Conoscere il Baldo - Garda - CTG - 6. Ambiente e tradizioni

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1 CONOSCERE IL BALDO – GARDA I° CORSO DI FORMAZIONE PER ANIMATORI TURISTICI AMBIENTALI 6° INCONTRO: VENERDI’ 30 GENNAIO 2015 AMBIENTE E TRADIZIONI RELATORE: PROF. GIORGIO VEDOVELLI Tra le curiosità che si possono offrire al turista per fargli diventare più piacevole il soggiorno è la visita al “Baloc tacà via”. Questa è anche l’occasione per parlare dei “Catari”. Per andare in questo luogo si va ad Assenza, si sale a Sommavilla, alla sommità della Via de Loc si superano alcuni gradini in cemento si prosegue su una strada vecchia, dopo una ventina di minuti si entra nella valle e si prosegue in una forra. Le forre sono una caratteristica della costa lacustre veronese del Monte Baldo, sono delle valli molto strette con le pareti alte interessate dalla glaciazione. In questa forra troviamo questo “baloc”, praticamente è un masso che è rimasto incastrato e impedisce di proseguire, praticamente per andare nella forra successiva bisogna deviare prima di arrivare al baloc, questa è un’attrazione molto particolare e molti ci vanno per vedere questa curiosità. Si dice che queste forre hanno dato ospitalità ai “Catari”. I Catari facevano parte di una setta eretica del 1200, venivano dalla Francia Meridionale, dalla zona Occitanica della Francia (per approfondimenti vedi http://it.wikipedia.org/wiki/Catarismo). La persecuzione era religiosa ma anche politica, all’inizio i Vescovi ed il Papa avevano cercato di tollerare questo movimento, poi è intervenuto anche il potere

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CONOSCERE IL BALDO – GARDA

I° CORSO DI FORMAZIONE PER ANIMATORI TURISTICI AMBIENTALI

6° INCONTRO: VENERDI’ 30 GENNAIO 2015

AMBIENTE E TRADIZIONI

RELATORE: PROF. GIORGIO VEDOVELLI

Tra le curiosità che si possono offrire al turista per fargli diventare più piacevole il

soggiorno è la visita al “Baloc tacà via”.

Questa è anche l’occasione per parlare dei “Catari”.

Per andare in questo luogo si va ad Assenza, si sale a Sommavilla, alla sommità della

Via de Loc si superano alcuni gradini in cemento si prosegue su una strada vecchia,

dopo una ventina di minuti si entra nella valle e si prosegue in una forra. Le forre

sono una caratteristica della costa lacustre veronese del Monte Baldo, sono delle

valli molto strette con le pareti alte interessate dalla glaciazione. In questa forra

troviamo questo “baloc”, praticamente è un masso che è rimasto incastrato e

impedisce di proseguire, praticamente per andare nella forra successiva bisogna

deviare prima di arrivare al baloc, questa è un’attrazione molto particolare e molti ci

vanno per vedere questa curiosità.

Si dice che queste forre hanno dato ospitalità ai “Catari”. I Catari facevano parte di

una setta eretica del 1200, venivano dalla Francia Meridionale, dalla zona Occitanica

della Francia (per approfondimenti vedi http://it.wikipedia.org/wiki/Catarismo).

La persecuzione era religiosa ma anche politica, all’inizio i Vescovi ed il Papa

avevano cercato di tollerare questo movimento, poi è intervenuto anche il potere

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politico che li ha perseguitati in maniera pesante, in quegli anni si istituisce anche il

Tribunale dell’Inquisizione, è la prima forma di Inquisizione che abbiamo, questo per

una questione di potere perché i grossi feudatari del Sud della Francia facevano

ombra a quelli del Nord, fra l’altro il Sud della Francia aveva una lingua diversa, la

Lingua d’Oc mentre al Nord c’era la Lingua d’Oil, ancora adesso c’è una parte della

popolazione francese che parla l’Occitanico, ce ne sono anche in Italia, circa 200.000

nelle valli alpine del Cuneese che conoscono questa lingua Occitanica che è molto

interessante non solo per la lingua ma anche per questa cultura Occitanica canti,

tradizioni e tante altre cose che riguardano questa cultura.

Con Papa Innocenzo III, nel 1209 iniziò la persecuzione contro questi Catari, molto

fuggirono ed andarono in Italia e si stabilirono sulle rive Meridionali del Lago di

Garda. Questa setta era suddivisa in vari gradi e i perfetti, quelli che erano al

massimo grado di perfezione erano vegetariani e quando si spostavano dicevano

che lo facevano sempre alla ricerca di luoghi ricchi di pesce, si stabilirono quindi

soprattutto a Desenzano e a Sirmione e in altri paesi del Basso Lago, ce n’erano

parecchi quindi nel XIII Secolo sulle coste Meridionali del Lago di Garda. Fino a che

gli Scaligeri erano Ghibellini, quindi un po’ in contrasto con il Papa tutto andò bene,

quando gli Scaligeri cercarono di accattivarsi la simpatia del Papa per loro motivi,

cominciò la persecuzione anche qua in Italia e il 13 febbraio del 1278, 166 Catari

perfetti, che si erano rifugiati a Sirmione, vennero catturati ed arsi vivi nell’Arena di

Verona.

Si dice che alcuni Catari che si salvarono da queste retate degli Scaligeri si diressero

verso il Nord del Lago di Garda per cercare qualche rifugio dove sistemarsi. Nella

parte Nord del Garda ci sono queste rocce che scendono diritte e non danno la

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possibilità di rifugiarsi, invece sulla sponda veronese ci sono tante valli, le cosiddette

forre, che hanno la caratteristica di penetrare nel massiccio del Baldo

trasversalmente e danno la possibilità di rifugiarsi e si racconta che qui si siano

rifugiati i Catari. Il ricordo di questo è rimasto anche nel parlare, parlo per mia

esperienza e ricordo che mia nonna quando io magari dicevo qualche parola in più

mi diceva: “Tàsi, lèngua da Càtaro” e mia nonna era quasi analfabeta quindi non le

veniva da cose apprese sui libri ma era una cosa di tradizione. Poi mi hanno detto

che a Cassone, un’altra espressione che si sente è: “Boca da Càtaro”. Quindi queste

espressioni ricordano la presenza di questi Catari, è impressionante il fatto che dopo

700 anni ci sia ancora un ricordo anche se molto tenue.

Un’altra cosa anche forse più interessante è che questi Catari avevano vari gradi di

perfezione e il massimo a cui arrivavano era verso la fine della vita; loro non

avevano i Sacramenti, avevano una specie di confessione pubblica collettiva e il

“Consolamentum”, alla fine di questo rito che si aveva con l’imposizione delle mani

venivano come dire “consolati”, da qui si ipotizza l’origine del cognome Consolati

che è qui della zona come pure dei Consolini. Io ho chiesto ad un Consolini di Crero

da dove venisse la sua famiglia e lui mi ha risposto: “dicono che veniamo dalla

Francia” e questo mi ha incuriosito perché lui probabilmente avrà avuto la seconda

o terza elementare per cui non erano dei ricordi dotti che gli erano venuti per

studio, erano ricordi di famiglia che raccontavano di questi Consolini che venivano

dalla Francia, quindi c’era il collegamento tra i Consolini e i Consolati e il termine

“Consolamentum”. Per cui il “Baloc tacà via” è il pretesto per parlare di altre cose fra

cui di questi Catari che erano qua presenti, anche in antichi documenti si parla di un

Cataro che era stato arrestato a Lazise dai capi dei maggiorenti del paese e venne

liberato grazie alla popolazione che si era ribellata a questa cattura.

Il monaco che aveva combattuto l’eresia Catara era San Pietro Martire di Verona, a

Torri in una casa in paese c’è un affresco del 1400 che rappresenta appunto il

martirio di questo San Pietro Martire che è stato martirizzato con un colpo di scure

in testa. Quindi ci sono tutti questi ricordi e agganci con questa popolazione Catara.

Hanno avuto un grande seguito perché avevano una vita molto morigerata, in

pratica erano come i Francescani ma erano critici verso il Papa quindi vennero

perseguitati.

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La Chiesa di San Zeno de l’Oselèt, è una Chiesa interessantissima soprattutto per la

presenza all’interno di alcuni affreschi che rappresentano delle persone che hanno

caratteri decisamente Longobardi. Tutta la nostra zona era stata popolata dai

Longobardi che si stabilirono soprattutto nel medio e basso Lago Veronese ma

c’erano anche qua da noi, ho trovato dei documenti a Torri firmati da persone con in

calce la precisazione di “Legge Longobarda” e altri invece che riportavano “Legge

Latina”, quindi i Longobardi qua erano di casa, e in questi affreschi si vede appunto

che i personaggi hanno le caratteristiche di popolazioni nordiche, tedesche,

germaniche. Poi, purtroppo ora non ci sono più, c’erano le stampelle, le grucce,

dentro alla Chiesa c’erano delle stampelle che ricordavano passate guarigioni, non

capisco perché le hanno tolte in quanto le potevano lasciare come ricordo storico.

Sulla facciata esterna c’è l’immagine di San Cristoforo, come in tante altre chiese,

era quello che proteggeva i viandanti, e chi riusciva a vederlo era convinto che per

tutta la giornata sarebbe vissuti, perché un tempo i pellegrini che andavano in giro

per il mondo non erano sicuri di arrivare a sera perché c’erano pericoli dappertutto,

allora se uno vedeva San Cristoforo pensava ed era convinto che almeno per quel

giorno era a posto.

Presenta poi una foto dove si vedono da dietro le due Chiese di Castelletto, risalente

probabilmente attorno agli anni ’20, c’è la Chiesa Cinquecentesca di forma

esagonale e quella fatta da Monsignor Nascimbeni in primo piano.

In un’altra foto si vede la chiesa di Brenzone, da notare, cosa interessante, la

presenza di una limonara, una serra di limoni. Sempre parlando delle curiosità,

dentro alla Chiesa dovrebbe esserci il famoso “San Reciòn”, dentro alla Chiesa in

alto, c’è un Santo che era oggetto di molte storie, barzellette, burle, praticamente

quando c’era qualche burrasca, qualche temporale davano la colpa a lui di quello

che succedeva.

Parlando sempre delle tradizioni, una particolare è la sagra de “l’ondes de luj”.

Nel Comune di brenzone le sagre hanno due motivazioni. Una motivazione relativa

all’allevamento oppure a passate epidemie, sono degli ex-voto, passata qualche

epidemia, prima la peste, poi il colera, da dire che le epidemie di colera sono due,

una nel 1836 e una nel 1855, la peggiore fu la prima, ovviamente non è stata come

quella famosa di peste di Manzoniano ricordo, che aveva dimezzato la popolazione

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nella nostra zona, però i suoi morti li fece anche il colera, a Torri per esempio, ci

sono stati quasi 100 morti su una popolazione di 600 abitanti. Interessante vedere la

distribuzione dei morti perché di solito era d’estate e si sviluppava col caldo,

cominciavano a morire dal porto, quindi veniva dal lago, veniva portata da altre

persone con barche e da altri viandanti, poi col passare dei giorni i morti si avevano

fin verso le contrade. Era un’epidemia come detto che colpiva d’estate e difatti la

sagra de “l’ondes de luj” ricorda questa epidemia a Castello. Il giorno prima, il 10

luglio, si fa una sagra analoga, quella delle “agole” a Castelletto, tutte e due sono

rivolte alla Madonna del Colera, quindi era questo colera che si cercava di

esorcizzare, era un ringraziamento per lo scampato pericolo.

Quella dell’”ondes de luj” che si fa a Castello è interessante perché, oltre che essere

un ex-voto è anche una specie di ricognizione del territorio, una caratteristica di

molte processioni di un tempo era quella di andare a controllare i confini, i termni,

perché i termini spesso erano costituiti da mucchi di sassi ed era quindi facile

spostarli, allora, specialmente durante le rogazioni, prendevano l’occasione di fare l

giro del territorio per controllare se i termini corrispondevano, se erano al loro

posto. Questa processione de l’”ondes de luj” è lunga circa sei chilometri e dura

parecchie ore, da mattina presto fino a tarda mattinata, comprende tre messe, una

alla partenza a Castello, una ad Assenza dove c’è anche il rinfresco con una pausa, e

poi si sale e si ritorna a Castello per la terza messa. L’orario è: Santa messa a Castello

alle 6,00, inizio del pellegrinaggio 6,30, Santa messa ad Assenza alle 8,00,

conclusione alle 10,30. Poi, come tutte le sagre che si rispettino, dopo il momento

religioso c’è anche il momento ricreativo o, più che ricreativo era il momento di

socializzazione, cioè era una maniera per socializzare, per stare insieme.

Queste sagre hanno sempre avuto una forte valenza identitaria. Anche ai giorni

nostri per esempio a Torri dove c’è la sagra di San Faustino, ci sono degli americani

che abitano a Springfield o da quelle parti, che quando c’è questa sagra il 15 di

febbraio, tornano al paese perché vogliono rinfrescarsi le origini, il bello è che non

sanno più neanche una parola di italiano, sono americani di terza generazione, ma

quello che hanno sentito a casa gli ha fatto entrare dentro questa voglia di andare a

vedere il patrono, il “genius loci” il genio del luogo, che, parlando in termini pagani

era la divinità del posto.

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In una foto si vede la Chiesa di Castello, a tale riguardo ricordo che, a parte le

chiesette piccole che hanno conservato la loro impronta romanica, le Chiese

Parrocchiali anche nei paesi vicini, Malcesine, Cassone, Torri, Garda, le hanno tutte

rifatte nel 1700. Il ‘700 è stato un secolo particolarmente felice per la nostra

economia quindi c’era qualche soldo che girava e allora hanno costruito le nuove

chiese anche perché la gente era aumentata come popolazione. Vediamo delle foto

del giorno della festa: la messa alla mattina, si vede ancora poca gente perché è

molto presto. La statua della Madonna è del 1606 fatta fare, come dice anche la

targa che poi leggeremo, da una signora come ex-voto, per sua devozione, c’è la

sedia, il trono.

Fuori la gente aspetta che inizi la processione. Questa è una processione molto

lunga come abbiamo visto, è una delle sagra più interessanti che ci siano, è

abbastanza particolare, fra l’altro c’è una buona partecipazione. Ad ogni frazione

che tocca la processione si ferma per delle preghiere e per far riposare i portatori

che possono così scambiarsi. Queste sagre sono diventate un’attrazione turistica

però hanno conservato molto della genuinità di un tempo e sono molto sentite dalla

popolazione. A Torri per esempio, la Sagra di Sant’Antonio chiama duecento

persone quando la fanno, praticamente chiudono la strada e si fa festa. Sono quelle

feste identitarie, la gente si riconosce in quella festa. Le feste si conservano genuine

fino a quando non entrano in campo le pro loco, non ho niente contro le pro loco

ma siccome loro hanno una finalità puramente turistica, alle volte la snaturano e

diventa meno genuina, Come San Filippo a Torri, è sì ancora abbastanza genuina ma

una volta era meglio, era più semplice e aveva le caratteristiche più genuine, questo

a volte non c’è quando vogliono fare un piacere ai turisti.

Una molto bella è quella di Vilmezzano a Caprino dove si fa la processione in mezzo

alla campagna, si passa nei cortili, vicino alle stalle, con le mucche che ti guardano,

la messa si celebra nella chiesetta che è molto bella tra l’altro, e merita di andarla a

vedere, e poi, al termine c’è il momento conviviale che è offerto, in genere nelle

sagre l’aspetto conviviale è sempre offerto, non si paga, quando si paga vuol dire

che si è perso qualcosa della tradizione, ovviamente si dà la possibilità di fare

un’offerta per cui una persona si sdebita come vuole ed è sempre molto semplice,

una pastasciutta, un panino e un bicchiere di vino.

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Tornando alla processione di Castello, si percorre la Gardesana da Brenzone verso

Nord, arrivati ad Assenza, dopo aver fatto sosta a Porto, c’è la seconda Messa. La

committente di cui parlavamo prima risulta da una scritta sul trono ed è: “donna

Caterina moglie del signor Bernardino Sardena di Brenzone ha fatto per sua

devozione”. Questa donna Caterina è quindi diventata eterna perché ancora adesso

dopo 500 anni la ricordano. E’ una bella statua, di statue in legno di quel periodo,

conserevate così bene ce ne sono poche, ce n’è una molto bella a Torri, quella di San

Filippo del 1600 ma questa è ancora più bella.

La processione prosegue si sale a Sommavilla, alla sommità della salita ci sono gli

scalini dai quali si prosegue per andare al “baloc tacà via”, si attraversano con soste

paesi di Sommavilla, Pozzo, Borago, si fa sosta davanti al Cimitero a Castello e quindi

si arriva alla Chiesa Parrocchiale dove si celebra la terza Messa, qui la gente è molto

più numerosa.

A Castelletto il giorno precedente, il 10 di luglio, c’è la Festa della Madonna della

Salute, Festa dell’Agola, anche questa è una festa ex-voto per scampato pericolo

dopo il colera.

L’antico protettore contro le epidemie era San Rocco e prima ancora c’era San

Sebastiano, per essere sicuri che ci fosse l’aiuto di tutti e due, tante volte si

festeggiano entrambi, a Magugnano.

Tante volte queste feste sono l’occasione per conservare anche degli aspetti

caratteristici, per esempio si gioca a “trisàc” un gioco di carte che si fa unicamente in

questa zona e in alcune zone del basso Trentino, quindi è molto limitato come

diffusione. Un altro gioco caratteristico è la “morra”.

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Abbiamo visto che le sagre sono collegate a epidemie oppure alla transumanza,

all’allevamento, qui vediamo la località “Le Cà”

che si trova nella zona del “Magengo” che poi è il “Mont”, siamo sugli 800 – 900

metri, all’altezza della zona delle castagne, quando portavano il bestiame in Prada,

non facevano una tratta unica, anche perché magari partivano in aprile e certe volte

in quel periodo in Prada c’è ancora la neve, quindi si partiva a San Zeno, il 12 di

aprile, per essere sicuri seguivano delle date (giorno più, giorno meno) che venivano

dalla tradizione, prima però di arrivare in Prada si fermavano agli 800 – 900 metri al

“Mont”, quello denominato “Le Cà” è la zona del “Mont” di Castelletto, perché ogni

paese aveva il suo “Mont”, quelli che avevano la casetta qua praticamente erano

quasi tutti di Castelletto, quindi la gente andava su, sistemava la casa, faceva dei

lavori, lasciava il bestiame per qualche settimana fino a quando veniva l momento di

portarlo in Prada, questo dopo circa un mese, e là lo consegnavano ai malghesi

perché solitamente quando il bestiame era al “Mont” veniva accudito dai proprietari

e quando veniva portato in Prada veniva lasciato ai malghesi del posto che erano poi

quasi tutti di origine della zona, quindi di Brenzone. Qui a “Le Cà” dove si

concentrano alcune case, c’è anche una chiesetta. Il ritorno si effettuava in ottobre,

a San Michele, il 29 settembre, finiva l’alpeggio in Prada e là c’era la Sagra di San

Michel che è stata recuperata una trentina di anni fa e adesso è una delle più attive,

nel ritorno da Prada si fermavano ancora a “Le Cà” ed era l’occasione per raccogliere

le castagne, si iniziava questa raccolta. La chiesetta non è antica, è stata costruita nei

primi del ‘900, è dedicata a San Francesco per cui di solito fanno la festa il 4 ottobre,

ma è dedicata a San Francesco Saverio, a San Francesco di Sales e a San Francesco

d’Assisi, l prete che l’ha promossa l’ha dedicata a tutti e tre questi S. Francesco,

quindi al rientro da Prada si fa la festa di San Francesco.

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Naturalmente perché le sagre continuino ed abbiano un certo risultato devono

avere alle spalle un gruppo che le sostiene, qui per esempio c’è il gruppo degli alpini

di Castelletto, a Torri c’è un Comitato che cura la Festa di Sant’Antonio, è come una

specie di confraternita, anche a San Faustino dove la chiesa è privata, insomma ci

deve essere un gruppo alle spalle tanto è vero che quando il gruppo si scioglie

finisce anche la sagra, non si fa più, in quanto appunto manca il gruppo che cura

l’organizzazione.

La Messa a “Le Cà” è all’aperto, naturalmente il panorama è stupendo, si arriva da

sotto a piedi o con la macchina attraverso una zona privata dei sordomuti di san

Zeno di Montagna. L’aspetto conviviale viene curato dal Gruppo Alpini, le penne col

ragù sono l’alimento base della festa.

Un’altra sagra, sempre in territorio di Brenzone, in Prada, a Madonna della Neve, qui

c’è il Palazzo dei Carlotti.

Durante la peste del 1630 i Carlotti volevano sfuggire all’epidemia e si sono costruiti

un “palazzaccio” siamo sui 1500 metri di altitudine in un posto che è un incrocio di

mulattiere che vanno verso Lumini, verso Caprino, oppure verso il lago, alla fine poi

dell’epidemia, anche loro come ex-voto hanno eretto una chiesa, la chiesa della

Madonna della Neve appunto, ma il nome prende origine da un miracolo che è

avvenuto a Roma nel IV secolo e aveva avuto una così grande risonanza che il

termine Madonna della Neve si è diffuso dappertutto. C’è una grande festa dedicata

alla Madonna della Neve a Colà, c’è questa, e ce n’è una verso Avio, sul Baldo

Trentino. Questa di Brenzone in origine era la messa dei malghesi, oggi i malghesi

sono pochi ma ci sono tanti turisti ed escursionisti che prendono l’occasione per

andare a questa festa. Anche questa è una festa che è stata ripresa; dopo la Seconda

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Guerra Mondiale molte feste erano scomparse, la Guerra come si sa crea dei traumi,

e forse anche la voglia di dimenticare il passato ha fatto sì che molte feste

decadessero, dopo ci si è accorti che non si può dimenticare tutto ma qualcosa si

deve tenere visto che l’alternativa è non avere niente, allora hanno ripreso queste

feste. Questa della Madonna della Neve è stata ripresa dal CTG con Delibori e il

maestro Marangoni di Caprino, questa come altre feste che hanno avuto un buon

successo. Anche la festa di San Michel in Prada era quasi scomparsa, adesso è

diventata una fiera. Dopo la festa si va sulla malga, che è la malga dell’Ortigara, dove

si mangia con menù completo e qui è a pagamento naturalmente con costi quasi

simbolici, queste malghe sono molto caratteristiche, sono chiamate “le navi” perché

sembrano delle navi che puntano verso il lago. Anche qui l’afflusso di gente è

notevole.

Un’altra festa della Madonna della Neve si fa a Malcesine dove c’è l’arrivo della

funivia, una volta andavano a quella che c’è in Trentino, poi, essendo distante,

hanno fatto una chiesetta per ricordare questa Madonna della Neve.

Scorrendo le foto viene mostrata quella della “Fintana querta” Fontana coperta, si

trova sulla strada per andare a “Le Cà”.

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A Malcesine ci sono le feste dei Santi Benigno e Caro, i due eremiti che vivevano

sopra Cassone a oltre 800 metri di altitudine dove c’è l’eremo.

Le ossa sono in un’urna a Malcesine, per aprirla ci vogliono tre chiavi che sono

custodite da tre persone diverse, per essere sicuri che nessuno le porti via. Al giorno

d’oggi le reliquie non hanno un significato particolare ma un tempo erano

importantissime perché avere una reliquia di qualche santo voleva dire avere la sua

protezione. C’è da dire che non badavano tanto per il sottile per potersele

procurare, per esempio i Veneziani hanno rubato le reliquie di San Marco in Egitto,

lo hanno messo su una nave in mezzo a carne di maiale in modo che i musulmani

non la controllassero, anche Santa Lucia è arrivata a Venezia attraverso qualche giro

non proprio chiaro, il furto delle reliquie era una cosa che succedeva normalmente.

A riguardo dei Santi Benigno e Caro, raccontano che, essendoci una rivalità fra gli

abitanti di Cassone e quelli di Malcesine, quelli di Cassone sono chiamati “ciusa

santi” cioè quelli che prendono in giro i Santi perché secondo la tradizione sono

quelli che hanno fatto la spia quando nel romitorio dove c’erano questi due santi

che non erano fratelli come alcuni pensano, Benigno era il priore e Caro era il

discepolo, c’era una donna, Santa Olivetta o Oliva, che dicevano venisse dalla

sponda Bresciana e andava a fare le faccende domestiche agli eremiti, veniva senza

farsi vedere da nessuno, alcuni di Cassone hanno fatto la spia al Vescovo e lui ha

mandato un ispettore per vedere cosa succedeva, quando arriva all’eremo non c’era

niente da dargli da mangiare, San Benigno allora disse a Caro di andare nell’orto a

cercare qualcosa, lui va e gli porta le rape, non era la stagione delle rape, erano state

piantate la sera prima e il giorno dopo erano già cresciute, da qui il detto: “le è come

le ràve de San Benigno e Caro” per indicare qualcosa che cresce in fretta. Visto

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questo l’ispettore del Vescovo disse che loro non avevano fatto niente di male e gli

diede l’assoluzione.

Al tempo Cassone era nel Comune di Brenzone, poi sono stati cacciati e sono andati

sotto il Comune di Malcesine, come quasi per punizione, dicono che questo fatto

nascondesse un altro aspetto, cioè che quelli di Malcesine avessero rubato le

reliquie di San Benigno e Caro che erano a Cassone, da qui questa storia del furto

delle reliquie e in alcuni aspetti anche folkloristici bisogna saper estrarre anche

qualche aspetto reale. Dicono che le due teste di notte si spostano e il giorno dopo

si ritrova la testa che era a sinistra a destra e viceversa. Questo è interessante

perché si vede il contorno che c’era attorno alla figura di questi due Santi Eremiti,

come le rape, o quello della merla, era tutta una mitologia che si creava, erano

storie che si raccontavano nei “filò”, quando non c’era la televisione, la gente si

radunava nelle stalle e si raccontavano le storie ed erano anche queste storie, e

c’era sempre quello che aggiungeva qualcosa, più uno aveva fantasia più era

considerato bravo e ricercato, tutti questi aneddoti poi diventavano eterni perché

poi chissà da quanto tempo raccontano di questo. San Benigno e Caro comunque

sono esistiti, non erano completamente immaginari, ma anche qui, come in altri

aspetti, storia e leggenda si mescolano. Il fatto che vengono chiamati a Verona per

spostare il corpo di San Zeno da una chiesa all’altra dicono sia realmente accaduto.

Traslazione di San Zeno: i santi Begnino e Caro trasportano il corpo di san Zeno; Basilica di San Zeno,

Verona.

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Una curiosità riguardante Malcesine, vicino al castello c’è il vicolo più stretto al

mondo, si chiama “Pica l’of” dovrebbe essere largo 70 centimetri, ricorda un lupo

che si era perso sul Baldo e terrorizzava il paese, venne inseguito dagli abitanti che

lo incastrarono n questo vicolo e riuscirono ad ucciderlo, nella zona poi c’è il fiume

Aril, a Cassone, che è considerato il fiume più corto del mondo con i suoi 173 metri

di lunghezza, è un fiume e non un torrente perché ha sempre acqua, cioè non si è

mai asciugato anche se dicono che nel 2003 quando c’è stata la famosa siccità, per

poco tempo si è fermato l’afflusso di acqua ma sembra che nessuno l’abbia reso

noto quindi è sempre rimasto fiume.

I Santi Benigno e Caro si trovano anche nella Chiesa di San Giovanni a Torri, questo

indica che il loro culto era diffuso anche nelle zone vicine. Una curiosità: mio

bisnonno si chiamava Benigno, suo fratello Caro e sua sorella Oliva ed erano di Torri.

A Malcesine ci sono 40 capitelli intitolati a questi Santi.

Sulla strada che porta da Cassone all’eremo dei Santi si trova il Capitello della Merla

che ricorda il miracolo della merla appunto. E’ posto sulla Valle del Torrente che è

quella che comprende il Baloc tacà via, la valle del Torrente quindi non è aperta fino

in fondo ad Assenza ma si ferma perché ostruita dal Baloc come abbiamo visto

precedentemente.

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Tornando alla Merla, quando San Benigno parte per andare a Verona perché

chiamato dal Vescovo, trova una merla che lo blocca sulla strada starnazzando,

praticamente è il simbolo del demonio, che cerca di fermarlo, lui gli ordina di

fermarsi lì, lei si blocca, al ritorno poi si dimentica di togliere la maledizione e quindi

la trova morta stecchita e allora si dice che abbia fatto un periodo di digiuno ad

espiazione, allora rispettavano molto gli animali questi eremiti. Il capitello è del

1837 ed è stato fatto a ricordo di questo episodio.

La chiesa che c’è all’eremo venne costruita con le rimesse degli emigranti

dell’America, gli emigranti di Malcesine e di Cassone che erano andati in America

mandavano i sodi per fare questa chiesa.

L’eremo non era dove c’è la chiesa ma vicino, nella roccia.

Alla festa dei Santi, dopo la messa si fa una processione molto breve, si parte dalla

chiesa e si va sul bordo della valle, il panorama è uno spettacolo unico. Malcesine e

Cassone fanno due feste distinte, il 27 luglio quelli di Malcesine, il giorno della morte

degli eremiti, e invece il 16 agosto quelli di Cassone, non riescono ad unificare la

festa. C’è sempre la gara a chi fa la festa più ricca.

Un’altra curiosità e anche una cosa bella da vedere a Malcesine è il Triduo. C’è una

confraternita che cura l’allestimento di questo Triduo, organizza delle lotterie per

autofinanziarsi. C’è la “macchina del Triduo” che è praticamente tutto il supporto

tutto lo scheletro, l’intelaiatura che sostiene le candele. Questo Triduo di Malcesine,

a differenza di altri, è originale perché le candele sono vere e proprie candele,

mentre per esempio in un altro paese dove si fa, un paese del Basso Lago Bresciano

all’interno, in Val Vestino, mi sembra Magasa, adoperano candele elettriche. A

Malcesine sono 627 candele e ricordano tutti i capo famiglie di Malcesine che hanno

fatto per ex-voto questa festa che era una festa dei morti, venivano ricordati i morti

Page 15: Conoscere il Baldo - Garda - CTG - 6. Ambiente e tradizioni

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del tempo, allora morivano come le mosche, sia per epidemie sia per le guerre, in

quei tempi, ai primi del ‘700 quando hanno fatto questo apparato, c’era la Guerra di

Secessione Spagnola che ha interessato i nostri paesi del Lago, e ha provocato

numerosi morti.

Entrando in Chiesa si vede una tenda tirata davanti all’altare, questo per nascondere

quelli che stanno preparando accendendo le candele, questo c’era anche a Torri fino

all’inizio del ‘900 poi non l’hanno più fatta e le assi dell’impalcatura le hanno messe

a San Giovanni nella Chiesa sconsacrata dove erano accampati dei soldati francesi

che per scaldarsi hanno bruciato tutto. Le statue che fanno parte di questo arredo è

Barocco, infatti è un esplosione di Barocco, un colpo d’occhio notevole, il gusto

Barocco che deve colpire i sensi, una persona che vede questo spettacolo deve

uscire con i sensi soddisfatti.