CONCORSO REGIONE 2005 REGIONE 2005.pdf · di attenzione e una più meticolosa indagine sul ruolo...

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Istituto tecnico per Geometri G G u u a a r r i i n n o o G G u u a a r r i i n n i i Torino Anno scolastico 2004-2005 Traccia n. 2 La memoria degli orrori che si consumarono nei campi di concentramento nazisti, di cui ricorre nel 2005 il 60.mo della liberazione di Auschwitz, è un valore fondante per la moderna coscienza europea, simbolo di un comune e condiviso sentire. Il 27 gennaio 2005 segna, dunque, più solennemente che negli anni passati, la Giornata della Memoria. Ripensare Auschwitz a sessant’anni di distanza richiede uno sforzo supplementare di attenzione e una più meticolosa indagine sul ruolo che la memoria deve assumersi nella società contemporanea. Pensare Auschwitz non può essere un’azione scontata: l’unicità di questa riflessione non è un dato acquisito da molti anni, ma è il frutto di una continua e ininterrotta rielaborazione critica. In Italia proprio l’istituzione di una Giornata della Memoria ha favorito la riflessione sul rapporto fra memoria e storia, sullo statuto dell’una e dell’altra, sulle diverse potenzialità e sui limiti dell’analisi del passato. Provare a svolgere una piccola ricerca sulla stampa, locale e nazionale, di questi ultimi quattro o cinque anni, cioè del periodo compreso fra quando, nel 2001, è stata istituita la Giornata della Memoria a oggi; raccogliete le riflessioni più interessanti e stimolanti – sul tema della memoria e della storia, sulla unicità e sulla comparabilità della Shoah, sul ruolo del testimone- e provate a stabilire un legame fra quegli eventi e l’idea che voi stessi intendete costruirvi sulla necessità del ricordo, sulla “banalità del Male”e sulla “Banalità del Bene” a cui alludono le opere di seguito citate in bibliografia, e sulle dimensioni, reali o apparenti, di quell’area intermedia che Levi definiva “zone grigia”. Classe IV A sp Marco Bellino Emanuele Campo Rosario Ciampa L'insegnante: Antonella Filippi 1

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Istituto tecnico per Geometri GGuuaarriinnoo GGuuaarriinnii TToorriinnoo AAnnnnoo ssccoollaassttiiccoo 22000044--22000055 TTrraacccciiaa nn.. 22 La memoria degli orrori che si consumarono nei campi di concentramento nazisti, di cui ricorre nel 2005 il 60.mo della liberazione di Auschwitz, è un valore fondante per la moderna coscienza europea, simbolo di un comune e condiviso sentire. Il 27 gennaio 2005 segna, dunque, più solennemente che negli anni passati, la Giornata della Memoria. Ripensare Auschwitz a sessant’anni di distanza richiede uno sforzo supplementare di attenzione e una più meticolosa indagine sul ruolo che la memoria deve assumersi nella società contemporanea. Pensare Auschwitz non può essere un’azione scontata: l’unicità di questa riflessione non è un dato acquisito da molti anni, ma è il frutto di una continua e ininterrotta rielaborazione critica. In Italia proprio l’istituzione di una Giornata della Memoria ha favorito la riflessione sul rapporto fra memoria e storia, sullo statuto dell’una e dell’altra, sulle diverse potenzialità e sui limiti dell’analisi del passato. Provare a svolgere una piccola ricerca sulla stampa, locale e nazionale, di questi ultimi quattro o cinque anni, cioè del periodo compreso fra quando, nel 2001, è stata istituita la Giornata della Memoria a oggi; raccogliete le riflessioni più interessanti e stimolanti – sul tema della memoria e della storia, sulla unicità e sulla comparabilità della Shoah, sul ruolo del testimone- e provate a stabilire un legame fra quegli eventi e l’idea che voi stessi intendete costruirvi sulla necessità del ricordo, sulla “banalità del Male”e sulla “Banalità del Bene” a cui alludono le opere di seguito citate in bibliografia, e sulle dimensioni, reali o apparenti, di quell’area intermedia che Levi definiva “zone grigia”. Classe IV A sp

Marco Bellino Emanuele Campo

Rosario Ciampa L'insegnante: Antonella Filippi

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INDICE

1. Introduzione…………………………………………………………………p. 3 2. Il Giorno della Memoria……………………………………………………..p. 4 3. “Fare i conti con il passato” La memoria della shoah nelle scuole………….p.11 4. La memoria cancellata……………………………………………………….p.23 5. La post-memoria……………………………………………………………..p.32

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INTRODUZIONE

Tra i vari percorsi suggeriti dalla traccia, noi abbiamo concentrato il nostro lavoro sulla memoria dei lager. Partendo da un breve percorso intorno alla istituzione della “Giornata della memoria” ci siamo ben presto trovati ad affrontare il problema opposto, e cioè il difficile percorso della sedimentazione del ricordo del lager nelle civiltà occidentali. Abbiamo così imboccato la strada, peraltro suggeritaci dalla lettura del testo di Bensoussan, di analizzare come in questi sessant’anni la storia della deportazione sia sovente incappata nei “trabocchetti della memoria”1. Anche Primo Levi ricorda nelle prime pagine de I sommersi e i salvati che “la memoria umana è uno strumento meraviglioso ma fallace”2; se questo vale per la memoria individuale è ancora più vero per la memoria collettiva di un popolo. Abbiamo considerato che la scuola, come luogo deputato a passare la memoria alle giovani generazioni, sia il banco di prova per verificare lo stato delle cose. Nell’affrontare il rapporto fra scuola e memoria della shoah, abbiamo verificato come il percorso educativo sia andato di pari passo con la crescita della consapevolezza politica e culturale del gruppo sociale; in ogni stato coinvolto nel conflitto mondiale, la memoria della deportazione ha raggiunto la sua maturazione solo nell’ultimo decennio e di conseguenza anche la scuola ha aperto le porte a questo argomento solo ultimamente. Anzi possiamo dire che siamo solo agli inizi. E’ stato interessante questo percorso a ritroso perché ci ha insegnato come sia stato difficile prendere consapevolezza a livello storico e intellettuale, di quanto di più inumano gli uomini possano avere concepito e messo in atto nella società contemporanea. Auschwitz è vicinissima a noi, è il prodotto della società industriale, ha ucciso persone che sarebbero ancora oggi tra noi, noi sentiamo e parliamo con i sopravvissuti. Eppure ci sembra che Auschwitz appartenga all’indicibile. Seguendo il filo della non-memoria abbiamo fatto ricorso alla nostra esperienza di viaggio sui luoghi dello sterminio; dal lager di Mauthausen abbiamo portato a casa l’orribile e stridente immagine delle villette costruite sui sottocampi di Gusen e di Ebensee, come segno della volontà di cancellare il ricordo. A questo proposito abbiamo fatto una nostra ricerca per cercare di ricostruire la storia della costruzione dei memoriali che sono stati voluti dagli ex deportati e “strappati” alla lottizzazione del terreno del lager diventato edificabile. Ne sono venute fuori delle cose interessanti e ci sembra che varrebbe la pena di ricostruire la storia dei memoriali dei lager, per capire il difficile percorso della memoria in questi ultimi sessant’anni. La nostra ricerca è alla fine un lavoro sulla “non-memoria” fatto per dare maggiore valore alla memoria stessa nella misura in cui il rischio dell’oblio è più vicino di quanto immaginiamo. Forse più che celebrare ed imporre la memoria, credo valga la pena insegnare ai nostri giovani che è facile manipolare il ricordo collettivo e allora la strada è sempre la stessa, quello dello studio e della conoscenza. Torino, gennaio 2005

L’insegnante

1 Georges Bensoussan, L’eredità di Auschwitz, Einaudi, 2002, p.12. 2 Primo Levi, I sommersi e i salvati, Einaudi, 1996, p. 13.

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IL GIORNO DELLA MEMORIA

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“L’Olocausto ha sostanzialmente sfidato i fondamenti della civiltà. Il carattere senza precedenti dell’Olocausto avrà sempre significato universale. Dopo mezzo secolo, resta ancora un evento così vicino nel tempo che ci sono ancora sopravissuti che possono dare testimonianza degli orrori che attanagliarono il popolo ebraico. Anche la terribile sofferenza di molti milioni di altre vittime dei nazisti ha lasciato una ferita indelebile in tutta l’Europa. L’ampiezza dell’Olocausto pianificato e realizzato dai nazisti deve essere impressa per sempre nella nostra memoria collettiva. Devono anche restare impressi nei nostri cuori i sacrifici disinteressati di coloro i quali sfidarono i nazisti e talvolta sacrificarono la vita per proteggere o salvare le vittime dell’Olocausto. La profondità dell’orrore e gli apici dell’eroismo possono essere pietre angolari della nostra comprensione della capacità umana di fare il male e il bene. Di fronte ad un’umanità ancora segnata dal genocidio, dalla pulizia etnica, dal razzismo, dall’antisemitismo e dalla xenofobia, la comunità internazionale condivide una responsabilità solenne nella lotta contro questi mali. Insieme dobbiamo mantenere viva la terribile verità dell’Olocausto contro coloro che la negano. Dobbiamo rafforzare l’impegno morale dei nostri popoli e quello politico dei nostri governi, per avere la certezza che le future generazioni possano comprendere le cause dell’Olocausto e riflettere sulle sue conseguenze. Ci impegniamo a moltiplicare gli sforzi per promuovere l’educazione, il ricordo e la ricerca relative all’Olocausto, sia in quei nostri paesi che hanno già fatto molto, sia in quelli che hanno deciso di unirsi a questo sforzo.

Condividiamo l’impegno ad incoraggiare lo studio dell’Olocausto in tutte le sue dimensioni. Promuoveremo l’educazione sull’Olocausto nelle nostre scuole, nelle università, e nelle nostre comunità e la favoriremo presso altre istituzioni. Condividiamo l’impegno a commemorare le vittime dell’Olocausto e ad onorare coloro che vi si opposero. Incoraggeremo nei nostri paesi forme appropriate di ricordo dell’Olocausto, inclusa la ricorrenza annuale del Giorno della Memoria. Condividiamo l’impegno a far luce sui lati ancora oscuri dell’Olocausto. Compiremo tutti i passi necessari per facilitare l’apertura degli archivi, per assicurare che tutti i documenti che abbiano rilevanza siano disponibili per i ricercatori. E’ giusto che questa conferenza internazionale, la prima importante del nuovo millennio, dichiari il suo impegno a porre i semi di un futuro migliore nel terreno di un amaro passato. Partecipiamo alla sofferenza delle vittime e ci ispiriamo alla loro lotta. Il nostro impegno deve essere quello di ricordare le vittime che sono morte, rispettare i sopravvissuti che sono ancora con noi e riaffermare l’aspirazione comune dell’umanità alla reciproca comprensione e alla giustizia.”3

3Dichiarazione del Foro internazionale

sull’Olocausto - gennaio 2000.

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La Dichiarazione del Foro internazionale sull’Olocausto del gennaio 2000 ci sembra il modo migliore per iniziare il nostro lavoro, perché è una splendida elaborazione di intenti e perché è sovra- nazionale, riguarda paesi anche lontani geograficamente ma uniti dalla comune intenzione di mantenere viva la memoria dello sterminio nei lager nazisti. La Task force for international cooperation on Holocaust education remembrance and research è un’organizzazione internazionale fondata a Stoccolma nel 1998 su iniziativa della Svezia. Questa organizzazione è stata creata con lo scopo di promuovere, nei paesi Europei, progetti, iniziative culturali, didattiche e accademiche diretti a mantenere viva la memoria collettiva della Shoah per evidenziarne l'unicità nel contesto della sofferenza universale e promuovendo ricerche e studi sull'argomento4. Oggi i paesi che fanno parte di questa organizzazione sono cresciuti e si sono estesi anche a stati fuori dal continente dove la Shoah fu messa in atto; essi sono attualmente 18: Argentina, Austria, Repubblica Ceca, Danimarca, Francia, Germania, Israele, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Polonia, Regno Unito, Stati Uniti d'America, Svezia, Ungheria. La presidenza è esercitata dai paesi membri con rotazione annuale, da febbraio a febbraio. In questo corrente anno, dal febbraio 2004 al febbraio 2005, la Presidenza è esercitata dall’Italia. Per il periodo 2005-2006 sarà affidata alla Polonia. In conseguenza degli intenti sottoscritti con la partecipazione alla International Task force, in questi ultimi anni abbiamo assistito ad un progressivo interessamento rispetto alla storia dello sterminio, che si è reso concreto nella istituzione della “Giornata della memoria” in Italia come in altri paesi, e nel bisogno di rendere collettivo il ricordo della Shoah. In Germania e in Inghilterra era già stato scelto il 27 gennaio, mentre la Francia ha fissato il 16 luglio in ricordo della tragica retata nazista del 16/17 luglio 19425. In Israele si ricorda l’insurrezione del ghetto di Varsavia del 1943. Il 27 gennaio 1945 i Russi entrarono in Auschwitz: non fu una grande vittoria, non fu una vera liberazione. I campi di Auschwitz erano già stati abbandonati da 10 giorni: le terribili “marce della morte” che caratterizzarono la storia della evacuazione di tutti i campi fino alla caduta dell’ultimo lager, il 5 maggio 19456, erano già partite verso ovest con il loro carico di morte. I tedeschi avevano incominciato a smantellare Birkenau dalla fine del 1944, e prima di partire fecero saltare le camere a gas e i forni crematori, fecero sparire gran parte della meticolosa burocrazia del lager. Quando i Russi arrivarono ad Auschwitz trovarono la morte ovunque, ma non il campo in piena attività: Primo Levi descrive molto bene nelle ultime pagine de Se questo è un uomo e nelle prime de la tregua la sorte di quel migliaio di uomini ammalati, che i nazisti abbandonarono nel campo7.

4 http://taskforce.ushmm.org/missionf.html. Nel sito si trovano indicazioni e materiali sui diversi paesi partecipanti. 5 Tra il 16 e il 17 luglio 1942 i nazisti misero in atto la retata di Vel’d’Hiv, azione decisa dai tedeschi e interamente diretta dalla polizia francese, che porterà in un giorno e mezzo all’arresto di circa tredicimila persone. Condotte al Velodrome d’Hiver (Vel’ d’Hiv) a Parigi o a Drancy o ancora nei campi di Loret (Pithiviers o Bearne la Rolande), la maggior parte delle persone arrestate verranno deportate nelle settimane seguenti ad Auschwitz. 6 Il campo centrale di Mauthausen fu liberato il 5 maggio; il sottocampo di Ebensee il 6 maggio 1945. 7 In Se questo è un uomo, l’ultimo capitolo: “Storia di dieci giorni”. Ne La tregua il primo capitolo: “Il disgelo”. “La prima pattuglia russa giunse in vista del campo verso il mezzogiorno del 27 gennaio 1945. (…) Erano quattro giovani soldati a cavallo, che procedevano guardinghi, coi mitragliatori imbracciati, lungo la strada che limitava il campo. Quando giunsero ai reticolati, sostarono a guardare, scambiandosi parole brevi e timide, e volgendo sguardi legati da uno strano imbarazzo sui cadaveri scomposti, sulle baracche sconquassate, e su noi pochi vivi. (…) Non salutavano, non sorridevano; apparivano oppressi, oltre che da pietà, da un confuso ritegno, che sigillava le loro bocche, e avvinceva i loro occhi allo scenario funereo. (…) Per tutto il resto della giornata non avvenne nulla.” Primo Levi, La Tregua, Einaudi Tascabile, 1996, p. 157,158,159.

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La vera tragedia era iniziata il 17 gennaio quando partirono verso ovest le interminabili file di uomini e donne verso altri campi8. Il 27 gennaio più che storia di una liberazione è dunque un simbolo di qualcosa che in quel giorno ha incominciato a cambiare, non è finito lo sterminio in quel 27 gennaio, ma il campo industrialmente organizzato per sterminare milioni di persone, non era più sotto il controllo nazista. E’ quanto basta per fare di questa data un simbolo. In Italia il nostro Parlamento aveva preso in considerazione un’altra data drammatica, quella della eliminazione del ghetto di Roma il 16 ottobre 1943 una data tutta italiana che segnò l’inizio di una delle tragedie che toccarono anche agli italiani dopo l’8 settembre, quella della deportazione nei lager tedeschi. La scelta del 27 gennaio, presentata nel disegno di legge Colombo, ha un respiro più europeo, proprio perché è il simbolo dell’inizio della fine del potere nazista. L’intenzione di proporre una giornata della memoria era già partita nel 1997 e sostenuta da gruppi politici diversi. Nel marzo del 2000 si discusse alla Camera la proposta di legge firmata dai deputati: Furio Colombo(Ds), Elio Palmizio(Fi), Simone Gnaga (An), Maria Chiara Acciarini (Ds) e Vittorio Voglino (Ppi). Furio Colombo presenta il testo nell’aula di Montecitorio atribuendogli con il significato simbolico di dovere cancellare un’altra legge votata in quella stessa aula il 17 novembre1938: la vergogna italiana delle leggi razziali. Sessantadue anni dopo si discute l’istituzione di un giorno della memoria per ricordare lo sterminio e le persecuzioni dovute all’insana e criminale ideologia razzista su cui si basava lo stato nazista. Grazie a quel razzismo che gli italiani fecero proprio a partire dalla guerra in Etiopia nel 1935 e che resero ufficiale con le leggi sulla razza del 1938, la deportazione ebraica nei lager fu facilitata, favorita, resa possibile fin nei minimi particolari, perché gli ebrei erano tutti schedati, anche le coppie miste, e alle SS bastò usare (con l’appoggio solerte dei fascisti) le liste già pronte. La vergogna delle leggi sulla razza è tutta italiana: in Europa fu la legislazione razzista più dettagliata dopo le leggi di Norimberga9. La proposta di legge fu approvata alla Camera dei Deputati il 28 aprile 2000 con 443 voti favorevoli e – unico caso di questa legislatura – nessuno contrario. Quattro astenuti.10

Al Senato il cammino fu più tortuoso perché a palazzo Madama si stavano già discutendo due proposte di cui una del Polo in cui si ricordavano “tutte le repressioni, politiche, religiose e razziali” e una presentata da Athos De Luca (Verdi).11 La prima discussione del 5 aprile si bloccò12 e riprese dopo le elezioni Regionali.

8 Si può leggere la marcia della morte partita da Auschwitz il 17/18 gennaio e giunta allo scalo ferroviario di Gleiwtz il 19/20 gennaio in: Elie Wiesel, La notte, Giuntina, 2000, da p. 83 a p. 95 e in: Pio Bigo, Il triangolo di Gliwice, Edizioni dell’Orso, 1998, da p. 93 a p. 100. 9 «Nessuna attenuante dal punto di vista etico o politico può essere invocata a favore del fascismo italiano. (…) Dopo le leggi di Norimberga del 1935 la legislazione italiana fu l’apparato normativo più esteso e analitico che fosse introdotto nel mondo. Non se ne può valutare la sostanza valutandolo in senso più blando al confronto con la legislazione e la prassi nazista; lo si deve valutare in base alla lesione che recò ai diritti civili e umani e al tentativo di imbarbarimento del popolo italiano che con esso fu compiuto». Da: E.Collotti, La soluzione finale, Tascabili economici Newton, 1995, pag. 17. 10 Goffredo De Pascale, Viaggio di una legge, da: “Diario”, supplemento al n. IV, 27 gennaio 2001, p. 16. 11 Goffredo Di Pascale, op. cit. p.16. 12 A questo proposito, sull’Unità del 7 aprile Michele Sarfatti commenta: “Tutto questo gran daffare ha un’origine precisa: la volontà di alcuni di pervenire ad un testo approvabile da tutti o quasi i parlamentari. E, a ben vedere, proprio questa volontà è ciò che ha guastato e continuerà a guastare la legge. (…) Il testo approvato alla Camera afferma con nettezza l’esistenza della Shoah e i suoi caratteri speciali. Anch’esso però paga un evidente pedaggio alla suddetta ricerca del voto unanime: non contiene il termine fascismo, né quello di Repubblica Sociale italiana.” op. cit. p.18.

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Il 5 luglio anche il Senato approvò il testo passato alla Camera modificato con le proposte presentate da Athos de Luca e dai senatori del Polo. La legge n. 211 è pubblicata sulla Gazzetta ufficiale il 20 luglio 2000: Art.1: La Repubblica Italiana riconosce il 27 gennaio, data dell'abbattimento dei cancelli di Auschwitz, "Giorno della Memoria", al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio e a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati. Il primo articolo della legge riconosce la memoria a tutti coloro che hanno subito la deportazione e dunque anche ai deportati politici, coloro che furono catturati perché antifascisti, perché partigiani, perché scioperanti nel marzo 1944, perché renitenti alla leva della Repubblica di Salò; e ancora a coloro che furono deportati perché caduti in un “rastrellamento”o perché denunciati da un vicino di casa. La legge ricorda anche coloro che si opposero al progetto di sterminio, coloro che singolarmente o in organizzazione, misero a repentaglio la propria vita per salvare i perseguitati. Negli ultimi anni abbiamo fortunatamente scoperto molti casi di donne e uomini che hanno avuto il coraggio di “aiutare”: alcuni di loro sono stati riconosciuti “Giusti delle nazioni”, altri rimangono nell’anonimato ma sono in tanti, e questo ci consola, soprattutto noi giovani. Art.2: In occasione del "Giorno della Memoria" sono organizzati cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti, in modo da conservare nel futuro dell'Italia la memoria di un tragico e oscuro periodo della storia del nostro Paese ed in Europa e affinché simili eventi non possano più accadere. Nel secondo articolo emerge l’invito, quasi perentorio, a ricordare la deportazione e lo sterminio con ogni mezzo di comunicazione13, soprattutto nelle scuole “affinché simili eventi non possano più accadere" . Su questo argomento vorremmo aggiungere alcune riflessioni.

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La memoria collettiva quando è “imposta” o indotta dall’alto, per legge, è difficilmente assimilabile ad un livello di coscienza collettiva. Non basta dire: “Ricordate, ricordiamo” perché questo sia. Non basta fare un minuto di silenzio a scuola per costruire una coscienza civica e morale ai giovani.

13 Il 27 gennaio 2004 è stata fatta anche una partita di calcio “per non dimenticare”, trasmessa per televisione.

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Non bastano nemmeno le celebrazioni episodiche e retoriche sovente buttate lì, senza basi, per creare una memoria dell’orrore per il nazifascismo. E’ difficile parlare della Shoah alle nuove generazioni. Dice Micaela Procaccia: “Lo sa bene chi va a parlare nelle scuole il 27 gennaio. Si parla, si racconta, ma quante volte si legge negli occhi degli studenti che ci stanno davanti la domanda inespressa, perché dobbiamo continuare a parlarne?”14

Anche gli adulti esprimono sovente, troppo sovente, la stessa domanda.

2 Uno dei limiti dell’”uso pubblico” della memoria è quello di credere che la memoria possa, da sola, svolgere un ruolo educativo: e cioè che il ricordo di quanto è avvenuto basti ad evitare nel futuro gli errori del passato. “Ricordiamo affinché quanto è accaduto non succeda più”. Ma la memoria collettiva non ha valore pedagogico: la memoria di un gruppo non insegna a non rifare lo stesso errore. Abbiamo come esempio le due guerre mondiali; alla fine della “Grande” guerra si ripeteva che non sarebbe mai più successo. Fin che non vengono estirpati i meccanismi che portano agli orrori causati dagli uomini, la memoria non è sufficiente a fermarli. “Le vicende umane ci hanno insegnato, in modo incontrovertibile, che la storia non è maestra di vita e di conseguenza anche la memoria non può esserlo”15

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Quando la memoria diventa una celebrazione, rischia di essere solo più l’espressione moralmente corretta di una società; se non entriamo nella storia, se non aiutiamo i giovani a conoscere, ad interiorizzare, c’è il rischio che la giornata della memoria rimanga solo più un luogo comune, usata perché “politicamente corretta”. La memoria dovrebbe invece contribuire a formare l’identità di un gruppo sociale partendo dal bisogno dei singoli di capire, indagare, riconoscere, fino ad interiorizzare ciò che è successo. ------------------------------------------------------- Proviamo a conclude, ma non con le nostre parole. Noi siamo stati capaci di pensare alla memoria un po’ più criticamente di quanto sentiamo dire e ripetere da quattro anni con parole che a volte a noi paiono vuote. Ma non sappiamo dare risposte per come migliorare il rapporto con la memoria collettiva della Shoah, soprattutto se pensiamo, in prospettiva, al rischio della ripetitività del giorno della memoria. Citiamo alcune nostre letture che ci sembrano dare qualche risposta. “ L’obbligo morale di tenere viva la memoria, di trasmettere i racconti delle atrocità commesse non può assurgere a dovere educativo di massa e, di conseguenza, a obbligo. Siamo consapevoli che la conoscenza collettiva del genocidio e delle atrocità prodotte dal fascismo in Europa obbedisca oggi piuttosto ad una sorta di conformismo che vuole che la maggioranza , senza un buon livello di conoscenza interiorizzato, si dichiari a favore della memoria: un modo per esorcizzare il male e liquidare la questione della colpa, per banalizzare l’Olocausto, come è accaduto recentemente sul piano cinematografico come sul piano letterario.

14 Micaela Procaccia è responsabile della Vice-direzione del Sistema Archivistico Nazionale per il Ministero per i beni e le attività culturali ed attualmente rappresentante italiana della Shoah Foundation. Da: “Il sonno della ragione”, Qol 102-103, p.7 15 Gianpaolo Anderlini, Le fratture ricomposte della memoria, in Qol, 110, p. 18.

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Ricostruire una identità personale e collettiva a partire da Auschwitz è un compito che si colloca al di fuori della portata delle grandi masse e di una cultura immediatamente di consumo.(…) La memoria non può che essere una scelta consapevole, la dichiarazione di che afferma: d’ora in avanti mi interessa solo di comprendere il mondo, per quel che mi sarà possibile, e forse anche trasformarlo, ben consapevole che questo mondo racchiude in sé la possibilità di Auschwitz”16 “Un amaro scetticismo non concede più credito all’antico motto <Historia magistra vitae>. La storia, si dice, non può guidarci, perché gli eventi, se pure si ripetessero, appaiono in contesti sempre inediti. Eppure quando invochiamo, e giustamente, la memoria di Auschwitz <perché l’orrore non si ripeta >, di nuovo invochiamo la storia come maestra, come avvertimento. Certo, la scrittura di storia non è tutt’uno con la memoria: almeno nelle intenzioni, la storiografia tenta di ricostruire con obiettività gli eventi in quanto passati, mentre al contrario la memoria –individuale o collettiva –seleziona soggettivamente i fatti che percepiamo come attuali per noi, in qualunque tempo si siano verificati, seleziona ciò che avvertiamo agire sul nostro presente, sulla nostra identità e coscienza in atto, e sprofonda il resto nell’oblio.(…) La storia è maestra quando sappiamo tradurla nei termini della nostra memoria, interiorizzandola come nostra esperienza e coscienza.”17

Abbiamo elaborato in una tabella le iniziative del territorio della città di Torino per il “Giorno della memoria” dal 2001 al 2004. Dal primo anno in cui si sono mosse soprattutto le istituzioni, si è passati progressivamente ad una partecipazione sempre più vasta che ha visto interessate le circoscrizioni, i cinema, i teatri e le scuole. I dati in nostro possesso non sono ovviamente completi, per la difficoltà di reperire informazioni che non siano ufficiali e che non siano state pubblicate. Abbiamo completato la tabella con le iniziative della nostra scuola che si è impegnata fin dal primo anno a celebrare il giorno della memoria e a organizzare un viaggio ogni anno per gli studenti nei luoghi dello sterminio nazista con la guida di un ex deportato . Bibliografia: Diario, 27 gennaio 2001, supplemento al n° 4. Qol, 110, 2004 Gadi Luzzatto Voghera, Ernesto Perillo, Pensare e insegnare Auschwitz, Franco Angeli, 2004. Frediano Sessi, Non dimenticare l’Olocausto, Rizzoli, 2002

16 Frediano Sessi, Non dimenticare l’Olocausto, Rizzoli, 2002, p. 392,393. 17 Stefano Levi Della Torre, “Memoria del futuro”, in Gadi Luzzatto Voghera, Ernesto Perillo, Pensare e insegnare Auschwitz, Franco Angeli, 2004, p. 65.

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“FARE I CONTI CON IL PASSATO”

LA MEMORIA DELLA SHOAH NELLE SCUOLE

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“Vergangenheitsbewältigung”, che in italiano possiamo tradurre con “fare i conti con il passato”, è un tema divenuto oggetto obbligatorio di insegnamento di letteratura tedesca, nelle scuole della Germania e dell’Austria nel dopoguerra. Mi sono sempre chiesto, da studente italiano, come si studia e come si ricorda nelle scuole dell’ex terzo Reich, la storia del nazismo e soprattutto dello sterminio. Mi chiedo anche come vivono i miei coetanei tedeschi il rapporto con i loro “nonni”, soprattutto oggi che si scoprono ancora, in seguito ai nuovi processi avviati in Italia, ex nazisti ormai anzianissimi che hanno vissuto tranquillamente la loro esistenza nascosti nell’anonimato, e che sono forse dei premurosi nonnini per i loro nipoti. Non mi verrebbe il dubbio, se fossi un ragazzo tedesco o austriaco, nel guardare il sorriso benevolo di mio nonno: che faceva durante la seconda guerra mondiale? E’ ovvio che il discorso vale anche per l’Italia, dove abbiamo avuto il regime fascista e le leggi razziali del 1938, dove abbiamo avuto la Repubblica di Salò e i nazifascisti. Ma da noi forse la resistenza ha cancellato le tracce delle colpe; un’amnistia generale, anche delle coscienze, ci ha fatti uscire dalla guerra. Non è stato così per la Germania. E non poteva essere diverso, visto il macinio di colpe che quel popolo si è ritrovato sulle spalle. Nella Repubblica democratica tedesca, prima e dopo l’unificazione, come si è studiato lo sterminio nazista nelle scuole?

Come si insegna la Shoah nelle scuole

Germania Per circa vent’anni dopo il 1945 si è prestata poca attenzione nelle scuole allo sterminio ebraico, tanto che il sistema scolastico tendeva per lo più ad ignorare o a trattare frettolosamente questi eventi sui libri di testo. Fu deciso nel 1954 nella conferenza tenuta a Braunschweig18 tra tedeschi e belgi, per la revisione dei libri scolastici di storia, di inserire l’insegnamento della storia del Terzo Reich e della Seconda guerra mondiale; scelta modernissima se si pensa a quanto normalmente sono vecchi i programmi scolastici, con questa decisione si sceglieva di studiare gli avvenimenti tragici di solo 10 anni prima. Ma in questi encomiabili sforzi pedagogici, non compariva ancora la tematica del “Campo di concentramento”. Bisogna aspettare gli anni ’80 per trovare nei programmi e nelle scuole una maggiore attenzione al campo di concentramento come parte fondante del progetto nazista. La causa scatenante di questa “evoluzione”, non solo in Germania ma in tutta Europa, sembra sia stato prima il processo del 1961 contro il criminale nazista Adolf Eichmann19, e nel decennio successivo una trasmissione televisiva americana intitolata Holocaust20 trasmessa in Europa nel

18 Yannis Thanassekos, “L’insegnamento della memoria dei crimini e dei genocidi nazisti. Per una pedagogia dell’autoriflessione”, p. 22 in: AAVV, Insegnare Auschwitz, a cura di Enzo Traverso, Bollati Boringhieri, 1995. 19 Eichmann, Adolf (Solingen 1906 – Tel Aviv 1962), ufficiale nazista, fu responsabile dell’uccisione di milioni di ebrei durante la seconda guerra mondiale. Eichmann entrò a far parte della polizia segreta nazista nel 1934 e nel 1938, in occasione dell’annessione all’Austria da parte dei tedeschi, si occupò della deportazione degli ebrei austriaci, in accordo con la politica antisemita dei nazisti.Durante la guerra venne incaricato della “soluzione finale del problema ebraico” :gli ebrei dei paesi occupati dall’esercito tedesco vennero rastrellati e inviati nei campi di concentramento. Dopo la guerra, Eichmann scomparve, ma nel 1960 alcuni agenti israeliani lo trovarono in Argentina, lo catturarono e lo portarono in Israele: processato a Gerusalemme, venne giudicato colpevole di crimini contro l’umanità e condannato a morte. Due anni dopo fu impiccato. 20 Nel 1979 comparve negli Stati Uniti un serial televisivo intitolato "Holocaust", tratto dall'omonimo romanzo di Gerald Green pubblicato nel 1978. Il successo della fiction televisiva fu enorme tanto da venir trasmessa in Germania, Francia, Gran Bretagna, Italia. Si trattava di un lavoro mediocre, privo di spessore storico. Seguendo le logiche della comunicazione filmica di scuola statunitense si era prodotto un qualcosa che andava verso la spettacolarizzazione di massa, verso la trivializzazione dell'evento. Ciononostante - pur attraverso lo specchio deformante della fiction - lo

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1979 e ’80. Questi due forti avvenimenti, anche se di natura diversa, hanno fatto riaffiorare in tutta la loro allucinante crudezza la tragedia dello sterminio nelle case degli europei. Una maggiore sensibilizzazione era d’altronde già iniziata con la seconda generazione del dopoguerra, che aveva ricominciato ad ascoltare testimonianze e a riprendere le ricerche. Lo studio della storia del periodo nazista è stato però reso obbligatorio in tutte le scuole e a tutti i livelli di istruzione soltanto dopo il 1990, ossia dopo la riunificazione delle due Germanie. E anche se l’istruzione è di competenza dei singoli Lander, tuttavia vi sono alcuni aspetti, come la definizione degli argomenti da trattare e degli obbiettivi dell’insegnamento che sono uguali in tutta la nazione. L’olocausto è inserito in tutte le scuole tedesche nei programmi di studio. Per superare l’esame di stato gli studenti devono avere nel loro curriculum due anni di corso di storia, comprendente la storia del ‘900, dunque il periodo nazista, la deportazione e i campi di concentramento. Inoltre nel paese sono presenti sul territorio musei sui siti dove sorgevano i lager, e a Berlino è aperto come museo, il palazzo di Am Grossen Wannsee 56/58 dove si tenne la tristemente famosa conferenza in cui si decisero i termini della “ Soluzione finale”, nel 1942. L’insegnamento della storia nell’attuale Germania si pone come obbiettivo quello di ampliare gli orizzonti dei giovani al di là degli unici fatti storici, così da renderli coscienti dei pericoli, presenti ancor oggi, che hanno permesso l’avvento del nazismo e di conseguenza dello sterminio ebreo, come la discriminazione razziale e l’intolleranza nei confronti delle minoranze. Pertanto si cerca di accennare all’argomento già dalle scuole inferiori, con l’educazione civica e degli argomenti d’attualità, di religione e di etica, con particolare riferimento all’intolleranza di quel periodo. Infine concludo accennando il tema centrale che è presente in ogni lezione, ossia che “Quando viene a mancare un governo fondato sulla legalità le società democratiche rischiano di disintegrarsi, fino al punto di ammettere il genocidio”21.

Austria Diversa è la situazione per l’Austria che è stata invasa dai nazisti nel 1938 e che, pur avendo sul suo territorio Mauthausen e i suoi sottocampi, catalogato come un campo di categoria III, ha potuto trovare a livello psicologico collettivo una discolpa importante rispetto alla deportazione e allo sterminio nei lager. “L’Austria si è ricostruita un passato su misura che ne fa la prima vittima del nazismo. (…)La memoria collettiva austriaca ha volontariamente cancellato la realtà del genocidio” 22

Seguendo lo stesso percorso temporale che abbiamo visto per la Germania, e per l’Europa in generale, anche in Austria, con difficoltà e non ovunque sul territorio, si è incominciato a parlare di insegnamento della Shoah a partire dagli anni ’80. Il tema della “Vergangenheitsbewältigung” è diventato oggetto di studio anche nei programmi austriaci; l’olocausto viene insegnato nelle lezioni di storia e di materie sociali all’ottavo anno, dunque a ragazzi di 13 anni. Il Ministero della Pubblica Istruzione permette alle “fondazioni” che si interessano dell’evento di accedere alle scuole, fornendo anche materiali divulgativi sulla storia contemporanea, sull’Olocausto, il nazionalismo e l’estremismo di destra contemporaneo; organizzando e finanziando, inoltre, un programma di regolari incontri nelle scuole, con persone perseguitate sotto il regime nazista.

sterminio degli ebrei d'Europa dopo più di trent'anni diventava visibile al grande pubblico. 21 AA.VV., Dizionario dell’olocausto, Einaudi, 2004, pg. 247-248 22 Georges Bensoussan, L’eredità di Auschwitz, Einaudi, 2002, p. 9.

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Ciò ha permesso pertanto la nascita di una collaborazione tra uomini che hanno conosciuto in prima persona i campi di concentramento e di sterminio e la scuola. Citiamo a questo proposito un brano dell’intervento di Hermann Langbein23 al convegno “Il dovere di testimoniare” tenutosi a Torino nell’ottobre del 1983: “Fortunatamente, già al sesto anno di scuola, abbiamo la possibilità - grazie ad un decreto del Ministero della Pubblica istruzione – di accedere agli istituti scolastici e di discutere con gli allievi. Discutiamo essenzialmente sul perché il nazionalsocialismo ha potuto compiere i suoi crimini, senza che il popolo vi sia opposto fattivamente. (…) Alle discussioni hanno potuto spesso partecipare sia testimoni diretti, sia esperti di storia contemporanea, cioè persone più giovani. Inoltre (…) abbiamo già avuto la possibilità di organizzare seminari destinati agli insegnanti, ai quali sono intervenuti – in qualità di testimoni – elementi fra i più qualificati dell’Istituto di storia contemporanea dell’università austriaca e altri, come Marsalek, che hanno portato le loro esperienze personali.(…) Non vorrei che quanto ho detto vi induca a pensare che in Austria tutto è meraviglioso. Le cose non stanno così: in primo luogo noi ci rechiamo solo nelle scuole dalle quali siamo stati invitati e veniamo invitati solo dove il corpo insegnante ha – almeno in parte – un atteggiamento positivo nei confronti di questi problemi.”24 L’intervento di Langbein ci riconduce alla situazione italiana di quegli stessi anni, quando Primo Levi iniziò la sua testimonianza nelle scuole.

Polonia

Un altro paese Europeo che deve fare i conti con lo sterminio nazista sul proprio territorio è la Polonia. In questo territorio occupato nel 1939, i nazisti incominciarono a mettere in moto la macchina dello sterminio ebraico con la reclusione nei ghetti, con i massacri messi in atto dalle Einsatzgruppen25, e poi con la costruzione dei più terribili lager per lo sterminio della razza ebraica. Il simbolo della Shoah, Auschwitz, è infatti a un centinaio di chilometri da Cracovia. In Polonia esisteva un antisemitismo forte già prima dell’arrivo dei nazisti, come peraltro anche in Estonia e Lituania e in Russia. In Polonia erano presenti, prima dell’occupazione tre milioni di ebrei, a differenza dell’Italia, per esempio, dove se ne contavano qualche decina di migliaia. I conti con lo sterminio e con i resti delle “industrie della morte” la Polonia li sta facendo solo oggi, dopo il crollo del comunismo. Fino ad allora i riferimenti alle condizioni degli ebrei e ad Auschwitz-Birkenau erano trattati quasi esclusivamente all’interno della propaganda antifascista, permanendo nei regimi di area sovietica un forte antisemitismo. Solo nel 1990 gli storici polacchi hanno cominciato a riconoscere le atrocità che si erano messe in moto con la macchina dello sterminio e con la morte di 1,1-1,5 milioni di ebrei. Di pari passo anche il sistema scolastico ha iniziato a confrontarsi in modo più aperto ed esteso con l’esperienza del paese sotto l’occupazione nazista durante la guerra26. Oggi nelle scuole polacche la storia della seconda guerra mondiale è diventata programma obbligatorio, così come la Shoah, entrambe vengono studiate con livelli di approfondimento

23 Hermann Langbein, viennese di nascita, partecipò alla Guerra di Spagna nelle Brigate internazionali; fu internato nei campi di concentramento francesi, nel sud del paese, da cui fu deportato a Dachau e ad Auschwitz, dove rimase due anni. Di questa sua lunga e dolorosa esperienza ha scritto: Uomini ad Auschwitz,pubblicato dalla Mursia. 24 Hermann Langbein, “Lotta al neonazismo: contatti con i giovani e con gli insegnanti”, p. 207-8 in : Atti del Convegno internazionale Il dovere di testimoniare, Consiglio Regionale del Piemonte, Aned, 1984 25 Einsatzgruppen: commandi speciali formati da tremila volontari SS che tra la fine di giugno del 1941 e la fine del 1942 sterminano un milione e trecentomila ebrei nei territori occupati della Polonia e dell’Unione Sovietica, tramite fucilazioni di massa. E’ il primo atto dello sterminio che verrà perfezionato nei lager orientali con la costruzioni delle capienti camere a gas che permetteranno un’uccisione più rapida e più “asettica”. 26 AA.VV., Dizionario dell’olocausto, Einaudi, 2004, pg. 248

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maggiori; a partire dai libri di testo che affrontano la persecuzione degli ebrei in modo più equilibrato e approfondito e dalla possibilità di apprendere la storia attraverso la letteratura o, attraverso le visite nei siti dove sorgevano i campi di sterminio. Esistono poi altre iniziative promosse dal Centro Moderchai Anielewicz per lo studio e l’insegnamento della storia e della cultura che ha sede presso l’università di Varsavia, come anche le visite guidate al museo dell’ebraismo nella sinagoga di Cracovia, che introducono gli studenti alla cultura e alla storia ebraica. Allarghiamo ora la nostra ricerca sull’insegnamento della Shoah nelle scuole dei paesi che hanno combattuto il nazismo e che sentono quindi da un altro punto di vista il peso dello sterminio. In ogni caso, anche in questi stati, l’insegnamento della deportazione ed dello sterminio è legato allo sviluppo della presa di coscienza storica della tragedia, che a sua volta dipende dalle vicende che hanno legato il paese alla influenza/occupazione nazista.

Gran Bretagna Lo studio del genocidio nazista degli ebrei, nelle scuole, divenne materia di studio obbligatoria solo all’inizio degli anni Novanta, anche se prima non era del tutto ignorata. Molte furono, infatti, le tesine che trattavano proprio la storia del XX secolo, la Germania nazista e la seconda guerra mondiale. Inoltre i discorsi venivano, talvolta, affrontati nelle classi su iniziativa dei singoli insegnanti. Durante gli anni Ottanta si assisteva alla tendenza di discutere spesso l’argomento Shoah nell’ambito delle lezioni di religione e di educazione civica; grazie soprattutto al razzismo indotto dalla crescente immigrazione dalle ex colonie. Lo studio della Shoah accompagna, oggi, lo studente inglese in tutta la sua adolescenza scolastica, con livelli di approfondimento che aumentano con l’aumentare dell’età. Analogamente, nelle università, sono aumentati i corsi sullo sterminio nazista e sulla storia dell’antisemitismo moderno (in precedenza veniva affrontato solo nell’ambito di corsi sul Terzo Reich).

Stati Uniti

Solo a metà degli anni Settanta la Shoah diventa materia di insegnamento per merito di un gruppo eterogeneo di persone: insegnanti, dipartimenti dell’istruzione, commissioni costituite a livello di singole comunità, centri di documentazione sull’argomento e musei specializzati. E oggi, nonostante nessuno abbia ancora provveduto a valutare i metodi di insegnamento della Shoah in maniera qualitativa e quantitativa, comunque è un dato di fatto che negli Stati Uniti magliaia di docenti, dalla scuola elementare all’università, sono impegnati a insegnarla nei suoi vari aspetti. Dato, questo, confermato dal fatto che numerosi sono i programmi sull’argomento, ad esempio il programma Facing History and Ourselves e il Teachers Summer Seminar on Holocaust and Jewish Resistance27; la creazione di importanti musei, come il Holocaust Memorial Museum di Washington e il Beit Hashoah Museum of Tolerance, di Los Angeles; e perché numerosi sono i centri di documentazione in materia. Possiamo schematizzare l’evoluzione della ”educazione della Shoah” in tre fasi:

27 AA.VV., Dizionario dell’olocausto, Einaudi, 2004, p. 257

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1) I primi anni che vanno dal 1945 fino al 1967, in cui il tema Shoah è oggetto di scarso interesse, sia per la mancante informazione, sia per il disinteresse degli insegnanti. D’altronde la comunità ebraica americana non aveva in quegli anni spazio nella società americana. Parlare dell’olocausto e delle sofferenze passate era considerato imprudente: gli ebrei americani (tra cui numerosi gruppi scappati dall’Europa nazista) temevano che il tradizionale patriottismo degli USA usasse le loro storie di dolore per identificarli in un gruppo separato e difficilmente assimilabile nella società. Anche in terra americana la comunità ebraica scelse il silenzio. Solo a partire dalla metà degli anni Cinquanta si comincia a leggere Il Diario di Anna Frank che apre in qualche modo le porte all’argomento. L’interesse aumentò con la cattura e il processo ad Adolf Eichmann28, e in seguito con il ventesimo anniversario della rivolta del ghetto di Varsavia. Allo stesso tempo un numero sempre maggiore di sopravvissuti cominciò a raccontare le proprie esperienze individuali accrescendo l’interesse. 2)Il periodo di mezzo 1967-93. Uno dei principali fattori che contribuì ad aumentare il livello di interesse per la Shoah fu la guerra dei Sei Giorni, del 1967, che vide cambiare i rapporti politici dell’America con Israele29.Anche l’ebraismo americano cambiò atteggiamento, sia per l’appoggio dello stato sia per l’emozione che la guerra suscitò in coloro che avevano vissuto la shoah. “Era finita l’era del riserbo e della prudenza, cominciava la fase in cui la comunità ebraica degli Stati Uniti (la più grande nel mondo dopo quella sovietica) sarebbe stata sempre meno impacciata dalle sue antiche paure e sempre più libera di sostenere Israele, ricordare il passato, denunciare vecchie enuovi pregiudizi.”30 Un altro fattore cha alla fine degli anni Settanta suscitò grande interesse intorno a questo tema fu la trasmissione di una miniserie televisiva intitolata Holocaust, che ebbe un impatto molto forte sull’ opinione pubblica in termini di informazione sulle atrocità perpetrate e di creazione di interresse. Nella scuola questi avvenimenti ebbero la loro ripercussione, forse ancora legata all’iniziativa del docente; l’insegnamento della Shoah incomincia ad essere affrontato nella lezione di storia o di studi sociali; in altri casi è stato affrontato tramite lo studio di libri importanti, La notte di Elie Wiesel31. La discrezionalità dell’insegnante può essersi tradotto in alcune scuole in un impegno superficiale, lasciando gli studenti privi di una reale conoscenza dei presupposti storici che hanno condotto alla Shoah, per non parlare della realtà storica dello sterminio sistematico da parte dei nazisti degli ebrei d’Europa e di milioni di altre persone come zingari, slavi, prigionieri di guerra sovietici e oppositori politici. 3)Gli ultimi anni ( a partire dal 1993 ). In questo periodo alcuni stati come – California, Florida, Illinois, New Jersey e New York – hanno reso lo studio della Shoah obbligatorio nelle scuole pubbliche e altri dieci stati – Connecticut, Georgia, Indiana, Tennessee, North Carolina, Ohio, Pennsylvania, South Carolina, Virginia e Washington - si sono limitati ad invitare il personale docente ad insegnare l’argomento. Tuttavia

28 “Il processo ebbe due effetti. In primo luogo dimostrò che Israele aveva conti in sospeso e non avrebbe esitato a regolarli: un atteggiamento assai diverso da quello schivo e riservato di cui il mondo ebraico aveva dato prova negli anni precedenti. In secondo luogo proiettò su uno schermo gigantesco, durante i mesi del processo, la tragedia del genocidio e lo rese familiare anche a chi ne aveva sottovalutato le dimensioni.” Sergio Romano, “Quando l’America scoprì il flagello dell’antisemitismo”, in Corriere della Sera, 14.1.2005, p. 33. 29 La guerra dei Sei Giorni portò gli USA, preoccupati dal nazionalismo nasseriano e dalla crescente influenza sovietica nell’area, a considerare lo stato ebraico come una base su cui fare affidamento nel Medioriente. 30 Sergio Romano, “Quando l’America scoprì il flagello dell’antisemitismo”, in Corriere della Sera, 14.1.2005, p. 33. 31 Elie Wiesel(1928). Scrittore e docente. Nato nella cittadina rumena do Sighet, annessa all’Ungheria prima della seconda guerra mondiale, nel 1941 fu deportato con la famiglia ad Auschwitz, dove sua madre e la minore delle tre sorelle vennero uccise col gas al loro arrivo. Wiesel e il padre furono poi trasferiti a Buchenwald, dove il padre morì. Grazie ai suoi sforzi per mantenere vivo il ricordo dell’Olocausto, la sua opera è divenuta materiale di studio in molte scuole americane. Wiesel ha ricevuto la Congressional Medal of Honor nel 1985 e il premio Nobel per la pace nell’86.

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vari programmi sono stati adottati a livello delle singole città sul genocidio, ma alcuni pongono la Shoah allo stesso livello degli altri genocidi, cancellandone, in tal modo, l’unicità legata alle dimensioni, alla pianificazione e alla sistematicità con cui è stato attuato, quindi banalizzandolo. Nel 1993, l’inaugurazione dell’Holocaust Memorial Museum32 a Washington, la creazione del Beit Hashoah Museum of Tolerance a Los Angeles e l’uscita del film di Steven Spielberg, Schindler’s List, hanno suscitato una vasta ondata di interesse per la Shoah da parte dell’opinione pubblica generale, degli insegnanti e degli studenti. Grazie appunto a questo aumento di interesse negli anni, si sono moltiplicati i centri di documentazione e i musei, infatti nel 1999 esistevano negli Stati Uniti circa cinquanta centri di documentazione, dodici memoriali e diciannove musei. Si sono inoltre attuati programmi educativi molto influenti, come, per gli insegnanti, il Facing History and Ourselves e, per gli studenti, il A Holocaust Curriculum: Life Unworthy of Life. Sovente però l’esponenziale crescita dell’interesse da parte della comunità ha incontrato moltissimi problemi per ciò che riguarda l’insegnamento dell’argomento, tra cui uno dei più importanti rimane la mancanza di precisione e di attenzione per i dettagli che tende a portare ad una comprensione solo superficiale o semplicistica della materia.

Francia Un capitolo a parte deve essere dedicato allo studio della Shoah in Francia, a causa della storia specifica di questo paese durante la II guerra mondiale. La Francia visse per quattro anni , dall’occupazione tedesca dei primi mesi del 1940 fino allo sbarco in Normandia del giugno del 1944, con i nazisti in casa sia al nord sia al sud con il governo collaborazionista di Petain. De Gaulle, fuggito in Inghilterra nel ’40, guidò la resistenza francese, e quando tornò vittorioso in patria nel ’44, fece che cancellare dalla memoria del paese, la Repubblica di Vichy33in nome della “riconciliazione nazionale”. Ma durante quei quattro anni in Francia la deportazione ebraica fu “assecondata” dai politici e anche in gran parte dalla popolazione; sul territorio francese erano presenti molti ebrei anche provenienti dall’est, scappati alle persecuzioni naziste dopo le annessioni dell’Austria e della Cecoslovacchia, e certamente la popolazione francese fece poco per salvare questa massa di disperati. La polizia francese collaborò pienamente con i nazisti nella caccia all’ebreo e infatti c’era

32 Fu il risultato di quindici anni di sforzi per creare un luogo della memoria per le vittime dell’Olocausto. Nacque da un’iniziativa comune del presidente degli Stati Uniti e del personale della Casa Bianca. Il presidente Jimmy Carter vide nella creazione del museo un modo per esaltare il proprio impegno per la difesa dei diritti umani. 33 Governo di Vichy: regime politico instaurato in Francia durante la seconda guerra mondiale. All'attacco sferrato dai tedeschi contro la Francia nel giugno del 1940, che portò in poche settimane alla conquista di Parigi, fece seguito l'armistizio firmato a Compiègne dal maresciallo Philippe Pétain, capo del governo francese, in base al quale tre quinti del territorio nazionale furono posti sotto il controllo diretto dei tedeschi; nella parte restante fu costituito un governo collaborazionista, che stabilì la sua sede a Vichy ed ebbe come capo dello stato Pétain e come primo ministro Pierre Laval. Il regime di Vichy improntò la sua azione secondo una linea antiparlamentare, tradizionalista e nazionalistica. Stabilì una stretta cooperazione con i tedeschi, che si intensificò nel 1942 quando i funzionari del governo collaborarono con gli occupanti nella cattura e nella deportazione degli ebrei francesi. Nel novembre del 1942 i tedeschi occuparono tutta la Francia, come reazione allo sbarco alleato nel Nord Africa: a quel punto il governo di Vichy, pur restando formalmente in carica, perse ogni residua autonomia e divenne uno strumento nelle mani di Hitler. Di fronte all'avanzata degli Alleati, la sede del governo fu trasferita prima a Belfort, quindi a Sigmaringen in Germania, e i suoi destini rimasero legati a quelli del Reich tedesco.

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in Francia (a differenza che in Italia) da parte dei perseguitati, la chiara coscienza della fine che spettava loro, e cioè il viaggio della morte verso Auschwitz34. Nel dopoguerra seguì il silenzio, l’”oblio”: nei primi venticinque anni (1945-1970), il mito della resistenza e la necessità della riconciliazione nazionale impedirono, in Francia, qualsiasi dibattito pubblico o scolastico sulla sorte degli ebrei sotto il nazismo. I deportati ritornati in patria fanno fatica a parlare, non trovano ascolto; ben presto si chiudono nel silenzio e il paese si ricostruisce una sua storia “pulita” dalle macerie della guerra35. Il cambiamento di percezione si ha negli anni ’70, per il cambiamento di clima politico, perché è entrata nell’età adulta la generazione nata dopo la guerra, per la pubblicazione di testi di storici stranieri36 che rompevano il silenzio quasi totale degli storici francesi. Anche la presa di coscienza ebraica ha tempi lenti e si risolleva negli anni ’60 in seguito ad alcuni avvenimenti: nel 1961 con il processo ad Eichmann; nel 1967 con l’arrivo in massa di ebrei dalle ex colonie, dalla Tunisia e dal Marocco e sempre nel 1967 con la guerra dei Sei Giorni. Quest’ultima segna il momento della vera presa di coscienza, in Francia come negli USA, per la comunità ebraica internazionale che si vede di nuovo minacciata nella sua esistenza. Anche nelle scuole incomincia in quegli anni a muoversi qualcosa; nel dopoguerra solo qualche cenno alla Seconda guerra mondiale era inserito nei programmi delle scuole inferiori. Nel 1964 il Ministero dell’educazione nazionale promuove un “Concorso annuale della Resistenza e della Deportazione”. All’inizio degli anni ’70 il genocidio degli ebrei viene introdotto nei programmi delle classes de troisième, per i ragazzi quattordicenni. Bisognerà aspettare il 1983 perché l’argomento venga inserito nelle classi superiori. D’altronde il clima politico cambiato, con la fine del gollismo, permette la scoperta storica del regime di Vichy e il suo ruolo nella “soluzione finale”. Nel 1979 i più prestigiosi storici francesi firmano una “dichiarazione sul genocidio degli ebrei”, pubblicata su Le Monde. “Gli anni Ottanta vedono la costruzione progressiva della shoah come oggetto di storia e parallelamente, l’emergere di una memoria collettiva nazionale che vuol essere informata sul regime di Vichy e sulla collaborazione.”37 In questo clima esce, nel 1985, il monumentale film di Lanzmann, Shoah, che per il pubblico francese diventa un avvenimento. Oggi nella scuola francese si studia la deportazione e il genocidio ebraico all’ultimo anno delle superiori, a cui si dedica per programma alcune ore di lezione, e gli studenti per superare il Baccalauréat, devono presentare una preparazione adeguata sulla persecuzione nazista e sullo sterminio degli ebrei. Dal 1993 la Repubblica Francese celebra il 16 luglio come data simbolo della memoria delle vittime dei crimini antisemiti durante l’occupazione e nel 1994 si celebra per la prima volta un processo contro un cittadino francese (Paul Touvier) per <crimini contro l’umanità>. Questi ultimi avvenimenti danno il senso dell’avvenuta presa di coscienza della shoah nazista-francese che, come dice Bensousson, “non è una scoperta degli ultimi vent’anni, è una riscoperta.”38

34 A questo proposito, di grande interesse ed attualità è la storia di Saul Friedländer, ebreo di Praga, unico superstite della sua famiglia, perché bambino salvato da un istituto religioso cattolico in Francia. Saul Friedländer, A poco a poco il ricordo, Einaudi, 1990. 35 Il silenzio dei testimoni è imputabile, come dice Gorges Bensoussan, alla difficoltà di ascoltare; in Francia tra il 1945 e il ’48 vengono pubblicati 114 opere di testimonianza della deportazione, 71 delle quali solo tra il ’45 e il ’46. Dopo il 1948 non si pubblica più sulla deportazione, gli editori non accettano più i manoscritti. (Georges Bensoussan, L’eredità di Auschwitz, Einaudi, 2002, p. 17) 36 Pubblicato nella Germania occidentale: Jäckel, Frank-reich in Hitlers Europa ,1966; negli USA: Paxton, Vichy France: old guard and new order 1940-1944, 1972. 37 Georges Bensoussan, L’eredità di Auschwitz, Einaudi, 2002, p. 31. 38 Op cit., p.19

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Italia L’insegnamento della Shoah nelle scuole italiane ha una sua storia e un suo percorso, legati, anche per il nostro paese, alle specifiche vicende storiche degli anni della guerra e all’interiorizzazione della tragedia della deportazione. L’Italia fu un paese vinto e “vincitore” dove vi fu una resistenza antifascista forte, appoggiata dal movimento popolare, dalla quale è nata la Repubblica; l’Italia fu un paese fascista e poi in parte nazifascista, dal ’43 al ’45; in Italia venne applicata fin dal 1938 la legislazione razziale abrogata solo nel 1945. Tutto questo ha avuto conseguenze sulla percezione sociopolitica della persecuzione ebraica, sulla storiografia e sulla divulgazione e in ultimo sull’insegnamento dell’argomento nelle scuole. Sicuramente solo negli ultimi dieci anni si può parlare di un’attenzione per la shoah nella scuola, a livello di programmi e di libri di testo; l’insegnamento della deportazione era affidato alle iniziative singole degli insegnanti, non sempre approvate da tutti. Vediamo in sintesi il percorso della consapevolezza della shoah, parallelamente, nella società, nella editoria e nelle scuole. Dal dopoguerra fino agli anni ’60 cala il silenzio sui campi di sterminio. I libri di testimonianza che vengono scritti nell’immediatezza del ritorno dai lager, sono pubblicati quasi sempre a spese dell’autore, circolano poco e la gente si dimostra poco interessata, quasi infastidita dall’argomento39. Il lager è assimilato agli orrori della guerra che tutti hanno patito, fame, bombardamenti, ecc… I sopravvissuti non trovano ascolto e infatti ben presto smettono di raccontare40. A partire dagli anni ’70 si incomincia a riconoscere un ruolo, storico e intellettuale, alla deportazione e si attribuisce al lager nazista il ruolo cruciale nella storia contemporanea. Ma nelle scuole rimane l’iniziativa personale e i libri di testo non aiutano minimamente: sui manuali di storia usciti sul finire degli anni ’60, pur impostati in un’ottica di moderna storiografia, scarsissime sono le informazioni sull’argomento ed alcune volte presentano anche errori gravi. Citiamo alcuni esempi significativi. Dal manuale di Armando Saitta, del 1967, nel capitolo sulla seconda guerra mondiale: “La Germania domina ormai su più di metà del continente europeo, applicandovi il più spietato e sistematico terrorismo: gli ebrei, ma non soltanto essi, sono deportati in massa, torturati, seviziati, infine uccisi con raffinato sadismo nei campi della morte di Buchenwald, di Dachau, di Mauthausen.”41

39 A questo proposito è emblematica la vicenda editoriale di Se questo è un uomo, manoscritto del 1947 rifiutato da Natalia Ginzburg per conto dell’Einaudi, perché giudicato opera di scarso valore e interesse. 40 Dal testo di Anna Bravo e Daniele Jalla, Una misura onesta, Milano, Franco Angeli, 1994, abbiamo elaborato, nella ricerca del 2001-02, la bibliografia cronologica delle memorie sulla deportazione italiana; ne riportiamo qui i dati riassuntivi. 1. Le memorie sono numerose nel '45, (9 testi) e tendono ad aumentare nel '46 (12 testi), per poi diminuire

drasticamente nel '47. 2. Gli scritti tendono a risalire di numero negli anni '50 (7 testi) e a crescere decisamente negli anni '60 (24 testi) 3. Nei primi anni, i testi sono tutti pubblicati da piccole case editrici, più che altro tipografie, e le edizioni tendono ad

essere a carattere privato. 4. Il primo testo pubblicato dalla Mondatori è del 1947, ma è un romanzo. 5. I primi testi pubblicati da grandi case editrici sono degli anni '60, per i tipi della Feltrinelli e dell'Einaudi ( per

Primo Levi) 41 Armando Saitta, Il cammino umano, Corso di storia ad uso dei licei,Vol.III, La Nuova Italia, 1967, p. 568.

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Dal manuale di Rosario Villari, del 1969, sull’ideologia razzista del nazionalsocialismo e sulle leggi razziali italiane troviamo: “ il lancio in grande scala della campagna anti-ebraica, cui si associò Mussolini emanando un decreto razzista, il 14 luglio 1938.” Sono citati, come esempio, solo tre lager, quelli di cui in Europa in quegli anni si conosceva meglio l’esistenza, non c’è riferimento né ad Auschwitz né allo sterminio sistematico effettuato nelle camere a gas; la non-conoscenza storica dell’argomento è impressionante. Anche il razzismo è liquidato in poche righe e con un errore: il 14 luglio 1938 è la data della pubblicazione del “Manifesto” degli scienziati razzisti, il Regio decreto legge n° 1728 sulla difesa della razza ariana italiana è del 17 novembre 1938. Nelle scuole l’unica lettura sulla shoah fu per anni il Diario di Anna Frank, tradotto in italiano nel 1954, che in ogni caso non parla della deportazione e dei lager, ad essi prelude e coinvolge ragazzi e bambini perché scritto da un’adolescente; è comunque una buona lettura per capire la “caccia all’ebreo” che avrà come epilogo la morte della protagonista e della sua famiglia (solo il padre tornerà dai lager). Nel 1958 l’Einaudi pubblica Se questo è un uomo; ma è solo con l’uscita, nel 1963, de La tregua che Primo Levi entra nelle scuole; il libro diventa una lettura scolastica diffusa, anche se l’argomento del ritorno dal lager non è sempre preceduto dalla conoscenza dell’universo Auschwitz. Con la lettura dei suoi libri, Primo Levi entra nelle scuole anche come testimone; è l’inizio di un periodo nuovo per i sopravvissuti dei campi di sterminio, molti prendono forza e ricominciano a parlare, Primo Levi insegna a i suoi compagni ad essere solo dei “testimoni”, a raccontare solo quello che hanno visto per essere creduti. Negli anni ’80 incominciano a prendere corpo lavori di archivi di memorie e in Piemonte vengono raccolte da alcuni ricercatori universitari con l’appoggio dell’Aned, 200 interviste che saranno trascritte e unite in un’antologia che esce nel 1988 dopo quasi cinque anni di lavoro42. Scrive Primo Levi nell’introduzione: “ …perché solo ora? Perché così tardi? Tardi, sì; se la raccolta e la registrazione di queste storie di vita fosse stata intrapresa prima, la memoria degli intervistati sarebbe stata più fresca, ed il loro numero maggiore: molti nostri compagni ex deportati sono scomparsi per via. Tardi per ragioni organizzative, ma anche perché solo in tempo recente, e non unicamente in Italia, è maturata la consapevolezza che la deportazione politica di massa, associata alla volontà della strage e al ripristino dell’economia schiavistica, è centrale nel nostro secolo, alla pari con il tragico esordio delle armi nucleari.”43

Nel 1973 prende il via l’iniziativa del Consiglio Regionale del Piemonte di organizzare viaggi al lager di Mauthausen e ai suoi sottocampi, accompagnati dai superstiti e destinati a studenti ed insegnanti. Nel 1977 si decide di riservare i viaggi solo ai docenti e il progetto, che si ripeterà in questa forma fino al 1980, avrà una enorme ricaduta sulla scuola e sulla conoscenza e diffusione dell’insegnamento della deportazione; anche per gli ex deportati il viaggio nel lager è un modo per entrare in contatto con gli insegnanti che permetterà loro di entrare nelle scuole come testimoni44. E’ un salto qualitativo enorme, purtroppo ancora affidato all’iniziativa dei singoli insegnati che hanno avuto modo di entrare nel mondo del “lager” e che approfondiscono l’argomento e chiamano a scuola un testimone a parlare con i ragazzi.

42 Anna Bravo, Daniele Jalla (a cura di), La vita offesa, Storia e memoria dei Lager nazisti nei racconti di duecento sopravvissuti, Franco Angeli, 1988 43 Op. cit., p 7. 44 “In tre anni 270 insegnati medi visitano così i principali lager della deportazione italiana”( Lucio Monaco, “Didattica della storia, etica della memoria” in Viaggi di Erodoto, n.23, 1994, p.41)

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Nel 1982 prende il via il concorso regionale che premia i migliori lavori degli studenti delle scuole medie superiori con un viaggio nei lager accompagnati dai testimoni.45

Ai viaggi, il Consiglio Regionale del Piemonte affianca convegni di studi a cui partecipano testimoni, storici, studenti ed insegnanti a cui seguono utili e fondamentali pubblicazioni per la storia della deportazione. Quella piemontese è sicuramente un’iniziativa di alto impegno che permette finalmente di riempire i vuoti istituzionali e i vuoti didattici che continuano esistere nei libri di testo fino alla fine degli anni ’90. Solo con il 1996, infatti, su iniziativa del Ministro della Pubblica Istruzione Luigi Berlinguer, si è reso obbligatorio lo studio della storia del ‘900 nell’ultimo anno delle superiori, e la shoah ha incominciato ad acquisire un posto e un’attenzione particolare. Anche le case editrici hanno dovuto rivedere i manuali scolastici, mettendo maggiore attenzione sulle tematiche riguardanti il razzismo, il progetto di sterminio, la deportazione europea ed italiana. E’ contemporaneamente partito il progetto “Storia del Novecento” finalizzato al rinnovamento didattico della storia con particolare riguardo alla contemporaneità; in questo ambito sono stati realizzati diversi progetti-pilota, con la collaborazione dell’Università, dell’Istituto Luce, della Rai, del Centro di documentazione ebraica contemporanea, che hanno coinvolto docenti di diverso ordine e grado. In questo ambito è stata avviata una riflessione educativa sul tema della Shoah, da cui sono nate iniziative educative interessanti, legate però ancora all’interesse e alla sensibilità dell’insegnante per l’argomento. Una svolta importante è stata quella del 60°anniversario delle leggi razziali, nel 1998. Per iniziativa del Presidente della Camera dei Deputati, Luciano Violante, e del Ministro della Pubblica Istruzione è stato lanciato nelle scuole un progetto nazionale <I giovani e la memoria> che ha avuto un congruo finanziamento e ha suscitato interesse e partecipazione. I temi di approfondimento individuati erano: a) la contestualizzazione storica della shoah; b) le ricerche negli archivi scolastici per ricostruire le vicende di studenti e di insegnanti ebrei cacciati dalla scuola (e in molti casi scomparsi nei lager); c) la ricerca sulle fonti orali; d) la ricerca dei luoghi della memoria. Negli anni 1999 e 2000 si sono organizzati due convegni nazionali, con il patrocinio del Presidente della Camera Luciano Violante, su <Nuove forme di discriminazione> e su <L’Italia repubblicana>. In questi anni sono stati organizzati sul territorio nazionale iniziative rivolte alla formazione dei docenti: ricordiamo nel 2001 il seminario di Varese sui totalitarismi, nel 2002 quello di Latina su <La discriminazione>, nel 2002/3 il seminario nazionale itinerante sui <Luoghi della memoria>. La legge del 2000 sulla istituzione della “Giornata della memoria” ha sicuramente completato a livello istituzionale il nuovo e rinato interesse sulla storia della shoah e della deportazione nei lager. Dal 2002 il Ministero della Pubblica istruzione con l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica in collaborazione con l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane bandisce annualmente un concorso “I giovani ricordano la Shoah” riservato all’istruzione primaria e secondaria; i giovani vincitori sono ricevuti dal Presidente della Repubblica e celebrano a Roma, con le massime autorità dello Stato, il “giorno della memoria”. Nel biennio 2004/2005 l’Italia esercita la Presidenza della Task force for international cooperation on Holocaust education remembrance and research di cui abbiamo parlato nel 1° capitolo del nostro lavoro e il Ministero sta raccogliendo a livello nazionale tutte le iniziative delle scuole sulla shoah.

45 Per una valutazione più approfondita di questa iniziativa vedi: Lucio Monaco, “Didattica della storia, etica della memoria” in Viaggi di Erodoto, n.23, 1994. Federico Cerea e Brunello Mantelli, “Le ricerche sulla deportazione e sulla Resistenza promosse dal Consiglio Regionale e dalle province piemontesi nell’ambito del concorso regionale <Visite di studio ai campi di sterminio>”in: Insegnare Auschwitz. Questioni etiche, storiografiche, educative della deportazione e dello sterminio, a cura di Enzo Traverso, Bollati Boringhieri, 1995.

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In questi ultimi cinque anni si è dunque arrivati a dare piena legittimità di studio nelle scuole all’argomento, si sono moltiplicate anche le pubblicazioni scolastiche e nei libri di testo attuali, in forme più o meno approfondite, si dedica uno spazio alla shoah. Parallelamente si è compresa la “centralità di Auschwitz” nel progetto di sterminio e si sono moltiplicate le pubblicazioni che hanno per titolo “insegnare Auschwitz” e che riflettono su come insegnare la shoah e su come passare ai giovani l’orrore dello sterminio. Bibliografia: Enzo Traverso (a cura di), Insegnare Auschwitz. Questioni etiche, storiografiche, educative della deportazione e dello sterminio, Bollati Boringhieri, 1995. Gadi Luzzatto Voghera, Ernesto Perillo, Pensare e insegnare Auschwitz, Franco Angeli, 2004 AAVV, Dizionario dell’Olocausto, Einaudi, 2004 Storia vissuta. Dal dovere di testimoniare alle testimonianze orali nell’insegnamento della storia della II° Guerra mondiale,(Atti del convegno internazionale 1986) Franco Angeli, 1988. Georges Bensoussan, L’eredità di Auschwitz, Einaudi, 2002.

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LA MEMORIA CANCELLATA

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Ciò che resta dei campi di concentramento di Gusen ed Ebensee

In questo capitolo vogliamo riflettere su un aspetto che purtroppo tocca il rapporto memoria-sterminio, e cioè il tentativo più volte messo in atto nel corso del dopoguerra di cancellare la memoria dei campi di concentramento. Alla frase che ormai sentiamo ripetere sovente “ ricordare perché non si ripeta” e che pare ovvia davanti agli orrori del nazismo, dobbiamo contrapporre e studiare con attenzione quanto è stato fatto per cercare di nascondere, a guerra finita i crimini perpetrati. Gli esempi a questo proposito sono tanti, dai criminali nazisti che sfuggirono alla giustizia e che ripresero tranquillamente la loro vita di buoni padri di famiglia, al revisionismo storico che cercò di negare lo sterminio. Noi vogliamo partire da una nostra esperienza e dalle nostre riflessioni. Nello scorso anno scolastico, nell’ambito del “Progetto memoria” del nostro Istituto, un gruppo della nostra classe ha partecipato al viaggio della memoria al campo di Mauthausen, con una guida straordinaria, Pio Bigo, che ci ha dato sui luoghi stessi della deportazione la sua preziosa testimonianza46. L’impatto con il lager-fortezza di Mauthausen è stato per tutti noi fortissimo, perché si respira ancora il terrore delle SS, dei Kapò e anche se le baracche sono state in parte ricostruite e gran parte del lager non esiste più, la memoria è pienamente preservata. Molto significativi sono i monumenti-memoriali47 che ogni paese d’Europa che ha avuto dei deportati nel lager, ha costruito; noi ci siamo fermati in raccoglimento davanti al memoriale delle vittime italiane che è composto da una simbolica gabbia di filo spinato contro un muro del pianto coperto di fotografie e lapidi dei defunti fornite dalle famiglie, sulle quali sono incisi i nomi di alcuni nostri compatrioti. All’impatto fortissimo della “scala della morte” è seguito l’incontro con il sottocampo di Gusen. Gusen è nella memoria degli ex deportati il “campo degli italiani” perché in questo sottocampo48 di Mauthausen furono portati la maggioranza dei partigiani che vennero catturati dopo l’invasione nazista dell’Italia, gli operai delle fabbriche del nord Italia arrestati per gli scioperi del marzo 1944, gli oppositori politici. Gli Italiani arrivarono a Gusen a partire dal marzo del 1944, e, come ricordano i deportati francesi che erano nel campo fin dal 1942, gli Italiani morivano come mosche. Le testimonianze orali e scritte sull’inferno di Gusen sono giunte fino a noi con i loro terribili resoconti.

46 Pio Bigo è stato deportato nel marzo del 1944, come prigioniero politico, a Mauthausen; trasferito dopo una settimana nel campo di Gusen, vivrà in seguito altri lager in un tragico percorso che lo porterà ad Auschwitz e, in seguito alla marcia della morte verso ovest, a Buchenwald, dove vedrà la liberazione nell’aprile del 1945. Nel suo lungo calvario Pio Bigo ha vissuto il passaggio in sette lager. 47 I memoriali rappresentano dei punti fissi, sui quali vari gruppi possono proiettare simboli condivisi in modo da rafforzare le proprie concezioni d'orgoglio collettivo, di eredità comune, di potere e di sé. Molti memoriali sono stati costruiti sui resti di quelli che una volta erano i campi di concentramento. Queste inquietanti rovine di solito erano costituite da filo spinato, torri di sorveglianza, fondamenti di pietra delle baracche in legno ormai scomparse, crematori, celle di detenzione, binari ferroviari coperti di ruggine, lapidi spezzate e fosse comuni. Nonostante le ingiurie del tempo, l’abbandono e perfino i tentativi deliberati di distruggerli, questi siti continuano a ricordarci il passato con la loro presenza fragile e sommessa; a mano a mano che gli avvenimenti sbiadivano sempre più nel ricordo assumendo le sembianze del mito, il paesaggio e il territorio hanno subito inevitabili trasformazioni: sono state costruite nuove strade, i terreni circostanti sono stati adibiti ad altri usi e le strutture storiche sono andate distrutte. Spesso i visitatori non riescono a distinguere i resti degli ex campi di concentramento dalle sovrapposizioni successive. Il solo fatto di conservare questi siti nel loro aspetto originario, rappresenta un atto di memorializzazione. Da: AAVV, Dizionario dell’Olocausto, Einaudi, 2004, p. 454 /459. 48 I sottocampi di Mauthausen costruiti a Gusen erano tre: Gusen I costruito a partire dal 1940; Gusen II (St. Georgen) che fu iniziato nel marzo del 1944 e Gusen III nel dicembre dello stesso anno.

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Ebbene, a Gusen ci sono oggi tante ridenti villette, con giardinetto e piscina per bimbi: il territorio è occupato dall’edilizia residenziale. L’unica traccia del campo la si “legge” nella facciata di una villa che il proprietario ha avuto il buon gusto di costruire intorno all’arco dell’edificio dell’ingresso al lager. La si vede dalla strada ed è sorvegliata da diverse telecamere che preservano il proprietario dall’ingresso di coloro che vengono a visitare quel che resta del campo. Riportiamo qui di seguito due foto dell’epoca e un’immagine di oggi, perché forse le parole non bastano a descrivere l’impressione che ha avuto su di noi.

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Ci siamo tutti chiesti come si possa vivere con quelle pietre sulla testa, come si sia potuto costruire una casa preservando l’entrata nel lager, e qualche brivido di orrore e di indignazione è corso in tutti noi. Questo, oltre ad un altro edificio dell’ingresso al lager è tutto ciò che rimane del campo di concentramento di Gusen I, a differenza di Gusen II e Gusen III di cui non è rimasto neanche questo. Tra le gioiose villette sorge un edificio fuori dal contesto del paesaggio, esso è grigio, di cemento armato, squadrato, privo di rifiniture. E’ il memoriale voluto dagli italiani, costruito con i soldi dell’associazione ex deportati sul progetto dell’architetto Lodovico Barbiano di Belgiojoso49, che ha creato appositamente questa struttura per rappresentare il labirinto della morte che sono stati il campo di sterminio di Gusen ed i suoi sottocampi, per tutti coloro che sono stati internati durante l’attività del campo.

49 L’architetto Lodovico Barbiano di Belgiojoso , nato a Milano il 1 dicembre 1909, architetto, azionista, partecipa alla resistenza. Arrestato nel marzo del 1944 è incarcerato a San Vittore e poi inviato a Fossoli. Deportato a Mauthausen, dove arriva il 7 agosto 1944, viene poi trasferito nei sottocampi di Gusen I e Gunskirchen. Pubblica nel 1986 una raccolta di poesie (Non mi avrete, Venezia, edizioni del Leone) scritte tra il 1940 e il 1986; sedici sono i testi scritti nel lager, tra il novembre del 1940 e il maggio del 1945, uno dei rarissimi esempi, insieme a quelli del pittore ed amico Aldo Carpi, di scritti nel campo di concentramento. Da: Anna Bravo e Daniele Jalla, Una misura onesta, Franco Angeli, 1994, p. 116 e p. 413.

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L’entrata a labirinto simboleggia l’ultimo percorso di coloro che subirono questo martirio e allude ai “ labirinti” delle installazioni sotterranee del sottocampo Gusen II, ad esso è riferito anche il simbolo della struttura in calcestruzzo priva di rifiniture rappresentante il sistema di gallerie nelle quali perirono gran parte degli internati costretti a lavorare in condizioni più che disumane per favorire l’industria. L’interno è costituito da un’unica stanza nel cui mezzo è stato collocato un forno crematorio custodito come simbolo eclatante per ricordare ciò che migliaia di persone hanno subito attraverso la deportazione ed il successivo internamento nei campi di sterminio nazisti50. La storia di questo memoriale è interessante dal punto di vista della preservazione della memoria, perché non fu facile per le associazioni degli ex-deportati “strappare” il terreno alla lottizzazione urbanistica delle civili abitazioni. Per interessamento dell’Amicale de Mauthausen, che raccolse nel 1960, 98.551 franchi francesi, fu acquistato nel 1961, tramite Ermete Sordo che aveva avuto un fratello sacerdote morto a Gusen, un’area di 1750 metri che si affaccia sulla strada. Negli anni successivi fu progettato dall’architetto Belgiojoso con il Prof. Enrico Peresutti, il memoriale che vediamo oggi: la sua costruzione fu terminata nel 1965, a vent’anni dalla liberazione del KZ di Mauthausen e senza che l’Austria desse nemmeno un piccolo contributo alla sua realizzazione51.

50 Riportiamo qui di seguito le parole di Belgiojoso al convegno “Il dovere di testimoniare” tenutosi a Torino nel 1983. (L’intervento era corredato da diapositive a cui le parole dell’autore fanno riferimento): “ Questo è invece il monumento che abbiamo realizzato, sempre per opera del nostro studio, a Gusen, dove io ho vissuto per quasi un anno e dove purtroppo ho avuto occasione di vedere molto spesso dei compagni morti bruciati nel crematorio. Il crematorio è racchiuso in questo muro. Il monumento è ritagliato in uno spazio che oramai è stato circondato da un cantiere di case di abitazione, che ha cancellato quasi completamente la struttura del campo. Il monumento è pensato, e lo si vedrà poi meglio nelle foto successive, come una specie di labirinto, in cui uno spazio di una certa dimensione, saranno 8-10 m., diventa sempre più stretto, sempre più stretto, rappresentando così l’angoscia di chi viveva nei campi, e poi, tutto ad un tratto, si passa ad un grandissimo spazio che, nello stesso tempo, è morte e liberazione.” AAVV, Il dovere di testimoniare, Consiglio Regionale del Piemonte, Aned, 1984, p.190. 51 www.gusen.org

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La seconda giornata del nostro viaggio della memoria è stata dedicata alla visita del campo di concentramento di Ebensee. Giunti sul posto, a Ebensee, con indescrivibile sgomento abbiamo constatato che anche qui sul terreno su cui sessant’anni fa era situato il campo, oggi è presente un vero e proprio centro residenziale composto da villette, negozietti, parchi giochi, campi da calcio. A confermare il nostro sospetto di indifferenza sull’argomento da parte degli abitanti è stata l’immagine di un uomo che prendeva tranquillamente il sole nel giardino della sua villa confinante con l’appezzamento di terra nel quale sono stati eretti i memoriali del campo. A questa sconcertante vista è immediatamente scattato in noi l’impulso di porci la seguente domanda: come fanno queste persone ad abitare e svolgere indifferentemente tutte le azioni di vita quotidiane pur sapendo di trovarsi sopra un campo di sterminio in cui morirono in condizioni ignobili migliaia di persone? L’Austria si è ricostruita un passato che ne fa la prima vittima del nazismo. Essa ha rielaborato la propria memoria basandosi sul principio livellatore banalizzante che “tutti hanno sofferto a causa della guerra”, e quindi invocando le vittime e i danni dei bombardamenti alleati del 1943-1945. Se “tutti hanno sofferto”, “con quale diritto” gli ebrei potrebbero invocare, più degli altri, la loro sofferenza passata? Come gli altri, ci dicono, hanno avuto in Europa la loro “parte di sventura”… La memoria collettiva austriaca ha volontariamente cancellato la realtà del genocidio52. Le parole di Bensoussan diventano illuminanti davanti ai monumenti che noi abbiamo visto a Gusen ed a Ebensee. Ricostruiamo brevemente la storia della cancellazione-preservazione della memoria, così come è stata vissuta ad Ebensee. Quando gli ex-deportati tornavano sui luoghi del dolore, nell’immediato dopoguerra, trovavano progressivamente sempre di meno; e d’altronde Ebensee era ed è una ridente cittadina votata al turismo (già all’epoca dei nazisti che avevano qui le loro ville di vacanza), e certamente quei segni orrendi deturpavano il paesaggio. Qui più che altrove si sentiva il lager come un evento orribile ma estraneo alla cultura del luogo, venuto da fuori, imposto dall’invasore nazista. Significativa a tal proposito è il ricordo dell’ex-deportato polacco Ladislau Zuk53, rimasto ad Ebensee dopo la sua liberazione, che ha dovuto convivere per molto tempo con questo stratagemma di rimozione di un passato indecoroso e ignobile. Negli anni successivi alla guerra, il sindaco Zieger di Ebensee fece di tutto per eliminare le baracche e togliersi dal suo territorio quella vergogna. Il comune non fece nulla per conservare un segno della memoria. Nel 1947 iniziarono i lavori preparatori e le trattative giuridiche per l’insediamento abitativo. Nel 1949 si iniziarono a costruire le prime case, utilizzando materiali del lager e le condutture idriche dello stesso. Quando il campo di Ebensee fu liberato il 6 maggio1945 dalle truppe USA, si costruì un cimitero, ed insieme ad esso venne eretto un monumento marmoreo con l’iscrizione : “ A eterna vergogna del popolo tedesco”. La scritta fu però in seguito eliminata a causa dell’insistenza di turisti tedeschi che minacciavano l’Austria di essere privata del guadagno turistico fornito soprattutto dai tedeschi. In seguito il cimitero fu trasferito nel luogo in cui oggi è situato il memoriale. Il memoriale è sorto grazie all’opera della signora Hilda Lepetit. Alla liberazione, vicino al Revier54 e al crematorio fu trovata una fossa comune con 1179 cadaveri. La signora Lepetit, il cui marito era morto nel campo di Ebensee, presentò nel 1947 la domanda per potere erigere a sue spese un monumento. Essa trovò non poche difficoltà e molte resistenze da

52 Georges Bensoussan, L’eredità di Auschwits, Einaudi, 2002, p. 9-10-11. 53 Deportato polacco, arrivato da Auschwitz in seguito alle tremende evacuazioni del 1945, e rimasto ad Ebensee. Ancora oggi fa da guida ai gruppi in visita a quel che resta del campo e alle gallerie. 54 Revier: nel linguaggio del campo era l’”ospedale”, luogo di morte e non di cure.

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parte delle autorità locali55. Il progetto fu dell’architetto Karl Winter di Ebensee e l’inaugurazione avvenne il 4 maggio 1948. Il monumento è composto da una grande lapide di marmo su cui sono scritte le seguenti parole: “Al marito qui sepolto, compagno eroico di mille morti, che insieme riposano e dei milioni di altri martiri di ogni terra e di ogni fede, affratellati dallo stesso tragico destino, una donna italiana dedica, pregando perché così immane sacrifizio portì bontà nell’animo degli uomini”.

La costruzione del monumento facilitò lo smantellamento del primo cimitero, dove era situata l’originaria croce, e nel 1951 lo stato Austriaco rilevò il terreno intorno al monumento Lepetit dove venne adibita una piccola area a cimitero e a memoriali56.

55 Riportiamo al fondo del capitolo la fotocopia della lettera della Sig.ra Lepetit in data 1958 inviata al Ministero Austriaco A.C.V.G. (Combattenti e vittime della guerra). 56 Attualmente nel cimitero-memoriale vi sono monumenti per le vittime lussemburghesi, ucraine, polacche, francesi, tedesche, ungheresi, italiane, russe, cecoslovacche, iugoslave e di tutte quelle ebraiche.

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In quegli stessi anni incominciò la lottizzazione del terreno del lager e si riuscì a malapena a salvare il primo portone d’ingresso del campo nonostante l’opposizione degli abitanti che sostenevano che deturpasse il paesaggio. Solo negli anni Ottanta, con il cambio di generazione, in Austria ed anche ad Ebensee, si ebbe un cambiamento di prospettiva rispetto al periodo nazista: nel 1988 fu fondato il Museo della Resistenza, che è sito nel centro della cittadina ed è molto attivo nel curare la memoria dello sterminio nazista. Dal 1996 è possibile vedere le gallerie scavate nella roccia dai deportati dentro le quali lavoravano alla costruzioni di armi belliche e dentro le quali avrebbero dovuto morire migliaia di deportati prima dell’arrivo degli americani, secondo un comando arrivato dai vertici delle SS che intendevano murare i deportati dentro le gallerie e farli saltare con la dinamite. Il comune austriaco di Ebensee, nel 1987, è gemellato con il comune italiano di Prato. Il gemellaggio Prato-Ebensee è stato voluto come esempio di uno scambio a molti strati, personali, culturali e formativi, tra persone di un ex KZ austriaco e una delle regioni di provenienza di numerosi deportati di quel campo. “ Le città di Prato e di Ebensee si impegneranno a sostenere tutte le iniziative che contribuiscono a far conoscere gli avvenimenti del KZ Ebensee “ La caratteristica di questa cooperazione sta nel fatto che non si limita , come nella maggior parte dei gemellaggi, a visite reciproche da parte di autorità politiche aventi di mira soprattutto interessi economici o turistici. Si tratta del contratto tra due società differenti, che hanno una loro propria memoria regionale riguardo al periodo nazista e fascista. Il contraente austriaco, che non è responsabile della costituzione di un suo villaggio, ma che si sente ancora spesso come prima vittima di Hitler e aveva rimosso il Lager dalla sua memoria regionale, si è impegnato ad agire attivamente per la memoria e di sentirsi responsabile in questo senso.57

Il gemellaggio modifica così anche la memoria regionale e contribuisce in misura determinante a integrare il lavoro di istituire la memoria nell’autocoscienza della cittadina, inoltre esso ha stimolato

57 Il gemellaggio “ Prato-Ebensee “ nel Convegno berlinese sui memoriali.

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interessanti impulsi per quello che riguarda gli scambi di scolaresche e la presenza di abitanti di Ebensee e di Prato sui luoghi di memoria, rappresentanti una “ sfida “ per questi due comuni. Lo spunto che diede concretezza alla realizzazione di questo gemellaggio fu il fatto che spesso erano sorti legami tra le regioni di provenienza di ex deportati e i luoghi di detenzione dei sopravvissuti, ma che con lo scomparire dei testimoni questo punto di contatto viene meno poco per volta. Oggi così come qualche anno dopo la lottizzazione del terreno, agli ex deportati, alle loro famiglie, ai turisti, Ebensee si presenta come un luogo di villeggiatura perfetto, un luogo di vacanze ideale, dimostrando la riuscita dell’intento dei suoi abitanti di “mascherare, offuscare” le prove del passato. Bibliografia sui memoriali: Gusen: www.gusen.org www.deportati.it Ebensee: www.ebensee.org Wolfang Quatember, “Die geschichte der kz-gedenkstatte Ebensee”, in Betriff Widerstand, Verein Widerstands Museum, 1996. Ringraziamo: la Prof.sa Eleonora Vincenti per le traduzioni dal tedesco che ci hanno permesso di utilizzare le fonti Andreas Schmoller, Direttore pedagogico del Museo di storia contemporanea e del memoriale KZ Ebensee, che ci ha fornito articoli e fonti direttamente dal Museo di Ebensee. Alleghiamo la fotocopia della lettera della Sig.ra Lepetit, indirizzata ai Sig.ri Charvet ( Controllore del Ministero A.C.V.G) e Wolf ( Incaricato alla missione A.C.V.G.in Austria) e scritta in francese nel 1958, cortesemente concessaci per la nostra ricerca da Andreas Schmoller.

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LA POST-MEMORIA

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In questo breve ultimo capitolo vogliamo concentrare la nostra attenzione su un problema che sarà di triste attualità fra qualche anno: la naturale scomparsa dei testimoni e le conseguenze sulla storia della deportazione e dello sterminio. Tra storia e testimonianza c’è ovviamente una differenza fondamentale che passa attraverso le strutture stesse su cui si fonda la ricostruzione storica e la memoria personale-soggetiva di chi racconta la propria vicenda. Le fonti orali sono storicamente trattate come tali e non possono di fatto diventare una fonte storica se non accertate da indagini e documentazioni. Per quanto riguarda le memorie dei sopravvissuti dei lager il problema dovrà essere posto, a breve, in altri termini: con la morte dell’ultimo testimone, quale valore assumeranno, da un punto di vista storico, le testimonianze sulla deportazione? La consapevolezza del problema è già viva da tempo, da quando cioè, a ogni livello, dalla esperienza scolastica fino a quella delle fondazioni americane, si cerca in tutti i modi di rincorrere il tempo e fermare su carta, con immagini, con registrazioni, quante più possibili testimonianze si riescono ancora a raccogliere. A noi sembra che oggi, a 60 anni dalla liberazione dei campi, il vero problema sia questo: l’urgenza di fermare per sempre la testimonianza. Citiamo gli esempi più famosi: 1. la Spielberg Foundation58, per la quale il registra lavora da anni per fermare le immagini dei testimoni. 2. Il sito del museo dell’Olocausto di Gerusalemme59 che ha messo nel mese di novembre del 2004 tre milioni di schede di ebrei morti nei campi di sterminio. Anche noi, nel nostro piccolo, come istituzione scolastica, abbiamo filmato e registrato la testimonianza di Pio Bigo a Mauthausen60, consapevoli di quanto essa possa essere preziosa oggi e domani. E possiamo immaginare che ogni scuola che lavori seriamente a progetti sulla memoria, tenda a fermare la memoria delle testimonianze raccolte. L’urgenza di una corsa quasi contro il tempo è fenomeno di oggi. Della “testimonianza” sui lager potremmo ormai fare un percorso storico: dai primi anni del ritorno in cui si impose il silenzio, perché nessuno più voleva ascoltare “storie di guerra”, agli anni’60 con la pubblicazione nell’Einaudi del libro di Primo Levi, fino al passaggio fondamentale degli anni ’80, in cui i sopravvissuti dei lager hanno avuto via libera nelle scuole italiane. In questa fase si è incominciato a parlare del “dovere di testimoniare”61 e sono stati pubblicati nuovi testi di

58 Voluta da Steven Spielberg, fondata insieme con James Moll e June Beallor nel 1994, la Shoah Foundation rappresenta un prezioso archivio storico degli eventi dell’Olocausto: la missione della “Survivors of the Shoah Visual History Foundation” é registrare e conservare le testimonianze oculari dei sopravissuti all’Olocausto, in modo da permettere alle generazioni future di imparare qualcosa dagli errori e dagli orrori commessi in quel devastante periodo della nostra storia. Le pubblicazioni, i cd-rom e i filmati interattivi prodotti dalla Fondazione in anni di lavoro e con l’appoggio di quattromila volontari sono un’iniziativa anticonvenzionale per stimolare soprattutto i giovani nel ricordo della tragedia del popolo ebraico. I fatti sono raccontati quasi sempre in prima persona dagli stessi protagonisti. L’archivio viene utilizzato come strumento di istruzione globale sull’Olocausto e come mezzo per diffondere la tolleranza razziale, religiosa, etnica e culturale. Fino ad oggi, sono state raccolte più di 50.000 interviste filmate, che sono state registrate in cinquantuno paesi diversi, in trentuno lingue differenti. Il materiale raccolto sarà messo a disposizione di almeno cinque musei, dallo Yad Vashem di Israele a quello dell’Olocausto a Washington, con un’attenzione particolare a tutte le istituzioni in memoria del genocidio con sede a Berlino e Bonn. 59 www.yadvashem.org (Da una prima nostra indagine sembra però che i dati italiani siano molto imprecisi, al punto tale che non risulta comparire il nome di Primo Levi e i dati su Natalia Tedeschi presentano alcuni errori grossolani. Forse la documentazione su cui hanno lavorato al museo non è aggiornata). 60 Filmato: “Per non dimenticare. Mauthausen e Gusen” anno scolastico 2001/2002. ITG Guarino Guarini, Torino 61 “Il dovere di testimoniare” è il titolo del convegno tenutosi a Torino il 28-29 ottobre del 1983, il cui sottotitolo è il significativo motto: “ perché non vada perduta la memoria dei campi di annientamento della criminale dottrina nazista”. Atti del Convegno, a cura del Consiglio regionale del Piemonte e dell’Aned, Torino, 1984.

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memorialistica e molti ex-deportati hanno preso il coraggio di dire quello che avevano tenuto nella loro memoria. Negli anni ’90 si registra ancora un altro passaggio, quello ad un ritorno alla prima stagione del ricordo, la testimonianza per non dimenticare. In questi ultimi 20 anni la testimonianza è diventata anche una necessità per fermare le tesi negazionistiche; l’urgenza sentita da tutte le vittime della deportazione ancora in vita di parlare per sé e per i compagni morti contro coloro che hanno cercato di negare lo sterminio, le camere a gas, il progetto scientifico-industriale della soluzione finale. Ma quando le voci testimoniali scompariranno, a noi che cosa rimarrà? Un vuoto. E lì si porrà il problema del rapporto tra testimonianza e storia. Quando i testimoni oculari non ci saranno più e quei racconti non avranno più “voce” diretta, a noi rimarrà una mole di storie che racconteranno e ricostruiranno scenari, situazioni, dolori, paure, ecc. Che farne? Come usarle correttamente? Come passare quella mole di testi alla memoria delle nuove generazioni? E’ in quel momento che si porrà la dimensione della “post-memoria”62. Bisognerà far parlare quelle “voci” come documenti e non solo più come prove. I problemi che si pongono non sono pochi. Nessuno di coloro che “agiranno” sulle testimonianze avrà vissuto direttamente né la deportazione né la guerra. Dovrà sapere usare i testi, le immagini, i filmati. Ma ormai la memoria sarà necessariamente “mediata”, di seconda generazione. Nell’articolo di David Bidussa63, abbiamo trovato un’interpretazione che ci pare interessante. Secondo l’autore, il film di Spielberg, Schindler’s List, ha già determinato un passaggio irreversibile tra testimonianza, storia e memoria. Il regista appartiene alla generazione di chi non ha vissuto la guerra, e ha a sua disposizione una mole enorme di materiale documentario; elabora le “fonti” in un contesto in cui è importante narrare oltre la dimensione diretta dei sopravvissuti. Rispetto a film come Nuit et Brouillard di Alain Resnais64 e Shoah di Claude Lanzmann65, legati soprattutto ad un’esigenza documentaristica, e segnati dall’indicibilità della shoah, con Schindler’s List assistiamo al passaggio alla “narrazione” e alla rappresentabilità: “per far questo la Shoah cessa di essere ente metafisico per divenire dimensione che si rintraccia in storie di individui, attraverso azioni e approcci che ne rendano in qualche modo sopportabile il peso.”66

E’ questo, per così dire, un uso diverso della memoria: le storie vengono usate e dalla loro narrazione emerge il dramma del lager. Ma lo sterminio non è raccontato e documentato: il registra si ferma prima. Emblematiche a questo proposito ci paiono le scene di Auschwitz: il treno che arriva nella nebbia, i cani, gli aguzzini, le donne di Schindler che guardano quasi dal di fuori l’”incredibile” realtà di Auschwitz e noi spettatori che, come loro, non riusciamo ad “entrare” in Auschwitz. Il treno riparte e, dal punto di vista narrativo, questo è il momento catartico del film, quello in cui tutti gli spettatori tirano un sospiro di sollievo; ma ad Auschwitz si moriva nella melma del fango, nelle camere a gas, si moriva per un “destra o sinistra”, nella bestialità più assoluta. Il film si ferma prima, un attimo prima, quasi inspiegabilmente, perché resta inspiegabile come un gruppo così 62 David Bidussa, “Testimonianza e storia. Verso la post-memoria”, da QOL, Reggio Emilia, numero 110, 2004, p. 3 e seg. 63 Op.cit, p.4,5. 64 Nuit et brouillard, di Alain Resnais, 1956 (32’): documentario sullo sterminio commissionato a Resnais dal Comité d'Histoire della Seconda Guerra Mondiale in cui i materiali attinti agli archivi storici delle forze alleate si alterna a sequenze a colori girate sui luoghi della deportazione. Commento di Jean Cayrol, musica di Hanns Eisler. 65 Nel 1985 Claude Lanzmann dirige "Shoah" un film-documentario imponente per impegno e durata (570’). Il film ha un taglio cinematografico opposto a quello di "Holocaust": i testimoni - i veri testimoni - sono al centro della narrazione, è un film basato sul dialogo, sulla memoria. Nulla di più distante dalla idea filmica americana 66 Op. Cit., p 4.

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numeroso di donne ebree sia potuto uscire da Auschwitz. Abbiamo la spiegazione della facile corruzione delle SS, e forse ci sentiamo meglio a poterlo pensare. Ma il messaggio più profondo è che Auschwitz oggi, non possiamo rappresentarlo: rimano un buco nero. Anche secondo Alberto Cavaglion il film di Spielberg ha segnato un’epoca, un modo di rappresentare la Shoah. Ma secondo l’autore è già superato; il suo “magniloquente pedagogismo (…) che nella memoria-dovere trovava la propria ragion d’essere”, quella che ha segnato l’era del testimone, è stato superato dal regista Polanski con il suo film Il Pianista. “Nella rappresentazione della Shoah – nella letteratura come nel cinema – la linea discriminante passa fra chi ponendosi nelle vesti del pedagogo attribuisce alla memoria un valore assoluto e chi invece, come già Resnais ed oggi Polanski, rappresenta gli orrori di cui l’uomo è capace nella prospettiva di un mondo a venire in cui il ricordo stesso degli orrori divenga inutile. La normalità è data dal fatto che alla fine lo spettatore è persuaso che si possa di nuovo suonare in diretta radiofonica Chopin, senza bisogno di sentire rombanti motori di carri armati mentre scorrono i titoli di coda. (…) La gratitudine che si deve al registra consiste nel non averci voluto affidare nessun messaggio sul Bene che trionfa sul Male, ma di averci semplicemente fatto osservare che cosa significa vivere la quotidianità di un crimine assurdo.”67

Dopo questo breve percorso di riflessione nella memoria del dopo-testimone, noi ancora una volta non possiamo dare risposte: che ne sarà, nella storia della “letteratura” sulla Shoah, della testimonianza? Come ci comporteremo di fronte a quelli che verranno, noi che abbiamo ascoltato i testimoni diretti della deportazione? Come useremo le immagini, le registrazioni, gli scritti? Per il momento possiamo solo registrare il passaggio odierno, scandito dalla consapevolezza che tra breve le “voci” dei testimoni non ci saranno più e che ci porta a documentare il più possibile tutto ciò che rimane registrabile. 67 Alberto Cavaglion, “Una grammatica di ordinarie virtù”, in Gadi Luzzatto Voghera, Ernesto Perillo, Pensare e insegnare Auschwitz, Franco Angeli, 2004, p. 42.

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