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CONSIDERAZIONI INTORNO AL PROBLEMA DELLA CLASSIFICAZIONE DELL'ETRUSCO di MARCELLO DURANTE PARTE PRIMA L Introduzione Della lingua etrusca abbiamo conoscenze frammentarie e, se si guarda ai vari aspetti del sistema, piuttosto disuguali. Possiamo ricostruire appros- simativamente il patrimonio fonematico, ma vari problemi importanti riman- gono da definire, in particolare S'e esistesse la quantità vocalica, e quale cor- relazione intercorresse tra le due categorie di occlusive, e quale tra le sibi- lanti. Sulla morfologia nominale disponiamo di una serie di informazioni cospicua, ma sulla flessione e sulle funzioni del verbo i testi ci dicono ben poco. Conosciamo il significato di alcune decine di parole, e di molte altre si può definire il campo semantico secondo formule più o meno late; e vanno aggiunti gli etruschismi (non pochi, a nostra opinione) del lessico latino. Ma permangono lacune di portata incommensurabile, ché il tenore dei documenti si riassume in una gamma assai ristretta (fa spicco l'assenza di leggi e decreti e di epitafi versificati, categorie riccamente rappresentate nelle iscrizioni greche e latine). Data tale situazione, è d'uopo riconoscere preliminarmente, e senza ambagi, che il problema della classificazione genea- logica dell'etrusco non può ricevere oggi una risposta esauriente, tale cioè che possa rimanere inalterata nell'eventualità di un incremento considerevole delle conoscenze; naturalmente a maggior ragione si presentano inappli- cabili all'etrusco i nuovi procedimenti di classificazione tipologica su base statistica, che si adattano soltanto a sistemi pienamente conosciuti. Ma ri- mane da vedere se, nelle condizioni attuali, la ricerca dei rapporti genealo-

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CONSIDERAZIONI INTORNO AL PROBLEMA DELLA CLASSIFICAZIONE DELL'ETRUSCO

di MARCELLO DURANTE

PARTE PRIMA

L Introduzione

Della lingua etrusca abbiamo conoscenze frammentarie e, se si guarda ai vari aspetti del sistema, piuttosto disuguali. Possiamo ricostruire appros­simativamente il patrimonio fonematico, ma vari problemi importanti riman­gono da definire, in particolare S'e esistesse la quantità vocalica, e quale cor­relazione intercorresse tra le due categorie di occlusive, e quale tra le sibi­lanti. Sulla morfologia nominale disponiamo di una serie di informazioni cospicua, ma sulla flessione e sulle funzioni del verbo i testi ci dicono ben poco. Conosciamo il significato di alcune decine di parole, e di molte altre si può definire il campo semantico secondo formule più o meno late; e vanno aggiunti gli etruschismi (non pochi, a nostra opinione) del lessico latino. Ma permangono lacune di portata incommensurabile, ché il tenore dei documenti si riassume in una gamma assai ristretta (fa spicco l'assenza di leggi e decreti e di epitafi versificati, categorie riccamente rappresentate nelle iscrizioni greche e latine). Data tale situazione, è d'uopo riconoscere preliminarmente, e senza ambagi, che il problema della classificazione genea­logica dell'etrusco non può ricevere oggi una risposta esauriente, tale cioè che possa rimanere inalterata nell'eventualità di un incremento considerevole delle conoscenze; naturalmente a maggior ragione si presentano inappli­cabili all'etrusco i nuovi procedimenti di classificazione tipologica su base statistica, che si adattano soltanto a sistemi pienamente conosciuti. Ma ri­mane da vedere se, nelle condizioni attuali, la ricerca dei rapporti genealo-

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8 Marcello Durante

gici dell'etrusco debba considerarsi un problema aperto a ogni sorta di solu­zioni, tutte inverificabili, e quindi, in sostanza, non idoneo ad investigazione scientifica 1; o se invece le conoscenze di cui disponiamo siano già suffi­cienti a legittimare l'inserimento dell'etrusco entro una trama di rapporti ancora largamente lacunosa, ma non del tutto provvisoria, né incoerente. È questo il nostro convincimento, e il presente lavoro vuoI darne motivazione. Indubbiamente, non è dall'indagine comparativa che si può attendere un contributo decisivo alla soluzione dei problemi ermeneutici: nessuna delle lingue documentate della terra è tanto vicina all'etrusco da potersi utilizzare sistematicamente come chiave per l'intelligenza dei testi. Riteniamo però che una posizione di radicale agnosticismo in materia di rapporti genealogici del­l'etrusco non sia giovevole al progresso delle conoscenze grammaticali e, di conseguenza, nemmeno in sede ermeneutica. Per le lingue pienamente cono­sciute è possibile procedere a un inventario delle strutture prescindendo dalla loro storia; ma quando ci sfuggono i meccanismi e gli equilibri che governano il sistema, allora la comparazione con sistemi meglio conosciuti, se pur di­venta più ardua, assume importanza e urgenza maggiori: e non la compara­zione puramente tipologica che si limiti a rilevare analogie isolate tra sistemi eterogenei 2, procedimento a cui non può competere che funzione esplicativa. Se non si parte da un'ipotesi di lavoro pur generica intorno alla posizione dell'etrusco nell'universo linguistico, allora non soltanto ci si preclude la pos­sibilità di utilizzare la comparazione come criterio accessorio di conferma, ma pure la definizione dei valori grammaticali, assumendo come unico punto di riferimento il dato testuale, diventa aleatoria ed elastica o addirittura arbi­traria, come insegnano tante analisi di tipo combinatorio; cosicché vengono meno quel parallelismo e quella reciproca integrazione di esperienze tra siste­mazione delle strutture e perfezionamento dell'esegesi, che costituiscono la formula ideale di ricerca per qualunque lingua, quale che sia il suo grado di conoscenza.

Che non ogni ragionamento in materia di rapporti genealogici dell'etru­sco abbia fatalmente valore provvisorio, risulterà manifesto se prendiamo in considerazione (per il momento, nei limiti che competono a questo capitolo introduttivo) il problema che più frequentemente ha attratto l'attenzione

1 H. Rix, « Kratylos » 8 (1963), p. 141 osserva che il problema dei rapporti genealo­gICI dell'etrusco è stato trattato più raramente dagli specialisti che non dai profani; il che deriverebbe dall'insuccesso del metodo etimologico-comparativo come principio ermeneutico. Ma è una interpretazione unilaterale. In realtà, la comprensione dei testi è stata troppo spesso l'unico obiettivo, se non il miraggio, che ha richiamato gli interessi dell'etruscologia linguistica, assai più che non la sistemazione del già conosciuto, in senso tanto sincronico quanto storico-comparativo.

2 Esempi di comparazione tipologica in A.J. Pfiffig, «Gl.» 37 (1958), p. 310; K. OIzscha, «Gl.» 43 (1965), p. 337.

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Sulla classificazione dell'etrusco 9

degli studiosi, cioè la definizione del rapporto tra etrusco e unità indoeuro­pea. Poniamo il principio: confrontando i caratteri linguistici etruschi finora accertati e gli schemi ricostruibili in base alla comparazione delle lingue indoeuropee, risulta che le due tradizioni hanno compiuto una fase evolutiva in condizioni di netta indipendenza, ma, altresì, che non sono completamente eterogenee. Questo principio non può venir contestato, se non alla condi­zione che si inseriscano entro le categorie dei caratteri etruschi accertati e degli schemi indoeuropei ricostruibili, dati che esulano dalla communis opinio doctorum e assunti in funzione del ragionamento contingente: è il peccato originale, comune alle teorie che proclamano l'indoeuropeità dell"etrusco. E non è un caso che il principio formulato rimanga applicabile anche alle ipotesi che derivano l'etrusco da una fase i.-e. monoglottica, purché si sostituisca alla nozione di schemi indoeuropei quella di greco o di hittito: infatti, gli assertori di tali teorie sono costretti a manipolare liberamente i dati greci e hittiti, non soltanto quelli etruschi (peraltro la teoria di VI. Georgiev merita maggiore attenzione, e se ne riparlerà al momento opportuno). Può essere che le acquisizioni future inducano a modificare taluni aspetti della que­stione, ad esempio ponendo l'accento sul momento della indipendenza, op­pure, com'è soprattutto auspicabile, precisando il concetto oggi necessaria­mente vago di non totale eterogeneità; ma un rivolgimento di centottanta gradi non è verosimile.

Raffrontati alle strutture indoeuropee, i caratteri etruschi conosciuti dan­no apparentemente l'impressione di un coacervo di origini diverse. Da un lato abbiamo fenomeni che non trovano la più lontana rispondenza nella grammatica indoeuropea. In fonematica, rientrano in questa categoria la man­canza di o, se non si tratta di un fenomeno recente, l'indistinzione di tenui e medie {Cap. II), la distinzione, anche in posizione iniziale, di una sibilante forte o intensa e di una scempia o lene 3. In morfologia, si considerino la cosiddetta rideterminazione: vel-us-la 'del (figlio) di Ve!'; l'infissazione del segno del plurale tra tema e desinenza, questa indifferente al numero: clen-ar-asi 'per i figli' (le analogie armene e albanesi non hanno radice an­tica); il fatto che soltanto certe categorie nominali, ancora non ben delimi­tabili, ammettano un plurale. Un altro fenomeno estraneo alla tipologia i.-e. arcaica, ma ancora da studiare a fondo, è la cosiddetta Gruppenflexion, vale a dire l'applicazione di desinenza zero a un membro interno di sintagma. E pure il lessico è in gran parte eterogeneo, specialmente in quei settori semantici che, a giudicare dalla storia delle altre lingue, non rientrano che eccezionalmente nella categoria dei prestiti. Ma troviamo pure strutture, che appartengono a settori solitamente stabili, le quali richiamano affinità indoeu­ropee, come i morfemi casuali e i pronomi. Però si tratta di congruenze che,

3 Per quest'ultimo fenomeno si veda il nostro lavoro cito al Cap. III, no. 40.

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in genere, non raggiungono una compiutezza tale, da permettere il puro e semplice inserimento del dato etrusco entro l'alveo della tradizione indoeu­ropea. Consideriamo da questo punto di vista i morfemi casuali etruschi 4:

Caso retto: morfema zero. Primo 'genitivo': -s/§(i).

Secondo 'genitivo' (arcaico): -S/sa, rideclinato -S/sla. La distinzione dal genitivo precedente viene assicurata, oltreché dal vocalismo, dal fatto che la sibilante viene resa con grafemi diversi: Etruria interna -s(i) ma -sa, -sIa, area meridionale -sU) ma -sa, -sIa.

Terzo 'genitivo': -al. Primo 'dativo': -i. Secondo 'dativo': -eri. Locativo -i}(i).

Va considerato infine un morfema -n(i), la cui funzione non appare ancora ben definibile. È un problema che assume importanza fondamentale nell'ambito della classificazione dell'etrusco, e pertanto non sarà inoppor­tuno enunciare le linee essenziali della questione. Nel campo dei pronomi, il morfema è in rapporto con una reggenza verbale, cioè, ponendosi da un punto di vista indoeuropeistico, denota il complemento oggetto. Così i di­mostrativi (e)cn, tn, 1Jn (arcaico itan, itun), il pronome di la persona mini, certo anche il relativo in-pa (caso retto ipa), cui segue il verbo 1Japicun in TLE 380. Tra i sostantivi, anche nella lingua arcaica, non si ha un esempio evidente di tali presunti accusativi 5: assai significativa, a tal riguardo, la forma con dimostrativo posposto a1Jemei-can S. Marinella 6, dove il caso in -n segnala il pronome, ma non il sostantivo, mentre non è così per il genit. a1Jemeif-ces (o -cas) ibidem. Dovremo assumere che il segno dell'accusativo si è conservato nei pronomi ed è caduto invece nei sostantivi, come ad esem­pio in inglese, albanese, ·armeno? È possibile, ma a una di queste due con­dizioni: o ipotizziamo che, in condizioni non precisabili, -ni sia caduto senza lasciar traccia, e ciò non si concilia facilmente con quanto sappiamo intorno

4 Tralasciamo terrrunazioni sporadiche e non perspicue per distribuzione paradigma­tica o per valore o per individuazione del morfema: -si s nel caso retto (cfr. no. 24); i tipi genitivali arcaici larDa, larDia, hirminaia; - u/v (eterau eterav, tularu); la probabile terminazione di obliquo -ca (Cap. V).

5 Malgrado E. Vetter, «Gl.» (1940), p. 183, è estremamente inverosimile che nella trentina di righe conservate del Tegolo di Capua solo la r. 19 ci dia degli accusativi (con presunta reggenza acasri; ma la voce si ripresenta altre tre volte senza che sia accompagnata da terminazioni in nasale!), e più ancora che il Liber di Zagabria segnali solo in quattro voci (a prescindere da quelle che hanno il pronome posposto) iI morfema accusativale. Il ricorrere sporadico della desinenza autorizza a pensare che essa determina funzioni diverse da quelle che rientrano nell'accusativo indoeuropeo.

6 Torelli-Pallottino, «Arch. Cl.» 18 (1966), p. 286.

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alle evoluzioni fonetiche dell'etrusco; oppure moviamo da una desinenza più breve -n {una nasale finale potrebbe essersi dileguata in etrusco preistorico, cfr. maru, tema marun-), ma rimane allora da spiegare mini. Vi sono altri particolari che inducono ·a ritener prematura qualunque decisione in merito. Anzitutto, si trova anche, se pur più raramente, il caso retto mi in dipen­denza da verbo 7. E poi, certi impieghi del morfema in nasale farebbero pen­sare piuttosto a un obliquo. È affatto impensabile che i tre mini di TLE 151 siano tutti 'accusativi'. E non può esserlo nemmeno la forma pronominale he-n {cfr. il possessivo he-l-s, di cui oltre) nel Cippo di Perugia, I, 5, se­guendo una forma del verbo 'essere'. E così pure le forme arcaizzanti o avverbiali meiani, pefJereni, spureni (anche itani-m Pyrgi 'e così', dal dimo-

. strativo ita-?). Un obliquo in -ni troverebbe connessioni nel caucasico set­tentrionale (v. Cap. V). L'esistenza di un accusativo implicherebbe la tran­sitività del verbo, e ciò non è facile a dimostrare per l'etrusco. Su questi problemi ritorneremo ancora nel corso del presente lavoro.

L'elenco di morfemi che abbiamo dato in precedenza non fornisce cer­tamente un'idea adeguata della declinazione etrusca. Non soltanto il quadro che abbiamo delineato, e che sostanzialmente si conforma alle trattazioni più accreditate, è da ritenere verosimilmente incompleto (dr. no. 4), ma anche le funzioni sin tattiche sono determinabili solo in forma più o meno appros­simativa. Le definizioni di 'genitivo', ecc. intendono fornire un riferimento ai casi delle lingue classiche che appaiono funzionalmente più vicini; ma, intese entro questi limiti, non mancano affatto di fondamento filologico, come potrebbe credere il profano 8. Riteniamo comunque che i dati cono­sciuti siano sufficienti per una prima impostazione del problema comparativo. Apparentemente la coincidenza etrusco-indoeuropea più piena è offerta dalla formazione del locativo: però è più che dubbio che unii desinenza * -dhi si possa attribuire a un paradigma nominiile della fase i.-e. comune (riprende­remo la questione più av,anti, impostando il rapporto in termini diversi).

7 TLE 49, 74, 625; St. Etr. XXXI, p. 203; XXXII, p. 207. 8 Lo scetticismo che manca di fondamento razionale non giova al progresso scien­

tifico. Spiace dover citare in questo contesto uno studioso cui tanto deve la filologia asianica, E. Laroche, «RÉL », 38 (1960), p. 70. Affermare che l'esistenza di una decli­nazione in etrusco non si.a stata ancora dimostrata, è possibile soltanto se ci si limita a considerare quei pochi morfemi dove non c'è distinzione netta tra funzione aggettivale e genitivale. Ma, ad esempio, l'esistenza di un locat. in -~i e forme simili è certezza a livello matematico e non, come si potrebbe credere, congettura ispirata soltanto dal­l'.assonanza col greco. E se si leggono altre terminazioni non di puro tema, le quali espri­mono evidentemente rapporti sintattici, perché l'ordine delle parole non presenta schemi fissi (S.P. Cortsen, «Gl.» 25 [1937], p. 65) e le pre- e posposizioni sono più che rare (Pallottino, p. 63), come dovremmo chiamare, se non declinazione, il quadro di tali uscite nominali?

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Anche il primo 'dativo' richiama terminazioni indoeuropee di dativo e di locativo, però non si tratta di una caratteristica esclusiva dei due ambienti posti a confronto: anche in caucasico settentrionale e in basco si ha un dativo in -i {Cap. V). Considel'liamo ora le desinenze di 'genitivo'. Quella citata per seconda contiene un'articolazione estranea al patrimonio fonematico in­doeuropeo {v. Cap. III, sub e 1), e questo basta ad escludere un confronto puntuale. Una piena coincidenza formale e funzionale tra il primo 'genitivo' e le formazioni indoeuropee non è raggiungibile. Anzitutto, il caso etrusco esprime ,anche impieghi che, dal punto di vista indoeuropeo, apparterreb­bero ·alla sfera del dativo {non ,altrettanto il caso in -al!). La forma richiama tanto la desinenza tematica -osio quanto quella atematica -e / 05, ma non coincide con nessuna delle due; v·aanche tenuto presente che una distin­zione di categorie flessionali in base all'uscita tematica non emerge chiara­mente dal materiale etrusco. Tanto meno si può porre come punto di par­tenza l'hitt. cun. -as 9: nessun testo etrusco, anche arcaico, presenta un genit. in -as; tinias, tinas muovono verosimilmente dal caso retto tinia, TLE 718.

Consideriamo ora il 'genitivo' in -al, che si distingue dalle altre forma­zioni per lo spiccato carattere aggettivale. Questa volta la ricerca compara­tiva si polarizza ,attorno a talune forme anatoliche, la cui origine indoeuropea è tuttora in discussione IO. Ma va istituita una distinzione preliminare tra le condizioni etrusche e quelle Le.-anatoliche. Nell'etrusco, il morf.ema appar­tiene tanto alla flessione nominale che a quella pronominale, ma presenta senz'altro maggior vitalità nella prima categoria: si trova nel paradigma di una serie di .appellativi in consonante (talvolta accanto al genitivo in -s / s; la distribuzione non è chiara), ma anche in appellativi o aggettivi in -a (cfr. etanal, tmial, avilxval Pyrgi); è di regola nei nomi propri maschili in con­sonante e femminili in vocale; compare infine nella ·rideterminazione -SI sla. Ben poche sono le forme pronominali in -l documentate: cal- nel loc·ativo calti dfJi, fors'anche un genitivo enclitico -da, inoltre la forma rideterminata cnl; il relativo ipal del testo di S. Marinella; e sarà da ,aggiungere infine il

9 Georgiev Heth., p. 16; «Spr.» 10 (1964), p. 164; cfr. ora «SMEA» 4 (1967), p. 60.

IO Il genit. pronominale hittito in -el e l'obliquo lidio in -À., che peraltro adempie a funzioni dativali: almeno il genit, di appartenenza è espresso dall'aggetto in -lis, che è diffici:le dire se abbia la stessa origine. La tesi dell'origine protohattica, formulata da Sommer, p. 86, fu ripresa da A. Kammenhuber, «KZ» 76 (1960), p. 19; Kronasser V.L.F., p. 14, Heubeck, p. 68. Ma, come osserva N. van Brock, « RHA» f. 71 (1962), p. 141, protoh. -il el non sembra avere affatto funzioni genitivali. In verità, lUna cosi intima compenetrazione con strutture di sostrato non troverebbe paralleli adeguati nella storia linguistica hittita. Propugna l'origine indoeuropea della formazione hittita Benve­niste, p. 66 ss., cfr. «Lang.» 29 (1953) p. 255 55., ma una formazione avverbiale in -1 non ha fondamento comparativo, ed è affatto inverosimile che un genitivo continui una formazione avverbiale. Una spiegazione diversa viene accennata oltre nel testo.

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possessivo hel-, quale si trova nella formula hels atrs, che indubbiamente significa ',ai suoi (famigliari, genitori, Mani)' 11. Invece la desinenza hittita -el è riservata esclusivamente ai pronomi non personali. E se in una documen­tazione di molto posteriore qual è quella dellidio, l'obliquo in -À. è comune anche ai paradigmi nominali, il fenomeno non può addebitarsi che a ragione analogica, sempreché non si rinunci alla connessione con la desinenza hittita: giustamente Heubeck, p. 69, ha confrontato l'estens1one della desinenz'a pro­nominale di nominat.-accusat. neutro ai sostantivi: per esempio mrud 'stele'. E certo i precedenti indoeuropei della desinen~a hittito-lidia vanno situati entro la flessione pronominale, che nelle altre lingue non presenta desinenze oaratteristiche nel genit. singolare (sì invece nel genit. plurale!). Questa ipo­tesi trova una conferma, s'e osserviamo che la derivazione in -1- è assai più vitale nell'ambito pronominale che .in quello nominale 12: cfr. lat. talis qualis, gr. 'tT}À.txoc; 1tT}À.~xoc;, ant. bulg. tou, kou; lat. similis, gr. ò(lcù6C;; germ. *se-l-ba- ven. sselboi, derivati del pronome *se; lat. ullus da *oinelos.

Il fatto che una desinenza nominale etrusca trovi materia di confronto entro il paJ.1adigma pronominale indoeuropeo, è indubbiamente singolare. Ma non si tratta di un fatto isolato. Il caso in -eri ricorda le formazioni 'avver­biali' (ma gLi avverbi continuano forme oasuali o sint'tigmi obsoleti) d'ti temi di pronome interrogativo o indefinito:ant. ind. kélr-hi 'quando?', ant. is1. hvar 'dove?', lat. cur, quirquir 'ubicumque', albo kurr 'quando', ecc. Illocat. in -i}i trova confronti isoLati nell'indoeuropeo, se ci limitiamo a considerare la flessione nominale. Ma i locativi del tipo OLXOi}L si trovano soltanto in Omero, dove hanno avuto un certo sviluppo per comodità metrica; nessun esempio evidente viene fornito dalla documentazione micene'<l. Se osserviamo che nella oategoria abbondano le forme pronominali (1t6i}L, Ò1t1t6i}L, oi}L, 't6i}L, CiÀ.À.Oi}L,

aù't6i}L, bacr'toi}L); che le altre lingue hanno formazioni simili soltanto in tale ambito (cfr. lat. ubi, alicuhi da *klJu-dhei, ant. ind. kuha, ant. bulg. kade 'dove' da klJu-dhe, d'ti confrontare col già cito 1t6i}L; lat. ibi, ant. ind. iba 'qui', gr. ti}a( L )ye:vi)c;) sarà da prendere in seria considera2Jione l' eventualità che il lecat. in -dhi provenga d'tilla flessione pronominale 13. La forma pronominale mini, da considel1are piuttosto un obliquo che un accusativo, come già si è detto, l1ichlama l'obliquo i.-e. *mene, specializzatosi in funzione genitivrue

11 M. Pallottino, «SE» 31 (1963), p. 198. 12 Parte del materiale che segue si trova già in Pedersen, p. 55; non crediamo però

che hitt. -el sostituisca una desinenza 'ereditata' e continui una formazione di 'aggettivo possessivo', che non sarebbe facile inquadrare nella morfologia aggettivale i.e.

13 Una diversa sistemazione del rapporto avevamo prospettato in «AION-Ling.» 3 (1961), p. 62, assumendo un prestito morfologico da una lingua L-e. centrale in etrusco, una soluzione che può valere soltanto come extrema ratio. Che illocat. e l'ablat. albanesi in -(i)t continuino * dhi, rimane piuttosto Jpotetico, cfr. «Rend. Linc.» 17 (1962), p. 1.53, no. 34.

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(avest. ree. mana, ant. bulg. mene, cimr. fyn) o dativale (lit. man, ant. pruss. mennei) 14. Molto più significativo è il fatte che il plurale dei prenomi venga formate -attraverso un elemento -i: L-e. *to-i, etr. te-i 'questi'. Su tale con­gruenza fondamentale riterneremo in altra parte del lavero, sia perché essa investe anche il settore basco-caucasico, sia perché l'ermeneutioa nen ha an­cora riconesciuto il v-aIe re di etr. tei e forme affini, peraltro agevolmente individuabile sul piane combinatorio. E infine noteremo una concordanza che nen concerne i pronomi, ma esorbita comunque dagli schemi consolidati della flessione neminale indoeuropea. Si ritiene generalmente che il plurale 'etrusco in -r non trovi verona assonanza in materiale indoeuropeo. Eppure, il lat. centuria, l'o-u. pumperio-, l'a.a.ted. hundari 'Hundertschaft', l'ant. bulg. sutoriceia '100 volte', russo storiceiu, il russo detvora 'bambini, stuolo di bambini', il poI. osorya 'nido di vespe', continuano evidentemente una for­mazione in or, -a cui non può non -attribuirsi valore collettivo 15.

Anche nell'ordine etimologico, le assonanze etrusco-indoeuropee più si­gnificative, in quanto le meno giustificabili con l'ipotesi del prestito, pro­vengono dal settore dei pronomi. Le compar-azioni di cui ora si farà cenno sono state già formulate, in funzione di teorie che affermano la dipendenza dell'etrusco da schemi i.-e. comuni (E. Goldmann, E. Vetter) o monoglot­tici (V. Georgiev). Consideriamo i f.atti. Il pronome dimostr-ativo eca-, nei testi arcaici ika- ica-, vale certamente 'questo', perché segnala l'oggetto iscritto o uno contiguo: quindi va richiamato l'i.-e. *leo-, Pokorny, p. 609. Ma le forme senza e-, ,in grafia arcaica io, sono documentate soltanto in testi te­

centi, per cui è verosimile pensare a una riduzione -attuatasi in posizione atona (cfr. le già dt-ate suffissazioni afJemei-can, afJemeis-cd). Ecco che il col­legamento con hitt. ka- ki- {Georgiev) viene a perdere ogni rilevanza. Saranno da confrontare piuttosto forme indoeuropee con pr.otesi e-: osco eko- 'que­sto', gr. ÈXEL, ÈXEL'\IOC;, ant. bulg. (j)ese 'ecce'. È un confronto legittimo, perché etrusco aroaico i si trova a corrispondere a i.-e. e ancora nelle ferme prono­minali di la persona mi, mini. Come impostare il rapporto? Una d~pendenza da uno stadio indoeuropeo, comune o dialettale o monoglottico, è certo da escludere. Anzitutto, analoga protesi si ritrova in un altro dimostrativo etrusco (vedi oltre), come pure in ant. dnd. a-sau 'quello', a-dya 'ho-die', ecc., quindi si allontana vieppiù la prospettiva, già inverosimile, di un prestito. Si sa che le oitate forme indoeuropeea protesi continuano la stessa parti­cella dittica che, con l'aggiunta dell'elemento -i- (cfr. *kl!o-: kl!oi-) ha fornito la base dell'altro dimostrativo *(e)i-, lat. is. D'altra parte, il tema di dimostra-

14 Confronto già istituito da E. Vetter, «Gl.» 28 (1940), p. 187; ma il valore accusativale di ant. bulg. mene è secondario.

15 Cosi J. Otrçbski «Spr.» lO (1964), p. 131, che confronta anche il numerale i.e. per 'quattro'.

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tivo che contiene una velare palatale presenta variazioni vocaliche affatto abnormi: * leo-, ma anche lei-, hitt. ki-, ant. pruss. schio, ecc., cfr. inoltre la particella latina -ce. Si tratta, insomma, di elementi che provengono da una fase anteriore al consolidamento delle strutture i.-e. comuni, e dunque viene meno la necessità di inserire il dato etrusco entro un rapporto di dipendenza da schemi i.-e. ricostruiti. Un ,altro dimostrativo, la cui documentazione pre­senta un rapporto formale del tutto 'analogo, è ta-, nei testi arcaici ita-. Esso segnala parimenti oggetti a distanza l'avvicinata. Certamente differisce da eca- ica- nel signifioato, come mostra l'iscrizione maggiore di Pyrgi: può essere che uno dei due esprima la « Ich- », l'altro la « Du-Deixis », come ri­spettiv.amente, lat. hic, itaI. questo e lat. iste, itaI. codesto; ma vi sono lingue più lontane che hanno una gamma più complessa di determinazioni dittiche. Si richiamerà a confronto l'i.-e. *to-, Pokorny, p. 1086, tenendo presente che la stessa corrispondenza a : *0 emerge nell'altro pronome; e particolar­mente conglutinazioni come russo étot 'questo', oscou. etanto- 'tanto' e, con variante *ei-, ant. ind. etat, neutro di e~a . Anche la voce an è pronome dimo­stJ.'lativo, come richiede la ragione ermeneutica (cfr. in particolare an sufH, TLE 135) e viene confermato dalla giustapposizione ancn (ancn su~i 51). Se si esclude un terzo pronome con valore 'questo' o 'codesto', si può elu­dere diHioilmente il collegamento con hitt. annis 'quello --a', ant. bulg. onu, lit. afis, lat. enim, ecc. Tuttavia, mancando esempi evidenti di an in fun­zione soggettiva, non escluderemmo del tutto che la forma vada classifioata nella categoda del 'caso in -n', di cui si è già detto 16. Il relativo i-pa richiama l'i.-e. io-, che è tematizzazione del dimostrativo *i-, lat. is: ancora una volta un collegamento non pieno, peraltro poco signific,ativo, dato che la materia di confronto è ridotta ,al minimo. Il pronome di la persona non trova asso­nanze soltanto nell'indoeuropeo: è signifikativo però che la cort.'lispondenza indoeuropea venga fornita non dal nominativo, ma dal tema, evidentemente più arcaico, da cui vengono formati gli ,altri casi e le derivazioni.

Indubbiamente, allo stato attuale delle conoscenze, il settore dei pro­nomi è quello in cui le strutture etrusche e indoeuropee rivelano il maggior grado di aHinità: ed è un settore che di norma non fornisce materia di scambi linguistici, come ha rilevato giustamente il Georgiev. Ma non è un caso che il pilastro fondamentale su cui pogg1a la « ipotesi indo-ur,alica » sia costituito dalle concordanze dei pronomi. Altre equazioni lessicali veramente significative, facendo astrazione dei possibili prestiti, mancano pressoché del tutto. Fa spicco invece l'affinità di alcune desinenze verbali: cfr. ~inn. la sing. preso -n < * -m, la plur. -me, 2a plur. -te; ma verosimilmente si tl'atterà

16 Da escludere però un articolo -a, K. Olzscha, «Gl.» 43 (1965), p. 332 ss. L'etrusco non ha articolo, in quanto non conosce elementi, premessi o suffissi al nome, che ricorrano sistematicamente.

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di ,antichi pronomi conglutinati. Le comparazioni di pronomi uralioi e indoeu­ropei raccolte da B. Col1inder 17 e riprese ultimamente da B. Rosenkranz 18

formano un assieme qualitativamente e quantitativ·amente cospicuo. Ci limi­teremo a ricordame alcune, limit·ando le citazioni alle lingue uraliche più note, e omettendo le corrispondenze indoeuropee, sufficientemente evidenti. Pronomi personali: 18 perso finn. mina, ungh. én < * emen; 2a finn. sina < * ti-, ungh. te, ten; 38 finn. han, ungh. O, on, con antica iniziale so, conser­vata in mordvino, lappone e nel gruppo permico. Dimostrativi: finn. ta­'questo', nuo 'quello'. Relanivo: finn. ;0-. Interrogativo: finn. ken, 'llngh. ki.

Quali deduzioni trarre da congruenze siffatte? La probabilità di omo­fonie fortuite, che è inversamente proporzionale alla consistenza della ma­teria post,a a confronto, diventa pratioamente trascurabile quando i collega­menti raggiungono una cifra cospicua, come è >il caso del problema ora accen­nato, o quando le concordanze, pur quantitativamente esigue, si inseriscono in un quadro di rapporti più ampio, come è il caso delle ,affinità etrusco­indoeuropee che interess,ano non soltanto l'etimologia, ma anche la flessione dei pronomi. Gioverà ,altresì rkhiamar rattenzione sul carattere primordiale delle strutture pronominali e delle opposi2lioni che esse esprimono, sulla fun­zione di modello che il pronome ha spesso assunto nella morfologia nominale, e più generalmente nella strutturazione delle categorie grammaticali fondamenta­li 19. Ma la problematica che concerne i rapporti tra l'indoeuropeo e altri gruppi linguistici è a uno stadio troppo prematuro, perché si possa proceder oltre queste considerazioni di oaoottere generale 20. Per ritornare all'argomento che più interessa in questa s'ede, aggiungeremo che una posizione aprioristica­mente negativa o scettica in materia di comparazioni etrusco-indoeuropee costi­tuirebbe non atto di prudenza, ma piuttosto di inscienza: come si potrebbe

17 Cfr. in particolare Indo-ur, Sprachgut, Uppsala 1934 = Sprachverwandtschaft und Wahrscheinlichkeit, Uppsala 1964, p. 69 ss. e «Acta Soc. Ling. Ups.» 1 (1965), p. 112 ss. Sul problema si veda ora anche V. Pisani, «Paid.» 22 (1967), p. 121 S5.

18 «AION-Ling.» 7 (1966), p. 167 ss,; cfr. la tabella finale. 19 Si vedano le suggestive argomentazioni dci Kurylowicz, p. 240 ss,; inoltre

Wac.lcernagel, III, p. 433; Trombetti Pron" p. 5 s. Che i pronomi si rassomiglino più o meno dappertutto, Meillet, p , 89, è vero soltanto in parte: i caratteri comuni sono la brevità delle forme e la preferenza accordata a certe articolazioni, Trombetti, p. 8; ma la gamma delle realizzazioni rimane abbastanza vasta da render riconoscibili affinità e differenze. Si veda l'esemplificazione del Rosenkranz, art. cit., p. 169.

20 Rimane soprattutto da definire una impostazione metodologica peculiare a questi temi di ricerca. Il metodo comparativo e ricostruttivo che è stato congegnato sul metro dell'evoluzione linguistica degli ultimi millenni, non è sufficiente a definire fasi e rapporti, che ci conducono a un periodo incommensurabilmente lontano dai primi testi, e certo anteriore all'età neolitica. L'individuo impegnato nella lotta quotidiana per la vita, chiuso nell'isolamento del clan, privo di istituzioni consolidate e di consapevolezze che trascendessero le sue necessità elementari, doveva avere esigenze e9pressive e quindi impiegare strutture linguistiche ben diverse da quelle a noi familiari.

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dimostrare, 'esaminando il materiale ,alla luce del confronto con sistemi che, tanto tipologicamente quanto geografkamente, stanno agli 'antipodi. Ma non riteniamo necessario soffermarci ancora su questo argomento, perché il prin­cip10, da noi formulato, che indoeuropeo e fase preistorica dell'etrusco costi­tuiscono mondi indipendenti, ma non del tutto eterogenei, corJ:lisponde a un convincimento largamente diffuso nelLa cultura linguistica d'oggi, che si è concretato nelLe note formule di 'protoindoeuropeo' e di 'periindoeuropeo', a cui ora accenneremo.

P. Kretschmer 21 riconosce un legame di parentela tm l'etrusco e le lin­gue i.-e. storiche, ma una parentela di secondo grado, nel senso che indoeuro­peo ricostruito e 'retotirrenico' 22 discenderebbero da una fase comune più anti­ca, definita appunto protoindoeuropeo. Che siano da istituire rapporti genea­logici tra i due ·amb1enti, anteriori a quella fase di consolidamento delle strut­ture indoeuropee, a cui ci riconducono le lingue storiche, è ,anche il nostro convincimento, ma tuttavia la teoria del Kretschmer pecca gravemente per unilateralità, come vedremo tra poco, e !',interpretazione storica che egli de­sume dai f'atti linguistioi è del tutto inammissibile: collegare l'avvento dei Tirreni in haHa e nell'Egeo all'espansione della ceramica 'a fasce, significa presupporre che, 'attorno alla metà del III millennio o qualche secolo dopo, le genti indoeuropee non erano ancora giunte nell'area danubiana, da cui muove quella facies culturale; e ciò è da escludere per tutta una serJe di considerazioni, le quali inducono invece a ritenere, almeno secondo la nostra opinione, che i Bandkeramiker fossero Tr.aci. Secondo G. Devoto 23, l'etrusco è il risultato di un lungo processo di compenetrazione tra elementi i.-e. mar­ginali e un ambiente mediterraneo ,alLoglotto. Indubbiamente, l'isolamento dell'etrusco entro idiomi a struttura sensibilmente diversa, condizione che risale fino all'età del bronzo, non può non aver lasciato tracce profonde nella lingua, ,e ,attrav,erso l'incorporazione di caratteri alloglotti e anche, eventual­mente, attrav,erso un processo di ,adattamento alla tipologia delle lingue cir­costanti (,a titolo di esemp10 si noti che la cumulazione delle desinen2le ca­suali, carattere net:tamente non indoeuropeo, non si present,a come un feno­meno pienamente vitale nell'etrusco dei testi). Se poi quest'isola linguistica sia

21 «Gl.» 28 (1940), p. 268; 30 (1943), p. 213 ss. 22 Ma che le affinità etrusco.retiche vadano addebitate a rapporti genealogici, anzi·

ché a contatti d'ordine storico, è ancora da dimostrare. Il parere nostro collima con la posizione di C. Battisti, «S.E.» 18 (1944), p. 109 ss.; la trattazione più aggiornata dell'argomento in Pisani Lingue, p. 324 ss. Anche gli etruschismi delle iscrizioni del Piceno settenvrionale hanno ragione storica, cfr. «RicLing. » 5 (1962), p. 83 ss. La tesi, cara a F. Ribezzo, di un sostrato etruscoide diffuso in tutta la Penisola, poggia su congi· derazioni aprioristiche, non su fatti.

23 «SE» 18 (1944), p. 187; 31 (1963), p. 93 ss. = SM., II, p. 79 ss. Cfr. Devoto Or., p. 161 ss.

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stata spinta nella sede storica dai sommovimenti etnici del III e del II mil­lennio, o se inveoe, come assume il Devoto, si sia conso1idata in loeo ,in età più 'antioa, è un probLema che int'eressa mediocremente in questa sede. La cosiddetta autoctonia dell'etrusoo è un'ipotesi di lavoro che fa parte, senza invero oostitruirne premessa essenziale, di un orientamento di studi da cui non può venir luce 'al problema della classificazione della lingua .( si veda al riguardo il capitolo seguente). In ogni modo, l'assumere una trama di con­tatti anche intensi non giova a dare una piena motivazione storica degli aspetti indoeuropeoidi dell'et!1Usco, i quali investono settori, come quelli stu­diati in precedenza, che appartengono v,erosimilmente al fondo eredhato della lingua. La fenomenologia linguistica non r'egistra casi di fusione indiscrimi­nata di tipi div,ersi (di ciò oltre). Tutto sommato, le sorti del maltese non paiono essere state molto dissimili, e a buon diritto si potrebbe definire questa una lingua 'periromanza', tanto profonda è l'influenza dell'italiano, prevalentemente del sicil,ianoantico, soprattutto nel lessico e nella sintassi; eppure l'ossatura del maltese rimane indiscutibilmente arabo-maghrebina. Del resto, anche La storia dell'etrusco ci dà nozione dei limiti in cui si fclttuano normalmente gli scambi linguistici: .i contatti 001 mondo latino-italico furono oertamente intensi, eppme, per quanto è dato vedere, le acquisizioni che l'etrusco ne ha ricav,ato concernono esclusivamente i settori degli appellativi, dei nomi divini, della formula onomastioa 24.

In realtà, se, come è certo, l'etrusco non si può considerare idioma di tipo integralmente indoemopeo, allora qualunque valutazione di f.atti di lin­gua etruschi che ,assuma ,esclusivamente i dati indoeuropei come termine di confronto ha inevitabilmente car,attere unilt,tteralee valore provvisorio, ,e tanto che si guardi 'alle divergenze, quanto alle affinità riconoscibili nei due sistemi. Ad esempio, alcuni caratteri della morfologia etrusca, come l'equivalenza del caso rett'o ,al tema e la pressoché totale indistinzione del genere 25, ht,tnno vasta diffusione nelle lingue del mondo: ,applicarvi una semplice eticheua di non indoeuropeità 26 sarebbe una v,alutazione sterile, senza valore operativo. 1n-

24 Si è pensato che la terminazione -5/ S dei gentilizi rifletta la desinenza di nomi­nativo latino-italica, senonché la stessa terminazione si trova anche in una serie di appellativi al caso retto, riferiti a persone, tra i quali soltanto nefts e prumatH potrebbero testimoniare a favore di una origine latino-italica. Che la terminazione dei gentilizi vada interpretata come genitivo (Rix, p. 57), è difficilmente credibile.

25 Fatta eccezione dei nomi propri e di alcuni appellativi riferenti si al sesso femmi­nile, ma si tratta più di un processo di sessualizzazione che di distinzione del genere, dato che gli aggettivi presentano sempre una forma unica. Si vedano ad esempio gli aggettivi in -na: soltanto gentilizi e cognomi hanno la forma mozionale -nei < -nai, ma il genit. -nal muove ancora dal tema a indistinzione di genere, cfr. Rix, p. 299; C. De Si­mone, «SE» 32 (1964), p. 208.

26 Definizione peraltro applicabile al confronto con gli schemi i.-e. ricostruiti, non con tutte le lingue storiche, particolarmente con l'armeno.

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vece, altri aspetti della morfologia presentano ·affinità coOn schemi indoeuroO­pei, come si è visto in pr,ecedenza; ma se estendiamoO il confrontoO al cauca­sico s'ettentdonale, e particolarmente al gruppo daghestano, troveremoO coOr­rispondenze altreuanto notevoli e forse, in complesso, più piene (di ciò nel Cap. V). Non v'ha ,alcun motivo di rifiutare a priori questi e quegli acco­stamenti: l'isolamento dell'indoeuropeo è assunto legittimo in sede di rico­stl"Uzione della f.ase comune e dei rapporti tra questa e le lingue storiche; ma, quando si studia la preistoria del sistema, è soltanto una ipotesi di l.a­voroe,a giudicare da ricerche glottogoniche recenti e recentissime, una ipo­tesi non troppo feconda di risultati concreti. Poiché nessuna delle Hngue conosciute della terra è in grado di illuminare da sola gli aspetti ancora sco­nosciuti della struttura e della storia dell'etrusco, non v'ha altro modo di studiare La tipologia e la geneaLogia della lingua, se non oOperando entro un contesto di gruppi linguistici. È questo, in sost,anza, il metodo ,a cui ha sem­pre tenuto fede A. Trombetti, ed è, a nostroavvisoO, l'unica posizione coe­rente in materia di classificazione dell'etrusco.

È noto che oOggi il proOblema dell'oOrig.ine degli Etruschi non si pone più nei termini tradizioOnali, nello stabilire cioè da qual parte del globo sia pro­venuta la nazione etrusca. I costumi, la religione, le istituzioni politiche, l'arte degli Etruschi sono il risultato di un processo formativo che è giunto 'a piena maturazione sohanto nei primi secoli dell'età del ferroO, e in cui si distingue o s'intravvede l'apporto di fattori etnici e di impulsi cultur,ali et'erogenei TI.

Che anche la lingua sia il risultato di un amalgama, è un'ipotesi che oOggi gode di un certo favore, nella v'ersione particolare di una converg.enza tr.a uno strato encoricoe una corrente micrasiatica, preindoeuropea 00 già indoeuro­peizzata 28; una ipotesi che, se accettata senza riserve, port'erebbe a rendere più complesso, e pratioament,e ·a svuotare di contenuto il problema della clas­sificazione. Senonché il divenire di una civiltà non obbedisce alle medesime leggi che governano La storia linguistica. L'incontro tra Cretesi e IndoeuroOpei immigrati ha prodotto una civiltà nuova, ma noOn una lingua, ché le strutture fondamentali del gr,eoo sono tutte e autenticamente indoeuropee. Più intima fu La compenetrazione tra le genti dell' Anatolia centroccidentale e le mino­ranze penetroatevi dal Nord all'inizio del II millennio, e più integrale l'accli­matazione dei sopravvenuti alla complessa civiltà locale: eppure, nella lingua che meglio conosciamo, nell'hittito cuneiforme, la reazioOne dei sostrati o para­str.ati si esercita quasi esclusivamente nel campo lessicale, doOve, peraltro, rag­giunge settori solitamente stabili, come i nomi di parentela, una minoranza di

27 La nuova impostazione del problema si deve a M. Pallottino, cfr. Or., passim; « S.E.» 29 (1961), p. 3 ss.

28 Battisti, pp. 105, 129; Pisani Saggi, p. 162 ss.; F. Schachermeyr, in R. E., XXII, col. 1496, 1530; non molto diversamente Altheim, p. 37. Cfr. la tesi 'periindoeuropea' del Devoto e il concetto di 'formazione' dell'etrusco in Pallottino Or., p. 82.

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verbi e, in almeno un caso, anohe i numerali. Una situazione linguistica rela­tivamente stabile, che risulti dalla fusione indiscriminata di strutture etero­genee, non lappartiene alle realtà documentate 29. È ben noto che il fenomeno dello scambio linguistico non interessa con pari intensità e frequenza tutti i settori del sistema: i verbi sono assai meno soggetti al prestito dei nomi, ma i nomi che esprimono rapporti primordiali e non soggetti alle variazioni del clima cuhur.ale {ea maggior r.agione anche i pronomi) costituiscono rara­mente mater,i·a di scambio. Il prestito di strutture morfologkhe {fatta ecce­zione dei suffissi, che non penetrano nel sistema in forma autonoma, ma s'ir­r·adiano da modelli lessioa1i) è del tutto eccezionale, e presuppone condizioni di affinità, o dei sist,emi, o delle strutture particolari che entrano in contatto 30.

Che la storia dell'etrusco abbia seguito leggi tutte sue e aliene dalle costanti a cui s'informa il divenire linguistico, non è un assunto ragionevole 31.

Può essere che negli stadi di cultura più remoti le commistioni tra 'lingue' si realizzassero più facilmente: è questa una prospettiva che occorre tener presen1)e, quando cerchiamo una ragione del1e affinità tra f.amiglie linguistiche diverse, ma non quandt> studiamo i rapporti tra le lingue documentate. Ci si guardi pure dal considerare l'etrusoo alla stregua di una lingua franca, cioè

29 La condizione della stabilità (che naturalmente è un dato relativo, in quanto il divenire è una delle modalità primarie del fenomeno linguistico) va fatta presente perché si possa considerare a parte il caso in cui un ambiente abbandona progressiva­mente l'idioma ereditato per assumerne un altro: cosi oggi il tagiko, dialetto iranico, sta assumendo i caratteri delI'uzbeko, che già prevalgono nella morfologi~ nominale; cfr. il lavoro, interessante ma discutibile nelle conclusioni, di G. Doerfer, «IF» 71 (1966), p. 92 ss. Ma episodi del genere sono necessariamente limitati nel tempo. Contro l'anti­storico concetto di lingua mista si vedano le limpide considerazioni del Meillet, Ling. bist., p. 83. Tali non sono nemmeno le lingue creole, che pur traggono origine da contingenze del tutto particolari: l'idioma dei colonizzatori, impiegato nella condizione di lingua franca, costituisce sempre la base primaria di tali lingue, .j modi indigeni intervengono come sostrato (Hall, p. 117 e passim); la tipica sintassi elementare non ripete caratteri indi­geni, ma servi primamente alle esigenze della comprensione tra colonizzatori e genti sottomesse, come spiega Tagliavini, Intr., I, p. 483 no. In altri idiomi il dato genetico può evolversi fino al punto di perdere i caratteri tipologici originari, senza per questo dar luogo a una lingua mista: è il caso del neoa'ramaico, che si è evoluto sotto l'impulso di modelli alloglotti, J. Friedrich, « AION-Ling. » 4 (1962), p. 95 ss. Naturalmente, nulla impedisce di ampliare il concetto di parentela Hnguistica fino ad inc1udervi le affinità da contatto, Pisani, Saggi, p. 38, «SE» 33 (1965), p. 533; ma il punto fondamentale (fondamentale, perché è la base su cui poggiano le acquisizioni di un secolo e mezzo di linguistica storica) è che questo è un momento di storia linguistica diverso, e che suole realizzarsi soltanto entro certi limiti.

30 Una recente messa a punto del problema in Weinreich, p. 32 s., cfr. anche Pisani Geo!., p. 206 ss.

31 Merita di esser segnalata ancora una volta la coerenza della posizione del Trom­betti (cfr. Etr. II, p. 139), il quale rifiutò esplicitamente la definizione dell'etrusco come lingua mista, attribuitagli da un fraintendimento di F. Skutsch.

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come uno strumento strutturatosi attraverso il contatto tra genti eterogenee, limitatamente alle esigenze reciproche della comunicazione. È ben noto che un tal genere di idiomi è contl1addistinto dalla povertà del lessico e dalla rela­tiva semplicità della grammatica, e l'etrusco non compartecipa certo di tali condizioni: basti rilevare il fatto che qualunque reperto epigrafico di una cert'a estensione, anche se appartiene a categorie già riccamente rappresent,ate, ci documenta di solito parole nuove e non raramente strutture impreviste. Una commistione di proporzioni massicce può assumersi, sempre a titolo di ipotesi, soltanto per il lessico, dato che non mancano lingue in cui i vocaboli ereditat,i s'ono ridotti a una minoranza anche assai esigua 32. Se ci rappresen­tiamo il costituirsi della nazione etrusca come un processo di innesto o di acclimatazione di una corrente etnolinguistica 'esterna a un ambiente encorico, questa ipotesi potr,ebbe ,acquistal1e una certa consistenza. Peraltro, una tal situazione è da prospettarsi soltanto per un periodo anteriore, non sappiamo di quanto,alla fase documentaria. L'etrusco dei testi dell'Etruria propria e del Lazio settentrionale non è più la lingua di una oasta dominante o di un nucleo di colonizzator,i, quale fu in Campania e, in proporzioni diverse, nel­l'area umbra alla destra del Tevere. Ciò non si deduce soltanto dalla mancanza di testi eteroglotti. Dietro la libertà sorprendente delle scelte gr,afioo-lingui­stiche, quale emerge già nei testi arcaici, per esempio nell'area cerite, s'in­travvede un gioco complesso di tendenze contrastanti, centrifughe e livella­trici, che denunciano una vasta compart,ecipazione all'istituto linguistico. I massicci processi di riduzione del vocalismo ,atono che s'instaur,ano nel corso del V secolo, tradiscono la presenza attiva di una componente volgare e forse ne cons,acrano la definitiva affermazione.

In base alle considerazioni suesposte, sembra lecito affermare che il nuovo orientamento, inteso ad attribuire origini sincretistiche alla civ,iltà etru­sca, non può assumersi tra i suoi obiettivi quello di prefigul1are indirizzi e conclusioni ,al problema della classificazione della lingua. Opportunamente, dunque, la ricerca linguistica rivendicherà la sua autonomia metodologica, senza peraltro rifiutarsia quella reciproca integrazione di esperienze che è indispensabile nello studio della preistoria.

II. L'ipotesi 'mediterranea'

Poiché il confronto con i car·atteri indoeuropei non è sufficiente a defi­nire la posizione genealogica dell'etrusco, s'impone la necessità di estendere verso altre direzioni l'indagine compar,ativa. Tale esigenza fu avvertita fin da

32 Uno dei casi più cospicui è offerto dall'idioma maleopolinesiano delle isole Guam e Marianne, che contiene dal 90 al 95 per cento di ispanismi (Ha1l, p. 99).

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quando si pervenne a una cognizione sufficientemente matura dei dati lingui­stici: il problema è impostato chiaramenve già in due studi di C. PauH. del 1886 e del 1894 33, che ricerca solidarietà con l'etrusoo in quanto .allora si oonosoeva delle lingue asianiche,e poi ,anche nel caucasico meridionale. Poiché questo lavoro non ha intenti storiogr-afici 3\ conoentreremo la nostra atten­zione sugli indirizzi metodici, attorno ai quali si sono polarizzate le rioerche, piuttosto che seguirne le tappe progressive. Daremo la preoedenza all'orien­tamento che ha promosso il maggior numero di studi negli ultimi deoenni. e suole autodefinirsi col nome di 'mediterraneo' 35. Queste ricerche muovono dalla constatazione che la disoesa degli Indoeuropei nelle regioni della fasc1a mediterranea non ha oanc'ellato completamente la situazione pr'eesistente, e si propongono di rioostmirla attraverso l'individuazione del mat'er1ale, soprat­tutto latino, neolat,ino, greco {occasionalmente di altre aree) che non ammette etimolog.ie indoeuropee; l'etrusoo s'arebbe l'unico residuo compatto di questo continente sommerso. Peraltro, questa ipotesi di lavoro non si è ancora tra­dotta in una formula operativa veramente coerente, per disciplina metodolo­gica e per scelta dei temi di r·ioerca. L'ar,ea investigata ha confini elastici, che giungono occasionalmente, a nord, all'Europa centrale e fino ,ai paesi bal­tici, a sud e ad est, all'avea camitosemitica, all'Anatolia, e anche all'India pr,earia. Almeno fino a qualche tempo fa {vedi oltre), il quesito fondamentale, se Jl materiale raccolto apparteness'e a una o più lingue o famiglie lingui­stiche, è stato sistematicamente eluso, anche se in tale materia è dato co­glieve qualche discrepanza, di tono più che di metodo, tra gli specialisti. Le posizioni più divergenti sembrano riconoscersi in F. Ribezzo e in V. Bertoldi. Il primo studioso, che è .n promotor,e di questa corr'ente di studi 36, è rimasto sempre f'ede1e all'immagine statica di una «lingua dell'Europa centro-meri­dionale, la quale, non esist,endone sul terreno altra dimostr-abilmente più an­tica, è da supporre che sia da conneUeve col popolamento dell'Europa nel tempo in cui il clima vi r,ese possibile la vita, cioè 001 trapasso di genti dal-

33 Pauli Ait. Fo., II, 1-2. 34 Manca un lavoro esauriente sulla storia della ricerca: un rapido abbozzo in Fiesel

Etr. Sul tema dei rapporti tra etrusco e altre lingue, rimane fondamentale il capitolo I dati linguistici in Pallottino Or.

35 Sugli sviluppi e sulla tematica di questo indirizzo di ricerche ha tracciato un felice quadro d'assieme iI Devoto, SM., II, p. 16 ss.

36 Con gli scritti L'originaria unità tirrenica dell'Italia nella toponomastica e Carat­tere mediterraneo della più antica toponomastica italiana, «RIGI» 4 (1920), pp. 82, 221 ss. Ma iI primo accenno alla nuova impostazione si ha in un contributo del 1908: si veda, dello stesso autore, lo scritto Sulla originaria unità linguistica e culturale del­l'Europa mediterranea, in Atti I Congr. di preist. e protost. mediterranea, Firenze-Napoli Roma 1950, p. 185.

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l'Africa s,ettentrionale in Spagna e Sicilia al ritiro del ghiacdaio 'alpino» 37.

Le ricerche del Bertoldi mir,ano piuttosto alla rioostruzione di solidarietà lo­cali, int,erpr,etat'e come riflesso di vicende di cultura, cosicché il postulato del­l'unità mediterranea non assolve più ad 'altro ufficio che di fornire una cor­nice unit,aria a temi di rioerca 'eterogenei 38. Un'altra grave lacuna della lette­ratma mediterraneistica è costituita dal prevalere pressoché esclusivo dell'in­teresse etimologico: la ricerca delle 'basi' mediterranee è fine a S'e stessa e non, come dovrebbe essere, punto di partenza per l'acquisizione di caratteri di struttura 39, per l'istituzione di canoni di corr,ispondenze e di differenze tra le aree poste a r'affronto. Ma il grado di validità di una etimologia non di­pende soltanto dalla misura in cui coincidono i significati e i signifioanti posti in rapporto, bensì soprattutto dalla misura in cui il rapporto da istituire s'in­serisoe in un quadro di corrdazioni più ampio. Se prescindessimo da questo criterio di verifica, verr,ebbea mancare ,ogni fondamento ,alla prassi compa­rativa: ad esempio, per qual motivo intrinseco dovremmo collegare il gr. l}E6c; con l'armo dik' 'dei', quando il lat. deus e l'azteco teo-t! 'il dio' presentano maggior affinità di significanti?

È doveroso riconoscere che questa trascuranza di presupposti teorici aveva una sua giustificazione nella fase iniziale della ricerca mediterranei­stica. Il compito di isolare e di riv,endicare a una nuova formula d'indagine un materiale fino al10ra riservato all'indoeuropeistica, non poteva esser'e rea­lizzato se non da una prassi di ricerca analitica che raccogHesse la materia prima, poco curandosi di operar,e distinzioni e sistemazioni. Oggi un affina­mento della problematica si impone senza dilazioni. L'unità linguistica degli strati non indoeuropei e non camitosemitici dell'area mediterr.anea è ormai un assunt{) insostenibile. Nel settore ,anatoliC{)-mesopotamico è accertata la presenza di almeno cinque tipi eterogenei, non indoeuropei e non s'emitici: protohattico, hurrito"urarteo, cassito, elamito, sumero. Nell'Iberia, il basco presenta divergenze sostanziali da quel che si sa dell'antico iberico, e quel

37 «AGI» 35 (1950), p. 48. Nello scritto cito per ultimo alla no. pr,ecedente (e pubblicato nello stesso anno!) si legge un'affermazione sensibilmente diversa: «Dove, rispetto all'indoeuropeo sovrappostosi, si vede indiscriminatamente un sostrato, parecchie ragioni, non escluse quelle stratigrafiche e culturali, c'inducono oggi a vedere una serie di strati successivi in cui o altre lingue ed altre civiltà si sono sovrapposte e sostituite, o la stessa lingua primitiva si è andata tipo1ogicamente o strutturalmente modificando» (op. 187). Di questa indifferenza riguardo al problema dell'unità mediterranea, si possono raccogliere esempi anche presso altri autori.

38 Cfr. in particolare Berto1di Lg. stor.; Col., nonché l'affermazione di principio in «AGI» 31 (1939), p. 99. Analoga è la posizione di B.A. Terracini, cfr. «AGI» 35 (1950), p. 75 e Pagine e app. di linguist. storica, Firenze 1957, p. 82.

39 Qualche interesse per la ricerca di strutture morfo1ogiche, come il raddoppiamento imzia1e e la composizione, ha mostrato G. Alessio, cfr. «SE» 17 (1943), p. 277 sS.; «G. it. fil.» 14 (1961), p. 230 sS.

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poco che si legge nelle iscrizioni sudlusitane manifesta caratteri autonomi ri­spetto agli altri due tipi linguistici 40. Rimane possibile riservare il concetto di mediterraneo alle aree che non hanno documentazione linguistica diretta. Ma, come osserva G. Devoto 41, la paleoantropologia testimonia l'esistenza di una umanità relativamente evoluta e .quindi necessitata a comunicare in periodi ben più antichi dell'età neolitica: non è facile credere che focolai paleolitid, isolati e dispersi ,attr,averso un',area vastissima, fruissero di un lin­guaggio più o meno omogeneo. Del resto, la revisione delle posizioni tr,adi­zionali è già in atto. Il saggio di J. Hubschmid Mediterrane Substrate (1960) costituisce una svolta importante nella storia della ricerca, e per la novità delle idee e per la preminenza che viene attribuita alle questioni di principio. Movendo dalla constatazione che una nutrita serie di voci prelatine trova corrispondenze nel basco e, occasionalmente, nelle lingue del Caucaso, e che invece altre parole di sosuato sono diffuse soltanto nell"area occidentale, talvolta anche in relitti precamitid del Nordafrica, il Hubschmid arriva alla conclusione che nel settore mediterraneo sono sceverabili perlomeno due strati, uno 'ispano-calllcasico' (che chiameremmo meglio basco-caucasico), uno 'euroa­fricano'. Quest'a conclusione d trova consenzienti in linea di principio, perché concorda con le testimonianze della paleoantr.opologia sull'origine africana di parte delle genti mediterranee e, d'altl1a parte, viene conv,alidata dalle affJ­nità che legano il basco tanto ,alle lingue kharthveliche, quanto al oaucasico settentrionale: affinità che invero non è possibile tradurre in un sistema orga­nico di corrispondenze, ma pure ,innegabili, spedalmente dopo i contributi dedicati .al problema da R. Lafon. Senonché, ammessa la compresenza di più strati nell'area meditermnea indoeuropeizzata, ecco che la posizione dell'etru­sco ritorna problematica. Nel saggio del Hubschmid, che pure vorrebbe essere una summa dei risultati più sicuri ,acquisiti dalla medit-err-aneistica, La que­stione non viene nemmeno 'affrontata: si ritiene pr.obabile l'origine micrasia­tica della lingua, e pertanto la si esclude da ambedue gli strati {pp. 47, 69). Peraltro viene dt'ato il fitonimo ~Otrcovxa.,equivalente a M~oç in Dioscuride, che si ritrov'a in calabro mùtaca 'cisto', cioè in un'area dove gli Etruschi non sono mai giunti, e anche nella Romàni.a occidentale, per es'empio dn cataI. m6daga idem 42. Come sia da spiegare questa isoglossa, il Hubschmid non

40 La nota teoria di A. Schulten, che vedeva in queste iscrizioni la testimonianza di una colonizzazione tirrenica, rimane per il momento fuori questione, in quanto le pre­sunte assonanze tra voci 'tartessiche' ed etrusche o lemnie dipendono da trascrizioni assai problematiche. Si ritiene probabile tuttavia che la grafia e la civiltà tartessica siano il portato di una colonizzazione mediterranea orientale. Cfr. A. Tovar, E.L.H. I, p. 6 ss. e Anc. Languages 01 Spain and Portugal, New York 1961, p. 36 ss,; U. Schmoll, Die sudlusit. Inschr., Wiesbaden 1961; A. Garda y Bellido, « Klio» 38 (1960), p. 128 ss,; M. Lejeune, «RÉA» 65 (1963), p. 5 ss.

41 «SE» 29 (1961), p. 176 ss, = SM" II, p, 25 ss. 42 Hubschmid, p. 48; Thes. II, p. 93.

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dice: ma certo nessuno potrà garantire che quella voce etrusca non sia pro­venut,a da un sostrato locale o anche da una fonte esterna, allo stesso modo che tanti fitonimi mediterranei e or-1entali sono passati al greco e al Latino, e pure alle lingue germaniche. Qui emerge l'inadeguatezza dell'indagine di sostrato, se utilizzata come criterio di individuazione di ambienti o con­fini linguistici. Un'indagine che in definitiva verte su prestiti non può raggiungere quei settori del sistema che presentano le maggiori con­dizioni di stabilità neUa storia linguistica. Né si deve credere che la diffu­sione delle isoglosse lessicali rifletta necessariamente la distribuzione dei so­strati. Anzitutto, v·a tenuta presente la possibilità che l'incontro tra immigrati indoeuropei e genti ·alloglotte sia avvenuto anche in sedi anteriori a quelle definitive. E poi, va istituita preliminarmente una distinzione tra le voci che possono ,essere oggetto di scambio in senso per cosl dire verticale, quando cioè una tradizione linguistica s'impone su un ambiente alloglotto, com'è il caso dei nomi delle forme del terreno, e quelle voci che, invece, possono pro· pagarsi attraverso veicoli culturali: nomi della flora e della fauna, di me­talli, strumenti e altre materie commerciabili. Una tale distinzi:one manca affatto nella letteratura meditervaneistica (si veda ad es·empio l'Inhalt di Hubschmid, Thes. I), eppure ci sembra essenziale: quali deduzioni dovremmo tvarre dalla diffusione moderna di termini come rosa, leone, metallo, tazza, se ai mancasse la possibilità di :ricostruirne la storia? Come criterio acces­sorio per la differenziazione di strati, si potvebbero mettere in evidenza ca­ratteri del patrimonio fonematico, della radice e della formazione nominale. Ma si tratta di pvoblemi che rimangono da approfondire: anche La dicotomia opevata dal Hubschmid non poggia su criteri tipologici. Soltanto la trattazione dei suffissi ha una ricca letteratura, ma questa è materia poco idonea a legit­tiro·are distinzioni. Anzitutto, i suffissi possono costituire oggetto di scam­bio: si vedano ad esempio i suffissi greci in latino, latini nelle lingue germa­niche e in basco, francesi in itaHano, turchi nelle lingue balcaniche. E poi, l'esiguità della materia fonie.a, e le difficoltà che spesso ostacolano la carat­terizzazione dei suffissi sul piano funzionale, fanno si che questo genere di indagini sia il più soggetto aWalea dell'omofonia fortuita. Cosl, V. Bertoldi 43

deduceva una desinenz·a di collettivo -ara, da connettere col segno del plu­raleetrusco -ar, da una serie di nomi iberici e anatolici, ma è un"analisi che rimane congetuur.ale, perché difficilmente -ara sarà da separare dall'altro suf­fisso ibero -arus, ·anato!. -apoc; che esprime appartenenza o pura derivazione in nomi di persona; né poi il basco o ,alcuna lingua documentata d'Asia Mi­nore impiegano un modema siffatto per la formazione del collettivo o del plurale 44.

43 In Mél. van Ginneken, Paris 1937, p. 157 ss. 44 Che il Iidio civard contenga un suffisso pluraIizzante -ar-, è stato contestato da

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In qual misura le ricostruzioni mediterranee possono interessare l'erme­neutica etrusca? Le voci di sostrato concernono in prevalenza denominazioni di accidentalità del terr,eno, di piante, di corsi d',acqua: considerata la natura dei testi che abbiamo, non è da aspettarsi che questi campi semantici vi siano riccamente rappr,esentati. Tra le poche connessioni che sono state proposte, tutte ipotetiche, la più degna di menzione sembra esser quell-a di ett. f)aura, probabilmente 'tomba' {cfr. i Taurii ludi, dedicati alle divinità infernali), in quanto 'tumulo', con l',ass-ai diffuso oronimo *tauro- 45. Il collegamento che ora istituiremo è finora sfuggito ai mediterraneisti. Si sa bene che etr. s / suf)i, spesso pr,eceduto dal pronome dimostmtivo negli epitafi, non può indicare che la tomba; ma il senso proprio è piuttosto quello di 'nicchia, Ioculo', come risulta dalle iscri2lioni tarquiniesi S.E. XXXII, p. 109, dove si dà notizia del­l'approntamento di un numero sa- di suf)i entr.o la stessa tomba. È da pren­dere in considerazione un rapporto con la serie prelatina della Romània occi­dentale: cataI. sot 'cavità della terra naturale o artificiale', ligure mediev. zota 'piccolo fosso', sicii. tsotta idem, ecc. 46. I dati semantici coincidono sostan­zialmente. Quanto -all'aspetto formale della comparazione, si noterà che le voci neolatine presuppongono un'·affricata iniziale o, comunque, un'articola­zione non del tutto identica a lat. s. L'iniziale etrusca viene scritta solita­mente s- nell'Etrur;ia interna, s- a sud: coincidenza significativa, quest'a rea­liz2lazione grafica indica una sibilante lunga o un',articolazione affine 47. Quanto alla 'aspil1ata' interna (una minoranza di esempi ha invece la 'tenue'), la cor­rispondenza con una consonante lunga, quale presuppongono le forme neola­tine, non è un fatto isolato: porter·emo altri ,esempi in questo st,esso c,api­tolo. &<:0 dunque una etimologia da t'ener pr-esente, ma finché un tal rap­porto tra l'·etrusoo e l'.ar·ea mediterranea centroccidentale non si potrà inqua­drare in un contesto più ampio di isoglosse, come trascur·are l'·eventualità di un',assonanza fortuita? E come stabilire se si tratta di un rapporto ereditato o acquisito? Per il collegamento, istituito da G. Aless10 48, tra il basco tutur 'cresta, pennacchio di uccelli' e l'etrusco (?) tutulus 'ornamento del capo dei sacerdoti' 49 {cfr. tosc. tùtolo 'torsolo delh pannocchia', it. mero tÙlero 'pan­nocchia'), la seconda soluzione è oerto da preferire, perché una ,isoglossa ere-

Heubeck, p. 32 no.; ora P. Meriggi torna a difendere la sua interpretazione, puramente combinatoria, 'bei den Gottern', «RHA» f. 72 (1963), p. 32.

45 Cfr. Ribezzo-MelilIo, « RIGI» 15 (1932), p. 150 SS.; Battisti, p. 36 S.; Meyer­Liibke, R.E.W., nrr. 8811, 9007. Veramente, nella tarda iscrizione TLE 419, la voce etrusca indica non una tomba, ma un'urna cineraria (cfr. Vetter, Wortd., p. 10).

46 J. Hubschmid, E.L.H. , I, p. 62. 47 Di ciò nel capitolo seguente, sub e 1. 48 « SE» 18 (1955), p. 55; inoltre Hubschmid, E.L.H. I, p. 44; Thes. II, p. 103. 49 Malgrado Ernout Phil., I, p. 39 no. 1, non v'ha testimonianza che ponga in

rapporto la voce con costumi etruschi; l'origine prelatina rimane però certa.

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ditat·a, completa anche sul piano morfologico (basco -r può continuare -1-) mal si armonizza con le cospicue divergenz·e che emergono tra ·etrusco ·e basco, nel sistema fonetico, nella declinazione, nei numer·ali, nei nomi di parentela S0.

In conclusione, la presenza di un sostrato genealogicamente affine al­l'etrusco entro l'area neolatina rimane una pura ipotesi. Non può certo ad­dursi come prova, ma vale piuttosto come esempio patente dell'impossibilità di una dimostrazione la troppo famosa base *pala-/fala- 'monte, pendio sco­sces-o' SI. La glossa etrusca fa1ado 'cado' presenta un significato inconcHi·abile (è da confrontare piuttosto il prelato pa1iitum, cfr. pa1atum caeli Ennio, egr. OÙpa.VLCTXOC;); le voci fa1as, falSti, fa1zafJi sono irrimediabilmente oscure 52. Cer­to, l"estrema esiguità degli dementi di giudizio di cui disponiamo non legit­tima affermazioni perentorie. Che però sia da attribuir·e all'etrusco un non precisabile grado di autonomia nei rispetti dei sostrati prelatini, risulterà dalle considerazioni che seguono. L'indistinzione di medie e tenui, quale si rea­lizza nella grafia etrusc·a, è del tutto ignot,a al basco, e parimenti .alla maggior parte delle ricostruzioni mediterranee d'area neolatina. Molte serie lessicali presentano costantemente gl1afie con media, per esempio bac(c)a- 'vegetale', barga- 'capanna', garma- 'grotta', gava- 'corso d'acqua', sab- 'stagno'; né di solito presentano oscillazi'Oni le ancor più numevose voci con c'Onsonante te­nue. Le alternanze solidamente documentate sono rare, e vanno giudicate caso per caso. Il nome delle Alpi ha costantemente -p- nelle continuazioni moderne, quindi nella grafia "AÀB~a. riportata da Str·abone, ammesso che sia degna di f.ede, va vista pr'Obabilmente una contaminazione col tipo topono­mastico a1b-, frequent,e in area celto-ligure. Che poi questo vada messo ~n rapporto col nome delle Alpi, è sohanto una possibilità: se A1pi- significa 'monte' e non 'pascolo', come ·altri ha congetturato, tuttavia A1b- denomina anche località che stann'O in pianura, e non è escluso che, almeno nell'area ligure, questo element.o rifletta l'aggettivo indoeur.opeo per 'bianco' 53. Che dal lat. 1epus, dal sardo lèppore e dal frane. 1apereau 'piccolo coniglio' si rico­struisca una f.orma c.on p/pp, laddove il massaliota ÀEBTlPLC; e illigure Lebrie­melum hanno una media 54, non ha un gran significato, perché siamo di fronte a un Wanderwort, la cui diffusione giunge fino alla penisola anatolica: il

so Le poche concordanze rilevabili fanno parte di isoglosse basco- ed etrusco-cauca­siche. Di ciò nel Cap. V.

51 Cfr. ad esempio Bertoldi Col., p. 171 ss.; Battisti, pp. 137, 142. La ricostruzione prelatina è contestata, probabilmente a torto, da Hubschmid, p. 17, no. 2.

52 Va considerato inoltre che un'alternanza p/f ad iniziale di parola non è docu­mentabile in etrusco, cfr. Cortsen Lyd, p. 118; Pfiffig Uni, p. 35 Anche il modulo della «caratteristica struttura bisillabica con prevalenza della vocale a», Bertoldi Col., p. 172, sembra ben poco noto al lessico etrusco, cfr. apa (nome di parentela?), cana, rapa e il citato fatai.

53 Cfr. V. Bertoldi, « Z. rom. Ph. » .5 (1936), p. 179 ss .; Hubschmid Thes. I, p. 86. 54 Cfr. da ultimo O. Parlangèli, «Kokalos» 10-11 (1964-5), p. 233 ss.

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geroglifico hittito LEPRE si legge ormai oon sicurezza tap/ bar{a)-. Più signi­ficativa, invece, la serie sabino tebae 'colli', pregr. eii~a.L, cario 'ta~a. 'sasso', ma corso teppa 'roccia, stl'apiombo', spagn. tepe 'zolla di terra', oolabr. tilla idem, frane. dial. tap 'colle', ecc. Ma, ammesso che -i vari significati siano conciliabili, quest,a serie presenta non solo alternanza media: tenue, ma .anche altri caratteri 'eccezionali: vocalismo radicale e, a, i, alternanza di occlusiva e spirante, infissazione di una nasale (calabro timpa, cataI. timba 'strapiombo', ecc.). Ma soprattutto è notevole che forme affini si ritrovino in molte lingue asiatiche, dal t'Urco tepe 'colle' fino al nepali tipri 'cima di un colle'. È im­prudente liquidare le ·assonanze asi'atiche con la proposizione: «werden mit den mediterranen Wortern nicht in direktem Zusammenhang stehen »5\ quan­do è dimostrato che ,altre voci mediterflanee si ritrovano in area as1atica meri­dionale 56. Gerto è che non si può dedurre nulla da fenomeni che esulano dalla norma, per car,atteri tipologici e per diffusione areale.

L'·eUusco dei testi conosce soltanto due categorie di occlusive, 'tenui' (tali nella realizzazione grafica, ma rese non infrequentemente con medie in latino) e 'aspirate'. È proQbabile che la distinzione tra le due categorie venisse a neutralizzarsoi in posizioni o nessi particolari. Il caso meno incerto sembra esser fornito dalla posizione finale, e più generalmente dai paradigmi che con­templano uscite in occlusiva, ma purtroppo manoano ricerche in questa ma­teria. Viceversa, in successione a liquida e a nasale soQno ,ammesse esclusi­vamente ',aspirate', almeno neUa lingua arcaica 57. Certo è che una confusione sistematica tra le due categorie non si riscontra in alcun testo etrusco 58, onde è da escludere che la lingua sia mai giunta a uno stadio di piena neutralizza­zione 59. È impossibile determinare con esattezza qual fosse il coeffioiente di differenziazione tra i due tipi di oQcc1usive. Nei nomi del mitoQ greco, la tenue originaria viene resa spesso con 'aspirata', non infrequentemente l'aspirata con 'tenue': è da pensare dunque che nessuna delle due categorie trovasse

55 Hubschmid, p. 50, ove più ampia documentazione. 56 Si vedano gli scritti citati da V. Pisani, « AION-Ung. » 7 (1966), p. 41 s., ma

anche l'importante lavoro sul burushaski di H. Berger, « MiiSS » 9 (1956), p. 4 ss. 57 Cfr. per ora « Rend. Une. », 20 (1965), p. 311, no. 11. 58 Esempi cospicui del fenomeno, ma sempre in misura limitata, si osservano sol­

tanto nel Liber di Zagabria, dove hanno una motivazione tutta particolare: il testo fu dettato a persona che non conosceva perfettamente l'etrusco, almeno l'etrusco litur­gico. Cfr. per il momento Pfiffig St., p. 9.

59 In ciò dissentiamo parzialmente da L. Heilmann, « AGI» 37 (1952), p. 47 ss. Almeno nella posizione ini7.iale, la distinzione tenue: aspirata trova sanzione in molti esempi. Cfr. ci 3: xi- pronome (caso già ricordato dal Heilmann); l}esan l}esn- 'aurora': teme altro significato; l}am- 'costruire': tamera, tamiaDuras termini magistratuali; -l}ur- 'membro di una comunità': tur- 'dono'. Per la posizione intervocalica non troviamo esempi altrettanto evidenti, ma sta il fatto che molte voci di grande frequenza sono scritte sempre o con tenue o con aspirata, per esempio acil, ati, cexa, eca, etera, ipa, lupu.

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corrispondenza perfetta in etrusco. Ci pare significativo che certe 'aspirate' etrusche trovino corrispondenza, in ,altre documentazioni, in consonanti lun­ghe: pregr. a:t'tcx'voc; 'vaso', lat.-etr. attanus, etr. ai}ene; suffisso mozionale -itta, etr. -ii}a 60; lat. Accheruns da etr. axrum, come struppus, stroppus da un intermediario etrusco di CT'tp6cpoc;; analogo adatt,amento in itaI. brocca, da etr. prux ( um ), 7tp6xouc; 61. È probabile dunque che la distinzione tra le due categorie di ocdusive poggiasse sul diverso grado di tensione articolatoria, cioè sull'opposizione forte : lene, e che la presenza o ,assenza dell'aspirazione fungesse da tr.atto concomitante. Se poi questa situazione sia il risultato di una evoluzione oorrelat,a dei modi di -articolazione delle ocdusive, e quale fosse il sistema originano, è impossibile stabilire 62. Quel che ,importa met­tere in evidenza in questa sede è che il sistema etrusco non è il prodotto di una evoluzione recente.

Nella scrittura anatolica più antica, quella cuneiforme, domina grande incertezza nell'impiego di media e di tenue; nei geroglifici hittiti una distin­zione tra le due serie non esiste o perlomeno non s'intravvede allo stato attuale della decifr,azlone 63. Il fenomeno non ha ragione puramente grafica, ché emerge anche dalla documentazione più tarda 64; è significativo che il ri­flesso gveco di hitt. lat / da- licio lada- 'donna', presenti le due realizzazioni A'l'}'twe Ailocx'. Conformemente ,a una osservazione di E.H. Sturtevant spesso criticata, ma che ha il vant,aggio di dar ragione di una notevole maggioranza di cas,i, la gr.afia (hittita e luvia) cuneiforme presenta le medie e medie aspi­rate indoeuropee rispettivamente con tenue o media scempia, mentre le anti­che tenui comportano, perlomenoassai spesso, geminazione. Non v'è dubbio che la situazione anatolica trae radici da un ambiente di sostrato, dov,e l'arti­colazione delle consonanti non comportava vibrazione delle corde vocali, o questa non assumeva rilevanza fonologica; se si accetta la 'norma dello Stur­tevant', è pensabile che la distinzione fosse demandata al gr,ado di tensione dell',atto articolatorio 65, come probabilmente in etrusco (vedi sopra). Indistin­zione di medie 'e tenui s,i ha anche nella grafia cipria, nonché, fatta eccezione

60 Sul quale cfr. Schulze, p. 77; Hubschmid Thes., II, p. 158 S. 61 Assumono significato in questo contesto le scritture del tipo tar~ di cui non

si è data finora spiegazione convincente, dr. Slotty, p. 113 sS. Si ricordi anche l'etr.-lat. Gracc(h )us, Schulze, pp. 172, '354.

62 La tesi della « Lautverschiebung » è sostenuta da F. Ribezzo, « RIGI» 18 (1935) , p. 61 sS. ; G. Devoto, SM. I, p. 194 ss. Peraltro, manca una piena analogia con le condi­zioni germaniche o armene.

63 Laroche, p. 259. 64 Kronasser, p. 18. 65 Kronasser, LFt., p . 58. Le critiche più serrate che lo stesso studioso ha rivolto

successivamente alla 'norma dello Sturtevant', Reth. Etym., p. 14 ss., non sono tali da pregiudicarne la validità. Si veda inoltre Benveniste, pp. 7, 107 ss.; L. Deroy, « Ungo Research in Belgium », 1966, p. 25 sS.

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della serie dentale, nella lineare B micenea e certo anche nella lineare A 66.

Ora, è molto difficile negare una connessione diretta tra le condizioni anato­lioo-pregr,eche ed etrusohe. Si considerino queste quattro isoglosse, 1n cui a una 't'enue' etrusca oorrispondono scritture e con t,enue e con media: 1) luvio dammara-, cilicio-ciprio Tamiras: ett. tamera- (cfr. Cap. III, sub e 4); 2) focese ~PU't~VEUW, cr,etese ~PU't~V1]LOV, ma atto 1tPU't~VLç: ett. pu~; 3) eret. KOp'tUVLOL rOp'tUVLOL, beot. Kup'twv1}, tessa!. rup'twv -WV1}: etr. curtun Cortona; 4) hitt. lati da-, gr. A1}'tw A1]oa: etr. latva 'Latona' (Fiesel, Namen, p. 17). Se l'alternanza di tenue e media nelle scritture di nomi pregreci o egei fosse un fenomeno piuttosto comune, quale è nei dooumenti cuneiformi, si po­trebbe .anche fare a meno dall'istituire un rapporto diretto. Ma entro l,e cen­t,inaia di nomi propri e di appellativi che derivano dai so strati egeo-pregreci quel fenomeno trova ben scarsa documentazione 67, cosicché non pare un caso che esso si presenti proprio in voci comuni all'etrusco. Insomma, par diffi­cile .eludere l'ipotesi che la corrente etnolinguistica che ha introdotto quelle voci in Italia, vi ,abbia anche portato l'indistinzione di tenue e di media, cioè un tratto fondamentale del sistema fonematico etrusco. Che qualcuno dei sostrati ,egeo-pregreoi conoscesse anohe fonemi equivalenti alle 'aspir,ate' etru­sche, è probabile: in 'A'ti)~ç, Baxxoç, x6xxoç, (TLxX6ç, O'uxxoç, 'tL'ti)6ç 't~'ti)1}

si ha certo un'articolazione estranea al greco. Non sembra invece che fonemi del genere ,emergano dalle ricostruzioni mediterranee d'area prel.atina. Le aspirate dei dialetti baschi del v,ersante francese non risalgono ,a fase antica 68.

In conclusione, non vogliamo negar,e la validità della formula mediter­raneistica, specialmente in quanto storia di parole e di vicende culturali o analisi di strati toponomastid, né che questo indirizzo abbia già prodotto con­tributi di valore, e tali da modificare sostanzialmente l'interpretazione tradi­zionale dei processi che hanno portato all'avvento delle lingue indoeuropee

66 Il trattamento particolare riservato alla serie con dentale non può spiegarsi che da un adattamento secondario, operatosi già in sede di lineare A o del modello di questa. Così è da ritenere con Lejeune Mém., I, p. 328. Nell'archetipo grafico, certa­mente predisposto per un idioma non greco, dal quale derivano la lineare A e, più alla lontana, la grafia cipria, i segni con dentale sonora dovevano indicare fonemi cacuminali, se non affricate laterali di tipo caucasico. Il fatto che il segno ciJprio per lo )..0 equivalga a quello miceneo e minoico per ra )..0 po, e che ciprio ta 't'a oa i}a sia identico a min.­micen. da oa, non dimostra che l'archetipo impiegasse una serie di segni per la dentale sonora e un'altra per le liquide. I segni cipri ra re ri ra ru non trovano confronti con quelli minoico-micenei, quindi saranno innovazioni, e i segni sopra citati, derivanti dal­l'archetipo, avranno indicato in precedenza esclusivamente l'articolazione allotria di cui si è detto.

67 Ecco il materiale, certamente incompleto, che è a nostra conoscenza: cret. rauooç Kauooç, rodio BpVYWo&.PLOç BPLXWo&.PLOç, focese AE~aoEuç AE7ta/)Euç, MTjXù~EpVa MTjxv.

1tEpVa, ra)"Tj\jJ6ç Ka)..Tj\jJ6ç toponimi della Calcidica, yopyvpa : K6pxvpa ?, YV1tTj' xo~)..wlla

yf}ç; XV1tTj' 't'pwY)..Tj, licio kupa 'fossa'. 68 Malgrado Trombetti Ba., p. 32: cfr. Michelena, pp. 225, 230; Lafon Ét., p. 15.

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nel Mediterraneo. A nostra opinione, le teorie 'pelasgiche', che affermano l'indoeuropeità del sostrato pr,egreco, non poss'Ono vantare risultati analoghi. Ma si dovrà riconoscer,e che da questo angolo visuale non può venir luce alla più antica st'Oria linguistica etrusca.

III. Etrusco e lingue dell' Asia Minore

Fin dai primordi dell'-etruscologia l'attenzione degli studiosi si volse di preferenza verso il mond'O egeo-anatolico, come a quello da cui pot,esse venire la soluzione dei problemi storici e linguistici f.ondamentali. Il noto passo erodoteo sull'origine lidi a dei Tirreni, ,e poi la scoperta dell'iscrizione pre­greca di Lemno, pubblicata nel 1886, costituirono giustificazione e stimolo per la rJoerca di altr-e affinità. Le Kleinasiatisch-etruskische Namensgleichun­gen di G. Herbig (1914) si pongono a c'Onclusione di un prim'O capitolo di ricerche. I risultati di questa indagine sono p1utvosto esigui, malgrado il tono di orgogliosa certezza c'On cui v-engono presenta t'i. Le comparazioni istituite interessano quasi esclusivamente il campo antroponimico, dove er.a possibile utilizzare la silloge del Sundwall, oggi superata, e la raccolta di materiali dello Schulze. Vi si trovano, alla rinfusa, congetture degne di considerazione 69

accanto ad altr,e sicuramente erronee 70. La venuta alla luce delle iscrizioni lidie attrav,erso gli soavi di Sardi (I 91 0-3) e, poco dopo, un ev-entoassai più gra­vido di conseguenze, la decifr-azione della scrittura hittita cuneif'Orme e le oonoscenze che da -essa si r,iverberarono su altre lingu-e e anche su testi già leggibili, aprono una seconda -e più importante fase nell'O studio dei rapporti etrusco-anatolici. Per il momento, questo capitolo registra ben poche in­dagini sistematiche, ed elaborate, in genere, quando lo studio delle nuove cono­scenze era ancora in una f,ase embrionale 71. Gli è che, riconosciuta la sostan­ziale, se pur non totale, eterogeneità dei materiali di nuova acquisizione ri­spetto all'etrusco, la filologia ,asianica si è sentita estranea al pr'Oblema delle origini etrusche. Risultano inf.atti irrimediabilmentoe destituite di f.ondamento filologico e linguistico le t'eorie di quanti ricercano corrispondenze compatte con l'etrusco nei dooumenti anatolici che presentemente s'Ono a disposizione: sia che le analisi v-engano impostate in s-ens'O pre- o protoindoeuropeo 72, sia che tendano a dimostr,are una pura e semplice dipendenza della lingua dal-

69 Come i confronti 'A'lt1ta.ç, 'A~~cx.ç: apa, llcx.'It('It)cx.ç : papa, Mc:ql.a.ç: mama, TÉ't'l)ç : teta; tel}as, ®Epcx.: l}eras, KO't.cx.ç (peraltro nome tracio secondo Zgusta, nr. 710): Cotta.

70 Così trfitmili: Tl'emulus, KwyÀ.oç : Cocles, ·Op~À.'l)'toç : Orbilius, Habesos: Faberius, llwwocx. : Picentes, AWycx.O'Lç: Luceria.

71 B. Hrozny, «ZAss.» 4 (1928), p. 171 55.; Schachermeyr, p. 239 ss.; P. Meriggi, « SE» 11 (1937), p. 129 SS., cfr. «Athen.» 35 (1957), p. 353.

72 Così H.L. Stoltenberg e A. Carnoy: informazioni al riguardo in H. Rix, «Kra­tylos» 8 (1963), p. 142.

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l'hittito, secondo la paradossale teoria di V. Georgiev 73, ora ripresa in parte da V.V. Sevoroskin 74, che limita prevalentemente alla flessione i caratteri 'hittito-luvi', mentre il lessico sarebbe meno conservativo. Mess'e da parte queste tesi estreme, il problema rimane, e attende una trattazione sistema­tica. Data la complessità della materia, s·arà opportuno concentrare la discus­sione attorno a taluni principi fondamentali, che introdurranno una serie di lemmi.

a) Nessuna delle lingue anatoliche documentate epigraficamente permette comparazioni sistematiche con l"etrusco. Tra gli idiomi non indoeuropei, va messo da parte anzitutto il protohattico: il lessico conosciuto non si presta a confronti; l'impiego di prefissi davanti al nome e, in modi più complicati, davanti al verbo, non trova alcuna analogia nell'etrusco, che probabilmente non conosce prefissi nominali o verbali (tutt'al più si può ammettere un pre­verbio pi-; caso singolare, pe- è uno dei pochissimi prefissi che l'hittito ha conservato). È vero che il lemnio marinail (cfr. Mup(:v1j opp. nella stessa isoLa) ricorda etnici protohattici come ljanikkuil 'abitante di Hanikku', ma questo non è un modo di formazione etrusco. I suffissi -t, -ta, caratteristici di nomi femminili {Kronasser, p. 238) potrebbero richiamare la formazione di etr. lautnifJa, peraltro eccezionale. Maggiore attenzione richiama il mate­riale non assiro, prevaLentemente onomastico, delle tavolette 'cappadoaie' (XIX e XVIII secolo), in cui sono presenti, ma non facilmente identificabili, più ambienti centromeridionali, almeno .in parte ancora immuni da processi di indoeuropeizzazione 75. Qui si trovano già l'elemento Targu- (cfr. sub e 3) e altro materiale anatolico comune all'etrusco (cfr. e 1, 2). Altre ·assonanze si potranno prendere in considerazione quando i tesui saranno stati studiati più a fondo 76.

L'hurritoe J'.affine ur:arteo non si prestano a comparazioni sistematiche con i dati etruschi conosciuti. Rit-eniamo tuttavia che non sia da escluder·e l'eventuaLità di un qualche pur remoto rapporto. Finora è stato dibattuto sol­tanto un 'aspetto particolare del problema, e tenendo presente soltanto il più evoluw urarteo: e cioè se l'etrusco conosca la passività del verbo; se la spo-

73 Georgiev Reth., passim; Intr., p. 261 ss. 74 Sevoroskin, p. 304 s. 75 Le acquisizioni più importanti e la bibliografia relativa in Kronasser, p. 128 ss.;

purtroppo gli scritti del Bilgiç ivi citati ci sono irraggiungibili. Un tentativo di classifi­cazione linguistica del materale in Garelli, p. 133 ss., che attribuisce la componente fondamentale all'hittito, qualificazione peraltro ambigua, e per la ragione detta sub b, e perché i pretesi elementi hittiti provengono, almeno in grandissima parte, dal sostrato.

76 Un caso particolarmente significativo è dato dal nome di parentela kila: se fosse confermato il valore «Kind» (cfr. Kronasser, p. 135), non si potrebbe eludere il confronto con etr. clan: -i- può essere vocale cieca. Il suffisso mozionale del femminile -sar ricorda la formazione di etr. axaviser dea.

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radica terminazione -s / s nel case retto sia il residue di un case-seggette di verbi tmnsitivi, oome urart. -se (e hurr. -s); e se la terminaziene -n, che nei pronemi esprime apparentemente funziene di accusative, non vada posta in rapporte con la desinenza urartea -ni (hurr. -n, Friedrich, Beitr., pp. 9, 61), che indica t'alvelta il nostro complemente eggette, e il soggetto dei verbi intransitivi 77. Alle state attuale della nostra conescenza dell'etrusce, un giu­dizie su tali questioni ,appare prematuro. Ma è strane che non si sia poste occhio ad altr,e ,assonanze, seprattutte nel c,ampo dei numerali 78. Tm hurr. kikk-, prebabilmente 3,ed etr. ci, che ha sicuramente queste valere, potrebbe non ess'ervi sostanziale differenza. Burr. sin-, sicuramente 2, rirorda l'ordi­nale zelu (il vecalismo del cardinale zal nen è necessariamente primarie: secondo noi, il rapporte clan: clenar va spiegate assumende apertura di e nei monosillabi). Per hurr. sinta 7 non sarebbe impossibile un oollegamente con semrp, di cui però non è c,erto il valere 7 (che si presterebbe anche ad assenanze indoeuropee e semitiche). I valori di ,altri numerali hurriti sene ipotetici: così tumni 4, nis- 9, eman- lO; nubi, che si interpreta 'diecimila', ricerda il radicale di etr. snuiarp (e snutarp, Pfiffig, Uni, p. 39), ,a cui abbia­mo attribuite in altm sede il v,alore lO. Relativamente scarsi, e sempre alta­mente ipotetici, i cenfronti epembili in altri setteri del lessico: hurr. siduri 'ragazza', etr. six- sex 'figlia'; hurr. p/wutki 'figlie, bambino', etr. puts 'ra­gazze' (?); suhuri- 'vita', urart. sebiri 'vive', etr. sval-; sawala- 'anne', urart. sali-, etr. avil; inu 'come', etr. enia-ca Pyrgi 'altrettanti'; ki(b)- 'perre', etr. ces/s- 'esser poste, giacere'; teJi- teJa- «Oberer », etr. tesinÌJ e simili, n'Ome di carica. Più interessante, ma anrora ipotetica, la congiunziene copulativa hurrita -ma (cfr. sub c). In altri settori, e fendamentali, nen s'intravvede per era materia di cenfrente: cesì nei pronemi, nella declinaziene, nel1a flessiene verbale, che è caratterizzata dalla suffissazione di elementi morfelogici e di particelle in ordine fisso. Strutture ,ancor più lentane dall'etrusce present,ane le lingue non indoeuropee della Mesepotamia: il sumero, l'elamite e, per quante se ne sa, il cassite.

b) Le lingue anateliche di tipo indoeuropeo non presentane che iselate conv'ergenze cen l',etrusce, e limitatamente a materiale che non ammette ana­lisi indoeuropee, e quindi è da attribuire a sostrato. Poiché le varie lingue non compartecipano in ugual misura a tali iseglosse, è d'uopo inferire ohe lo strato legato da mpporti con l'etrusce non aveva diffusiene emegenea entl10 l',area indoeuropeizzata. Perché queste secende principie possa venir precisato, appare indispensabile istituire dei raggruppamenti entre le lingue

77 R. Pfister,« MiiSS» 5 (1954), p. 73 ss.; K. Olzscha, Tyrrh., p. 135 ss.; A.J. Pfiffig, « GI» 37 (1958), p. 305 ss.

78 Per quanto segue cfr. Speiser e Friedrich, con i relativi supplementi; Kammenhuber, Index.

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indoeuropeo-anatoliche, a seconda del gl'ado di affinità e della posizione geo­grafica. Allo stato presente delle conoscenze il criterio di ripartizione più sem­plice, anche se non del tutto esaudente, consiste nel distinguere un'area cen­trosettentrionale, comprendente il palaico, illidio, l'hittito cuneiforme, e una meridionale, in cui vanno inclusi illuvio, l'hittito geroglifico, illicio, col più antico mmaco 79. Invero, soltanto il gruppo meridioOnale presenta un conside­revole grado di coesione. Isogloss,e foOndamentali collegano il luvio al licio: secondo la nota teoria di E. Lal'oche, questa seconda lingua non sarebbe altro che una fase sedore del luvio, s'enonché la persistente oOscurità dei testi lid rende prematuro un tale giudizioO. Ancor più stretta appare l'affinità tra luvio e hittito geroglifico, tanto da rendere non improprie le denominazioni di « Ostluwisch » 00 «Bildluwisch» proposte per quest'ultimo idioma. Il lidio presenta particoOlari affinità con l'hittito cuneiforme, ma anche caratteri auto­nomi, nella morfoloOgia e nel lessico fondamentale, tant'è vero che i testi, quando non soccorra la bilingue lidio-aramaica di Sardi, rimangono prevalen­temente oscuri. Un giudizioO analogo s·embra da formulare per quel poco che si sa del palaico, la lingua più settentr10nale BO. Complessa e in certa misura ambigua è la posizione dell'hittito cuneiforme. Accanto a caratteri comuni al lidio e/o al palaico, ovvero autonomi, si presentano anche notevoli solida­rietà con le lingue meridionali, spedalmente nel lessico, solidarietà probabil­mente ereditate in parte dal patrimonio comune « protoanatolioo », e in parte acquisite ,attraverso scambi e contatti: processo naturale, questo, se si consi­dera che l'hittito fu il mezzo d'espressione di una casta dominante (tant'è vero che la documentazione è limitata quasi esclusivamente all'ambito can­celleresco e letter,ario) che già ai primordi dell' Antico Regno aveva esteso la sua influenza verso le regioni del sud, oltre l'arco dell'Halys. Caratteri più dichiaratamente luvi sono peculiari a doOcumenti che o concernono f.atti o per­sone del sud, ° eventualmente sono opera di scribi meridionali 81. Per quanto concerne il materiale di origine non indoeuropea, le solidarietà con le lingue merid10nali potrebbero anoheattribuirsi a un sostrato coOmune, da identificare non col proOtohattico, che non svolge un ruolo t,tttivo nella formazioOne delle lingue del sud, ma piuttosto col 'cappadocio' (tale ipotesi sarà da tenere in considerazione per le concordanze regis,trt,tte sub e a cui partecipa l'hittito cuneiforme). Non abbiamo parlato finoOra del cario, perché, a nostro avviso, la classificazione di questa lingua rimane tuttora problematka. La decifra-

79 Le sintesi più notevoli in materia di rapporti interni dell'i.-e. d'Anatolia si debbono a Kronasser LFl., p. 216 55., e a R. Gusmani, « AION-Ling. » (1965), p. 69 55 . Peraltro sembra a noi che il Gusmani sottovaluti le convergenze tra lidio e hittito cuneiforme.

80 Poiché mancano concordanze specifiche tra l'etrusco e quanto è noto del palaico, in 5eguito non 5i farà più menzione di questa lingua, tranne il caso contemplato sub c.

81 Cfr. O. Carruba, «Spr.» 12 (1966), p. 79 55.

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zione della scrittura è stata avviata a buon punto dal Sevoroskin; i c,aratteri linguistici che ,emergono pres'entano ,assonanze con altre lingue anatoliche, talora ,anche con matedale etrusco: cfr. ad esempio il suffisso -ali- (Sevo­roskin, pp. 151, 265, cfr. qui sub e 2), le voci iiula (ibid., p. 225), etr. iiulalJilin TLE 390; -alpa (pp. 248, 252), etr. alpan; la terminazione -pi (p. 258), etr. minipi, aritimipi, turanpi. Senonché, malgl'\ado le disinvolte tra­duzioni del Sevoroskin, nessun testo sembra interpretabile con sicurezza, e pertanto l'appartenenza del cario al gruppo 'hittito-Iuvio' rimane ancora da dimostrare.

c) Il sostrato preindoeuropeo del lidio non presenta affinità compatte con l'etrusco; le pache concordanze investono anche altri ,ambienti anatolici. I confronti istituiti dal Vetter, Zu den lyd. Inschr., p. 59 ss., muovono da discutibili analisi combinatorie, di testi lidi ed etruschi. Ma il fatto è che questa operazione non si può ripetere per i vocaboli di valore meno incerto, anche quando dovrebbe trattarsi di parole provenienti dal sostrato prein­doeuropeo, e di nozioni che sono verosimilmente presenti nei documenti etru­schi. Cfr. antola- (anlola-) 'pietra sepolcr.ale', asina- 'parte della tomba', astrko­'patrono', bi- 'dare', bira- 'casa', borli- brva- 'anno', esa- nome di parentela, ena- 'madr,e', i(na)- 'fare', kana- nome di parentela, k),.lida- 'terra', kofu­'acqua', laqrisa- 'Iaculo', mÀola- 'parte', mru- 'stele', ora- 'mese', qalmÀu­'re', sulo- nome di parentela, vora- 'figlio'. Certo, la congiunzione enclitica -m, -um è inseparabile da etr. -(u)m; ma essa è presente ,anche in hittito cuneiforme, nello stato più antico -ma, e forse in licio-miliaco me, congiun­zione o avverbio. La compiutezza dell'omofonia ,etrusco-lidia non ha partico­lare significato, in quanto è conseguenza dell'acoento intensivo, almeno in etrusoo posteriore ai primi documenti. Ha, invece, significato il fatto che hitt. -ma presenta quel tenue valore avversativo ('e invece, ma'), che contraddi­stingue etr. ·{u)m rispetto 'a -c; non altrettanto però la particella lidia, che l'\aramente unisce frasi, e più frequentemente è conglutinata ad altre parti­celle, ma talora si trova ,anche 'ad inizio di discorso {Gusmani, p. 162). In conclusione, tenendo presente la possibilità di corrispondenze meridionali, e oonsiderata la posizione ambigua dell'hittito cuneiforme (cf. sub b), questa isoglossa, per quanto importante, non è indicativ,a ai fini della looalizzazione del sostl'\ato anatolico affine ,all'etrusco. Quanto all'etimologia, è da escludere un indoeul1opeismo: -ma non può oontinuare * sma, 'ant. ind. sma particella assev,erativa (Polwrny, p. 966), perché l'esito hittito del nesso sm- si trova in zamankur 'barba', ,ant. ind. smasru-; anche nella posizione enclitica non sarebbe da aspettare assimilazione, cf. la forma pronominale hittita -smas 'vobis, vos' 82. Il confronto con hitt. masi- 'quanto?', man 'quando', ant. id.

82 Il ricorso a 's- mobile' è una soluzione di ripiego non convincente, cfr. A. Hahn, «Lang.» 29 (1953), p. 243, che propone una ancor più infelice spiegazione glottogonica.

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ma idem (Pedersen, Lyk., p. 66) non soddisf.a per il senso. Non sarà da esclu­dere piuttosto un rapportoO CoOn l'elemento encliticoO hurrito -ma -ma- -m in cui Speiser, p. 177 ss. riconoOsce, in base a molteplici indizi, una congiun­zioOne dal possibile valoOre 'e, ma'. Eredità indoeuropea si ha inv,ece nell'altra congiunzione lidia -k (da mandare con luvio e hitt. ger. -ba?), la quale però noOn ha soltanto funzione copulativa come in etrusco, bensì si aggiunge anche a pronomi e 'avverbi, come, in latino, quis-que, ne-que, quo-que (,at:laloga­mente hitt. -ka, -ki). Invece la congiunzioOne etrusca -c non condivide questo secondo uso 83. Quindi, se in etrusco tale elemento è stato mutuato da un ambiente indoeuropeo, non è il casoO di pensare proprio ·a fonte lidia; senon­ché non escluderemmo un collegamento con forme caucasiche settentrionali (di ciò nel Cap. V). Una parola lidia che potrebbe trovare piena corrispon­denza ne11essico etrusco è, secondo noi, qira, 'bene immobile' secondo la tra­duzione aramaica ma, conformemente ad alcuni passi, piuttosto 'proprietà' (Gusmani, s.v.). PoOiché il segno q rende l'antica labiovelare, risulta sostan-2lialmente omofono l'etr. cver, considerata specialmente la v'ariante cvera di TLE 558 e di un'iscrizione di Bolsena recentemente scoperta 84. Intorno all'interpretazione della voce etrusca non c'è molto da scegliere, perché essa compare in dediche, e più volte si trova in rapporto con i verbi tur- men- mul­'dare, offrire, donare' 85. Gli esegeti hanno pensato al valore 'dono', noi pre­feriremmo 'pl1oprietà, bene privato'. Cosi si spiegherebbe perché la voce non è mai seguita o precedut,a dal nome del donatore, e si verrebbe ad eliminare l'apparente tautoOlogia di TLE 149 cn turce murila hercnas itufl1)as cver; 752 tite cale atial turce malstria cver. Peraltro il lidio qira va difficilmente separato dall'hitt. kuera- 'campo, fondo', cioè, presumibilmente, 'proprietà terriera'; un ulteriore rapporto con hitt. kue/irzi 'divide' è possibile, ma va tenuto presente che il verbo hittitoO, per quanto abbia un paradigma con apofonia radicale, non trov,a un etimo indoOeuropeo evidente (cfr. Friednich, p. 113). Quindi non avremmo a che fare con una isoglossa specificamente lidio-etrusca; 'e comunque il collegamento che abbiamo istituito rimane ipo­tetico. Ben diverso significato 'assume il fatto che mancano del tutto nell"area lid1a nomi divini Q personali con l'elemento T argu- (cfr. sub e 3) e che siano oltremodo rare le foOrmazioni paraetrusche in -nd-, -s(s)- 86.

83 Che il !idio na-c vada collegato con l'etr. nac sotto il comune significato 'cosl' è una ipotesi gratuita del Vetter, p. 60. Per il !idio cfr. Gusmani, s.v. Etr. nac vale 'dopoché, allorché', «Rend. Linc.» 20 (1965), p. 311, no. 9.

84 Edita da G. Colonna, « SE» 34 (1966), p. 165; sulla lettura cvera in TLE 558 vedi ibid., no. 1.

85 Assieme al verbo mul- la voce si trova nell'iscrizione di S. Marinella: cver mulveni I, 4.

86 Come rileva O. Carruba, «MIO» 8 (1963), p. 403.

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d) Il giudizio Ol1a dato per illidio va esteso all'hittito cuneiforme. Con­cordanze tra questa lingua e l'etrusco sono da escludere, quando il materiale hittito ha origine indoeuropea. Quando si tratta di elementi c\i sostrato, messi da parte quelli che trovano corrispondenza in lingue meridionali (caso con­templato sub e), taluni collegamenti si pl'esentano possibili, nessuno certo. Alcune osservazioni su presunte -affinità etrusco-hittiteabbioamo già formu­lato nell'Introduzione, a proposito di alcuni pronomi e dei genitivi in -l. Illocativo hittito in -ti di cui si avvale il Georgiev non esiste; il caso luvio e hitt. geroglifico in -at/di, licio -edi, riassume le funzioni di ablativo e di strumentale, mentre etr. -M esprime pura funzione locativa. Un collegamento tra la terminazione preteritale etrusca -c/xun e quella hittita di 1 a sing. prete­rito -(!?)!?un, soddisfa la vista, ma non regge all'analisi. Che la terminazione etrusca si addica alla prima persona, non va escluso: cfr. in particolare il ÌJapicun della defissione TLE 380; che la caratterizzi, risulta non poco im­probabile, se si considerano gli impieghi delle terminazioni affini -xunce, -xunÌJe, -une . La desinenza hittitaappartiene alla coniugazione in -!?i: certa­mente si tratta di una conglutinazione di un formante in velare {che in hittito compare anche nella coniugazione del presente, mentre nelle lingue meridio­nali caratterizza il preterito: hitt. ger. luvio -!?a, licio-miliaco -ka, -gal più -un, ove v.iene continuata la desinenza L-e. di 1 a persona dei tempi storici 87.

La genesi del formante in velare rimane oscura (Kronasser, p. 373 s.): am­messa una origine dal sostrato, la desinenza etrusca da prendere in conside­razione sarebbe anzitutto quella di tur-ce, e comunque sarebbero interessate alla questione anche le lingue meridionali e, se si vuole, pure il greco.

La sostanziale erroneità della tesi del Georgiev è fuor d'ogni dubbio. Tuttavia, alcuni tra i numerosissimi collegamenti istituiti dal Georgiev meri­t'ano di esser presi in considerazione, a titolo di semplice ipotesi e senza con­dividel'e le oonclusioni che egli ne trae. Può ben essere che etr. svalce avil equivalga a loat. complevit annos, cosicché sval- sarebbe da porre in rapporto con hitt. suwai- 'riempire'; si noti altresi che l'.aggettivo e avverbio suwaru( -) è impiegato in riferimento alla vita: suwaru mayanza 'pienamente cresciuto', TI-tar suwaru 'piena vit,a' (Friedrich, App. III, s.v.; Carruba, Wis., p. 15). Ma anzitutto il verbo hittito non ha un etimo indoeuropeoappena plausi­bile, e poi l'hitt. ger. suwa- 'riempire' testimonia che l'isoglossa investe anche le lingue del sud. Che etr. (sal) cluvenias Pyrgi v'ada con lat. cluens cliens è un'ipotesi suggestiva; il confronto ulteriore con l'hapax hitt. kulawanni- di interpr,etazione non certa ('Untervasall'?) rimane naturalmente problematico, ma comunque la formazione della parola tradisce origine meridionale (cfr. Kronasser, pp. 114 no., 222). Il senso di etr. zina-ce zina-ie, grosso modo 'costruire, approntare', non sarebbe del tutto incompatibile con quello di hitt.

87 In -u- si vede da taluni un formante perfettivo indoeuropeo: Benveniste, p. 16 55. ;

W. Dressler, « Spr.» lO (1964), p. 99.

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zii enna- 'portare oa termine, annientoare, cessare'. Ma non si sfugge a questo dilemma: o la parola hittita va connessa con gr. cpi}L\lW, come lascerebbe pen­sare la oorrispoodenza zena{nt)- ',autunno': cpi}L\l61twpo\l 88, e allora il signifi­cato del verbo etrusco diventa inoompatibile; ovvero abbiamo a che fare ancora una volta con una isoglossa di sostrato.

I rapporti 'etrusco~anatolici non interessano mai il solo hittito cunei­forme. Il nome siwat.(t}- 'giorno' potrebbe andare con etr. tiur tivr 'mese, luna', in quanto ',assieme di giorni': congruenza sfuggita al Georgiev, peral­tro ipotetica, in quanto non è dimostrabile che la voce etrusca contenga un plurale o collettivo, cfr. le personificazioni in TLE 719, 748. Ma 'acoanto al nome hittito bisogna considerare anche il luvio dTiwat- e il palaico dTiiaz dio del s'Ole. In questo caso l'origine indoeuropea è probabile 89, ma rimangono incerte e la corrispondenza in sé e la fonte da cui avrebbe attinto l'etrusco, non necessariamente ,anatolica. Rientra in questo contesto anche la connes­sione, già istituita dal Hr'Ozny, art. cit., p. 180, tra i nomi divini etr. culfu, culfans e hitt. dGulSd. Veramente, nel n'Ome hittito e nel verbo, p1'obabil­mente corr-adic"ile, gul{a)s- 'incidere' {scrittura), 'segnare', molti studiosi les­sero un sumerogramma GUL, il che vanificava la prospettiva di un !>apporto. Ma recentement,e s'Ono state .addotte prove convincenti che GulSd è una scrit­tur·a fonetica 90. Va notato che n'On è soltanto il dato formale ·a corrispon­dere. Le GulSd sono divinità ctonie, che conferiscono la vita, ma fissano anche il giorno della morte; oorrispondono cioè alle Moire, alle Parche, alle Norne, come s'inferisce dal loro n'Ome: color.o che 'segnano' il destino, i giorni della vitoa (cfr. WbMythol., p. 168). Anche Culfu è una Parca: in un bassorilievo su un s'arcofago del Museo di Palermo, il nome designa una fi­gura femminile, munita di fiaccola e di forbici, che esce dalla porta degli inferi 91. Anche l'oampliamento in -an- che si osserva in etr. culfans trova ri­scontri ,anatolici: palaico dGulzannikd, cappadocio KulSan, KulSatas, nomi personali. Come si vede, l'orizzonte della documentazione travalica l'ambito hittito; per di più, l'attributo {u)sammiS di una delle GulSeS par da interpre­tarsi come participio luvio (Carruba, O.C., p. 29). Di un indoeuropeismo non è nemmeno il caso di parlare: tale non è certo il gr.~anat. "oÀo<1<16ç 'grande

88 CosÌ W. Petersen, Mél. Pedersen, Kobenhavn 1937, p. 471; da escludere le diverse etimologie di E. Benveniste, «BSL» 50 (1954), p. 34 (cfr. R. Lazzeroni, « St. e Saggi Ung. » 2 [1962], p. 14) e del Kronasser, pp. 160,574.

89 Cfr. lat. dies, ecc. Legittima qualche dubbio il valore religioso che il nome assume in ambienti non a contatto, come il luvio e il palaico. Quanto alla formazione, si deve p~nsare, malgrado Kronasser, p. 255, ad analogia di luk(k)at(t)- 'luce', che a desinenza zero assume parimenti valore locativo: è il suffisso di goto liuhath 'luce', cfr. lat. Lucetius, gallo Leucetius.

90 Carruba Wis., pp. 28-9, 34-7; cfr. anche A. Kammenhuber, «RHA» f. 64 (1959), p. 79; H. Otten, «ZAss.» 20 (1961), p. 156; Friedrich III, S.V.

91 F. De Ruyt, Charun, Roma 1934, p. 213 fig. 58; Devoto SM., II, p. 173.

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st:atua', che, ,a nestre avvise, riflette un -I, gulSa- e gulasa- 'cesa intagliata', cfr. il parallele semantico ' efferto dal lat. signum. A ripreva del principio enunciato in quest:o par,agrafo, not,eremo infine che il nome hittito cuneifor­me e lidio per 'dio', rispettivamente siuna/i- e civ-, ciuna-, non trova riflessi in etrusco, si invece il nome meridionale maHana- (vedi oltre, sub e 5).

e) È possibile raccogliere un certe numero di cencordan~e, talune delle quali indiscutibili, tm etrusco e materiale preindoeuropeo d'area anatolica me­ridionale (secendo il senso definite sub b). Le isoglosse merfologiche e, quin­di, lessicali che pres,ent:er,emo vengono elencate secondo il grado di probabi­lità che ,attribuiamo alla singola comparazione. Premettiamo qualche consi­derazione su alcune possibili concerdanze di cat'tatteri fenetici. L'indistinzione tra tenui ,e medie non entra specificamente in queste contesto: la 'nerma delle Sturtevant' interessa tant:o l'hittite cuneiforme quanto il luvie; lo stato dell'hittito ge1'Oglifico è ancom preblematico; il licio conserva la distinzione, ma in alcuni casi si trov,a t'enue per media in posizione iniziale 92. Le scrit­t:ure licie come trmmili, cfr. TEp~O"a.L TpE~LÀ.ELc;, padrffzma padrFtma ,accanto a padrama {Zgusta, nt. 1188), sedeplmmi LEOE1tÀ.E~LC; Ob. 1387), turlla ac­canbo a turla (ib. 1582), potrebbero ricordare certe oscillazioni nella docu­menbaziene di nomi ,etruschi, come ad es. rama: ·Pa.crEWa.; Porsina, Porsena, Porsenna; ursmna-: Orsminnia (Runes-Cortsen, p. 100). Accanto al feno­meno lido sarà da ricordare la diffusione dei tipi arna- e arinna- 'fente' dal berritorio hattico fino al Tauro 93. Merit,a censiderazioneanche la mancanza di o (o di segni contenenti o), nen tanto nella scrittura cuneiferme, che in dò segue la tradiziene mesepotamica, si forse nei geroglifici, che sono una creazione locale, e soprattutto nella scrittura licia, che deriv,a da un alfabeto gr,eco!». La censtataziene che i.-e. o (anche ò?) passa in a, non basta certe a giustificar,e tale assenza, in lingue che tanto debbono al sestrato.

1) Luvio -aHi-, morf,ema che riassume le funzioni di genitivo (singolare) e di aggettivo, più precis·amente di genitJvo, in quante nessun'altr-a desinenza casuale esprime funzieni genitivali 9\ ma di aggettivo, in quanto viene ride-

92 Cfr. rispettivamente Laroche, p. 258; Pedersen Lyk., p. 4l. 93 Cfr. E. Laroche, «RHA» f. 69 (1961), pp. 58, 64. Tanto il fenomeno lido

che quello etrusco sono ancora da studiare. L'aspetto comune più significativo sembra essere l'allungamento (o la spartizione tra due sillabe?) di nasale o liquida postconso­nantica. La presenza di nasali e liquide sonanti nelle due lingue (Herbig, pp. 11, 31 s.) non è altrettanto significativa, perché, almeno in etrusco, questo stadio non si è ancora realizzato nella fase documentaria più antica, cfr. «RicLing» 4 (1958), p. 88.

94 Houwink, p. 109; H. Mittelberger, « Spr.» lO (1964), p. 58. Per lo stato bitt. geroglifico cfr. Meriggi Man., I, p. 17.

95 Tanto -assi- quanto l'altro suffisso -alli- (cfr. sub 2) sembrano esprimere rapporto di relazione nel senso più lato. Una distinzione tenta Laroche Comp. II, pp. 187, 190 e, tenendo conto anche dell'etrusco, « RbL» 38 (1960), p. 22; contra, R. Ambrosini, « St. e saggi ling. » 2 1962, p. 100.

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clinato: nominato -aHis, ecc.; hitt. ger. -asa- {anche -asi-?) con valore analogo, ma talvolta (Meriggi, Man., I, p. 83 s.) non rideclinato come un puro geni­tivo; licio -ah(e) -eh(e), suffisso di genitivo riservato ai nomi propri, -ehi (miliaco -esi) -ahi-, suffisso ·aggettivale di relazione; cfr. hitt. cun. -assi-, in questa medesima funzione, certamente luvismo 96, -aHa-, produttivo soltanto nel lessico religioso 'TI, e quindi parimenti di origine foranea. Etrusco -s/fa, desinenza di genitivo oon valor.e spiccatamente .aggettivale (vedi oltr,e). Il variare della vocale finale del suffisso nelle lingue anatoliche solleva un pro­blema complesso, ma che non assume importanza fondamentale in questa sede. Che luvio -assi- derivi almeno in parte da -aHa-, conformemente ·alla tendenza a sostituire -a- con -io, tipica delluvio e in genere anatolica meridionale, non pare si poss·a mettere in dubbio. I numerosissimi toponimi in "(a)Ha- (rac­colti dal Laroche, cito alla no. 104) riflettono ovviamente uno stadio arcaico della lingua: per deriv,arli da temi in -i, il Laroche è costretto ad analizzarli come forme di nominato plur. neutl'i; ma la frequente trascrizione greca -ereroe; tanto di nomi anatolici (per es. 'AÀrJ.ereroe;: Allassa), come egeo-pregreci (es. IIrJ.pvrJ.er{er)6e;, Parnassa) fa pens·are a nominato singolari; a prescindere poi dal 'cappadocio' Ninasa, hitt. Ninassa, che è difficile attribuire a fonte luvio­indoeuropea. Per di più, nei nomi in -assi- l'antica uscita -a viene conservata non sohanto in parte del paradigma, per es. nel nominat.-accusat. neutro -assan, come avviene ,anche per quasi tutti i temi in -i, ma pure quando il genitivo-aggettivo è in stretta unità sintagmatica col sostantivo reggente 98.

Ciononostante, considerando che il passaggio -a > -i coinvolge sohanto una maggior,anza dei temi con ·antico -a, non escluderemo, in teoria, che entro la flessione di -aHi- siano confluiti due suffissi diversi; nel qual caso sarebbe da tener presenùe, ai fini della comparazione, l'·altro suffisso genitiv,ale etrusco -sI fio Comunque, la questione fondamentale è un'altra: se la formazione si possa rkondurre a un morfema indoeuropeo (si è pensato al gemt. in -osio, al suffisso latino -arius, a un ampliamento del genitivo in -aS hittito), o se invece v,ada attribuita a un sostr,ato anatolico, che non sarebbe da identifi­car·e né col protohattico, né con l'hurrito 99.

È stato già osservato che la compresenza delle funzioni di genitivo e di aggettivo non si concilia con la tipologia indoeuropea, e risponde invece a

96 Laroche Campo II, p. 162; Kronasser, p. 162. 'TI Laroche Reeh. , p. 70. 98 Ci sembra che non sia stato rilevato (cfr. Laroche Diet., p. 137) che i temi con

-i < -a hanno l'accusato plur. in -anza, per es. iHari-, hitt. keHera- 'mano': iHaranza, ma l'antico tema in -i hawi- 'montone' ha invece UDU-inza. La seriorità dell'uscita tematica -i emerge anche nelle derivazioni : per es. adduwali- 'malvagio', ma adduwalagi- 'malva­gità', tiyammi 'terra', ma derivato tiyammanti-.

99 Contro l'attribuzione all'hurrito A. Goetze, Festsehr. Friedrieh, Heidelberg, 1959, p. 202 no. 6.

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un costume etrusco 100. Ma altrettanto significativo ci sembr.a il fatto che non uno dei numerosissimi toponimi anatolici in -ss a ed egeo-pregreci in -rr( rr)o / rJ..­ammetta un etimo indoeuropeo del tutto evidente. Certo, hitt. Petassa può connettersi con hitt. peda- 'luogo', indoeuropeismo, ma probabilmente si tratta di una pura omofonia: le corrispondenze indoeuropee, gr. nÉoov ecc., testimoniano concordemente vocalismo radicale breve (Pokorny, p. 791), men­tre la realizzazione greca suona IIi}orJ..rrov -rJ.. per la città caria (e l'indoeuro­peità del cario non è ancor,a dimostrata!), IIi}orJ..rroc; per il toponimo della Tl'oade e della Messenia. Qual valore probante può avere la nota connessione di hitt. Parnassa e di pregr. IIrJ..pvrJ..rr(rr)éc; con hitt.-Iuvio parn- 'casa'? Pre­messo che questo appellativo non ha un etimo indoeuropeo sicuro (si può confrontare il messap. ~rJ..vp~ov . O~X(,rJ.. ma anche, e meglio, l'hurr. purli 'casa') sarebbe ben singolare che l'oronimo pregreco contenesse un nome per 'casa': anzi, due oronimi, dr. ,attico II~pvT]C;, -T]l}oc;! Quanto al suffisso latino -arius, la derivazione da un mortema genitivale non troverebbe il più lontano paral­lelo nella fenomenologia indoeuropea. Se v'ha un rapporto col morfema ana­tolico, questo v,a impostato su un altro piano 101. Rilev,iamo ·a questo pro­posito che l'etrusco conosce una terminazione -asie: cexasie, lunafie, muri­nasie, paxusnasie, savlasie-; e cos1 pure illemnio: CfJokiasiale, dr. CfJoke nello stesso testo; vanalasial, certo da connetter,e con lidio vana- 'sepolcro', luvio wanni- 'pietr·a s'epolcr.ale', hitt. ger. wanai- 'stele' 102. Ma non ci sembra que­sto l'aspetto tondamentale del problema, perché ,altro è istituire un rapporto tra morfemi casuali, altro è cercare corrispondenze in un campo, come quello dei suffissi di derivazione, dov,e si opel'a con significati non nettamente pre­cisabili, e con materiale che può costituire oggetto di scambio 103.

La congruenza etrusco-anatolica non sembra perfetta nell'aspetto for­male, in quanto il morf,ema ,anatolico inizia con una vocale -a- (-e- licio è secondario), mentre in etrusco La vocale che precede la sibilante varia, a seconda dell'uscita del tema: ad es. papasa, aulesa, pumpusa, arnl}alisa. Non v'ha dubbio che le condizioni etrusche riflettano uno stadio più arcaico. La prefissazione di -a- è innovazione anatolica. Infatti, una minoranza di topo­e antroponimi presenta vocali i, u, e avanti la sibilante 104. Cos1 pure la topo­nomastica pr,egreca ammette la terminazione -rJ..rr{ rr)oc;, ma anche, e più fre-

100 A.J. Pfiffig presso Kronasser, p. 234. 101 Come riconoscono Kronasser, p. 233 e, più decisamente, Ambrosini, art. cito 102 Sono da tener presenti altresÌ etr.-Iat. amasius, leponzio amasiiu, e una serie

di nomi analogamente formati: v. P. Kretschmer, « Gl. » 30 (1943 p. 126 ss., che peral­tro ignora gli esempi etruschi citati nel testo.

103 Si tenga presente, inoltre, che uno o più suffissi in sibilante sono diffusi in gran parte dell'area mediterranea: J. Hubschmid, «Vox Rom.» 19 (1960), p. 259 ss.

104 Per i toponimi si dispone della raccolta di E. Laroche, in Gedenkschr. Kretschmer, II, Wiesbaden-Wien 1957, p. 3 ss.

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quentemente, -T)cr{ cr)oç, -Lcr{ cr)oç. Vedremo oltre che la stessa prefissazione di -a- si osserv,a avanti al suffisso -nd / t- e avanti alla desinenza luvia di abla­tivo-strumentale. Rimane ora da precisare la funzione del morferna etrusco -s/sa. Indubbiamente si tratt-a di un genitivo sui generis.

Fin dal secolo scorso è statoO not,ato che questa desinenza si trov'a sol.· tanto in nomi propri. Ora H. Rix, p. 54 ss., ha sottoposto la questione a un esame approfoOndito, concludendo che -si sa non indica propriamente un genitivo possessivo, come l'altra desinenza -SI s, bensì è «una derivazione noOminale» che esprime « l',appartenenza 'a una persona» (p. 61); e confron­t'a in tal senso l'aggettivo falisco volteo(s) ,e il genitivoO volti, ambedue in fun­zione patronimica. In realtà, come riconosce lo stesso Rix, la differenza di funzione rispetto ·al genitivo in -SI s è ,assai lieve, e nell'area sudetrusca, che in genere è la più conservativa, è ·addirittura nulla, ché ambedue le desinenze si trovano in dipendenza da nomi di par,ente1a: per esempio velusa clan CrE 5405, velus clan 5526, Tarquinii. Se si trattasse di un puro suffissoO agget­tivale, si aspetterebbero delle forme in -ai o -ei al femminile, quali non si trov,ano mai 105. E poiché anche nel1a formazione in -al sono compr,esenti le funzioni genitivale e aggettiv·ale, non v'ha alcuna ragione di assumere un comportamento diverso della formazione in -s / sa: si è visto che le due fun­zioni non sono nettamente distinguibili nemmeno in ambito anatolico, e ve­dremo poi che 100 stesso fenomeno si ritrova in lingue del Caucaso. La limi­tazione alla sfel1a onomastica dimostra soltanto che si tratta di una forma­zione 'antica, sopl1avvissuta in una funzione specializzata 106. Del resto, lo stesso r.apporto di appartenenza a persoOne emerge anche in antroponimi e toponimi anatolici e pregreci: cfr. ,ad esempio l'antroponimo TarbuntiHa-, che esprime evidentemente l'appartenenza al dio Tarbund/ t- (sub 3); o il toponimo in -s{s)a che presenta la diffusione più vasta, Laris{s)a (Tessaglia, Creta, Lidia, ecc.), verosimilmente da spiegare 'borgo di Lar,l(l1.

A conferma del collegamento qui istituito, e come prova, da ritener de­finitiva, del car.attere non indoeuropeo dell'isoglossa, f.aremo valere un ul-

105 Fiesel Geschl., p. 117 s. Affatto speciosa l'obiezione del Rix, loc. cit.: l'etrusco impiega la mozione soltanto nel gentilizio e nel cognomen. Forse il gentilizio non esprime o non esprimeva all'origine un rapporto di appartenenza, e morfologicamente non fa parte delle « derivazioni nominali »?

106 Cosi sostanzialmente M. Pallottino, «SE» 7 (1933), p. 229 no. 3. È però da escludere che la desinenza risulti dalla conglutinazione del più comune morfema di geni­tivo e di un elemento -a di dubbio valore morfologico (Trombetti L.E., p. 17; Pallottino, p. 43); se non altro perché il primo morfema contiene una sibilante diversa: vedi oltre.

107 P. Kretschmer, «Gl. » 28 (1940), p. 271; diversamente Fick Ortm., 95. Invero tale spiegazione non è conforme al paradigma etrusco storico, dove il prenome lar ha un genit. laris, e l'altro prenome laris un genit. larisal. Però è documentato più volte un genit. arcaico larisa, la cui analisi è problematica (* laris-sa? Altrimenti Pallottino, p.42).

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timo argomento. Abbiamo già rilevato nell'Introduzione che la desinenza etrusca in questione è scritta -sa in area nordetrusca e -sa nel sud, mentre l'altra e più comune desinenza di genitivo è r,es-a, rispettivamente, con -s e -s. Abbiamo dimostrato in altra sede 108 che sigma e san simboleggiano, in ma­niera diversa a seconda delle due .aree, fonemi non identici, la cui distinzione si neutl1aHzza soltanto in posizioni particolari. La distinzione era demandata al diverso grado di tensione articolatoria, in quanto una delle due sibil.anti è resa in latino con ss (vedi oltre). Trascrivendo approssimativamente s, ss i due fonemi, si ha la seguente tabella di valori:

Nordetrusco s = ss, S = s Sudetrusco s = s, S = ss.

Pertanto, la desinen~a in questione contiene la sibilante forte (o, come si vuole, intensa o lunga). Infatti, in testi tardi, che risentono dell'influenza del modello grafico latino, essa è scritta con doppia s: presntessa eIE 100, Volaterra, vesialissa 214, Saena, causlinissa 972, Clusium; così pure in testi in gvafia latina: Pabassa eIE 832, Clusium, Hannossa 1295, ibidem. Ora il rapporto tra la formazione etrusca e quella luvia si presenta più pieno: per­ché questa seconda è scritta solitamente con doppio S 109, e ciò in contr-asto con i numerosi casi in cui la grafia cuneiforme impiega indifferentemente s-egno semplice e geminato per le consonanti continue. Ed è un rapporto che non può situarsi entro la fenomenologia indoeuropea. L'indoeuropeo non conosce sibilanti lunghe, dr. la 2a persona indico preso del verbo 'essere'; eppoi l'etrusco ha un fonema di tal genere anche in posizione -iniziale, cfr. s/suÌJi, Cap. II. La desinenza genitivale ossa dellak costituisce l'ultimo anello di questa catena di testimonianze, e vi ritorneremo in contesto più appro­priato (Cap. V).

2) Luvio -al{l)i-, al neutro -al IlO, suffisso di derivazione nominale espri­mente appartenenza o rapporto; hitt. ger. -al{l)i- idem, per esempio in tapariali- 'ministro': taparia- 'governo'; inoltre hitt. cun. -al{l)i- in parole for­nite di «Glossenkeil », quindi esotiche. In queste lingue esiste -anche, ma non è molto produttiv,a, una variante -al(l)a-, in genere in parole senza etimo (cfr. -aHa-: -aHi- sub 1). Etrusco -al, suffisso di genitivo~aggettivo. La forma­zione anatolica pl10viene cert'amente da una lingua di sostrato. Si è pensato al protohattico, ma la terminazione -iya/ el non collima per la forma e, a quanto sembra, nemmeno per la f.unzione: decisivo è il fatto che la forma­zione è vitale soprattutto nel sud, dove l'influenza del protohattico non è

108 Cfr. Le sibilanti dell'etrusco, in Studi ling. in onore di V. Pisani, Milano 1969. 109 Generalmente vengono registrate solo le scritture -aHa- -aHi-: così ad esempio

Laroche Dict., p. 136, che invece segnala la scrittura con segno semplice per il suffisso dei verbi intensivi, p. 144. Lo stesso studioso, nello scritto cito alla no. 36, separa toponimi in -Ha da quelli con sibilante scempia (cfr. però il nr. 22 del suo elenco).

IlO N. van Brock, « RHA » 71 (1962), p. 140.

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giunta se non, eccezionalmente, per mediazione hittita. Il Kronasser, che per ultimo ha dibattuto la questione, accenna a un pos&ibile rapporto con la desi­nenza etrusca, ma subordina tale prospettiva ,al riconoscimento dell'origine etrusca delle formazioni latine in -{a)lis: «Wahrscheinlich oder sicher wiirde dies aber erst durch den Nachweis etruskischer Worter unter den. -lis-Bil­dungen des Lateinischen» (p. 217). Questa dimostrazione non ci sembra necessaria, comunque non è difficile fornirla. Bacchanalia, nome di antichis­sima festa, non si riconduce alla forma latina o greca del nome primario, bensì a etr. paxana, paxana-ti. Si è ·attribuita la formazione al modello di Volcanalia: ma anche questo nome è etrusco {di ciò nel Cap. IV). Alla stessa origine si riconducono direttamente perlomeno Laralia, Larentalia, Palatual flamen, manalis lapis, lupal = lupanar. E non è escluso che altre deriva­zioni, anche di parole ereditate, ricalchino modelli etruschi: così, è proba­bile che gli annales pontificum rieoheggino una consuetudine etrusoa, allo stesso modo che i clavi annales riproducono, secondo noi, l'etr. avilxval pulumxva 111. Una interessante congruenza particolare etrusco-anatolica sta nel­l'aggiunta del suffisso a nomi di parentela: hitt. ger. tatali- 'paterno', huhatali­'ancestrale', hitt. cun. attalla- 'paterno', ecc.; etr. papalS, tetalS. Le voci etru­sche sono certamente nomi di parentela 112. La prima significa 'nipote (figlio del figlio)', dr. TLE 169, quindi deriva da papa 'nonno', TLE 96, nel senso 'colui che discende dal tal nonno'. La seconda regge un nome di persona fem­minile (TLE 585: velaral tetals, dopo la citazione del padr.e e della madre), quindi parrebbe indicare ,il rapporto di discendenza dalla nonna, ovvero sia il nome della nutrice {gr. 'ti:ti}Tj, piceno deda, Pesaro). Ammenoché non si am­metta il significato 'zio' (cfr. patruus), pare dunque da escludere una piena corrisponden~a con hitt. ger. tatali-. È significativo comunque che nomi di persona T ata, T atali si trovino già nelle fonti cappadociche. Per concludere, noteremo che illidio non conosce un suffisso -ali-: si ha invece -li- per indi­oar·e l'appartenenza, per esempio maneli- 'di Manes'. Rimane .aperto il pro­blema s·e vi sia un lontano rapporto con la formazione qui studiata e/o con la desinenza di obliquo lidia.

3) Nome divino luvio e hitt. geroglifico targund/t(a)-, divinità celeste che ,assume La preminenza nel Nuovo Regno hittito, col carattere di dio della tempesta. Etr. Tarchon T!ipxw'V, eroe, fratello di Tyrsenos, che ha un posto di primo piano nella preistoria mitica dell'Etruria; lo stesso tema sopravvive nei gentilizi tarxnte-, CII App. III, 52, Volaterra, tarxntia-, CIE 4831, Clu­sium, Tarcontius. Elemento onomastico, presumibilmente di origine teofo­rica, T argu-, T arku-, presente in numerosissimi nomi di persona anatolici, specialmente nell'area sudoccidentale, nel II e nel I millennio, a cominciare

111 Cfr. il nostro già citato lavoro sui testi di Pyrgi, p. 317, no. 31. 112 H. Rix, in Sybaris, Heidelberg 1958, p. 91 55.

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dalle tavolette cappadocie. Etrusco tarxu-, tarxi-, prenome e gentilizio, lat. Tarquius 113. Segnaliamo altriampHamenti del tema *tarku- 114 comuni ai due ambienti: *tarku-n-, cappad. TarfJunu-, hitt. TarfJunna, cilicio T(X.pxuw~<;: etr. tarxna, tarcna, Tarquinius Tarquinii; *tarku-mn-, pisidio Tarkhomna/e? (Zgusta, nr. 1512-3), cretes'e tarkomn[, Praisos: etr. tarxumenaia TLE 480. Altre forme onomastiche contengono elementi morfologici o lessicali più o meno probabilmente comuni ai due ambienti: luvio TarfJuntiHa- nome per­sonale, TarfJuntaHa- toponimo (cfr. sub 1); TarfJundaziti, TarfJuziti- (cfr. sub 9), Tarkummuwa- (sub 6). La documentazione anatolica indica inequi­vocabilmente la Luwiya come l',area di maggior diffusione e verosimilmente di origine di questo elemento onomastico. Ciò aveva affermato già il Forrerl15

,

prima anCOl1a che v,enissero pubblicati i testi luvi in KUB XXXV, dove com­pare più volte il nome divino in questione. Ancora in età greco-romana i nomi teo~ori che contengono questo elemento si affollano soprattutto in Ci­licia, Isauria, Licia, Pisidia, mentre mancano o sono rarissimi in Lidia, Misia, Paflagon1a, Bit,inia, Ponto, Galazia, Frigia: come risulta palese dalla silloge di L. Zgusta 116. Si aggiunga che l'unica lingua del I millennio in cui viene continuato il nome divino è il lido: trqqas, dato trqqiiti 117. Richiama espli­citamente un .costume licio il verbo omerico 't'(X.pxvw II 456, 674 'rendere gli onori funebri'; il senso primario sarà 'attribuire onori divini, far l'apoteo­si' 118. L'origine del nome risale certamente al di là del II millennio, cioè a un ambiente preindoeuropeo. È stato osservato dal Heubeck, p. 32, che la connessione spesso ripetuta con hitt. cun. tarfJ- 'vincere, ess,ere potente', ant. ind. tarati 'supera', non giustifica la presenza di -u-. Si tratta evidentemente di un nome in -u, che è stato ampliato col noto suffisso, anatolico ed etrusco, -nt-; il senso del nome primario ci è ignoto, il suffisso adempie forse a fun­zione indiva.dualizzante o sostantivante 119. Ora, se tale ampliamento fosse da attribuire alla ~ase luvio-indoeuropea,allol1a dovremmoaspett:arci una forma

113 Per la documentazione anatolica cfr. Laroche Rech., p. 89, Noms, p. 289. Sulla figura divina non v'ha ancora uno studio monografico; cfr. WbMythol., p. 210. Per la documentazione etrusca, cfr. Schulze, p. 95 s., Buonamici, p. 270; sull'eroe Tarchon M. Pallottino, « Rend. Linc. » 6 (1930), p. 68 ss.

114 Hittito e luvio -b- dalla corrispondente occlusiva, come si trova spesso, cfr. Kro­nasser, p. 96 s. L'aspirata etrusca consegue alla posizione dopo liquida, cfr. «Rend. Linc. » 20 (1965), p. 311, no. 11.

1lS In « ZDMG» 76 (1922), p. 218 s. 116 Cfr. l'isoglossa nr. 183 e la Landkarte der Interglossen in fondo al volume, nonché

Zgusta Sippen, p. 106 ss, inoltre Houwink, p. 125 ss . 117 Cfr. P. Meriggi, « Gl.» 35 (1956), p. 291; E. Laroche, «RHA» f. 63 (1958),

p.97. 118 P. Kretschmer, « Gl. » 28 (1940), p. 104, con paralleli hittiti e greci; G. Pugliese

Carratelli, «AGI» 39 (1954), p. 78 ss. 119 Cosi Laroche Dict., p. 140 e « RHA » f. 69 (1961), p. 74.

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*Tar&uwand/t(a)-, perché, in luvio e in hittito, questo suffisso, in qualun­que funzione, viene sempre preceduto dalla vocale -a-o Cfr. ad esempio luvio as&anuwant-, &aMalwant-, hitt. aHuwant-. È significativo che dei 79 topo­nimi anatolici in -nda raccolti dal Laroche nello scritto or citato, soltanto uno, e di etimo certamente non L-e., presenta la forma -unda: Palunda. Né si può immaginare che Tarhund/t- continui una forma contraUa, perché l'esito -uwa- > -u- è soltanto sporadico. Questa; diciamo così, prefissazione di -a- è una innovazione delle lingue anatoliche, a cui non compartecipano il sostrato pregreco e l'etrusco. Si confrontino le seguenti sede onomastiche: anatol. AcXpcx.vocx., pregr. '~AcXpuvt}oc; Acx.pUVt}LOC;, etr. larnt}, Larenta, Larunda; anatol. Uluwanta o eventualmente Waliwanda (Laroche, art. cit., nrr. 14-5), pregr. "Oluvt}oC;, etr. velnt}e, velnt}i, Voluntilius 120;anatol. lalanta (ib. 34), rodio 'Icx.lucr6c; da * 'Icx.luvt}L6c;; Kuranda Ob. 38), pregr. K6pwt}oc;. Questo vuoI dire che Tar&und/t- è, nelluvio, una for.ma ,allo stato fossile.

4) Hitt. dammara- 'funzionario (uomo o donna) di un tempio', di ori­gine luvia, come mostra l"accusat. plur. dammaranza, KUB V 6 II 46; cilicio Tamiras, sacerdote-aruspice emigrato in Cipro, Tac., Hist., II, 3, cfr. Tcx.[.I.L­pcXOcx.L· LEPEi:C; 'tWEC; Év Ku7tp~ Hesych. Etr. tamera, tameru, magistrato rinno­vabile, documentato tre volte a Tarquinia e ora nel testo A di Pyrgi. Che si tratti di una carica di carattere religioso, viene comprovato palesemente dal tameresca pyrgense, che è un caso obliquo, e quindi deve riferirsi non ,al dit­tatore Thefade Velianas 121, bensì a persona oa persone che sono in rap­porto con l'istituzione sacr,a che il dittatore dona o dà in custodia (turuce) 122.

Il collegamento etrusco-anatolico è nostro, il rapporto tr,a dammara- e T a­miras fu scoperto dal Neumann, p. 36. La congruenza fonetica è perfetta: -i- della più tarda forma cilicia continua antico -e-, che è diventato, come al solito, a in luvio. Quindi è da ricostruire un protoluvio '~d/tamera.

5) Luvio maHana-, hitt. ger. mas(a)na-, licio mahana- 'dio'; inoltre McXC1\I'T] C; , nome di eroe preistorico lidio, che però non è parola enoorica, ma residuo di una penetrazione etnica o culturale luvia, di cui si hanno altre tracce 123. Etr. masan, Pyrgi, poi masn, Liber, nome di mese, di origine teo­forica, come Velcitanus {cfr. velxa, Volcanus), fors'anche (H)ermius ('Ep[.l.fic;?), Traneus {turan?). Cfr. analoghe denominazioni greche, in particolare ~i:oc;, che ha vasta diffusione ed è già documentato in miceneo (KN Fp 5, 1). Che

120 Kretschmer, art. cit., p. 270. 121 Cosi Pfiffig Uni, p. 30; K. Olzscha, « Gl. » 44 (1966), p. 77. A prescindere dal

dato grammaticale, un 'tiranno' non è un magistrato rinnovabile e facente parte di un collegio! Cfr. TLE 170, 172, 195 e l'iscrizione ora edita da M. Cristofani, «SE» 35 (1967), p. 609.

122 Cfr. «Rend. Linc.» 20 (1965), p. 311. no. 9. 123 R. Gusmani, «Par. d. Pass.» f. 74 (1960), p. 232 55.; vedi anche F. Cassola,

La Ionia nel mondo mie., Napoli 1957, p. 325.

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etr. mas(a)n sia nome di mese, risulta con piena evidenza dai contesti 124.

Questo collegamento è già accennato dal Sevoroskin, p. 230; considerando l'ampiezza della materia fonica comune, non lo includiamo tra i più incerti, anche se non v'ha diretta corrispondenza di significati. In v,erità, sospettiamo da tempo che Manes 'spiriti dei morti divinizzati' fosse originariamente una parola diversa da manus 'buono' (la morfologia non coincide: immanis ha -i composizionale), ·e precisamente la continuazione di un etr. masni-, cfr. il gentilizio masni, CIE 1621, Clusium. Varie considerazioni legittimano una tale ipotesi. Il culto romano degli antenati contiene certamente un filone etrusco 125; la dea Mania è la madre dei Lari, Varr., L. L. , IX, 61; manalis lapis 'ostium Orci, per quod animae inferorum ad superos manarent, qui dicuntur manes', Fest., p. 115, 6 Lds., non può essere un derivato latino dal tema in -i di Manes. Considerando che anche il suffisso di manalis ha ori­gine etrusca (cfr. sub 2), la parola risponde perfettamente alluvio massanalli­'divino'. Anche questo nome etrusco-anatolico non ha etimologia indoeuro­pea 126; il collegamento più vicino sembra offerto dal cassito mas!?u 'dio', Balkan, p. 165.

6) Ritt. ger. muwata- 'virilità' (Laroche), 'potenza, forza' (Meriggi), de­rivato luvio e .bitt. geroglifico muwatal(l)i- muttalli-, grosso modo 'forte, vi­rile' (tra l'altro epiteto di hitt. ger. Tarhuis, cfr. sub 3), in hitt. cuneiforme nome personale; da un primario muwa- di valor,e non ben definibile, ma si­curamente in r,apporto col sesso o con l'atto della generazione: ultimamente il Laroche 127 ha ,assunto un significato base 'sperma'. Si ricordi anche l'hitt. ger. namuwai 'figlio', probabilmente da *nawa-muwai (Meriggi), cfr. vEoyv6C;, goto niu-klahs. Etrusco-lat. muto, mutto, mutonium, mutunium, muthunium 'fallo', Mutunus (Tutunus, Titinus) divinità fallica. A favore dell'origine etru­sca di questa serie stanno vari argomenti d'ordine storico-culturale, indicati dall'Altheim, Gotter, pp. 55 sS., 67, ma anche le incertezze grafico-fonetiche. Già l'Altheim ·aveva richiamato a confronto i personali micrasiatici Mou'ta.c;, Mw'ta.c;, Mo'tuÀ.oc;, 'Aopa.-(..Lu't1]C; e simili (Zgusta, nrr. 989, 997; Sippen, p. 157 ss.). Non si tratta che di tarde continuazioni della serie lessicale sopra men­zionata.

124 Contro l'interpretazione prevalente si batte K. Olzscha, art. cit., p. 99, ma senza addurre argomenti. È estremamente inverosimile che un testo ampio come il Liber impieghi una sola volta una parola dal valore di 'offerta votiva'!

125 Cfr. M. Pallottino, « SE» 26 (1958), p. 49 ss., che ha già affermato l'etruscità di Manes: crediamo difficile però un collegamento con manim 'monumento sepolcrale', voce che si distingue per una finale tematica che non ha sicure analogie, e perciò indiziabile come prestito « moni/umentum?). Anche le figure consimili dei Lares e delle Larvae sono sicuramente d'origine etrusca.

126 Da escludere l'etimo accennato dal Meriggi, p. 166. 127 Noms, p. 324; ivi la bibliografia essenziale

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7) Luvio '~malga-, donde malgaHa- 'sacrificio' (Forrer, Otten) ovverosia 'rituale magico' (Laroche). Etrusco mlaka- mlax, da intendere sicuramente 'offerta votiva' nei testi vascolari, 'offerta sacrificale' nel Liber (Pfiffig, St., p. 37), fors'.anche nell'iscrizione di S. Marinella. Sul piano etimologico e mor­fologico, luvio *malga- si presenta come un relitto isolato; non altrettanto la corrispondenza etrusca, che verosimilmente si riconduce a una variante apo­fonica di mul- 'offrire' e potrebbe contenere lo stesso elemento formativo di zil-aclx- 'zilacato', ali-qu, al-xu 'dono'. La comparazione fu già accennata dal Trombetti, L.E., p. 94. Per la corrispondenza di etr. cix e luvio 9 si v.eda la nota 114; per il rapporto semantico si confronti ad esempio il lat. cristo oblatio 'sacrificio' .

8) Hitt. ger. PORTA-(la)na-, da leggere sicuramente hilana- 'porta, pro­pilei', hitt. cun. 'Égila- 'corte, cortile, recinto', verosimilmente da '*porta', cfr. i significati di armo dur-, avest. dvar-, russo dvor, e (3acnÀÉwç i}upaL Hdt., la corte del re di Persia. La parola hittita cuneiforme è un prestito: lo mo­strano la formazione di gilammar 'costruzione annessa a porte', il genitivo abnorme gilannas, nonché i nomi divini IjilaHi-, Ijilanzipa- 128. Etrusco hil(ar) 'porta' o simili. Il collegamento è nostro, anche l'interpretazione della parola etrusca è nuova, ma si può difendere bene. Peraltro, l'interpretazione oggi preferita, 'confine' 129, non diverge radicalmente, ché nella città ,antica la porta configurava per antonomasia il confine: cfr. ad esempio i}uP'l1'PL Mpacn, foris, hitt. askaz(a) 'fuori'. Un tal significato si potrebbe prendere in considerazione se non sapessimo che, in etrusco, 'confine' si dice tular, e se ambedue le paroLe non figurassero negli stessi testi. Cfr. TLE 676, Faesulae: tular spural hil purE .]tum ecc.; 515, Clusium: tular hilar nesl. Il primo testo segnala i 'confini della città', umbro tuderor totcor: non si vede cos'altro possano indi­care i due sostantivi seguenti, coordinati dalLa copulativa -um, se non, l'uno, la porta o l'ingresso evidentemente prospicienti, e l'altro, per esempio, il muro o una costruzione adiacente. Cfr. CIL P, 1722, Aeclanum: portas tur­reis moiros turreisque aequas qum moiro faciundum coeraverunt. La seconda iscrizione, invece, come risulta dana nota voce nesl, delimita i confini di un sepolcro, che negli epitafi latini v,engono misurati secondo pedes: anche in questo caso, hilar non può significare che il luogo d'ingresso (i}upai,a). La parola oompar,e ancora nel Liber, in passi prevalentemente oscuri. Ma in un testo che pres'enta tante ,analogie con le Tabulae Iguvinae, la parola per 'porta', tanto frequente nelle Tabulae (vero-), non può mancare. Una sola volta si

128 Bibliografia: Laroche, p. 129 e « RHA » f. 60 (1957), p. 18; Meriggi Man., II, pp. 87, 89; Kronasser, pp. 181, 282; H . Th. Bossert, «Orient.» 30 (1961), p. 199 ss.; F. Imparati, Le leggi ittite, Roma 1964, p. 282.

129 Cfr. Pallottino, p. 92; Pfiffig St., pp. 27, 78. Assurde o impossibili le altre interpretazioni proposte: 'abitazione', da ultimo Charsekin, p. 42; 'privato', Vetter Wortd., p. 52; 'consacrato', Runes-Cortsen, p. 77.

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ha l'etnico rasna nel Liber, XI y 5, in contiguità con hilar: può ben trattarsi di una porta Rasenna, cfr. la porta Latina in Roma. E hilxvetra VI, 2, con­siderata la terminazione eccezionale, sarà un avverbio, quindi 'foris': seguono altre determinazioQni locali, hamepes leivd. Non sarà da trascurare un ultimo indizio. Abbiamo a che fare con una parola che si presenta tanto al singo­lare (hil) che al plurale (hilar), apparentemente senza modificazione di signi­ficato. È il caso, ad esempio, di gr. l}upa 1}-upaL, '!tu).,'!') '!tV).,aL e di goto daur daurons: ma non è un fenomeno che coinvolga larghi settori del lessico.

9) LuvioQ e bitt. ger. ziti- 'uomo', elemento frequentissimo nell'onoma­stica persoQnale 130. Etr. zati zatlal} 'uomo?'. Si sa che il lat. satelles non è altro che un adattamento della seconda forma etrusca 131. Satelles significa 'dipendente (di qualcuno)'. È il senso che ammettono ad esempio l'ingl. man o il russoQ celovék, ma anche il lat. homo: comparasti ad lecticam homines CatulI., X, 16; homo P. Quinti Cic., Pro Quinto, 19, 61, ecc. Non sarà inve­rosimile, dunque, che i regii satellites, cioè la guardia del corpo di Tarquinio il Superbo, Liv., II, 2, fossero propriamente 'gli uomini del re', e zatlal} ail}as TLE 241, scritta dipinta tra le figure di due uomini armati, 'l'uomo (gli uomini) di Ade'. Così pure hitt. ger. ziti PALAZZO indica il maggior­domo, e ziti dW il 'sacerdote di T arhund-, onde i nomi personali T arhunda­ziti, Tarhu-ziti. Quanto all'altra forma zati, essa ricorre soltanto in un passo del Liber, VIII, 14, che contiene certamente una formula di benedizione, come risulta dalla struttura ritmica: l}ezine ruze nuzlxne zati zatlxne sacnic­strd cill}s spurdtrd. In passi analoghi, IV, 5-6; 18, manca la sequenza zati zatlxne, e invece degli ultimi tre genitivi abbiamo i 'dativi' spureri mel}lumeric. Sappiamo bene che la formula sacnidtres cill}s Spurdtrd allude agli istituti religiosi e politici della città. La parallela formula iguvina VI a 29-30 ocrer lisier totar iouinar nome neri arsmo veiro pequo castruo Iri 'il nome, gli uomini ragguardevoli? (nerf), i collegi sacerdotali, gli uomini qua­lunque? (veiro), gli animali, i campi coltivati, le messi dell'-arce Fisia e della civitas Iguvina', ci dà una bUoQna proQbabilità che entro la sequenza etrusca sia rappr,esentato il campo semantico 'uoQmo' 132: le parole maggiormente indi­ziate soQno zati zatlxne, dato l'ovvio rapporto col nome zatlal} di cui soQpra 133.

130 Da ultimo Laroche Noms, p. 324 S.

131 M. Pallottino, «SE» 24 (1954), p. 58. 132 In passi analoghi del Libel' ricorrono invece le voci svelitre-, sveleri, che altrove

abbiamo interpretato come 'privati, cittadini che non sono né magistrati, né sacerdoti', cfr. volsco velestro-: «SE» 31 (1965), p. 250.

133 La seconda voce è altrettanto oscura quanto il nuzlxne con cui sta in parallelismo certo intenzionale. Le ipotesi a cui ora accenneremo vogliono soltanto dimostrare che una interpretazione conforme al valore di zati è ben possibile: 1) '( virum) viraginem': la formazione di viriigo non si spiega bene sul piano latino-indoeuropeo; 2) dissimilazione di * zatlxlne, da confrontare con flevru-clna- 'TaupoYE',/1]ç ': quindi '(l'uomo e) il figlio

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Apparentemente la congruenza etrusco-anatolica viene resa precaria dalla dif­formità del vocalismo radicale. In realtà, le trascrizioni dei nomi personali con ziti- in grafia greca rendono più che probabile che, almeno al Sud, la vocale radicale si realizzasse come lei, s'e non addirittura come lEI. Infatti si trova la resa: licaonio 'AplJ.cxO"1j't'cxc; = Armaziti, cilicio-pamfilio Mtpcx(j1j­'t'CXC; = Miraziti; ma anche: pisidio IIovcxO"cx't'1jC; = Punazita, '01tpcxO"cx't'1jC; accanto a cilicio OtJ1tpcxO"1j't'CXC; = U pparaziti 134.

lO) Licio fJurtta- 'membro della mifiti', associazione per la cura delle tombe. Etrusco -fJur(a)-, elemento di composto indicante l'appartenenza a una gens o a un sodalizio, cfr. ad esempio precufJura-: precu- TLE 619, tamiafJura- 627, paxafJura- 190. La sequenza etrusca non sembra essere un semplice elemento di derivazione, ché in tal caso figurerebbe anche in appel­lativi. Il valore della parola licia risulta evidente dai testi (cfr. Houwink, pp. 91, 146). Taluni studiosi assumono come variante la voce urt(t)u, urtuz, urtuwaz, che si trova soltanto nella stele di Xanto, D 12, 24, 50, 63, mentre fJurtta si legge ibidem, A 18, B 28 135

• Ciò par difficilmente credibile, in quan­to le parole non presentano contesti simili. L'ac{:ostamento licio-etrusco si deve al Vetter, Wortd., p. 12.

11) Hitt. ger. tarwa11a- o, come anche si può legger,e, trwana- 'autocrate locale', di genere comune. Egeo 't'upcx.VVOC; idem 136; in documenti tardi anche epiteto della divinità anatolica Mi)v, in Lidia, a Thasos, in Attica. Etrusco turan, solitamente nome della corrispondenza encorica di Afrodite, ma in un'iscrizione arcaica, a quanto pare, epiteto di un'altra divinità: aisera turan{n)uve, S.E. XXVIII, p. 479. Il collegamento tra 't'upcxvvoc; e il nome hittito geroglifico fu proposto dal Meriggi nel 1953 137. Nel Glossar e nel Ma­nuale di eteo geroglifico il Meriggi non ne fa più cenno, forse perché il col­legamento presenta difficoltà d'ordine formale e semantico, a nostro avviso

dell'uomo'; l'aspirata dopo liquida è regolare; 3) composto con un derivato di al-, alxu 'dare, dono', quindi 'ciò che è dato all'uomo'; 4) pura derivazione (aggettivale?) di zati, cfr. il rapporto formale degli etruschismi baro 'semplicione', barginna 'homo vitiosae gentis'; 5) composto con un derivato di acn- 'fare, generare', cfr. la formula clenar acnanas(a), quindi 'ciò che è fatto, generato dall'uomo'.

134 Non sembra ragionevole separare i nomi con -O'a'r1'}C:;, attribuendoli a un'altra serie lessicale, Zgusta Sippen, p. 81 ss. Del resto, la resa con segno -i è accertata per la sola grafia cuneiforme, perché della forma hittita geroglifica conosciamo soltanto il com­plemento fonetico. H . Th. Bassert, «JklF» 2 (1952-3), p. 183 ammetteva anche la lettura setas.

135 Da ultimo Zgusta Sippen, p. 75 ss. Ma è da escludere che le due pretese varianti si ritrovino nelle coppie 'Ep!J.aop'tac:;: 'Ep!J.a8op'tac:;, ecc.: qui v'ha un infisso che continua la desinenza di ablativo-strumentale, come ha visto A. Goetze, «JCunSt» 16 (1962), p. 57. .. ;.'l,"jt. ~

136 Nella prima attestazione greca, 'tupawCc:; indica ancora il potere assoluto dei monarchi anatolici: C. Gallavotti, «Par.d.Pass.» 4 (1949), p. 69.

137 «AGI» 38 (1953), p. 44.

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tutt'altro che insuperabili. Sul pia~o formale, c'è da spiegare l'apparente metatesi della sequenza -ur-. Ma nor. si tratta affatto di un fenomeno isolato. L'elemento tarhu- (cfr. sub 3) si realizza in grafia greca come Tpo%o-, in un'ar,ea vastissima (cfr. Zgusta, Sippen, p. 106 ss.), in grafia licia con r so­nante, trqq-, allo stesso modo che a licio trmmili corrispondono TEp[l.n.(t~, TPE[l.~À.ELC;. A hitt. purulli- 'festa annuale' corrispondono lidio borli- brva­'anno', forse licio pruli-. L'onomastica caria presenta la serie Tarbanes, Try­banes, Trabalissos (Sevoroskin, p. 26'0). A cario A(t~p(tuvooc; corrisponde cret. À.(t~UPL\l~OC;. Il problema semantioo è dato dal fatto che hitt. ger. t{a)rwana­o una forma simile significa anche 'giustizia', come ha mostrato la bilingue di Karatepe, .onde il t,ermine magistratuale è stato anche inteso come 'giu­dice' (Laroche). È una difficoltà inc.onsistent,e. In Omero, il 347, (tl(ju[l.'\I1J't'fjp~ equivale a ~(t(j~À.~%0, come intendono gli scoli, ma gli (tl(ju[l.'\Ifj"t'(t~ di ~ 258 sono giudici di gara. Un altro termine preellenico, 1tpu't'(t'\l~C;, riassume le fun­zioni di giudice e di capo; viceversa ~E[l.~(j"t'EUW significa 'comando' in ~ 114. Il magistrato supr'emo dei Sanniti, il meddix, è, etimol.ogicamente, uno iudex.

12) Luv10 mauwa- = 4, hitt. cun. mi/ euwa- idem 138. È da ritenere, in base al principio acr.ofonico, che anche in hittito geroglifico lo stesso nu­merale cominciasse per m-, come risulta dal segno a 4 linee verticali con valore puramente fonetico m, ma, mi. Etrusco max = 4? Il collegamento è stato già propost.o da E.P. Hamp 139. La congruenza formale sarebbe inec­cepibile. Il numerale etrusco dev,e necessariamente continuare *maux o *meux, in quanto la decina corrispondente suona muvalx- e l'avverbio moltiplicativo probabilmente mutzi: la cadut,a di u sec.ondo elemento di ditt.ongo, peraltro non ignota in etrusoo, può esser stata favorita dal carattere monosillabico della parola 0, più probabilmente, dalla scarsa autonomia ritmica dei nume­rali. La velare finale è caduta nelle forme anatoliche e, come si è visto, anche nelle derivazioni etrusche, ma rimane nelle corrispondenze caucasiche setten­trionali, di cui si tratterà nel Cap. V. L'unico e fondamentale problema che rimane da definire concerne il valore di etr. max. Sicuramente esso appartiene alla serie 4-6. Oggi si propende per il valore 5, conformemente alla « Torp­sche Reihung» dei numeri nei dadi di Tuscania, che scoperte recenti hanno confermato per la serie 1_3 140

• Senonché l'ordinamento del Torp poggia su uno schema che è proprio soltanto a una maggioranza dei dadi etruschi. Un

138 Otten, p. 27; H.G. Giiterbock, «RHA» f. 60 (1957), p. 1. Perché l'hittito abbia accolto un'eredità preindoeuropea per questo numerale, (sicuramente fuori strada A. Heubeck, «Spr.» 9 [1963], p. 201), ma non per altri, è un problema che rimane aperto. Secondo la nostra opinione, il fenomeno di so strato va attribuito esclusiva­mente al luvio, e hitt. mi! euwa- va considerato un luvismo.

139 «G1.» 37 (1958), p. 311. 140 Cfr. M. Pallottino, «SE» 32 (1964), p. 126; A.J. Pfiffig-H. Izbicki «Anz.

Oesterr. Ak., Phi1.-hist. KI. », 1965, Sonderheft 5.

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dado, notato da F. Skutsch, R.E. XI, col. 801, nel Museo di Firenze, ha un ordine diverso, che collimerebbe perfettamente col valore 4 e con le equiva­lenze numeriche già conosciute 141:

5 = sa 1 = i}u 4 = max 6 = hui} 2 = zal

3 = ci

Si dirà che il dado di Firenze è un unicum, onde la probabilità che i dadi di Tuscania si conformino allo stesso sohema è minima. Ma si deve pur tener pr:esente che gli esemplari di Tuscania appartengono a un tipo eccezionale, in quanto i numeri sono indicati con lettere e non, come di solito, con punti; il dado di Firenze presenta invece cifre, un sistema intermedio. E contro l',apparente probabilità della Torpsche Reihung va fatta rilevare la impro­babilità di sa = 4. Non è molto ver'Ùsimile che la formazione collettiva sar- 142, quale si tr'Ùva nel Liber, VIII, 1: cis sarii, significhi 'tetrade': è in­certo se la parola indichi una data ovvero un raggruppamento di persone ma, nell'un caso e nell'altro, le analogie italiche inducono a pensare a una, o meglio a tr'e {ci-) pentadi: cf. rispettivamente le pumperias 'Ùsche, in umbro pumpefias (lat. quintanae), e le puntes dei fratres Atiedii. Tutto sommato, ci sembra che, '<1110 stato attuale, i piatti della bilancia si equilibrano, onde sarà bene attendere un incremento di conoscenze prima di risolvere questa al­ternativa.

L'elenco che precede avrebbe acquistato pr'Ùporzioni maggiori, se vi aves­simo inserito comparazioni, di cui non è possibile valutare la consistenza, in quanto presentano più d'un aspetto problematico. Per illustrare questo con­cetto, faremo ricorso ad alcuni esempi. Un caso tipico è fornito dalla con­nessione del Vetter di licio qla- ed etrusco da-, interpretati 'gens': in realtà, si tratta di parole che s'Ùno state tradotte nei modi più diversi. È ben possi­bile che l'etr. puia 'moglie' e il pregr. 0-1tui,w 'prendo, ho in moglie' abbiano una corrispondenza anatolica. Noi pensiamo alla sequenza -wiya- che nel­l'area luvia funge da pendant femminile di ziti- nell'onomastica personale, e quindi è stata interpretata come nome dal significato 'donna' 143. Le realizza­zioni grafiche hanno ben poco in comune, ma si ricordi che nella resa di voci esotiche, hurrite o protohattiche, la grafia cuneiforme impiega alternativa-

141 Nel secondo lavoro cito alla nota precedente, dove si sottopongono al controllo di un computer le permutazioni conformi alle soluzioni finora proposte, la possibilità del cosiddetto 'schema C' viene valutata soltanto in base alla soluzione Krogmann (vedi p. 10), che è sicuramente errata, in quanto -presuppone max = 1, huii = 4.

142 Per quanto segue si veda « Rend. Linc. » 20 (1965), p. 315. 143 Cfr. Laroche Noms, p. 325; su una isolata corrispondenza settentrionale, Otten­

Soucek, p. 48.

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mente segni con w e con p, e che anche l'oscillazione il u è ben nota. Per appianare ogni divergenza, basterebbe ricostruire uno stadio I~yjal. Ma il confronto rimane altamente problematico, anche perché non è da escludere che -wiya- sia un puro elemento derivazionale. In hitt. e luvio tarw- -'dan­zare' a può essere vocale cieca, nel qual caso si richiameranno truia TLE 74 'danza a cavallo', donde, per etimologia popolare, il lat. lusus Troille, nonché il sabino an-truare 'danzare in cerchio' e la glossa truant 'moventur'. Ma sarà poi etrusca la fonte prima di questa serie lessicale? La particella -pa del pro­norne relativo etrusco i-pa, in-pa ricorda l'enclitica luvia e hittita geroglifica (anche palaica?) -pa-, che ha valore leggermente avversativo e si aggiunge spesso a pronomi, in hitt. geroglifico sempre, quando il pronome relativo è allo stato avverbiale: RELATIVO-{a}pa-wa 'come, perché, mentre'. Però questa particella si ritrova probabilmente anche nel pronome anatolico apa­'ille', licio ebe-, cfr. il pronome enclitico di 3a persona -a-, comune all'hitt. cuneiforme e geroglifico e al luv10, e potrebbe trattarsi di un indoeuropei­smo 144. Abbiamo preferito soffermarci su congruenze che o si presentano certe, o s'innestano entro una gamma limitata di alternative. Liquidare que­st'ultima categoria in base al principio che molte ipotesi non equivalgono a una verità, non sarebbe atteggiamento metodico, perché, quando si opera in un campo tanto povero di conoscenze, giova non soltanto enucleare quel poco che v'ha di certo, ma anche definire i problemi che rimangono da risol­vere. Si consideri il caso illustr.ato per ultimo: tutto dipende dal valore che va attribuito a ·etr. max; ma sappiamo bene che questo è un numerale della serie 4-6: si pone allora un'alternativa, di fronte alla quale non si è chiamati a scegliere, ma che non può passare sotto silenzio, tanta importanza acquiste­rebbe un collegamento tra numerali di lingue diverse. All'elenco che precede si potrà muovere anche un diverso addebito, di contenere materiale che può esser facilmente oggetto di scambio. Effettivamente, non mancano parole che senza dubbio si sono diffuse attraverso contatti culturali: ma come è possi­bile individuare la tradizione che ha dato e quella che ha ricevuto? Se assu­miamo che l'elemento onomastico * tarku- sia passato da una fase preistorica del­l'etrusco ,al sostrato pre1uvio o viceversa, altora è necessario ammettere non un prestito, ma tutta una gamma di prestiti, perché varie derivazioni sono comuni ai due ambienti (cfr. sub 3). Il nome di magistratura tamera- (4) non par essere una voce esotica nell'etrusco, perché anche in tamiafJuras TLE 227 c'è un nome di c·arica, e non sarà da tr.ascurare nemmeno l'altra voce tmia Pyrgi, comparendo nello stesso testo anche il nome magistratuale. Invece l'epiteto divino tttran (11) non trova connessioni interne all'etrusco, però la t'erminazione -an ricorre in vari altri nomi di divinità o di demoni: alpan,

144 Cfr. la particella * bhe/o, Pokorny, p. 113. Da escludere la connessione con bitto -pat, O. Szemerényi, Syncope in Greek and Indo-European, Napoli 1964, p. 352.

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evan, fJesan, laran, mean 145. VuoI dire che ci troviamo di fronte ·ad ambienti che erano legati non soltanto da rapporti genealogici, ma anche da solidarietà culturali: le lingue indoeuropee 'e, in misur.a maggiore, le lingue semitiche hanno ereditato non soltanto struttme linguistiche, ma anche un patrimonio di cultura.

Conclusioni. La deduzione più importante che scaturisce dai mat,eriali raccolti nel present'e capitolo ci sembra d'ordine operativo. Un complesso di rapporti accomuna due tradizioni linguistiche, di cui oggi abbiamo testimo­nianze estremamente fl.'lammentarie, ma che presumibilmente si conosceranno meglio in avvenire, per il s-opraggiungere di nuovi documenti o in seguito al perfezionamento dell'es'egesi. Da ciò, ovviamente, la necessità che l'etrusco­logia non ignori le acquisizioni presenti e future della filologia asianica e, altresì, che questa disciplina non ritenga del tutto alieno dalle sue compe­tenze il problema delle origini etrusche. Una tale integrazione di esperienze risulta facilitata dal fatto che le solidarietà con l'etrusco non interessano tutti i so strati anatolici preindoeuropei (cfr. sub a), bensì, .almeno nella maggior parte dei casi, una tradizione che è da localizzare nell'area meridionale; co­munque, un restringimento dell'orizzonte della ricerca si presenta come una necessità imprescindibile, perché la tesi kretschmeriana 146 dell'omogeneità lin­guistioa dell'Anatolia preindoeuropea ha trovato smentita nei documenti.

Si è visto che la grande maggioranza delle isoglosse etrusco-anatoliche, vale a dire il materiale registrato sub e, coinvolge almeno una delle lingue, strettamente ·affini, dell'-area meridionale, luvio, hittito geroglifico, licio. Per una più precisa looalizzazione di questo sostrato, legato a una fase preistorica dell'etrusco da affinità genealogiche e da solidarietà culturali, sarà da tener presente soprattutto l'area che si dispiega attorno alla catena del Tauro. Testi­monia in questo senso la diffusione del nome T argu(nd)- e suoi succedanei (cfr. sub 3); si veda anche l'isoglossa luvio-cilicia nr. 4. Altri dati conver­gono in particolare verso le regioni a NO e a N del Tauro, Pisidia, Isauria, Licaonia. Un demotico TupO"T}\l6c; viene documentato in area di confine frigio­pisidia, presso Antiochia {].H.St., IV, 1883, p. 34) e un personale TuppT}vv6c; in Isauria (Zgusta, nr. 1619) 147. Un Acx.p è testimoniato in territorio pisidio-

145 È appunto la morfo1ogia che dichiara erronea la derivazione di etr. turan da tur­'dare' (così C. Pauli, W. Deecke e da ultimo H.L. Stoltenberg, Etr. Gotternamen, Leverkusen 1957, p. 36), in quanto non si trovano nomi verbali in -ano Sul piano seman­tico, l'analisi 'colei che dà' non sarebbe inverosimile, cfr. l'epiteto gefn della nordica Freyja.

146 Kretschmer, p. 292. 147 «Namengebung nach dem Vo1ksnamen» sentenzia Zgusta, ad lac. Ma la forma

Tvpp1J\l6ç che egli riporta è erronea (si veda la fonte ivi citata). Può essere che si tratti di un originario etnico, ma difficilmente entrano in questione i Tvpp1J\loC italici, noti soltanto, e in misura limitata, alla letteratura storiografica.

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licaonico Ob. 796), e non par trattarsi di un forestiero, ché AtXpctvòct è topo­nimo licaonico 148; un OUEÀ.À.O~ (etr. vel?) in Pisidia e forse un Uele in Li­caocia, Zgusta, nr. 1151. Che il so strato 'tirrenico' (par lecito ormai adot­tare questa qualifica, visto che il nome è documentato in loco) si irradiasse o perlomeno avesse rapporti anche con l'area a NE del Tauro, risulta dalle oongruenze ,etrusco-oappadocie che sono state menzionate nel corso di questo capitolo. È probabile che si debbano addebitare al sostrato cilppadocio le poche concordanz,e con l'etrusco da cui sono escluse le lingue meridionali (cfr. sub c, d). Un caso evidente, finol1a non menzionato, fornisce il suffisso hit­tito -umna, indicante l'origine, cfr. etrusco -umn-, presumibilmente nella stessa funzione, ma anche pregr. AtXpul1vct tp~l}ul1Vct. Il suffisso hittito proviene dal cappadocio -uman, una volta scritto -umna (Tunumna, cfr. etr. tulumneS, veient'e Tolumnius??). Invece, luvio e hittito geroglifioo hanno, nella stessa funzione, un suffisso -wana! io, più tardi continuato dal miliaco -vnni-. È di­scusso se si debba istituire un rapporto oon la formazione hittito-cappadocia 149.

Il sostrato anatolico legato da rapporti oon l'etrusco ha esercitato la sua azione sopl1attutto sul luvio e sulle lingue affini, ma da ciò non consegue che qualunque elemento preindoeuropeo dell'area, in senso lato, luvia possa qua­lificarsi 'tirrenico' o, comunque, debba trovare sistematicamente corrispon­den21a in etrusco. Contl'o una s'emplicistica identificazione di tirrenico e pre­luvio mettono in guardia i numerosi vocaboli, di origine non indoeuropea, che corrispondono la concetti che non sono o non dovrebbero essere assenti dai testi etruschi: come ara(i)- 'lungo', arma- 'mese', awi- 'venire', 1Jamsa­'nipote, figlio del figlio', 1Jas- 'generare', 1Jutarli- 'servo', la(i)- 'prendere', marru- 'l'OSSO', nani- 'fratello' nanasri 'sorella', talla- 'recipiente', tana! ima­'tutto', u(wa)lant- 'morto', wanni- 'pietra'. Anche gli elementi onomastici pre­luvi, che il Landsberger 150 ha raccolto e ha attribuito a una lingua non docu­mentata epigraficamente, da lui chiamata « muwa-Sprache » in base alla fre­quenza dell'elemento muwa- (cfr. sub e 6), trovano soltanto in parte corri­spondenza in etrusco (si tratta di casi che abbiamo già esaminato). Di questo stato di cose si potrebbe dare una spiegazione semplice, ma insufficiente, con­getturando una compresenza di più sostrati preindoeuropei nell'area anato­lica meridionale. Ma, anzitutto, si dovrà anche tener presente la possibilità che una parte notevole o addirittur,a pr'eponderante del lessico etrusco abbia radice encorica, come è dato osservare nelle lingue che sono imposte attra­verso l'azione di una minoranza etnica. E poi, l'ipotesi di una provenienza del

148 Ptol., V, 6, 6. 'Non convince l'identificazione con hitt. Lalanda (Garstang-Gurney, p. 84), su cui si veda E. Laroche, «RHA» f. 69 (1961), p. 66.

149 Cfr. Laroche Comp. II, p. 172; Kronasser, p. 112 ss. La congruenza etrusco­anatolica fu già rilevata dal Hrozny e poi discussa dal Benveniste, «SE» 7 (1933), p . 252 ss.; vedi anche Devoto SM., II, p. 185 55.

150 «JCunSt» 8 (1954), p. 124 sS.

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filone esotico dell'ethnos etrusco dall'Anatolia alla fine dell'età del bronzo (V. Bérard) o addirittura nei primi secoli del I millennio (F. Schachermeyr) 151

urta contro ostacoli difficilmente superabili. Se guardiamo alla categoria di dati sulla quale .abbiamo maggior copia di informazioni, cioè l'onomastica per­sonale, dovremmo concludere che questi Tirreni, emigrati non molti secoli prima dell'età dei documenti, avrebbero portato con sé un numero estrema­mente scarso di nomi di persona 152. Nel periodo dei testi cuneiformi e gero­glifici, la cultura anatolica, in tutti i suoi aspetti, è profondamente impre­gnata di influenze mesopotamiche, semitico-orientali o di più antica origine sumerica. L'unico aspetto della cultur·a etrusca che richiami esplicitamente il mondo mesopotamico è, come noto, l'epatoscopia, che può esser giunta agli Etruschi per trami ti puramente culturali, allo stesso modo delle varie forme di magia, di divinazione, di culto orientali nel mondo classico 153. Ma non v'ha un nome di divinità etrusca, e non ne conosciamo pochi, che ammetta etimo accaclico o sumerico. Alla preghiera etrusca, che conosciamo da passi ritmici del Liber, mancano la forma litanica delle invocazioni e il parallelismus mem­brorum, caratteri tipici del discorso religioso mesopotamico e anatolico 154.

Certo, le congruenze etrusco-anatoliohe non si spiegano, se non assumendo che alla formazione dell'ethnos etrusco ha cooperato un fermento etnico eso­tico: i morfemi casuali e le congiunzioni non s'impongono per opera di con­tatti d'ordine culturale o commerciale. Ma che quest.a migrazione etnica sia mossa direttamente da una base anatolica, è soltanto una ipotesi, e non neces­saria. Genti tirreniche di nome, o anche di lingua, come mostrano i resti del lemnio, erano diffuse ·anche nelle isole e sul versante occidentale dell'Egeo. A nostra opinione, la penetrazione di genti tirreniche nell'area egeo-pregreca va necessariamente collegata con quel processo di espansione etnica e cultu­rale che si attua dmante il III millennio con la civiltà cicladioa nelle isole e protoelladica in Grecia, e lascia in eredità agli Indoeuropei sopravvenuti ele­menti di sostrato anatolici, almeno in parte preluvi. E riteniamo altresì che la migrazione dei Tirreni verso la s·ede it·alica sia mossa da uno di questi am­bienti di sostrato, non dall' Anatolia. Di queste opinioni daremo motivazione nel capitolo successivo. Qui ci limiteremo a rilevare un fatto di notevole im­portanza che finora non ha richiamato l'attenzione degli studiosi. In vari casi, gli elementi egeo-pregreci presentano, rispetto alle corrispondenze anatoliche,

151 Schachermeyr, passim, cfr. Die iiltesten Kulturen Griecbenlands, Stuttgart 1955, p. 258; V. Bérard, «RÉA» 51 (1949), p. 201 ss. Cfr. M. Pallottino, «SE» 29 (1961), p. 19 5S.

152 Le congruenze più significative sono state già citate nel corso del lavoro. 153 G. Furlani, «SMSR» 4 (1928), p. 243 ss.; Pallottino Or., p. 7. 154 Le allitterazioni e le altre figure ritmico-stilistiche che caratterizzano le preghiere

del Liber sono comuni al discorso religioso latino-italico dove, almeno in parte, continuano una tradizione indoeuropea: «RicLing» 4 (1958), p. 72 5S.

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un grado maggiore di affinità con l'etrusco. Si è visto già (sub e 1, 3) che avanti ai suffissi -55-, -nt / d- il sostrato anatolico premette costantemente -a-, mentr,e il pregreco e l'etrusco si comportano diversamente: che si tratti di una innovazione anatolica, è dimostrato dal fatto che lo stesso -a- viene pre­fissato, in tutte le lingue meridionali, alla desinenza -ti di ablativo-strumen­tale ISS. Per quanto riguarda il secondo suffisso, è da rilevare naturalmente anche la maggiore affinità tra pregr. -\ll}- ed etr. -nl}-: la corrispondenza ana­tolica è scritta con dentale sorda o sonora nei testi del II millennio, con sonora nel I millennio: fa eccezione soltanto qualche raro toponimo setten­trionale con aspirata 156. Nell'ambito del lessico, sono da ricordare hitt. ger. tarwana- ma egeo 't'upa.woc;, ett. turan e l'equazione più incerta 'anatol. -wiya-, pl"egr. Ò-1tv(,w, etr. puia. Va aggiunta altresl la serie hitt. gurta- 'cittadella', LUgurtawanni- (formazione meridionale) 'abitante della cittadella' 157, pregr. rvp't'w\I Kvp't'w\I'l'] rop't'u\l~o~ KOp't'U\lLO~, etr. curtun Cortona. Che l'etrusco pre­senti uno stato di maggiore affinità con l'ambiente di sostrato più vicino, è un fatto ben spiegabile in fenomenologia linguistica, ma soltanto alla condi­zione che si escluda un diretto rapporto di dipendenza dal tirrenico d'Anatolia.

Le isoglosse etrusco-anat,oliche forniscono una testimonianza preziosa e decisiva sull'origine esotica della lingua o delle sue strutture fondamentali; ma gettano ben poca luce sulla preistoria del sistema e sul problema genea­logico. Poiché, allo stato presente delle conoscenze, non siamo in grado di attribuire la qualifica di 'tirrenico' a sistemi linguistici documentati, bensl soltanto a residui, che riconosciamo come 'tirrenici' soltanto in quanto li con­frontiamo con quel che ci è noto dell'etrusoo, quelle concordanze non ci per­mettono un aggancio con tipi linguistici altrettanto o meglio conosciuti, e quindi viene meno la possibilità di definire il rapporto genealogico alla luce di un quadro organico di corrispondenze. Sarà opportuno, dunque, estendere in altra direzione l'indagine comparativa 158.

ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE

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155 H. Mittelberger, «Spr. » 10 (1964), p. 68 ss. 156 Schachermeyr, pp. 234, 284; W. Belardi, «RicLing» 4 (1958), p. 220. 157 Il vocalismo radicale porta ad escludere un rapporto di dipendenza dall'i.-e.

* ghordho-, Pok., p. 444; non è da escludere invece che la forma indoeuropea, consi­derata la variante * ghorto-, lat. hortus ecc., sia da considerare un prestito da quell'am­biente paraindoeuropeo da cui proviene anche la voce hittita.

158 La Seconda Parte di questo lavoro conterrà almeno i seguenti capitoli: IV Lingue di sOItrato pre- e paraelleniche; V Affinità etrusco-caucasiche. Non prevediamo di poter condurre a termine il lavoro in breve volger di tempo.

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