Conflitto Di Coppia

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famiglia domani 33/1 supplemento al n. 4/2004 di Famiglia domani M IL DOSSIER DI QUANDO LA COPPIA... SCOPPIA Come controllare, gestire, evitare, il conflitto di coppia

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Come gestire i conflitti nella coppia

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famigliadomani

33/1

supplemento al n. 4/2004di Famiglia domani

M

IL DOSSIER DI

QUANDO LA COPPIA... SCOPPIACome controllare, gestire, evitare,

il conflitto di coppia

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Per porre la questione ...................................................................... pag. 3

1. Dare un nome al conflitto ........................................................... " 4

Dialogo di coppia ....................................................................... " 6

2. Un linguaggio da interpretare .................................................... " 7

Dialogo di coppia ....................................................................... " 9

3. Gestire il conflitto ........................................................................ " 10

Tra madre e figlia. Un (quasi) litigio ........................................... " 11

4. Prevenire il conflitto .................................................................... " 12

Per l’animazione degli incontri. I nostri momenti difficili ........... " 13

5. Sei verbi per amare. E per gestire il conflitto ............................... " 14

La metafora della trota ................................................................ " 15

6. La comunità cristiana e le coppie in crisi ..................................... " 16

Dossier n.4 - Supplemento al n. 4/2004 di “Famiglia Domani”Il presente Dossier è stato curato da Luigi Ghia

Impaginazione a cura di Claudio Varetto – www.negrinievaretto.com

Sommario

FEDELI NELLA DIFFERENZA

prossimo numero:

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Per porre la questione

Johnatan: Va bene, non ho voglia di discutere, Sandy.Perciò siamo d’accordo che non siamo d’accordo. Okey?E non scocciare. Okey?…

Sandy: Se ho capito io dovresti capire anche tu.Johnatan: Non costringermi ad insultarti.

(dal film: CONOSCENZA CARNALE)

Ci sono giorni nella vita di coppia in cui la comunicazione diventa difficile. Il conflitto è sempre in agguato, sornione, imprevedibile, improvviso come un uragano devastante. A volte basta un piccolo malinteso, una parola un po’ vivace, un momento di stanchezza, per far emergere un attrito che ha radici più profonde.

Quando un conflitto è chiaro, lineare, diretto la sua risoluzione è probabilmente più facile. Il problema vero, però, è che i conflitti sono il più delle volte obliqui, indiretti, ambigui. In essi infatti mettiamo in gioco la nostra immagine, che addirittura diventa più importante del problema che li ha generati. Si instaurano complessi meccanismi di accettazione/non accettazione, di conferma/disconferma, di controllo dell’aggressività latente, di timore di ferire l’altro e contemporaneamente di mettersi al riparo dalle sue reazioni aggressive. Per questo il conflitto va prima di tutto “razionalizzato”, sottratto all’area emotiva in cui rischierebbe di assumere una dimensione incontrollabile. Ma non basta prendere coscienza del conflitto, occorre dargli un nome. Poi va interpretato, perché il conflitto è un linguaggio. E va gestito con un equilibrio che preveda anche la capacità di convivere con esso, forse – e questo vale soprattutto nel rapporto di coppia – per un lungo periodo, senza farsi reciprocamente (troppo) del male. Ma il conflitto può anche essere prevenuto.

Questo è il percorso che vogliamo fare con i nostri lettori (educatori, formatori, ma anche fidanzati e giovani coppie di sposi) in questo Dossier. Il messaggio che vogliamo far passare vorrebbe essere rassicurante, anche se non superficiale. Non stupiamoci dei conflitti, sono un momento normale della vita di coppia, spesso un’occasione di crescita.

Dice Louis Evely: “Gli attriti sono segno che c’è ancora un contatto. Quando non ci sono più attriti, vuol dire che non c’è più alcun contatto. Quando non ci si spiega più, quando non si discute più, significa che ogni speranza di capirsi è andata ormai smarrita. Il silenzio uccide l’amore” .

Buona lettura!

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1 - Dare un nome al conflitto

Un conflitto interpersonale è qualcosa di più e di diverso di un disaccordo, di una divergenza d’opinioni, di una polemica o, più semplicemente, di una discussione. Nel disaccordo su una scelta, nel dare un giudizio etico differente ad un avvenimento, in una polemica su una scelta politica, nella discussione anche appassionata per trovare una soluzione ad un problema, il conflitto (che è sempre fra due o più soggetti) può risultare estraneo. Può… anche se il confine in realtà è assai labile per il rischio di personalizzazione dell’attrito in atto. Un esempio di personalizzazione:

Simone: Ciao, Silvia, sono arrivato…Silvia: … (silenzio)Simone: Ehi, dico, mi hai sentito arrivare?Silvia: Va bene, non rompere…Simone: MA CHE COSA TI HO FATTO?Silvia: MA PERCHE’ DEVI SEMPRE PENSARE DI ESSERE AL CENTRO DI TUTTO?

In effetti tutti quegli elementi comunicativi che abbiamo citato potrebbero, anzi dovrebbero, avere la funzione di costruire un’armonia tra i comunicanti, eliminare gli elementi di incomprensione, le ambiguità interpretative, di costruire un consenso. E tuttavia la motivazione alla ricerca di un consenso può cadere di fronte al bisogno di autoaffermazione presente nei “comunicanti”, un bisogno che spesso si costruisce a spese dell’altro (e della ricerca di un accordo) con il rischio di trasformare l’interlocutore in un “avversario”. La discussione può diventare allora strumento di contrapposizione, di squalificazione dell’altro, di sopraffazione e dunque di conflitto.

In questo caso sarà bene mettere a fuoco le “strategie comunicative”: vedere cioè come si articola uno scambio comunicativo di tipo conflittuale, lasciando il perché (vale a dire le motivazioni che lo sostengono) – un elemento assai più complesso che non abbiamo qui titolo per trattare – al lavoro degli psicoterapeuti. Incominceremo dunque con il dare un nome ai conflitti (o almeno ad alcuni di essi). Non tutti hanno – per ognuno di noi – la stessa importanza dipendendo da numerose variabili (il luogo in cui si manifestano, la posta in gioco, l’impatto sulla nostra vita). Inoltre va detto che non sono alternativi, ma possono coesistere fra loro, anche nella medesima manifestazione conflittuale.

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• Conflitti di tipo organizzativo: riguardano le modalità di vivere assieme i vari momenti della vita quotidiana. Nel periodo di rodaggio di due giovani sposi sono molto frequenti.

• Conflitti di provocazione: Ognuno di noi, nella relazione con l’altro, vuole essere riconosciuto per quello che è, e non per quello che l’altro vorrebbe che fosse. Di qui, spesso, la tendenza a punzecchiarsi, a provocare il partner per stabilire un riconoscimento reale.

• Conflitti ideologici: ci sono diversità che, nonostante le buone intenzioni iniziali, per due sposi è spesso arduo gestire. E’ il caso delle differenti “visioni del mondo” alle quali difficilmente siamo disposti a rinunciare. In effetti, la relazione tra due persone che posseggono la medesima opinione politica, la stessa tensione verso un impegno sociale, la medesima fede religiosa, principi educativi omogenei, ecc., sarà sicuramente più facile rispetto a quella tra due partner che si trovano divisi su questi elementi dell’esistenza umana. Ma conosciamo peraltro coppie “miste” che vivono un ottimo accordo nonostante queste differenze.

• Conflitti di carattere: attivo/passivo; esuberante/remissivo; aperto/bloccato; ecc. … Spesso occorre arrivare pazientemente ad una mediazione, capace di far crescere entrambi. Questi conflitti non si gestiscono azzerando le differenze. Il conflitto a saldo “zero” è un’opzione teorica che non prevede l’elemento più importante: la crescita dei partner attraverso il conflitto stesso.

• Conflitti generazionali: tipici quelli tra genitori e figli, ma anche tra coniugi o fidanzati con famiglie d’origine portatrici di valori disomogenei interiorizzati fortemente dai partner. Vanno inclusi in questa categoria anche gli scontri su problemi di eredità, di denaro.

• Conflitti (intra)personali: Si tratta di conflitti che si generano all’interno dell’Io del soggetto tra desideri e valori contraddittori. “… Vorrei essere mite, arrendevole… ma non riesco a controllare la mia aggressività…”

Tutti questi conflitti creano modalità comunicative (il come si comunica) spesso assai differenziate ed occorre un lungo lavoro di introspezione (su se stessi!) e di mediazione (nel rapporto con l’altro) per recuperare un modus vivendi accettabile.

L’espressione “sono fatto/a così…” (che si sente spesso) è dunque da abolire! E’ rassegnazione, non cammino di crescita.

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Dialogo di coppia

Beatrice (B.) ed Angelo (A.) sono nel soggiorno della loro casa. Angelo, seduto in poltrona, guarda la televisione….

B. Che cosa facciamo domani?

A. Cosa…?

B. Domani è domenica, che cosa facciamo?

A. E che ne so, io?

B. Potremmo mangiare a casa nostra…

A. … Non ne ho voglia…

B. E perché, no?

A. E’ tutti i giorni la stessa cosa…

B. Eh, va beh…! Hai un’idea migliore?

A. Senti… ho mal di testa…

B. E’ quello che dici ogni volta quando non sai che cosa rispondere…

A. Certo… Certo… Come se tu avessi lavorato, oggi…

B. La solita storia. Sicuro… Non faccio che annoiarmi tutto il giorno!

A. Ma perché vuoi sempre discutere non appena mi siedo a guardare la televisione?

B. No, scusa… Ti rendi conto che non fai altro? Quand’è che si può parlare...?

A. Almeno la sera lasciami tranquillo!

B. Ah, si! Sono io che la devo piantare…

A. Non ti sembra di esagerare?

B. Esagero? IO? E tu che cosa hai fatto?

A. Se continui a discutere preferisco guardare la televisione.

B. Questa maledetta televisione…! Un giorno o l’altro la butto dalla finestra…

A. Ogni sera la stessa lite. Ecco che cos’è il nostro matrimonio…!

B. Bene! Magari non ci fossimo sposati… Lo dico davvero!

A. Talvolta mi sembra di sentire tua madre!

B. Lascia stare mia madre. Lo so che non puoi soffrirla…

A. SEMPRE LA SOLITA STORIA…

Questo dialogo può essere proposto ai fidanzati o alle coppie sposate che incontriamo chiedendo loro:

• Che tipo di conflitto si è instaurato in questa coppia?

• Che cosa non funziona nella coppia?

• Quale consiglio dareste ad Angelo e Beatrice?

• Quali regole (almeno 5) vi sentireste (o tentereste) di rispettare in un conflitto simile?

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2. Un linguaggio da interpretare

Il conflitto è un linguaggio. Ogni linguaggio è da interpretare. Anche quando chiediamo l’ora ad un passante il nostro tono di voce, la scelta dell’interlocutore, i gesti, possono rivelare ansia, fretta, semplice curiosità…Non esiste un linguaggio indifferente, neutro. Così è per il conflitto. Occorre riconoscerlo (prima di tutto all’interno di noi stessi…). Occorre anche avere il coraggio di accettarlo, di entrare in conflitto con gli altri. (Ed è tutt’altro che facile).

Il conflitto fa parte della nostra vita. Nel rapporto di coppia in particolare; ma anche nel rapporto tra genitori e figli, tra fratelli, tra fratelli e sorelle, nell’ambiente di lavoro.

In tutte queste occasioni il conflitto non nasce per caso, anche se talvolta basta pochissimo per farlo esplodere: la fatica quotidiana; i problemi di salute (basta un mal di testa improvviso…); la mancanza di sonno o un’insonnia prolungata; un lavoro difficile che ci preoccupa, oppure la mancanza di lavoro; i problemi legati alla nostra sessualità; i figli. Sono tutti “detonatori” di un conflitto, di sicuro già latente. Questi detonatori hanno la capacità di richiamare altri conflitti irrisolti, dormienti. Essi non aspettano altro che di riemergere alla nostra coscienza. D’altra parte, va detto che la risoluzione di un conflitto è più facile quando sappiamo d’avere già risolto conflitti analoghi.

L’importante è non rimuovere il conflitto. La rimozione è un “meccanismo di difesa” molto pericoloso. Il “materiale” (psicologico) rimosso (cioè “dimenticato” in un angolo del nostro inconscio) tenderà prima o poi, quando meno ce lo aspettiamo, a riemergere, con effetti spesso devastanti. I conflitti vanno quindi sempre fatti emergere, riportandoli a livello conscio.

I conflitti però fanno paura. Paura di perdere la persona amata, di ferirla al di là della sua (presunta) capacità di resistenza, paura delle reazioni, del risentimento, del rancore che può generarsi nell’interlocutore e che temiamo di non essere in grado di sopportare (il rancore è veramente il primo elemento del conflitto da eliminare), paura di essere sconfitti nella lotta per il potere che si scatena in una relazione conflittuale.

In questa analisi dobbiamo essere estremamente lucidi. Dobbiamo subito chiederci: “Che cosa mi dice il conflitto? Perché ne ho paura?”.

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C’è una seconda domanda: “Come mi comporto normalmente in caso di conflitto (emergente o già in atto)? Che cosa mi suggerisce il mio comportamento?”.

Ecco alcune modalità abbastanza comuni bene espresse dalla nota espressione “tirare la pietra e nascondere la mano”. Qui i dettagli sono importanti perché spesso il conflitto transita attraverso particolari elementi comunicativi, come l’enfasi data ad un’espressione; un avverbio rafforzativo (“E tu, ALLORA?”); risposte “implicite” (Gianna: “Dove stai andando?” Matteo: “Esco…”), risposte tangenziali (Gianna: “Guarda che bel cane!”: Matteo: “I cani impegnano troppo…”); impertinenze comunicative (Lei: “Ma perché ci siamo sposati…?!” Lui: “E già, mica mi ricordo perché!" [da un film di Nanni Moretti]); fingere di non capire; volontà di non capire; malintesi provocatori (Madre: “Mi posso anche sbagliare…”. Figlio: “Sì, sì, certo…"); sottintesi, ecc. Non va dimenticato, infine, che l’espressione del corpo riveste nel conflitto una straordinaria importanza. Nel rapporto di comunicazione ci sono gesti, spesso inconsci, che rivelano noia e disinteresse anche quando fingiamo di dimostrare interesse per quanto il partner ci comunica. Per esempio, posso dire al partner che ha frainteso un mio gesto, ma nel frattempo abbassare gli occhi per evitare di guardarlo direttamente in faccia… ecc. Questo richiama un principio fondamentale. La cosa più importante nel rapporto tra due persone è di essere confermate reciprocamente: confermate come persona, cioè come soggetto agente; e confermate nella verità e nella percezione corretta dei reciproci sentimenti e delle reciproche emozioni. Giorgio rientra a casa dal lavoro e Mara si affretta a raccontargli gli avvenimenti della sua giornata. Giorgio per qualche momento la ascolta, poi, a poco a poco, si lascia afferrare da altri pensieri.

Mara: Ma ho l’impressione che tu non mi stia ascoltando, ti sento lontano…

La risposta potrebbe essere:

Giorgio: No, non è vero, ti ascolto… Oppure:Giorgio: Sei tu che pensi che io non ti ascolti…

Con queste risposte, però, non avrebbe né confermato né disconfermato la validità del sentimento di Mara in merito alla lontananza del partner, ma solo l’impressione della donna di non essere ascoltata. Pertanto l’unica risposta che Giorgio avrebbe potuto dare sarebbe stata:

Giorgio: Hai ragione, Mara, ti prego di scusarmi.

Ognuno di noi, per diventare, essere e sentirsi veramente persona ha un bisogno insostituibile di essere confermato.

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Dialogo di coppia

Marco (M.) ha perso il lavoro ed è in mobilità, Daniela (D.) è infermiera all’ospedale e, rientrando a casa , trova il marito seduto davanti al televisore, concentrato sul suo programma preferito.

D. Ciao, Marco, ci sono…

M. … (silenzio)

D. Non mi dici nulla, neanche ciao!?

M. Ciao!

D. Sei stato dal macellaio?

M. Che cosa hai detto? Non ho capito.

D. Se sei andato a comperare la carne dal macellaio…

M. Ah, no, non ho avuto tempo.

D. Come, non hai avuto tempo…!?

M. … (silenzio)

D. Potresti almeno dire che ti dispiace…

M. Va bene... mi dispiace, MI DISPIACE, ma adesso lasciami finire di vedere in pace il telefilm...

(dopo dieci minuti)

D. La cena è quasi pronta.

M. Mi riposo ancora dieci minuti, poi arrivo.

(a cena)

D. Hai fame? Va bene la cena?

M. Può andare…

D. Non si può dire che sia proprio un bel complimento…

M. Che cosa ti aspetti, che vada in visibilio per una cena tiepida?

D. Non è colpa mia se impieghi un’eternità a venire a tavola…

M Lo sai che non mi piacciono gli spaghetti….

D. Te l’avevo detto di andare a comperare la carne…

M. Hai intenzione di farla lunga con quella MALEDETTA BISTECCA che non ho comperato?

D. … (silenzio)

(dopo cena)

M. Ciao, io esco.

D. Dove vai?

M. Vado per un lavoro…

D. Dopo cena? Pensavo che potessimo trascorrere una serata assieme.

M. Mi vedo con Walter al bar, mi ha promesso un aiuto, E NON PRENDERE QUELL’ARIA DELUSA, lo faccio per noi, no?

D. Va bene… ciao.

• Che cosa non funziona nella coppia?

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3 - Gestire il conflitto

Abbiamo già detto che il conflitto non va rimosso. L’unico modo per non rimuovere il conflitto è gestirlo, tenerlo cioè sotto controllo fin dal suo insorgere. Il conflitto esiste sempre in una coppia, ed è necessario per passare da un amore idilliaco (inesistente) ad un amore maturo basato sul principio di realtà.

Per ottenere questo risultato occorre evitare alcune cose e aver cura di farne altre. Lo scopriamo con l’aiuto di Paolo Tolomelli (vedi Matrimonio in crisi? Una recita a due, Famiglia Domani n. 4/2001)

A. Che cosa non bisogna fare (mai…!): • Essere troppo meticolosi nell’analizzare il perché della crisi. Analitici, sì; pignoli, no. Ci

sono coppie che quando analizzano la crisi sono spietate (in genere però nei confronti dell’altro… raramente di se stessi). Questo provoca un fondo di sofferenza difficile da recuperare.

• Rinvangare il passato• Cercare il colpevole (anche perché ognuno può avere la sua parte di responsabilità)• Coinvolgere estranei, cercare alleanze (con i figli, i genitori, gli amici…)• Spostare il problema. Il conflitto va circoscritto al vero problema, mai allargare il campo

conflittuale.

B. Che cosa bisogna fare:

Scrive Paolo Tolomelli:

“E’ necessario invece individuare quali sono le questioni vere, scomponendole ed affrontandole senza impulsività, con calma, sapendo di volta in volta attendere e stimolare con un amore che non giudica, consapevoli che nel nostro cammino di coppia procediamo a velocità diverse, con umore diverso, con vedute diverse (entrambi legittime!)… Sforziamoci piuttosto di vedere la situazione nella sua completezza, astenendoci di assolutizzare i frammenti di verità che possediamo…

Vorremmo aggiungere che spesso può essere utile farsi aiutare da un esperto a trovare il bandolo di una matassa arruffata che noi da soli, troppo coinvolti nel conflitto, non riusciremmo a districare. Un po’ di umiltà nel riconoscere i nostri limiti non guasta, soprattutto se è in gioco il benessere della coppia.

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Tra madre e figlia. Un (quasi) litigio

Questo dialogo (reale) tra una madre e una figlia (emiliane) è tratto da: Marina Mizzau, E tu allora? Il conflitto nella comunicazione quotidiana, Il Mulino, Bologna 2002, pp.69-70.

(il MAIUSCOLETTO indica il volume alto).

La madre va a trovare la figlia a casa sua:

F: Mamma vuoi una spremuta?

M: No… grazie sto bene

F: Sei sicura di non fare complimenti?

M: No… scherzi non ho mica fame

F: Beh ma una spremuta non la bevi mica perché hai fame ti fa bene per le vitamine

M: NO… ma va la che stai a sporcare

F: ALLORA vedi che fai delle sciocchezze?

M: No…ma si fa uno sporco con le arance

F: INSOMMA MAMMA È MAI POSSIBILE che tu sia sempre così… che non si sa mai se una cosa la vuoi o no

M: Beh allora la prendo

F: NO GUARDA, SE DEVI FARE UN PIACERE a me puoi anche risparmiartelo… oh… per una spremuta

M: ASCOLTA MO' io non dico che non mi va ma non è che ne abbia una gran voglia

F: ALLORA DIMMI SUBITO CHE NON NE HAI VOGLIA

M: Ma io te l’ho detto… come sei nervosa…

F: SON NERVOSA? …QUANDO sei qui da me sei sempre… sembri in casa di estranei… non si capisce MAI come la pensi

M: Io non ti voglio mica disturbare perché non voglio pesare che ancora non sono SCLEROTICA sai…

F: IO NON TI STO DICENDO CHE SEI sclerotica dico che tu non vuoi mai disturbare e poi alla fine mi fai venire una ra… un nervoso

M: Ve mo’ che bel LAVORO vengo a trovarti e ti faccio venire il nervoso ALLORA non vengo più che tanto quando si è vecchi non ti vuole più nessuno… si è tra i piedi a tutti, anche i figli

F: MAMMA ADESSO basta… vuoi un cioccolatino buonissimo?

M: BEH… se… non ti disturbo

F: MAMMA RICOMINCI? Basta… prendi… solo uno che hai il colesterolo alto.

Proviamo a discutere su questo dialogo.• Quando è iniziato il conflitto?• Chi ha cominciato?• Di che cosa si litiga?• Quali elementi vengono messi in gioco?• Aiuta la relazione l’atteggiamento vittimista?, ecc.

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E’ vero che i conflitti sono normali, in un certo senso inevitabili, quando si manifestano vanno gestiti con intelligenza, ma... si possono anche evitare. Quando non c'è il conflitto la vita sembra più rosea, più accettabile, la relazione diventa gratificante. Per questo è bene imparare a prevenirli. E’ come per le malattie: una polmonite si cura, è vero, ma si può anche prevenire in vari modi…

I conflitti si possono prevenire già nel tempo del fidanzamento, che è un tempo da non sprecare, un tempo “di grazia”.

Durante il fidanzamento è bene dedicare molto tempo alla conoscenza reciproca; a “crescere” in autonomia e responsabilità; a imparare ad avere competenza ed equilibrio nel prendere le decisioni (anche sul piano economico e finanziario) distaccandosi emotivamente e rendendosi autonomi dalla famiglia di origine; a raggiungere un’intesa affettiva appagante; ad abituarsi alle nuove relazioni (la famiglia del partner, i nuovi amici, la nuova comunità…); a cogliere le differenze reciproche e imparare ad accettarle.

Il dialogo, quello vero, basato sulla comunicazione delle emozioni e dei sentimenti deve essere messo al primo posto. Non basta amarsi: occorre dirsi l’amore. Non basta sapere che siamo differenti: occorre dirsi le differenze. Non basta fare progetti, sognare castelli in aria: occorre dirsi il progetto.

Questa “preparazione” alla vita di coppia non vaccina contro i conflitti, ma rappresenta già una base solida per prevenirli.

4 - Prevenire il conflitto

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Non sempre la comunicazione è facile. Spesso è faticosa, frustrante, bloccata, fatta di lunghi silenzi… E poi… basta un piccolo malinteso, una parola fuori posto, un malumore per creare condizioni conflittuali. Il conflitto era già in atto, certo, ma questi momenti difficili lo hanno fatto esplodere. Proponiamo questo esercizio da sottoporre ai fidanzati e alle giovani coppie, separatamente. Essi possono poi scambiarsi la scheda. Può servire per conoscersi meglio, per analizzare i momenti di difficoltà relazionale, i blocchi della comunicazione. E dunque per prevenire, arginare, gestire meglio il conflitto.

Per l’animazione degli incontri:

I nostri momenti difficili

è A volte, quando ci troviamo assieme, mi sento a disagio. Soprattutto quando…

è A volte discutiamo anche animatamente. Soprattutto quando…

è Talvolta mi deludi. Soprattutto quando…

è Talvolta mi sento poco compreso/a, poco valorizzato/a. Soprattutto quando…

è I nostri “momenti difficili” si verificano soprattutto quando…

è Credo di potermi modificare nei punti seguenti:

(Conservate la scheda e rifate il test di tanto in tanto nel corso del vostro matrimonio…!)

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1. OFFRIRE - E’ il verbo della disponibilità, ma anche della discrezione. Non aspettiamo che sia l’altro a chiedere, potrebbe non essere capace e in lui potrebbe insinuarsi il tarlo del rancore. Offri, anche se ti costa fatica, ma nel contempo non investire l’altro con offerte continue.

2. CHIEDERE – E’ il verbo della dipendenza, della debolezza e del coraggio. E’ riconoscere che siamo carenti. E’ inserire nella relazione un rapporto di franchezza e di fraternità.

3. DARE – E’ il verbo della condivisione, della gratuità. Dare ciò che si ha e ciò che si è, senza essere né sentirsi un donatore, per non alienare l’altro e lasciarlo libero.

4. PERDONARE – E’ la forma sublime del dono: anche nella coppia migliore c’è sempre qualcosa da perdonarsi a vicenda. Perdonare è cancellare il risentimento, calpestare l’orgoglio, costruire la pace che è il dono supremo. Il perdono non è un colpo di spugna, non è dimenticare. Se dimentico che dono sarebbe? E’ invece una nuova creazione. E’ consentire un nuovo inizio.

5. ACCOGLIERE – E’ la spiritualità del sì di Maria, è più di accettare ed è più di ricevere. E’ lo “svuotamento” per far posto all’altro, così com’è. Il simbolo più bello dell’accoglienza è il bacio, simbolo della reciprocità tra accogliere e donare, scambio dei soffi, delle anime.

6. RIFIUTARE – Talvolta occorre pronunciare il verbo dell’impossibilità. E’ sostituire relazioni fraterne, basate sulla franchezza, a relazioni mondane, basate sulla convenienza. Per rifiutare occorre discernimento, maturità, equilibrio, verità, reciprocità. Allora, quando rifiuto, so che rimango comunque nella cultura del dono.

E’ un orizzonte… ma perché non tentare almeno di intravederlo?

5 - Sei verbi per amare(...e per gestire il conflitto)

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QUANDO UNA TROTA ATTRATTA DALLA MOSCA ABBOCCA ALL’AMO E SI SCOPPRE INCAPACE DI LOTTARE LIBERAMENTE COMINCIA A DIBATTERSI E A GUIZZARE TRA GLI SPRUZZI. A VOLTE RIESCE A FUGGIRE.SPESSO PERO’ SOCCOMBE ALLA SORTE INELUTTABILE.

NELLO STESSO MODO, L’ESSERE UMANO IMPEGNA LA LOTTA CON LE CIRCOSTANZE AMBIENTALI, CON GLI AMI CUI RESTA AGGANCIATO.

A VOLTE SORMONTA LE DIFFICOLTA’, A VOLTE NE VIENE SOPRAFFATTO.

IL MONDO ALTRO NON VEDE CHE IL SUO LOTTARE, E NATURALMENTE LO FRAINTENDE. IL PESCE LIBERO STENTA A CAPIRE CIO’ CHE STA SUCCEDENDO AL PESCE PRESO ALL’AMO.

(da un’idea di Karl A. Menninger)

In quali “ami” siamo impigliati?Ci sentiamo “trote libere”?Se siamo “liberi” come ci comportiamo nei confronti delle “trote prese all’amo”?

...e noi?

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6. La comunità cristiana e le coppie in crisi

I conflitti riconosciuti, interpretati, gestiti, per quanto possibile prevenuti possono tuttavia portare ad una crisi di coppia. Spesso dolorosa, insanabile. Nessuno è vaccinato. La separazione di coppia è una possibilità reale, particolarmente accentuata nel nostro tempo. Come si pone la comunità cristiana nei confronti di queste coppie?

Il progetto cristiano, e quindi l’obiettivo di ogni lavoro pastorale, è far sì che tutti gli uomini e le donne vivano una vita pienamente umana nello spirito del Vangelo. Il “luogo” in cui la vita deve umanizzarsi è la quotidianità, in cui sono presenti successi ed insuccessi, amore e fragilità di relazioni, ombra e grazia. E’ qui che si realizza una filtrazione di senso e di salvezza. Anche la teologia del matrimonio e l’etica cristiana, che pure devono indicare l'ideale e l’orizzonte, non possono equiparare il divorzio al fallimento irreversibile, il fallimento alla condizione di peccato. L’etica cristiana deve presupporre sempre la realizzabilità della norma morale: se non lo facesse imporrebbe agli uomini e alle donne un peso che essi non sono in grado di portare.

Per realizzare questo obiettivo, le comunità cristiane devono operare una distinzione tra incapacità e immoralità. Scrive un grande teologo pastorale austriaco:

La fedeltà fallisce perché noi siamo moralmente infedeli o perché oggi essere fedeli è notevolmente più difficile? … Al paralitico non serve proprio a niente che lo si esorti a correre più veloce. Anzi, l’esortazione gli pianterà solo in modo ancor più doloroso nella coscienza la percezione che egli è paralitico e proprio non può correre. Similmente avviene a molti contemporanei: la fredda predica morale scoraggia perché dà un nome all’incapacità e la eleva alla coscienza nella sua ineludibile asprezza, ma non la elimina…

Paul M. Zulehner(Un rifugio per l’anima, Queriniana, Brescia 1997, pp. 76; 78)

Non è un compito facile. Il rischio del minimalismo è sempre in agguato, quanto quello del moralismo. In chi fa più fatica, in chi si sente un fallito perché non è riuscito a realizzare un progetto di amore “per sempre”, la comunità cristiana dovrebbe sempre riuscire a cogliere la sofferenza. E il Maestro non è mai passato accanto alla sofferenza senza fermarsi, non si è mai sottratto all’incontro con chi soffre. Come ha fatto Lui, la comunità cristiana non parla di misericordia in modo astratto, la attua concretamente.