivo, seppure pregiudiziale rispetto al processo esecutivo. Conf.

Sparano, L’espropriazione forzata e i diritti di credito, cit., 216; Rigosi, Spunti critici sulla natura e sul regime

dell’ordinanza di assegnazione del credito, in RTDPC, 1984, 306.

23 Bonsignori, L’esecuzione forzata, cit., 221. Ad un “insieme di elementi” riconduce l’esecutività dell’ordinanza anche

Satta, Commentario, 338-339, argomentando, sia dal fatto che nell’assegnazione sarebbe ravvisabile un ordine di

disporre a favore dell’assegnatario (ordine emanato “nel processo ed ai fini del processo, quindi intrinsecamente

esecutivo anch’esso”), sia dalla qualificazione di custode del terzo, sia dal fatto che il terzo è parte del procedimento di

assegnazione, sia ancora – con valore dirimente – dal fatto che se si negasse il carattere di titolo all’ordinanza si

verrebbe ad ammettere una contestazione che potrebbe essere mossa soltanto in sede incidentale esecutiva (richiama

l’A. per quest’ultima motivazione, Cass. 21-3-1953, in FI, 1954, 1615).

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3. Un titolo esecutivo “opportuno”.

Ferma ed unanimemente condivisa è l’esigenza di “arricchire” la disciplina dell’art. 553

c.p.c., sia quanto agli effetti dell’ordinanza di assegnazione, sia quanto (a ritroso) al procedimento

di cui essa è conclusione. Tuttavia, seppure nella condivisione del risultato a cui si giunge – nel

senso di riconoscere all’ordinanza di assegnazione efficacia di titolo esecutivo – non sempre

coerenti sono le motivazioni su cui quest’ultimo poggia, né le dinamiche del procedimento (come

“arricchite” per via interpretativa)24

.

Cominciando dagli argomenti utilizzati per attribuire efficacia di titolo esecutivo

all’ordinanza di assegnazione dell’art. 553 c.p.c.25

, ci sembra che nessuno di essi – eccetto uno – sia

a tenuta stagna.

Quanto al primo (sub a), § precedente) si può obiettare che la sentenza di accertamento

dell’obbligo del terzo può esserci come può non esserci, quando il terzo rende la dichiarazione

conforme senza necessità dell’accertamento giudiziale ex art. 548 c.p.c. Si tratta quindi di un

argomento che - anziché confermare – contraddice l’attitudine dell’ordinanza a valere quale titolo

esecutivo, attitudine che essa ha in sé e non quale precipitato dell’accertamento giudiziale compiuto

a seguito delle contestazioni del terzo26

. L’argomento in esame crea una ingiustificabile confusione

tra la sentenza resa sul giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo e la successiva e conseguente

ordinanza: il volo pindarico offerto dalla lettura “evoluta” dell’art. 553 c.p.c. sta nell’attribuire al

provvedimento ivi disciplinato efficacia di titolo esecutivo in sé e non quale derivazione di un

precedente provvedimento giudiziale. D’altra parte, tale lettura sarebbe idonea a dimostrare la

valenza di titolo esecutivo nel solo caso di accertamento giudiziale ex art. 548 c.p.c., mentre ben più

ampia è la posizione della giurisprudenza nel ritenere l’ordinanza esecutiva quale che fosse il

presupposto comportamento del terzo (anche in caso di sua dichiarazione positiva). Da ultimo,

siffatto argomento non è in grado di dimostrare per quale motivo ed entro quali limiti l’ordinanza

può costituire titolo esecutivo pure per un importo diverso da quello precettato nonché diverso da

24

Non si manca di notare come la giurisprudenza sul tema dell’ordinanza di assegnazione (efficacia e regime) si mostri

spesso ondivaga, qualificando diversamente il provvedimento a seconda dei singoli problemi che di volta in volta si

trova a dover risolvere (Bove, Dell’espropriazione, cit., 385).

25 Su cui vd. supra § precedente.

26 Opportuna l’equiparazione sotto il profilo in esame delle due ipotesi – che il terzo abbia reso la dichiarazione

positiva, ovvero che all’accertamento del credito si sia giunti a seguito del giudizio cognitivo dell’art. 548 c.p.c. – posta

in rilievo da Vaccarella, voce, Espropriazione, cit., 107, il quale osserva come in entrambi i casi è centrale la volontà

del terzo (la cui posizione non viene quindi alterata né aggravata per il solo fatto che è pendente la procedura esecutiva

contro il debitore): rilievo decisivo assume infatti il comportamento del terzo che, rendendo la dichiarazione positiva,

rinuncia all’accertamento pieno e formale della sua situazione soggettiva (accertamento pieno al quale si giunge solo in

mancanza di dichiarazione positiva).

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quello riconosciuto in sentenza; di contro – come si è visto e meglio si vedrà – non mancano casi in

cui l’efficacia di titolo esecutivo è attribuita dal giudice dell’esecuzione all’ordinanza di

assegnazione per un importo diverso da quello pignorato, o da quello per il quale è stata resa la

dichiarazione del terzo o l’accertamento giudiziale.

Il secondo argomento (sub b § precedente) è discutibile, non essendovi ostacoli a sostenere

la tesi contraria invocando proprio gli artt. 586 e 590 c.p.c. Dal momento che l’art. 586 c.p.c.

(nonché l’art. 590 c.p.c. che a quest’ultimo rinvia) attribuiscono espressamente efficacia esecutiva

(e di titolo per la trascrizione) al decreto di trasferimento, si potrebbe dire – a contrario - che il

silenzio sul punto dell’art. 553 c.p.c. va letto nel senso di escludere la medesima efficacia

all’ordinanza di assegnazione. In altri termini, ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit, con la

conseguenza che, essendo esplicito l’art. 586 c.p.c. ed essendo silente sul punto l’art. 553 c.p.c., si

sia voluto consapevolmente riconoscere efficacia di titolo esecutivo al decreto di trasferimento del

bene espropriato e negare la stessa efficacia all’ordinanza di assegnazione del credito. D’altra parte,

questa lettura insinua un primo contrasto con il principio di tassatività dei titoli esecutivi 27

, in

quanto tali non ricostruibili per via analogica.

Poco convincente è poi il terzo argomento (sub c), dal momento che l’ordine rivolto al terzo

in quanto custode resta atto diverso da quello con cui il giudice dispone l’assegnazione, sicché

andrebbe spiegato (cosa che non fa l’art. 546 c.p.c. né l’art. 553 c.p.c.) come un ordine di custodia

delle somme si trasformi in ordine di pagamento non al debitore ma al creditore procedente28

.

La ragione più forte (probabilmente l’unica capace di sorreggere la tesi che vede un titolo

esecutivo nell’ordinanza di assegnazione dei crediti dell’art. 553 c.p.c.), è quella logico sistematica

(sub d), in linea con la quale si pone la giurisprudenza che poggia la medesima conclusione su

ragioni di “opportunità”29

.E’ senz’altro più coerente con il sistema, e quindi opportuno, contemplare

27

Vd. infra nel testo.

28 Vd. sul punto, Colesanti, In tema di efficacia esecutiva, cit., 126.

29 Cass. 5-2-1968, n. 394, cit. Osserva la Corte Suprema che l’ordinanza di assegnazione “incidendo sulla proprietà del

credito coattivamente ceduto, produce, per volontà dell’organo giurisdizionale che lo emette, una modificazione

giuridica soggettiva del rapporto creditorio, in virtù del quale il terzo, debitor debitoris, è tenuto – e può esservi

astretto – ad eseguire la prestazione di cui si è dichiarato debitore, non più al proprio creditore, ma al creditore di

costui: il che postula che il provvedimento, quale che sia la forma che la legge ad esso impone, debba avere in sé

efficacia tale da assicurare la soddisfazione del diritto attribuito all’assegnatario nei confronti dell’assegnato, senza

che il primo, ottenuto l’ordine di assegnazione, sia costretto, ove l’assegnato rifiuti di darvi esecuzione, ad

intraprendere contro il secondo un separato giudizio di cognizione per ottenere, nei confronti di lui, un titolo esecutivo

di condanna”. Più di recente Cass. 18-3-2003, n. 3976 (“in tema di esecuzione mobiliare presso terzi, l'ordinanza con

la quale il giudice dell'esecuzione, ai sensi dell'art. 553, c.p.c., assegna in pagamento al creditore procedente la somma

di cui il terzo pignorato si è dichiarato debitore nei confronti del debitore espropriato costituisce titolo esecutivo nei

confronti del terzo ed a favore dell'assegnatario ed ha tale efficacia anche per le spese conseguenti e necessarie per la

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la conclusione della procedura esecutiva con un provvedimento che, pur non avendo effetto

immediatamente satisfattivo del diritto (il credito è solo ceduto, ma resta in vita l’obbligo di

pagamento seppure nei confronti dell’assegnatario30

), attribuisca al creditore uno strumento con cui

vincere l’eventuale persistente inerzia del terzo-debitore-assegnato31

. In altri termini, è certamente

soluzione “coerente” e “logica” (e perciò “opportuna”) quella che assicura al creditore un titolo per

intraprendere ulteriori iniziative esecutive direttamente nei confronti del terzo assegnato, qualora

questi non paghi spontaneamente. Conclusione, tuttavia, per giungere alla quale occorre ancora una

volta vincere l’ostacolo del testo dell’art. 553 c.p.c. da cui in alcun modo si evince che l’ordinanza

di assegnazione “costituisca titolo esecutivo”32

; il che si scontra ulteriormente con il principio di

tassatività dei titoli esecutivi.

Nessuna delle ragioni esposte (neppure l’ultima) collima con la regola “nulla executio sine

titulo”, se al “titolo” idoneo a sorreggere l’esecuzione si guarda quale atto a cui solo la legge è in

grado di riconoscere efficacia esecutiva. Al contrario, l’esperienza attuale dimostra come la lettura

più rigida di tale regola si espone a talune criticità33

che ne rendono opportuna una rilettura.

L’esigenza che vi sia un “titolo” a sorreggere l’esecuzione è innegabile34

; il fatto è che tale titolo

può fondarsi sulla legge come anche su ragioni di opportunità pratica, se sono tali ragioni a

sua concreta attuazione”), la cui motivazione indugia approfonditamente sulle ragioni che giustificano l’attribuzione

della efficacia di titolo esecutivo all’ordinanza di assegnazione, pure in mancanza di alcuna espressa previsione nel

medesimo senso nell’art. 474 c.p.c.; Cass. 14-2-1996, n. 453; Cass. 24-11-1980, n. 6245.

30 Vd. supra § 1.

31 In alternativa, il creditore assegnatario sarebbe obbligato a cercare in un nuovo e diverso giudizio di cognizione il

titolo esecutivo da spendere direttamente nei confronti del terzo.

32 Vaccarella, voce, Espropriazione, cit., 108, ritiene sufficienti le ragioni logico sistematiche e di opportunità per

superare il dato letterale della espressa attribuzione di efficacia esecutiva imposto dall’art. 474 c.p.c. Contra Micheli,

Dell’esecuzione forzata, in Commentario Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1964, 153; De Stefano, voce Assegnazione

(dir. proc. civ.), in ED, III, Milano, 1958, 290; D’Onofrio, Commento, cit., 133.

33 Altrove abbiamo posto in evidenza la necessità di ammettere che una esecuzione forzata possa restare in vita anche in

assenza – seppure provvisoriamente – di un titolo esecutivo per mere ragioni di “opportunità”. Sia consentito rinviare in

proposito a Tiscini, Dei contrasti tra giurisprudenza di merito e giurisprudenza di legittimità circa il venir meno

dell’esecuzione a seguito del difetto sopravvenuto del titolo del creditore procedente, pure in presenza di intervenuti

titolati, in nota a Trib. Cuneo 30 novembre 2010, in questa Rivista, 2010, 509, con riferimento al venir meno del titolo

esecutivo del creditore procedente ed alla possibilità che l’esecuzione sia proseguita da altri creditori titolati intervenuti

nel corso dell’espropriazione.

34 Il che è confermato dall’attuale regime dell’intervento dei creditori, il quale impone la disponibilità – in capo

all’interveniente – di un titolo esecutivo, non senza ammettere eccezioni (art. 499 c.p.c.).

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giustificare - pure nel silenzio della legge – l’attribuzione all’avente diritto di un potere spendibile

in sede esecutiva35

.

In estrema sintesi. La conclusione a cui giungono giurisprudenza e dottrina nel senso di

corredare l’ordinanza di assegnazione dell’efficacia di titolo esecutivo – seppure attraverso percorsi

non sempre condivisibili - è apprezzabile in quanto opportuna, essendo opportuno che il creditore

assegnatario, non soddisfatto dal pagamento spontaneo del terzo assegnato, disponga di un mezzo

che la stessa procedura espropriativa gli garantisce per ottenere aliunde l’adempimento36

.

4. Il contenuto di “accertamento” o meramente esecutivo dell’ordinanza di assegnazione.

Detto questo, occorre però chiedersi se le dinamiche procedimentali ricostruite intorno

all’art. 553 c.p.c.37

siano apprezzabili ed autosufficienti in punto di procedimento, regime

dell’ordinanza, efficacia, rimedi. La creatività di giurisprudenza e dottrina opera qui, non solo “a

valle” nel riconoscimento di un titolo esecutivo non previsto per legge, ma anche “a monte”

nell’attribuzione al giudice di poteri cognitivi su cui l’art. 553 c.p.c. tace. Sicché, una volta

condiviso il risultato (a valle) occorre verificare se esso sia coerente con la ricostruzione (a monte)

dei presupposti che lo giustificano.

Come si è visto38

, domina l’idea che l’ordinanza di assegnazione, pur costituendo titolo

esecutivo, ed essendo resa all’esito di un procedimento lato sensu cognitivo (in cui il giudice valuta

discrezionalmente, anche in via ufficiosa, i presupposti dell’assegnazione, nonché quelli

dell’esecuzione in sé, la validità del titolo esecutivo e la quantificazione39

delle somme40

), non

35

Il che trova conferma nel carattere convenzionale del titolo esecutivo quale atto capace di dare certezza del diritto

sottostante. Vd. sul tema Vaccarella, Titolo esecutivo, precetto opposizioni, Torino, 1983, 131 ss.; Luiso, Diritto

processuale civile, Milano, 2011, III, 20 ss.; nonché Fanelli, ….

36 Il tutto si fonda sull’ulteriore convinzione piuttosto diffusa che la cessione del credito del debitore al creditore

avvenga pro solvendo e che non abbia carattere satisfattivo immediato (supra § 1).

37 Dinamiche a cui si è già brevemente accennato supra § 1.

38 Supra §2.

39 Un problema non irrilevante che può riversarsi su questa fase è la quantificazione delle spese successive alla chiusura

della procedura, gravanti su taluni terzi. Si pone il problema delle cd. “spese successive” all’ordinanza di assegnazione

che maturano dopo la liquidazione giudiziale delle spese della procedura esecutiva, le quali sono soggette al principio di

autoliquidazione da parte del legale del creditore al momento di intimazione dell’atto di precetto. Osserva in proposito,

Frusillo, Il terzo, in Le espropriazioni presso terzi, a cura di Auletta, cit., 93 ss., spec. 121, che agli inconvenienti che ne

derivano potrebbe porre rimedio una dettagliata e tassativa elencazione, nell’ordinanza di assegnazione, delle voci del

tariffario legale corrispondenti alle attività successive necessarie alla riscossione del credito, al fine di dissuadere i

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contiene alcun accertamento. In altri termini, il potere valutativo del giudice dell’esecuzione

consiste solo in una delibazione sommaria di fondatezza delle pretese creditorie41

, il quale conduce

verso una ordinanza inidonea a “fare stato” (a formare la cosa giudicata), non essendo essa resa nel

corso di un processo di cognizione bensì solo funzionale all’emissione dell’atto esecutivo42

. Con la

conseguenza che l’atto di assegnazione, in quanto atto dell’esecuzione e più precisamente ultimo

atto della procedura espropriativa presso terzi, sarebbe contestabile esclusivamente43

con

l’opposizione agli atti esecutivi44

(rimedio utilizzabile, sempre secondo la giurisprudenza, anche per

contestare la quantificazione delle somme assegnate in ordinanza45

)46

.

creditori da pretese che non trovano titolo nell’ordinanza stessa ed indurre l’ufficiale giudiziario ad astenersi

dall’esecuzione del pignoramento in danno del terzo per mancanza del titolo esecutivo.

40 Eventualmente anche riducendo gli importi assegnati rispetto a quelli pignorati.

41 Cass. 8-4-2003, n. 5510, cit.; Cass. 16-2-2000, n. 1728, cit.; Cass. 10-3-1996, n. 8215, cit.

42 In altri termini l’ordinanza di assegnazione non sarebbe idonea a acquisire valore di cosa giudicata in quanto il

giudice non risolve una controversia nei modi del giudizio ordinario di cognizione bensì il suo accertamento si esaurisce

nell’ambito esecutivo (Cass. 18-5-2009, n. 11404, cit.).

43 L’inattitudine dell’ordinanza a formare cosa giudicata non ben si addice alla linea giurisprudenziale che ne nega

revocabilità e modificabilità (Cass. 20-2-2007, n. 3958; Cass. 13-6-1992, n. 7248; contra Cass. 24-11-1980, n. 6245,

cit.). Delle due l’una: o il provvedimento è privo di alcun carattere di “accertamento”, e allora esso deve potersi ritenere

anche modificabile o revocabile ad opera dello stesso giudice; ovvero esso è impugnabile solo con il rimedio

appositamente predisposto (rimedio tendenzialmente ricondotto all’opposizione dell’art. 617 c.p.c.), il che costituisce a

questo punto un evidente sintomo della sua attitudine alla “stabilizzazione”. Sul potere di revoca/modifica

dell’ordinanza di assegnazione, cfr. Bove, Dell’espropriazione, cit., 387, osservando opportunamente come “il S.C.

arriva, attraverso l’affermata irrevocabilità del provvedimento di assegnazione, a dare stabilità all’accertamento del

diritto , bloccando ogni altra eventuale difesa del terzo”. Nel senso della irrevocabilità/immodificabilità dell’ordinanza

di assegnazione, vd. anche Cons. Stato Ad. Plen. 10-4-2012, n. 2, su cui vd. infra § 5.

44 Cass. 22-2-2008, n. 4578; Cass. 8-4-2003, n. 5510, cit. Per ulteriori riferimenti, vd. infra § 8.

45 Cass. 8-4-2003, n. 5510, cit.

46 Ricorrente è la massima secondo cui “Nell'ambito del pignoramento presso terzi, preliminarmente alla emissione

dell'ordinanza di assegnazione del credito il giudice dell'esecuzione ha il potere - dovere di verificare l'idoneità del

titolo e la correttezza della quantificazione del credito operata dal creditore nel precetto, con un accertamento che non

fa stato ma esaurisce la sua efficacia nell'ambito del processo esecutivo, in quanto è funzionale all'emissione di un atto

esecutivo e non alla risoluzione di una controversia nell'ambito di un ordinario giudizio di cognizione; ne consegue che

il creditore che contesti l'ordinanza di assegnazione, emessa per un importo inferiore a quello indicato nel precetto, la

può impugnare nei modi e nei termini della opposizione agli atti esecutivi, al fine di ottenere un diverso accertamento

della misura del credito ed il - parziale - annullamento dell'ordinanza stessa” (Cass. 8-4-2003, n. 5510, cit.).

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Iniziando dal primo problema (del quale il secondo è una conseguenza), va detto che le

ragioni su cui si vuole fondare l’incapacità dell’ordinanza a “fare stato” non sono convincenti

laddove si riconducono al fatto che essa non sia resa all’esito di un giudizio “pienamente

cognitivo”. In quanto ordinanza emessa dal giudice nel corso di un procedimento – giurisdizionale –

e resa all’esito di una indagine, seppure sommaria, di fondatezza dei presupposti (in punto di

sussistenza e quantificazione del credito), non vi sono ostacoli a che essa venga ricostruita quale

atto conclusivo di un procedimento contenzioso e perciò dotata della forza dell’accertamento. Né è

dirimente in senso contrario il fatto che si tratti di provvedimento reso non all’esito di un giudizio

ordinario a cognizione piena, bensì sommario. L’esperienza legislativa conosce plurimi esempi di

titoli esecutivi giudiziali, resi all’esito di una cognizione sommaria, ma al contempo idonei a

passare in giudicato (dotati della “forza dell’accertamento” ). Non ultima l’ordinanza dell’art. 702

quater c.p.c. resa in procedimento sommario di cognizione, la quale ove non appellata, “produce gli

effetti di cui all’art. 2909 c.c.”47

.

Verso l’attitudine alla stabilizzazione degli effetti militerebbero proprio gli ampi poteri di

cui oggi gode il giudice dell’esecuzione nell’assegnare il credito. Seppure l’indagine sommaria sui

presupposti dell’assegnazione si rivela talora superflua (ad esempio, quando l’accertamento

dell’obbligo del terzo è reso nel giudizio contenzioso dell’art. 548 c.p.c. e l’ordinanza di

assegnazione si limita a recepire i contenuti della sentenza), non mancano casi in cui nella sede

sommaria dell’art. 553 c.p.c. il giudice è chiamato, non solo a verificare che il creditore

assegnatario disponga di un valido titolo esecutivo – problema che in effetti dovrebbe essere risolto

in altra sede cognitiva, ma che per ragioni varie può riversarsi sull’assegnazione48

- ma pure a

fornire nuove quantificazioni del credito da assegnare49

. In altri termini, la fase conclusiva

dell’espropriazione presso terzi accoglie di fatto contestazioni astrattamente destinate a trovare

collocazione in altre parentesi contenziose interne all’esecuzione, ma che per diverse ragioni non

sono state attivate al momento e nella sede dovute. E’ quasi a dire che l’ultima fase della procedura

costituisce il redde rationem, sicché, se per un qualsiasi mal funzionamento di quelle precedenti,

restano aperte questioni controverse sull’an o il quantum del credito (per cui si procede, oltre che da

47

Ugualmente le ordinanze anticipatorie di condanna, la cui attitudine al giudicato – seppure con qualche incertezza –

sembra oggi prevalere.

48 La sede tipica di tali contestazioni sarebbe il giudizio di opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c., ma può

accadere che di una cognizione analoga sia investito il giudice dell’esecuzione al momento dell’assegnazione del

credito (sull’ipotesi di sovrapposizione tra forma e sostanza dell’atto di assegnazione con quello conclusivo

dell’opposizione ex art. 615 c.p.c., si tornerà infra § 8).

49 Si pensi all’ipotesi in cui in fase di assegnazione si quantifichi una somma del credito inferiore a quella pignorata a

seguito dell’intervenuta compensazione di un credito vantato dal terzo nei confronti del debitore (vd. sul punto Cass. 9-

3-2011, n. 5529).

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assegnare), tali questioni non possono che essere risolte dal giudice dell’esecuzione prima di

chiudere la procedura (al momento e nella prospettiva dell’assegnazione).

Rebus sic stantibus, non sarebbe astrattamente impossibile riconoscere carattere cognitivo e

di accertamento al giudizio che si conclude con l’assegnazione, nella sua versione attuale, alla prova

della giurisprudenza. Pur non offrendo l’art. 553 c.p.c. elementi testuali per ritenere che

l’assegnazione costituisca l’ennesima “parentesi cognitiva” interna all’esecuzione, in svariati casi le

necessità concrete della procedura possono imporre al giudice dell’esecuzione di “accertare”- pure

nel contraddittorio delle parti50

- la sussistenza del “diritto all’assegnazione” (diritto i cui eventuali

vizi possono consistere in nullità “derivate” da atti e situazioni interne all’esecuzione).

5. Segue: le recenti conferme del Consiglio di Stato in punto di “attitudine al giudicato”

dell’ordinanza di assegnazione dell’art. 553 c.p.c.

La tesi argomentata nel § precedente trova l’avallo del Consiglio di Stato, chiamato a

pronunciarsi sulla eseguibilità mediante giudizio di ottemperanza dell’ordinanza di assegnazione

dell’art. 553 c.p.c. E’ recentissima (10 aprile 2012, n. 2) una sentenza dell’Adunanza Plenaria che –

a scioglimento di un precedente contrasto51

- enuncia il seguente principio di diritto: “l’ordinanza di 50

La necessità che le parti debbano essere sentite quando il giudice “conosce” (per decidere) di questioni contenziose

non è scritta nella legge, ma può imporsi per implicito a garanzia del contraddittorio. Alla medesima conclusione non si

può giungere invece invocando il precedente art. 552 c.p.c. che prescrive l’”audizione delle parti” (nel provvedere per

l’assegnazione o vendita dei beni mobili, il giudice dell’esecuzione provvede “sentite le parti”): in quest’ultima norma,

l’esigenza di sentire le parti deriva dalla necessità di procedere alternativamente o all’assegnazione ovvero alla vendita

delle cose mobili, alternativa che manca quando si procede senz’altro all’assegnazione (per lo meno quando si tratta di

crediti scaduti o in scadenza in un termine non maggiore di 90 giorni). In effetti, l’alternativa tra la vendita e

l’assegnazione torna in vita per i crediti esigibili in un termine maggiore di novanta giorni, in cui si applica la disciplina

per la vendita di cose mobili, salvo che non vi sia l’accordo delle parti (art. 553 comma 2 c.p.c.). Qui però il problema

della audizione delle parti è superato dal fatto che la scelta tra assegnazione o vendita dipende dall’accordo tra le parti

stesse (il che presuppone ovviamente un loro incontro di volontà).

51 Nella giurisprudenza anteriore, entrambe le tesi si contendevano il campo. Nel Consiglio di Stato prevaleva la tesi

della ammissibilità dell’ottemperanza per ottenere l’esecuzione di una ordinanza di assegnazione del credito emessa a

carico della pubblica amministrazione (Cons. Stato, sez. IV, 1°-4-1992, n. 352, GC, 1992, I,1950; Cons. Stato, sez. IV,

6-11-2008, n. 5485, FA CDS 2008, 11, 2986 ; Cons. Stato, sez. V, 12 -10-2009, n. 6241, ivi, 2009, 10, 2326; Cons.

Stato, sez. V, 13-10-2010, n. 7463, ivi, 2010, 10, 2129; nello stesso senso Tar Campania – Napoli, sez. V, 20-1-2005, n.

247, FA TAR, 2005, 1, 203). L’orientamento era però contrastato dalla giurisprudenza dei Tar (Tar Campania – Napoli,

sez. V, 10-10-2008, n. 14692, ivi, 2008, 10, 2827; Tar Campania – Napoli, sez. V, 13-11-2009, n. 7373; Tar Lazio –

Roma, sez. II, 8-7-2009, n. 6667; Tar Sicilia – Palermo, sez. I, 5-7-2006, n. 1575, ivi, 2006, 7-8, 2695; Tar Sicilia –

Catania, sez. II, 30-6-2009, n. 1202, ivi, 2009, 6, 1910; a cui adde Cons. Giust. amm. Reg. Sicilia, 14-6-1999, n. 262,

CS, 1999, I,1037).

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assegnazione del credito resa ai sensi dell’art. 553 cod. proc. civ. nell’ambito di un processo di

espropriazione presso terzi, emessa nei confronti di una pubblica amministrazione o soggetto ad

essa equiparato ai sensi del cod. proc. amm., avendo portata decisoria (dell’esistenza e ammontare

del credito e della sua spettanza al creditore esecutante) e attitudine al giudicato, una volta

divenuta definitiva, per decorso dei termini di impugnazione, è suscettibile di esecuzione mediante

giudizio di ottemperanza (art. 112, comma 3, lett. c), art. 7, comma 2, cod. proc. amm.)” 52

. La

sentenza, non solo riconosce carattere “decisorio” all’ordinanza di assegnazione, ma anche la

qualifica come “idonea al giudicato” così corredandola del requisito necessario – ancorché non

sufficiente53

– per giovarsi dell’ottemperanza in attuazione delle sentenze del giudice ordinario o

dei “provvedimento ad esse equiparati” (art. 112 comma 2 lett. c) cod. proc. amm.)54

. Afferma

infatti l’Adunanza Plenaria, in motivazione, che - avendo una” portata di accertamento e pertanto

decisoria, in quanto da un lato dà atto dell’esistenza e della misura del credito (vuoi sulla base

della dichiarazione del terzo, vuoi sulla base dell’esito di un giudizio di cognizione incidente nel

processo di esecuzione) e dall’altro lato trasferisce tale credito dal debitore pignorato al creditore

esecutante” – l’ordinanza di assegnazione “è suscettibile di divenire definitiva se non impugnata

con i rimedi per essa previsti, e tale definitività è equiparabile al giudicato, atteso che l’ordinanza

inoppugnata non può essere ulteriormente contestata”55

. Con la conseguenza che “in quanto titolo

esecutivo, e trattandosi di un giudicato con portata decisoria, i possibili rimedi sono sia un nuovo

giudizio esecutivo civile sia il giudizio di ottemperanza”.

A noi sembra che – seppure nella settoriale prospettiva dell’accesso al giudizio di

ottemperanza – il principio di diritto e gli argomenti posti a suo sostegno nella pronuncia citata

confermano con poco margine di contestabilità che il provvedimento dell’art. 553 c.p.c. (per come

opera in concreto, più che per come immaginato astrattamente nel contesto esecutivo) abbia

52

Cons. Stato Ad Plen. 10-4-2012, n.2 cit., in questa Rivista, in corso di pubblicazione.

53 Quanto agli altri requisiti, Cons. St. Ad Plen. 10-4-2012, n. 2 cit. ritiene che l’ordinanza di assegnazione sia

eseguibile mediante ottemperanza anche per la sussistenza dell’ulteriore presupposto stante nel dovere di

conformazione della pubblica amministrazione ad un ordine del giudice civile che riconosce l’esistenza di un debito

della stessa.

54 Stabilisce infatti l’art. 112 comma 2 cod. proc. amm. che l’azione di ottemperanza può essere proposta per

conseguire l’attuazione “delle sentenze passate in giudicato e degli altri provvedimenti ad esse equiparati per i quali

non sia previsto il rimedio dell’ottemperanza, al fine di ottenere l’adempimento dell’obbligo della pubblica

amministrazione di conformarsi alla decisione”. In commento alla norma, vd. delle Donne, L’esecuzione forzata nei

confronti della Pubblica amministrazione alla luce del Codice del processo amministrativo e del primo decreto

correttivo, in questa Rivista, 2011, …

55 Né essa è revocabile o modificabile (vd. supra nt. 43).

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attitudine alla stabilizzazione degli effetti alla stregua di qualsiasi sentenza (o altro provvedimento

decisorio) reso in sede cognitiva (seppure in forma incidentale all’interno dell’esecuzione).

Tutto sta a vedere se la linea di oggi del giudice amministrativo troverà conferma domani

nella giurisprudenza del giudice ordinario, il quale – come si è visto56

- sembra non voler rinunciare

alla instabilità del provvedimento in esame, pure riconoscendone – con una qualche contraddizione

– capacità decisorie ed esecutive.

6. Provvedimento “decisorio senza accertamento”?

Volendo tuttavia restare fedeli alla lettura attualmente dominante dell’ordinanza di

assegnazione quale provvedimento (giudiziale) esecutivo, ma inidoneo al giudicato57

, occorre

ricostruirne il regime alla luce di tali condizioni.

L’idea che un provvedimento emesso dal giudice, ancorché esecutivo, in ogni caso con

qualche profilo di decisorietà, non sia idoneo a stabilizzarsi (a formare giudicato) non è nuova nel

nostro ordinamento, ma neppure è in fase di espansione. In altra sede ci siamo occupati della

casistica e della disciplina dei cd. “provvedimento decisori senza accertamento”, provvedimenti

giudiziali, in cui alla attitudine a decidere su diritti – proprio nella prospettiva di precostituire un

titolo esecutivo – non si accompagna la stabilizzazione degli effetti58

. Fenomeno, questo che – se ha

avuto la sua massima espressione nell’ordinanza sommaria per le controversie societarie dell’art. 19

d.lgs. n. 5/2003, oggi abrogato – è stato presto rinnegato con l’attribuzione della forza del giudicato

alla (gemella seppure nelle profonde differenze) ordinanza sommaria dell’art. 702 quater c.p.c.59

Non che non sia un fenomeno ancora vitale (si pensi al regime dei provvedimenti cautelari

anticipatori60

); il fatto è che ad esso la legge ha sempre faticato ad adattarsi ed al suo cospetto anche

l’esperienza pratica dimostra una certa ostilità, tenuto conto della dominante tendenza ad assimilare

56

Supra §§ precedenti.

57 Su cui supra § 4.

58 Tiscini, I provvedimenti decisori senza accertamento, Torino, 2009, passim.

59 Come noto, la l. n. 69/2009 ha al contempo abrogato il rito societario del d.lgs. n. 5/2003 (e con esso il procedimento

sommario di cognizione dell’art. 19 cit.) ed introdotto ex novo il procedimento sommario di cognizione degli artt. 702

bis ss c.p.c. per tutte le controversie civili rientranti nella competenza del tribunale in composizione monocratica.

Procedimenti che dietro l’identità di nomen nascondono profonde differenze in punto di regime (non ultima l’attitudine

al giudicato, carente nel modello sommario societario ed imposta in quello codicistico).

60 Sugli istituti attualmente vigenti – ad eccezione dell’art. 19 cit. – che evocano la scissione tra decisorietà ed

accertamento, sia consentito rinviare a Tiscini, I provvedimenti, cit., 72 ss.

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la funzione giurisdizionale decisoria al giudicato61

(nel senso che la prima non può non

accompagnarsi al secondo62

).

Il modello ricostruito per via pretoria intorno all’art. 553 c.p.c. sembra riconoscere quella

“decisorietà senza accertamento” che a stento affiora talvolta nelle scelte legislative. Un

riconoscimento forse inconsapevole ed involontario, ma pur sempre tale63

.

In altri termini, appurato che il giudice dell’esecuzione per assegnare il credito svolge (o può

svolgere) una cognizione sommaria sui presupposti del diritto, e ritenuta l’ordinanza che egli

pronuncia all’esito di tale indagine inidonea al giudicato, è breve il passo per qualificarla come

provvedimento al contempo tanto decisorio, quanto privo di accertamento64

.

7. I rimedi avverso l’ordinanza di assegnazione.

Veniamo ora al diverso problema dei rimedi contemplati avverso l’ordinanza sommaria.

La giurisprudenza è piuttosto stabile nel ritenere che “l’ordinanza di assegnazione di crediti,

costituendo l’atto conclusivo dell’esecuzione forzata per espropriazione di crediti e configurandosi,

quindi, essa stessa come atto esecutivo, deve essere impugnata con il rimedio dell’opposizione agli

atti esecutivi quando si tratta di far valere vizi che si riferiscono ai singoli atti esecutivi o ad essa

stessa, mentre può essere impugnata con l’appello, quando la sua pronuncia abbia assunto natura

decisoria, per aver inciso sulle posizioni sostanziali del creditore o del debitore. Il suddetto

61

Si pensi a quanto accaduto intorno alla procedura monitoria. Si era posto in principio il dubbio se il decreto ingiuntivo

non opposto potesse ritenersi inidoneo al giudicato; dubbio presto risolto nel senso di riconoscere da esso attitudine alla

cosa giudicata proprio in ragione della insistente complementarietà tra funzione giurisdizionale decisoria e giudicato.

62 Vd. in questo senso Luiso, Diritto processuale civile, cit., IV, 180.

63 Che un provvedimento a contenuto decisorio possa svincolarsi dalla forza dell’accertamento è effetto che senz’altro

può contemplare la legge (non avendo la stabilità del giudicato alcuna copertura costituzionale). Più complesso è capire

se – in un ordinamento come il nostro in cui la forza del giudicato vive da sempre come protagonista – al medesimo

risultato si possa giungere per via di interpretazione giurisprudenziale (vd. ancora Tiscini, I provvedimento decisori, cit.,

72 ss.).

64 Si faccia l’esempio dell’ordinanza di assegnazione che quantifica una somma inferiore a quella del credito precettato

deducendo in tale sede in controcredito in compensazione (Cass. 9-3-2011, n. 5529, cit.). E’ evidente come compensare

il debito del terzo con un suo controcredito nei confronti dell’assegnatario sia attività cognitiva a cui è difficile negare

capacità decisoria. Se mai, si può negare ad essa attitudine a stabilizzarsi (a formare giudicato), quando ad essa si

vogliono ricondurre i soli effetti esecutivi senza il quid pluris dell’accertamento.

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provvedimento non è invece mai soggetto al ricorso per cassazione ex art. 111 cost., che, se

proposto, deve essere dichiarato inammissibile”65

.

Pertanto, rimedio naturale avverso l’ordinanza di assegnazione – nella sua versione

“fisiologica” – è l’opposizione agli atti esecutivi; eccezionalmente, quando l’ordinanza – in deroga

alla sua funzione – assume un contenuto decisorio su situazioni soggettive che dovrebbero essere

conosciute in altri incidenti cognitivi, in applicazione del noto principio della cd. prevalenza della

sostanza sulla forma, ha carattere sostanziale di sentenza ed è perciò appellabile.

Va innanzi tutto chiarito che la distinzione offerta dalla giurisprudenza in punto di rimedi

esperibili avverso l’ordinanza – a seconda che si contestino vizi attinenti al provvedimento nei suoi

profili esecutivi, ovvero che si deducano questioni che apparterrebbero ad un diverso giudizio

cognitivo – non coincide con la distinzione tra provvedimento idoneo o meno al giudicato, né

corrisponde alla differenza di contenuto dell’ordinanza a seconda che essa si limiti a “certificare”

sul piano formale la quantificazione delle somme da assegnare, sia cioè atto formale (il che

corrisponde al modo in cui essa è descritta nel testo dell’art. 553 c.p.c.), ovvero abbia un contenuto

più latamente decisorio (in base al potere che la prassi attribuisce al giudice dell’esecuzione di

svolgere in tale sede una indagine sommaria sui presupposti dell’esecuzione)66

. Seppure con

qualche incertezza (dovuta alla scarsa linearità argomentativa delle sentenze edite sul punto) ci

sembra che gli orientamenti prevalenti siano, da un lato, nel senso di negare sempre attitudine al

giudicato all’ordinanza di assegnazione (a prescindere dal fatto che essa consista in un mero atto

esecutivo di conferma delle somme precettate e recepisca la dichiarazione del terzo o la sentenza di

accertamento, ovvero che svolga un accertamento sommario sui presupposti del diritto azionato); da

un altro, nel senso di segnare la linea di confine tra l’opposizione agli atti e l’appello non in base al

contenuto dell’indagine sommaria svolta in sede di assegnazione, bensì in base alla sua capacità di

sostituirsi ad un diverso giudizio cognitivo; il che implica che si possono avere ordinanze di

assegnazione a contenuto “dichiarativo” e “decisorio” (seppure inidonee al giudicato), ma al

65

Cass. 22-6-2007, n. 14574, in D & G, 2007. Nello stesso senso, tra le altre Cass. 17-1-2012, n. 615; Cass. 9-3- 2011,

n. 5529, secondo cui “L'ordinanza di assegnazione di un credito, costituendo l'atto conclusivo del procedimento di

esecuzione forzata per espropriazione di crediti, ha natura di atto esecutivo. Pertanto, essa va impugnata con il rimedio

dell'opposizione agli atti esecutivi tutte le volte in cui si facciano valere vizi, ancorché sostanziali, attinenti

all'ordinanza di assegnazione oppure ai singoli atti esecutivi che l'hanno preceduta, mentre va impugnata con l'appello

qualora il contenuto di tale ordinanza, esulando da quello ad essa proprio, decida questioni che integrano l'oggetto

tipico di un procedimento di cognizione”; Cass. 29-10-2003, n. 16232; Cass. 8-8- 2002 n. 12030; Cass. 4-1-2000, n. 14,

in questa Rivista, 2001, 630, nt. Vitale; Cass. 29-1-1999, n. 796. Sull’inammissibilità del ricorso straordinario per

cassazione, vd. Cass. 16-10-2001, n. 12596; Cass. 28-6-2000, n. 8813; Cass. 29-1-1999, n. 796, cit.

66 Sull’attuale regime dell’ordinanza e sui poteri del giudice vd. supra § 1 e 4.

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contempo contestabili con l’opposizione agli atti (piuttosto residuale essendo l’ambito di

applicazione dell’appello)67

.

Si legge infatti ripetutamente nelle massime che l’ordinanza “va impugnata con il rimedio

dell'opposizione agli atti esecutivi tutte le volte in cui si facciano valere vizi, ancorché sostanziali,

attinenti all'ordinanza di assegnazione oppure ai singoli atti esecutivi”68

; sicché, l’opposizione è

aperta anche a contestazioni di “sostanza” (di merito, si direbbe), quando il giudice ha svolto quella

cognitio sommaria (che non si vuole vincolata dal giudicato per le ragioni di cui si è detto69

), ma

che al contempo non si estingue nel compimento di meri atti esecutivi.

67

Questa precisazione sembra trovare conferma nella motivazione di Cass. 23-4-2003, n. 6432, ove si legge: “Il fatto

che il provvedimento di assegnazione non abbia il contenuto richiesto dal creditore procedente (in ordine all'entità

della somma oggetto dell'assegnazione ed alla sua decorrenza) concretizza un (eventuale) vizio afferente a detto

provvedimento, deducibile con l'opposizione agli atti esecutivi, la quale non può essere limitata, come si sostiene nel

ricorso, ai vizi formali dell'ordinanza emessa dal giudice dell'esecuzione. L'impugnabilità con lo strumento

dell'appello, a cui si riferisce l'orientamento giurisprudenziale invocato dal ricorrente, concerne l'ipotesi in cui

l'ordinanza di assegnazione abbia un contenuto che fuoriesca da quello ad essa proprio ed assuma il carattere

sostanziale di una sentenza, in quanto decida su questioni che integrano l'oggetto tipico di procedimento di cognizione

(come, per esempio, quello di opposizione all'esecuzione). Ma siffatta ipotesi non ricorre nel caso di specie, in cui il

provvedimento oggetto dell'opposizione agli atti esecutivi ha il contenuto proprio dell'ordinanza di assegnazione e le

questioni poste dagli opponenti concernono l'entità della somma assegnata e la decorrenza dell'assegnazione”.

Ugualmente chiarificatrice è la motivazione di Cass. 9-3-2011, n. 5529, cit. ove si legge: “L'impugnabilità con lo

strumento dell'appello, a cui si riferisce l'orientamento giurisprudenziale invocato dal ricorrente, concerne i casi in cui

il contenuto dell'ordinanza di assegnazione fuoriesca da quello ad essa proprio e decida su questioni che integrano

l'oggetto tipico di un procedimento di cognizione: cioè sul diritto del creditore di procedere all'esecuzione (Cass. civ.

Sez. 3^, 23 aprile 2003 n. 6432 e precedenti ivi cit.), o sull'esistenza ed entità del credito pignorato (Cass. civ. Sez. 3^,

16 maggio 2005 n. 10180). Quando invece si facciano valere vizi o violazioni di legge, ancorché sostanziali, attinenti

all'ordinanza di assegnazione od agli atti esecutivi che l'hanno preceduta, il rimedio proponibile è l'opposizione agli

atti esecutivi. Nella specie il provvedimento di assegnazione ha risolto una controversia attinente all'applicabilità o

meno dell'art. 2917 cod. civ.. A prescindere dalla fondatezza nel merito della soluzione adottata, è indubbio che il GE -

nel ritenere inopponibile al creditore pignorante la compensazione eccepita dal terzo pignorato - ha richiamato ed

applicato una regola tipica del processo esecutivo, pur se ciò ha richiesto la soluzione, in via pregiudiziale, di una

questione di diritto, che può presentare problemi delicati e complessi. Ma si è trattato, per l'appunto, della mera

individuazione della norma di diritto applicabile al processo esecutivo; non della soluzione di una controversia avente

ad oggetto la definizione, in fatto e in diritto, di questioni quali il diritto del creditore di procedere all'esecuzione,

l'esistenza del credito azionato, l'esistenza ed entità del credito pignorato, ecc.: questioni tutte già definite in separata

sede, con doppio grado di giurisdizione. Correttamente quindi l'ordinanza di assegnazione è stata impugnata tramite

opposizione agli atti esecutivi”

68 Cass. 22-7-2007, n. 14574, cit.

69 Supra § precedente.

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In altre parole - stando alla giurisprudenza – per regola generale, unico mezzo di

contestazione dell’ordinanza è l’opposizione agli atti esecutivi, sia quando il provvedimento è

viziato per ragioni puramente formali, sia quando di esso si deducono vizi relativi al suo “contenuto

decisorio”. La possibile alternativa dell’appello – in onore al criterio di prevalenza della sostanza

sulla forma – opera “quando l’ordinanza abbia un contenuto decisorio diverso da quello suo

proprio ed assuma carattere sostanziale di una sentenza”70

. Sicché, quando l’ordinanza ha un

“contenuto decisorio suo proprio” – quel contenuto che ad essa deriva non già dal dato testuale

dell’art. 553 c.p.c., ma dalla lettura evoluta che se ne è offerta nella prassi - resta fermo il controllo

solo attraverso l’opposizione formale dell’art. 617 c.p.c.

Inoltre. Una compiuta indagine sui mezzi di contestazione dell’ordinanza di assegnazione

impone di andare oltre la linea giurisprudenziale appena evocata. Trattasi di provvedimento dotato

di una duplice natura: da un lato, atto dell’esecuzione (dell’espropriazione presso terzi), e

precisamente atto conclusivo della procedura; da un altro, titolo esecutivo spendibile in una diversa

ed autonoma sede per l’ipotesi in cui il terzo debitore assegnato non paghi spontaneamente

all’assegnatario (nel qual caso quest’ultimo ha buon gioco nell’iniziare una nuova esecuzione

direttamente nei confronti dell’assegnato). Sotto quest’ultimo profilo, l’ordinanza di assegnazione

vale al di fuori dell’esecuzione e l’anticipa (atto preliminare) per l’eventualità in cui il creditore ne

debba iniziare una nuova.

Per offrire un quadro completo dei rimedi, occorre allora avere riguardo ad entrambi i

profili, collocando gli eventuali strumenti di contestazione, non solo all’interno, ma anche al di

fuori dell’espropriazione presso terzi71

.

8. Segue: opposizione agli atti esecutivi o appello?

Nell’affermare che l’ordinanza di assegnazione è unicamente opponibile agli atti esecutivi

ex art. 617 c.p.c., la giurisprudenza inquadra il provvedimento quale ultimo atto dell’espropriazione

presso terzi. L’opposizione agli atti esecutivi è senz’altro appagante quando l’atto si contesta per

ragioni attinenti alla sua “regolarità formale” , con la precisazione che in questo caso il rimedio

deve essere accessibile non solo al creditore ed al debitore, ma anche al terzo, legittimato a

contestare la misura esecutiva (vieppiù per ragioni formali)72

.

70

Cass. 17-1- 2012, n. 615. Conf. Cass. 23-4-2003, n. 6432; Cass. 8-2-2007 n. 2745; Cass. 9-3-2011 n. 5529, cit.

71 Infra §§ 8-10.

72 In questo senso Della Pietra, Le vicende, cit., 48, secondo cui l’opposizione agli atti deve essere concessa anche al

terzo qualora il giudice abbia assegnato il credito nonostante la dichiarazione negativa e l’ordinanza sia resa sul

carattere asseritamente positivo della dichiarazione. Nello stesso senso, Grippo, La dichiarazione positiva del terzo

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Accade però talora che l’ordinanza non abbia un contenuto solo esecutivo, o comunque che

le contestazioni deducibili non siano di mera “regolarità formale”, bensì che essa sia pronunciata – e

si voglia perciò contestare – per ragioni attinenti al “merito”. Si pensi ad esempio al caso in cui in

sede di assegnazione è ridotto l’importo assegnato rispetto a quello precettato, a seguito di una

compensazione di un credito del terzo nei confronti del debitore73

; ovvero al caso in cui si deduce

l’assegnazione del credito ivi compreso il computo di interessi anatocistici maturati a seguito di

titolo esecutivo giudiziale74

; ovvero ancora al caso in cui si contesta la pignorabilità dei beni, o la

ritualità della procedura di dichiarazione del terzo75

. Qui la giurisprudenza sembra – non senza

incertezze76

- confermare l’utilizzabilità della sola opposizione agli atti77

, salvo che i poteri

cognitivi del giudice non arrivino fino all’accertamento pieno su questioni che dovrebbero costituire

oggetto di un ordinario giudizio di cognizione. In quest’ultimo caso, la stessa giurisprudenza –

debitor debitoris nell’espropriazione dei crediti, in AA.VV., Scritti sul processo esecutivo e fallimentare in ricordo di

Raimondo Annecchino, Napoli, 2005, 371. In giurisprudenza, Cass. 2-2-2008, n. 4578, cit.; Cass. 7-8-2001, n. 10897;

Cass. 4-1-2000, n. 14, cit.; Trib. Benevento 20 -3-2012, cit.

73 Cass. 9-3-2011, n. 5529 cit.

74 Cass. 24-2-2011, n. 4505.

75 Cass. 31-8-2011, n. 17878.

76 Le incertezze giurisprudenziali sono evidenti. Si pensi ad esempio al caso in cui l’ordinanza sia contestata in quanto

abbia assegnato crediti impignorabili. La giurisprudenza prevalente esclude in tale ipotesi il rimedio dell’opposizione

all’esecuzione (vd. amplius infra § 9), costituendo l’assegnazione ultimo atto della procedura, chiusa la quale

l’opposizione all’esecuzione non sarebbe più proponibile (Cass. 31-8-2011, n. 17878, cit., riconosce quale unico

rimedio utilizzabile avverso l’ordinanza di assegnazione l’opposizione agli atti esecutivi in fattispecie in cui il debitore

aveva contestato la pignorabilità delle somme e la ritualità della procura al terzo dichiarante (trattandosi di vizi

asseritamente formali che si riversano per derivazione sull’atto conclusivo della procedura, cioè l’ordinanza di

assegnazione)). Di contro, la stessa giurisprudenza non manca talora di negare anche l’opposizione agli atti per la

ragione di impignorabilità, non potendo ciò costituire oggetto dell’opposizione formale dell’art. 617 c.p.c. (Cass. 11-2-

1999, n. 1150). Vi sono casi poi in cui in questa stessa fattispecie è stato ammesso il ricorso straordinario, così

contraddicendo l’orientamento consolidato che lo nega avverso l’ordinanza di assegnazione (vd. Cass. 24 -11- 1980, n.

6245, cit., in FI, 1981, I, 1101). Tutto ciò espone il debitore – o anche il terzo – alla massima incertezza intorno ai

rimedi utilizzabili avverso l’ordinanza che (per ragioni più o meno fisiologiche di funzionamento della procedura) abbia

di fatto accertato e deciso di crediti impignorabili. Su questi profili, vd. ampiamente Majorano, L’espropriazione presso

terzi, cit., 243.

77 Si ritiene, ancora, che la contestazione dei criteri informatori dell'assegnazione al creditore procedente di una parte

delle somme dichiarate dovute dal terzo pignorato al debitore a titolo di retribuzione per lavoro dipendente, relativa alla

decorrenza dell'assegnazione stessa ed alla misura della percentuale assegnata, dà luogo ad una opposizione agli atti

esecutivi (Cass. 15-3-1980 n. 1752). Così come è contestabile con l’opposizione agli atti l’ordinanza di assegnazione

che verifica, sulla base del contenuto della dichiarazione resa dal terzo, che essa abbia contenuto positivo o negativo

(Cass. 16-5-2005, n. 10180, cit.).

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invocando il principio della prevalenza della sostanza sulla forma – apre la strada all’appello

(l’ordinanza, avendo un contenuto decisorio, ha sostanza di sentenza, pur nella forma di

ordinanza)78

.

La soluzione dell’appellabilità dell’ordinanza dotata di carattere cognitivo decisorio solo

apparentemente risponde all’esigenza di avvalorare le dinamiche del procedimento per

l’assegnazione del credito nella sua reale consistenza applicativa, piuttosto che nel disegno astratto

del codice, quale procedimento non più meramente ricognitivo, bensì reso all’esito di una indagine

sommaria compiuta – anche d’ufficio – sui presupposti e la determinazione del quantum da

assegnare. Si è visto79

infatti come l’opposizione agli atti può accogliere anche contestazioni “di

sostanza” su atti che non sono solo “esecutivi”, ma anche hanno un contenuto dichiarativo (di

accertamento). Più limitato è il campo di applicazione dell’appello avverso l’ordinanza dell’art.

553 c.p.c., ammesso solo quando la cognitio del giudice in sede di assegnazione punta a sostituire

un accertamento che all’interno dell’esecuzione avrebbe dovuto collocarsi in altra parentesi

cognitiva80

(quando ad esempio il giudice dell’esecuzione al momento dell’assegnazione valuta il

“diritto procedere ad esecuzione forzata” ex art. 615 c.p.c., ovvero quando decide sulla

78

Scorrendo la casistica, si noterà come sono residuali i casi in cui l’appello è concretamente ammesso, in luogo

dell’opposizione agli atti.

79 Supra § precedente.

80 Favorevole all’uso generalizzato dell’opposizione agli atti Vaccarella, voce Espropriazione, cit., 124, il quale osserva

come anche nel mutato contesto di presupposti, il regime dell’ordinanza di assegnazione trova adeguata risposta proprio

in tale rimedio, tenuto conto dell’evoluzione interpretativa che lo ha visto protagonista. Osserva infatti l’A.

(richiamando già il suo Titolo esecutivo, precetto opposizioni, cit., 55) come la soppressione di atti esecutivi

immediatamente impugnabili in cassazione ex art. 111 comma 7 cost. ed il passaggio dell’impugnazione di ogni

provvedimento esecutivo per l’opposizione agli atti (la cui sentenza a sua volta è ricorribile in cassazione ex art. 111

comma 7 cost.) ha favorito il proliferare di atti esecutivi decisori e cioè l’adozione di provvedimenti che presuppongono

la soluzione di questioni di merito ed una incidenza su situazioni sostanziali. Pertanto “non sembra dubbio che in tal

modo si è sconvolta la funzione che, nel suo disegno, il legislatore aveva assegnato all’opposizione formale, ma

altrettanto indubbio sembra che, da un lato, ciò era inevitabile per l’impossibilità […] di espungere del tutto la

cognizione dalla fase espropriativa […] e che dall’altro l’individuazione nell’opposizione agli atti del rimedio generale

contro tutti gli atti esecutivi e per far valere qualunque loro vizio (formale o di “merito”) ha costituito una soluzione

sufficientemente garantista per le parti. Ed infatti, l’opposizione agli atti consente alle parti di ottenere un accertamento

pieno, in un ordinario giudizio di cognizione e con la possibilità del controllo di legittimità da parte della Corte di

cassazione, dei presupposti del provvedimento; e l’unicità del grado di giudizio non pone alcun problema quando

oggetto dell’opposizione sia la mera irritualità del provvedimento, mentre ne pone solo di opportunità (non essendo

garantito costituzionalmente il doppio grado) quando il vizio lamentato riguardi il “merito” del provvedimento stesso”.

Sull’evoluzione interpretativa che ha interessato l’opposizione dell’art. 617 c.p.c., vd. anche Oriani, L’opposizione agli

atti esecutivi, Napoli, 1987, 7 ss., 19 ss. Sui vantaggi e svantaggi dell’opposizione agli atti in luogo di quella

all’esecuzione, vd. infra § 9.

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dichiarazione – positiva o negativa – del terzo alla stregua di quanto dovrebbe avvenire ex art. 549

c.p.c.).

Resta quindi dominante pure nell’attuale modello di ordinanza di assegnazione in cui il

giudice non solo “esegue”, ma anche “conosce” pur senza “decidere”81

, l’opposizione agli atti

esecutivi, che si conferma rimedio omnibus il cui ambito va ben oltre la sola “regolarità formale”82

.

D’altra parte, l’applicazione della regola della prevalenza della sostanza sulla forma (e quindi

l’appellabilità dell’ordinanza) nel caso in esame complica il sistema, piuttosto che agevolarlo83

.

E’ noto come tale principio sia venuto affermandosi nella giurisprudenza per rispondere alle

ipotesi in cui erroneamente il giudice riveste di una certa forma un provvedimento il cui contenuto

sostanziale corrisponde a quello che secondo la legge avrebbe dovuto avere forma diversa84

.

Devono sussistere in altri termini nell’ordinamento due alternative di provvedimenti diversi per

forma e contenuto: sentenza, quando decisorio, ordinanza, quando ordinatorio, con variabile

dipendente spesso dal comportamento delle parti o da altre circostanze che la legge stessa

predetermina. Con la conseguenza che, se il giudice pronuncia il provvedimento a contenuto

decisorio con ordinanza (o vice versa, rende una sentenza senza decidere alcunché) in applicazione

del noto principio quella ordinanza va trattata – sul piano dei rimedi – alla stregua della sentenza (o

vice versa). Così ad esempio, quando nella divisione il giudice istruttore provvede con ordinanza

sulla vendita, pur essendo sorta controversia sul punto (nel qual caso il provvedimento, decisorio,

diverge dalla sentenza dell’art. 788, comma 2, c.p.c. solo per la forma, ma è sentenza nel contenuto

sostanziale e perciò impugnabile con i rimedi ordinari)85

; ovvero quando è pronunciata ordinanza di

81

Ferma restando l’inattitudine al giudicato del provvedimento (supra § 4).

82 Oriani, L’opposizione, cit., 19; Vaccarella, op. loco cit.

83 Contrario all’applicazione del principio di prevalenza della sostanza sulla forma nel caso in esame Vaccarella, voce

Espropriazione, cit., 124.

84 Sul principio di prevalenza della sostanza sulla forma vd. Tarzia, Profili della sentenza civile impugnabile, Milano,

1967; Mandrioli, L’assorbimento dell’azione civile di nullità e l’art. 111 Cost., Milano, 1967; Sorace, Spunti intorno ai

provvedimenti giudiziali civili emessi in forma diversa da quella corrispondente alla sostanza degli stessi e ai rimedi

esperibili, in Scritti in memoria di S.Satta, Padova, 1982, 1639 ss. Per una ricostruzione di insieme, sia consentito

rinviare a Tiscini Il ricorso straordinario in cassazione, Torino, 2005, 92 ss.

85 Cass. 22-2-2010, n. 4245, secondo cui “Quando nel procedimento di divisione il giudice istruttore provvede con

ordinanza sulla vendita, pur essendo sorta controversia sul punto, il provvedimento, pronunciato in ogni caso da un

organo munito di potere decisorio, diverge dalla sentenza di cui all'art. 788, comma 2, c.p.c. solo per la forma, ma è

sentenza nel contenuto sostanziale. Ne deriva che - poiché l'impugnazione del provvedimento, a garanzia del diritto di

difesa delle parti, non può dipendere dalla forma che gli ha fatto assumere il giudice, ma solo dal suo contenuto e

quindi non può essere sufficiente l'errore di questo nell'individuazione della giusta forma del provvedimento a privare

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rilascio dell’immobile nel procedimento per convalida nonostante il conduttore si sia presentato

all’udienza ed abbia contestato (anche qui ritenendosi l’ordinanza formalmente una sentenza, perciò

appellabile)86

.

Il medesimo principio non trova terreno di elezione nel caso dell’ordinanza di assegnazione

dell’art. 553 c.p.c. Non vi è qui una duplice alternativa tra un provvedimento di assegnazione con

carattere decisorio, ed uno meramente esecutivo, limitandosi la legge a disciplinare l’ipotesi in cui il

giudice dell’esecuzione – con atto veramente esecutivo – assegna le somme nei limiti della

dichiarazione positiva del terzo o della sentenza ex art. 549 c.p.c. Il caso in cui il giudice esercita in

questa sede una funzione cognitiva e contenziosa si può avere (come visto87

) quando egli compie

indagini che apparterrebbero ad altri incidenti cognitivi pur sempre interni all’esecuzione (ad

esempio, quando decide del diritto a procedere ad esecuzione forzata, potere che appartiene al

giudice dell’opposizione all’esecuzione, ovvero quando accerta l’obbligo del terzo come dovrebbe

fare il giudice della cognizione ex art. 548 c.p.c.88

). Vi è infatti chi89

individua l’alternativa di

la parte del suo diritto all'impugnazione (principio della c.d. prevalenza della sostanza sulla forma) - detta ordinanza è

impugnabile con i rimedi ordinari, e quindi è non ricorribile per cassazione ex art. 111 cost., ma appellabile”.

86 Per altri casi, vd. ad esempio Cass. 11-12-2007, n. 25837, in Foro amm. CDS 2008, 1, I, 69, secondo cui “posto che,

al fine di stabilire se un provvedimento abbia natura di sentenza o di ordinanza, è decisiva non già la forma adottata

ma il suo contenuto (cosiddetto principio della prevalenza della sostanza sulla forma ), al provvedimento del giudice, il

quale - nel delibare come rilevante e non manifestamente infondata, ai sensi dell'art. 23 l. n. 87 del 1953, la q.l.c. della

norma che è tenuto ad applicare, rimettendo gli atti alla Corte cost., con sospensione del giudizio in corso - affermi,

altresì, la propria giurisdizione nella materia controversa, va riconosciuta, per questa parte, natura non già di

ordinanza (priva di carattere decisorio e, dunque, non impugnabile, qual è appunto quella con cui viene proposto

l'incidente di costituzionalità), bensì di sentenza non definitiva ai sensi dell'art. 279, comma 2 n. 4, c.p.c., con l'ulteriore

conseguenza che, a norma dell'art. 361 c.p.c., avverso la stessa va fatta riserva di ricorso per cassazione o deve essere

proposto ricorso immediato, determinandosi, in difetto, il passaggio in giudicato della decisione, senza che rilevi in

contrario che, nella sentenza definitiva, lo stesso giudice abbia poi ribadito la propria giurisdizione”; Cass. 27 luglio

2006, n. 17098, secondo cui “In tema di procedimento possessorio, al fine di stabilire se un provvedimento abbia

natura di ordinanza o di sentenza, e sia quindi soggetto, in tale secondo caso, ai mezzi di impugnazione previsti per la

sentenza, occorre avere riguardo non già alla forma adottata ma al suo contenuto, in ossequio al cosiddetto principio

di prevalenza della sostanza sulla forma . Pertanto, non essendo configurabile la natura necessariamente bifasica del

procedimento possessorio, il provvedimento con il quale il giudice, a conclusione della cosiddetta fase interdettale,

abbia respinto o accolto il ricorso possessorio senza rimettere le parti innanzi a sé per la trattazione della causa nel

merito, così concludendo definitivamente il giudizio e pronunciando sulle spese, ha natura di sentenza -

indipendentemente dalla diversa definizione datagli dal giudice - e quindi è impugnabile mediante appello e non

mediante reclamo, proponibile, nella materia possessoria, soltanto avverso il provvedimento avente natura di

ordinanza”.

87 Supra § precedente.

88 Vaccarella, voce Espropriazione, cit., 124.

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“sostanza” rispetto alla forma dell’ordinanza in tutti i possibili atti che nel processo esecutivo sono

potenzialmente idonei ad essere rivestiti della forma di sentenza (la sentenza resa nel giudizio di

opposizione agli atti esecutivi ex art. 618 c.p.c. o quella resa nell’opposizione all’esecuzione ex art.

616 c.p.c., o ancora quella ex art. 549 c.p.c.).

Tuttavia la molteplicità di alternative crea una incertezza tale da rendere non solo

controproducente, ma anche del tutto inattuabile il principio “sostanzialistico”. Esso ha un senso

quando l’alternativa “sostanziale” del provvedimento erroneamente vestito di una forma diversa è

una alternativa certa (quando il ricorrente chiamato a scegliere il mezzo di impugnazione sa con

certezza che l’atto vale sostanzialmente un atto diverso del quale può mutuare il regime in termini

di impugnazione). Lo stesso principio non opera utilmente quando il contenuto sostanziale dell’atto

non conduce ad una unica forma possibile, ma espone a più scelte: sarebbe impossibile in questo

quadro individuare una unica sostanza attraverso la quale delineare il rimedio impugnatorio

(avverso il provvedimento erroneamente emesso in una forma che non corrisponde alla sostanza).

D’altra parte, la linea giurisprudenziale qui in esame non individua specificamente il

contenuto sostanziale dell’atto che erroneamente ricopre la forma di ordinanza per delinearne il

rimedio impugnatorio, ma si limita a stabilire che ogni qualvolta tale atto ha sostanza decisoria, esso

deve essere appellabile. Esemplificando. La giurisprudenza non impone di verificare se l’ordinanza

erroneamente dotata di carattere decisorio presenta la sostanza di sentenza ex art. 618 c.p.c. (nel

qual caso il rimedio non sarebbe l’appello, ma il ricorso per cassazione) ovvero se essa nasconde la

sostanza di sentenza resa ex art. 616 c.p.c. (quindi appellabile) o ancora se si tratta di sentenza

pronunciata ai sensi dell’art. 549 c.p.c. (anche qui appellabile). Nel caso di divergenza tra forma e

sostanza, unico rimedio impugnatorio è individuato nell’appello, senza distinguere a quale sostanza

quella forma avrebbe dovuto corrispondere. Siamo quindi al di fuori del campo di applicazione del

principio di prevalenza della sostanza sulla forma (o meglio tale principio non funziona bene nel

nostro caso) proprio perché non c’è un unico possibile contenuto sostanziale dell’atto erroneamente

emesso come ordinanza.

9. Segue: opposizione all’esecuzione?

Quid iuris allora per l’ipotesi in cui l’ordinanza di assegnazione assuma (come di frequente

accade oggi) un contenuto decisorio non limitandosi solo ad assegnare le somme precettate per le

quali è stata resa la dichiarazione positiva del terzo? Il che può accadere non solo quando

l’ordinanza invade la sfera di altro incidente cognitivo, ma pure quando resa in esercizio di poteri

89

Così ancora Vaccarella, voce Espropriazione, cit., 124.

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sostanziali che l’art. 553 c.p.c. non conosce. La giurisprudenza esclude il rimedio dell’opposizione

all’esecuzione, sul presupposto che l’ordinanza di assegnazione del credito emessa ai sensi dell'art.

553 c.p.c. chiude il processo esecutivo, con la conseguenza che il debitore non può più avvalersi

dell’opposizione all’esecuzione non essendo configurabile un’opposizione contro un’esecuzione

ormai esaurita90

. E’ questa però una lettura che poteva appagare nella versione originaria del

procedimento secondo il dato testuale dell’art. 553 c.p.c., ma che certamente con soddisfa nella

versione della norma così come attualmente applicata.

Una volta bandito il principio della prevalenza della sostanza sulla forma (per le ragioni di

cui si è detto91

) ed ammessa l’attitudine decisoria dell’ordinanza di assegnazione, ogni qualvolta il

giudice sia chiamato a compiere indagini – seppure sommarie – sui presupposti dell’esecuzione, il

rimedio dell’opposizione all’esecuzione pare non potersi negare. Si pensi ad esempio al caso in cui

sia sindacata in sede di assegnazione la legittimità del titolo esecutivo (nei limiti in cui sia

sindacabile nell’esecuzione92

), ovvero al caso in cui il giudice dell’esecuzione dia valore a taluni

presupposti circa la quantificazione del credito non esaminati con la dichiarazione del terzo93

, o

anche dia valore ad alcuni profili di impignorabilità94

. A noi sembra che, ogni qualvolta la

cognizione del giudice dell’esecuzione in sede di assegnazione oltrepassa i confini dell’attività

puramente “esecutiva”, i relativi vizi possano estendersi al “diritto a procedere ad esecuzione

forzata”, e perciò dare spazio all’opposizione all’esecuzione. Né può valere l’obiezione secondo cui

si tratterebbe di rimedio escluso, essendo l’ordinanza di assegnazione dell’art. 553 c.p.c. il

provvedimento che chiude l’esecuzione (sicché, il debitore - ad esecuzione conclusa – non

potrebbe avvalersi dell’art. 615 c.p.c.): senz’altro aggiungere, basti considerare che al momento

dell’assegnazione il procedimento è sicuramente in fase di chiusura, ma non ancora concluso,

costituendone l’atto finale ma da computare nella procedura (si direbbe, dies ad quem computatur

in termino)95

.

90

Cass. 24-2-2011 n. 4505, cit. Nello stesso senso Cass. 20-10- 1997, n. 10259, in NGCC, 1998, I, 518, nt. Finocchiaro;

e in GC, 1998, I, 1993 nt. Schermi; Cass. 21-11-1988, n. 6262, cit. Canella, La contestazione dell’ordinanza di

assegnazione del credito, RTDPC, 2001, 225.

91 Supra § precedente.

92 Con pienezza, quando si tratta di titolo stragiudiziale; compatibilmente con il principio dell’art. 161 c.p.c. quando

giudiziale.

93 Si pensi al problema della quantificazione delle spese (vd. Cass. 17.1.2012, n. 615).

94 Vd supra nt. 74.

95 In senso contrario sembra invece Cass. 24-2-2911 n. 4505, cit. ma con riferimento ad un caso di specie non del tutto

conferente: trattavasi di opposizione all’esecuzione proposta per contestare un titolo esecutivo giudiziale deducendo

ragioni di erronea quantificazione delle somme dovute per fatti e pagamenti avvenuti prima del passaggio in giudicato

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Problemi possono sorgere invece con riguardo alla legittimazione. Se sicuramente

legittimato è il debitore, si può discutere circa la legittimazione del terzo. Tuttavia, è preferibile

estendere al terzo assegnato il potere di opporsi ex art. 615 c.p.c., qualora ne abbia interesse in base

al contenuto dell’ordinanza96

(si pensi al caso dell’impignorabilità del credito assegnato)97

.

Occorre infine chiedersi, dal punto di vista pratico, se vi sia convenienza nell’ammettere

l’opposizione all’esecuzione, piuttosto che l’appello avverso l’ordinanza di assegnazione a

contenuto decisorio98

, ovvero ancora l’opposizione agli atti esecutivi99

. A fronte di una opposizione

all’esecuzione capace di assicurare un doppio grado di giudizio ed un ultimo controllo di legittimità

(una volta tornata appellabile la sentenza dell’art. 616 c.p.c.100

), tanto l’appello quanto

l’opposizione agli atti si rivelano opzioni “perdenti”: la prima perché avverso l’ordinanza

sostanzialmente qualificabile come sentenza sarebbe ammesso direttamente il secondo grado di

merito (e poi eventualmente il ricorso per cassazione ordinario); la seconda perché si perderebbe il

secondo grado di merito essendo la sentenza resa in sede di opposizione agli atti esecutivi

unicamente ricorribile per cassazione (ex art. 111 comma 7 cost.). Per non dire poi – quanto al

del titolo stesso. La Suprema Corte argomentava dunque l’inammissibilità dell’opposizione, in primo luogo per la

preclusione dovuta alla applicazione del principio generale dell’art. 161 c.p.c. e solo incidentalmente rilevando la

“tardività” del rimedio in quanto proposto in una procedura ormai conclusa.

96 D’altra parte, la giurisprudenza riconosce spazio alla legittimazione del terzo a proporre opposizione all’esecuzione.

Così ad esempio quando il terzo non neghi il proprio obbligo, ma opponga di non poter adempiere perché il credito è

stato assoggettato a sequestro presso di lui, eccezione che non attiene alla esistenza ed alla validità dell'obbligazione in

questione (di cui quindi non è necessario alcun accertamento giudiziale finalizzato alla condanna del terzo debitore).

Siffatta eccezioni può infatti essere opposta dal terzo in sede esecutiva per paralizzare l'esercizio della relativa azione

promossa dal suo creditore in base a titolo ottenuto nei suoi confronti proprio attraverso l’opposizione all’esecuzione

(“la difesa esperibile dal terzo debitore del debitore nel giudizio di opposizione all'esecuzione assicura il

coordinamento tra espropriazione forzata presso terzi e giudizio sul credito svoltosi in forme diverse da quelle di

accertamento dell'obbligo del terzo e senza l'intervento del creditore procedente”): Cass. 8-10-1997, n. 9782.

97 Diverso percorso – da escludere – sarebbe l’opposizione di terzo all’esecuzione, strumento invero non compatibile

con la posizione del terzo assegnato, e tuttavia ammissibile nell’espropriazione presso terzi: per taluni casi in cui è

ammessa l’opposizione ex art. 619 c.p.c. nell’espropriazione presso terzi, vd. Cass. 27-8-1984, n. 4703 Cass. 9-8-1997,

n. 7413; Cass. 9-10- 1998, 10028, Civilista, 2010, f.7-8, 108, nt. Pezzini.

98 Nonostante, per le ragioni esposte, ci sembra che l’appellabilità vada comunque esclusa.

99 Favorevole all’uso dell’opposizione agli atti esecutivi (senza alcun pregiudizio per le parti) nella lettura attuale che di

tale rimedio offre l’esperienza pratica, vd. Vaccarella, voce cit., 124-125 (su cui vd. anche supra nt. 78).

100 Il che è avvenuto con la riforma del 2009, dopo un breve periodo in cui era stata dichiarata inappellabile dalla l. n.

52/2006.

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confronto con l’opposizione agli atti esecutivi – che i ristretti termini101

per denunciare le

“irregolarità” dell’atto non ben si addicono a contestazioni che vanno oltre tali irregolarità102

.

10. Margini di contestabilità dell’ordinanza quale titolo per la successiva esecuzione

diretta contro il terzo assegnato.

Veniamo ora al secondo profilo di indagine103

circa i rimedi esperibili avverso l’ordinanza,

qualora si guardi ad essa quale titolo esecutivo idoneo a fondare una nuova esecuzione da

intraprendere su istanza del creditore aggiudicatario nei confronti del terzo debitore assegnato che

non adempia spontaneamente.

Di questo aspetto si disinteressa la giurisprudenza per ragioni intuibili. Accade di frequente

nella procedura espropriativa presso terzi – soprattutto quando il terzo è costituito da un soggetto

pubblico, una banca, una multinazionale – che, una volta assegnato il credito, il terzo è indotto ad

onorare il debito, con la conseguenza che il pagamento spontaneo del terzo riduce al minimo il

rischio che l’assegnatario debba intraprendere nei suoi confronti una nuova esecuzione (e

quest’ultimo contestare in tale sede il titolo esecutivo rappresentato dall’ordinanza di assegnazione

aliunde formatasi).

Ci si può domandare tuttavia se e quali rimedi abbia il terzo per contestare il titolo esecutivo

rappresentato dall’ordinanza di assegnazione conseguita a favore dell’assegnatario

nell’espropriazione presso terzi poi conclusasi. Allo scopo, è bene tornare sulla natura

dell’ordinanza quale titolo esecutivo.

Occorre distinguere il contenuto di tale ordinanza, a seconda che essa sia stata resa senza

alcun potere cognitivo (atto meramente esecutivo e conclusivo dell’espropriazione presso terzi)

ovvero che sia stata pronunciata con l’esercizio di poteri lato sensu decisori. Se l’ordinanza di

assegnazione resta atto dell’esecuzione privo di carattere cognitivo, una volta chiusa la procedura è

difficile immaginarne margini di contestazione nell’eventuale successiva espropriazione diretta

contro il terzo-debitore assegnato, per l’effetto sanante sulle nullità che produce la chiusura

101

Va detto tuttavia, che proprio i ristretti termini – agganciati alla pronuncia dell’atto – per proporre l’opposizione

dell’art. 617 c.p.c. possono costituire – in pratica – la ragione che fa pendere l’ago della bilancia a favore di tale

rimedio: la qualificazione di ogni vizio dell’ordinanza come “formale” (in modo da consentirne la denuncia solo con

l’opposizione agli atti) dà certezza dei limiti alla sua invalidità, nel senso che o essa è fatta valere entro il termine di

venti giorni, ovvero essa “si sana” ex art. 2929 c.c. (ma sui limiti all’applicazione di quest’ultima norma nel caso

considerato, vd. infra § 10).

102 Contra Vaccarella, op. loco cit.

103 Secondo lo schema approssimato supra § 7.

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dell’esecuzione. Dal momento infatti che, ex art. 2929 c.c.104

, una volta chiusa la procedura

esecutiva, le nullità che hanno preceduto l’assegnazione non hanno effetto riguardo all’assegnatario

(salvo il caso della collusione con il creditore procedente), l’eventuale vizio formale che dovesse

inficiare l’ordinanza di assegnazione non sarebbe idoneo a costituire motivo di doglianza nella

successiva esecuzione, essendosi esso sanato con la chiusura dell’espropriazione presso terzi.

La regola dell’art. 2929 c.c. non offre però risposte del tutto appaganti nel caso in cui

l’ordinanza di assegnazione abbia un contenuto decisorio su diritti, non potendo operare allo stesso

modo la disposizione sulle “nullità del processo esecutivo” in un contesto in cui si discute del –

diverso – problema dei limiti di contestabilità del titolo esecutivo giudiziale105

. Occorre chiedersi

cioè se e quali rimedi siano contemplati nell’eventuale successiva esecuzione che fosse iniziata per

vincere l’inadempienza del terzo debitore assegnato. Problema questo che acquista maggior valore

se si considera che per ragioni varie il terzo può essere stato privato del potere di contestare il

provvedimento nella precedente espropriazione presso terzi (si pensi al caso in cui sia stato

assegnato un credito impignorabile, e la relativa ordinanza non sia stata contestata nella precedente

procedura esecutiva essendo stata dichiarata inammissibile l’opposizione all’esecuzione106

, ma

anche l’opposizione agli atti107

, nonché il ricorso straordinario ex art. 111 comma 7 cost.108

).

Una volta riconosciuta all’ordinanza efficacia esecutiva, pochi dubbi possono nutrirsi circa il

fatto che si tratti di un titolo giudiziale, in quanto emesso dal giudice nel corso di un processo109

. Il 104

Con la conferma degli artt. 530 e 569 c.p.c.

105 A questo problema offre risposta solo parziale l’efficacia confessoria e volontaria della dichiarazione positiva del

terzo, ovvero il fatto che in sua vece sia stata resa sentenza di accertamento dell’obbligo del terzo ex art. 548 c.p.c.

Fermo restando che sia nell’uno che nell’altro caso può ritenersi non più contestabile il diritto del terzo nei confronti del

creditore assegnatario (una volta accertata la sussistenza del debito nei confronti del debitore esecutato) – su cui vd.

Vaccarella, voce Espropriazione, cit., 106 – altri possono essere i margini di contestabilità del terzo in sede esecutiva,

sia in considerazione di fatti o atti che rendono il credito inesigibile (si pensi ad esempio ad un sequestro conservativo

su di esso), sia in considerazione di una diversa quantificazione del credito da parte del giudice in sede di assegnazione.

106 Essendo quella procedura già chiusa. Vd. supra § 9.

107 Non trattandosi di vizio formale denunciabile ex art. 617 c.p.c. vd. ancora supra § 8.

108 Vd. supra § 8.

109 Ne è conferma la recente modifica apportata all’art. 474 comma 1 n. 1 c.p.c. che annovera tra i titoli giudiziali anche

gli “atti” a cui la legge attribuisce efficacia esecutiva, tra cui si individuano i verbali di conciliazione giudiziale: atti

emessi dal giudice, ma certamente alla sua paternità non ascrivibili, essendo piuttosto frutto dell’autonomia negoziale

delle parti. Prospetta invece l’alternativa della qualificazione del titolo in esame come stragiudiziale, Tatangelo,

L’efficacia di titolo esecutivo dell’ordinanza di assegnazione di crediti nell’espropriazione forzata presso terzi e gli

effetti delle vicende successive alla sua emissione (caducazione o sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo ecc.), in

questa Rivista, 2005, 825.

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che vale, sia che si ritenga il provvedimento incapace di condurre alla cosa giudicata (privo di

accertamento), sia che – secondo la tesi attualmente non accreditata110

- esso sia riconosciuto idoneo

alla stabilizzazione degli effetti.

Ci si può interrogare circa l’applicabilità della regola – valevole senz’altro per tutti i titoli

giudiziali – dell’art. 161 comma 1 c.p.c. che impone la deducibilità dei vizi dell’atto quali mezzi di

gravame e nelle sole forme dell’impugnazione. A noi sembra (per regole generali) che

l’applicazione dell’art. 161 c.p.c. si imponga, sia che l’ordinanza di assegnazione sia considerata

provvedimento inidoneo a stabilizzarsi – privo di accertamento – sia che si ritenga capace di

condurre alla cosa giudicata111

. In quest’ultimo caso, opererebbe non solo il giudicato sostanziale

(art. 2909 c.c.), ma anche quello formale (art. 324 c.p.c.), con tutte le conseguenze che ne derivano

in punto di assorbimento dei motivi di nullità in ragioni di gravame112

. Una regola corrispondente

può però valere anche qualificando l’ordinanza di assegnazione come atto “decisorio senza

accertamento”, ma solo per contestare i vizi di invalidità, l’ingiustizia essendo sempre deducibile

quale motivo di contestazione dell’atto113

.

Veniamo allora al caso dell’ordinanza di assegnazione con contenuto decisorio, su cui - in

quanto titolo esecutivo – sia stata intrapresa una nuova espropriazione diretta contro il debitore

assegnato. Fermo restando che la denuncia delle invalidità dell’atto sono precluse dalla chiusura

dell’espropriazione presso terzi per effetto dell’art. 2929 c.c., l’inattitudine al giudicato del

medesimo provvedimento consente che la sua ingiustizia sia contestabile anche in sede di

opposizione ex art. 615 c.p.c. intrapresa nella nuova esecuzione iniziata contro il terzo debitore

110

Supra § 4.

111 Della distinzione si è già discorso supra § 4.

112 Sia consentito rinviare a Tiscini, I provvedimenti decisori senza accertamento, cit., 274.

113 Altrove abbiamo cercato di dimostrare come il regime dei provvedimenti a carattere decisorio, ma inidonei al

giudicato sia sganciato dalla formazione della cosa giudicata sostanziale (non si applichi l’art. 2909 c.c.), ma non anche

dal giudicato formale dell’art. 324 c.p.c. (e di riflesso dell’art. 161 c.p.c.), con l’unica differenza che siffatta regola vale

per la denuncia delle invalidità, non dell’ingiustizia del provvedimento impugnato (Tiscini, I provvedimenti, cit., 275

ss.). In altri termini, qualificando l’ordinanza di assegnazione come “provvedimento decisorio senza accertamento” si

potrebbe ritenere che, mentre l’impugnazione dell’ordinanza costituisce l’unico rimedio per denunciare i vizi di

invalidità dell’atto - le quali però nel caso che ci occupa non sono deducibili al di fuori dell’espropriazione presso terzi

in applicazione dell’art. 2929 c.c. - , non ugualmente l’impugnazione dell’ordinanza rappresenta l’unico rimedio

esperibile per denunciarne l’ingiustizia, quest’ultima potendosi consumare anche altrove alla condizione che siano

decorsi i termini per impugnare l’atto (Tiscini, I provvedimenti, cit., 275 ss.).

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assegnato114

. Il che trova conferma proprio negli effetti della assegnazione di cui all’art. 2929 c.c. i

quali, se inibiscono la denuncia di qualunque nullità (formale) degli atti esecutivi al difuori

dell’esecuzione, non precludono certo la contestabilità (una volta chiuso il processo esecutivo) del

“diritto a procedere ad esecuzione forzata”115

.

Sarà quindi ben possibile per il terzo assegnato contestare nella nuova sede esecutiva

intrapresa dall’assegnatario creditore nei suoi confronti, l’ingiustizia del titolo esecutivo (non anche

l’invalidità), non preclusasi nella precedente procedura esecutiva.

11. In sintesi.

Riassumendo in estrema sintesi.

A) Pur non riconoscendosi ex lege l’efficacia di titolo esecutivo all’ordinanza di

assegnazione del credito dell’art. 553 c.p.c., ragioni di opportunità inducono a questa conclusione

per evitare che la procedura esecutiva si concluda con un provvedimento dichiarativo inappagante

per il creditore assegnatario di fronte al persistente inadempimento del debitore assegnato. B) La

qualificazione dell’ordinanza come titolo esecutivo impone di riflettere sul suo regime. Fermo

restando che vi sono casi in cui essa conserva la natura di atto interno all’esecuzione e privo di

carattere sostanziale, non si può negare talora un contenuto decisorio, soprattutto quando l’indagine

sommaria che compie il giudice al momento dell’assegnazione incide sulla qualificazione o

quantificazione del credito. C) Quando mero atto interno all’esecuzione, condivisibile è la scelta di

individuare quale unico rimedio avverso esso l’opposizione agli atti esecutivi. D) Non altrettanto

può dirsi quando l’ordinanza di assegnazione del credito assume risvolti di merito: qui il rimedio

dell’opposizione formale non basta più. Occorre allora guardare ad ulteriori possibili alternative.

Quale ultimo atto dell’espropriazione presso terzi, va dato spazio all’opposizione all’esecuzione.

Quale presupposto della futura esecuzione che il creditore volesse intraprendere direttamente nel

confronti dell’assegnato, occorre ulteriormente distinguere: i vizi formali dell’atto non sono più

deducibili avendo operato nella precedente espropriazione presso terzi la regola generale dell’art.

2929 c.c. I vizi sostanziali (ingiustizia) possono invece trovare collocazione nell’opposizione

all’esecuzione intrapresa nella nuova procedura esecutiva, tenuto conto della inidoneità di tale

ordinanza (stando alla giurisprudenza) a passare in giudicato sostanziale.

114

Con la precisazione che, se i termini per l’appello (ove tale mezzo sia riconosciuto applicabile)sono ancora aperti –

tenuto conto della “priorità logica del rimedio impugnatorio sugli altri” – unica via percorribile sarà tale strada,

l’opposizione all’esecuzione potendosi ammettere qualora l’ordinanza di assegnazione non sia più contestabile.

115 Vd. ampiamente Luiso, Diritto processuale civile, cit., 170-173.

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