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INQUISIZIONE Roberto Renzetti Parte I: L'INQUISIZIONE MEDIOEVALE ALCUNI PRELIMINARI A partire dal IV secolo d.C. la Chiesa cristiana aveva avuto ampi riconoscimenti dal potere di Roma. L'imperatore Costantino aveva addirittura diretto la Chiesa nei primi Concili di Vescovi che, dopo molteplici confronti e scontri su questioni di fede (come la Trinità, la divinità di Cristo, ...) che discendevano dalle Scritture, avevano definito scelte fondamentali che ne stabilirono i primi dogmi e quindi l'ortodossia da difendere. Detta così sembrerebbe una civile assemblea in cui, dopo un confronto di idee, si sceglie la via da seguire. Le cose sono ben diverse e per capirlo riporto un brano di un grande teologo che ha dedicato a questi temi molti anni della sua vita, Karlheinz Deschener (1998). Si tratta di qualche cenno da cui si può iniziare a cogliere lo spirito con cui doveva essere abbracciata la fede o meglio l'ortodossia. La battaglia di cristiani contro altri cristiani ebbe inizio già con la polemica di Paolo con la comunità primitiva, i cui rappresentanti definì «cani», «storpi» e «apostoli di menzogne». Ma anche in altri passi del Nuovo Testamento (N.T.) cristiani affibbiarono ad altri cristiani l'appellativo di «sozzura e vituperio», «figli della maledizione», «bestie prive di

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 INQUISIZIONE

Roberto Renzetti

Parte I: L'INQUISIZIONE MEDIOEVALE

 

ALCUNI PRELIMINARI

 

        A partire dal IV secolo d.C. la Chiesa cristiana aveva avuto ampi riconoscimenti dal potere di Roma. L'imperatore Costantino aveva addirittura diretto la Chiesa nei primi Concili di Vescovi che, dopo molteplici confronti e scontri su questioni di fede (come la Trinità, la divinità di Cristo, ...) che discendevano dalle Scritture, avevano definito scelte fondamentali che ne stabilirono i primi dogmi e quindi l'ortodossia da difendere. Detta così sembrerebbe una civile assemblea in cui, dopo un confronto di idee, si sceglie la via da seguire. Le cose sono ben diverse e per capirlo riporto un brano di un grande teologo che ha dedicato a questi temi molti anni della sua vita, Karlheinz Deschener (1998). Si tratta di qualche cenno da cui si può iniziare a cogliere lo spirito con cui doveva essere abbracciata la fede o meglio l'ortodossia.

La battaglia di cristiani contro altri cristiani ebbe inizio già con la polemica di Paolo con la comunità primitiva, i cui rappresentanti definì «cani», «storpi» e «apostoli di menzogne». Ma anche in altri passi del Nuovo Testamento (N.T.) cristiani affibbiarono ad altri cristiani l'appellativo di «sozzura e vituperio», «figli della maledizione», «bestie prive di intelletto, che conformemente alla loro natura sono state create solo perché siano afferrate e ammazzate» (!) [...]

Finché la Chiesa fu senza potere, i suoi capi assicuravano di continuo che la privazione della libertà religiosa andava a finire nell'empietà; solo il Signore poteva condurre al pascolo con una verga di ferro e nessun cristiano poteva presumere «di usare nemmeno la pala per la purificazione e la pulitura dell'aia»; nessun cristiano poteva «uccidere i nemici e condannare i violatori della legge alla morte sul rogo o alla lapidazione». Un Dottore della Chiesa del IV secolo scrive: «Non è consentito uccidere un eretico, perché altrimenti scoppierebbe nel mondo una guerra implacabile». Già il primo imperatore cristiano, che a Milano aveva proclamato la libertà religiosa, favorì ben presto solo la Chiesa ufficiale, e agì contro i numerosi eretici e scismatici nell'interesse dell'unità dell'impero, naturalmente non senza la relativa collaborazione dei cattolici. Nel 331 per la prima volta Costantino si rivolse contro i seguaci di Valentino, Novaziano, Marcione, Montano e Paolo di Samosata; l'imperatore proibì i loro convegni e le cerimonie

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religiose, confiscò i loro appezzamenti di terra e i loro libri, e fece addirittura distruggere i loro luoghi di riunione. Provvedimenti quasi identici avevano dato inizio solo vent'anni prima alla persecuzione di Diocleziano. Ma le ordinanze di Costantino contro gli «eretici» vennero attuate piuttosto raramente, e nemmeno nei decenni seguenti si giunse a una vera e propria lotta dello Stato contro gli eretici. In generale si può dire che ebbe inizio una blanda applicazione dei decreti con Valentiniano I e con Valente; ma le disposizioni penali vennero straordinariamente inasprite ai tempi di Graziano, Valentiniano II e Teodosio I. Il 27 febbraio del 380 Teodosio emanò il celebre e famigerato editto religioso di Tessalonica, che inflisse alla tolleranza pagana il colpo di grazia, dal momento che rese obbligatoria per ogni cittadino romano l'assunzione della fede cattolica con la minaccia di punizioni terrene e celesti. Nel decreto, che fu sottoscritto anche dai Cesari d'Occidente Graziano e Valentiniano II, si diceva fra l'altro:

«Noi ordiniamo che coloro che obbediscono a questa legge assumeranno il nome di "cristiano-cattolici"; gli altri, invece, che dichiariamo stolti e folli, devono sopportare l'onta di chiamarsi eretici. I loro raduni non possono essere definiti chiese; essi devono prima di tutto essere colti dalla vendetta divina, e poi anche dalla punizione della nostra collera, per la qual cosa noi ci assumiamo il potere del giudizio divino».

Con l'editto, rivolto soprattutto contro gli Ariani, venne proclamato il principio dell'obbligo religioso regolato dallo Stato. Gli imperatori Teodosio II e Valentiniano III nel 425 si richiamarono nuovamente a tale obbligo; infatti, così fu dichiarato, se gli «eretici» non possono essere convinti con la ragione, li si deve ricondurre alla fede coi mezzi propri del terrore. Il Codex Theodosianus, codice imperiale messo insieme nel 438, indica fra il 380 e il 438 all'incirca ottanta leggi contro gli «eretici», che prescrivevano l'alienazione delle loro chiese, proibivano loro di edificarne delle altre, nonché di servirsi di case private a fini ecclesiali; ai non cattolici interdicevano qualsiasi servizio divino, tutte le riunioni, qualsiasi forma di attività didattica, l'ordinazione di preti e imponevano la distruzione dei loro scritti. Su di essi pendeva la minaccia dell'esilio, del bando e della confisca del patrimonio; veniva loro disconosciuto il diritto di chiamarsi cristiani, di fare testamento o di ereditare sulla base di testamenti già redatti; qualche volta erano dichiarati persino incapaci di compiere qualsiasi atto giuridicamente valido. E infine era anche prevista per tutti gli «apostati» la pena di morte, prima riservata solo ai seguaci delle sette manichee. [...]Nel 385 i vescovi cattolici a Treviri fecero giustiziare con la spada il dotto spagnolo Priscilliano e sei dei suoi seguaci, fra i quali una donna, accusandoli di «arti magiche» (maleficium). Priscilliano aveva esortato la cristianità a dedicarsi completamente a Dio, aveva condannato la carne come cibo, si era servito di scritti apocrifi e, come oggi ogni teologo critico, aveva rifiutato la trinità e la resurrezione. Quando la sua comunità, di cui entrarono a far parte anche dei vescovi, si diffuse rapidamente in Spagna e cominciò a espandersi in Aquitania, egli venne ucciso, e per 1500 anni fu accusato di una sorta di eresia manichea; tale accusa calunniosa venne meno solo nel 1866, allorché vennero ritrovati i suoi scritti. Non c'é bisogno di aggiungere che la Chiesa favorì energicamente la legislazione antiereticale degli imperatori. Il papa Leone I (440-461), santo e Dottore della Chiesa, aizzò alla distruzione dei Priscillianisti in Spagna e dei Manichei in tutto l'impero. [...]

E' solo un piccolo assaggio degli inizi del potere della Chiesa o diretto, come a Roma dove l'autorità imperiale da un certo punto non vi fu più e l'ortodossia doveva essere garantita direttamente dalla Chiesa, o indiretto, come nell'Impero d'Oriente dove era lo Stato a garantire quella stessa ortodossia per conto della Chiesa.

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        La teoria ma anche la richiesta secondo cui dovevano essere sovrani e principi ad occuparsi di salvaguardare l'ortodossia, per altro decisa da vari sinodi di vescovi, fu avanzata da Sant'Agostino e Isidoro di Siviglia tra il VI e VII secolo. E poiché nelle terre dove i cristiani avevano il potere valeva lo ius romanus, chi si opponeva alle massime autorità rischiava pene che prevedevano, a seconda della gravità, esilio, prigione, confische, privazione di diritti, morte. Con i cristiani al potere, la massima autorità risultava Dio, la fons iuris, e quindi chi non era ortodosso era un oppositore di Dio, un traditore della volontà divina, e quindi soggetto alle pene che dicevo. Il primo sovrano che operò in tal modo fu il francese Roberto II, figlio di Ugo Capeto, nell'XI secolo.

        In parallelo con il diritto, i vescovi, spesso guidati dai sovrani, in appositi concili e sinodi, affinavano ed affilavano la dottrina e l'ortodossia. Questa operazione non è mai terminata ma fu praticata incessantemente tra il IV e XII secolo epoca in cui furono trovate una gran quantità di eresie che, per la sopravvivenza del filone principale, dovevano essere sterminate.

 

LE ERESIE

 

        Intanto il termine eresia non aveva fino a San Paolo un significato negativo La parola voleva dire scelta tra differenti opzioni e chi sceglie non è persona disprezzabile e tanto meno condannabile. La parola non compare nei Vangeli canonici ma inizia ad essere utilizzata negli Atti degli apostoli non in senso dispregiativo ma in una versione del suo significato originale e cioè per indicare differenti sette come i sadducei, i farisei, i cristiani, ... Nelle Lettere di San Paolo  il termine eresia inizia ad assumere il significato dispregiativo che oggi gli viene attribuito e cioè: dottrina o affermazione contraria ai dogmi e ai principi della Chiesa cattolica.

        Le eresie che i vescovi giudicarono tali, nella continua manipolazione e falsificazione dei testi sacri e non solo, furono davvero moltissime(1). Mi occuperò solo delle eresie principali(2) che, nate nei primi anni del secondo millennio, si svilupparono e diffusero per l'Europa a partire dal XIII secolo medioevale, diventando dei veri e propri grandi movimenti ereticali.  

        I principali movimenti ereticali furono i Catari ed i Valdesi che, al loro interno avevano ulteriori suddivisioni. Erano chiamati catari(3) o albigesi (dal nome della città di Albi della Francia meridionale, vicino Tolosa, che era il loro centro) anche i manichei che derivavano dall'antica eresia dualista del manicheismo ed i patarini (dalla parola dialettale milanese patee che vuol dire stracci), un movimento nato nell'XI secolo a Milano e costituito appunto dal clero di base povero e da ceti popolari miserabili contro le vergognose simonia e ricchezza delle gerarchie ecclesiastiche. Il movimento valdese nacque nel XII secolo da poveri che anticiparono Francesco d'Assisi. Il nome deriva dal suo supposto fondatore, Pietro Valdes o Valdo di Lione, che ebbe una vita simile a quella di Francesco. Il movimento fu dapprima accettato dalla Chiesa che però non permise agli adepti la predicazione. I valdesi continuarono diffondendosi rapidamente in Francia, in Italia settentrionale, Germania, Svizzera ed in vari altri Paesi dell'Est Europa.

        Non è qui il caso di entrare in dettagli ed in differenze tra i vari movimenti ma solo indicare le linee generali su cui si muovevano. Tutti i movimenti predicavano la povertà contro la smodata lussuria e la ricchezza dominante nella Chiesa dei gerarchi. Osservo tra parentesi che il movimento francescano fu accettato dalle gerarchie della Chiesa come movimento pauperista con una doppia finalità: avere tra le sue fila chi richiedeva la povertà solo per sé e chiudere la bocca a quelli che invocavano la povertà non solo per sé ma per tutta la Chiesa.

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        Oltre alla comune richiesta di povertà di catari e valdesi, vi sono delle caratteristiche peculiari dei due movimenti che meritano una citazione.

        I catari  predicano un rinnovamento morale della Chiesa; sostengono che la Terra è un campo in cui si affrontano in lotta aperta Dio (lo spirito) e Satana (la materia); rifiutano il Vecchio Testamento poiché in esso Dio crea la materia; il rifiuto si estende anche al Purgatorio; praticano un ascetismo esasperato (condanna del matrimonio e della procreazione; sono esclusivamente vegetariani; condanna della proprietà privata e della guerra; ricerca della morte per fame); predicano, come detto, la povertà.  

        I valdesi, movimento laico e popolare, predicano la povertà; affermano il diritto alla predicazione per i laici; affermano l'uguaglianza di tutti i fedeli incluse le donne; sostengono che il sacerdozio si conquista per meriti individuali (anche per le donne) e non per investiture esterne (questo è un durissimo colpo alla Chiesa di Roma); negano la transustanzazione (non è vero, nella messa, che il pane ed il vino si trasformino nella carne e sangue di Gesù); conseguentemente negano anche la stessa messa ed il culto dei santi e dei morti.

 

LA VIOLENZA DELLA CHIESA

 

          Dopo la scomunica dei catari nel concilio di Tolosa del 1119, già vi erano stati tentativi di fermare l'eresia catara in Linguadoca e Provenza con l'invio nel 1145, da parte di Papa Eugenio III, del cistercense Bernardo di Chiaravalle (futuro santo). Questo tentativo insieme ad altri concili (Lione 1163, Verona 1184) che si sommavano a richieste del Re di Francia (Luigi VII) al Papa (Alessandro III) di fermare l'espandersi dell'eresia, non portarono a risultati. Restò il fatto che dal 1184 dovevano essere i vescovi ad individuare gli eretici per portarli a giudizio presso le autorità civili (nasceva l'inquisizione vescovile). Nel 1198 fu eletto Papa Innocenzo III ed egli nel 1204 affidò ai frati cistercensi guidati da Pietro di Castelnau il compito di combattere l'eresia in Francia ed in Italia. La zona di maggior diffusione dell'eresia era il Sud della Francia, la Linguadoca, che era anche una zona indipendente ma contesa dai regni di Francia, Inghilterra ed Aragon. Ed era proprio l'indipendenza da potenze politiche cristiane che alimentava l'indipendenza religiosa. Furono fatti tentativi di missioni che tentassero di sistemare le cose con i dissidenti religiosi ma su questa strada non si ottenne nulla e furono esercitate pressioni sui conti di Tolosa che gestivano quelle terre riuscendo a convincere qualche signorotto ad espellere i religiosi sospetti (1204-1206). Domingo Guzmán de Calaruega (poi divenuto San Domenico), facente parte di una missione diplomatica spagnola che passava di lì nel 1203, fu colpito dalla profonda intensità di fede e di decisione degli eretici e chiese di poter restare lì perché riteneva di saperli combattere meglio dei cistercensi. Si convinse presto che per combattere gli eretici si doveva mettere al loro livello di povertà ma, anche con questo non riuscì a risolvere nulla(4). E mentre l'eresia si rafforzava in quelle terre e si estendeva, iniziarono varie scomuniche, assassini, intimidazioni, ... finché il Papa nel 1204 e poi nel 1205 non chiese al Re di Francia Filippo Augusto di sostenere la lotta per estirpare l'eresia nella Linguadoca ed in Provenza. Ma il Re non aderiva a questa richiesta anche perché impegnato nella guerra contro l'Inghilterra. Fu allora che il Papa nel novembre del 1207, propose al Re di fare una Crociata contro gli eretici in modo da potergli concedere le stesse indulgenze che erano state concesse ai crociati che erano andati in Terra Santa. E, per vie contorte, che davano prima libertà ai vassalli della corona di partecipare e poi con il comando dato al figlio Luigi, il Re diede il via alla Crociata contro gli albigesi inviando tra i 10 mila ed i 50 mila uomini armati. Da più parti si marciò contro le città degli eretici e la prima ad essere assaltata (luglio 1209) fu Béziers che, a fronte di

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circa 500 catari, vide il massacro dei 20 mila abitanti. Si passò poi (agosto) a Carcassonne i cui abitanti furono cacciati dalla città nudi. Dopo Carcassonne il comando dei crociati passò da Arnaud de Amaury a Simone di Montfort. Via via molte città caddero ed i crociati avanzavano mentre alcune delle città precedentemente arrese, si ribellarono di nuovo. Quando le città venivano prese ai catari veniva data possibilità di conversione. Quelli che non accettavano, ed erano molti, venivano bruciati. Nel 1212 intervenne la corona di Aragon alleandosi con il conte Raimondo VI che da Tolosa resisteva contro i crociati(5). La richiesta fatta al Papa e non accettata era che quell'esercito fosse dirottato contro i mori di Al Andalus (più o meno l'odierna Andalusia) per liberare la Spagna. Lo scontro (12 settembre 1213 a Muret) vide la sconfitta della corona di Aragon ed anche ogni speranza di poter estendere il potere su quelle terre che da allora passarono sotto influenza francese. Con il 1214 la prima parte di questa Crociata si concluse. E' utile ricordare che alla lotta implacabile contro l'eresia si era aggiunto Federico II (1194-1250), chiamato Stupor Mundi e Puer Apuliae, nipote di Barbarossa, Imperatore del Sacro Romano Impero, re di Sicilia, re di Gerusalemme, imperatore dei Romani, re d'Italia e re di Germania che già al momento della sua incoronazione in Roma (1220) emanò un documento (poi formalizzato con decreti del 1220 e del 1227) con il quale si affermava che quando si fosse individuato un eretico nei territori sotto la sua sovranità doveva essere espropriato e consegnato alle autorità civili per essere messo immediatamente al rogo. Per altri motivi il nipote di Barbarossa fu poi scomunicato (1228: perché non era riuscito a portare i suoi armati alla sesta crociata in quanto ammazzati da una pestilenza) da Papa Gregorio IX ma aveva creato un problema nella legislazione dei territori sottomessi alla sua sovranità, l'introduzione di parti del diritto canonico in una legislazione civile.

        Nel 1215 si aprì a Roma il quarto concilio laterano che discusse in modo approfondito i problemi connessi con l'eresia. Si decise che la fede che doveva essere accettata (attenzione si dice che si doveva accettare) era quella definita da quel concilio e che chi rifiutava doveva essere scomunicato dalla Chiesa e consegnato alle autorità civili o secolari per essere punito, con confisca dei beni. Si iniziò a porre un problema che assumerà valenza legale. Non era credibile chi negava di essere eretico davanti al potere dell'autorità e quindi occorreva trovare un qualche sistema. Il primo fu quello delle testimonianze di amici o conoscenti a discarico che dovevano essere date entro un anno, altrimenti il sospetto diventava un eretico in piena regola. Poiché poi le norme stabilite dovevano essere fatte rispettare dall'autorità civile, si obbligarono i sovrani a giurare in tal senso.

        Intanto Simone di Montfort continuava la repressione di catari in Linguadoca accendendo migliaia di roghi. Nel 1222 alla morte di Raimondo VI di Tolosa, il potere (il poco potere restante) passò al figlio Raimondo VII che nel 1229 firmò un trattato con il Re di Francia Luigi IX con il quale il primo s'impegnava a cedere la sua autonomia alla Francia, a difendere gli interessi della Chiesa in quelle terre e a combattere l'eresia. In quello stesso anno con il Sinodo di Tolosa, su una decisione del concilio di Avignone del 1200, la Chiesa organizzò in ogni parrocchia una commissione costituita da un prete e da due o tre laici che doveva scoprire gli eretici. Nel Sinodo si stabilì che la casa abitata dall'eretico doveva essere rasa al suolo; che il padrone di quella casa doveva essere espropriato di ogni bene e sottoposto a pene corporali; che l'eretico pentito doveva avere due croci cucite sull'abito senza potere assumere nessun incarico pubblico e senza aver diritto di ricorrere alla giustizia. Infine vi è il seguente straordinario divieto: I laici non possono possedere i libri del Vecchio e del Nuovo Testamento; possono avere solo il Salterio ed il breviario o anche i calendari mariani, e nemmeno questi libri, per altro, devono essere tradotti nella lingua nazionale [citato da Deschner 2000]. Quindi la Bibbia non si poteva avere né in latino né nelle lingue nazionali. In pratica questa procedura risultò complessa e non produsse ciò che si voleva, anche perché serviva un minimo di preparazione teologica che né preti né laici, nella loro generalità, avevano.

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        Quel 1229 segnò una breve pausa nella Crociata che proseguì, guidata da Amalrico, figlio di Simone di Montfort, con ferocia per molti anni fino alla caduta dell'ultima fortezza, quella di Montsegur, il 16 marzo 1244, con un rogo sotto le mura di 200 catari. Da questo momento terminò la Crociata ed iniziò la repressione casa per casa che durò fino a che la Chiesa non decise che l'eresia era estirpata, agli inizi del XIV secolo. Naturalmente l'odio verso la Chiesa, anche da chi cataro non era, ma era convissuto amabilmente con loro, crebbe in quei territori e dette vita a risentimenti duraturi che aprirono a culti pagani e superstizioni che, successivamente vedranno l'altra ondata di massacri in nome di Dio denominati caccia alle streghe.              

 

NASCE L'INQUISIZIONE

 

        Fu Papa Gregorio IX (Papa dal 1227 al 1241) ad avviare le pratiche che fondarono l'Inquisizione. Nel 1231 furono emanati una costituzione ed uno statuto antiereticale noti come Statuti della Santa Sede. In tali statuti vi erano delle Regole  poi pubblicate dal senatore Annibaldo degli Annibaldi e sarà proprio nei Capitula Anibaldo Senatoris  che sarà codificato il termine Inquisitore. Le regole prevedevano che il medesimo senatore gettasse in prigione chiunque fosse denunciato come eretico da un inquisitore o da un buon cattolico (la sentenza doveva essere esecutiva in 8 giorni). In tal modo il senatore diventava un inquisitore delegato pontificio che serviva da contrapporre ai giudici laici (lo scontro era con Federico II). La casa che avesse dato ospitalità ad un blasfemo doveva essere rasa al suolo ed il terreno doveva essere trasformato in un letamaio. I beni dell'eretico venivano confiscati e così ripartiti: un terzo a chi denunciava, un terzo ad Annibaldo, un terzo per la manutenzione delle muta della città. Ogni persona che non denunziasse un eretico subiva una multa enorme di 20 lire ed il senatore che non procedesse contro persona eretica subiva una multa di  duecento marchi e non poteva più avere cariche pubbliche. Le Regole sommariamente descritte furono inviate a tutti i principi e gli arcivescovi affinché fossero rigorosamente applicate.

        Nello stesso periodo vi era stato il conte di Tolosa, Raimondo VII, quello che era addivenuto a vergognosi patti con la Chiesa, che nel 1232 fece diventare legge le delibere del Sinodo di Tolosa del 1229 con ogni felicitazione di Gregorio IX.

        Il 20 aprile del 1233 Gregorio IX emanò una Bolla che affidava ai domenicani lo sradicamento dell'eresia. Era la fondazione del Tribunale dell'Inquisizione. In questa lettera, Illae humani generis, del 20 aprile diretta ai domenicani Gregorio IX diceva:

Perciò voi [...] avete il potere [...] di privare i clerici dei loro benefici per sempre, e di procedere contro di loro e contro tutti gli altri, senza appello, chiedendo l'aiuto del braccio secolare, ove necessario. [citato da Baigent e Leigh]

In questa lettera, che assegnava ai domenicani il privilegio dell'Inquisizione (negotium fidei), si ordinava a quei frati di designare i religiosi che avrebbero predicato contro l'eresia ed ai quali sarebbe stata affidata la causa della fede. Quindi il potere inquisitorio era sia dei vescovi che dei domenicani con una sorta di ruolo superiore ai vescovi. Pochissimo tempo dopo, lo stesso Papa associò  ai domenicani i frati Minori (gli utili francescani di Francesco, vero giullare di Dio. Quale miglior alibi per la Chiesa di Roma quello di affidare l'Inquisizione ai seguaci di un poverello che predica la povertà per sé e non per tutta la Chiesa!) e queste missioni erano estese a tutta la cristianità. La cosa fu ufficializzata con una Bolla del 1246 di Papa Innocenzo IV.

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        Nello stesso anno Gregorio IX avviò la santificazione di Domingo che era morto nel 1222, santificazione che ottenne in tempi per l'epoca record. Domingo divenne San Domenico nel 1234. In una lettera del medesimo 20 aprile diretta ai vescovi, così scriveva Gregorio IX:

Noi, vedendovi presi dal vortice delle preoccupazioni e quasi soffocati sotto la pressione delle sempre maggiori ansietà, pensiamo bene di suddividere il vostro carico in modo che possiate sopportarlo meglio. Abbiamo perciò determinato di mandare dei frati a predicare contro gli eretici di Francia e delle province vicine, e vi preghiamo, vi mettiamo in guardia, vi esortiamo, ordinandovi [...] di riceverli gentilmente e di trattarli bene, dando loro [...] appoggio, affinché possano assolvere i loro compiti. [citato da Baigent e Leigh]

        Papa Innocenzo IV, con la sua bolla Ad extirpanda del 15 maggio 1252, ufficializzò l'uso della tortura, una pratica in uso fin dal 1234. Erano esonerati da questa pratica solo coloro che rischiavano di morire o che fosse loro causata una qualche amputazione. La tortura fu confermata il 27 aprile 1260 da Papa Alessandro IV, che tolse la limitazione di Innocenzo IV, e riaffermata prima da Papa Urbano IV il 4 agosto 1262 e poi da Papa Clemente IV nel 1265. Rimase sempre il feroce, sciocco, ipocrita ed offensivo senza spargimento di sangue che faceva evitare strumenti appuntiti o con lame; andavano invece bene, ad esempio, la ruota e lo schiacciapollici (sui metodi di tortura entrerò in dettagli più oltre) che se facevano uscire sangue era considerato incidentale. In teoria le tenaglie per strappare unghie o carne non erano ammesse per quella ipocrisia dello spargimento di sangue. Ma se si arroventavano fino al rosso o bianco, lo strappare era simultaneo al cauterizzare e quindi erano ammesse anche quelle. Anche i tempi erano aggirati. Non era possibile torturare più di trenta minuti una sola volta. Poi i successivi trenta minuti erano una nuova sola volta e così via. Se poi le accuse erano più di una, per ognuna si torturava quei 30 minuti. E' interessante osservare il ruolo democratizzatore delle leggi ecclesiastiche rispetto a quelle civili. Queste ultime infatti esoneravano dalla tortura medici, cavalieri, soldati e nobili. La Chiesa rese il dolore un bene per tutti, indipendentemente da sesso, età, stato sociale. La pena di morte mediante il rogo (pena nuova e purificatrice di fronte all'idra eretica e sacrilega) era stata ufficialmente introdotta in Spagna nel 1194, quindi in Italia, Germania, Francia ed Inghilterra (1401). Ed era ben accetta anche da supposti pensatori e santi, anche per questo, della Chiesa come Tommaso d'Aquino, il doctor angelicus, il dottore della Chiesa, l'ispiratore di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, che nella Summa Theologica, un'opera ispirata dallo Spirito Santo e considerata come una Bibbia durante il Concilio di Trento, sosteneva:

«Per quanto riguarda gli eretici, essi si sono resi colpevoli di un peccato che giustifica che non solo siano espulsi dalla Chiesa con l'interdetto. ma anche che vengano allontanati da questo mondo con la pena di morte. E' davvero un delitto molto più grave falsificare la fede, che è la vita dell'anima, che falsificare il denaro, che serve alla vita mondana. Se dunque falsari e altri malfattori vengono subito portati dalla vita alla morte legalmente ad opera dei prìncipi laici, con quanto maggior diritto gli eretici, immediatamente dopo la loro incriminazione per eresia, non soltanto possono essere cacciati dalla comunità ecclesiale, ma anche a buon diritto giustiziati!» [citato da Deschener 1998].

        A partire dal 1235 furono i vescovi che in concili provinciali ristretti iniziarono piano piano a stabilire le procedure che i tribunali dell'inquisizione dovevano avere e la giurisprudenza. Ciò comportò disparità importanti da Tribunale a Tribunale. C'è da osservare che da una parte i vescovi venivano mantenuti nei loro compiti di sradicamento dell'eresia e dall'altra compiti superiori venivano assegnati ai frati sia domenicani che francescani. I vescovi mal digerivano l'ingerenza di Roma sulla loro autonomia e non condividevano l'intromissione di estranei in zone e territori con abitanti che loro conoscevano bene. L'intervento dei frati era del tutto spropositato e non era in grado di fare giustizia ma solo enormi ingiustizie. Questo era il motivo della sfiducia che il Papa

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aveva verso i vescovi: secondo Roma la tendenza era a soprassedere e perdonare. Più affidabili i laici che, per arricchirsi con le regalie che spettavano loro, erano ubbidienti esecutori, ma solo esecutori perché loro non potevano decidere sull'eresia di una persona. Per ovviare alle disparità di giudizio tra differenti tribunali, iniziarono a veder la luce dei manuali redatti da chierici che raccontavano come combattere l'eresia ed avevano indicata l'intera procedura con formule per le lettere di citazioni, con le domande da fare, con le abiure, le penitenze, le sentenze, con i formulari, le possibili risposte e le possibili obiezioni. Tra i manuali il più noto, Practica Inquisitionis haereticae praviatis, è quello di un notissimo ed altrettanto feroce inquisitore (dal 1307 fino alla morte nel 1331), il domenicano Bernard Gui nel primo quarto del XIV secolo. L'abate Mollat che ripubblicò la Practica di Gui, così la descrive:

«E' divisa in cinque parti. La prima contiene 38 formule riguardanti la citazione e la cattura degli eretici, la comparizione di tutte le persone che potevano intervenire, qualunque ne fosse la veste, ad un processo di inquisizione. «Nella seconda parte figurano 56 atti di grazia, o di commutazione di pena fatti durante e all'infuori dei sermoni generali pronunziati dagli inquisitori. «La terza parte raccoglie 47 formule di sentenze fatte, in occasione o alI'infuori di questi stessi sermoni. «La quarta consiste in una «breve ed utile istruzione» concernente i poteri degli inquisitori, la loro entità, il loro esercizio, e i loro fondamenti. Questo piccolo trattato venne compilato su modello degli scritti scolastici e giuridici del tempo, e cioè, è arruffato di divisioni e suddivisioni, ed il testo affoga in una massa di riassunti di editti imperiali, di consultazioni di giuristi, di costituzioni apostoliche passate o no nel Corpus juris canonici. «La quinta parte costituisce il caposaldo dell'opera di Bernard Gui. E' intitolata «Metodo, arte, e procedura per la ricerca e l'interrogatorio degli eretici, dei Credenti e dei complici loro». Vi si trova un esposto metodico delle dottrine e dei riti in voga presso i Catari, i Valdesi, i Pseudo-Apostoli, i Beghini e le Beghine ed esempi di interrogatori. L'autore non dedica che brevi pagine agli Ebrei convertiti che ritornano alla loro religione, agli stregoni, agli invocatori di demoni, agli indovini. Dà pure copia degli atti di procedura relativi a queste diverse specie di eretici».

        L'altro famoso manuale, il più metodico e meglio composto, è il Directorium inquisitorum (1376) dell'altro domenicano Nicolau Eimeric (arricchito ed ampliato nel 1578 da commenti e note di Francisco Peña) inquisitore tra il 1357 ed il 1397 nel nord della Spagna e malvisto dai sovrani del luogo per il suo essere tropo zelante e quindi passato al seguito del Papa Gregorio XI come cappellano e del Papa Clemente VII prima ad Avignone poi a Roma. Il manuale è diviso in tre parti: la prima espone cosa sia la fede cattolica; la seconda è conseguenza della prima perché descrive le differenti eresie in relazione ai doveri dell'Inquisizione; la terza parte è quella operativa dove si enumerano le istruzioni per gli inquisitori, le regole, le procedure, le pene. Da questi manuali, da bolle, da atti di concili, da regole e decreti è possibile ricostruire un processo dell'Inquisizione.

 

LE INDAGINI DELL'INQUISIZIONE 

 

        E' difficile tracciare un quadro uniforme dell'organizzazione anche logistica dell'Inquisizione e della procedura inquisitoriale. Si possono rintracciare alcuni caratteri schematici comuni ma questi non cancellano i moltissimi e diversissimi abusi e deviazioni che da questo quadro furono fatti.

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        Scrive Lea che

Semplice, ma efficace, era l'organizzazione dell'Inquisizione. Non si curava affatto di sbalordire gli spiriti colla magnificenza, cercava piuttosto di paralizzarli col terrore. La ricchezza delle vesti e gli splendori del culto, la solennità delle pittoresche processioni ed il lungo codazzo degli inservienti, erano cose che lasciava completamente ai prelati del clero secolare. L'inquisitore era rivestito dell'abito semplice del proprio Ordine. Quando faceva la sua comparsa in una città, era accompagnato, al massimo, da un piccolo gruppo di familiari armati, una parte dei quali gli serviva di scorta per la sua personale sicurezza, e l'altra doveva eseguire i suoi ordini. Il principale teatro della sua attività si trovava costituito all'interno del Sant'Uffizio, da dove lanciava i suoi ordini e disponeva della sorte di intere popolazioni, avvolgendosi in un silenzio ed in un'aria di mistero che impressionavano la fantasia popolare ben più della magnificenza esteriore dei vescovi. In seno all'Inquisizione, tutto quanto si operava veniva fatto in vista di un'utilità e non per apparenza. Era un edificio elevato da uomini seri, risoluti, completamente dediti ad un'idea, da uomini che sapevano ciò che volevano, e tutto facevano convergere ad un solo fine, rigettando implacabilmente da sé tutto ciò che potesse in qualunque modo imbarazzare la loro attività, il raggiungimento di quell'ideale di giustizia nel quale consisteva tutta la loro missione. [...] I distretti affidati all'azione dei frati, in linea generale, erano regolati come le province degli Ordini mendicanti, di cui i provinciali dovevano eleggere gli inquisitori, ed ogni provincia comprendeva non pochi vescovadi. Sebbene il capoluogo di ciascuna provincia colla propria casa dell'Ordine e le proprie prigioni venisse considerato come sede dell'Inquisizione, l'inquisitore aveva anche il dovere di viaggiare continuamente alla ricerca degli eretici, di visitare continuamente quelle località in cui si sospettasse celata l'eresia, di visitare il popolo, di raccoglierlo in vari luoghi, come in altri tempi facevano i vescovi durante i loro giri pastorali, e di promettere, inoltre, un'indulgenza variante dai venti ai quaranta giorni a tutti quelli che rispondessero al suo appello. [...]

Gli inquisitori organizzarono anche una sede in ogni città dove convocavano chiunque avessero ritenuto opportuno. Ma questo sollevò molte proteste. Iniziarono a far visite in differenti città ma qui la gente si accordava per non denunciare nessuno. Iniziarono allora delle visite a sorpresa a singole persone sospette e la pratica fu riconosciuta da successive bolle Ad extirpanda che iniziarono in Italia. Prosegue Lea:

Non si potrebbe immaginare nulla di più efficace di tali visite, e sebbene, col passar del tempo, quando si perfezionò ed occupò un'importanza maggiore il sistema delle spie e dei familiari, o quando gli eretici erano stati quasi sterminati, esse venissero quasi a cedere in disuso, pure, per tutto il tempo in cui l'Inquisizione dovette lavorare molto, costituirono una parte importante delle sue funzioni. Alcuni giorni prima del suo arrivo, l'inquisitore avvisava le autorità ecclesiastiche perché ad una data ora dovessero radunare il popolo, annunziando le indulgenze che verrebbero concesse a coloro che si fossero presentati. Non di rado, a quest'ordine di convocazione gli inquisitori facevano seguire una sentenza di scomunica contro coloro che non si presentassero, ma ci viene detto che questo era un abuso di potere, e le scomuniche cosi lanciate non erano riconosciute come valide. Alla popolazione radunata, l'inquisitore teneva un sermone sulla purezza della fede, servendosi di tutta la sua eloquenza per eccitarli a difenderla; poi ordinava a tutti gli abitanti di un certo raggio della località di presentarsi entro il termine di sei o dieci giorni e di rivelargli quanto potessero sapere intorno alle persone colpevoli di eresia, oppure sospettate di eresia o che avessero parlato contro un articolo della fede, o che tenessero un genere di vita diverso da quello della grande maggioranza dei fedeli. Chi trascurasse di obbedire a questo comando era inesorabilmente colpito da scomunica, dalla quale poteva esser assolto dal solo inquisitore: chi ubbidiva, invece, era ricompensato con un'indulgenza di tre anni. Contemporaneamente, l'inquisitore proclamava un tempo di grazia, che doveva variare tra i quindici e i trenta giorni, durante i quali ogni eretico che venisse a presentarsi spontaneamente, confessando i suoi errori, abiurandoli e dando le informazioni

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più complete che potesse riguardo ai suoi correligionari, era assicurato dall'immunità. Tale immunità spesso variava, talvolta era senza riserva, tal'altra non si estendeva se non all'esenzione dalle pene più severe, come la morte, la prigione, la confisca o l'esilio. [...] Spirato il tempo di grazia, rimaneva sottinteso che non si sarebbe più perdonato a nessuno; durante questo tempo, l'inquisitore doveva rimanersene in casa, per essere pronto a ricevere le denunzie e le confessioni; e, per rendergli più facile e spedito l'esame di coloro che si presentassero, furono redatte preliminarmente delle lunghe serie di interrogatori. Non più tardi del 1387, fra Antonio Secco, quando attaccò gli eretici delle vallate valdesi, incominciò col pubblicare nella chiesa di Pinerolo una dichiarazione, secondo la quale chiunque fosse venuto a denunziarsi od a denunziare altri durante gli otto giorni del tempo di grazia, sarebbe sfuggito ad ogni pubblico castigo, eccettuato quello annesso al delitto di spergiuro commesso dinnanzi all'Inquisizione, e tutti coloro che non si fossero presentati sarebbero stati denunziati come scomunicati. Bernardo Gui ci assicura che tal modo di agire era utilissimo, non solo perché provocava molte felici conversioni, ma anche perché forniva informazioni su eretici che altrimenti sarebbero rimasti ignoti, poiché chi si convertiva era obbligato a denunziare tutti quegli eretici che conosceva o che sospettava fossero eretici, ed insiste con compiacenza particolare sull'efficacia di questo sistema per riuscire a catturare i perfetti catari, i quali avevano l'abitudine di starsene nascosti ed era assai difficile venissero traditi, a meno che ciò non accadesse da parte di persone nelle quali essi avessero riposta la loro fiducia. Cosi, è facile immaginarsi il terrore che invadeva una comunità appena l'inquisitore vi faceva la sua improvvisa comparsa e pubblicava il proprio manifesto. Non c'era nessuno che fosse in grado di sapere con esattezza quali chiacchiere circolassero sul proprio conto, chiacchiere che potevano facilmente venir esagerate dallo zelo fanatico di qualcuno o da qualche suo nemico personale, il quale poteva servirsene per comprometterlo nell'opinione dell'inquisitore; in tal modo ne soffriva tanto l'ortodosso quanto l'eretico. Tutti gli scandali che avessero fatto il giro del paese, passando di bocca in bocca, era facilissimo venissero in luce. L'uomo cessava dall'aver confidenza nell'uomo. Rancori a lungo covati sotto la cenere potevano essere appagati con tutta sicurezza. Chi avesse nutrito qualche propensione per l'eresia, con ragione poteva tremare: egli non aveva più un momento di riposo poiché era obbligato a pensare che una sola parola proferita a caso poteva esser riportata dai suoi vicini e dagli amici suoi più cari; preso da questa ossessione, egli finiva per cedere alla paura e tradiva gli altri temendo di essere tradito. Gregorio IX si compiaceva di citare casi in cui i genitori denunziarono i loro figli, i mariti le loro donne e le mogli i loro mariti. Possiamo prestar fede a Bernardo di Gui, quando ci dice che ogni rivelazione ne portava con sé altre, fino a che l'invisibile rete si stendeva in lungo ed in largo per tutto il paese, aggiungendo che le numerose confische alle quali questo sistema dava l'avvio non rappresentavano l'interesse minore che se ne traeva. [...]Queste operazioni preliminari si compivano, in linea generale, dentro le mura del convento dell'Ordine al quale apparteneva l'inquisitore, se qualche convento di quell'Ordine si trovava in quella regione; in caso contrario, si compivano nel palazzo vescovile. Altre volte si requisivano a questo scopo la chiesa oppure gli edifici comunali, poiché le autorità civili ed ecclesiastiche erano tenute ad aiutare con tutti quei mezzi che avevano disponibili. Tuttavia, ogni inquisitore aveva necessariamente il suo quartiere generale, dove depositare - per essere poi riposte in luogo sicuro - le deposizioni degli accusatori e le confessioni degli accusati, conducendo con sé quei prigionieri che aveva creduto doversi assicurare, portandoseli dietro con una scorta che le autorità civili erano obbligate a fornirgli. Quanto agli altri, purché deponessero una cauzione sufficiente ad assicurarlo della loro puntualità, li lasciava a piede libero, citandoli a comparire davanti al suo tribunale per un dato tempo. Anticamente, la sede del tribunale dell'inquisitore era il convento dei Mendicanti, e le prigioni pubbliche o vescovili erano a sua disposizione per custodire al sicuro i prigionieri; in seguito furono innalzati edifici speciali, provvisti di celle e delle necessarie prigioni, in cui quei poveri infelici si trovavano continuamente sotto la sorveglianza dei loro futuri giudici; codeste celle erano costruite lungo il muro e si chiamavano murus, per distinguerle dalle prigioni propriamente dette, che si chiamavano carcere. È qui che, in generale, si istruiva la procedura giudiziaria, anche

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se si fa spesso parola del palazzo vescovile, soprattutto in quei casi in cui il vescovo si dimostrasse zelante e cooperasse coll'inquisitore. [...]Generalmente, il processo veniva fatto da un solo inquisitore, ma qualche volta anche da due insieme. Tuttavia uno solo bastava; in generale aveva degli aiutanti, che gli preparavano i casi, e procedevano alle prime interrogazioni. Aveva il diritto di chiedere al provinciale quel dato numero di assistenti che reputasse necessari; non aveva però il diritto di sceglierli da sé. In certi casi, quando un vescovo era animato da zelo persecutivo, accettava egli stesso di adempiere la funzione di assistente, ed ancor più frequente era il caso in cui tale funzione era esercitata dal priore domenicano del convento locale. Quando lo Stato sopperiva alle spese dell'Inquisizione, sembra avesse avuto un certo diritto di revisione sul numero degli assistenti. [...] Data la grande estensione del territorio abbracciato da ogni distretto inquisitoriale, la divisione di lavoro si imponeva assolutamente, soprattutto durante il periodo primitivo, poiché gli eretici erano numerosissimi ed era necessario un gran numero di inquisitori. Tuttavia, il diritto formale di designare dei commissari forniti di pieni poteri sembra non sia stato concesso agli inquisitori prima di Urbano IV (1262), e questo privilegio, verso la fine di quel secolo, dovette esser riconfermato da Bonifacio VIII. [...] Gli inquisitori, in generale, erano persone totalmente digiune in fatto di diritto. Nella maggior parte dei casi, ciò importava ben poco poiché la procedura era estremamente arbitraria e ben di rado un accusato osava lagnarsene, ma qualche volta si imbattevano in vittime che non amavano lasciarsi sgozzare senza opporre resistenza, ed allora era necessario interpellare una persona che si intendesse di legge e delle responsabilità che vi erano inerenti. Infatti, Eymeric raccomanda a ciascun commissario di assicurarsi l'aiuto di qualche discreto avvocato, per evitare errori che potrebbero recare danno al buon nome dell'Inquisizione, provocare l'ingerenza del papa e forse anche costargli il posto che occupava.  Siccome il segreto assoluto divenne il carattere essenziale di tutti i processi dell'Inquisizione appena passato il primo periodo di incertezza e di incubazione, fu regola universale che le testimonianze carpite, tanto ai testimoni quanto agli accusati, non dovessero esser raccolte se non alla presenza di due testimoni imparziali, estranei all'Inquisizione, dopo aver giurato di mantenere il segreto. L'inquisitore poteva costringere chi voleva per compiere quest'atto. Codesti rappresentanti del pubblico erano di preferenza dei membri del clero, generalmente domenicani, "uomini prudenti e religiosi", i quali dovevano firmare, insieme al notaio, il processo verbale delle deposizioni per attestarne l'esattezza. [...] Però, in questa, come in tutte le altre cose, l'inquisitore faceva legge, e si prendeva gioco come meglio credeva delle leggere restrizioni che i papi avevano posto al suo potere. [...] Poco tempo dopo, Eymeric s'incaricò di mostrare come fosse possibile farla in barba a questa regola, quando fosse d'impaccio; ciò si poteva effettuare assicurandosi la presenza di due persone oneste alla fine dell'interrogatorio, dopo che la testimonianza fosse stata letta al suo autore. Nessun altro poteva assistere al processo, e per alcuni anni, verso la metà del secolo XIII, non si fecero eccezioni se non ad Avignone, dove i magistrati ottennero momentaneamente per loro e per alcuni signori il diritto di assistere ai dibattiti. In tutti gli altri paesi quei poveri infelici che difendevano la vita loro contro i loro carnefici in veste da giudici, si trovavano alla mercé dell'inquisitore e delle sue creature.Il personale del tribunale dell'inquisitore era al completo colla persona del notaio, il quale, nel Medioevo, era un funzionario di considerevole importanza e stimatissimo. Tutto il procedimento dell'Inquisizione, tutte le domande e le risposte venivano consegnate allo scritto; ogni testimonio ed ogni accusato era obbligato a certificare la propria deposizione dopo esser stata letta alla loro presenza alla fine dell'interrogatorio, e allora il giudice pronunziava la sua sentenza in base alle testimonianze cosi raccolte. [...] Nei tempi più antichi si potevano esigere servigi da qualunque notaio, dando la preferenza ad un domenicano il quale al secolo fosse stato notaio, ma se non si trovava disponibile alcun notaio, l'inquisitore aveva facoltà di designare due persone discrete che sostituissero l'opera del notaio mancante.

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        Compito degli inquisitori era quello di ricercare: gli eretici in senso stretto, quelli che avevano professato l'eresia come adepti ed avevano accettato tutte le regole dell'eresia; i credenti, ovvero quelli che avevano aderito ad una eresia senza sottomissione ad ogni sua legge; i sospetti e cioè quelli che seguivano le prediche degli eretici e si poteva essere sospetti in tre modi di crescente gravità, simpliciter,  vehementer, vehementissime; i celatores, coloro che non denunciavano e non avrebbero denunciato gli eretici; i receptatores, coloro che avevano dato asilo con vitto ed alloggio, almeno due volte, agli eretici; i defensores, coloro che avevano quovismodo difeso gli eretici; i recidivi, coloro che dopo il giuramento erano ricaduti in un errore precedente. Per essere comunque punibili era necessario un qualunque atto materiale e ciò mostra che non era l'errore in sé ad essere perseguito ma il fatto che esso si diffondesse attraverso appunto azioni materiali. In linea teorica gli inquisitori dovevano essere integri e su di loro erano inviate relazioni alla Santa Sede. Ognuno di essi aveva l'obbligo di denunciare il collega che commettesse qualche irregolarità. Bernard Gui ne fornisce la seguente immagine:

«L'Inquisitore deve esser diligente e fervido nello zelo per la verità religiosa, la salute delle anime e l'estirpazione dell'eresia ... Fra difficoltà, e incidenti avversi, deve mantenersi calmo, non lasciarsi trasportare dalla collera, né dall'indignazione. Deve essere intrepido, affrontare il pericolo fino alla morte; ma, pur non indietreggiando dinnanzi a questo non deve lasciarsi trasportare da irriflessiva audacia. Deve esser insensibile alle preghiere, alle pressioni di chi tenta di conquistarla; ciononostante non deve essere inflessibile al punta di rifiutar tregue, a mitigazioni di pene, secondo le circostanze ed il luogo. «Nelle questioni dubbie, deve esser circospetto, e non credere facilmente a quanto sembra probabile, che spesso inganna, poiché, quanto sembra improbabile finisce spesso per costituire la verità. Deve ascoltare, discutere, ed esaminare con tutto il suo zelo, onde poter pazientemente giungere alla verità. Che l'amore della verità e della pietà indivisibili compagne nel cuore di un giudice, splendano nei suoi occhi affinché le sue decisioni possano sempre apparire probe e non dettate dalla cupidigia e dalla crudeltà». [citato da Guiraud]

Altre richieste ripetute da successivi papi alle caratteristiche di un inquisitore furono: un'età di almeno quarant'anni, qualità di spirito, purezza di costumi, scrupolosa onestà, cultura, conoscenza della teologia e del diritto canonico. La mancanza di questi requisiti, che evidentemente erano autocertificati, comportava la punizione degli inquisitori. A volte venivano cacciati, altre scomunicati, altre ancora imprigionati. Naturalmente le stesse pene erano comminate ai collaboratori dell'inquisitore, ai commissari, ai notai, agli scrivani, agli impiegati.  

LA PROCEDURA INQUISITORIALE

 

        Una volta che era costituito il Tribunale, l'inquisitore, con l'aiuto di commissari e scrivani faceva la lista degli eretici e dei sospetti. Costoro venivano citati ad apparire davanti al tribunale da un avviso a domicilio del parroco (che al massimo veniva ripetuto tre volte) e da avviso domenicale letto in Chiesa. Se l'imputato non si presentava veniva scomunicato, il processo era sospeso per un anno alla fine del quale la scomunica era definitiva. Quando l'eretico o il sospetto era persona importante o potenzialmente pericolosa si procedeva ad arresto preventivo da parte di guardie del tribunale. Ma poiché tutti coloro che non collaboravano con il tribunale, fino al medesimo principe, erano accusati di eresia, quasi sempre le volontà del tribunale erano eseguite da parte dell'autorità civile. Agli accusati che arrivavano davanti al tribunale venivano letti i capi di imputazione. Quasi sempre gli accusati chiedevano chi era l'accusatore ed era nella discrezione dell'inquisitore dare questa informazione, che molto spesso si rifiutava di farlo. Ciò, a giudizio quasi generale, era una

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violenza assurda che non permetteva alcuna difesa da denunce non viste e da vari testimoni non conosciuti. Il quasi usato è relativo a qualcuno (come lo storico cattolico dell'inquisizione, ma esegeta della Chiesa, Thomas de Cauzons) che candidamente e vergognosamente dice che coloro che denunciavano dovevano essere protetti da ritorsioni degli accusati e senza tale protezione nessuno avrebbe denunciato. Anche quell'anima nera di Bonifacio VIII riuscì ad ammettere che qualche nome di denunciante andava fornito all'accusato. In realtà lo fece su sollecitazione degli ebrei di Roma che gli chiesero espressamente di non essere indifesi di fronte a varie accuse. Bonifacio si convinse ... dietro pagamento di una grossa somma. Vi era comunque un minimo di garanzia per l'accusato perché veniva invitato, prima dell'inizio del processo, ad elencare i suoi mortali nemici e per quale ragione lo fossero. L'inquisitore se trovava quei nomi tra gli accusatori doveva toglierli. Inoltre se per qualche motivo saltava fuori un falso testimone, veniva trattato come eretico. In genere dopo il giudizio la pena era la prigione a vita, incatenati mani e piedi (a volte con collare), alimentati a pane ed acqua.

        Lo svolgimento del processo, secondo Gui che si rifaceva a norme approvate nel concilio di Albi del 1254, non doveva essere come quelli civili ordinari. L'inquisitore doveva arrivare subito alle conclusioni senza perdere tempo con avvocati, eccezioni di diritto, procedimenti dilatori, giurisdizioni. Varie volte però alcuni tribunali ammisero avvocati e l'ammissione di ciò fu anche dell'inquisitore Eimeric che lo scrisse nel suo manuale.

        L'accusato di eresia veniva invitato a discolparsi da sé sia rispondendo alle domande sia presentando documenti e/o memoriali sia invocando il diritto (cioè un avvocato). L'imputato poteva richiedere che a suo discarico fossero sentiti dei testimoni e poteva infine rifiutare certi giudici per i più svariati motivi. In tal ultimo caso decideva l'inquisitore e, in casi estremi, lo stesso Papa. L'interrogatorio doveva fornire delle garanzie all'imputato e per questo doveva avvenire davanti a dei probiviri (inizialmente 2, poi diventati anche 20) che prima della sentenza davano il parere sullo svolgimento del processo. I probiviri erano generalmente laici appartenenti alla borghesia di giureconsulti e comunque appartenenti a famiglie con cariche municipali che sapevano di diritto e che in taluni casi intervenivano per riportare sulla retta via un processo che andava verso un palese arbitrio. Queste persone erano le stesse che negli anni avevano maturato un forte senso di anticlericalismo (non antireligione) per gli abusi a cui avevano assistito e quindi erano tendenzialmente a favore degli imputati.

        I giudici non gradivano testimonianze e contraddittori ma la confessione dell'imputato. Nel manuale di Gui si prometteva di risparmiare la vita o di esimere dalla prigione e dall'esilio tutti coloro che spontaneamente avessero confessato i loro errori. Se questo tentativo non portava alla confessione, si passava direttamente alla tortura. Anche se di questa pratica nei resoconti dei procedimenti vi sono poche tracce, per evidenti motivi. Ed anche perché, se la confessione era avvenuta sotto tortura, l'imputato era obbligato a confermare la confessione a tortura terminata, quando si era ripreso. La trascrizione di tale confessione era riportata come confessione spontanea che, essendo spontanea, non poteva essere stata ottenuta tramite tortura. Nei manuali si diceva che si doveva ricorrere alla tortura solo in casi gravi e quando si aveva una mezza prova (sic!) di colpevolezza. Ed era definita mezza prova o l'insieme di due indizi, o la deposizione di un testimone, o la cattiva reputazione, o i cattivi costumi, o il tentativo di fuga. Come dire che ciascuna ha una mezza prova di colpevolezza. Si può bene capire che questa era mera teoria in un tribunale in cui non vi erano garanzie di difesa ed in cui la condanna dell'imputato comportava spesso l'arricchimento di varie autorità, non ultima la Chiesa. Dice il cattolico Guiraud che la tortura "non veniva inflitta se non quando gli altri sistemi di investigazione erano esauriti. Infine non si lasciava all'inquisitore, eccitato forse dalla foga della ricerca della verità, l'arbitrio di ordinarIa. Occorreva perciò un giudizio speciale, ed a questo giudizio dovevano partecipare il vescovo od un suo rappresentante. Questa misura fu presa nel 1311, dal papa Clemente V, al concilio di Vienna.

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Quando i dibattiti del processo erano terminati, e la difesa aveva detto la sua ultima parola, non rimaneva che pronunziare la sentenza. Anche questa non veniva lasciata all'arbitrio dell'inquisitore e dei suoi commissari, ma discussa e deliberata da un consiglio ove l'inquisitore teneva conto dèl parere dei probiviri che avevano seguito l'interrogatorio. Questo è quanto afferma il Manuale di Bernard Gui. «L'inquisitore - dice - aveva l'obbligo di sentir l'opinione dei consulentes ...» faceva il riassunto delle accuse e delle confessioni e le sottoponeva loro; taceva il nome dell'imputato per sventare ogni parzialità, e chiedeva «il parere sulla colpevolezza e sulla pena». Ciò afferma lo stesso testo delle sentenze di assoluzione o di accusa." L'assoluzione si era avuta in vari casi quando le prove erano palesemente inconsistenti, quando l'imputato resisteva a detenzione e tortura. Quando i processi saranno contro le streghe si avrà una situazione diversa perché la stregoneria spaventava le popolazioni e spesso un inquisitore che assolveva si scontrava con l'autorità civile che voleva la condanna ed era minacciato dagli abitanti del paese o territorio in cui operava la strega. Sulla conclusione del processo scrive Cardini:

In linea di principio, la condanna poteva essere formulata solo in seguito a confessione o all'esibizione di prove sicure. Il giudizio doveva essere pronunziato soltanto con il concorso dell'ordinario della diocesi nella quale si trovava l'inquisitore; su questo i papi del Duecento espressero pareri differenti, ma Bonifacio VIII assunse una decisione definitiva. La sentenza si pronunziava durante una seduta solenne, definita anch'essa sermo generalis e dotata d'un forte valore simbolico e spettacolare: è quello che gli spagnoli avrebbero chiamato auto de fe e i portoghesi auto da fé [atto di fede]. Esso si celebrava di solito la domenica mattina, in un luogo importante come il sagrato d'una grande chiesa: i rei confessi e pentiti ascoltavano in ginocchio l'enunziato della grazia loro accordata e della cancellazione della scomunica e pronunziavano l'abiura dei loro passati errori; venivano quindi pronunziate le sentenze di condanna, dalle più leggere alle più gravi. Prima della sentenza, gli imputati potevano appellarsi al sommo pontefice, ma era discrezione del tribunale accettare o no tale appello. Contro le sentenze non era ammesso alcun ricorso in sede superiore. Le condanne più dure erano quelle, in ordine crescente, alla confisca dei beni, alla prigione e a morte. Quest'ultima riguardava i rei "impenitenti" - che cioè, convinti d'eresia, rifiutavano di abiurare e di chieder perdono - e i relapsi, cioè quelli che, dopo aver confessato, ritrattavano una confessione formalmente resa e mostravano di voler tornare all'errore. La Chiesa consegnava allora il reo al "braccio secolare", raccomandando di risparmiargli mutilazioni ulteriori (ch'erano invece previste e praticate nei preliminari delle condanne a morte laiche). I rei "impenitenti" potevano anche pentirsi in extremis, davanti al rogo, ma in questo caso erano tenuti a denunziare i loro complici ed erano condannati comunque alla prigione a vita. I relapsi non avevano questa risorsa, ma potevano ricevere l'eucarestia. La morte sul rogo era comunque, spesso, alleviata dal fatto che i carnefici strangolavano il condannato prima che le fiamme cominciassero a bruciarlo. La pena carceraria si distingueva a seconda delle colpe del condannato in murus largus - detenzione che consentiva moto, lavoro, perfino occasionali licenze (per le donne in occasione di eventuale parto) - e murus strictus, detenzione in catene in una stretta e buia cella. La confisca dei beni o le pene pecuniarie potevano venir sostituite, in caso d'insolvibilità del reo, da pellegrinaggi (il passagium ultramarinum, la crociata, era essa stessa un pellegrinaggio e poteva esser compiuta come espiazione). Il reo doveva portare sull'abito anche particolari signa super vestem, ch'erano segni d'infamia: mitrie e croci gialle gli eretici (il giallo come "colore d'infamia" era stato riservato dal Concilio lateranense IV anche alla rota imposta agli ebrei); lingue rosse i calunniatori che avevano reso falsa testimonianza accusatoria; ostie i sacrileghi. Una pena minore era anche la flagellazione, che si accompagnava a una processione solenne e all'offerta, da parte del condannato, di un cero. Le case nelle quali un eretico avesse trovato asilo dovevano essere abbattute. In caso di processi d'eresia intentati contro defunti, se ne veniva riscontrata la colpevolezza, si procedeva all'esumazione e al rogo dei cadaveri.

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        Riguardo all'imposizione di simboli sui vestiti degli accusati di vari reati connessi con l'eresia, c'è da aggiungere che essi dovevano essere visibili con chiarezza e per questo erano croci di color giallo o rosso su abito scuro. Spesso le croci erano due, una sul davanti e l'altra sul di dietro. I catari avevano diritto a tre croci, la terza sul cappello per gli uomini e sul velo per le donne. Si imponevano anche abiti di forme e colori speciali: un mantello nero, un cappuccio ornato dalla croce, un cappello a forma di mitria.

        Altra odiosa conseguenza era la condanna che si estendeva alla famiglia, con gli sciocchi storici cattolici che scrivono che anche altri lo facevano, ad esempio lo facevano gli imperatori cristiani Arcadio ed Onorio (V secolo) la Chiesa antica contro Manichei. I familiari, figli e nipoti, del condannato subivano l'inabilità civile ed ecclesiastica del condannato medesimo, non potevano occupar cariche ed esercitare funzioni civili e religiose e chi aveva cariche e funzioni le perdeva.

        Sulla pensa di morte mediante rogo, le anime candide cristiane dicono che in realtà la Chiesa non voleva ciò. Probabilmente anche perché, come Lea ha scritto, è molto più utile un convertito pronto a tradire i suoi amici che un cadavere arrostito. Erano i cattivi che non si convertivano che la Chiesa doveva abbandonare alla giustizia civile e che solo quest'ultima operava. Su questa posizione farisea mi astengo da commenti. Scrive a proposito il cattolico Guiraud:

Nel XIII secolo un apologista cattolico ragionava così :«Il nostro papa non uccide, né ordina che nessuno venga ucciso: è la legge che dà la morte a coloro che il papa permette di uccidere, e sono essi stessi che si condannano facendo cose, per le quali incorrono nella pena capitale». Oggi si sostiene che, nei processi finiti coll'esecuzione del colpevole, l'inquisitore agiva solo da esperto per constatare il delitto contro il quale il potere civile aveva già decretato la morte, e che, in realtà, responsabile della morte era la giurisdizione che l'aveva ordinata, cioè il potere civile. Questi ragionamenti sono troppo sottili; infatti l'Inquisizione sapeva benissimo che consegnando l'eretico al braccio secolare, lo abbandonava al rogo, primo perché sapeva che le leggi civili gli avrebbero inflitto la morte, secondo perché essa stessa incitava il potere civile ad applicare questa pena. Non era in facoltà del potere civile rilasciare gli eretici che gli venivano abbandonati dal Santo Ufficio; il giudice, il signore che l'avesse fatto avrebbe dato l'impressione di protegger l'eresia, e di non assecondare l'Inquisizione, ciò sarebbe bastato per deferirlo al tribunale dell'Inquisizione. Il giudice era tenuto a pronunciare ed a far eseguire contro gli eretici l'animadversio debita: con queste due parole, si designava la morte. Ciò è quanto diversi papi proclamarono successivamente nelle Decretali che presero posto nel Corpus juris canonici di Gregorio IX, e nelle bolle ripetute nei Manuali degli Inquisitori. Lucio IlI, nella sua costituzione di Verona, nel 1184, diceva: «l'eretico rimesso nelle mani dell'autorità civile, dovrà esser da questa punito «debitam recepturus pro qualitate ultionem»; Innocenza III, al concilio del Laterano del 1215 gli faceva eco: «damnati vero princibus saecularibus, potestatibus aut eorum ballivis relinquantur, animadversione debita puniendi». Innocenzo IV diceva, nella sua famosa bolla Ad extirpanda: «Quando gli individui saranno stati condannati per eresia, dal vescovo, dal suo vicario, o dagli inquisitori, e consegnati al braccio secolare, il podestà o rettore della città dovrà riceverli subito e entro cinque giorni al massimo applicar le leggi che saranno state invocate contro di loro». Non avremo dunque nessuna difficoltà a riconoscere, poiché i testi ce lo provano, che l'Inquisizione si addossò la responsabilità delle sentenze che il potere civile pronunziava in seguito al suo giudizio. Possiamo anche aggiungere che la pena del rogo, che rivolta la nostra sensibilità, non fu instaurata dalla Chiesa, ma dal potere civile: dagli imperatori romani contro i Manichei, da Roberto il Pio contro i Neo-manichei di Orléans, ed infine dall'imperatore Federico II il quale nella sua costituzione del 1224 ordinò che l'eretico, dichiarato tale a giudizio dell'autorità religiosa, venisse

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bruciato in nome dell'autorità civile «Auctoritate nostra ignis judicio concremandus». [si noti il relativismo che farebbe invidia a Ratzinger, ndr][...] L'autorità civile aveva come massimo, cinque giorni per pronunciare ed eseguire le sentenze di morte degli eretici; in pratica questo periodo poteva esser protratto o diminuito. [...] In altri casi era dopo il sermo generalis che aveva luogo il processo civile che condannava a morte, e la sera stessa si accendeva il rogo. A volte invece si attendeva una vicina festa per l'esecuzione di un sì terribile supplizio. La Chiesa, consegnando i condannati al braccio secolare, li raccomandava alla sua clemenza: in questa formula spesso si è voluto vedere un'ironia di cattivo gusto. Escludo: con queste parole il giudice ecclesiastico voleva impedire quei supplizi accessori che precedevano la morte, e costituivano una crudele aggravante alla pena. Non ammetteva l'applicazione del ferro rovente, le mutilazioni di membra, le lacerazioni del corpo, col supplizio della ruota che, fino al XVIII secolo, praticò la giustizia secolare e che [...] eccitarono la malsana curiosità delle donne più delicate e più «sensibili». A volte, l'Inquisizione fece dei processi postumi. [...] Questi rigori inquisitoriali sono spaventosi e ci si spiega come i nemici della Chiesa ne abbiano approfittato per bollare di crudeltà i tribunali del Santo Ufficio. Ma la descrizione che ne fanno è incompleta, e perciò, ingiusta; dato che si tengono al testo della legge penale, senza preoccuparsi del modo in cui veniva applicata, e mettono in: tragica luce le severe esecuzioni, tacendo le misure di mansuetudine e di perdono. Lo storico imparziale, prima di ogni cosa preoccupato della verità, deve perpetuamente confrontare il testo delle leggi alla loro applicazione. [...]L'inquisitore Bernard Gui e dopo lui Eimeric nei loro Manuali proclamano il diritto dell'inquisitore di diminuire, attenuare, commutare ed anche condonare le pene dei detenuti.

E questo è un cattolico abbastanza imparziale che pure si mette ad affrontare questi problemi cercando sciocche giustificazioni. Occorre confrontare le leggi con la loro applicazione, dice. E le leggi così crudeli chi le ha fatte ? Ma poi, il significato stesso del torturare fino alla liberazione della morte delle persone che sono diversamente cristiane, perché di questo si tratta, che senso ha ? A tal proposito scrivono opportunamente Baigent e Leigh:

Gli inquisitori erano consapevoli che alcuni eretici, nel loro fanatismo, anelavano a raggiungere prima possibile il martirio, ma il "concederglielo non faceva assolutamente parte del piacere dell'inquisitore" [Lea]. In casi simili, si usavano il tempo e la sofferenza continua per annichilire la nefasta vocazione al martirio: gli inquisiti ricalcitranti venivano perciò sottoposti a tormenti più leggeri e più prolungati. Si raccomandava ufficialmente che fossero tenuti in catene nella cella di una segreta, in completo isolamento, per almeno sei mesi, spesso per un anno o più. Poteva essere occasionalmente concesso alla moglie o ai figli di visitare l'accusato, per indurre in lui una modifica di atteggiamento. Anche ai teologi potevano essere consentite le visite, perché tentassero la via della persuasione con la logica o con 1'esortazione. Per quanto forte fosse la riluttanza a comminare la pena di morte, le condanne capitali erano piuttosto frequenti. In questo caso, l'ipocrisia clericale si mostrava con palese evidenza. Non potendo essere loro a eseguire la condanna, perché sarebbero apparsi cattivi cristiani, gli inquisitori erano obbligati a inscenare un cerimoniale in cui il reo veniva consegnato nelle mani dell'autorità civile, con questa formula di rito:

"Vi congediamo dal tribunale ecclesiastico e vi consegniamo al braccio secolare. Ma supplichiamo fervidamente i giudici laici di mitigare la loro sentenza così da evitare spargimento di sangue e pericolo di morte".

Non era che una formula convenzionale, deliberatamente vuota di senso, che aveva il solo scopo di permettere all'inquisitore di lavarsene le mani, come Ponzio Pilato: era chiaro che quelle parole significavano la condanna al rogo. Perché potesse assistervi il maggior numero di persone, le

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esecuzioni, quand'era possibile, avvenivano in occasione di festività pubbliche. Il condannato veniva legato a un palo, posto sopra a una catasta di legna secca, abbastanza in alto da poter essere visto dalla folla riunita. In seguito, in Spagna, prima di dar fuoco alla pira, la vittima veniva strangolata per risparmiarle l'atroce agonia tra le fiamme. Ma nei primi tempi, l'Inquisizione non concedeva gesti di misericordia, anche se talvolta il soffocamento da fumo poteva dare al condannato una morte un po' più rapida. Quando il rituale di combustione era finito, "seguiva il disgustoso procedimento necessario per distruggere completamente il corpo bruciato per metà: farlo a pezzi, rompere le ossa, gettarne i frammenti insieme alle viscere su un nuovo fuoco di legna" [Lea].  Il macabro epilogo era considerato particolarmente importante nel caso di un eretico illustre, per assicurarsi che ai seguaci clandestini non rimanesse alcuna reliquia da trafugare. Gli inquisitori erano dei contabili estremamente precisi: in riferimento al rogo di quattro eretici, avvenuto il 24 aprile 1323 a Carcassonne, il rendiconto delle spese sostenute specifica le seguenti voci:

            - "Per il legname grosso: 55 soldi e 6 denari

            - Per i tralci di vite: 21 soldi e 3 denari

            - Per la paglia: 2 soldi e 6 denari

            - Per i quattro pali: 10 soldi e 9 denari

            - Per le funi con cui legare i condannati: 4 soldi e 7 denari

            - Per i quattro boia, 20 soldi ciascuno: 80 soldi". [Lea]

C'è una specie di macabra e patetica giustizia in quelle righe: il valore di un boia è quasi pari a quello di otto pali di legno, ma un po' inferiore a quello di un mucchietto di tralci di vite.

Anche Bernard Gui dà prova di valente ragioniere ed al termine delle sue prestazioni inquisitoriali a Tolosa, dal 1308 al 1322, forniva il seguente resoconto che riprendo da Lea:

Persone consegnate al braccio secolare e bruciate vive      40

Ossa riesumate e bruciate                                               67

Condanne alla prigione                                                 300

Ossa riesumate di persone che sarebbero state condannate alla prigione                                         2l

Condanne a portare croci                                            138

Condanne a compiere pellegrinaggi                                16

Esili in Terra Santa                                                        1

Fuggitivi                                                                      36

Condanna del Talmud                                                    1

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Case da distruggersi                                                     16

                                                        Totale               636

Questo quadro si può considerare come una buona pietra di paragone per giudicare circa la frequenza delle punizioni che venivano imposte, e che erano allora in uso.

Rimando ad un paragrafo successivo la descrizione delle pratiche criminali dell'Inquisizione con le varie figure che le illustrano. 

 

L'ANNIENTAMENTO DEI TEMPLARI

 

        Alla morte di Papa Benedetto XI nel 1304, il sovrano Francese, Filippo IV detto il Bello, manovrò opportunamente per far eleggere un Papa amico, l'arcivescovo di Bordeaux che divenne Clemente V, un pupazzo in mano a Filippo. Nel 1309 il papato si trasferì ad Avignone per le mire di Filippo che aveva brame smodate di potere. Uno dei problemi che il pupazzo affrontò, su impellente sollecitazione di Filippo, fu quello dei Cavalieri Templari che ci voleva molta fantasia per giudicare eretici. I termini della questione sono chiaramente descritti da Baigent e Leigh:

All'inizio della "cattività avignonese", con Clemente V, l'Inquisizione si trovò di fronte a una minaccia del tutto nuova: nel passato si era sempre occupata di dare la caccia agli eretici, mentre ora si trovava a dover contrastare la più potente istituzione della cristianità del tempo, i cavalieri templari. I templari si erano originariamente stabiliti in Terra Santa all'inizio del XII secolo, poco dopo la conquista di Gerusalemme, durante la Prima crociata. Già nel 1300 erano diventati una vasta congregazione, con ramificazioni in tutti i paesi: una vera e propria struttura di potere, seconda per ricchezza e influenza solo allo stesso papato. Se, all'inizio, raccoglieva esclusivamente cavalieri e uomini d'armi, oramai poteva contare su un numero anche maggiore di amministratori, burocrati, operai e braccianti. L'ordine usufruiva di immense proprietà terriere, sparse in tutto il mondo cristiano, non solo nell' orbita della Chiesa di Roma, ma anche di quella greco-ortodossa di Costantinopoli, dalle quali ricavava legname, prodotti della terra, cavalli, bestiame e prodotti d'allevamento. Possedeva anche un certo numero di navi, che servivano per commerciare lana e generi di prima necessità, e per trasportare i pellegrini dalla Terra Santa. I templari disponevano della più avanzata tecnologia militare del tempo: le loro risorse in fatto di competenza, materiali e numero di uomini ben addestrati superavano quelle di qualunque altro organismo europeo. Inoltre, erano i più grandi banchieri d'Europa, esperti nei trasferimenti di denaro in (e da) ogni paese e nelle complicate transazioni finanziarie per conto di re, ecclesiastici, nobili e mercanti. A essi si ricorreva per le missioni diplomatiche, per la loro capacità di porsi al di sopra delle parti contendenti. Le loro ambasciate non avevano come meta soltanto i potentati cattolici, ma anche la Chiesa bizantina e i rappresentanti militari, politici e religiosi dell'Islam. Data questa posizione di preminenza, non sorprende che i templari cominciassero a ispirare un sentimento crescente di invidia e di sospetto. Oltretutto, una certa loro alterigia, una buona dose di dispotica arroganza e di superba presunzione davano adito à più di qualche ostilità. Esistevano, poi, ragioni ben più serie di antipatia nei loro confronti, per lo meno da parte della Chiesa. Fin dall'inizio del Duecento, all'avvio della Crociata albigese, papa Innocenzo III aveva duramente criticato l'Ordine templare, avanzando l'accusa di eccessi e persino di apostasia. Oltre a essere sospettati di

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rituali misteriosi, si diceva che i templari accogliessero tra le loro fila i cavalieri colpiti da scomunica che, in conseguenza di ciò, riacquistavano il perduto diritto di ricevere sepoltura in terra consacrata. Avevano fama di riservare un trattamento irrispettoso ai messi papali e parevano mostrare una sconveniente tolleranza nei confronti di musulmani ed ebrei. Su di loro gravava anche il sospetto di avere, nel corso della Crociata albigese, messo in salvo un gran numero di eretici, iscrivendoli nel loro ordine; anzi, correva voce che addirittura alcuni dei Gran Maestri templari provenissero da autorevoli famiglie catare. All'inizio del XIV secolo re Filippo IV di Francia aveva molte buone ragioni per detestare il loro ordine, senza dover aggiungere che ne desiderava ardentemente le ricchezze, perché il bisogno di denaro non gli dava tregua. Già nel 1291 aveva ordinato l'arresto di tutti i mercanti e di tutti i banchieri italiani residenti in Francia, e ne aveva confiscato le proprietà. Nel 1306 aveva scacciato gli ebrei e sequestrato tutti i loro averi. Era quasi inevitabile che finisse per rivolgere la sua attenzione ai templari, come nuova fonte di reddito. Ma Filippo IV aveva anche fondati motivi per temerli. Dopo la rioccupazione, nel 1291, della Terra Santa da parte dei musulmani, i templari si erano ritrovati senza casa madre e senza quartier generale. Per un certo periodo si erano stabiliti a Cipro, ma l'isola si era dimostrata insufficiente per le loro grandiose ambizioni. Invidiavano i cavalieri teutonici, un ordine affine al loro che aveva fondato un principato autonomo tra la Prussia e il Baltico, all'estremo Nordest europeo, ben oltre la portata di qualunque imposizione papale. I templari sognavano di creare anch'essi un piccolo dominio, ma più vicino al cuore dell'Europa. Le loro mire si concentravano sulla Linguadoca, che non si era ancora riavuta dalle devastazioni provocate dalla Crociata albigese. La prospettiva di uno stato templare autonomo, indipendente e autosufficiente così vicino al suo regno non deve aver lasciato dormire sonni molto tranquilli al sovrano francese. Perciò Filippo aveva più di una scusa plausibile, e persino qualcuna obiettivamente valida, per muovere contro di loro, e per farlo in modo da potere neutralizzare la minaccia che rappresentavano e contemporaneamente impadronirsi delle loro ricchezze. Naturalmente, il fatto di poter contare sull'appoggio del papa gli tornava utile. Non meno utile gli fu l'avere come confessore personale e intimo amico l'inquisitore di Francia, Guglielmo di Parigi. C'erano evidentemente tutti i presupposti per un conflitto e perché Filippo potesse procedere con una patente di inoppugnabile legalità. Qualche tempo prima, uno dei ministri del re aveva prodotto contro i templari una raccolta di prove, conservate dai domenicani a Corbeil, dalle quali risultava evidente che l'accusa più appropriata, e forse non del tutto infondata, da muovere contro l'ordine sarebbe stata quella di eresia. Il 14 settembre del 1307 vennero recapitate ai funzionari reali di tutta la Francia alcune lettere nelle quali si ordinava di arrestare, il successivo venerdì 13 ottobre, tutti i templari delle relative giurisdizioni. I membri dell'ordine dovevano essere tenuti sotto stretta sorveglianza e in isolamento, e poi portati uno a uno davanti ai giudici dell'Inquisizione. A ciascuno sarebbero stati letti formalmente i capi d'accusa, e a ciascuno sarebbe stato promesso il perdono se avesse riconosciuto le sue colpe e fosse tornato in seno alla Chiesa. Se un templare si fosse rifiutato di confessare, sarebbe stato inviato immediatamente dal re. Nel frattempo, tutte le proprietà dell'ordine dovevano essere requisite e si doveva compilare un inventario completo di tutti i suoi beni mobili e immobili. Anche se emanati dal re, questi decreti erano ufficialmente promulgati sotto l'autorità dell'inquisitore. In questo modo Filippo IV poteva sostenere di agire unicamente per conto dell'Inquisizione e negare qualunque interesse personale nella faccenda. Per completare ancor meglio la trappola, l'inquisitore in persona, Guglielmo di Parigi, inviò ai suoi referenti in tutto il regno un elenco dei crimini di cui erano accusati i templari e le istruzioni per i loro interrogatori. Nei mesi che seguirono gli inquisitori dell'intera Francia furono meticolosamente occupati a interrogare centinaia di templari. Molti di quegli sventurati morirono nel corso del procedimento, trentasei nella sola Parigi, altri venticinque a Sens. La maggior parte degli arrestati era o molto giovane e priva di esperienza, oppure anziana, perché un gran numero di appartenenti all'ordine, avvertiti per tempo, riuscirono a salvarsi, e del presunto "tesoro" dei templari che Filippo aveva sperato di espropriare, non fu trovato nulla. O non era mai esistito, o fu messo in salvo di nascosto.

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Seguirono sette anni di interrogatori, torture ed esecuzioni, intervallati da processi e ritrattazioni. Nel 1310 quasi seicento templari francesi minacciarono di ritirare le loro confessioni e di difendere il loro ordine di fronte al papa. Quasi settantacinque di loro furono bruciati dall'Inquisizione come eretici abiuri. Alla fine, nel 1312, l'Ordine del Tempio fu ufficialmente sciolto dal papa e, il 19 marzo 1314, due dei più alti dignitari templari, Jacques de Molay, il Gran Maestro, e Geoffroi de Charnay, suo immediato sottoposto, furono bruciati a fuoco lento su un'isola della Senna. Negli anni che precedettero questo raccapricciante epilogo, le azioni contro i templari furono più assidue nelle zone dove il potere dell'Inquisizione era più forte: in Francia, in Italia, in alcune parti dell'Austria e della Germania. In altre zone la persecuzione dell'ordine fu molto più marginale. In Inghilterra, per esempio, dove l'Inquisizione non aveva mai operato in precedenza, nessuno volle assumersi l'incarico di attuarla. Dunque Filippo IV scrisse a suo genero, l'appena incoronato Edoardo II, e lo esortò a procedere contro i templari. Il re inglese fu contrariato da quell'invito, tanto da scrivere ai sovrani di Portogallo, Castiglia, Aragona e Sicilia, invitandoli a ignorare le pressioni a cui Filippo li stava sottoponendo. Edoardo chiese ai colleghi governanti di non prestare orecchio alle calunnie di uomini di brutto carattere, animati come noi crediamo non dallo zelo della rettitudine, ma da uno spirito di cupidigia e di invidia. Pressato dalle ostinate insistenze di Filippo, Edoardo alla fine cedette e, nel gennaio del 1308, compì il gesto simbolico dell'arresto di dieci templari. Non fu fatto nulla per tenerli sotto custodia, al contrario, fu loro permesso di andarsene in giro in abiti secolari e di entrare e uscire liberamente dalle fortezze nelle quali dovevano essere imprigionati. Filippo, naturalmente, non rimase soddisfatto. A metà settembre del 1309, quasi due anni dopo i primi arresti in Francia, l'Inquisizione mise piede per la prima volta in Inghilterra, con il proposito specifico di perseguitare i templari, ma il benvenuto che ricevette non fu per nulla entusiastico; Edoardo, inoltre, proibì agli inquisitori di fare uso della tortura, il solo mezzo con il quale potevano sperare di estorcere le confessioni che bramavano. Contrariati, gli inquisitori si lamentarono con il re di Francia e con il papa. Sotto le pressioni di questi due poteri, Edoardo in dicembre acconsentì con riluttanza a sanzionare una tortura "limitata", ma i carcerieri inglesi non mostrarono per questa pratica la benché minima inclinazione e gli inquisitori continuarono a sentirsi frustrati. Nella loro insoddisfazione proposero alcune alternative: i templari avrebbero potuto venire gradualmente privati del cibo, fino a sostentarsi solo di acqua. O forse potevano essere trasferiti in Francia, dove uomini con l'esperienza e l'attitudine adatte avrebbero potuto applicare la tortura in modo adeguato. Edoardo continuò a essere di ostacolo. Solo a metà del 1310, per le rinnovate insistenze del papa, autorizzò controvoglia che venisse usata qualche tortura della intensità richiesta. Alla fine, comunque, in Inghilterra furono arrestati meno di cento templari e si ottennero solo tre confessioni. I tre rei confessi non furono bruciati, ma costretti a fare pubblica confessione dei loro "peccati", dopo di che vennero assolti dalla Chiesa e mandati in un monastero. In Inghilterra ogni altra accusa mossa contro i templari cadde. Quando l'ordine fu sciolto, quelli che erano rimasti in prigione furono dispersi nei vari monasteri, con un vitalizio per il resto dei loro giorni. Ma, ancor prima, un certo numero di templari inglesi, come già era avvenuto per i francesi, era fuggito in Scozia, che in quel periodo era sotto interdizione papale e il cui re, Roobert Bruce, era stato scomunicato. Di conseguenza, le leggi papali non avevano autorità in quel paese e i cavalieri fuggiaschi potevano sperare di trovarvi un rifugio appropriato.

Quel potente ordine cristiano fu così distrutto. Non rimase nulla se non leggende alimentate dalla Chiesa medesima. L'Inquisizione era diventata uno strumento di potere al servizio di sovrani e papi.

 

LA STRAGE DEI DOLCINIANI

 

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        Mi occupo ora, in breve, della persecuzione di un'eresia che si sviluppò in Italia a cavallo tra la fine del XIII e gli inizi del XIV secolo. Qui, più che altrove, non vi sono notizie da fonti indipendenti ma solo degli avversari, dei feroci avversari, dei dolciniani, un altro gruppo di cristiani considerati eretici e massacrati per questo. Neppure riporto le notizie costruite su Dolcino al solo fine di screditarlo fin dalla sua nascita (nascita da un rapporto tra un  prete ed una baldracca, poi ladro, ... e così denigrando) ma, dopo aver fornito qualche scarna notizia biografica, cercherò solo di situare la nascita di questo movimento e la sua tragica conclusione sotto i colpi implacabili di Inquisizione e Chiesa.

         Sembra che in origine Dolcino si chiamasse Davide Tornielli e nacque, intorno al 1250, probabilmente a Prato Sesia (Novara). Crebbe a Vercelli educato dal maestro Sion. In gioventù fu probabilmente un francescano o perlomeno compì degli studi regolari, perché mostrò sempre una certa cultura e una buona conoscenza del latino e delle Sacre Scritture.

        Nel 1291 entrò nel movimento degli apostolici, pauperisti e millenaristi, di Gherardo Segarelli di Parma. Gli Apostolici erano un movimento di penitenza e di ritorno alle origini dell’uguaglianza cristiana e della più stretta povertà francescana. Un movimento cristiano totalmente spirituale senza vincoli esteriori, strumento di Dio per salvare le anime ma in sospetto di eresia e già condannato da Papa Onorio IV nel 1286. Fino al 18 luglio del 1300, data della morte sul rogo dell'Inquisizione del Segarelli, nonostante i tentativi di protezione del vescovo di Parma, Obizzo Sanvitali, che aveva cercato di farlo passare per idiota, Dolcino fu un  apostolico silenzioso.  La repressione contro gli apostolici da parte della Chiesa fu molto brutale e lo stesso Dolcino riparò per qualche tempo in Dalmazia. Da qui scrisse la prima delle sue lettere a tutti i seguaci del movimento, presentando la sua idea sullo sviluppo delle ere della Storia rielaborando le teorie di Gioacchino da Fiore. Secondo Dolcino, la storia dell'umanità era contraddistinta da quattro periodi:

- Quello del Vecchio Testamento, caratterizzato dalla moltiplicazione del genere umano,

- Quello di Gesù Cristo e degli Apostoli, caratterizzato dalla castità e povertà,

- Quello iniziato al tempo dell'imperatore Costantino e di Papa Silvestro I, caratterizzato da una decadenza della Chiesa a causa dell'accumulo delle ricchezze e dell'ambizione,

- Quello presente, degli apostolici, caratterizzato dal modo di vivere apostolico, dalla povertà, dalla castità e dall'assenza di forme di governo ed esso sarebbe durato fino alla fine dei tempi. E per realizzare ciò occorreva combattere le gerarchie ecclesiastiche, includendo domenicani e francescani. Il compito sarebbe stato realizzato da Federico d'Aragona, re di Sicilia, che avrebbe deposto Bonifacio VIII e, con l'aiuto degli angeli dell'Apocalisse, al suo posto sarebbe andato un Papa eletto da Dio. In questo momento sarebbe tornata la pace tra i Cristiani.

        Su Wikipedia, a proposito degli apostolici, si legge:

Essi conducevano una vita con frequenti digiuni e preghiere, lavorando o chiedendo la carità, senza praticare il celibato forzoso: la cerimonia di accettazione dei nuovi seguaci prevedeva che pubblicamente si spogliassero nudi, per rappresentare la propria nullità davanti a Dio, come aveva fatto san Francesco; predicavano l'ubbidienza alle Scritture, che portava alla disobbedienza ai pontefici, la predicazione ambulante dei laici, l'imminenza del castigo celeste provocato dalla corruzione dei costumi ecclesiastici, l'osservanza dei precetti evangelici e la povertà assoluta. Quest'ultimo punto, ovviamente, portò alle ire della Chiesa di Roma [...]

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        Tornato in Italia Dolcino, diventato capo degli apostolici, da laico chiamato fra nel senso di fratello, predicò nelle zone circostanti il Lago di Garda e sulle montagne del Trentino dove, nel 1303, conobbe Margherita Boninsegna, donna descritta come bellissima, figlia della contessa Oderica di Arco ed educanda in un convento, che divenne la sua inseparabile compagna di vita e di predicazione. Da Arco, divenuto il centro di predicazione del movimento, Dolcino scrisse la seconda delle sue lettere agli apostolici dove pubblicò anche il numero di seguaci in Italia, oltre quattromila fratelli e sorelle, con i nomi degli esponenti di maggior rilievo.  In questa seconda lettera si ribadivano le posizioni della prima e si annunciava la fine del potere della Chiesa corrotta nel 1305. Il suo movimento cresceva per l'esempio della  rigorosa coerenza dell'azione con la predicazione, in tempi in cui questo esercizio era disatteso in primis proprio dai grandi prelati. Come spesso avveniva in casi simili, molti decidevano di seguirlo, vendendo ciò che possedevano per versare il ricavato al movimento. Purtroppo però il suo gruppo, inseguito dall'Inquisizione, era ormai accerchiato. Dolcino pensò di trovare rifugio tra le montagne dove aveva trascorso la sua giovinezza. Pensava di potersi difendere, attendendo che le sue profezie si fossero avverate.

        Nel 1304, per organizzare meglio la resistenza, Dolcino guidò i suoi 3000 seguaci con una epica marcia attraverso le montagne lombarde fino in Val Sesia, dove i dolciniani si insediarono dapprima nella parte bassa della valle tra Gattinara e Serravalle, in località Piano di Cordova, nel feudo dei conti di Biandrate, e grazie all'apporto di servi fuggiaschi dei vescovi di Novara e di Vercelli, arrivarono ad essere circa 4.000 persone (il movimento nel suo complesso sembra arrivasse a 10 mila aderenti). Si unirono anche diversi letterati provenienti da varie parti d'Italia (Bologna, Toscana e Umbria), come Bentivegna da Gubbio.

        Successivamente, sotto l'incalzare delle truppe dei vescovi di Novara e Vercelli, i dolciniani si spinsero più in su nella valle, nei possedimenti di un ricco valligiano, di nome Milano Sola, di Campertogno, un paese pochi chilometri prima di Alagna. Da lì, per difendersi meglio, dapprima si trasferirono sulle pendici della Cima Balme ed infine in Val Rassa, vicino a Quare, su una montagna denominata Parete Calva, dove i superstiti (circa 1.500 persone) si asserragliarono per tutto l'inverno del 1304 e dove per sopravvivere dovettero fare razzie nei possedimenti di fondovalle. Ogni azione malvagia compiuta dai dolciniani in questo periodo fu giustificata da Dolcino che riteneva il movimento fatto di persone tanto pure da poter commettere qualsiasi atto contro i fedeli a Santa Romana Chiesa senza correre il rischio di peccare, secondo il detto di San Paolo: Tutto è puro per i puri (Lettera a Tito 1,15) come del resto era già stato fatto dai Fratelli del Libero Spirito.

        Nel 1306, dopo altri scontri con le truppe che li inseguivano e vicende che videro Margherita protagonista,  il vescovo di Vercelli Raniero degli Avogadro, con il sostegno di Papa Clemente V, bandì una crociata, cui avevano aderito gli Inquisitori di Lombardia, l'arcivescovo di Milano, e Ludovico di Savoia. Addirittura furono reclutati uomini persino a Genova da inviare contro Dolcino. Le bolle papali, emesse da Bordeaux, da papa Clemente V, il 26 agosto del 1306 fecero accorrere ancora più gente in difesa della Chiesa Romana. Veniva raccontato che gli uomini di Dolcino fossero spietati criminali, che razziassero, uccidessero, mutilassero ed incendiassero ogni cosa che trovavano sul loro cammino. Chiunque indossi la veste con croce e si appresti a partire verso le valli del Novarese e Vercellese per combattere l'eresia dolciniana - questo il senso della disposizione delle autorità ecclesiastiche - avrà rimessa la totalità dei peccati. A questo proposito occorre dire che nel XVIII secolo la Chiesa, come suo costume, falsificò documenti per mostrare che vi fu una ribellione popolare contro i dolciniani [R. Ordano, Boll. Storico Vercellese, 1, 1972]. 

        I dolciniani, completamente circondati dalle truppe cattoliche, resistettero per circa un anno. Con una resistenza disperata gli uomini di Dolcino riuscirono a respingere l'esercito, facendo anche diversi prigionieri, tenuti per il riscatto, ma poi, oramai ridotti in condizioni disumane (mangiavano

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carne di topi e di cani e ci furono perfino episodi di cannibalismo), dopo un ultimo assalto, costato la morte di 800 dolciniani, si arresero nel 1307.  La battaglia ebbe luogo il 23 Marzo, l'esercito papale fece 140 prigionieri, trovando sulle montagne oltre 400 morti, dalla fame e dal freddo.

        Dolcino, Margherita e Longino Cattaneo di Bergamo, luogotenente di Dolcino, vennero catturati vivi e il 25 marzo furono portati al castello di Biella, dove Longino e Margherita furono arsi sul rogo il 1° Giugno 1307, nonostante i tentativi di alcuni nobili locali di salvare la vita della donna, facendola abiurare. Longino fu arso vivo sulle rive del Torrente Cervo. Dolcino fu costretto ad assistere al rogo della sua compagna (Darà - come dice un cronista anonimo del tempo - continuo conforto alla sua donna in modo dolcissimo e tenero) e successivamente portato a Vercelli per essere, a sua volta, arso (1° giugno del 1307). A sentenza emessa e prima che fosse giustiziato, Dolcino su sottoposto ad una sorta di tortura: incatenato su un carro tirato da due lenti buoi farà un interminabile percorso per le vie cittadine mentre due aguzzini con tenaglie arroventate strapperanno, di tanto in tanto, parti del suo corpo. Il cronista anonimo - che assistette alla scena - scrisse che "mai un solo lamento uscì dalla bocca del frate, e solo quando gli fu strappato il pene si sentì un verso rauco come di animale ferito". Quindi Dolcino fu issato sul rogo e arso vivo. Nonostante questa atroce tortura, Dolcino non si lamentò mai, eccetto quando si strinse nelle spalle all'amputazione del naso o quando sospirò profondamente al momento dell'evirazione. Nessuno di loro rinnegò le proprie dottrine, nemmeno durante le precedenti torture ed il rogo.(6) 

        Bernardo Gui, scrisse:

Dolcino radunò nella sua setta ereticale molte migliaia di persone di entrambi i sessi, da ogni dove, soprattutto in Italia settentrionale e in Toscana e nelle altre regioni vicine, e a loro trasmise una dottrina pestifera e predisse molti avvenimenti futuri con spirito, non tanto profetico quanto fanatico ed insensato, affermando e fingendo di avere da Dio delle rivelazioni e uno spirito profetico. Ma in tutte queste cose fu trovato falso, ingannatore ed illuso, insieme con Margherita, sua malefica ed eretica compagna nei delitti e nell'errore [Bernard Gui, De secta illorum qui se dicunt esse de ordine apostolorum].

 

IL MASSACRO DEI VALDESI  

        Parlando di catari ho accennato ai valdesi come movimento di cristiani eretici che la Chiesa, con il suo braccio armato dell'Inquisizione, colpì con estrema durezza. Nel prossimo capitolo cercherò di parlare di altri movimenti ereticali ritenuti minori, che nascevano nel Sud della Francia ma anche nell'Italia del Centro Nord. Essi, insieme ai catari, furono tutti sterminati nella gran maggioranza o almeno ridotti a manipoli che non creavano soverchie preoccupazioni, entro i primi anni del XIV secolo. Ad eccezione del movimento valdese che aveva caratteristiche diverse dagli altri non essendo riconducibile ad eresie protocristiane o al manicheismo. Risale al 1184 il primo anatema contro Pierre Valdès di Lione ed i suoi frati da parte di Papa Lucio III che in proposito emanò la bolla Ad abolendam. Valdo era un ricco commerciante che nel 1170 rinunziò ad ogni suo avere, donandolo ai poveri, per praticare la fede cristiana in assoluta povertà. Un vero precursore di Francesco d'Assisi che, a differenza del primo, accettò la povertà solo per i suoi seguaci. Si associarono a Valdo i Poveri di Lione che furono il primo nucleo del movimento valdese che iniziò la predicazione nella zona di Lione ma presto si espanse. L'arcivescovo di Lione li scacciò e questo fu motivo perché l'espansione aumentasse dal Lionese al Delfinato, nella Provenza, in Linguadoca dove furono confusi con i catari. Come i catari, i valdesi ebbero una grande diffusione in Italia, in

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Germania e nel Nord Europa fino al mar Baltico. Divennero stanziali nelle valli alpine del Delfinato e del Piemonte, che furono chiamate vallate valdesi. La dottrina valdese auspicava innanzitutto il ritorno alla povertà predicata nei Vangeli e condannava la ricchezza mostrata oscenamente dal clero, dalle gerarchie oltre all'autorità temporale. In particolare le gerarchie non rappresentavano più una forza santa perché la santità non si acquista con il denaro, con i rituali e con i sacramenti ma solo con opere che ciascuno individualmente realizza. Erano cristiani con pochi cambiamenti in materia di dogma. Credevano alla divinità di Cristo, ammettevano l'Eucarestia e la confessione ma non la professione di prete perché ogni uomo giusto poteva continuare l'opera di Cristo fra i fratelli come confessare, assolvere, consacrare l'Eucarestia, presiedere le preghiere e spiegare il Vangelo. Con ciò era l'intera gerarchia della Chiesa che era rifiutata anche perché di essa non vi è traccia nei Vangeli. Qualcuno li ha associati a dei protestanti puritani ante litteram con in più uno spirito di povertà evangelica ed una rettitudine esemplari. In un'epoca in cui, a fronte di una povertà generalizzata proprio del popolo a cui Gesù si rivolgeva,  vi era un clero scandalosamente ricco e potente, la predicazione valdese era profondamente rivoluzionaria e pericolosissima per i privilegi della Chiesa.  Inoltre erano dei pacifisti che non ammettevano guerre di nessun tipo, né offensive né difensive, ed intermine di potere civile erano degli anarchici, come i catari. Come i catari anche nel movimento valdese vi erano i puri o perfetti, persone riconosciute come sante in vita (chiamati barbes) ed a cui ci si rivolgeva per ottenere l'assoluzione. Questi puri conducevano vita molto più austera degli altri aderenti al movimento. Dal punto di vista giuridico i quattro errori imputati ai valdesi erano: calzare sandali come gli apostoli; il divieto per loro di prestare giuramento; il divieto di uccidere un uomo; la possibilità per chi aveva i sandali di celebrare l'eucarestia.

        Bernard Gui scrisse:

Una volta ricevuti nell'ordine (giacché finivano per formare un clero) promettono di osservare la povertà evangelica  e la castità; e devono vivere di elemosine. Ogni anno tengono segretamente due o tre adunanze generali e si ritrovano in una casa presa in affitto per la circostanza da uno di loro. Qui il capo incarica i fratelli di missioni nei diversi paesi e gli vengono resi i conti delle collette e delle spese fatte. [Bernard Gui, Practica Inquisitionis haereticae praviatis]

        Nel XIII e XIV secolo i valdesi costituivano una confraternita in cui si accedeva mediante il diaconato. Il diacono doveva fare un esame preliminare sulle Scritture, poi doveva studiare alla scuola del movimento a Milano o in altro luogo. Era possibile partecipare alla vita del movimento senza doverla seguire in toto ed addirittura restando cattolici. All'inizio del XIII secolo, nel 1208, iniziò la repressione contro i valdesi da parte di Papa Innocenzo III. E con la solita alleanza con i regnanti, fu il Re Ottone IV di Brunswick che ordinò al vescovo di Torino di cacciare i valdesi che, fortemente integrati nel luogo, vi restarono. Intanto vari inquisitori furono sguinzagliati sulle tracce di valdesi, sia in Francia che in Italia. Ma erano sempre i valdesi che riuscivano a cacciare questi intrusi e ad inseguirli con forconi. Le vittorie locali dei valdesi contro gli inquisitori nascevano dalla non collaborazione delle autorità civili locali perché, appunto, la presunta eresia era molto radicata nella popolazione. Questo fenomeno era così esteso che nel 1321 lo stesso Papa Giovanni XXII richiamò ufficialmente alcuni podestà e castellani, sollecitandoli a collaborare con l'Inquisizione e a consegnare gli eretici. Il successore di Giovanni XXII, Benedetto XII, attivò ogni sforzo (1335) per ricercare e punire i valdesi scrivendo per richiedere interventi ad una gran quantità di autorità locali. Nel 1353 vi furono nella Valpute 12 roghi e varie conversioni forzate con l'imposizione delle croci sugli abiti. Intanto la Chiesa si scindeva con papi (Gregorio XI) ed antipapi (Clemente VII) ma ambedue confidavano sull'abilità del medesimo inquisitore capo, il francescano François Borrel, tanto da mantenerlo alla testa della repressione iniziata da Gregorio XI nel 1370 e confermata da Clemente VII nel 1381 che ebbe sulla caccia agli eretici ogni collaborazione di Gregorio XI. Furono inviati (1375) molti frati di ordini mendicanti, domenicani, francescani, agostiniani, carmelitani, nelle zone infestate dagli eretici. Dovevano gli uni predicare e gli altri lavorare da inquisitori.

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L'operazione era guidata da Borrel che era accompagnato da governatori e magistrati con un esercito di armati. Il risultato fu la necessità di costruire nuove prigioni inquisitoriali, tanti furono gli arrestati e condannati. Anche il denaro per mantenere i disgraziati a pane ed acqua non era sufficiente e fu il Papa che dette il via ad una colletta pro alimentis carceratorum hujusmodi. La crociata durò fino al 1393, con continui e crudeli roghi in tutta Europa, fino al gigantesco rogo di Grenoble dopo il quale Borrel passò a fare il pio frate francescano in Provenza lasciando il prestigioso incarico ad un suo fidato, Antonio Alhaudi. Ma i valdesi, che a partire dal 1488 ebbero da affrontare un'altra crociata da parte di Innocenzo VIII, quello che iniziò pure la caccia alle streghe, non furono mai sconfitti.

 

I FRANCESCANI SPIRITUALI ERETICI

 

        Lo stesso ordine francescano ebbe burrascose vicende con l'Inquisizione e sempre sulla questione povertà. Vi era chi, nell'ordine, voleva una povertà assoluta e la negazione di ogni bene (gli Spirituali) ispirandosi a quel Gioacchino da Fiore, eremita cistercense calabrese ed abate di Curace morto sul finire del XII secolo, che abbiamo già incontrato come riferimento dei dolciniani. Gli spirituali erano in minoranza nell'ordine ma ebbero un minimo sostegno da Papa Celestino V che li liberò dall'obbedienza dei superiori francescani e riservò loro degli eremi isolati dove vivere secondo il loro credo. A causa del gran rifiuto di continuare a fare il Papa di Celestino V (messo nel carcere della famiglia dei Caetani a Fumone) gli Spirituali furono abbandonati nelle fauci di Bonifacio (Caetani) VIII che revocò le decisioni del predecessore ed iniziò la loro persecuzione. Gli Spirituali non riconobbero questo papa che, a loro giudizio ma non solo, aveva estorto le dimissioni a Celestino V. Lo consideravano quindi uno scismatico. Proseguirono le loro predicazione con il nome di Fraticelli (quando si parla dei fraticelli di Assisi, non si parla di questi ma di quelli che collaborarono attivamente come inquisitori). I Fraticelli crebbero di numero ed aggregarono a sé molti laici che volevano diventare apostoli di povertà, con il nome di Beghini e Beghine. Bonifacio VIII, Clemente V e Giovanni XXII tentarono di sopprimere questo movimento ma non vi riuscirono. Esso si espanse in modo spettacolare in Italia e nel Nord della Francia dove in alcune città divennero così forti da poter scacciare i francescani non spirituali dai loro conventi e prenderne possesso. Visti gli insuccessi di ogni opera di convincimento e di ogni repressione ordinaria, Giovanni XXII, con la bolla del 17 febbraio 1317, ordinò di trattare gli Spirituali come eretici, sotto qualunque denominazione: Spirituali, Fraticelli, Beghini, Bizzochi, Begardi. Con altra bolla del 30 dicembre 1317 li scomunicò tutti. Da allora l'Inquisizione iniziò una strage che iniziò il 27 aprile 1318 con il processo di una lunghissima lista di eretici Spirituali. Centinaia di tali eretici furono bruciati, molti costretti a pentirsi. Vi fu un tentativo di difesa in termini di diritto in quanto precedenti papi avevano ammesso la predicazione dell'assoluta povertà (Nicola III, Clemente V e Celstino V). La polemica aveva sollevato qualche questione di legittimità. Giovanni XXII, che voleva sbarazzarsi di questi disturbatori della vita crapulona affidò il caso ad una commissione di teologi che, nominata da lui, condannò gli spirituali. Fu invece l'allora capo dell'ordine francescano, Michele da Cesena (sostenuto da Guglielmo di Occam e da Buonagrazia da Bergamo che era il procuratore generale dell'ordine), che non  riconobbe le conclusioni della commissione. Fu allora  lo stesso Papa a doversi esporre in prima persona emanando la costituzione Cum inter nonnullos del 12 novembre 1323 in cui definitivamente stabiliva che gli spirituali erano degli eretici. Nella vicenda entrò anche l'Imperatore di Germania Luigi di Baviera. Il Papa aveva aspettato un momento di difficoltà in Germania tra due pretendenti al trono per inserirsi tra i due litiganti in modo da trarne, come sempre, vantaggio. Alla fine vinse Luigi di Baviera che non era gradito al Papa e non ebbe mai la sua incoronazione. Anzi il papa manovrò nominando reggenti del Sacro Romano

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Impero a lui graditi. Vi furono vari scontri diplomatici che arrivarono alla scomunica di Luigi (1324). La scomunica arrivò a Luigi praticamente in simultanea con la costituzione contro gli Spirituali e così Luigi, il 23 maggio 1324, fece una solenne dichiarazione contro il Papa in cui disse: La cattiveria del papa si accanisce fin contro Cristo, fino alla Santissima Vergine, fino agli apostoli e a tutti quelli la cui vita riflette la dottrina evangelica della perfetta povertà. Sette papi hanno approvato la regola che Dio ha rivelato a San Francesco, e con le sue stimmate, Cristo l'ha come autenticata col suo suggello. Ma quest'oppressore dei poveri, questo nemico di Cristo e degli apostoli, cerca con la furberia e colla menzogna di annientare la perfetta povertà. Il Papa si inviperì (è il termine) e cercò vendetta cercando di far arrestare in  Europa tutti coloro che erano sospettati di aver aiutato Luigi a scrivere quelle cose. Mise in piedi processi contro il capo dell'ordine francescano e contro Buonagrazia da Bergamo che scomunicò, condannò gli scritti degli Spirituali. Michele da Cesena e Buonagrazia da Bergamo si resero irreperibili. Fatto di interesse è che Luigi di Baviera denunciò all'Europa intera il fatto che l'eretico era Giovanni XXII che iniziò a chiamare con il suo nome originario, Jean de Cahors, per sottolineare che non lo riteneva più Papa. Subito dopo, il 15 marzo 1327, da Trento iniziò una spedizione su Roma che passò per la conquista di Milano, di Arezzo dove il vescovo gli consegnò la corona di ferro simbolo del Sacro Romano Impero, di Pisa e quindi di Roma che fu presa il 7 gennaio 1328 e dove fu il popolo a nominarlo Imperatore (con Arnaldo da Brescia che trovava esauditi i suoi desideri). Ma il vecchio, rancoroso e criminale Papa (naturalmente scappato) non accettò l'incoronazione dichiarandola nulla (31 marzo 1328) e dichiarò eretico Luigi (23 ottobre 1327) per la sua adesione alla dottrina degli Spirituali. La lotta continuò fino alla morte di Luigi nel 1347. E da questo momento si intensificò la caccia agli spirituali con l'accensione di molti roghi. Alcuni dal Sud della Francia scapparono verso la Grecia e la Terra Santa. Altri si rifugiavano in chiese e conventi dove gli sbirri che li cercavano non potevano entrare. Tale diritto d'asilo fu subito tolto da Giovanni XXII e da questo momento si incrementò di molto il numero degli arrestati. Altri ancora ebbero metodici processi senza scampo. Lo sbarazzarsi del diritto d'asilo era l'accettazione di una richiesta fatta dal Re di Francia, Filippo V. Il papa chiese come contropartita (come sempre) quella di arrestare gli italiani sostenitori di Luigi di Baviera che dall'Italia avevano cercato rifugio in terra francese per evitare le violente ritorsioni della Chiesa. Così che tra Francia ed Italia fu un vero fiorire di roghi.

        La repressione colpì anche Aragon e Maiorca ma ebbe qualche difficoltà a Napoli, il cui Re, Roberto d'Angiò, era un ghibellino. In quella corte si avevano simpatie per gli spirituali e la regina aveva intercesso per loro in un processo che li vedeva imputati di eresia, processo istruito dal Generale dell'ordine francescano, Géraud, che Giovanni XXII aveva messo al posto di Michele da Cesena. Quel Papa rifiutò sdegnato ogni aiuto. Anzi, minacciò Re Roberto di denunciare la regina all'Europa come sostenitrice di eretici, con le parole seguenti (13 marzo 1332):

Se la Regina, irritata contro il Generale dei Fratelli Minori intende diffamarlo, sarà obbligato insieme ai suoi fratelli a pubblicare e scrivere in diversi paesi, a loro giustificazione,, che la regina protegge gli scismatici e gli apostati dell'ordine, che, da dovunque essi provengano li riceve, e fornisce loro abbondantemente tutto ciò che necessita loro, mentre perseguita i fratelli fedeli. Non sopporta che il Generale né gli stessi inquisitori e vescovi compiano il loro dovere contro gli eretici e al contrario sottrae ai prelati le lettere che noi abbiamo indirizzato loro concernenti l'ufficio dell'Inquisizione.

        Altre difficoltà si ebbero nella repressione degli spirituali in Germania proprio per il legame che si era creato con Luigi. Ma la Chiesa cercava di colpire i tedeschi sostenitori di Luigi fuori dai territori direttamente da lui controllate. Le catture di tali simpatizzanti erano dirette dai vescovi (Colonia, Erfurt, Saxe, ...) che fornirono molto materiale ai tribunali dell'Inquisizione. Dopo la morte di Luigi la successione portò al trono un devotissimo alla Chiesa, Carlo V di Lussemburgo, finalmente l'Inquisizione passò direttamente al Papa che nominò un Inquisitore generale (1348).

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L'Inquisizione fu sommersa da lavoro, anche perché in contemporanea era scoppiata la peste nera che aveva portato ondate di misticismo da dover reprimere. I movimenti ereticali si moltiplicarono e agli spirituali si aggiunsero: flagellanti, mistici, messi al bando, Fratelli del Libero Spirito, Lollardi, ... L'attività dell'Inquisitore generale che era stata sospesa nel periodo più duro dell'estendersi dell'epidemia, riprese nel 1353 con il Papa Innocenzo VI e seguì con i papi che vennero dopo. E' difficile seguire i grandi numeri dei processi e dei roghi  che dalla Germania si estesero all'Olanda, ai Paesi di Brabante, alla Pomerania, alla Slesia, Magdeburgo, Brema, Turingia, Assia, Sassonia ...

 

IL ROGO DI JAN HUS

 

        Tutti i colpi assestati agli eretici non li debellarono anzi, l'eresia diventava sempre più temibile perché i vari movimenti esistenti al di fuori degli spirituali tesero ad unificarsi e confondersi mentre i valdesi riprendevano forza. Ma il pericolo maggiore discendeva dal fatto che i movimenti ereticali andavano sempre più assumendo carattere un rivoluzionario. Già vi era stata l'esperienza degli spirituali con Luigi di Baviera che avevano preso di mira il Papa per la sua deposizione che creasse uno scisma. Da lì le idee che volevano far fuori il Papato per sostituirlo con il potere dell'Imperatore ed il movimento degli eretici, più cresceva, più assumeva un carattere sociale, di tipo socialista ed addirittura anarchico con uno sfondo di profondo misticismo. I leader riconosciuti furono John Wicklef (c. 1320-1384), teologo francescano di Oxford e teorico del movimento dei lollardi, in Inghilterra e Jan Hus (c. 1370-1415), teologo e docente all'Università di Praga (e dal 1401 rettore della medesima università), in Boemia. Per semplice combinazione che però mostra il fervore della Chiesa nel bruciare, nel 1379 quando dalla campagna Hus si trasferì in città, la cristianissima Praga metteva al rogo 3000 ebrei (delle persecuzioni contro gli ebrei da parte dei molto cristiani di Roma parlerò nella seconda parte di questo lavoro).

        Wicklef sosteneva che il potere terreno è concesso all'uomo dal potere di Dio e che solo in stato di grazia è legittimo il potere. E' dovere dei fedeli scacciare chi è pubblico peccatore e gestisce il potere perché questa è una tirannia che, per di più, offende Dio. Non vi è alcuna giustificazione di consenso popolare o ricchezza: quella tirannia va distrutta. A questa posizione si contrapponeva quella di Papa Gregorio VII, secondo la quale non esiste potere senza ortodossia. Ho parlato di contrapposizione perché se da parte ecclesiastica è facile cogliere le mancanze del sovrano che viene quindi punito dalle leggi della Chiesa fino alla sua deposizione con il potere che passa alla Chiesa medesima, nel caso della grazia richiesta da Wicklef per detenere il potere, la legittimità è, a parte limitati ed evidenti casi, tutta interiore all'animo del sovrano che può essere in stato di peccato e mantenere il potere senza che nessuno e particolarmente il popolo se ne accorga. In teoria solo Dio potrebbe intervenire e Wicklef lo sa tanto è vero che assegna ad ogni singolo individuo che venga a conoscere la mancanza della grazia in un potente per intervenire. Questo individuo, da solo, può proclamare lo stato di rivolta. In quanto ai beni terreni essi sono dono di Dio e devono essere di tutti gli uomini in stato di grazia e questa legge deve valere per ogni cittadino di ogni Paese così che, in definitiva, non ha più senso parlare di un Paese diverso da un altro, con la conseguenza che deve sparire la differenza tra nazioni ed il concetto di patria. Da ciò deriva ancora che il dover assumere il criterio secondo cui in una guerra gli altri hanno sempre torto è sbagliato come il concetto stesso di difendere la propria patria che è la stessa di colui con cui facciamo la guerra.

        Queste posizioni espresse già nella sua opera del 1376 De civili dominio (nella quale furono individuate 18 proposizioni eretiche) e poi ripetute, ampliate e meglio sostanziate in successive

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opere, furono duramente condannate a partire dal Concilio di Londra del 1382 fino ad arrivare al Concilio di Costanza del 1414-1415 che incaricò l'Inquisizione di perseguitare coloro che le diffondevano. Ma già Papa Gregorio XI nel 1377 aveva richiesto l'arresto del teologo al sovrano inglese (Edoardo III che moriva proprio in quell'anno con la corona che passava a Riccardo II) ma la regina madre (Giovanna di Kent) lo aveva protetto. I gerarchi conciliari della Chiesa avevano ben presente che intorno al 1380 le predicazioni dei lollardi avevano originato una gigantesca rivolta in Inghilterra, con la liberazione dei carcerati, l'attacco cruento a preti, frati, magistrati, finanzieri, nobili. Il 13 giugno 1381 fu presa Londra e furono giustiziati l'arcivescovo di Canterbury ed il priore di San Giovanni di Gerusalemme. Le teste di costoro furono infilate in alti pali e portate in processione-trionfo per le vie della città.

        Il Concilio di Costanza condannò anche Jan Hus (1371-1415), leader del movimento ereticale e rivoluzionario degli hussiti, che era ritenuto un seguace di Wicklef e che comunque aveva posizioni analoghe: il potere non può appartenere a chi non è in stato di grazia. Da notare che prima di quella del Concilio di Costanza, Hus fu condannato dai teologi domenicani dell'Università di Parigi. Hus aveva fatto pubblica richiesta al potere della Chiesa di redistribuire le proprietà con l'attuazione di alcune riforme a sostegno delle moltitudini diseredate ed affamate a fronte, sempre, delle strabordanti ed ostentate ricchezze di clero e nobili. A questo, Hus aggiungeva una condanna radicale della vergogna della vendita delle indulgenze. L'Inquisizione lo catturò e con uno spettacolare processo lo condannò al rogo che, per maggior gloria della Chiesa, fu arso a Costanza davanti la sede del Concilio e durante il suo svolgimento (1415). Questo atto di crudele imperio scatenò rivolte in tutta la Boemia, rivolte che durarono per gran parte del XV secolo.        

        Le posizioni di Hus sono così riportate da Deschner (2000):

Hus, conosciuto con il nome di "evangelicus doctor", non fa che richiamare alla memoria, senza posa, la Bibbia. Lo fa, per esempio, con parole come "Per niente avete ricevuto, per niente quindi darete". Oppure rievocando le parole di Matteo 19,21 "Se vuoi essere perfetto, vendi ciò che hai e dallo ai poveri, ed avrai un tesoro nei cieli ...". Ma come stavano le cose, nella realtà? Hus lo dice chiaro e tondo: "Si paga per la confessione, per la messa, per i sacramenti, per l'indulgenza, per la benedizione, per la sepoltura, per le preghiere. Neanche l'ultimissima monetina, che la nonnina si è nascosta in un fazzoletto, rimane alla poveretta. Gliela invola il parroco rapace ... ". Hus bolla i canonici, marchia quei "pigri accoltellatori" che non vedono l'ora che finisca la messa per precipitarsi nelle osterie, per darsi alle danze, "come bestie selvatiche" dietro a mammona, all'usura, alla fornicazione, alle gozzoviglie - ecco, sono costoro "i peggiori nemici di nostro Signore Gesù Cristo". Hus stigmatizza i lucrativi affari che si fanno con le reliquie portentose, flagella il "male" dei monaci mendicanti, che dissanguano il popolo "con presunti miracoli", con "mendaci miraggi", mettendo in vendita la terra di cui è impastato Adamo, la paglia della stalla di Betlemme, il letame dell'asino, l'acqua del Giordano, la manna del deserto, i peli della pelliccia del Battista, i peli della barba di Gesù, i riccioli della vergine Maria, il cerume delle sue orecchie, il suo latte. Oppure quelli che spillano denari con le tre ostie insanguinate in Wilsnack (Havelland), dove i pellegrini sciamano a migliaia dall'Ungheria alla Svezia e alla Norvegia, anche se è dimostrato che si tratta di truffe e raggiri, "nient'altro che impostura". Hus fa propaganda contro vescovi e prelati, "i signori del demonio" e i loro immensi averi. "Possano costoro dimostrare dove Cristo il Signore li ha mai chiamati a possedere e regnare su tanti patrimoni!". Ma è sicuro che "là dove una chiesa non ha beni, non vi si trova un solo prete". Proprio la critica al patrimonio mondano e ai diritti di egemonia della chiesa è quella che più dispiace all'arcivescovo. Ed è comprensibile. E non meno gli dispiace la crescente predilezione per John Wicklef.  Del quale, nel 1406, mette al bando le dottrine. Nel 1408 - l'anno in cui si effettua il primo attacco documentato ad Hus, precisamente ad opera del clero parrocchiale di Praga, che si

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vede palesemente minacciato da Hus nella sua materiale esistenza - proprio nel 1408 l'arcivescovo ordina la consegna degli scritti di Wicklef e li fa bruciare il 16 luglio 1410 nel cortile arcivescovile, alla presenza di molti preti, contrariamente ad un ordine reale di proroga. La cerimonia fu accompagnata da un Tedeum e tutte le campane suonarono come per i defunti. Due giorni dopo Hus venne messo al bando con i suoi compagni e la scomunica colpì anche chiunque non avesse consegnato le opere di Wicklef. A questa azione di annientamento seguirono a maggior ragione lacerazioni interne. I seguaci di Hus vennero frustati sotto una volta della corte arcivescovile, ma non mancarono sevizie e maltrattamenti anche per gli avversari di Hus. Anche all'interno delle chiese avvennero scenate imbarazzanti, a dir poco. Con le spade sguainate ci si avventava su un predicatore, fautore di questo o quello schieramento, e i chierici fuggivano a frotte dagli altari, perfino nel bel mezzo alla messa, come toccò una volta all'arcivescovo, circondato da quaranta sacerdoti. Senza comprendere appieno la situazione, poiché di massima era ottimista, Hus si appellò al papa contro la bruciatura dei libri e il divieto di predicazione. E se nel 1405, già Innocenzo VII aveva incoraggiato l'intervento contro la diffusione della dottrina di Wicklef in Boemia, ora Giovanni XXIII (che affidò il processo ad Hus a mani diverse, anche alle proprie) raccomandò attraverso il cardinale Oddo Colonna un più incisivo procedere da parte dell'arcivescovo in Praga, se necessario con l'aiuto del braccio secolare, il che voleva dire l'uso della forza; in caso contrario lo stesso arcivescovo è minacciato di scomunica.  Ma il metropolita, un docile servitore del suo padrone, non tardò a ribadire e ad inasprire la scomunica di Hus. E questo, tra l'altro, aggravò ulteriormente la situazione nella città, dove disordini e sommosse si andavano aggravando. Tuttavia Hus che, diversamente dal suo amico Girolamo, non si unì mai ai radicali, che non di rado attenuava le tesi di Wicklef e che in principio accettava l'ordinamento sociale esistente, come del resto anche Wicklef, non voleva misure coercitive né alcuna rivoluzione. E se già una volta il re aveva dichiarato la sua disponibilità a far bruciare i seguaci della "eresia" wicklefiana, Hus cercò invece di evitare il conflitto. Già in precedenza egli aveva evitato il confronto, si era umilmente sottomesso da figlio ubbidente all'arcivescovo, si era piegato alle sue indicazioni, al suo biasimo, alla sua protezione; nel 1409 aveva sottolineato, in un discorso all'università, di considerare Wicklef come uno studioso di cui aveva studiato i libri, come tanti altri, e da cui aveva imparato molto di buono. "Nondimeno egli non riteneva per verità di fede ciò che scrive un erudito. Verità di fede le offre solo la Sacra Scrittura. Egli incoraggiava gli studenti a studiare gli scritti di Wicklef; ciò che ancora non capivano in essi, dovevano accantonarlo per l'avvenire; opinioni che fossero in contrasto con la fede - e tali non mancavano in Wicklef - non dovevano né accettarle né difenderle. Dovevano soltanto sottomettersi alla fede". Ma presto toccò ad Hus un nuovo grave oltraggio, che gli venne inflitto dal papa in persona. Nella lotta contro re Ladislao di Napoli, Giovanni XXIII aveva emesso il 9 settembre del 1411 una bolla di crociata e in essa prometteva la remissione dei peccati (venia peccatorum) non solo ai combattenti, non solo a quelli che combattevano a proprie spese, ma addirittura a tutti quelli che avessero anche solo versato denaro a sostegno della crociata. Forse a provocare questa decisione era stato proprio Hus, che in passato aveva speso il suo ultimo denaro per l'acquisto di un'indulgenza, ma che ora certamente da tempo, e per principio, era sceso in campo contro le indulgenze, contro l'intera dottrina ecclesiastica sull'indulgenza, beffandosi di essa in una predica, dal momento che Paolo stesso, quando aveva raccolto elemosine per i santi di Gerusalemme, non aveva concesso ai Corinti alcuna remissione dei peccati, Allorché nel maggio 1412, a Praga, si annunciarono solennemente una crociata e le indulgenze ad essa connesse, vennero esposte in tre grandi chiese - tra cui nel duomo, accanto all'altare di san Vito - tre cassapanche in cui gettare direttamente i denari per l'acquisto dell'indulgenza. "Adesso c'è la somma grazia per i popoli! Ecco il cielo aperto per tutti!", strombazzavano gli esattori papali, "gli avidi maestri dell' Anticristo ", ispirati dal "demonio di Mammona". Tant'è vero che anche un cieco - tuonava Hus - potrebbe toccare con mano che al papa stava a cuore solo il denaro e non spendeva

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una sola parola per la preghiera; senza contare che né lui né i sacerdoti sapevano se chi comprava l'indulgenza fosse davvero contrito. Una "vergogna", dichiarò a gran voce Hus, imputando al papa "imperdonabile temerarietà", "la più oscena simonia", al punto che la gente canticchiava versetti di scherno, motti sarcastici e gettava nelle cassapanche cocci, ossi e pesci marci. A Praga, nei pressi dello Hradscin, venne trovato quell'estate, in uno di quei cassoni, un cartello con veementi attacchi contro i "seguaci di Belial e di Mammona", contro il papa, considerato l'''Anticristo'', la cui frase conclusiva recitava: "Si deve credere di più al veritiero maestro Hus che al prelato, alla massa ingannevole, ai concubinari e ai simoniaci corrotti". Ma Girolamo da Praga, a differenza di Hus famigerato per le sue azioni spettacolari, fece andare per le strade certe meretrici assai conosciute, con copie della bolla papale appese al collo, e fece poi dare alle fiamme gli originali sulla piazza del mercato del bestiame (oggi piazza Carlo). Quello che certamente eccitò anche Hus, e forse anche di più, fu il fatto che il vicario di Cristo si appellasse al versamento di sangue e che egli, come si esprime Hus, non prendesse a cuore le parole di Paolo: "Mia è la vendetta, darò io ciò che spetta" (Romani, 12,19), il fatto che la sua bolla si rivolgesse anche contro dei cristiani, per cui Giovanni XXIII rampogna dal pulpito il re di Napoli - con tutti i barbugliamenti apostolici -, quale violatore della maestà, spergiuro, blasfemo, scismatico ed eretico. Fu tuttavia evidente che, col suo attacco a Giovanni, il papa regnante, Hus si era spinto troppo in avanti. Pur rappresentando ancora un'istanza dominante dei riformatori boemi, egli si vide d'un tratto - fatta eccezione per gli studenti e parte del popolo - piuttosto isolato e abbandonato perfino da amici. La facoltà teologica, come anche la massima parte del clero cittadino, era contro di lui; altrettanto lo erano il capitolo del duomo e l'arcivescovo. Questi era, dopo la morte di Zbynek di Hasenburg nell'autunno 1411, il moravo tedesco Albich, regolarmente sposato fino a poco tempo prima, e non aveva alcun titolo in teologia. Albich era dottore in legge ed eccellente studioso di medicina, medico personale di Venceslao, che lo aveva voluto arcivescovo e a tal fine aveva corrotto il papa con 3600 fiorini d'oro. Tuttavia, poco attratto dalle controversie praghesi e teologicamente impreparato, il nuovo principe della chiesa si ritirò presto nella prepositura di Vyshehrad, nel quartiere sud della città, e più tardi in Moravia e a Breslavia. Re Venceslao, che dopo il generale riconoscimento di Sigismondo come re romano-tedesco non aveva più alcun motivo per proteggere il movimento riformistico praghese, ora non appoggiò più Hus; si arrivò alla rottura, seguita da un 'aperta ostilità. Venceslao preferì appoggiarsi a papa Giovanni che lo aveva riconosciuto re romano ed era forse ancora indispensabile per un' incoronazione regale. Fu lo stesso Venceslao ad incitare il monarca di Polonia a sostenere il profitto dell'indulgenza papale e a vietare in questo periodo sotto pena di morte le diffamazioni di papa Giovanni e le proteste contro le sue bolle. Quando si arrivò alle prime esecuzioni capitali, si dice che Venceslao si sia espresso in questi termini: "E anche se ce ne fossero a migliaia, accada a loro come a questi". Da entrambe le parti si susseguirono attacchi e contrattacchi, tra cui l'assalto con armi pesanti di una masnada, per lo più tedeschi, alla Cappella di Betlemme, dove Hus tuonava senza tregua contro l'indulgenza papale e dove sarebbe stato ucciso, a suo avviso, se il suo seguito non lo avesse protetto. Alcuni degli "urlatori più chiassosi" (così li definisce lo storico protestante Albert Hauck), tre giovani artigiani praghesi - Martin Kridelko, Jan Hudec e Stasec Polak - che si opponevano con maggiore veemenza alle "ipocrite e false indulgenze" e urlavano frasi come "Tu menti, prete!" e "È tutta una truffa!" all'annuncio delle indulgenze, vennero giustiziati l'11 luglio, in contrasto con le pacificazioni tentate dai consiglieri comunali, allora tutti tedeschi, come si dice in una fonte secondo cui, "anche gli armati erano tutti tedeschi". I tre vennero condannati nonostante che Hus, il quale definiva ingiusta la loro condanna e incolpasse se stesso - "Io ho consigliato di opporsi all'indulgenza. Io l'ho fatto!" -, avesse promesso di non versare sangue. Già poche ore dopo i tre giovani venivano decapitati ancora prima di giungere sul luogo dell'esecuzione, a causa del pericoloso assembramento popolare.

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Benché Hus anche ora cercasse di non rompere completamente con la gerarchia e anzi si ritirasse e si chiudesse nel silenzio - almeno dopo la liquidazione dei tre uomini, presto esaltati come "martiri" -, tuttavia gli montò incontenibile la collera, dichiarò i suoi antagonisti complici dell'Anticristo, svillaneggiò il papa con tutti i magisteri, bollando dottori e giuristi come collaboratori "di questa bestia ripugnante", "i massimi nemici di Cristo", sicché sul trono di Pietro poteva ben sedere "il Satana con dodici diavoli". In luglio, avendo i seguaci praghesi del papa "non lesinato affatto i denari", la curia aveva nuovamente lanciato il bando ecclesiastico sul capo dell'''eretico'' e inasprito in ottobre la sentenza di bando, per cui l'applicazione di tutti i divieti e delle minacce significava la totale espulsione della persona bandita da qualsiasi umana comunità: "A nessuno sia lecito, a rischio di interdetto in ogni luogo di soggiorno, di offrire a Hus cibo o bevanda, di parlare con lui, di avviare con lui compere o vendite, di offrirgli da dormire, fuoco o acqua. Tutti i contravventori saranno colpiti dal medesimo bando. Se Hus o i suoi seguaci non dovessero ottenere l'assoluzione entro i prossimi 12 giorni, l'interdetto, il divieto di tutte le operazioni ecclesiali saranno estese a tutte le città, villaggi e borghi in cui Hus possa trovare alloggio ... "Il papa ordina inoltre di scacciare i seguaci dell' eretico dalla "loro tana", la Cappella di Betlemme, e di smantellare immediatamente il luogo della "eresia". Hus è indeciso. Pensa non solo a se stesso, forse neppure in prima istanza. Teme inoltre le conseguenze dell'interdetto per i suoi fedeli. "Non so cosa mi convenga fare", confessa sgomento, e si trattiene fuori Praga, da ottobre a dicembre 1412; però continua a diffondere le sue idee riformistiche, segretamente favorito dal nuovo arcivescovo Corrado di Vechta, soprannominato "il tedesco zoppicante", che passerà addirittura dalla parte degli hussiti. Hus fa ritorno a Praga, scompare, va e viene, fino a che dal primi di luglio 1413 fino al suo viaggio a Costanza, per più di un anno, vive e lavora senza sosta - "Predico nelle città, tra i borghi, in campagna e nei boschi" -, sotto la protezione di alcuni nobili nella Boemia del sud. Nel frattempo abita sulla piccola Ziegenburg (Kozi hràdek), poi presso una nobile vedova Anna von Mochov - giudicata nel 1418 da un antihussita "la più zelante hussita di tutta la Boemia" -, ma stranamente mai menzionata da Hus stesso nella sua corrispondenza.

        Le vicende che portarono al rogo Hus meritano un cenno perché mostrano il modo disonesto ed osceno di operare nei secoli della Chiesa di Roma. Hus si muoveva in terra tedesca, insieme a Gerolamo da Praga (arso insieme a Hus), con un salvacondotto rilasciato dal Re Sigismondo del Sacro Romano Impero. Doveva recarsi proprio a Costanza per appianare le divergenze con la Chiesa. A nulla valse il salvacondotto che, di fatto, era stato rilasciato proprio per poter catturare il rivoluzionario Hus. Invitato a un incontro dai cardinali Pierre d'Ailly, Ottone Colonna, futuro Papa Martino V, Guillaume Fillastre e Francesco Zabarella, è da loro fatto subito arrestare e incarcerare (27 novembre 1414). Il 18 maggio 1415 gli viene chiesta l'abiura. Chiede di parlare per spiegare le sue dottrine nell'udienza pubblica che era stata fissata per il 5 giugno. In tale udienza gli venne impedito di parlare. Il 18 giugno il Concilio ratificò un elenco di 30 capi d'accusa contro Hus, proposizioni considerate eretiche tratte da tre sue opere dandogli tempo due giorni per contestarle. Egli risponderà punto per punto ma è tutto risulterà inutile perché il 6 luglio, nella chiesa di Costanza, sarà dichiarato colpevole di eresia. La Relatio de Magistro Johanne Hus, stilata da Pietro Mladenoviç, cronista del tempo, ci ha raccontato le fasi del processo e del rogo. Ancora nella chiesa, fu fatto salire su un palco e, rivestito di paramenti sacri, fu invitato ad abiurare. Rifiutò. Disceso dal palco, «i vescovi cominciarono subito a spogliarlo. Prima gli tolsero di mano il calice, pronunciando questo anatema: "O Giuda maledetto, perché hai abbandonato la via della pace e hai calcato i sentieri dei giudei, noi ti togliamo questa coppa della redenzione" [...] e così di seguito, ogni volta che gli toglievano uno dei paramenti, come la stola, la pianeta e tutto il resto, pronunciavano un anatema appropriato. Al che egli rispondeva di accogliere quelle umiliazioni con animo mansueto e lieto per il nome del nostro Signor Gesù Cristo». Dopo averlo denudato e rivestito di un saio, gli posero sulla testa una corona di carta con tre diavoli dipinti e la scritta

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"Questi è un eresiarca". Fu quindi portato in corteo verso il luogo dove era stato approntato il rogo (tanto per dimostrare che la richiesta di abiura in cambio di perdono è sempre stata una ipocrita buffonata). Lungo la strada ardevano i roghi dei suoi libri. Dal racconto del cronista dell'epoca si è appresa anche la tecnica che spesso veniva usata per arrostire gli eretici. Il condannato, dopo essere stato denudato, fu fatto inginocchiare su di un mucchio di fascine per essere poi legato saldamente ad un palo. Le corde lo tenevano alle caviglie, sotto e sopra le ginocchia, all'inguine, alla cintola e sotto le braccia. Una catena gli fu fatta passare intorno al collo. Quando i carnefici si resero conto che Hus aveva la faccia rivolta verso Oriente, lo girarono verso Occidente, posizione più conveniente ad un eretico. Si fece quindi una catasta di legna, paglia e fascine intorno a lui per coprire il condannato fin sotto il mento. A questo punto si avvicinarono due rappresentanti del potere civile per chiedere al condannato se ritrattava le sue eretiche teorie. Hus rifiutò e ciò comportò che i due che si erano precedentemente avvicinati, si ritirarono e batterono le mani. Era il segnale per accendere il rogo. Finita la combustione, restò il ributtante compito di distruggere il corpo arrostito e carbonizzato. Il corpo fu fatto a pezzi, le ossa spezzate, il tutto, con le viscere fuoriuscite dall'esplosione della pancia, fu gettato di nuovo sul fuoco ancora ardente in alcune parti. Poiché si aveva l'esperienza del rogo di Arnaldo da Brescia, si ebbe cura di raccogliere ogni resto, anche piccolissimo: non si voleva che fosse raccolto per farne reliquie. Il procedimento descritto fu certamente seguito, oltreché  i citati di Arnaldo ed Hus, per i roghi degli spirituali e di Savonarola.

        Anche qui è utile leggere cosa scrive Deschner (2000) sulla condanna al rogo di Hus:

Si andava intanto preparando il Concilio di Costanza e re Sigismondo - "imperatore del concilio" - premeva perché vi partecipasse Jan Hus per porre così termine ai disordini religiosi in Boemia e liberare il paese dal sospetto di eresia. Più volte Sigismondo fece pregare Hus di presentarsi a Costanza: nella primavera del 1414 tramite i due cavalieri cechi Jan di Chlum e Wenzel di Dubá, entrambi operosi seguaci di Hus, poi attraverso Heinrich Leffl, un uomo di fiducia di re Venceslao, simpatizzante dei riformatori. In più, un terzo inviato di Sigismondo, Nicola di Jemniste avviò trattative con Hus e lo informò della buona volontà del suo signore "di portare la questione ad una soluzione soddisfacente". E quando finalmente una lettera del notaio reale Michele di Priest, dell'8 ottobre, annunciò a Hus la "viva gioia del sovrano per la sua decisione di venire a Costanza", promettendo anche di inviare una lettera d'accompagnamento reale insieme ad un rappresentante del re come scorta ufficiale del viaggio "per maggiore sicurezza", allora la lettera non giunse più al destinatario, essendo Hus già in viaggio dall'11 ottobre insieme ai cavalieri di Sigismondo Chlum e Dubá, con oltre trenta cavalli e due carrozze. Alla fine i due re - quello romano e quello boemo - si trovarono d'accordo sul fatto che Hus, qualora il concilio avesse condannato la sua dottrina e lui non si fosse sottomesso, avrebbe potuto rimpatriare incolume. Da ultimo, anche il salvacondotto di Sigismondo, che metteva il "venerato maestro Johannes Hus" sotto usbergo e protezione del santo regno, garantiva il libero ritorno di Hus. Il 3 novembre 1414 Hus giunse a Costanza, e due giorni dopo papa Giovanni XXIII apriva il concilio. Ora il santo padre, che aveva in precedenza bandito e condannato Hus, lo rassicurò al suo arrivo della sua personale protezione, ribadendo di non volerlo ostacolare in nessun modo, nemmeno, come disse, "qualora avesse ucciso il mio stesso fratello" - e però lo fece arrestare ancora in quello stesso mese. E il re, che l'aveva invitato ripetutamente a Costanza, informato della violazione della scorta e dell'arresto di Hus, pur minacciando che l'avrebbe liberato anche se fosse stato costretto ad abbattere personalmente le porte del carcere, a questo punto consigliò a Hus di "arrendersi totalmente alla grazia del santo concilio", di essere disposto a pentirsi, di non ostinarsi nell'errore, perché altrimenti i padri conciliari sapevano bene cosa dovevano fare di lui. Anzi, egli aggiunse: "Ho detto loro che non voglio difendere un eresiarca, al contrario, che un eretico ostinato l'avrei dato alle fiamme con le

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mie stesse mani!". Verso la fine di novembre, col pretesto totalmente inventato che si era nascosto in un carro di fieno nel tentativo di fuggire da Costanza, Hus venne incarcerato, gli venne proibito di parlare, senza essere peraltro interrogato né processato né condannato, per non dire del salvacondotto. Fu dapprima ospitato brevemente nell'abitazione di un canonico locale, poi nel convento dei domenicani sull'isola della città, dove fu rinchiuso in una cella vicina alla cloaca (in quodam carcere iuxta latrinas). In seguito il vescovo di Costanza lo condusse nel suo castello di Gottlieben, in un freddo cunicolo nel piano superiore della torre. Lassù Hus giacque incatenato di giorno, di notte legato con una manetta di ferro in una gabbia di legno, sorvegliato a vista da tre armati. A più riprese il detenuto, debilitato da vecchi malanni al fegato e alla cistifellea, cadde malato. Soffriva di dolori alla testa e per i calcoli, per attacchi di soffocamento, febbre alta, sbocchi di sangue. Si temette già il peggio; ma i medici personali del papa fecero in modo che il prigioniero, come si disse, "non perdesse la vita in maniera così ordinaria". I lavori del concilio erano incominciati ormai da tempo. Dapprima quelli così importanti, fatti dietro le quinte; soprattutto tramite alcuni avversari colà precipitatisi dalla Boemia, come il procuratore pontificio Michele di Causis, tramite Giovanni "Il Ferreo", guerriero e vescovo di Leitomysl, nonché il teologo Stefano Palec, in passato uno dei più intimi amici di Hus e dal 1412 uno dei suoi peggiori nemici, autore anche di un libello "Anti-Hus". Palec versò lacrime nel carcere dell'ex amico ... e finì poi per spedirlo sul rogo. Con subdola perfidia e sofisticherie furono usati spioni, infiltrati, delatori, inquisitori, interrogatori speciali. Si esercitarono pesanti pressioni su singoli testimoni, su cardinali, vescovi, teologi e monaci. Si sparsero ad arte voci, notizie false, arrivando a contraffare qua e là avvisi pubblici, falsificando i carteggi di Hus e la stessa Bibbia. Si intercettò e manomise anche la sua corrispondenza, usandola contro di lui. E non si mancò di ricorrere alle corruzioni. Davanti al carcere di Hus, Michele di Causis ebbe a dichiarare: "Con l'aiuto di Dio bruceremo presto questo eretico, per questa causa ho speso già molti fiorini". D'altronde, ancora nella tarda estate 1414, l'inquisitore papale a Praga, il vescovo Nicola Condemone, in presenza di parecchi nobili boemi e di un notaio, aveva dichiarato: "Mi sono intrattenuto spesso e a lungo col maestro Hus, ho mangiato e bevuto in sua compagnia, ascoltato le sue prediche e avuto molte conversazioni riguardo alla Sacra Scrittura, ma non ho mai rilevato in lui alcuna posizione ereticale; piuttosto 1'ho riconosciuto come uomo leale e cattolico, senza notare nulla di erroneo in lui. Fino ad ora nessuno ha potuto dimostrare in lui tracce di eresia; e nessuno ci si è provato quando solo pochi giorni fa durante l'assemblea ecclesiale nel palazzo arcivescovili egli vi è stato sollecitato con pubbliche affissioni". Cose analoghe aveva detto a suo tempo, durante una riunione di preti, l'arcivescovo di Praga Corrado di Vechta. Incrollabilmente fedele a Hus, in questo mondo conciliare oscuro e ipocrita, rimase il nobile boemo Jan di Chlum, anche se tutto quanto lui fece fu ostacolato e reso inefficace. Eppure giunsero al re anche due epistole di protesta scritte in ceco dall'aristocrazia morava, oltre che (anch'esso diretto al sovrano e anch'esso in ceco), il solenne memorandum di una grande assemblea di baroni, cavalieri e nobili, scritta il 12 maggio a Praga, provvista di non meno di 250 sigilli dell'aristocrazia boemo-morava indignata per l'incarcerazione del Maestro, avvenuta in dispregio della verità e del diritto. Sosteneva che Hus era stato calunniato senza colpa, ma con lui anche la Boemia e la "lingua ceca". E adesso, vi si dice, egli si trova "in tuo potere e ostaggio nella tua città, sebbene lui abbia le tue promesse e i tuoi salvacondotti!" Ma il re temeva i cardinali e ormai da tempo, se non già da principio, si era deciso contro Hus, prendendo opportunisticamente posizione a fianco della grande maggioranza. In modo tanto abile quanto calcolato, con animo tanto infido quanto ambizioso, Sigismondo intendeva presentarsi come salvatore della chiesa e della cristianità intera. E non voleva vedere la sua Boemia bollata col marchio di regione culla "di eretici". Sicché lasciò cadere Hus, tanto più che - come informa Eberhard Dracher, un testimonio oculare - lo avevano convinto "che egli non era obbligato a mantenere la sua parola verso uno sospettato di eresia, fintantoché egli stesso lo credeva",

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spingendolo a non lasciarsi irritare dal "caso Hus e da altre piccolezze". Nel capodanno 1415, dunque, re Sigismondo consente formalmente ai cardinali di procedere contro Hus secondo il loro proprio giudizio, Capitolò quindi totalmente al cospetto dei preti radunati a migliaia. Voleva che Hus abiurasse, oppure la condanna avrebbe fatto il suo corso e l'eretico sarebbe stato bruciato, Già una della sue eresie, ebbe ad esternare allora, poteva bastare. Anzi, incitò i cardinali a diffidare di Hus, anche qualora avesse ritrattato. Ritornato in Boemia, la sua dottrina si sarebbe diffusa anche in Polonia e nei paesi limitrofi. Troppo tardi Hus, messo in guardia già in Boemia dal salvacondotto del re, riconobbe il nemico in colui che per lungo tempo aveva ritenuto il suo "benevolo benefattore e forte protettore". Si ricordò allora di un messaggero del re, del signor Mikes Divoky, che un tempo, nella fortezza Krakovec, gli aveva promesso nel nome di Sigismondo una scorta sicura e una felice conclusione, eppure, diffidando lui stesso dell'incarico di Sigismondo aveva aggiunto di suo: "Sappi per certo, maestro, che verrai condannato!". Troppo tardi Hus riconobbe "che Mikes aveva scrutato fin troppo bene le intenzioni del re". Anzi, era ormai convinto che il sovrano l'avesse illuso e ingannato fin dall'inizio. E scrive a Chlum e Dubá: "Suppongo che questa sia la mia ultima lettera a voi, giacché domani, sperando in Gesù Cristo, sarò purificato dai miei peccati mediante un'orribile morte. Ciò che mi è accaduto in questa notte, non posso scriverlo. Certo è che Sigismondo ha ormai decretato tutto con animo proditorio". Già da tempo anche la regia ufficiale del concilio, in special modo una commissione d'inchiesta di diciannove membri - composta da dichiarati nemici di Hus -, aveva designato la sua vittima. In sostanza, però, Hus fu un uomo morto fin dal suo apparire nella città sul lago di Costanza, o quantomeno fu la persona predestinata che, seppure in caso di ritrattazione, si sarebbe lasciata languire a vita in qualche carcere monastico. Dopo che, il 4 maggio 1415, Wicklef era stato "condannato per l'eternità", con l'ordine di disseppellire le sue ossa e buttarle in luogo sconsacrato come immondizia, incominciarono ai primi di giugno gli interrogatori pubblici di Hus, una pura e semplice formalità, in cui lo si trattò spesso in modo scandaloso: troppa gente gli urlava contro, non lo lasciava parlare, lo copriva di epiteti sarcastici, gli poneva domande capziose, lo derideva, lo fischiava, gli sputava addosso, lo colmava di maledizioni e di contumelie, gli dava del rettile e della vipera, lo insultava dandogli del sodomita, del turco, dell'ebreo, del Caino e Giuda, trovava ridicoli i suoi scrupoli di coscienza, senza nemmeno prendere in considerazione i suoi ragionamenti. Si ascoltarono testimoni, quasi tutti a lui ostili, quindici in un solo giorno, tutti a suo carico. Furono estorte dichiarazioni e prove, tutte a suo carico. Non gli si riconobbe nessun difensore, dato che nessuna protezione giuridica poteva spettare "ad un individuo sospetto di eresia". Gli si addebitarono dichiarazioni che non aveva mai rilasciato, tesi che non aveva mai sostenuto, che anzi erano state falsificate; e lo si incolpò addirittura di essersi spacciato come la quarta persona divina. In breve, Hus poteva dire e comportarsi come voleva, ma tutto gli veniva sempre ritorto contro. Se gli s'impediva di parlare con schiamazzi da tutte le parti, in modo che non potesse rispondere chiaramente, gli si dava del confuso. Se discuteva con precisione, gli si rinfacciava arzigogolo e cavillosità da leguleo e si voleva udire da lui soltanto dei sì o dei no. Se non proferiva parola, si vedeva in questo un'approvazione degli errori. E se argomentava sulla base e con l'autorità dei padri della chiesa, lo si giudicava fuorviante, elusivo e lo si richiamava all'argomento. "Datemi due righe di un qualsiasi autore - si gloriava non senza ragione un inquisitore medievale - e io dimostrerò che è un eretico e lo farò bruciare". Alla muta scatenata del concilio, una volta, Hus ribatté tranquillamente: "Avevo pensato di trovare più decoro e più disciplina in questo Concilio!". E agli amici di Praga fece sapere: "Costoro urlavano tutti contro di me. come i giudei contro Gesù!" Si accusava ripetutamente Hus di cocciutaggine, dandogli dell'''eretico'' pervicace. Eppure l'accusato non faceva che ripetere la sua disponibilità a correggersi, offrendo spesso al concilio la sua ritrattazione, la sua umile ritrattazione, qualora lo avessero convinto dell'errore, inducendolo a ricredersi, confutandone le tesi sul fondamento della Bibbia, in base ai padri della chiesa. Ancora poco prima della sua esecuzione, il 5 luglio, Hus dichiarò ad una delegazione ufficiale (tra i

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quali erano due dei più insigni cardinali, d'Ailly e Zabarella), quand'era ormai stremato e sfinito, già segnato dalla morte: "... se fossi consapevole di aver scritto o predicato qualche cosa contraria alla legge di Cristo e alla sua vera Chiesa, Dio mi è testimone che avrei ritrattato in umiltà. lo pretendo soltanto che mi si mostrino migliori e più accettabili prove dalla Scrittura, più convincenti di quelle che ho scritto e insegnato - allora ritratterò di buon grado!". E quando uno dei vescovi lo interpellò direttamente "Vuoi forse essere tu più saggio di tutto il Concilio?", Hus ribatté: "lo non intendo essere più saggio del Concilio ... Datemi solo, ve ne prego, il più infimo esponente di questo consesso che mi insegni qualcosa di meglio che non sia la Bibbia e io farò tutto quanto il Concilio pretende da me!" Avrebbe dovuto agire contro la sua coscienza, abiurare da ciò che non aveva mai detto, raccontare bugie di fronte al concilio? Proprio questo era ciò che si desiderava, si voleva piegarlo, umiliarlo, pretendendo la sua totale ritrattazione; si voleva colpire, annientare l'opera della sua vita, tutto il pericoloso movimento di Boemia. "Il Concilio voleva la menzogna, anticipando la tattica dei clamorosi processi spettacolo del XX secolo: esigeva una globale confessione di colpa anche là dove non si era trovata o dimostrata alcuna colpa" (Rieder). Fin troppo comprensibile, dunque, che Hus a Costanza, con la morte davanti agli occhi, usasse la tattica in modo particolarmente circospetto, riflessivo, che lasciasse valere grande prudenza, che fosse esposto a "tentazioni". Aveva paura di dover forse abiurare, di perdere la sua credibilità, di mostrare anche debolezze, timore; cercò quindi di smorzare i toni e di limitare molte cose prima asserite e difese, replicando talvolta in modo non molto concreto, tentando di essere evasivo, perfino contestando alcune cose, anche quando pareva spingersi troppo oltre. Dopo una visita presso Hus l'ambasciatore dell'università di Colonia afferma: "Non ho mai visto un tipo così arrogante e capace di falsare il diritto che sapesse rispondere con tanta prudenza e nascondere la verità". Ma in tutto l'essenziale, nelle cose decisive, in tutto quanto riguardava il proprio rigorismo morale, la propria impavida critica alla chiesa, la sua alta considerazione per Wicklef, il maestro boemo si rivelò inflessibile. Sempre incalzato perché abiurasse, sempre e senza tregua martellato per la ritrattazione spontanea con minacce e lusinghe, Hus rimase irremovibile. Giunse così sabato 6 luglio 1415, l'ultimo atto della cruenta messinscena. Di prima mattina, nel duomo di Costanza, tutti i personaggi importanti e famosi presenziarono alla santa messa dalla quale Hus restò dapprima escluso, incatenato e circondato nell'atrio da armati. L'arcivescovo di Gnesen cantò il vangelo secondo Matteo 7, 15: "Guardatevi dai falsi profeti: essi vengono a voi in veste di pecore, ma nel loro intimo sono lupi rapaci ...". Il vescovo di Lodi tenne l'omelia sulla massima di Paolo "Il corpo peccaminoso deve essere distrutto", facendo appello al re, presente sotto la corona e circonfuso da tutte le sue insegne, affinché annientasse la "eresia", "eliminando soprattutto questo eretico matricolato, incancrenito, per la cui malvagità diverse regioni del mondo sono ormai infettate da peste ereticale e avviate alla perdizione ...". Hus, fatto entrare nel frattempo, era caduto sulle ginocchia e pregava. Fu dunque data lettura dei capi d'accusa e delle numerose false testimonianze, da tempo invalidate, su cui incombeva un "Decreto del silenzio". Ma Hus, utilizzando la sua ultima occasione di informare il pubblico, di ribadire la propria ortodossia, continuò a gridare a voce alta le sue proteste e le sue precisazioni, finché si diede ordine agli sbirri di farlo tacere con la forza, tanto che lui con le braccia levate al cielo implorò con veemenza: "Ascoltatemi, per l'amor di Dio, prestatemi orecchio, perché almeno non tutti quelli qui presenti credano che io abbia affermato dottrine sbagliate! Dopo, farete  di me ciò che volete!" Quando lo s'incolpò nuovamente di essersi definito come la quarta persona della divinità, Hus pretese, ma inutilmente, di sapere il nome del presunto testimone, ribadendo la propria fede cattolica. E quando gli fu imputata la sua noncuranza del bando, dichiarò di aver chiesto tre volte udienza al papa per difendere la propria causa, oppure che lo si convincesse dell'errore. Ma poiché questo gli era stato negato, affermò di essere intervenuto "a questo Concilio per libera decisione, dopo che il re, qui presente, mi ebbe promesso sicura scorta e che mi avrebbe protetto contro qualsiasi violenza"; nel direciò Hus volse lo sguardo sul sovrano, "the playboy ruler of the Holy

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Roman Empire", sulla cui faccia, dice il testimone oculare Mladenoviç "si stese un rossore di vergogna", apparendo senza dubbio "the saddest figure in this drama" (Molnar). Una triste figura, perciò, la fa ancora oggi il cattolico Brandmüller, storico ecclesiastico, quando scrive: "Alla fin fine il Concilio cercò in ogni modo di rendere il più agevole possibile all'imputato la ritrattazione ... ". [Devo a questo punto dire che Brandmüller è quel personaggio che Papa Ratzinger richiama a sostegno delle sue tesi miserabili su Galileo, ndr]Data lettura del verdetto con cui il "santo Sinodo" giudicava un "uomo ostinato, incorreggibile e non disposto all'abiura delle sue erronee teorie", un "eretico" vero e manifesto, uno che ha "insegnato e pubblicamente predicato obbrobriosi errori e molte cose scandalose, temerarie e sovversive", Hus cadde in ginocchio ed esclamò: "Signore Gesù Cristo, ti prego, perdona tutti i miei nemici per la tua grande misericordia; tu lo sai, costoro mi hanno falsamente accusato, producendo testimoni falsi e adducendo articoli bugiardi contro di me! Perdona loro per la tua incommensurabile grazia". Molti vescovi scoppiarono a ridere; ma il consigliere reale conte Schlick lasciò indignato il duomo, dichiarando a voce alta di non poter essere presente in buona coscienza ad una così iniqua condanna. A questo punto Hus venne solennemente degradato. In piedi su un podio nel mezzo della navata centrale della chiesa e vestito di tutti i paramenti sacerdotali, sette vescovi maledicenti che lo oltraggiavano, dato che una volta di più rifiutava l'abiura "per non mentire in faccia a Dio e non dover urtare contro la mia coscienza", come disse tra le lacrime - gli strapparono di dosso i paramenti pezzo per pezzo, storpiarono la sua tonsura e lo consegnarono al "braccio secolare". Non senza avergli calcato prima sulla testa il copricapo dell"'eretico", fregiato con "tre orrendi demoni", accompagnandolo col fatidico annuncio: "Consegniamo la tua anima al demonio". Hus venne quindi trascinato, davanti ai suoi libri dati alle fiamme, attraverso un 'immensa folla che faceva ala al percorso. Alla vista della catasta del rogo cadde sulle ginocchia e pregò a voce alta: "Gesù Cristo, figlio del Dio vivente, che hai sofferto per noi, abbi pietà di me". Ma quando, nel luogo del sacrificio, volle iniziare una predica in lingua tedesca, gli venne impedito. E nemmeno gli fu consentito di pronunciare i tre discorsi che sintetizzavano i princìpi riformistici della Boemia, quelli che Hus aveva elaborato appositamente per il concilio di Costanza.Fu legato con corde bagnate ad un palo e furono ammucchiati trucioli e paglia intorno al suo corpo fino al mento. Racconta il testimonio oculare Peter von Mladenoviç: "A questo punto i boia appiccarono il fuoco al maestro. Al che, con voce alta, egli intonò dapprima "Cristo, figlio del Dio vivente, abbi pietà di me", ripetendo per la seconda volta "Cristo, figlio del Dio vivente, abbi pietà di me". E alla terza volta aggiunse "Tu che sei nato da Maria la vergine!". E quando ebbe incominciato per la quarta volta a cantare, subito il vento gli spinse le fiamme in faccia e quindi, pregando tra sé e muovendo labbra e capo, se ne andò al Signore. Ma nell'attimo di silenzio, prima di spirare, sembrò che si muovesse, e precisamente per il tempo necessario per recitare in fretta due o tre paternoster. Quando la legna delle suddette fascine fu ridotta in cenere c tuttavia restava ancora una massa corporea, appesa per il collo alla succitata catena, i carnefici precipitarono al suolo quella massa insieme alla colonna, ravvivarono nuovamente il fuoco con una terza carrata di legna e bruciarono la massa completamente ... Dopo che ebbero trovato tra gli organi interni il suo cuore, affilarono una stanga alla maniera di uno spiedo e vi fissarono in cima il cuore, lo bruciarono con cura e lo scrollarono con delle pertiche e finalmente ridussero in cenere tutta quella massa. E per ordine dei succitati signori, del conte palatino e del maresciallo, i boia gettarono nel fuoco la sua camicia insieme con le scarpe dicendo: "Affinché i Boemi non conservino queste cose come reliquie ...". E così caricarono gli avanzi su un carro e affondarono il tutto nelle acque dell'attiguo fiume Reno".  Secondo il cronista di Costanza Ulrich Richental "il boia lo afferrò e lo legò coi vestiti e con tutto ad un'asse verticale, gli mise uno sgabello sotto i piedi, spinse legna e paglia sotto il suo corpo, vi versò dentro un po' di pece e vi appiccò il fuoco. A quel punto Hus incominciò a gridare e fu presto avvolto dalle fiamme. E una volta ridotto in cenere, l'infuia (il berretto dell'eretico) apparve ancora intatta. Allora il boia la spinse tra le braci in modo che anch 'essa finì di bruciare e si diffuse un

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cattivo odore; perché Il cardinale Pancrazio aveva avuto un mulo che era morto in quel luogo e vi era stato sepolto: per la calura si aprì il terreno da cui emanò quel fetore". Così la massa degli astanti - buona la regìa! - poté avere una prova ulteriore del gusto sopraffino del diavolo. Il giorno dopo i padri conciliari celebrarono una cerimonia di ringraziamento a Dio. E il teologo cattolico Brandmüller, ancora nell'anno di grazia 1999, giunge in ultima analisi a tirare la "conclusione" della sua apologia col seguente giudizio finale: "Il processo fu equo e corretto". [...]E l'anno successivo fu mandato al rogo Girolamo da Praga, amico e compagno di lotta di Hus. In precedenza Girolamo aveva promesso a Hus di seguirlo in caso di pericolo e, sebbene fosse egli stesso bandito e messo in guardia da Hus, era giunto in aprile a Costanza, abbandonando tuttavia ben presto la città, dopo che Chlum e Dubá l'ebbero avvertito del pericolo imminente. Ma poco prima del confine boemo venne catturato a Hirsau, nell'Alto Palatinato, e in maggio rispedito indietro dal duca Giovanni di Baviera. Lo trasportarono, mani e piedi legati, a Costanza, dove giunse il 23 maggio e rimase incarcerato per un anno, sempre con mani e piedi in catene, in posizione ricurve, mantenuto a pane e acqua finché fu bruciato sul rogo il 30 maggio 1416. Per la verità, ammorbidito dalle spaventose condizioni detentive, Girolamo era stato indotto a dissociarsi nel settembre 1415 da Wicklef e da Hus; ma anche quella ritrattazione venne da lui ritrattata e Girolamo difese le proprie originarie convinzioni con un atteggiamento che fece impressione perfino sui suoi nemici. 'Lo riconobbe Poggio Bracciolini, famoso umanista, partecipante al concilio e segretario della Curia pontifica: "Non ho mai visto un uomo così eloquente che fosse così vicino agli antichi oratori quanto Girolamo. I suoi nemici avevano elaborato diverse accuse per incolparlo di eresia, ma lui si difese in modo così suggestivo, tanto modesto quanto saggio, che io non sono in grado di esprimerlo ... Girolamo aveva languito per 340 giorni in una torre umida e buia, eppure fu in grado di tenere un discorso così eccellente, costellato di esempi di uomini famosi e di tesi desunte dai Padri della chiesa. Il suo nome merita onore imperituro ... Girolamo fu della scuola dei saggi antichi; né Muzio Scevola ha tenuto la sua mano nel fuoco con tanto coraggio quanto Girolamo vi tenne il suo corpo né Socrate vuotò il veleno dal calice con tanta pacatezza quanta ne mostrò Girolamo salendo sul rogo.

L'orrenda esecuzione di Hus mostrò quale seguito avesse in Boemia. Immediatamente vi furono dovunque rivolte i cui inizi sono così raccontati da Deschner (2000):

La morte tra le fiamme di Hus e di Girolamo condusse, né ci si poteva aspettare diversamente, all'insurrezione popolare in Boemia, che generò nuovi crimini mostruosi. La regione si trasformò in un ribollente pandemonio e il popolo - dalla nobiltà fino all'ultimo contadino formò un unico fronte contro l'ortodossia cattolica. Mentre si elevava Hus alla santità, mentre si veneravano lui e Girolamo come martiri, si ignorarono le decisioni conciliari prese a Costanza, non ci si curò delle incriminazioni, delle maledizioni dell'interdetto su Praga e venne distribuita la comunione sotto forma di pane e vino facendo del calice un attributo di identificazione, un simbolo attrattivo e potente degli hussiti. Indignati, assetati di vendetta, disposti alle rapine, i "credenti del calice" cacciarono il clero della vecchia chiesa. Ne seguirono prolungati eccessi, massicce espulsioni, con uccisioni di chierici avversari. Lo stesso arcivescovo di Praga fu costretto a tagliare la corda. Mentre re Sigismondo cercava di destreggiarsi tra le parti, mentre Venceslao si barcamenava ancora di più, le menti radicali si misero alla testa del movimento, rapidamente spaccatosi in gruppi diversi, più di tutti negli hussiti radicali - chiamati Taboriti - e nei gruppi moderati, verso i quali propendevano università e alta nobiltà (detti Utraquisti, o calicisti, o calistini), i quali accettavano la comunione sotto le due specie del pane e del vino. Costoro formularono le loro rivendicazioni nei "Quattro articoli di Praga", vale a dire, oltre alla comunione "sub utraque specie": libera predicazione per i chierici ad essa abilitati, assenza di proprietà per i religiosi, punizione dei peccati mortali (eresia, simonia, furto, alcolismo, tra l'altro), tanto per i sacerdoti quanto per i laici, da parte dell'autorità civile.

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        Una decina d'anni dopo il criminale rogo, nel 1424, il Cardinale Branda, ambasciatore in  Boemia, ebbe a scrivere le seguenti bestialità che sembrano uscite dalla bocca del centurione che martellava sui chiodi della croce:

La maggioranza di questi eretici vuole la comunità dei beni e sostiene che alle autorità non si deve né tributo né obbedienza. Ora con questi principi si distrugge tutta la civiltà. Gli hussiti reputano come inesistenti i diritti divini ed umani e non pensano che a sbarazzarsene con la violenza. Le cose andranno tanto lontane che né i re, né i principi nei loro regni o principati, né i borghesi nelle loro città, né i privati nelle loro case, saranno più al sicuro; questa abominevole setta non danneggi solamente la fede e la Chiesa; guidata da Satana, dichiara guerra all'umanità intera, di cui attacca e capovolge ogni diritto.

Ed ancora a circa metà Novecento presunti storici cattolici come Guiraud scrivevano:

Non bisogna dimenticare tutto quanto vi era di socialista e di comunista nelle rivendicazioni Hussite; da questo punto di vista il movimento rivoluzionario della Boemia, nel XV secolo, procedeva direttamente dalle dottrine di Jan Hus e di Wicklef, sincretismo di tutto quanto esisteva di antisociale nei sistemi degli Spirituali, dei Begardi, dei Valdesi e dei Catari.

Socialista ? Comunista ? Chi dice queste sciocchezze dovrebbe essere radiato da ogni biblioteca e le sue opere utilizzate come spessori per sistemare in piano i tavoli traballanti. Per leggere il capolavoro di questo esegeta dell'orrore si vada al suo Elogio dell'Inquisizione, libercolo esaltato dai cattolicisti nostrani.

 

ALTRI STERMINI DI MOVIMENTI ERETICALI MENO NOTI

 

        Mi sono soffermato su alcuni movimenti ereticali perché più noti. Ma ciò non deve far pensare che con questi abbiamo finito. Di eresie ve ne furono moltissime nel periodo di tempo che ho preso in considerazione. Si tratta sempre di cristiani contro cui altri sedicenti cristiani si scatenavano con la massima crudeltà. Naturalmente queste persecuzioni di cristiani non escludevano le persecuzioni a non cristiani che, come contro ebrei e musulmani, furono numerosissime e sanguinosissime. Ma fermiamoci ai cristiani eretici.

        Già dall'XI secolo si svilupparono vari movimenti ereticali in Lombardia. Vi furono predicazioni di un tal Girard vicine al manicheismo a Monteforte, vicino Milano. Si condannava matrimonio e famiglia come centri che distoglievano dalla vita comunitaria. Girard e seguaci furono fatti arrestare dall'arcivescovo di Milano e bruciati vivi davanti ad una croce di fronte la quale era stato loro chiesto, senza risultato, di abiurare. Questo e molti altri fatti mostrano che la vocazione criminale era nella Chiesa prima che sfociasse nell'organizzazione industriale del crimine attraverso l'Inquisizione. Questo rogo non vinse l'eresia che si sviluppò sempre di più grazie agli immorali e crapuloni comportamenti di preti, frati e gerarchie ecclesiastiche a fronte di un popolo miserabile in cui la morte per fame era spesso una liberazione. Nel XII secolo si sviluppò nel milanese e da lì ebbe grande espansione in tutto il Nord Italia il movimento dei Patarini (neo manichei). E' l'epoca in cui si ebbero le virulente prediche sia politiche che teologiche di Arnaldo da Brescia che scatenarono la rivoluzione a Roma e molte sollevazioni in varie parti d'Italia. I beni terrieri non sono della Chiesa ma del sovrano del luogo che ne deve poter disporre per darlo in gestione ai poveri cittadini. La Chiesa non dà lavoro e mantenendo il potere di molti beni è responsabile di

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miseria e fame. I sovrani dovevano confiscare le terre della Chiesa ed il popolo doveva rivoltarsi alle signorie della Chiesa a cominciare da quella del Papa. Brescia fu il primo luogo della rivolta. Il vescovo fu privato di ogni bene e cacciato. Ma, come accennato, fu Roma il centro della rivolta. Nel marzo 1146 fu cacciato il Papa Eugenio III (che si recò prima a Viterbo, poi a Siena ed infine in Francia) e fu proclamata la Repubblica che riconosceva la supremazia dell'Imperatore di Germania. La borghesia ghibellina sposò le tesi degli arnaldisti, patarini e catari. Si trattava di scacciare il Papa per avere un potere laico. Nel 1204 fu espropriato e scacciato il vescovo di Piacenza, poi quello di Cremona, città che per tre anni furono in mano degli eretici coalizzati. La forza di questi movimenti in Italia si accrebbe ancora quando li eretici albigesi del Sud della Francia furono sconfitti da Simon de Montfort. Vi furono migrazioni di massa verso il Nord d'Italia e si stabilirono stretti contatti tra queste regioni d'Europa. Il cattolico Guiraud, più volte citato, scrive senza pudore come ci si spiega facilmente come la Chiesa dovesse organizzare con grande cura l'Inquisizione, in questi paesi ove l'eresia avendo spesso la complicità del potere laico praticava pubblicamente il culto e lanciava persino attacchi ai cattolici. Tutto naturale e per di più dovuto, dunque. Nel 1224 Papa Onorio III organizzò, mediante vari vescovi, la campagna contro l'eresia. Nel 1228 fu il cardinale Goffredo di San Marco che ordinò la pena di morte per gli eretici che la Chiesa consegnava al braccio secolare laico. Papa Gregorio IX, a partire dal 1231 nominò vari inquisitori nel Centro Nord d'Italia con il compito di estirpare l'eresia. Iniziò una dura repressione e qualche inquisitore, come quello di Milano Pietro da Verona, fu assassinato. Ma l'impegno di tale personaggio era così importante che la Chiesa lo fece santo (insieme a molti altri inquisitori, anche senza essere ammazzati), il famoso San Pietro martire. Nel 1279 a Parma, dopo l'esecuzione della signora ostessa Tedesca Bianco amata e stimata dal popolo, fu invaso e saccheggiato il convento domenicano e furono cacciati tutti i preti e frati che per otto anni non poterono rimettere piede in città. Intanto gli inquisitori attaccavano e bruciavano dove potevano. Fu organizzata contro la cittadina di Sirmione, in cui il potere religioso era di un vescovo cataro, una spedizione militare guidata da Alberto della Scala, capo della nota famiglia degli Scaligeri di Verona. La parte religiosa era dell'inquisitore Filippo Bonaccorsi. Il 13 febbraio 1278 all'Arena furono bruciati 200 eretici. Costoro persero la città dopo la sconfitta ma la ripresero tanto che gli Scaligeri la dovettero riprendere nel 1289 (con l'Inquisitore a lato e quindi con altri roghi). Processi inquisitori con molti roghi e distruzione di abitazioni si ebbero ad Orvieto (1249 e 1269), a Treviso (1233), in tutta la Lombardia con Bergamo indicata come città complice degli eretici (intorno al 1250), nel Nord Est contro il cui signore, il ghibellino Ezzelino da Romano, fu scatenata una vera crociata (1259), a Sirmione (1273 e 1278), a Parma (1279) ... Intanto in Francia il capo dell'Inquisizione, l'ex eretico Roberto il Bulgaro, accendeva roghi contro i catari (1233). Nonostante le proteste dei vescovi di Sens e Reims egli proseguì bruciando e seppellendo vivi 250 eretici. Le proteste furono tante che Roberto fu arrestato ed imprigionato. Analoghe repressioni con annessi roghi e torture si ebbero in Germania, Olanda e svariati altri Paesi europei.

 

LA TORTURA

 

        Come annunciato pagine indietro, mi soffermo ora un poco sulle pratiche della tortura per indurre in confessione da parte degli inquisitori.

        Stupisce che Cardini apra il capitolo dedicato a questo orrido argomento dicendo che la tortura era praticata anche nei normali processi civili. Non ho dubbi, il potere è sempre criminale, soprattutto con i deboli. Il fatto che una persona normale, quale io sono, vive nell'illusione che un potere che si richiama a Gesù sia un potere che, pur tentando di estirpare l'eresia e quindi di colpire

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posizioni diverse, utilizzi gli stessi metodi che, come cercherò di mostrare, sono molto più raffinati e perfezionati. Infine non vi è mai stato nella storia un potere civile che abbia potuto operare con questa crudeltà contro la dissidenza per seicento anni ! Ma probabilmente ha ragione Cardini, guai ad intendere la Chiesa come un  potere umanamente accettabile. E' criminale, addirittura più degli altri.

        Il primo libro che tratta dell'uso della tortura e dell'interrogatorio sotto tortura (quaestio) in termini giuridici è il veronese Liber iuris civilis del 1228. Come già detto, l tortura fu recepita dalla Chiesa con la Bolla Ad extirpanda del 1252 di Innocenzo IV, successivamente reiterata dai successivi papi. Tra questi Alessandro IV nel 1259 autorizzò gli ecclesiastici che si dedicavano a questa santa opera a darsi l'assoluzione reciproca nel caso in cui, contrariamente al diritto canonico, qualche torturato avesse avuto l'ardire di sprizzare sangue perché, appunto, con l'eterna ipocrisia dei gerarchi della Chiesa, Ecclesia aborret a sanguine. La tortura fu quindi regolata anche con dei trattati (come ad esempio De tormentis e De iudiciis et tortura)ed in definitiva tutto era permesso meno che la mutilazione e la morte. Quando essa passò ai laici per conto della Chiesa quella cosa del sangue non fu più tenuta in conto perché non era un ecclesiastico a farlo sgorgare. Uno dei problemi di fondo della tortura, al di là del crimine infinito, era la sua efficacia. Quando si torturava una persona per estorcergli la confessione si poteva incappare in persone che riuscivano a diventare insensibili e a non confessare mai nulla o a persone che si terrorizzavano ancor prima di cominciare e confessavano tutto, soprattutto anche ciò che non avevano mai fatto o pensato. Vi furono discussioni in proposito che portarono a regolamentazioni ulteriori e all'esenzione per alcune categorie di persone (bambini, donne gravide, puerpere, vecchi, malati) per ovvi motivi e per altre categorie per ancora più ovvie ragioni (preti, nobili, militari, cavalieri).

        Ogni giurisdizione inquisitoriale aveva le sue torture preferite e quindi non vi sono torture che si applicavano ovunque. Tra le torture più diffuse vanno elencate: i tratti di corda (l'inquisito con le mani legate dietro la schiena, era sollevato in alto con un sistema di carrucole e poi lasciato cadere al suolo); il cavalletto (l'inquisito veniva fatto sedere a gambe divaricate e con grossi pesi attaccati alle caviglie su un cavalletto che aveva l'asse superiore a sezione triangolare con la punta rivolta verso l'alto); il fuoco  (l'inquisito con i piedi unti veniva avvicinato sempre più ad una fonte di calore); la stanghetta (l'inquisito era sottoposto ad un sistema che comprimeva polsi e caviglie); le cannette (le dita dell'inquisito venivano compresse fino a schiacciamento); della categoria precedente fa parte lo schiacciapolici; la veglia (all'inquisito, legato ad una sedia, veniva impedito di dormire per circa due giorni); la bacchetta (uno strumento per fustigare l'inquisito). Vi erano poi altri sistemi molto più orrendi e difficili da descrivere che presenterò più oltre quando mi servirò di illustrazioni.

        Il primo sovrano che abolì la tortura in Europa fu Federico II di Prussia tra il 1740 ed il 1754. Altri sovrani seguirono. Il testo che più contribuì ad eliminare la pratica della tortura fu il Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria del 1763-1764. Ma per l'abolizione definitiva occorrerà aspettare i primi del secolo XIX. La Chiesa abolirà la tortura (ed i roghi) nel 1816 con una bolla di Pio VII. Essa continuò però ad essere praticata ancora per 20 anni. Non terminò invece a funzionare l'Inquisizione che funzionò fino alla liberazione di Roma nel 1870 con il crudele Pio IX al potere e con una gran quantità di reati nuovi aggiunti proprio da Pio VII:  blasfemia, immoralità, atteggiamento irrispettoso verso la Chiesa, mancata partecipazione alle festività, abbandono della vera fede

        Nel 1480 Papa Sisto IV dette la gestione dell'Inquisizione spagnola ai Re Cattolici (Fernando e Isabel) che da una parte combattevano le conversioni dei cristiani all'ebraismo e dall'altra ambivano requisire i beni degli ebrei. Iniziava il capitolo dell'Inquisizione spagnola che tratterò nel prossimo

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articolo insieme al riordino dell'Inquisizione che Paolo III ordinò nel 1542 al fine di renderla più efficiente contro l'eresia (Inquisizione romana).

 

NOTE

 

(1) Le eresie dei primi secoli furono le seguenti:

1 Docetismo 2 Cerintianesimo 3 Modalismo 4 Adozionismo 5 Marcionismo 6 Montanismo 7 Manicheismo 8 Novazianismo 9 Donatismo 10 Arianesimo 11 Apollinarismo 12 Priscillianesimo 13 Pelagianesimo 14 Monofisismo 15 Nestorianesimo 16 Monotelismo (o monoteletismo) 17 Abeliani

18 Adelofagi

(2) Alla voce eresie medioevali, Wikipedia inserisce una nota che riporto perché descrive bene la situazione:

Nelle descrizioni a questa voce è opportuno tenere presente che determinare le reali caratteristiche e i principi di ogni movimento antico rappresenta un'operazione complessa, se si considera che quasi ogni informazione giunta fino a noi proviene da oppositori del suo credo. La maggior parte della letteratura di questi movimenti è stata o distrutta o ha subito importanti cambiamenti, qualcosa è tuttavia sopravvissuto in testi scritti in forma modificata o attraverso la tradizione orale. La definizione di tutti questi movimenti come "eretici" è ormai stata abbandonata dagli studiosi, in quanto l'eterodossia presuppone una deviazione da un'ortodossia condivisa a priori.

(3) Catari vuol dire puri o perfetti. Questo movimento aveva molte affinità, e condivideva anche dei testi sacri, con l'altro movimento ereticale, quello dei bogomili (dal nome bulgaro di Bogomil, forse un monaco, ritenuto il fondatore) dei Balcani, all'interno dell'Impero d'Oriente. I bogomili avevano subito il cristianesimo come imposizione degli occupanti (l'Imperatore bizantino e cristiano Basilio aveva occupato la Bulgaria agli inizi dell'XI secolo) e subivano l'oppressione della Chiesa cristiana ortodossa e di quella cristiana di Roma. Il movimento era nato agli inizi dell'XI secolo come

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derivazione di varie eresie dei primi secoli. Nel XV secolo il movimento dei bogomili si convertì all'Islam.

(4) Per iniziativa di frate Domingo, nel 1220 nacque a Bologna l'ordine dei frati predicatori chiamato successivamente dei domenicani o frati neri o cani da guardia di Dio.

(5) La corona di Aragon estendeva il suo potere su alcune zone del Sud della Francia come l'Occitania che era legata attraverso i Pirenei alla Catalogna fino all'Ebro. L'intervento francese in quelle zone spaventava il Re di Aragona per il tentativo francese di impossessarsi di quei territori.

(6) Le notizie su Dolcino e Margherita provengono da un articolo che ho pubblicato in precedenza su Fisicamente. In tale articolo vi sono i riferimenti bibliografici.

La tragica vicenda di Dolcino suscitò l'interesse di diversi letterati nel corso dei secoli come Nietzsche che esaltò la figura di Dolcino come quella di un prototipo ideale del super-uomo, così come egli lo immaginava:

"Dolce e spietato, al di sopra di ogni miserabile morale, praticamente l'individuo che può porsi al di là del bene e del male".

e Dante Alighieri, che lo descrisse nell'Inferno, tra scismatici e seminatori di discordie, nel canto XXVIII ai versi 55-60 dove Maometto dice a Dante:

Or di’ a fra Dolcin dunque che s’armi,Tu che forse vedrai lo sole in breve,S’egli non vuol qui tosto seguitarmi,Sì di vivanda, che stretta di neveNon rechi la vittoria al Noarese,Ch’altrimenti acquistar non saria a lieve.

Nel 1907 sul luogo della sua ultima resistenza fu eretto un obelisco commemorativo, che fu abbattuto a cannonate durante il fascismo per essere poi ricostruito negli anni '60.

 

 

   

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Parte II: L'INQUISIZIONE SPAGNOLA

 

LA SPAGNA ARABA E LA RICONQUISTA

 

              La Spagna, provincia di Roma, nel 409 viene invasa da varie tribù barbare (svevi, vandali, ...). Nel 411 i Visigoti vengono in aiuto di Roma e scacciano gli altri barbari. Da questo momento l'amministrazione di questa provincia è lasciata loro. Nel 475, un anno prima della caduta dell'Impero Romano d'Occidente, viene fondato in Spagna il regno Visigoto che, a partire dal 589, sarà interamente cristianizzato.

              In soli tre anni, tra il 711 ed il 714, gli arabi musulmani del califfato Omeya di Damasco occupano la penisola iberica provenendo da Sud. I cristiani vengono respinti verso nord e lì si attesteranno in piccoli regni situati in posti strategici sulle montagne della Cordigliera Cantabrica e dei Pirenei. Nel 756 gli Omeya di Spagna si rendono indipendenti da Damasco e costituiscono il

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Califfato di Cordova. Questo Califfato si manterrà fino al 1031 per poi smembrarsi in tanti piccoli regni (taifas). A questa data la penisola contava al Nord i regni cristiani di León, Navarra, Aragón, Cataluña (circa un terzo del territorio) una striscia di terra di nessuno divideva questi piccoli regni dai taifas arabi costituenti la regione di Al Andalus . La debolezza militare araba avvia, nel 1045, la Riconquista che si concluderà nel 1492. Da sottolineare la conquista cristiana di Toledo del 1085, il formarsi al Nord di tre stati cristiani sempre più grandi ed aggressivi (Portogallo, Castiglia, Aragona e il piccolo Navarra). Dalla metà del XIII secolo il regno di Granada è tutto ciò che resta di arabo nella penisola. Nel 1469 Isabella I di Castiglia sposa Fernando II di Aragona dando inizio alla prima convergenza di regni ispani che in poco tempo occuperà tutta la penisola ed inizierà una impetuosa espansione in altri territori. Nel 1492 cade il regno di Granada, compiendosi il disegno di Fernando e Isabella: unificare i popoli di Spagna in nome della cristianità contro gli invasori arabi. La Crociata è portata a termine vittoriosamente e Papa Alessandro VI Borgia concede ai Re di Spagna il titolo di Re Cattolici (1494).

              Da sottolineare che durante il dominio musulmano vi fu un ambiente di tolleranza con i cristiani indigeni, con i moltissimi ebrei che vivevano nella penisola da epoche remote (con alterne vicende di accettazione e persecuzione sotto il dominio cristiano-visigoto e con la piena accettazione degli arabi musulmani per l'aiuto che gli stessi ebrei avevano fornito loro nella conquista di Spagna). Non vi furono persecuzioni di nessuno verso nessuno. Vi era una sorta di divisione del lavoro che vedeva gli arabi padroni di una agricoltura che con irrigazioni avanzatissime, con l'introduzione dell'arancio, del riso, del cotone, della canna da zucchero e di molte altre piante commestibili avevano reso molto fiorente, artefici di un artigianato tecnologicamente avanzato di articoli di lusso (pelli, tessuti, ceramica), ottimi commercianti; gli ebrei gestori di commercio, prestiti e finanza, mentre i cristiani erano il popolaccio , la forza lavoro in massima parte povera ed ignorante, costituita da discendenti dei visigoti, schiavi, slavi, schiavi liberati. I cristiani vedevano con grande ammirazione gli arabi per la loro cultura, raffinatezza ed addirittura per il suono della lingua e, spontaneamente, si convertivano alla religione musulmana diventando mozarabi (arabizzati). Con il passare degli anni cominciarono a nascere musulmani nella stessa Spagna ( muladì ) che andava pian piano arabizzandosi. Tutti vedevano crescere il livello materiale della loro vita. Non vi erano momenti della precedente dominazione cristiano-visigota di cui andar orgogliosi. Gli stessi cristiani riconoscevano in svariati scritti la loro ignoranza rispetto allo splendore della cultura araba.

 

LA SPAGNA CRISTIANA

 

              Fino alla fine del XIV secolo (più o meno in corrispondenza dello Scisma d'Occidente, 1378 (0) ) la situazione di tolleranza tra le varie etnie presenti in Spagna, Musulmani, Ebrei, Cristiani, si era mantenuta (1) . Con l'avanzare della Riconquista delle terre della penisola in mano ai musulmani, i cristiani si impadronivano di territori sempre pia vasti ma la ricchezza, l'artigianato, il commercio, l'agricoltura restavano arabe ed ebraiche. Certo vi erano state le spoliazioni tipiche di una conquista, le razzie, ... Ma l''economia' non si razzia. Fu Papa Gregorio XI che ordinò ai Paesi d'osservanza cattolica-romana di tenere d'occhio gli ebrei per evitare che facessero proselitismo sotto pena di morte. L'Inquisizione medioevale vigilava (poco in realtà). Effetti di questa prima campagna antiebraica su vasta scala si ebbero subito. Intanto gli ebrei furono obbligati ad avere segni distintivi (un panno legato sul braccio sinistro). Iniziarono poi tutte quelle denigrazioni che spettavano a chi aveva 'assassinato Gesù; gli ebrei avevano la coda (giuocando con la parola castigliana, ' rabo ' = coda ed ebraica ' rabis '= rabbino); gli ebrei, in occasione delle processioni del Venerdì Santo,

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usavano crocifiggere dei bambini e oltraggiare le ostie bucandole con degli spilli, ... Il problema principale era che in realtà tutti dovevano del denaro agli ebrei, anche i potenti di Spagna, fino ai Re (come vedremo). E tutti sognavano di poter mettere mano alle loro ricchezze. Iniziarono così i linciaggi di massa (Toledo 1355, Siviglia 1391, e poi Cordova, di nuovo Toledo, Zaragoza, Valencia, Barcelona, Lerida,...), a cui si accompagnavano furti, depredazioni, confische ed espropri. Molti ebrei iniziarono a battezzarsi (i conversi ). Nella toponomastica successiva vi furono i giudaizzanti , cioè coloro che avevano finto di convertirsi ma che in pratica seguivano i riti del loro antico credo, che vennero chiamati dai cristiani marrani (che vuol dire maiali ). Altri nomi erano dati ai conversi da parte ebraica: gli anusim erano gli ebrei forzati a convertirsi mentre i mesumad erano coloro che lo avevano fatto volontariamente.

              Arriviamo all'1 novembre 1478 quando una Bolla di Papa Sisto IV (2) concede il privilegio della gestione dell'Inquisizione al Regno di Castiglia. Isabella e Fernando sono i più puri difensori della fede cattolica-romana. A loro spetta il compito di superare l'inefficienza degli Inquisitori nominati dai vescovi. A loro riconquistare l'intera Spagna alla cristianità lottando contro ogni eresia. Isabella e Fernando fecero dell' Inquisizione un potente strumento di lotta politica che, a lato dell'esaltazione popolare per la riconquista di Granada (iniziata nel 1481), cementò la corona di Spagna in modo indissolubile con la Chiesa (questo connubio, a parte brevi interruzioni - i periodi liberali, la Prima e la Seconda Repubblica - , è durato fino alla morte di Franco nel 1975).

              L'anno 1492 è un anno chiave nella Storia di Spagna. Viene completata la Riconquista con la caduta del Regno musulmano di Granada (3) (ai musulmani di Granada viene garantita l'immunità) e le armate cristiane sono in gran parte finanziate dai prestiti che gli ebrei avevano fatto alla Corona. I Re non possono pagare questi debiti. Fanno un decreto di espulsione dalla Spagna di tutti gli ebrei che non si convertono. Naturalmente vengono sequestrati tutti i loro beni e non vengono onorati gli impegni finanziari. Molti ebrei se ne andranno dalla Spagna e vari di essi troveranno rifugio anche in Italia (Livorno, Venezia) portando il loro importante contributo di ingegno e conoscenze (4) . Altri invece si convertiranno dando esca a tutte le future persecuzioni contro di essi (ogni volta che un converso ritornava benestante ecco che era un falso converso e quindi interveniva l'Inquisizione con sequestri e ' tostature ' - termine che ho spesso trovato al posto di rogo nei testi spagnoli). Ma il 1492 è l'anno della scoperta dell'America ed all'inizio i missionari sono piuttosto tranquilli: la teoria dominante voleva che gli indios non avessero anima. Poi alcuni teologi stabilirono che queste persone avevano anima ed allora iniziarono anche lì conversioni di massa forzate. I Re, a questo punto 'cattolici', non mantennero neanche i patti con i musulmani di Granada: nel 1502 iniziò la loro conversione forzata. Nel 1526 (il Re è già Carlo V di Germania, ma I di Spagna) vi furono restrizioni all'esercizio della fede musulmana nella intera Spagna e finalmente nel 1609 (Re Felipe III) anche i musulmani non convertiti furono espulsi dalla Spagna (5) . Inoltre, nel 1557, Felipe II vietò ogni viaggio di studio all'estero. Ed intanto erano iniziate le rimesse di metalli preziosi, oro ed argento, dalle Americhe: dai primi anni del 1500 fino al 1580 arrivavano una media di 100 tonnellate d'oro e 100 d'argento ogni anno; dal 1580 al 1650 la media salì spettacolarmente a 1200 tonnellate d'oro e 2000 d'argento ogni anno; dopo questa data la riduzione fu drastica e fino alla metà del 1700 si ritornò alle medie iniziali (6) . Queste montagne d'oro non erano mai state conosciute nel nostro continente ma non bastarono a pagare la politica espansionista della Spagna che comunque contraeva debiti per armare i suoi eserciti e la sua ' Invencible Armada ' (l' armada è la flotta da guerra; nel 1568 una tal flotta, appunto ' invencible ', andò al disastro in una tempesta sul Canale della Manica mentre tentava di attaccare l'Inghilterra). La Spagna si rivolgeva ancora ai prestiti, come per tutta la sua storia (almeno fino alla fine del secolo scorso), che provenivano da tutta Europa, dai Fugger in Germania, dai banchieri genovesi e fiorentini, dai 'soliti' finanzieri ebrei, ... (7) L'Impero nel suo massimo splendore (fino alla Pace di Westfalia del 1648 - Re Felipe IV) comprendeva: l'intera penisola iberica, il centro-sud d'Italia (escludendo lo Stato della Chiesa), la Sardegna, il Rossellon (Francia del Sud Ovest), il Franco Contado (pezzo dell'attuale Francia tra la

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Borgogna e la Svizzera), il Belgio, parte dell'Olanda, il Lussemburgo, l'Artois (Francia del Nord-Est), il Milanesado (di manzoniana memoria), tutta l'America Centrale e Meridionale (escluso il Brasile e la Guayana olandese), ampie zone dell'America del Nord (tra cui la Florida, il Texas), le Filippine. È la Spagna della Leggenda Nera (8) (definizione rifiutata dagli spagnoli), la Spagna dello sterminio degli indigeni delle americhe e di ogni oppositore e/o eretico all'interno del gigantesco Impero.

              Tornando un poco più indietro negli anni, al nostro tema, ricordo come avevo chiuso la parte prima del lavoro:   Nel 1480 Papa Sisto IV, lo stesso della Bolla che aveva trasformato i Re di Spagna in Cattolici, dette la gestione dell'Inquisizione spagnola ai suddetti Re Cattolici (Fernando d'Aragone e Isabel di Castiglia) che da una parte combattevano le conversioni dei cristiani all'ebraismo, dall'altra erano impegnati contro i musulmani e dall'altra ancora ambivano requisire i beni degli ebrei. Iniziava il capitolo dell' Inquisizione spagnola che come struttura e funzionamento era la stessa di quella medioevale . Ecco, appunto, poiché la Chiesa di Roma non si fidava più dell'Inquisizione medioevale in mano ai vescovi, ne affidò la gestione direttamente al potere laico che aveva trasformato in cattolico, dei Re di Spagna, cattolici per legge.

              Come aveva funzionato in Spagna l'Inquisizione medioevale ? In modo differenziato a seconda dei regni. Ad esempio la Castiglia, contrariamente all'Aragona, non aveva avuto l'esperienza del Tribunale dell'Inquisizione. E nessuno dei due regni aveva mai provato la durezza che a tale Tribunale impressero i Re cattolici per le differenti e complementari capacità che avevano: abile il Re, religiosa ossequiente e zelante la Regina. E l'Inquisizione per loro non fu solo un problema di sradicamento di eresie ma soprattutto una istituzione che integrava la loro politica di organizzazione ed unificazione nazionale che, tra l'altro, dette un notevole impulso al completamento della Riconquista cristiana dell'intera penisola iberica.   Era quindi la Monarchia che aveva il potere di dirigere la Chiesa e con essa l'Inquisizione. In questo senso l'Inquisizione Spagnola non ebbe mai da reprimere scienziati o liberi pensatori. Il suo compito era la difesa della Monarchia medesima e con essa la Chiesa che era un tutt'uno con la prima. Il ruolo che l'Inquisizione svolse fu piuttosto da deterrente. Nella pratica si occupò di ebrei, di ebrei conversi, di musulmani, di musulmani conversi ( moriscos ), giansenisti, erasmisti, luterani, illuministi e poi di streghe. Si deve inoltre tenere presente che da un certo momento (1638) iniziò la persecuzione anche dei figli dei conversi e di chi aveva qualche legame di sangue con loro: occorreva realizzare una limpieza de sangre cioè una pulizia etnica (sic!). Le stesse eresie (albigesi, catari, dolciniani,...) diffusissime nel Sud della Francia non ebbero mai seguito degno di nota in Spagna. Occorre comunque dire che le peggiori efferatezze, per cui è tristemente nota l'Inquisizione, si ebbero in Spagna. Ed occorre aggiungere una considerazione sulla giustizia ordinaria. Essa era totalmente inefficiente ma i Re avevano risolto i problemi che li riguardavano mediante una organizzazione poliziesca chiamata Santa Hermandad (Santa Fratellanza) che con metodi sommari e violenti reprimeva tutto ciò che la giustizia ordinaria o era lenta o incapace a reprimere.

 

L'INQUISIZIONE SPAGNOLA CONTRO GLI EBREI

 

              La bolla pontificia del 1478 fa esplicito riferimento alla necessità di reprimere con durezza l'eresia degli ebrei conversi giudaizzanti o marrani , di coloro cioè che dopo la conversione (forzata o volontaria) tornavano ai riti giudaici praticandoli in famiglia ed insegnandoli ai figli e ad altri. Per far questo il Papa concedeva ai Re la facoltà di nominare due o tre inquisitori (con un'età superiore ai 40 anni) che avrebbero goduto della potestà ed autorità del pontefice. Questo fatto rappresentava

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una grande novità perché, fino ad allora, la nomina di inquisitori era stata una esclusiva del Papa. Inoltre nella bolla si autorizzava di intervenire por la via del fuego contro l'eresia degli ebrei conversi. Era un'estensione legalizzata della Santa Hermandad con tribunali, sottratti agli ordinari, molto più efficienti.

              Il Tribunale aveva lo scopo di salvaguardare la fede cattolica, inquisendo, giudicando e castigando. Era un tribunale ecclesiastico (lo aveva voluto il Papa) e civile (lo gestiva l'autorità civile), quindi era un tribunale misto che, come contropartita per l'autorità civile, richiedeva la difesa anche dei dogmi dell'assolutismo della monarchia. Dal punto di vista giuridico valevano ambedue i diritti, quello della Chiesa e quello dello Stato.

Un quadro di anonimo al Prado di Madrid (circa 1490) che ben rappresenta la situazione: al centro la Vergine Maria con il Bambino Gesù. A sinistra in piedi vi è San Tommaso che sorregge la Chiesa, in ginocchio vi è Re Fernando ed il principe Juan e, dietro a Fernando vi è Torquemada. A destra in piedi vi è San Pietro martire di Verona che difende la fede (era uno dei pochi inquisitori ammazzati), in ginocchio vi è la Regina Isabella e l'infanta Isabella

              Passarono circa due anni per avere la prima nomina di inquisitori da parte dei Re. Furono Juan de San Martin e Miguel de Morillo (27 settembre 1480). Il primo processo, chiamato atto di fede (in spagnolo auto da fe ), si celebrò il 6 febbraio 1481 (con 6 roghi) e, a partire dall'11 febbraio 1482, tutte le regioni della Spagna ebbero i loro inquisitori (Alfonso de San Cebriàn, Pedro de Ocena, Pedro Muillo, Juan de San Domingo, Juan de Espiritu Santo, Bernardo de Santa Maria, Tomàs de Torquemada) che funzionarono egregiamente: nella sola Siviglia nel mese di novembre si ebbero 288 roghi e 79 condanne alla prigione a vita. Iniziarono però subito dei problemi nei tribunali di Aragon che dedicarono il loro impegno soprattutto sui conversi per poter spillare loro denaro. Questi ultimi si diressero al Papa per protestare ed il Papa nel 1482 pubblicò un'altra bolla nella

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quale criticava il tribunale come sed de lucro ( ormai da qualche tempo, l'Inquisizione non è mossa dal fervore per la fede e la salvezza, ma dalla brama di denaro ). Il Papa Sisto IV (9) quindi sembrava fare una marcia indietro manifestando l'intenzione di revocare i poteri assegnati all'Inquisizione per riportarla sotto i vescovi. Questa posizione durò però poco perché Fernando rispose in modo minaccioso dicendo: abbiate cura di non far procedere oltre l'iniziativa [...] e date incarico a noi di occuparci della faccenda . Con queste parole Fermando riuscì a convincere il Papa, dopodiché passò alla nomina (13 ottobre 1483) del domenicano Tomás de Torquemada (10) , confessore dei Re, come Grande Inquisitore (o Inquisitore Generale) di tutta la Spagna e con la costituzione del Consiglio della Suprema e Generale Inquisizione. Torquemada aveva l'abitudine di manifestarsi all'esterno sempre molto austero indossando sempre la sua tonaca e facendo professione di vegetariano. Ma aveva l'abitudine di mantenere per sé grosse quantità di denaro provenienti dalle confische, di abitare in dimore lussuose, di viaggiare protetto da cinquanta armati a cavallo e 250 a piedi. Nel 1484 vennero poi nominati gli inquisitori delegati per Aragona e Catalogna (regioni in cui questa decisione fu fortemente contestata). Il tutto era benedetto dal nuovo Papa, Innocenzo VIII, che con altra bolla del dicembre 1484, Summis desiderantes affectibus ,   incitava alla soppressione della stregoneria (compare esplicitamente per la prima volta) e dell’eresia, condividendo la nomina degli inquisitori. Il fine di queste decisioni era l'avere un indirizzo unico per il modo di agire dei tribunali sull'intero territorio spagnolo. E Torquemada rispose egregiamente perché tra il 1484 ed il 1488 scrisse le Ordinanze o Istituzioni che fissavano le regole che dovevano seguire gli inquisitori   (coordinamento giuridico ed ordinamento processuale) (11) . Di rilievo è il fatto che denunciarsi come eretico non era sufficiente per avere le attenuanti ed i benefici di legge, ma occorreva denunciare tutti i complici godendo dell'anonimato. Ciò comportò una vera lacerazione del tessuto sociale perché molti personaggi iniziarono ad utilizzare l'Inquisizione per regolare invidie ed inimicizie, per vendicarsi di chiunque avesse recato una qualche offesa, per far fuori concorrenti nella propria professione, nel commercio ed anche in amore. Dimostrare la propria innocenza diventava problema dell'accusato. Nei paesi, nei campi, nei borghi, ognuno iniziò ad aver paura del proprio vicino, del proprio amico o parente. L'angoscia era tale che si preferiva denunciarsi da soli testimoniando contro se stessi. Scrivono Baigent e Leigh che "alla fine del Quattrocento quando l'editto inquisitorio venne letto per la prima volta a Maiorca, trecentotrentasette persone si autodenunciarono; nel 1486 duemilaquattrocento fecero lo stesso a Toledo: la gente continuava a vivere in preda all'ansia, nel timore dei rivali in affari, dei vicini, persino dei propri familiari. Le delazioni erano la norma piuttosto che l'eccezione. Pare che nel decennio dal 1480 al 1490 nella sola Castiglia furono mandate al rogo, in seguito a testimonianze false, almeno millecinquecento persone, che il più delle volte non sapevano chi le aveva denunciate". Alle iniziative organizzative delle quali ho dato un cenno si sommarono provvedimenti vergognosi e roghi: il 23 febbraio 1484 trenta persone furono bruciate a Ciudad Real; a Toledo, ancora sotto Sisto IV, saranno bruciati 2.400 marrani; sempre a Toledo, negli anni fra il 1485 ed il 1501 furono bruciate 250 persone; a Siviglia tra il 1481 ed il 1488 si ebbero circa 700 processi per giudaismo con gli imputati non contumaci (quanti ?) bruciati; a Barcellona nel 1491 vi furono tre roghi mentre duecentoventi persone furono condannate a morte in contumacia; nel 1492 a Valladolid vi fu un rogo collettivo di 32 persone. A Torquemada sono da addebitare in complesso 10.220 roghi veri e 6.480 in effigie , cioè di contumaci o già morti). Tra le migliaia di roghi accesi vi fu un episodio che dette il via al vero e proprio antisemitismo di massa che in Spagna none era mai esistito. Era il 14 novembre del 1491, due settimane prima che Granada cadesse. Cinque ebrei e sei ebrei convertiti furono condannati al rogo ad Avila e fin qui siamo nella tragica normalità. L'accusa inventata per loro fu quella che scatenò l'antisemitismo di cui dicevo e che ancora oggi viene ripetuta contro gli ebrei: gli undici erano stati condannati per aver profanato un'ostia e per aver crocifisso un bambino cristiano al quale avrebbero popi strappato il cuore. E perché questi scemi avrebbero fatto queste cose ? Ma per utilizzare un rituale magico che neutralizzasse il potere dell'Inquisizione e per far impazzire fino alla morte tutti i cristiani. L'Inquisizione fece conoscere queste cose in tutte le città della Spagna, traducendo anche il processo nelle lingue locali. Il fine era da un lato mostrare che i conversi

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continuavano a frequentare   ed intrattenevano legami con i non conversi e dall'altro di far vedere che insieme essi cospiravano contro lo Stato rappresentato dai cristiani offesi nella loro fede.

Il crimine del bambino crocifisso addossato agli ebrei

              Il 31 marzo del 1492, il fatidico anno negativo della Spagna, fu emanato dai Re cattolici il decreto di espulsione dalla Spagna degli ebrei ( Decreto de la Alhambra o Edicto de Granada ) (12) preparato da Torquemada ma spinto da nobiltà e clero contro una borghesia emergente. Gli ebrei, dopo una proroga, dovevano abbandonare la Spagna entro il 2 agosto del 1492, stesso giorno della partenza di Cristoforo Colombo verso la ricerca di una nuova strada verso le Indie. La non partenza

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significava l'immediata condanna a morte. Gli ebrei ebbero delle condizioni di favore per i loro beni. Gli stessi reali si offrivano come mediatori per fornire agli espulsi delle letras de cambio (una specie di cambiali) poiché una legge proibiva l'esportazione dalla Spagna di metalli preziosi (oro, argento), monete, armi e cavalli. Anche se non esplicitamente detto nell'editto, era evidente che la conversione avrebbe evitato l'espulsione e, viste le condizioni, molti tra i più ricchi, quelli che avevano più beni evidentemente non trasportabili, decisero di convertirsi. Le stime su coloro che abbandonarono la Spagna sono complesse e studi diversi fanno variare il numero degli esuli da 50 mila a 200 mila. Gli espulsi si diressero in Navarra (da dove furono espulsi anni dopo), nelle Fiandre, nel Nord Africa, nell'Impero Ottomano, nelle Americhe ed in Italia. L'economia spagnola pagò molto cara questa scelta perché quella borghesia era in condizioni di mettere in moto un primo capitalismo che nobiltà e clero neanche potevano immaginare fu invece solo utile ad arricchire corona ed Inquisizione dei molti beni espropriati.. Fatto d'interesse è che questa espulsione, qualche anno dopo (dal 1510) iniziò a creare problemi tra la corona di Spagna e la Chiesa. Molti ebrei imprigionati a Siviglia venivano scarcerati se pagavano grossissime somme alla corona. Fu qui che intervenne la Chiesa chiedendo quella gran mole di denaro per sé, con liti che portarono a vere e proprie crisi diplomatiche.

L'editto di Granada di espulsione degli ebrei dalla Spagna

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              Dopo l'espulsione le persecuzioni contro gli ebrei che restarono, convertiti o no, durò ancora senza praticamente terminare. L'ultimo rogo di un ebreo in piazza avvenne a Cordova nel 1818, si trattava di un ritorno breve alle pratiche inquisitoriali nel periodo della Restaurazione di Fernando VII iniziata nel 1814, dopo una parentesi liberale di due anni, perché in Spagna l'Inquisizione fu abolita da Napoleone il 4 dicembre 1808 che provvide al sequestro di tutti i suoi beni. La tolleranza religiosa fu introdotta nella Costituzione spagnola il 6 giugno 1869.

              Riguardo ai numeri, a quanti cioè furono vittime dell'Inquisizione, siano essi stati ebrei o mori, vi è una grande incertezza perché fino agli anni avanzati del regno di Carlo V non vi era censimento in Spagna. Si potrebbe risalire a quante persone vi fossero dalle tasse che però erano pagate da nuclei familiari e quindi occorrerebbe un qualche fattore moltiplicativo. Ma vi è un'altra difficoltà perché alle etnie di ebrei e mori venivano richieste tasse per comunità (ad esempio al capo della comunità ebraica di Valencia si richiedeva di pagare annualmente una data quantità di denaro). Qualcuno ha provato a fare un conto di questo tipo: la Spagna, sul finire del Quattrocento, aveva circa 6 milioni di abitanti, distribuiti per tre quarti in Castiglia ed un quarto in Aragona. Valutando in un 10% ebrei e mori si hanno seicentomila persone. Ci si può fidare di un tale conto ? Non ho elementi né per sostenerlo né per negarlo. Si può invece convenire sul fatto che quasi tutti gli ebrei ed i mori furono cacciati (per gli ebrei espulsi vi sono studi recenti come quello di Edwards, che li indicano tra i 70 ed i 100 mila) o bruciati o incarcerati e, data la persecuzione ad una persona essa ricadeva ed è di fatto ricaduta sui figli per varie generazioni.  

La situazione in Spagna prima della Reconquista del Regno di Granada. In grigio il Regno di Castiglia, in rosso il Regno di Aragon, in Arancio in alto il Regno di Navarra, in giallo il Regno di Granada. Dal matrimonio di Isabella di Castiglia con Fernando di Aragon nasce il Regno di Spagna al quale nel 1492 si aggiungerà il Regno di Granada e nel 1512 il Regno di Navarra.

 

L'INQUISIZIONE SPAGNOLA CONTRO I MORI

 

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            Per analoghe traversie dovettero passare i musulmani. Fernando ed Isabella, come accennato, avevano di mira la riunificazione della Spagna alla quale nel 1483 mancava ancora il solo regno musulmano di Granada (il regno di Navarra sarà associato solo nel 1512). La conquista della città e la caduta di tale regno si ebbe dopo assedi, battaglie e promesse solo nel 1492 (il 2 gennaio). La resa della città avvenne dopo che fu promesso ai musulmani una protezione da parte dei regnanti cattolici e dei loro successori di ogni proprietà, di ogni costume e di ogni pratica religiosa degli abitanti di quel regno (ai musulmani che restarono in Spagna, in regni dominati da cristiani e sotto legislazione cristiana, si dette il nome di mudéjares. La parola è di derivazione araba e vuol dire domestico o addomesticato ). La speranza neanche troppo nascosta era che vi fossero delle conversioni spontanee al Cristianesimo. L'arcivescovado che fu creato a Granada ebbe un primo vescovo estremamente tollerante, Hernando de Talavera che per parlare meglio con quelli che sarebbero stati i suoi fedeli imparò l'arabo e non forzò la situazione pur desiderando che le conversioni iniziassero. Le conversioni erano però osservate dai reali e dall'arcivescovo di Toledo, Francisco Ximenes de Cisneros (confessore di Isabella) che non erano soddisfatti della lentezza con cui avvenivano a Granada. Gli stessi reali, in visita a Granada nel 1499, rimasero negativamente colpiti dall'ambiente troppo musulmano che si respirava ancora in città, anche dal punto di vista degli abiti, degli usi e costumi. Fu Cisneros che impose la conversione forzata dei musulmani con brutale violazione dei patti e con rivolte immediate che poi furono utilizzate per affermare che i patti fatti a Granada erano stati violati dai musulmani. Nel 1501 venne emanata un'ordinanza che proibiva ai musulmani del resto della Spagna di andare nelle terre dell'ex regno di Granada per evitare che i Nuovi Cristiani convertiti subissero contaminazioni da parte di ex correligionari. Nel 1502 seguì l'inevitabile conseguenza: un'altra ordinanza venne emanata, la Prágmatica del 14 febbraio 1502, nella quale in sintesi si diceva che poiché il regno di Granada era stato completamente ripulito da musulmani risultava ora scandaloso ammetterli in altri luoghi della Spagna. L'ordinanza quindi imponeva che da lì a qualche mese i mori di Castiglia e Leon dovevano abbandonare quel regno, a meno di conversione (la quale avrebbe trasformato spregiativamente i mori in moriscos ). Erano esonerati solo i giovani fino a 14 anni e le giovani fino ai 12 anni. Lo straordinario dell'ordinanza era che i mori suddetti non avrebbero potuto recarsi né in Navarra né in Aragona né nel Nord Africa e ciò implicava che erano espulsi senza sapere dove andare. A meno di non intendere che si voleva la conversione forzata, come in realtà era. In Aragona, regno d'origine di Fernando, che godeva di autonomia e che aveva un suo parlamento, non si fece uguale ordinanza ed i mori riuscirono a non essere toccati fino al 1520 quando scoppierà una guerra civile tra borghesia e nobiltà per la successione sul trono di Spagna che poi sarà di Carlo V di Germania (o Carlo I di Spagna) nipote dei Re cattolici per parte di madre ( Juana la loca , cioè Giovanna la pazza, figlia di Fernando ed Isabel). Cinque anni dopo la sua incoronazione ad Aquisgrana, nel 1525, Carlo V emanò un editto che metteva al bando tutti i musulmani dall'Aragona, Catalogna e Valencia. Conseguenza di ciò furono, anche qui, le conversioni forzate di massa e, ai conversi, in questo caso e come già detto si dette il nome di moriscos . Osserva Turberville: "Gli ebrei e i Maomettani vennero scacciati; ma al loro posto subentrò un gran numero di eretici potenziali, gente educata nella fede e nelle tradizioni di Mosè o dell'Islam, che nella maggior parte dei casi avevano accettato il Cristianesimo con riluttanza, solamente per sfuggire alla morte o all'esilio. Stando così le cose, essi non avevano alcuna ragione per amare o venerare quella religione che, di fatto o virtualmente era stata loro imposta; per di più, la maggior parte di essi aveva ricevuto una ben scarsa istruzione nei principi e nella dottrina cristiana; sicché era loro assai facile deviare dal credo e dal rituale della nuova religione. Se poi si tiene presente che questi nuovi membri della Chiesa Cristiana, specialmente i Conversos Ebrei, erano molto spesso oggetto di sospetti, gelosie e avversione, ci si può render conto di quanto grave fosse per loro il rischio di cadere nelle mani di un tribunale creato per mantenere l'incontaminata purezza della fede. Che il Cristianesimo di molti dei Conversos si riducesse a una patina superficiale è senza dubbio vero. La religione dei loro antenati 1'avevano nel sangue; non era qualche cosa che potesse essere gettato via con un atto di volontà. Continuavano a praticare in segreto i riti ai quali erano stati

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abituati, tributavano al Cristianesimo soltanto quell'ossequio formale e quell'apparenza esteriore, che erano necessari per salvarsi. Anzi, sembra che alcuni abbiano addirittura immaginato che fosse sufficiente un mero conformismo nominale: perciò presero meno precauzioni di nascondersi, di quello che non fosse prudente. Avevano grossolanamente frainteso la situazione. La Chiesa era ben decisa a non permettere la continuazione di pratiche ebraiche o musulmane sotto un lieve sembiante di Cristianesimo a nessuno che (quali che fossero stati i motivi per accettarlo) avesse ricevuto il battesimo".

L'espulsione dei mori da Valencia, da un dipinto di Pere Oromig

              Per parte sua l'Inquisizione aveva elaborato questi successivi pensieri e norme: prima del 1522 riteneva che i battesimi forzati non fossero validi. Nel 1522 iniziò un dibattito in proposito finché, nel 1525, stabilì che i battesimi erano validi e, in simultanea, a sostenere l'assoluta irragionevolezza del mantenere dei musulmani non convertiti ( mudéjares ) in Spagna. Ed in questo si ebbe perfetta convergenza con l'editto di Carlo V sulle conversioni forzate. A partire dal 1526 la religione musulmana non esisteva più ufficialmente in Spagna: tutti i mudéjares erano stati trasformati in moriscos . In dicembre 1526, mentre già 15.000 suoi famigerati Lanzichenecchi , al comando del generale Giorgio di Frundsberg facevano manovre nella pianura padana preparando il Sacco di Roma del 1527, Carlo V scriveva al Papa Clemente VII dicendo che la conversione così fatta non fu del tutto volontaria in molti di loro e dopo di essa non sono stati dottrinati, istruiti ed insegnati della nostra santa fede cattolica . Sempre in quell'anno i dirigenti dei moriscos di Aragona ottennero dalla corona e dall'Inquisitore Generale Manrique un accordo segreto secondo il quale, a fronte del pagamento di 40 mila ducati, si garantiva loro che non sarebbero stati perseguitati dall'Inquisizione per 40 anni. Ma l'Inquisizione, e come no ?, seguitò le persecuzioni con il fine di mettere mano alle terre che i moriscos avevano in concessione. Ma qui sorgevano problemi perché quelle terre erano di proprietà dei nobili e toglierle ai moriscos era toglierle ai nobili. I nobili reagirono contro l'Inquisizione che pretendeva anche il loro disarmo, denunciandola al Re che concesse proroghe. Il mantenere le armi fu la vera salvaguardia perché in Valencia dove i nobili non avevano ottenuto ciò, l'Inquisizione aveva razziato tutte le terre.

              Nel Regno di Granada, dove i moriscos erano circa la metà della popolazione, vi fu una più sottile spoliazione. Poiché in molti casi i moriscos non   avevano titoli di proprietà per terre che coltivavano da centinaia di anni, venne loro richiesto tale titolo. Chi non lo aveva vedeva le sue terre confiscate. Ciò comportò che tra il 1559 ed il 1568 oltre 100 mila ettari di terre passarono dai moriscos ai funzionari cristiani. Non soddisfatti di ciò che provocavano intorno i preti convocarono un sinodo a Granada nel 1565. In esso stabilirono che i moriscos erano convertiti ma la loro antica fede era così profonda che di fatto non l'avevano dimenticata e quindi era inutile considerarli conversi e seguire evangelizzandoli. L'unica cosa da fare era una repressione radicale. E si

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specificava in che modo: i moriscos non potevano più usare la loro lingua, il loro vestiario, la loro letteratura, i loro balli ed i loro riti tradizionali; le loro case dovevano essere periodicamente ispezionate; la giustizia doveva essere più severa; i bambini dovevano essere educati senza l'influenza negativa dei genitori. Queste proposte furono subito accolte dalla Corona che nel 1567 emise un decreto in tal senso. Inoltre si iniziarono a propagare notizie relative alla sicurezza della Spagna con tali personaggi in circolazione. Costoro sarebbero stati in contatto con la Turchia e con il Marocco per organizzare una invasione della Spagna; vi erano dei banditi nel nord che attaccavano i cristiani; erano in contatto amichevole con pirati africani che attaccavano le coste spagnole. Queste persecuzioni portarono ad una rivolta dei moriscos ( levantamiento de Alpujarras ) che iniziò con 4000 partecipanti la notte di Natale del 1568 e durò due anni, raggiungendo il suo massimo sviluppo nel 1569 con 30 mila rivoltosi. Regnante Felipe II, il Re della peggiore figura della storia con l'Invincibile Armata affondata nella Manica, vennero mobilitati 20 mila uomini di truppe scelte che operavano nelle Fiandre per sterminare i rivoltosi. Furono anche utilizzate espulsioni (1 novembre 1570) di 50 mila moriscos dalle terre di Granada verso la Castiglia, l'Andalusia Occidentale, l'Extremadura. Durante le espulsioni si calcola che un quarto circa delle persone morisse. La regione di Granada perse 120 mila moriscos o espulsi o ammazzati. Le terre che lasciarono furono occupate da 50 mila cristiani provenienti da varie parti dell'Andalusia, che però non erano in grado di portare avanti i metodi avanzati di coltivazione che venivano in precedenza utilizzati. Erano inoltre pigri e privi di ogni valore morale , come affermò il gesuita Pedro de León, confrontando i nuovi arrivati con i vecchi proprietari. Ciò significò il disastro economico per quella regione che in complesso perse un 30% di popolazione con l'altro 70% che vide abbassarsi drasticamente il livello, già basso, di vita.

L'espulsione dei mori da Alicante nel 1609 di Pere Oromig e Francisco Peralta.

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              Vi furono altre conseguenze da queste deportazioni di massa. La Castiglia che nel 1501 aveva circa 20 mila mudéjares si ritrovò a fine secolo a circa 100 mila moriscos con la conseguenza che anche i castigliani iniziarono a conoscere le tensioni fra comunità che fino ad allora non avevano avuto. Anche qui iniziarono scontri e violenze di modo che nell'arco del XVI secolo si generalizzarono gli scontri in tutta la Spagna, scontri che prima riguardarono interessi economici di cristiani, che dalle montagne ambivano le terre coltivate dai moriscos, e poi diventarono razziali. Dietro tutto ciò vi era sempre l'Inquisizione pronta ad intervenire dovunque vi fossero tensioni per reprimere i moriscos che rivendicavano un qualche diritto. In tutto il XVI secolo degli interventi dei tribunali dell'Inquisizione circa il 70% erano contro moriscos. Tanto erano perseguitati che i nobili proprietari terrieri dovettero intervenire non per amore dei moriscos ma perché le loro terre deperivano. I terratenenti si rivolsero all'Inquisizione chiedendo di essere più blanda. Ottennero risultati ma i moriscos inquisiti dovevano pagare. Si conoscono alcuni dati: nel 1565 in Aragona i moriscos dovettero pagare 17.800 reali; a partire dal 1571 a Valencia dovettero versare 2.500 ducati l'anno. Scrive Kamen (1995): "Anche se alcuni moriscos furono assimilati ed arrivarono ad essere veri cristiani, quasi tutti continuarono ad essere in conflitto con la fede ufficiale. A Granada e Valencia si continuava a parlare arabo, la circoncisione era comune, il clero musulmano circolava tra la gente. In cambio, in Castiglia e gran parte di Aragona la coesistenza con la comunità cristiana aveva diluito le pratiche tradizionali e la sopravvivenza dell'Islam si doveva più alla solidarietà comunitaria ed alla trasmissione orale dei costumi. In generale ai moriscos ripugnava la Trinità ed il carattere divino di Gesù, sentivano inoltre avversione ai sacramenti del battesimo, la penitenza e l'Eucarestia. Gran parte dell'ostilità era diretta specialmente alla figura del sacerdote, che era il loro principale contatto con il cristianesimo; da ciò i feroci assassinii di preti durante la rivolta di Alpujarras (regione vicina a Granada). Si mantenevano tutte le pratiche esterne dell'Islam: le preghiere, il digiuno del Ramadán, i lavacri rituali e la proibizione di determinati alimenti".

L'espulsione dei mori dal porto di Denia di Vicente Mostre

              Ebbene, ognuna di queste pratiche, a partire dal sinodo di Guadix del 1544 (che formalizzò pratiche precedenti), venne giudicata eretica e si applicò anche ai moriscos lo statuto della pulizia etnica ( limpieza de sangre ) che si era applicato agli ebrei. Fu negato ai moriscos l'accesso alle

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professioni liberali e ad incarichi pubblici tra cui il diventare sacerdoti (era accettato solo qualche medico). Ciò impedì loro di migliorare le condizioni sociali. L'agricoltura rimaneva loro solo in quanto risultavano insostituibili. Le loro terre erano le meglio irrigate e le più redditizie. In zone remote come l'Extremadura   riuscirono a mettere su comunità prospere. Tanto prospere che terre con un valore di circa 125 mila ducati venivano comprate dal Re Felipe II con un prezzo di rapina di 30 mila ducati (e la comunità che aveva creato tali terre risultava di nuovo espulsa e diventava errante per terre di Spagna). In definitiva, pian piano, i moriscos decidevano di ritirarsi verso il Marocco. Vi era un altro aspetto che creava molta paura tra i cristiani, il tasso di crescita dei moriscos rispetto al loro, dovuto anche al fatto che le giovani di quella etnia si sposavano molto giovani rispetto alle cristiane. Come risolvere questo problema ? Vennero fatte varie proposte: togliendo i bambini ai moriscos, proibire i matrimoni, castrare i giovani (proposta fatta dal vescovo Martin Salvatierra) ma alla fine l'espulsione si rivelò la più praticabile (proposta di Felipe II al Consiglio di Stato, del settembre 1592 ed accettata dalla Chiesa e dall'Inquisizione). L'opposizione dei nobili proprietari terrieri di Valencia e di Aragona ritardò di qualche anno l'applicazione della misura tanto che i gesuiti potettero gridare ai nobili (1608) di essere dei tiranni per impedire la cristianizzazione vera dei moriscos. In effetti i nobili non pensavano che ai loro interessi e preferivano una minoranza reietta da poter pagare poco a gente evoluta in qualche modo. Il decreto di espulsione arrivò definitivamente il 4 aprile del 1609 (erano esclusi quanti certificati dalla Chiesa come veri cristiani - anche se spesso non si tenne conto di ciò - ed i bambini minori di 6 anni) e non per la conversione dei nobili ma perché vi era stato un aumento di produttività durante il XVI secolo tale che chi, come la Chiesa, prendeva una percentuale sulla rendita delle terre ( la decima ) ne usciva beneficiato, chi aveva invece una rendita fissa (come la gran parte dei nobili) andava piano piano a non guadagnare a sufficienza per pagare i debiti (ad esempio, a fine secolo nella zona di Valencia, mentre la rendita dei nobili si moltiplicava per 4, quella della Chiesa si moltiplicava per 16). La nobiltà valenciana a fine secolo doveva dedicare un terzo delle sue entrate per pagare le tasse e non riusciva a compensare le perdite proprio perché l' affitto della terra era una quantità fissa che gli pagavano i moriscos. Con questa situazione economica, lo sbarazzarsi degli affittuari risultava conveniente (si sarebbero poi potute riaffittare le terre a rendita variabile). Su 300 mila moriscos presenti in Spagna, 300 mila furono espulsi dalla marina e dall'esercito verso il Marocco, Tunisi, Istambul, Salonicco (entro il 1614). Fu un disastro economico: da una parte decadde la produzione agricola e dall'altra gli introiti di tasse da parte dello Stato. Tutto questo da sommare alle spese di guerre continue, alle epidemie, ai cattivi raccolti.

              Con l'espulsione dei moriscos seguita a quella degli ebrei, come ha scritto lo scrittore messicano Carlos Fuentes, la Spagna, nel 1492, messa al bando la sensualità con i mori e l'intelligenza con gli ebrei, si avviò alla sterilità per i cinque secoli successivi.

              Ho seguito con qualche dettaglio le vicende in cui era impegnata l'Inquisizione in Spagna fino all'espulsione definitiva dei moriscos seguita a quella degli ebrei. Cosa accadeva nel frattempo fuori di Spagna ?   Nel 1517, quando era Papa Leone X, Lutero affiggeva le sue Tesi e nel 1536 Calvino iniziava la sua separazione dalla Chiesa di Roma. La ribellione di Lutero partiva proprio dalla vendita delle indulgenze che, dopo i precedenti vergognosi di altri papi, con Leone X erano diventate un affare osceno e diabolico con un vero e proprio listino di vendita vomitevole, la Taxa Camarae del 1517 (andare a leggerle queste indulgenze per credere ai livelli di degenerazione raggiunti dalla Chiesa non confrontabili con altri despoti assassini del mondo intero in tutta la sua storia). Iniziava la Riforma della quale mi occuperò nella Parte Terza di questo lavoro.

 

CONTRO LUTERANI, ERASMISTI, GIANSENISTI E MASSONI

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        Riguardo a persecuzioni diverse da quelle attuate contro musulmani ed ebrei, debbo dire qualcosa, molto in breve (non dimenticando le immancabili persecuzioni contro gli zingari e gli omosessuali delle quali però non mi occupo per mancanza di documentazione). I Luterani ebbero un'attenzione da parte dell'Inquisizione ma fu un qualcosa più per far discutere di un fenomeno elitario che serviva soprattutto a nascondere le azioni criminali continue contro ebrei e musulmani. Poca roba insomma. I protestanti in Spagna furono cancellati in solo una trentina d'anni (rispetto alle centinaia d'anni impiegati con le altre etnie) e con solo qualche centinaio di morti (si diventa molto cinici a trattare di serial killer). Il primo ordine contro i protestanti fu del 1521 quando l'allora Inquisitore Generale, Adriano di Utrecht, stabilì il sequestro di libri luterani anche se alcuni luterani, come Erasmo, avevano degli ammiratori negli stessi ambienti ecclesiastici. Intorno al 1530 non solo Erasmo era diventato pericoloso, ma anche i suoi ammiratori iniziarono a rischiare. Insomma la presa in giro da parte di Erasmo del clero tanto ubbidiente quanto ottuso sembrava soprattutto diretta ai preti e frati spagnoli molto più zelanti dei corrispettivi tedeschi ed italiani. E quella critica trovava d'accordo le persone di cultura, anche spagnole, ed anche tra i preti ed i frati colti ed aperti. Venne chiesto quindi di proibire Erasmo e di dichiarare eretiche alcune sue proposizioni andando a colpire le persone colte di Spagna che avevano apprezzato le critiche non perché erano luterani ma perché si conosceva il livello infimo della quasi totalità di preti e frati spagnoli.

        Veri luterani spagnoli si ebbero tra gli spagnoli operanti fuori dalla Spagna per le informazioni in più che avevano. In Spagna vi furono due sole città che conobbero marginalmente il fenomeno: Siviglia e Valladolid. Il primo riformatore spagnolo che finì al rogo, Francisco de San Roman, era originario di Burgos. Viaggiando in Europa era entrato in una chiesa luterana di Anversa dove iniziò a convertirsi fino al punto di divenire un fanatico propagandatore di Lutero. Carlo V, vigile sul suo impero ed anche molto bigotto, lo fece arrestare a Ratisbona e tradurre in Spagna. Qui fu ammazzato dalla folla armata di spade mentre si recava al rogo (brasero). In complesso fino a metà Cinquecento i protestanti incappati nell'Inquisizione in Spagna furono un centinaio, i quali risultarono quasi tutti stranieri.  Un grande rogo di protestanti (non più di 18 persone), che richiamò molto pubblico, si ebbe a Siviglia il 24 settembre del 1559. Un altro rogo si ebbe l'anno successivo con 14 tostature. Altri roghi (1562, 1564, 1565) si ebbero con stranieri (inglesi e fiamminghi) ed alcuni videro sequestrate le loro navi con le quali importavano di nascosto testi luterani. A Valladolid l'iniziatore del movimento protestante fu l'italiano De Seso che si recò in Spagna con molti libri luterani facendo propaganda. Il 21 maggio 1559 un grande rogo sulla piazza di Valladolid mise fine a De Seso ed ai convertiti. Ma il processo più importante e che dette molto da discutere in Spagna e fuori fu quello contro un importantissimo e notissimo arcivescovo cattolico, Bartolomé Carranza, accusato, forse per invidia da un suo avversario (Valdés), di essere un luterano. Era un grande studioso ed aveva una forte personalità. I suoi guai iniziarono nel 1558 con al pubblicazione del suo Commentarios sobre el catechismo cristiano, testo nel quale l'Inquisizione spagnola trovò proposizioni eretiche. Questo fatto insieme ad altri elementi che scavando furono messi insieme, spinsero gli inquisitori a chiedere al Re Felipe II l'arresto di Carranza che regolarmente, dopo l'arresto, fu tradotto al carcere di Valladolid (1558). Il processo però languiva, anche perché Carranza non era un poveretto, e ciò comportò una lunga permanenza in prigione, fino al 1567. Da Roma, nel 1565, Papa Pio IV aveva inviato dei giudici che a latere di quelli spagnoli sbrogliassero la questione. Non essendo riusciti nell'impresa, nel 1567, Papa Pio V inviò dei messi per far si che il giudizio si trasferisse a Roma. Anche qui il processo andò avanti fino al 1576 senza arrivare ad una conclusione ma, almeno, Carranza era prigioniero negli appartamenti del Papa a Castel Sant'Angelo. Solo con il Papa Gregorio XIII si arrivò alla sentenza di assoluzione (dopo 18 anni di galera) previa abiura di 16 proposizioni sospette di eresia che si trovavano nel suo libro. Non fu però rilasciato ma costretto a restare nella casa dell'ordine domenicano in Piazza Santa Maria

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sopra Minerva. Diciotto giorni dopo la sentenza, Carranza morì togliendo il disturbo ed il Papa (che brava persona !) gli eresse un monumento sulla tomba che fu realizzata proprio nella chiesa di Santa Maria sopra Minerva. A parte questo caso si può certamente dire che nel 1565 il fenomeno del luteranesimo indigeno era finito in Spagna.

        Ugualmente marginale fu l'intervento inquisitorio contro i Giansenisti. Il Giansenismo nacque nei Paesi Bassi e si diffuse in modo preoccupante la corona in Francia durante il regno di Luigi XIV. Nella Spagna, quasi del tutto impenetrabile ad ogni novità, ebbe una diffusione marginale che non si sarebbe neppure notata se non fosse stato per l'acerrima avversione verso questa ideologia dei gesuiti ancora potenti in Spagna prima della loro espulsione da parte di Carlo III nel 1767. Alla repressione dei giansenisti si aggiunse quella ai massoni subito dopo che il Papa Clemente XII nel 1738 ebbe individuato nella massoneria un'eresia molto perniciosa da sradicare con un forte impegno sia dell'Inquisizione che dei vescovi. Ma anche la massoneria in Spagna non era riuscita a penetrare più di tanto e solo in qualche persona colta con conoscenze all'estero. Solo poche logge massoniche furono fondate e soprattutto dal 1760 quando vi fu l'interessamento personale di Cagliostro.

        Altro fenomeno che interessò l'Inquisizione spagnola fu quello dei mistici che, come si può arguire, non si sa mai bene se sono cattolici in estasi o eretici in fieri. L'Inquisizione intervenne in questi casi ma in modo episodico e marginale. Anche la stregoneria fu argomento che occupò l'Inquisizione spagnola ma prima di passare a discutere quest'ultimo aspetto debbo fermarmi a fare una riflessione. Anche qui, facendo cinico, posso dire che se l'Inquisizione si fosse occupata solo delle questioni dottrinarie, di salvare cioè l'ortodossia cristiana e cattolica, si sarebbe trattato di un qualcosa di tollerabile. Ma, oltre i casi già visti vi era qualcosa di sottile che ampliava a dismisura il suo ambito di azione. Faccio un esempio per far capire meglio. Il peccato di fornicazione è all'interno dei comandamenti e spetta al confessore decidere l'assoluzione di tale peccatore. E' un fatto di Chiesa per il quale non serve l'Inquisizione. Ma l'Inquisizione riuscì ad entrare anche in queste cose nel modo seguente. Occorreva stabilire se si fornicava sapendo che era peccato o se si fornicava ritenendo che non fosse peccato. Il primo caso era del confessore, il secondo dell'Inquisizione. E chi lo stabiliva ? Ma l'Inquisitore ! E quanto qui detto per un particolare peccato valeva praticamente per tutti. Ma particolare rilievo lo ebbe contro la bigamia per distinguere tra chi ammetteva la poligamia ritenendola non peccato e chi invece aveva più donne peccando contro i comandamenti(13).

 

CONTRO LE STREGHE E LA MAGIA

 

        Fino al 1326, le supposte streghe e maghi vari, vissero abbastanza tranquilli. Era in vigore un regolamento ecclesiastico, il Canon Episcopi dell'872, elaborato in Renania e poi recepito nel Decretum Gratiani del 1147, la più importante raccolta medioevale di diritto canonico. In tali documenti si sostiene che le streghe non esistono, che le loro suggestioni sono provocate dal diavolo e che chi crede alla loro esistenza ed ai loro poteri commette peccato. Si dà perciò incarico ai vescovi ed ai sacerdoti di predicare per estirpare completamente dai fedeli tali erronee credenze. Le streghe possono solo entrare, con l'aiuto del diavolo, in incantesimi che provocano la sterilità e solo di questo possono essere accusate. Come accennato, questa posizione cambiò nel 1326 con la bolla Super illius specula di Papa Giovanni XXII. In essa si estesero le cose orrende che le streghe potevano fare con l'aiuto del diavolo. Tutti i riti delle streghe vedevano la presenza del diavolo quindi le streghe erano eretiche e come tali andavano perseguite dall’inquisizione ecclesiastica.

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Questa bolla aprì la strada ad un capitolo delle persecuzioni che produsse crimini inenarrabili. La pratica dell'astrologia era molto diffusa in Spagna (in realtà era ed è diffusissima nel mondo intero) dove donne, ebree e musulmane, andavano in giro a guadagnarsi da vivere facendo oroscopi, leggendo la mano, prevedendo il futuro e la fortuna, preparando pozioni per allontanare la mala sorte o il malocchio, il raccolto ed il bestiame. Non vi era alcun ostacolo a questa pratica. Con Giovanni XXII le cose iniziarono a cambiare e, attraverso varie successive norme, si arrivò agli inizi del Quattrocento quando la stregoneria fu definita con precisione a livello teologico. Esistono le streghe ed i loro sortilegi, i loro voli notturni, i loro incantesimi, tutto realizzato con l'aiuto del diavolo per ciò le streghe sono eretiche e devono essere condannate al rogo. Quanto detto fu sancito da un'opera di due domenicani tedeschi, Heinrich Kramer e Jacobus Sprenger, il Malleus Malleficarum (Martello delle streghe), del 1486 che era un trattato di demonologia nel quale si indagava la presenza del diavolo tra gli uomini e le sue complicità con le streghe, delle quali si elencavano tutti i possibili malefici e le pratiche perverse, con a lato il modo di operare in sede di tribunali dell'Inquisizione contro le streghe (ed i maghi). Da quest'opera inizia la caccia alle streghe che vedrà stragi orrende ed inenarrabili in tuta l'Europa del Cinquecento e Seicento (ma anche oltre). Ed in Spagna ciò coincise con l'avvento dei Re Cattolici e con la bolla pontificia citata del 1484, Summis desiderantes affectibus, di Papa Innocenzo VIII. Quindi la stregoneria era un'eresia e su di essa il Sant'Uffizio chiese ed ottenne l'esclusiva giurisdizionale nella repressione. Anche se in Spagna era un'eresia di serie B. I procedimenti dei processi erano analoghi a quelli per eretici ebrei e musulmani con una importante differenza: qui non vi era la tortura. Inoltre la stregoneria come tale non ebbe alcuna rilevanza rispetto a quella che ebbe invece in Germania ed Inghilterra. Due soli casi di stregoneria in Spagna meritano attenzione: quello del frate Froilán Díaz confessore del Re Carlo II d'Asburgo e del medico Torralba (citato nel Don Chisciotte).

        Il primo caso nacque perché il Re non riusciva ad avere discendenza pur essendo certo il suo confessore e medico (dal 1698) frate Froilán Díaz che non era impotente (la sua prima moglie Maria Luisa d'Orleans era morta nel 1689 senza aver avuto figli ed egli l'anno seguente si era risposato con Maríanna Palatinado-Neoburgo). Si sospettò che vi fosse stato un sortilegio contro di lui. Si sapeva che in quegli anni vi era un gruppo si suore in Cangas de Onís che si diceva fossero indemoniate e che per la loro bocca parlasse lo stesso diavolo. Il frate pensò che la cosa migliore fosse chiedere allo stesso diavolo qual era l'incantesimo che era stato fatto al Re ed il modo di curarlo. Il vescovo diceva che il Re era malato e non soggetto ad incantesimo e quindi dovevano essere i medici a curarlo e non i sacerdoti. Ma il frate non volle sentir nulla e chiese a frate Antonio di Cangas de Onís, che viveva nel convento delle suore, di mettersi sul petto della carta con i nomi del Re Carlo e di Marianna, che avrebbe dovuto avere un figlio da Carlo, e di chiedere al diavolo se una di quelle due persone era posseduta dal diavolo. Frate Antonio accettò con entusiasmo e per realizzare quanto gli era stato chiesto prese la mano di una suora indemoniata, la pose sull'altare e chiese al diavolo chi era soggetto ad incantesimo. La suora indemoniata, con una voce d'oltretomba (e come no ?), rispose che era Carlo e che l'incantesimo si era impossessato di lui quando aveva 14 anni a seguito di una cosa che aveva bevuto che gli ha distrutto il seme con cui generare. Per scacciare il maleficio il re doveva bere a digiuno un bicchiere di olio benedetto. Il Re accettò di curarsi in tal modo ma non migliorò. Si ricorse di nuovo al diavolo che disse che l'incantesimo era stato fatto il 3 aprile del 1675 con una tazza di cioccolato (con dentro un intruglio di cose che si leggono nei libri dell'orrore decadente) da una donna che voleva governare al posto suo. Occorreva oltre al bicchiere di olio benedetto ungergli il corpo con lo stesso olio e tenerlo lontano dalla Regina Marianna. Non accade ancora nulla ed il diavolo fu ancora consultato. Disse che Carlo era sano e che occorreva cambiargli le lenzuola ed i materassi, allontanarlo da Madrid e cambiargli medico e non volle più dire nulla. Si seppe però chi era la donna che aveva fatto l'incantesimo, tal Isabel. Fu rintracciata e sottoposta ad esorcismo. Poi gli esorcismi furono estesi allo stesso Carlo con il risultato che il poveretto aggiunse alla sua debole salute anche una debolezza mentale sempre maggiore tanto da farlo svegliare di notte e gridare per strane apparizioni che aveva. Alla fine di tanti tormenti durati due anni, Carlo II

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morì nel 1700 all'età di 39 anni senza avere discendenza propria e lasciando la corona a Filippo V d'Angiò motivo per il quale iniziò una lunga e dura guerra di successione. Per ciò che riguarda frate Froilán Díaz, la Regina Marianna venne a sapere che era stata coinvolta nell'esorcismo e pretese dal marito, nel 1699, il suo allontanamento dalla corte. Il Re lo inviò alla diocesi di Avila ma, prima che prendesse possesso del suo nuovo incarico, il suo successore come medico a corte lo fece arrestare dall'Inquisizione con l'accusa di eresia ed incarcerare a Valladolid. Ma il tribunale dell'Inquisizione sentenziò che non vi era motivo per l'arresto. Il frate riuscì a scappare a Roma dove fu fatto di nuovo arrestare e traslare in Spagna dove fu assolto in un secondo processo, finché il Santo Uffizio non lo rinchiuse definitivamente in un convento di Madrid. La morte di Carlo II sostenuta dalla casa Borbone contro quella degli Asburgo, fece cambiare il Grande Inquisitore (Mendoza) che simpatizzava per gli Asburgo e quindi perseguiva il frate Froilán Díaz. Quest'ultimo fu liberato e riabilitato dal nuovo Tribunale dell'Inquisizione.

Carlo II che non può avere figli

        Il secondo caso era quello del dottor Eugenio Torralba sul quale dico poco perché davvero non vale la pena seguire storie simili alla precedente. Un frate domenicano del XVI secolo dichiarò di aver regalato un diavolo di nome Ezechiele al dottor Torralba, medico dell'ammiraglio di Castiglia. Due cardinali, quello di Volterra e quello di Santa Croce testimoniarono di aver visto Ezechiele con il quale avrebbero avuto conversazioni intime in cui Ezechiele spiegò di essere stato una specie di angelo custode per tutta la vita di Torralba. Il Tribunale di Cuenca, in cui si svolse il processo il 29 gennaio del 1530, sentito della bontà di Ezechiele, assolse Torralba.

        Si potrà notare che la stregoneria qui non ha avuto spazio se il massimo del racconto può girare intorno a fatti del tutto insignificanti.

 

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IL PERICOLO DEI LIBRI

 

        L'invenzione della stampa a caratteri mobili fatta da Gutenberg intorno al 1450 diventò il principale nemico della Chiesa. La cosa peggiore che può accadere ad un regime chiuso, violento, criminale ed ottuso è la circolazione delle idee ed in breve tempo la stampa fu il veicolo su cui le idee iniziarono a camminare velocissimamente. Già nel 1501 Papa Alessandro VI, che da capo della Chiesa aveva capito tutto,  richiese ai vescovi tedeschi di essere estremamente vigilanti e di combattere gli abusi che si potessero realizzare  con l'invenzione fatta nel loro Paese. Se ci si sofferma a chiedersi quali abusi si possono fare con la stampa si capisce bene che sono solo quelli della circolazione del pensiero e delle idee. In proposito vi fu anche un apposito decreto del V Concilio Laterano (1512-1517) aperto da Papa Giulio II e chiuso dal Papa Leone X, quello della spudorata vendita delle indulgenze (Taxa Camarae, già citata). Si tratta del decreto pubblicato da Leone X il 4 maggio 1515 ed emanato sotto forma di Bolla, Inter Sollicitudines, che riguardava la censura preventiva dei libri, la cui stampa doveva essere autorizzata dalla Chiesa, a pena di scomunica (è la nascita dell'imprimatur). Ricordo qui di passaggio una cosa che riprenderò nel successivo articolo, a solo sei mesi di distanza da questo Concilio vi sarà la pubblicazione delle 95 tesi di Lutero che portarono alla Riforma. I tanto eminenti papi e cardinali non avevano capito nulla e fatto nulla contro un'operazione che tutti sapevano nell'aria.

Il rogo di 600 libri ordinato da Torquenmada nel 1490

        Già nel 1502 i Re Cattolici (altrimenti perché cattolici ?) avevano già messo in atto quanto la Chiesa deciderà 13 anni dopo: nessun libro poteva essere stampato, importato o venduto in Spagna e nei territori spagnoli senza una preventiva autorizzazione e licenza scritta. Restava fuori l'Inquisizione ed il tutto doveva andare a carico dei tribunali laici. Ma Torquemada era stato più lesto dei Re (perché più cattolico ?) in quanto già nel 1490, in un processo dell'Inquisizione aveva

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organizzato un rogo di 600 volumi contenenti, a giudizio del Tribunale, eresie ebraiche e d'altro tipo. Ufficialmente l'Inquisizione spagnola, con l'inquisitore Adriano di Utrecht,  si prese in carico il controllo dei libri nel 1522, a seguito della bolla di Leone X alla quale ho accennato. I libri proibiti dovevano essere consegnati all'inquisizione per essere pubblicamente bruciati. E gli Editti di Fede, per i quali gli eretici dovevano essere denunciati all'Inquisizione dovevano essere estesi ai libri di modo che i buoni cattolici che avessero letto un qualunque libro con dentro qualcosa che potesse essere ritenuta eretica, dovevano immediatamente denunciarlo. Il libro passava a degli esaminatori (calificadores) che dovevano dare il loro responso al Tribunale Supremo con il giudizio di proibizione, di espurgazione o di assoluzione. Perché tutto ciò fosse efficace e non si dovesse procedere più volte sul medesimo libro in diversi tribunali, fu necessario compilare un elenco di libri proibiti. Fu Carlo V che richiese una prima lista all'Università di Lovanio nel 1546 e qui una gran parte era dedicata ai testi luterani tra cui molte Bibbie prive di commento e quindi eretiche. Cinque anni dopo l'Inquisizione spagnola arricchì tale lista prima di pubblicarla in Spagna (Censura Bibliorum). Visto poi che vi era un gran contrabbando di testi luterani verso la Spagna, non tutti figuranti nella lista, l'Inquisizione spagnola decise che occorreva ripartire da zero con un proprio elenco di libri proibiti (Index Librorum Prohibitorum) ad imitazione di quanto era stato fatto a Roma dalla Congregazione della sacra romana e universale Inquisizione, sotto  Papa Paolo IV, nel 1558 (e di questo parlerò nel prossimo articolo). Naturalmente nell'Index dovevano comparire le Bibbie prive di commento e quelle scritte nelle lingue nazionali (in volgare), in grado cioè di essere lette dalle persone senza l'intemediazione del commento di preti e frati. Nel 1559, con la fervente collaborazione del medico e filosofo, ebreo converso, Francisco Sánchez, vide la luce l'Index spagnolo che dovette subito essere aggiornato in un'opera, Indici Quiroga (dal nome del Grande Inquisitore dell'epoca), in due volumi (il primo dei libri condannati ed il secondo di quelli da espurgare) del 1583 e 1584 realizzata dall'Università di Salamanca. E poiché per loro caratteristica e per fortuna tali indici invecchiano rapidamente, ne furono pubblicati altri nel 1612, 1632, 1640, 1707, 1747, 1790 (Indice Ultimo). Fatti gli indici occorreva vigilare e ciò si realizzò con improvvise perquisizioni in case private e con le perquisizioni estremamente accurate di ogni mezzo (nave o carro) che trasportasse merce in Spagna dall'estero. Per la parte navale la cosa era così lunga che spesso si ebbero addirittura proteste diplomatiche per i costosi ritardi che comportava la perquisizione minuziosa. Ma non vi fu nulla da fare.

        E' vero che molte opere proibite ad esempio in Italia (come Galileo, ad esempio) non lo furono in Spagna ma è altrettanto vero che il clima era plumbeo. E Turberville afferma che "la produzione letteraria e la ricerca scientifica furono entrambe talmente scoraggiate che la Spagna in misura non piccola venne tenuta isolata dalle correnti intellettuali del mondo esterno.

 

E NELLE AMERICHE ...

 

        Le Americhe, per parte loro, furono solo considerate, dai Re Cattolici e successori, territorio di conquista, di rapina, di massacri. Ho già detto che poiché i nativi erano considerati senza anima, come animali, non incorrevano in nessuna repressione da parte dell'Inquisizione. Questa operava sugli spagnoli che andavano lì ad operare. Solo più tardi, purtroppo per le vittime, la teologia decise che anche gli indios avevano anima e qui iniziarono i massacri per convertire chi era distante anni luce dal capire cosa potesse essere Gesù, la Trinità. l'Eucarestia e la transustanziazione. Non intendo qui entrare nei dettagli che hanno dato alimento alla già citata Leggenda Nera ma dare solo dei dati riconosciuti anche dai testi spagnoli; in pochi anni, a partire dallo sbarco di Colombo, più del 90% degli indios trovò la morte. Generalmente, in casi del genere si parla di genocidio ma storici

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spagnoli fanno dei sottili distinguo con l'altra parola, che accettano, etnocidio. Sarebbero state le malattie importate dalla vecchia Europa ad uccidere (lo straordinario è che nessun fenomeno inverso, di proporzioni simili, sia avvenuto). Certo è che i Cortés ed i Pizarro, alla ricerca di sempre maggiori tesori (Eldorado), distrussero le civiltà Inca, Maya, Azteca. E a nulla valsero le proteste di frate Bartolomé de las Casas che scrisse (1522) una Brevissima relazione della distruzione delle Indie che l'Inquisizione aveva titolato Storia e brevissima relazione della distribuzione dell'India orientale: i suoi scritti non furono fatti circolare e furono ripubblicati solo nel 1879. 

 Alcune delle violenze sugli indios denunciate da frate Bartolomé de las Casas

         Nel 1522, solo un anno dopo la conquista della capitale azteca, l'attuale Città del Messico, venne inaugurato in quella città il Tribunale dell'Inquisizione con l'evidente ed unico fine di colpire gli ebrei convertiti, i conversos, che per caso fossero riusciti ad arrivare fin lì nei successivi viaggi dalla Spagna anche per sfuggire dalle persecuzioni (altri tribunali sorsero nella stessa epoca a Lima nel 1570 e a Cartagena de Indias nel 1610. Quindi si moltiplicarono: Antille, Panamà, Santa Marta, Bogotà e Popayàn). Ma la Chiesa era stata molto pronta ad intervenire ben prima del Tribunale di Città del Messico: già dal settembre 1493 il papa aveva inviato alle Americhe una delegazione di 12 tra preti e frati guidati dal benedettino Bernardo Boyl con pieni poteri per fare da testa di ponte della Chiesa in terre remote ed in questioni di fede. Fino al 1580 le cose furono tranquille con solo qualche rogo a Città del Messico (è noto quello dell'8 dicembre 1596 con una sessantina di condannati di cui 9 al rogo) anche perché dalla Spagna vi era stato l'impegno di far imbarcare solo cristiani vecchi, cioè  veri e perché fu la stessa Isabella nel 1501 a proibire l'ingresso nelle Americhe a ebrei, musulmani, convertiti delle due fedi, eretici, pentiti. A partire da quel 1580 che vide l'unione di Spagna e Portogallo sotto il regno di Felipe II, iniziarono ad arrivare ebrei che fuggivano dal Portogallo e che erano arrivati nelle Americhe su navi portoghesi. L'Inquisizione portoghese, alla fine del secolo XV, aveva operato con gli ebrei con molto maggiore durezza obbligandoli a convertirsi e basta per cui i marrani portoghesi erano in numero molto maggiore e tra gli ebrei portoghesi la voglia di andarsene era, se possibile, maggiore. I marrani portoghesi lavorarono molto intensamente per corrompere il Re Felipe III: per l'enorme cifra di due milioni di ducati Felipe III intercesse con il Papa e fu concesso loro nel 1604 il perdono generale per i delitti presenti e passati e la restituzione dei beni confiscati. I tribunali ordinari rispettarono gli accordi ma

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l'Inquisizione andò avanti contro i marrani portoghesi realizzando vari processi e roghi. Intorno al 1625 le minacce esterne dei pirati sparsero molti timori di tradimenti interni e l'attenzione sui portoghesi crebbe a dismisura anche perché erano diventati una potente, ricca e prospera comunità. A Lima nel 1634 fu scoperto un cassiere portoghese che aveva rapporti con i pirati. Fu l'occasione per aprire le carceri a tutti i portoghesi ricchi (sic!). Se ne dovettero costruire di nuove, tanti furono gli arrestati e, nel frattempo di quel primo cassiere si persero le tracce ... Sul fronte dei giudaizzanti quindi i tribunali ebbero un fermo fino a circa il 1625 ma essi ebbero anche da lavorare con gli indigeni convertiti con la spada anni addietro e che ora tornavano all'idolatria, il problema era simile a quello di ebrei e musulmani con una differenza importante: con gli indigeni non era il caso di essere troppo severi perché non avevano ricchezze da farsi espropriare. Altro fronte che presto si aprì al di là dell'Atlantico fu quello dei riformatori luterani che arrivavano per vie completamente diverse, cioè dai Paesi Bassi e dall'Inghilterra.         La repressione degli ebrei e musulmani, convertiti o no, tese a venir molto meno man mano che passava il XVIII secolo. I Tribunali iniziarono ad occuparsi di ciò che al momento li preoccupava di più: le nuove idee dell'Illuminismo, i filosofi che divennero molto più pericolosi degli altri, ai loro libri. Ed il fatto nuovo e dirompente era che questi illuministi e razionalisti non si occupavano solo di problemi teologici ma di questioni economiche, sociali, iniziando a chiedere libertà civili e politiche. Così che l'Inquisizione spostò il suo interesse più nella difesa degli interessi dello Stato assolutista che in quella della Chiesa dalle eresie. Ci vollero i primi anni dell'Ottocento perché, anche con rivolte popolari, l'Inquisizione fosse definitivamente abolita.  

 

EFFETTI SULLA CULTURA

 

        A lato di quanto ho sommariamente raccontato vi è la creazione di una cappa di piombo sull'intera Spagna, cappa che deve bloccare ogni intervento anche solo culturale, uno studioso, un libro, ..., dall'estero. Di questo ho trattato in altro articolo, Perché non si è sviluppata la scienza in Spagna. Il ruolo della Chiesa, e ad esso rimando. Qui riprendo solo qualche linea generale.

        Mentre l'Inquisizione, come visto, funzionava a pieno ritmo, le Università erano in mano alla Chiesa (domenicani e gesuiti). Chi insegnava in questi luoghi, non vedeva in nessun momento accertate le sue capacità, allo stesso modo di quelli che uscivano da queste Università. Il processo di cattiva trasmissione del sapere moltiplicava gli effetti della decadenza. E, come affermano i fratelli Peset, le scuole teologiche domenicane e gesuitiche discutono con sterili elucubrazioni scolastiche, quando altri orizzonti e realtà si stanno imponendo nella scienza europea del momento. Ecco, qui l'Inquisizione ebbe un ruolo importante: niente poteva entrare in Spagna senza sei revisioni censorie e, di fatto, entrava quasi nulla. Anche ogni altra forma di educazione era in mano alla Chiesa e le pochissime scuole non gestite direttamente da ordini religiosi erano regolarmente ispezionate da vescovi che esaminavano i maestri e censuravano i testi. E l'educazione scolastica riguardava essenzialmente quel circa 10% di popolazione benestante e soprattutto quella piccola percentuale di nobili (nel 1768 i nobili in Spagna erano 722.000. Trent' anni dopo, in un clima di austerità di nuovi titoli, i nobili si ridurranno a 402.000). Fino al 1767 il Seminario dei Nobili di Barcellona, gestito da Gesuiti, oltre alle normali discipline che si studiavano in una scuola superiore - classici greci, latini, spagnoli, arte di comportarsi - aveva un programma che oggi chiameremmo sperimentale con lezioni di danza, musica e scherma. Norma da rispettare scrupolosamente era: non bisogna essere amici o avere confidenza con ragazzi umili di nascita, il vero spirito della Chiesa. Le

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scuole, a tutti i livelli, lavorano con dispute e sillogismi su date affermazioni. Anche la teologia era arretrata, e la giustizia, che lavora con tempi lunghi tali da essere fatali ai miserabili. L'isolamento della Spagna era totale. La medicina era Galeno; la matematica era Euclide; l'astronomia era Tolomeo. Queste cose pur previste in vari programmi di Università e destinate alla crema della crema della nobiltà e dell'alta borghesia terriera erano completamente disattese, le aule erano deserte e si riempivano solo quando veniva presentato qualche fatto spettacolare che raccoglieva anche l'applauso. In generale noia e sbadigli. Anche la musica è solo musica sacra: il riferimento è Pierluigi da Palestrina (seconda metà del XVI secolo). Lo stesso accade per il teatro; solo verso la metà del '600 viene aperto a Madrid il teatro italiano del Buen Retiro dove vennero introdotti sipario, scenari mobili, macchine, effetti speciali. Sono Cervantes e Quevedo le testimonianze ironiche e più dure su quella Spagna.

        L'impero spagnolo cominciò a smembrarsi a partire dal 1648. Tutto il '700 fu un rosario di guerre per tentare di mantenere uniti i vari pezzi. Gli inquisitori ebbero da fare gli straordinari essendo per questo molto ben ricompensati. Fino all'avvento dei Borbone (Filippo V nel 1700) gli inquisitori avevano il privilegio di non pagare le tasse nazionali e da qualche amministrazione locale avevano ottenuto l'esenzione da alcune tasse. Inoltre: quando viaggiavano avevano diritto ad alloggio gratuito ed a pagare il cibo scontato; erano esentati dall'obbligo di tutti i cittadini di alloggiare gratuitamente i soldati; erano autorizzati a portare armi; erano sottratti alla giurisdizione di altri tribunali inquisitori (il migliore privilegio). Le spese generali dello Stato crebbero e le finanze precipitavano. La decadenza. Le Università peggioravano il loro livello. Quelle specializzate in medicina, le uniche scientifiche esistenti, lavoravano ancora con Galeno. Alcuni illuminati aiutarono sulla strada del disastro sostenendo che ormai era stato inventato tutto ed era quindi del tutto inutile perdere tempo (Juan Andrés, 1788). Racconta uno storico spagnolo di un italiano che nel 1755 viaggiava per la Spagna e che restava di sasso assistendo ad una lezione di medicina nella quale si discuteva su che utilità era per l'uomo l'avere un dito più o uno meno. E l'impertinente turista commentava: visto che occorre tagliarsi le unghie per ragioni igieniche, occorre sapere se occorre cominciare con la mano destra o la sinistra e poi, se con il pollice o il mignolo. A quello stesso turista, in una ricchissima biblioteca dove non figurava nessuno dei 'grandi', chiesero se esistessero in Italia tali biblioteche. Egli rispose che per fortuna no; però se un giorno se ne mettesse su una non si tarderebbe a mandare tutti i volumi in cucina per accendere il fuoco. E tali disquisizioni erano di interesse anche in Teologia se ci si chiedeva: Il cioccolato è un cibo o una bevanda? Gli gnomi hanno il senso del tatto?.

        E con queste basi culturali, durante il Settecento, l'Inquisizione fu occupata a fondo contro gli illuministi (oltreché contro giansenisti e massoni): niente doveva entrare dalla Francia. Anche qui si perse il treno confondendo effetto con causa e dando di nuovo le spalle (per altri 50 anni) alla scienza e cultura europea. Voltaire, Rousseau, D'Alembert, Diderot, non entrarono in Spagna. La stessa Encyclopédie fu vietata. Si può indicare il 1720 come la data in cui l'Inquisizione riprese pieno vigore per scatenare una nuova ondata repressiva.

       Il nuovo sovrano, il despota illuminato Carlo III, proveniente da Napoli, si portò al seguito ingegneri, architetti ed artisti vari. Ed a lui si deve nel 1767 il decreto di espulsione dei gesuiti (circa 3.000) dalla Spagna (e la cosa fu ben accolta dal resto della Chiesa anche perché lo stesso Papa aveva spinto in questo senso). La vicenda non era un qualcosa di interno alla Spagna peninsulare (dove i gesuiti erano ottimi maestri per i nobili) ma riguardava quelle Missioni che i gesuiti stessi avevano fondato in America del Sud, lungo una linea che interessava il percorso dei fiumi Paranà e Iguazù. Questi territori, dove fin dal 1607 si erano messe su delle organizzazioni civili che rasentavano l'utopia, erano materialmente di intralcio al traffico degli schiavi (fiorentissimo) tra Brasile, Argentina, Paraguay, ... Fu discretamente suggerito a Carlo III dagli ambasciatori dello Stato della Chiesa di terminare con quella esperienza ... (Papa Clemente XIII). Dopo qualche anno

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quando i Gesuiti abbandonarono quei luoghi perché espulsi, tutte le Missioni furono distrutte ed i superstiti schiavizzati.

        Il posto dei gesuiti nell'insegnamento fu preso da ordini religiosi generalmente a livelli culturali molto più bassi. Ma in ogni caso ciò non toglieva nulla a quel quadro desolante. L 'Inquisizione continuava a funzionare in piena sintonia con la corona: é un sistema che vigila su ogni aspetto della vita civile, quello economico e sociale, quello ideologico e morale, quello intellettuale e culturale. Il Re si rende però conto dell'arretratezza della Spagna e fa scrivere all'abate de la Gandara degli Appunti sul bene di Spagna (1762-1763). Ma si resta sul piano delle sterili enunciazioni. Al contrario, l'ideologia onnicomprensiva Stato-Chiesa renderà impossibile per sempre la terribilmente assente rivoluzione borghese. Continua anche il disprezzo per ogni attività pratico-manuale tanto che lo stesso Re dovette emanare (1783) un decreto in cui si leggeva: Dichiaro che non solo il mestiere di conciatore, ma anche quello di fabbro, di sarto, calzolaio, falegname ed altri simili sono onesti e onorati; che l'esercizio di essi non rende vile né la famiglia né la persona che ne fa professione ... .

        Non poteva mancare una reazione allo scoppio della Rivoluzione Francese. Nel 1789 il Re Carlo IV di Spagna, spaventato per quanto accadeva in Francia, fece proclamare eretiche le basi su cui poggiava la Rivoluzione e l'Inquisizione lavorò di conseguenza ordinando i sequestri di ognis critto proveniente dalla Francia.

        Insomma, se si studia a fondo la Storia di questo affascinante Paese, che è la Spagna, si scopre quale nefasto seguito abbiano avute le scelte della Chiesa in simbiosi con la Corona. Un Paese, con tutte le Americhe annesse, nel quale ad esempio non si è fatta scienza, in cui non esiste un teorema Martinez o Gonzales, che a fronte di un'arte e letteratura eccellenti, furono completamente tarpate le ali ai migliori spiriti del Paese. Un Paese che oggi ce la sta mettendo tutta per emanciparsi, avendo ormai lasciato solo l'Italia indietro. Perché noi, in questo sfortunato Paese, abbiamo le radici cristiane ....

 

CONCLUSIONE

 

        Le poche parole di conclusione le riprendo dal libro di Tuberville perché esprimono bene la tragicità dell'Inquisizione Spagnola.

L'importanza del Santo Uffizio nella storia interna della Spagna consiste principalmente nella persecuzione dei Mori e degli Ebrei. Esso fu uno strumento per distruggere coloro che, obbligati ad accettare una religione straniera, in cui spesso non erano adeguatamente istruiti, in siffatte condizioni avevano scarse ragioni di amarla. Lo spirito ostile adottato verso queste due etnie sotto Ferdinando e Isabella: condusse alla esclusione di coloro che rimasero fedeli alla loro vecchia fede, e rese intollerabile la vita ai convertiti. Esso pose fine ai rapporti amichevoli fra le diverse etnie che, nonostante le guerre moresche, in complesso avevano prevalso durante il Medio Evo, e rese impossibile qualsiasi unità degli animi. La politica di proscrizione, se contribuì temporaneamente al tesoro regio, impoverì il paese, cacciandone fuori alcuni degli elementi più industriosi e frugali della popolazione, e privando gli uffici pubblici e le professioni di molti fra i più abili e adattabili dei suoi abitanti. A un Re come Filippo II l'uniformità religiosa del paese sembrava cosa di maggior importanza che il suo benessere economico. E l'uniformità religiosa fu infatti preservata, ma al duro prezzo della rovina delle industrie.

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Il declino della Spagna, spesso attribuito all'esistenza dell'Inquisizione, quasi come se ciò fosse del tutto ovvio e non richiedesse discussioni né dimostrazioni, fu in realtà dovuto alla debolezza del sistema industriale e alla politica: economica del tutto sbagliata, a "un'incapacità per gli affari economici che sembrava quasi ispirata". Vaste zone del paese, specie in Castiglia, erano sterili; l'agricoltura, anche quando le condizioni erano favorevoli, era spesso trascurata; e l'accumulazione dei metalli preziosi estratti dalle miniere peruviane fece salire il prezzo delle derrate presso un popolo che era composto in prevalenza di contadini coltivatori. Questi mali vennero aumentati dall'espulsione degli abitanti non cristiani, che non fu dovuta all'Inquisizione, ma fu certamente un'altra manifestazione di quello stesso spirito di intolleranza che produsse l'Inquisizione. Al contempo, è perfettamente vero che il Santo Uffizio produsse un grave danno economico col suo sistema delle confische. Il sequestro automatico della proprietà degli eretici interessava la Corona, perché arricchiva le entrate regie, provvedendo altresì al mantenimento dell'Inquisizione stessa; ma soltanto un ben miope sguardo poteva vedere in questa costante calamità privata un profitto per lo Stato. Vi era infatti una rovinosa carenza di capitali, che privò sempre il Paese delle risorse necessarie al suo sviluppo; e d'altra parte l'inevitabile incertezza: sull'identità di coloro sui quali questa specie di tempesta poteva prossimamente cadere, pregiudicava irrimediabilmente il credito e la fiducia, che sono la vera linfa vitale del commercio. Un altro dei mali della vita spagnola cui l'Inquisizione contribuì indubbiamente, è costituito dalle deplorevoli concezioni della limpieza e della mala sangre. Il culto della limpieza stabilì il più dannoso sistema castale che sia immaginabile. Il sangue puro contava più che l'abilità; ciò impediva al paese di fare il miglior uso delle sue risorse di capacità umane. La filantropia moderna considera con inquietudine la macchia permanente che è gettata su di un malfattore, e, dopo che egli abbia espiato la sua colpa, cerca di aiutarlo a ricominciare la sua vita come membro degno della società. L'Inquisizione non solo rovinava completamente la carriera del colpevole, ma puniva anche intere generazioni di innocenti discendenti. Così veniva inferto un grave danno tanto alla comunità quanto a molte infelici famiglie. È inoltre vano e sciocco voler sostenere che nessun danno sia stato procurato dall'Inquisizione e dal suo sistema di censura allo sviluppo intellettuale della Spagna. Essa, è vero, lasciò aperti parecchi campi alla ricerca e alla speculazione; ma ne chiuse definitivamente molti altri. L'attività intellettuale era condizionata e diretta da una forza interessata non già al progresso, ma alle restrizioni e ai divieti. Lo spirito ardito e avventuroso era soggetto all'influsso repressivo di coloro che, se non avversavano di fatto l'avventura, ad ogni modo non avevano alcun desiderio di incoraggiarla. Non era salutare spiegar le ali, prender parte a ricerche e controversie intorno ai massimi problemi dell'esistenza. Studiosi che aborrivano la sola idea dell' eresia, si trovavano in qualche caso gettati in prigione per mesi e anche per anni, mentre i loro scritti erano sottoposti al giudizio di censori che erano loro intellettualmente assai inferiori. Quando scrittori come Luis de Leon, Juan de la Cruz, El Brocense vengono citati per provare che l'Inquisizione non danneggiò la vita intellettuale del paese, bisogna rispondere che tutti e tre, e innumerevoli altri, furono convocati davanti all'Inquisizione; che alcuni di essi si videro interrompere il lavoro prediletto da un amaro periodo di prigionia, e distruggere la pace spirituale dal tormento di un processo inquisitoriale. Un sistema che sottopose a un tal trattamento alcuni dei più grandi scrittori e pensatori di cui la Spagna è oggi giustamente orgogliosa, era ovviamente pregiudizievole alle scienze e alle lettere. Se uomini di grande riputazione e di vita intemerata potevano esser portati davanti all'Inquisizione, forse per niente di più grave che alcune incaute espressioni, molti debbono averne tratto la conseguenza che era meglio star zitti e non esprimere affatto dei pensieri originali. Mariana, che critica il modo in cui l'Inquisizione provocò sofferenze agli innocenti, lamenta anche la soffocazione della libertà di parola cui essa dava luogo. Juan de Luna, scrivendo nel 1620 sull'ignoranza dei suoi connazionali, la ritiene scusabile, perché ne attribuisce la colpa agli Inquisitori. Come il vento squassa le foglie, egli dice, così il nome dell'Inquisizione fa tremare ogni cuore. Con ciò giungiamo all'aspetto forse più odioso del sistema inquisitoriale: all'atmosfera di paura e di sospetto che esso deliberatamente creò e diffuse. Mediante i suoi Editti di Fede, l'Inquisizione

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dichiarò sistematicamente che la delazione era cosa degna di lode; con la soppressione del nome dei testimoni, la rese facile e sicura. Mise l'animo nobile alla mercé del volgare, il coraggioso alla mercé del vile, il generoso alla mercé del malvagio. Le virtù della fiducia reciproca, della comprensione della simpatia furono scoraggiate. Per di più, era un aspetto essenziale del sistema che l'incorrere in sospetto diveniva virtualmente un crimine. Era quasi impossibile lasciare il tribunale davanti al quale si fosse stati calunniati, senza un marchio sul proprio onore. Gli Inquisitori non discutevano neppure se l'accusato fosse colpevole o innocente, ma cercavano di stabilire in quale misura fosse colpevole. Le strutture caratteristiche della procedura dell'Inquisizione Spagnola urtano con le concezioni moderne dell'imparzialità e della ragionevolezza. L'intero onere della prova era gettato sul convenuto, che al contempo era privato quasi del tutto dei mezzi per poterla effettivamente tentare. La diffusa atmosfera di segretezza, il rifiuto di permettere qualunque scambio fra il prigioniero e i suoi amici e parenti, la soppressione dei nomi dei testimoni, l'assenza di una difesa realmente efficiente, la mancanza di ogni possibilità di contro-interrogatori, l'utilizzazione della tortura, la faticosa e anzi snervante lentezza del processo: tutti questi ostacoli combinati insieme rendevano eccessivamente difficile a qualunque accusato stabilire la propria innocenza. Vi era solamente una via di scampo che non presentasse ostacoli quasi insormontabili: fare ciò che l'Inquisizione voleva, confessare che le accuse a proprio carico erano vere, dichiararsi pentito ed essere così riconciliato. Per i più, la maggiore infamia collegata all'Inquisizione è l'uso del rogo. È vero che il Santo Uffizio ripudiava ogni responsabilità per la morte dell'eretico che consegnava al braccio secolare; ma si trattava di un ripudio meramente formale; gli autori di manuali e trattati inquisitoriali non esitano infatti a dichiarare che la morte sul rogo è l'unica pena giusta e adeguata per l'eretico ostinato o recidivo. L'Inquisizione Spagnola mostrava molto meno riluttanza a portare l'accusato al rogo, che non l'Inquisizione medioevale o la restaurata Inquisizione romana, e sebbene, come si è visto, gli archivi non permettano alcuna stima esatta del numero totale di coloro che furono bruciati, possiamo dire con certezza che nelle prime decadi dell'Istituzione essi debbono essere computati a migliaia. Si riconosce che le vittime erano molto più numerose sotto Torquemada e i suoi immediati successori, che in qualsiasi altro periodo posteriore, e che le consegne al braccio secolare furono invece poche e assai distanziate l'una dall'altra nell'èra della decadenza dell'Inquisizione: ma anche nel migliore dei casi il Santo Uffizio ha certo un terribile primato di distruzione. Balmez, mentre approva l'esistenza e il lavoro dell'Inquisizione Spagnola, ritiene che essa avrebbe potuto effettivamente preservare il paese dai pericoli dell'Islam, dell'Ebraismo e del Protestantesimo, anche senza far uso del rogo, e rimpiange che con ciò abbia offerto ai nemici del Cattolicesimo l'occasione di accusare la Chiesa di aver versato del sangue umano. Bisogna infine obiettare all'Inquisizione Spagnola che essa fu responsabile di un gravissimo danno morale. In primo luogo perché in qualche caso il suo operato contribuiva a distorcere i valori morali. I preti trovati colpevoli di quel crimine singolarmente ripugnante che consisteva nell'usare il confessionale per propositi immorali, erano puniti ben leggermente. È vero che l'Inquisizione era un tribunale per la punizione dell'eresia, e non dell'immoralità; ma d'altra parte essa cercava di ottenere la giurisdizione esclusiva su questi casi, e il risultato era che questo reato veniva colpito con pene del tutto inadeguate. In secondo luogo, gli spettacoli che l'Inquisizione deliberatamente allestiva per l'ammonizione o l'edificazione del pubblico (la fustigazione per le strade, gli orrori del brasero, ecc.) non erano meno degradanti per gli spettatori, di quel che non fossero crudeli per le vittime. Rincresce non tanto il fatto che il Santo Uffizio non fosse peggiore dei tribunali secolari, ma: che non gli sia stato possibile essere migliore. È penosamente assurdo che un tale sistema debba essere stato amministrato dai ministri di Cristo e nel Suo nome. Ma se dobbiamo necessariamente ripartire il biasimo per tali orrori, bisogna esser giusti. Non· era soltanto l'Inquisizione che portava a questi spaventevoli estremi le conseguenze della fanatica convinzione della suprema importanza dell'ortodossia. Quando Zwingli parlò una volta, in un ardente discorso, dell'assemblea raccolta in Paradiso di tutti i santi, gli eroi, i fedeli, di Abe1e ed Enoc, Noè, Abramo ed Isacco, insieme con Socrate, Aristide, Antigone, Numa, Scipione e Catone,

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Lutero disperò che Zwingli stesso potesse salvarsi. Nessuna età nessuna religione, nessun paese ha avuto il triste monopolio delle crudeltà commesse per i più alti motivi. La storia dell'Inquisizione Spagnola è una storia spaventosa:, ma è anche qualcosa di più: essa è una storia tragica. Alcuni dei suoi funzionari possono essere stati sfrenatamente crudeli e indegni di ciò che i suoi membri migliori consideravano come un'alta vocazione; ma vi erano d'altra parte Inquisitori, dotati del carattere più elevato, ed ispirati dai motivi più puri, i quali molto seriamente pensavano di essere impegnati nella lotta per difendere la Chiesa di Dio e il suo Cristo dagli assalti del Demonio. Così, non vi può esser dubbio che anche fra i prigionieri molti furono giustamente puniti per le loro perversità e le loro opinioni nocive; mentre altri, pur di nobile carattere, sinceri o no del credo che professavano, quando giunse la prova mostrarono ben scarso coraggio; ma ve ne furono altri ancora che persistettero fino alla fine e morirono martiri della loro devozione a una interiore convinzione di verità. È nell'urto fra uomini di animo nobile da entrambe le parti, fra differenti concezioni della verità, fra gli ideali in conflitto dell'unità della fede religiosa e dell'integrità intellettuale; è nella pietosità dei fraintendimenti, delle crudeltà, delle sofferenze e degli eroismi, che derivano da questi antagonismi spirituali, che risiede l'interesse imperituro della storia dell'Inquisizione Spagnola.  

 

NOTE

(0)  Nel 1377 Gregorio XI riportò la sede papale a Roma. Nel 1309, infatti, la sede del Papa era stata trasferita ad Avignone da Papa Clemente V, un Pupazzo nelle mani del Re di Francia Filippo IV il Bello. La sede papale rimase quindi ad Avignone per circa 70 anni con i seguenti papi: Clemente V, Giovanni XXII, Benedetto XII, Clemente VI, Innocenzo VI, Urbano V, Gregorio XI. Il Papa Gregorio XI morì nel 1378. A questo punto da Roma vi furono delle sollevazioni contro la possibilità che di nuovo vi fosse un Papa francese. I cardinali si spaventarono ed in Conclave (1378) elessero Papa un napoletano vescovo di Bari con il nome di Urbano VI. Solo 5 mesi dopo vi fu un generale ripensamento da parte dei cardinali che lo avevano eletto perché questo Papa non si mostrò all'altezza. Gran parte di essi si riunì in un secondo Conclave a Fondi (vicino Roma) ed elesse il francese Clemente VII come nuovo Papa senza esautorare il precedente Urbano VI. La sede papale per Clemente VII tornò ad essere Avignone. A partire quindi dal 1378 al Papa di Roma si associò un antipapa di Avignone, il primo dei quali, fino al 1394, fu il citato Clemente VII ed a questi seguì lo spagnolo Benedetto XIII fino al 1398 quando i cardinali francesi lo ripudiarono ed imprigionarono proprio ad Avignone non riconoscendolo più come Papa (Benedetto XIII sarà dichiarato decaduto dal Concilio di Costanza nel 1417 dalla Chiesa riunificata, mentre fino alla sua morte nel 1423 sarà ancora considerato Papa per i regni di Navarra, Aragona e Castiglia e per la Scozia).  Il fatto straordinario è che i due papi avevano identica legittimità perché eletti dal medesimo collegio di cardinali. L'evento iniziato nel 1378 fu chiamato Scisma d'Occidente. La divisione del papato in due comportò una divisione politica dei vari Paesi europei con Francia, Aragona, Castiglia, Borgogna, Napoli, Scozia, Cipro, Savoia dalla parte del Papa di Avignone e con Inghilterra, Portogallo, Danimarca, Norvegia, Svezia, Polonia, Ungheria, Irlanda, Stati italiani dalla parte del Papa di Roma.

Dopo un tentativo di sistemare la brutta vertenza che rischiava di delegittimare definitivamente la Chiesa fatto in un Concilio a Pisa nel 1409 (quando, in luogo dell'arrestato Benedetto XIII, venne eletto un altro antipapa, Alessandro V che fu avvelenato nel 1410 dal suo successore Giovanni XXIII) venne convocato un Concilio a Costanza (quello in cui arrostirono Jan Hus del quale ho parlato nel precedente articolo) per il 1414 (che poi si chiuse nel 1417). A Costanza si trovò

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l'accordo: furono deposti Giovanni XXIII e Benedetto XIII, mentre Gregorio XII preferì dimettersi spontaneamente; fu eletto come nuovo pontefice il cardinale Oddone Colonna, che assunse il nome di Martino V; la sede papale ritornò a Roma; nella linea di successione concordata sono da considerarsi papi Urbano VI, Bonifacio IX, Innocenzo VII, Gregorio XII e Martino V; sono considerati antipapi Clemente VII, Benedetto XIII, Alessandro V e Giovanni XXIII.

Nella prima parte di questo lavoro avevo detto che "nel 1378 (Scisma d'Occidente) la Chiesa si scindeva con papi (Gregorio XI) ed antipapi (Clemente VII) ma ambedue confidavano sull'abilità del medesimo inquisitore capo, il francescano François Borrel, tanto da mantenerlo alla testa della repressione iniziata da Gregorio XI nel 1370 e confermata da Clemente VII nel 1381 che ebbe sulla caccia agli eretici ogni collaborazione di Gregorio XI". Questo concetto è utile ribadirlo: si scannavano tra loro ma vi era un perfetto accordo nel reprimere l'eresia tanto da confidare nel medesimo Inquisitore.

(1) La Spagna araba era restata un luogo dove non vi era alcun problema razziale. Questo sano costume si mantenne anche in regni già amministrati da cattolici (ad esempio, le continue richiesta papali ai vari regni cattolici di distinguere con un qualche simbolo nel vestiario gli ebrei al fine di evitare matrimoni misti, erano restate inascoltate. In Castiglia, fino all'avvento della Casa di Trastamara al potere nel 1369, gli ebrei godevano di particolare protezione). Alcuni concili della Chiesa iniziarono le intolleranze, in particolare il Concilio di Zamora del 1313 e quello di Valladolid del 1322 che posero ferree limitazioni al commercio e alle relazioni sociali dei cristiani con ebrei (judios) e mori (moros). Si cominciò a pensare a ghetti per ebrei (Juderías) e per moti (Morerías), ghetti che dovevano essere circondati da mura ed avere una sola porta per entrare ed uscire. Molti predicatori iniziarono ad incitare la popolazione contro le due etnie, anche con riferimento al loro essere sempre scelti come medici e come persone con incarichi pubblici (in realtà erano i più preparati in confronto al popolaccio cristiano). Ed iniziarono i massacri in Castiglia, Aragona e Navarra, massacri che tutti dovrebbero sempre mettere in conto quando iniziano sciagurate campagne. Il più grave fu quello del 1391 a Siviglia, dopo la predicazione dell'arcidiacono Martinez, quando furono massacrate intorno alle 4000 persone. E, conseguenza del massacro, che poi si estese ad altre città e regioni (Cordova, Toledo, Burgos, ... Aragona e Majorca), fu l'inizio di conversioni forzate di ebrei con battesimi di massa. Paradossalmente le conversioni forzate avevano reso gli ebrei più influenti avendo avuto la possibilità di accedere a posti prima a loro preclusi come la carriera ecclesiastica (Torquemada proviene da una famiglia di conversi) ed il matrimonio con persone di corte.

(2) Il nome della bolla, dalle sue prime parole, è Exigit Sincerae Devotionis Affectus. Negli Archivi vaticani (accessibili) non esiste traccia di questo documento che in copia dovrebbe trovarsi da qualche parte. Si è certi della sua esistenza perché di esso si parla in corrispondenza dell'epoca tra le parti ed anche in lettere dello stesso Sisto IV. In compenso si trovano negli Archivi due bolle precedenti di Papa Nicolo V, la Dum Diversas del 1452 in cui si concedeva al re del Portogallo Alfonso la facoltà «di ridurre in perpetua schiavitù saraceni, pagani, infedeli e nemici di Cristo» e la Romanus Pontifex del 1454 in cui si benediceva la colonizzazione delle terre scoperte e incoraggiava la schiavitù degli abitanti

(3) Per mostrare il livello superiore di civiltà cristiana, quando le armate dei Re cattolici entrarono in Granada riuscirono a distruggere e disperdere i 600.000 volumi della biblioteca (furono salvati solo alcuni testi di medicina). Ripetevano l'impresa del 1236 quando, a Cordova bruciarono i 400.000 volumi di quella biblioteca.

(4) Pico della Mirandola si rallegrò per questa espulsione: i valenti astrologi ebrei non erano stati in grado di prevedere questo fatto enorme!

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(5) Lo storico della scienza Lopez Piñero, dopo aver sostenuto che fu una gran perdita quella degli ebrei, afferma che lo stesso non può dirsi per i musulmani Infatti questi, al momento dell'espulsione, 'sviluppavano un'attività scientifica marginale, sostanzialmente una continuazione dei resti impoveriti della tradizione islamica medioevale .La loro cultura scientifica fu un corpo estraneo che resistette sia alla aperta persecuzione che ai tentativi di assimilazione'.

(6) La Spagna con tutte le ricchezze accumulate dalla spoliazione delle Americhe non fu in grado di sviluppare delle attività economiche ed artigianali in proprio preferendo acquistare tutto all'estero. Si può dire che la disgrazia si abbatté sulla Spagna proprio con la scoperta dell'America. Quelle montagne d'oro e d'argento armarono sì gli eserciti ed elevarono il livello di vita (di relativamente pochi) ma tutto veniva comprato fuori di Spagna (si deve eccettuare un artigianato elementare e povero che serviva le necessità ecclesiastiche come cera, legno intagliato, ceramiche o simili). Così, paradossalmente, il più grande merito scientifico della Spagna è l'aver finanziato la Rivoluzione scientifica del resto d'Europa (le città verso cui affluirono la gran parte dei preziosi spagnoli furono: Anversa, Amsterdam, Londra, Amburgo, Genova, Firenze, Piacenza, Biarritz). La Spagna comprava tessuti pregiati in Toscana e nel Comasco; comprava chiodi in Olanda; orologi in Francia; nessuna attività di artigianato preindustriale fu sviluppata in questo Paese. I Paesi maggiormente beneficiati furono le Fiandre e l'Italia. Fu proprio la Spagna quindi che finanziò lo splendore del nostro Rinascimento e del Barocco di Roma.

(7) Nel 1599 la Spagna fu costretta a battere moneta con rame comprato in Europa. Inoltre, nel 1525 la Corona, non potendo far fronte ai debiti contratti con i banchieri tedeschi Fugger, concesse loro lo sfruttamento delle ricchissime miniere di Almadén, passate poi ai Rothschild.

(8) Poiché gran parte dei Paesi cosiddetti evoluti, alcuni anche per interessi incoffessabili, si scagliò contro gli orrori e dell'Inquisizione spagnola e dei conquistadores spagnoli nelle americhe, accompagnati da preti e frati con croci utilizzate come spade, tutto questo ha richiamato alle armi la destra clericale spagnola. Si trattava e si tratta di una montatura, è una macabra leggenda costruita per denigrare la Spagna intera e la sua santa chiesa. Su questo tema l'autore spagnolo Julián Juderías, nel 1914, scrisse un libro che divenne famoso dal titolo La Leyenda Negra (il libro è stato ripubblicato nel 1986 da Editorial Swan, Navacerrada, Madrid). Con questo lavoro egli tentava di demolire tutte le accuse rivolte alla santa alleanza Chiesa-Spagna in orrori perpetrati nel mondo intero. Lo stesso Juderías definiva così la leggenda nera: Per leggenda negra intendiamo l'ambiente creato dai fantastici racconti che sulla nostra patria vengono fatti in pubblico in tutti i paesi, le descrizioni grottesche che si sono sempre fatte del carattere degli spagnoli come individui e come collettività, la negazione o almeno l'ignoranza sistematica di quanto è favorevole e bello nelle diverse manifestazioni della cultura e dell'arte, le accuse che in ogni tempo si sono lanciate contro la Spagna, fondandosi per tutto ciò in fatti esagerati, mal interpretati o falsi totalmente. Più in generale l'atteggiamento contro la Spagna denunciato da Juderías va sotto il nome di ispanofobia ed è stato studiato con attenzione dallo storico spagnolo Ricardo García Cárcel in vari lavori ed anche nel suo Orígenes de la hispanofobia nel numero di Historia 16 (16, 193, 1992) dedicato in massima parte proprio alla Leggenda nera ed all'ispanofobia. Il libro convinse e convince chi era già convinto perché non ha mai aperto gli occhi, neppure sulle relazioni inviate da frati dalle Indie Occidentali, che raccontavano di genocidi. In compenso il nome Leggenda Nera è rimasto nella letteratura della destra clericale anche italiana ed in qualche modo si riferisce a pretese denigrazioni della Chiesa. In questo senso gli scritti miei su argomenti come quelli trattati in questi articoli sono prodotti di Satana. Si dia un'occhiata al sito Contro la leggenda nera e si scoprirà molto meglio di quanto io possa dire di cosa e chi si tratta.

(9) Deschner (2000) ci fornisce questo ritratto di Sisto IV:

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Francesco della Rovere, nato nel 1414 in ambiente relativamente modesto a Celle (in Liguria, provincia di Savona), fu allevato assai precocemente in un convento francescano, ascese nel 1464 a generale del suo Ordine, promosso cardinale nel 1467 ed eletto papa i1 9 agosto 1471 quando, ancora durante i festeggiamenti per l'incoronazione, scoppiò una sommossa popolare con lanci di pietra contro la portantina di Sisto. (E dopo la morte i fedeli diocesani saccheggiarono le stanze papali in modo tale che si dovette coprire la salma con un talare preso in prestito).  Dell'incoronazione del Della Rovere, ora Sisto IV, si occupò Rodrigo Borgia. Al pari di questi, anche Sisto, ex monaco, non visse certo in modo celibatario. Promuoveva infatti feste animate da cortigiane ufficiali, si dava da fare anche con una sorella e coi suoi bambini, compensava i suoi amanti ragazzini con ricche diocesi e arcidiocesi, fondava in Roma delle case di piacere (a quanto pare perfino un lupanare aristocratico "per entrambi i sessi") che affittava a cardinali, mentre egli incassava annualmente 20.000 ducati (secondo Theiner 80.000) dalle sue meretrici - tenendo conto che una romana su sette era una prostituta. Eppure Sisto IV, col quale si fa di massima incominciare l'Alto Rinascimento, pare che fosse personalmente un uomo bonario e devoto, sincero estimatore della santa Vergine - "un tratto particolarmente bello" (von Pastor) -, della quale egli promosse il culto, per la quale fece costruire due chiese mariane a Roma e in onore della quale introdusse nel 1476 addirittura la festa dell'Immacolata Concezione; alla vergine fu anche consacrata in Vaticano la cappella chiamata Sistina dal suo nome. Nella "Storia della teologia" questo papa sarà "chiamato sempre così" (gesuita Hertling). E così pure nella storia dei puttanieri pontifici. Comunque Sisto IV concesse a molti altri ciò di cui godeva egli stesso. Tant'è vero che un cronista contemporaneo ce ne certifica in questi termini: "Quando la famiglia del cardinale di Santa Lucia gli sottopose la richiesta di ottenere licenza di sodomia per i tre mesi caldi dell'anno - giugno luglio agosto - il papa annotò sotto la loro supplica: 'che avvenga conformemente alla richiesta'''.  Nondimeno Sisto aveva pure il senso del denaro e degli affari, come del resto dimostra già il suo bordello romano, anche se indubbiamente altri vescovi, abati e madri superiore di allora (ma non solo di quell'epoca) istruivano o barattavano postriboli. A quanto pare, per la verità, il della Rovere - giudica Franz Xaver Seppelt - "in quanto uomo di ordine francescano, come spesso si osserva, non aveva concreta idea del valore del denaro". Eppure non è un caso che fu il primo papa a far coniare il proprio profilo sulle monete. Speculò con i titoli finanziari, fece salire il fiscalismo aumentando le cariche vendibili a quota 625, a più del doppio. Mise in vendita notariati, protonotariati, posti di procuratore nella tesoreria, smerciò interi collegi nuovi, tra cui spuntarono titoli inauditi, per esempio un collegio di cento giannizzeri da nominare in cambio di 100.800 ducati. Aumentò le tasse per i sacerdoti che si mantenevano delle amanti, accrebbe la tassazione sulle prebende, le donazioni allo stato della chiesa (69 percento delle entrate globali). Le sue imposte di decima - le pontificie "decime dei turchi" - suscitarono proteste dall'Italia alla Polonia, alla Svezia, alla Norvegia, inasprendo lo stato d'animo antipapale, soprattutto in Germania. Non solo, Sisto inventò anche nuove fonti d'introiti, consentendo per esempio agli uomini facoltosi di "consolare certe matrone in assenza dei loro mariti". Fece affari con le indulgenze, permise perfino la loro erogazione a favore dei defunti, ai quali sarebbero spettate "a mo' d'intercessione", e indisse un anno giubilare per il 1475.  Come tanti suoi predecessori, anche Sisto si era procacciato la massima carica della cristianità con ogni sorta di pratiche simoniache. Aveva corrotto con generose regalie il suo protettore, il duca di Milano, come il suo nipote e accompagnatore Pietro Riario aveva fatto con la maggioranza dei cardinali mediante mirabolanti promesse.  Per prima cosa il nuovo papa affrontò pieno di entusiasmo la questione politica più impellente - il vecchio programma delle guerre crociate - ma a dire il vero con scarso successo.

(10) Tomás era nipote di Juan de Torquemada, cardinale rinomato per la sua difesa dell’ortodossia al Concilio di Costanza iniziato nel 1414. Torquemada prendeva il nome da un comune spagnolo situato in Castiglia e Leon. Ciò indica la sua origine ebraica ed infatti si è ormai d'accordo a ritenere

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la famiglia Torquemada discendente da conversos dopo i massacri di Siviglia del 1391 (vedi nota 1). Da sempre gli ex sono sempre i più crudeli persecutori dei correligionari di un tempo.

(11) Paradossalmente le regole fissate da Torquemada salvaguardarono persone e etnie precedentemente attaccate e represse. Venivano condannate implicitamente le esecuzioni ed espulsioni di massa, e si indirizzava il lavoro inquisitorio contro i marrani, distinguendo i convertiti veri dall’eretico, stabilendo il principio della segretezza dei procedimenti,, vietando di accogliere denunce anonime e scoraggiando la partecipazione della gente ai processi.

(12) L'editto era il seguente (in spagnolo che credo e spero comprensibile):

Los Reyes Fernando e Isabel, por la gracia de Dios, Reyes de Castilla, León, Aragón y otros dominios de la Corona- al príncipe Juan, los Duques, Marqueses, Condes, órdenes religiosas y sus Maestres, señores de los Castillos, Caballeros y a todos los judíos hombres y mujeres de cualquier edad y a quienquiera esta carta le concierna, salud y gracia para él.

Bien es sabido que en nuestros dominios, existen algunos malos cristianos que han judaizado y han cometido apostasía contra la santa fe Católica, siendo causa la mayoría por las relaciones entre judíos y cristianos. Por lo tanto, en el año de 1480, ordenamos que los judíos fueran separados de las ciudades y provincias de nuestros dominios y que les fueran adjudicados sectores separados, esperando que con esta separación la situación existente sería remediada, y nosotros ordenamos que se estableciera la Inquisición en estos dominios; y en el término de 12 años ha funcionado y la Inquisición ha encontrado muchas personas culpables además, estamos informados por la Inquisición y otros el gran daño que persiste a los cristianos al relacionarse con los judíos, y a su vez estos judíos tratan de todas maneras a subvertir la Santa Fe Católica y están tratando de obstaculizar cristianos creyentes de acercarse a sus creencias.

Estos Judíos han instruido a esos cristianos en las ceremonias y creencias de sus leyes, circuncidando a sus hijos y dándoles libros para sus rezos, y declarando a ellos los días de ayuno, y reuniéndoles para enseñarles las historias de sus leyes, informándoles cuándo son las festividades de Pascua y cómo seguirla, dándoles el pan sin levadura y las carnes preparadas ceremonialmente, y dando instrucción de las cosas que deben abstenerse con relación a alimentos y otras cosas requiriendo el seguimiento de las leyes de Moisés, haciéndoles saber a pleno conocimiento que no existe otra ley o verdad fuera de esta. Y así lo hace claro basados en sus confesiones de estos judíos lo mismo a los cuales han pervertido que ha sido resultado en un gran daño y detrimento a la santa fe Católica, y como nosotros conocíamos el verdadero remedio de estos daños y las dificultades yacían en el interferir de toda comunicación entre los mencionados Judíos y los Cristianos y enviándolos fuera de todos nuestros dominios, nosotros nos contentamos en ordenar si ya dichos Judíos de todas las ciudades y villas y lugares de Andalucía donde aparentemente ellos habían efectuado el mayor daño, y creyendo que esto sería suficiente de modo que en esos y otras ciudades y villas y lugares en nuestros reinos y nuestras posesiones sería efectivo y cesarían a cometer lo mencionado. Y porque hemos sido informados que nada de esto, ni es el caso ni las justicias hechas para algunos de los mencionados judíos encontrándolos muy culpables por los susodichos crímenes y transgresiones contra la santa fe Católica han sido un remedio completo obviar y corregir estos delitos y ofensas. Y a la fe Cristiana y religión cada día parece que los Judíos incrementan en continuar su maldad y daño objetivo a donde residan y conversen; y porque no existe lugar donde ofender de más a nuestra santa creencia, como a los cuales Dios ha protegido hasta el día de hoy y a aquellos que han sido influenciados, deber de la Santa Madre Iglesia reparar y reducir esta situación al estado anterior, debido a lo frágil del ser humano, pudiese ocurrir que podemos sucumbir a la diabólica tentación que continuamente combate contra nosotros, de modo que, si

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siendo la causa principal los llamados judíos si no son convertidos deberán ser expulsados del Reino.

Debido a que cuando un crimen detestable y poderoso es cometido por algunos miembros de algún grupo es razonable que el grupo debe ser absuelto o aniquilado y los menores por los mayores serán castigados uno por el otro y aquellos que permiten a los buenos y honestos en las ciudades y en las villas y por su contacto puedan perjudicar a otros deberán ser expulsados del grupo de gentes y a pesar de menores razones serán perjudiciales a la República y los más por la mayoría de sus crímenes sería peligroso y contagioso de modo que el Consejo de hombres eminentes y caballeros de nuestro reinado y de otras personas de conciencia y conocimiento de nuestro supremo concejo y después de muchísima deliberación se acordó en dictar que todos los Judíos y Judías deben abandonar nuestros reinados y que no sea permitido nunca regresar.

Nosotros ordenamos además en este edicto que los Judíos y Judías cualquiera edad que residan en nuestros dominios o territorios que partan con sus hijos e hijas, sirvientes y familiares pequeños o grandes de todas las edades al fin de Julio de este año y que no se atrevan a regresar a nuestras tierras y que no tomen un paso adelante a traspasar de la manera que si algún Judío que no acepte este edicto si acaso es encontrado en estos dominios o regresa será culpado a muerte y confiscación de sus bienes.

Y hemos ordenado que ninguna persona en nuestro reinado sin importar su estado social incluyendo nobles que escondan o guarden o defiendan a un Judío o Judía ya sea públicamente o secretamente desde fines de Julio y meses subsiguientes en sus hogares o en otro sitio en nuestra región con riesgos de perder como castigo todos sus feudos y fortificaciones, privilegios y bienes hereditarios.

Hágase que los Judíos puedan deshacerse de sus hogares y todas sus pertenencias en el plazo estipulado por lo tanto nosotros proveemos nuestro compromiso de la protección y la seguridad de modo que al final del mes de Julio ellos puedan vender e intercambiar sus propiedades y muebles y cualquier otro artículo y disponer de ellos libremente a su criterio que durante este plazo nadie debe hacerles ningún daño, herirlos o injusticias a estas personas o a sus bienes lo cual sería injustificado y el que transgrediese esto incurrirá en el castigo los que violen nuestra seguridad Real.

Damos y otorgamos permiso a los anteriormente referidos Judíos y Judías a llevar consigo fuera de nuestras regiones sus bienes y pertenencias por mar o por tierra exceptuando oro y plata, o moneda acuñada u otro artículo prohibido por las leyes del reinado.

De modo que ordenamos a todos los concejales, magistrados, caballeros, guardias, oficiales, buenos hombres de la ciudad de Burgos y otras ciudades y villas de nuestro reino y dominios, y a todos nuestros vasallos y personas, que respeten y obedezcan con esta carta y con todo lo que contiene en ella, y que den la clase de asistencia y ayuda necesaria para su ejecución, sujeta a castigo por nuestra gracia soberana y por la confiscación de todos los bienes y propiedades para nuestra casa real y que esta sea notificada a todos y que ninguno pretenda ignorarla, ordenamos que este edicto sea proclamado en todas las plazas y los sitios de reunión de todas las ciudades y en las ciudades principales y villas de las diócesis, y sea hecho por el heraldo en presencia del escribano público, y que ninguno o nadie haga lo contrario de lo que ha sido definido, sujeto al castigo de nuestra gracia soberana y la anulación de sus cargos y confiscación de sus bienes al que haga lo contrario.

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Y ordenamos que se evidencie y pruebe a la corte con un testimonio firmado especificando la manera en que el edicto fue llevado a cabo.

Dado en esta ciudad de Granada el Treinta y uno día de marzo del año de nuestro señor Jesucristo de 1492.

Firmado Yo, el Rey, Yo la Reina, y Juan de Coloma, secretario del Rey y la Reina quien lo ha escrito por orden de sus Majestades.

(13) Non me ne occupo ma vi fu l'intervento dell'Inquisizione proprio nell'accezione appena discussa su un paio di questioni che ebbero un certo rilievo: la sodomia e gli abusi dei confessori sulle donne. Sul primo reato, occorre dire che l'Inquisizione attenuò le pene che i tribunali civili ordinari davano per lo stesso peccato. Mentre la prima decise di non intervenire in proposito se non vi fosse altro che facesse pensare all'eresia, i secondi davano la pena di morte. Molte diffuse erano invece le molestie di preti e frati con le donne in confessionale per l'intimità delle cose raccontate e per l'estrema vicinanza. Per attenuare il diffusissimo fenomeno si ordinò di sistemare i confessionali in luoghi ben visibili ed illuminati delle chiese. Anche qui l'Inquisizione intervenne per capire se il prete sapeva di peccare o riteneva la cosa lecita. Ed il Papa Gregorio XV scrisse una bolla speciale in proposito, Universi Dominici Gregis, nella quale definì i contorni di questa persecuzione contro le donne. Ma il castigare il colpevole divenne molto complesso perché non era molto facile capire se ci si trovava di fronte ad un prete porco o se la donna accusava per un qualche interesse o se vi fosse dell'altro dietro. In vari casi in cui il Tribunale era riuscito a capire qualcosa la pena fu la fustigazione.

BIBLIOGRAFIA

 

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(10) Henry Ch. Lea - Storia dell'Inquisizione - Feltrinelli/Bocca 1974 (l'opera è del 1888)

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(11) N. Eimeric, F. Peña - El manual de los inquisidores - Muchnik Barcelona 1983

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(17) AA VV. - Vari articoli dalla rivista 'historia 16' dai numeri 31 (1978), 62 (1981), 80 (1982), 193 (1992), 194 (1992).

(18) A. Simón Tarrés - La Monarquía de los Reyes Católicos - Historia 16, 2000

(19) AA. VV. - Auto de fe - Historia 2, 20, 2000.

(20) AA. VV. - La inquisicion - Historia 1986.

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(26) H. Kramer, J. Sprenger - Malleus Malleficarum - Circulo Latino, Barcelona 2005

 

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FISICA/MENTE

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INQUISIZIONE

Torture, Bracieri, Roghi e Morte

Roberto Renzetti

Parte III: L'INQUISIZIONE ROMANA

 

DA SAVONAROLA AL CONCILIO LATERANO V   

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        Sei peggio delle bestie, sei un mostro ed un luridume. Vergognosa meretrice. Bordello. Così predicava sul finire del Quattrocento dal pulpito del Duomo di Firenze  il domenicano Girolamo Savonarola dirigendosi alla Chiesa, alla Curia (meretrice di Babilonia) ed ai costumi corrotti dilaganti anche tra i tiranni laici come i Medici. E durante la Repubblica, instauratasi con l'esilio di quest'ultima famiglia, pretese per chiunque l'avesse voluta far ritornare al potere la pena di morte perché i tiranni meritano di essere fatti a pezzi, senza fare peccato. Invocò inoltre l'alleanza con la Francia di Carlo VIII per estirpare la corruzione. Fu oggetto di tentativi di corruzione da parte dei Medici che gli offrirono molto denaro e da parte del Papa Alessandro VI Borgia (successore di Innocenzo VIII) che gli offrì la porpora cardinalizia ancora nel 1497, dopo che nel 1495 gli aveva intimato di sospendere le predicazioni. Egli rifiutò la porpora perché ciò si inseriva nello sporco commercio della compravendita delle cariche ecclesiastiche alla quale il Papa partecipava, ed il rifiuto comportò la sua scomunica (1497).  

Girolamo Savonarola         Era amato ed odiato a Firenze dove perse il suo ascendente tra la popolazione nel 1498 quando il Papa minacciò di sospendere tutte le manifestazioni pubbliche di culto e di ritirare i sacramenti della Chiesa da Firenze e tutto il Granducato (interdetto), con gravi ripercussioni economiche per l'intera popolazione. Fu facile da questo punto di forza aizzare la gente contro Savonarola. Il suo convento (San Marco) fu attaccato e Savonarola finì in catene, torturato con estrema durezza, condannato per eresia e scisma, impiccato e subito dopo bruciato con due confratelli(1) (23 maggio 1498). 

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Impiccagione e rogo di Savonarola e due confratelli in Piazza della Signoria          Era il clima regnante in Italia e nella Chiesa che alternava papi delinquenti ad altri ladri, sodomiti, simoniaci, corrotti e corruttori. Era ora la volta del criminale Alessandro VI Borgia, papà di Cesare e Lucrezia, che razziò quasi l'intera Italia, ammassò fortune, ridusse ogni palazzo a bordello, con figli dediti ad avvelenamenti tanto che un poco di veleno sfuggì da qualche parte mettendo fine all'orrida vita di questo Papa (agosto 1503). Le cose non cambiarono con il successore, per i soliti intrighi e pagamenti, Pio III, nipote di Pio II che lo aveva fatto cardinale 40 anni prima. Lo storico di Roma, Gregorovius, gli assegna 12 figli. Anche se, bisogna dirlo e lo dice anche Deschner, questo fu un Papa quasi impeccabile nella sua funzione di Papa. Vi era solo un difetto di fondo. Era stato eletto come Papa di transizione, cosa che si fa quando non c'è accordo su una figura solida da eleggere. Pio III era vecchio, malato e decrepito, tanto che durò solo 10 giorni. Suo successore fu Giulio II della Rovere, nipote di Sisto IV (del quale ho parlato nell'articolo precedente) che lo aveva fatto cardinale nel 1471. Ed a questo Papa successe nel 1513 Leone X, un Medici, quello del listino vendita delle indulgenze, la Taxa Camarae.         Sotto Giulio II iniziò il Concilio Laterano V. Avrebbe dovuto convocarlo subito dopo la sua elezione su spinte interne alla Chiesa, di molti cardinali, dell'Imperatore Massimiliano di Germania, del Re Luigi XII di Francia. Egli si era impegnato prima della sua elezione ma non fece nulla fino a poco prima della sua morte, per esservi costretto dai cardinali che avevano convocato autonomamente un concilio a Pisa nel 1511 sospendendo il Papa dalle sue funzioni. A questo punto Giulio II convocò, con una bolla del luglio 1511, il Concilio Lateranense V per il 19 aprile 1512. Al

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Concilio erano presenti tutti i più alti prelati della Chiesa compresi i capi degli ordini religiosi  gli ambasciatori di Spagna, Venezia e Firenze. Giulio II morì l'anno successivo alla convocazione e fu rimpiazzato da Leone X. Furono approvati molti Decreti che avrebbero dovuto rappresentare riforme e nell'organizzazione e nella dottrina della Chiesa. Altri provvedimenti riguardarono il Concordato con il Re di Francia Francesco I, la prescrizione di fare guerra ai turchi, l'obbligo di tutti i paesi cristiani di pagare la decima (una tassa) alla Chiesa. I Decreti fatti circolare attraverso bolle pontificie riguardavano: l'invalidità dell'elezione di un Papa attraverso la simonia (questo fu l'unico decreto fatto approvare da Giulio II che s'intendeva del problema essendo stato eletto pagando fior di ducati); la sottomissione di ogni pensiero e teoria filosofica alle verità teologiche; la proibizione di ogni discussione sull'immortalità dell'anima l'interdizione di ogni profezia particolarmente riguardante l'avvento dell'Anticristo; la censura preventiva sui libri la cui stampa deve avere l'imprimatur dalla Chiesa; l'autorizzazione all'esistenza dei monti di pietà gestiti dalla Chiesa e con capitali iniziali, come vedremo, rastrellati mediante indulgenze (vero furto pretesco sui poveri); e varie altre questioni organizzative interne (predicazione da parte dei chierici, privilegi dei religiosi, riforma di abusi ecclesiastici per venire incontro a richieste della base, libertà ecclesiastica e dignità episcopale, abolizione di alcune esenzioni non autorizzate per i religiosi). Il Concilio chiuse i suoi lavori il 16 marzo 1517 senza che però la parte relativa alle riforme interne avesse un minimo di applicazione immediata, vista l'urgenza delle istanze che da ogni parte provenivano.  

LA RIFORMA DI LUTERO

 

        Il monaco agostiniano Martin Lutero o Luther (1483-1546) fu teologo e professore di Studi Biblici a Wittenberg (Germania). Viaggiò molto in Germania ed in Italia dove tra l'altro fu inviato a Roma come rappresentante del convento agostiniano di Erfurt (1510). Rimase in città il tempo che gli permise di cogliere l'ipocrisia e la corruzione della Curia senza riuscire a risolvere nessuno dei problemi di cui era ambasciatore. Il primo ciclo di lezioni di Studi Biblici tenute da Lutero nel 1515-1516 venne dedicato al Libro dei Salmi, all'Epistola di San Paolo ai Romani ed ai Galati (1517). Scrive Mussgnug:

Attraverso queste letture Lutero giunse a una nuova visione di Dio e della fede, che costituiscono la base della teologia della sua maturità e dell'intera riforma protestante. In anni di disperata ricerca della grazia divina, Lutero si era convinto della corruzione radicale della natura umana. Il peccato originale ,aveva scavato un abisso tra uomo e Dio, che l'uomo da solo non poteva superare. Prigioniera della sua natura corrotta, l'umanità era destinata a subire dolori e afflizioni senza poter aspirare alla perfezione della fede. Niente poteva essere più lontano dalla dottrina tomista della riconoscibilità del bene c del male, che la teologia medievale aveva trasformato in un elaborato sistema "retributivo" di pesi c contrappesi, secondo cui tante pene spettavano a chi faceva del male e tanti meriti a chi operava del bene. Davanti al profondo pessimismo di Lutero svanivano tutte le certezze su cui era basata l'organizzazione medioevale della Chiesa. Né la vita contemplativa dei monasteri, né la mediazione delle gerarchie ecclesiastiche potevano garantire all'uomo la grazia divina, perché nessuno sforzo umano aveva merito davanti a Dio. Ma in tutto questo non c'era motivo di disperazione. «Il giusto vivrà per fede» furono queste parole di San Paolo che colpirono profondamente il professore di Wittenberg e in cui trovò la risposta a tutte le sue paure. Dio aveva dato un segno di speranza all'umanità intera nella sofferenza di Gesù Cristo, che aveva cancellato la colpa per tutti e trasformato 1'ira del Padre in misericordia. In nome dei meriti di suo figlio, Dio aveva perdonato l'umanità e nel Vangelo aveva dato l'annuncio della salvezza, messa a portata dell'umanità al solo prezzo di accettare con fede il sacrificio di Cristo. Per descrivere questa sua

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nuova concezione della fede, Lutero parlò di una "teologia della croce", contrapposta alla "teologia della gloria" delle dottrine medioevali. Era l'inverno dcl 1515 c solo pochi studenti di teologia udirono le parole di Lutero. Nessuno di loro sospettò che fra pochi anni le idee del loro professore avrebbero affascinato c turbato migliaia di fedeli in ogni parte delh1 Germania.

        Queste erano lezioni e riflessioni personali che ancora non avevano avuto confronto diretto con il potere, confronto che iniziò con una disputa del 4 settembre 1517 nella quale egli rifiutò categoricamente l'aristotelismo e quindi si pose in netta linea di collisione con San Tommaso e con tutti i frati colti e teologi dell'epoca. E questo era il retroterra culturale al quale Lutero aggiunse la sua esperienza di parroco e confessore di Wittenberg. Proprio il 13 settembre 1517 una bolla di Leone X aveva concesso l'indulgenza plenaria a chi avesse pagato un tributo al vescovo (questa volta servivano soldi perché il nobile Alberto di Brandeburgo, arcivescovo di Magonza, potesse pagare una multa al Papa stesso). Il banditore delle indulgenze (Appena il soldo in cassa ribalta, l'anima via dal purgatorio salta) era un domenicano, Johann Tetzel che operava in terra tedesca ma in Magdeburgo, appena al di là del confine con Wittenberg. I parrochiani di Lutero fecero viaggi per andare al di là del vicino confine a comprare indulgenze e ciò fu per Lutero un colpo durissimo che lo spinse ad agire. La vendita delle indulgenze(2) per avvicinarsi a Dio era del tutto insopportabile come lo era il fatto che il Papa avesse il potere di cancellare tutti i peccati. Lutero comunque, ad evitare problemi con il signore di Wittenberg che avrebbe perso importanti introiti, si scagliò solo contro il signore di Brandeburgo. Ad ogni modo, il 31 ottobre 1517 a soli sei mesi dalla chiusura del Concilio Laterano V, Lutero si recò alla porta della Chiesa annessa all'Università e lì affisse dei fogli contenenti le sue riflessioni ed osservazioni sulle indulgenze espresse in 95 tesi. Inviò questo scritto ai suoi superiori, il vescovo di Brandeburgo e l'arcivescovo di Magdeburgo e Magonza (ed anche a Tetzel). L'affissione alla porta della chiesa del documento era nell'uso accademico, in tal modo si proponeva alla discussione pubblica con dotti e teologi il contenuto del suo scritto. Non vi erano violazioni delle leggi canoniche perché nel suo ruolo di professore di teologia Lutero poteva proporre a discussione qualsiasi argomento. La questione più scottante era la seguente: se il Papa può liberare le anime dei defunti, perché non può farlo qui subito e gratuitamente ? Le tesi di Lutero ebbero grande attenzione e sostegno da parte di molti colleghi, sia in Germania che fuori, che si fecero propagandatori di esse. Piano piano anche l'opinione pubblica ne rimase colpita, anche perché esausta delle esose tasse che la Chiesa richiedeva. In breve si creò un'ondata di opinione ostile a Roma. Ma Tetzel denunciò immediatamente Lutero come eretico al Papa Leone X il quale tentò di mantenere le cose in termini di soluzione diplomatica per evitare di crearsi inimicizie tra i potenti agostiniani (ed anche perché preparava la guerra ai turchi e gli serviva il sostegno della Germania). Lutero venne convocato a Roma ma Lutero sapeva dei pericoli che correva nella tana del lupo e, mediante consigli ed aiuti politici (l'elettore di Sassonia) riuscì a fare trasferire l'incontro in terra tedesca.Tra il 12 ed il 14 ottobre del 1518 Lutero si incontrò con il delegato papale, il profondo teologo domenicano di Gaeta (per ciò detto Caetano)  Tommaso de Vio che subito chiese a Lutero di ritrattare le sue tesi. Lutero rifiutò e l'inviato papale se ne ritornò a Roma senza nulla in mano ma, dopo aver letto che Lutero non considerava il sacramento della penitenza, con la certezza che questo significa costruire una nuova Chiesa. Ed il bravo teologo capì che il problema delle indulgenze era marginale rispetto al fatto che in quanto sosteneva Lutero vi era il disconoscimento della suprema autorità del Papa. E la rottura era insanabile e fu realizzata. In situazioni normali vi sarebbe stata la dura reazione della Chiesa che avrebbe messo a tacere l'eretico. Ma varie circostanze politiche si sommarono (politica delle alleanze alla morte di Massimiliano I, imperatore del Sacro Romano Impero, nel gennaio 1519 e la questione della sua successione con Carlo V in Germania ed altre diatribe con Francia ed Inghilterra) dettero tempo a Lutero di far conoscere le sue tesi a più e più persone con un suo scritto ricco di citazioni e riferimenti biblici, Risoluzioni riguardo alle 95 tesi, e conferenze in giro per le università tedesche (vi fu anche uno scontro a Lipsia nel luglio 1519 con un suo avversario in una classica disputa scolastica: fu l'abilità retorica di Lutero a vincere ed a portarsi dietro un sostegno molto grande).

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Questo tempo gli bastò perché fosse considerato come l'emblema della rivolta tedesca contro la Chiesa di Roma e, questo è importante, non solo in termini teologici.

        Il 15 giugno 1520 arrivò la risposta del Papa alle Risoluzioni che rese pubblico il risultato del processo canonico contro Lutero attraverso la bolla Exsurge Domine. In essa Lutero era paragonato ad un cinghiale nella vigna del Signore. I suoi libri erano condannati al rogo e Lutero era scomunicato, a meno che non avesse ritrattato tutto. Lutero non fece marcia indietro anzi, tra il giugno ed il novembre 1520, scrisse 4 libri (tre dei quali in tedesco) in cui fece leva sull'orgoglio nazionale del popolo tedesco sfruttato da Roma e si scagliò contro la dottrina dei sacramenti della Chiesa affermando che solo due di essi dovevano restare, il battesimo e l'Eucarestia. E poiché spariva il sacramento dell'ordine del sacerdozio, si ridefinivano le strutture del clero ecclesiastico: tutti i fedeli sono sacerdoti ma solo alcuni, i ministri, svolgono funzioni a servizio della comunità. In tal modo anche l'intero diritto canonico veniva rifiutato in quanto risultava essere una legge del clero che ora non c'era più. In una cerimonia pubblica (10 dicembre 1520) Lutero bruciò la bolla del Papa con molti testi canonici della Chiesa e, fatto importante, la Summa Theologiae di Tommaso d'Aquino. Il 3 gennaio 1521 il Papa rispose con un'altra bolla, Decet romanum pontificem, in cui Lutero era definitivamente scomunicato. A questo atto della Chiesa doveva seguire l'azione della giustizia civile con l'espulsione dell'eretico dalle terre cristiane. Carlo V sapeva però il gran seguito che già aveva Lutero tra la popolazione e tra i potenti inoltre per la legge tedesca nessun suddito di tale Paese poteva subire condanne senza processo. Egli decise di convocarlo alla Dieta di Worms, con ogni garanzia di immunità durante il viaggio ed il soggiorno in città, in modo da fornire le sue ragioni davanti ad un Tribunale civile. In una prima sessione (17 aprile 1521) esitò e chiese un giorno per pensare ma il giorno successivo ribadì tutti i punti delle sue tesi e concluse con:

Non posso e non voglio ritrattare nulla perché non è giusto né sano andare contro la coscienza. Iddio mi aiuti. Amen.

        Carlo V doveva procedere con quanto gli imponeva la legge ed il 26 maggio 1521 dichiarò Lutero eretico e lo bandì dalle terre tedesche. Ciò voleva dire la condanna a morte. Lutero era però sparito, era stato fatto evadere in un viaggio di trasferimento da alcuni suoi seguaci che aggredirono la scorta. La sua fama crebbe ed egli era ormai un eroe per la popolazione ma si ebbe anche paura di un suo rapimento per assassinarlo. Ma lo aveva fatto rapire Federico il Savio (e non perché avesse una qualche simpatia  per Lutero), un principe tedesco, che lo teneva al sicuro in una sua fortezza (Wartburg in Turingia). La Riforma luterana già aveva raggiunto un importante obiettivo. le masse erano con Lutero ed un principe aveva dato maggior credito ad esse che non al potere centrale, l'Impero, che si muoveva per volontà della Chiesa.

        La storia di Lutero segue con gravissime contraddizioni tra cui quella di tradire la popolazione umile che aveva creduto in lui per una sua emancipazione per lo schierarsi dalla parte vincente nella guerra che si era scatenata tra contadini e proprietari terrieri per migliori condizioni di vita (il tutto terminato con orrendi massacri di contadini).  Lutero per portare avanti la sua Riforma aveva scelto la nobiltà feudale e terriera ed aveva addirittura scritto contro i contadini che si ribellavano il suo Contro le bande brigantesche e assassine dei contadini (1525). Ciò gli tolse un grande sostegno popolare e la sua Riforma invece di essere legata alle speranze degli umili andò avanti con le possenti gambe dei potenti fino alla definitiva alleanza con i principi tedeschi, senza tenere in conto del fatto più grave: l'eretico si era trasformato in cacciatore di eretici e contro ogni minima deviazione dalla sua vera religione (cattolici, battisti, maghi, streghe, ...) richiedeva il rogo. Per gli ebrei solo l'espulsione affermando che gli ebrei andavano trattati con ogni spietatezza [...] come Mosè fece nel deserto, ammazzandone tremila. Aggiungendo che tra gli ebrei ne avrebbe volentieri atterrato uno e poi pugnalato con rabbia. Dato che, secondo il diritto umano e divino, si è pure autorizzati ad uccidere, non sarà lecito a maggior ragione sopprimere un blasfemo senzadio ? e

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concludendo con che si vietasse ai loro rabbini nel corpo e nella vita di continuare ad insegnare, come dire: ammazziamoli !

        Per ritornare all'Inquisizione, posso terminare qui con Lutero sottolineando che iniziò con lui il primo grande scisma nella Chiesa con la nascita della prima Chiesa Protestante(3), con la seconda che sarebbe nata di lì a poco con la pubblicazione a Basilea della Institutio christianae religionis del teologo francese Johannes Calvinus o Jehan Cauvin o Giovanni Calvino nel 1536 (una corrente riformata del protestantesimo iniziata a Zurigo da Huldreich Zwingli che pubblicò una famosa Bibbia a Ginevra). In Svizzera, a Zurigo per l'esattezza, nel 1525 nacque un'altra famiglia protestante, costituita da ex allievi di Zwingli, quella dei Fratelli in Cristo (chiamati per discredito anabattisti). Si trattava di cristiani che ritenevano nullo il battesimo dato alla nascita perché non vi era volontà del bambino. Quindi credevano in un battesimo volontario da adulti (la parola anabattista significa battezzato di nuovo e quindi erano chiamati così per dire che erano battezzati due volte). Oltre a ciò teorizzavano una totale separazione tra Stato e Chiesa (intesa priva di gerarchie) per una vita vissuta in modo non violento, tra uguali ad imitazione del Cristo. In tal modo il Vangelo, vissuto con fede e con l'ispirazione dello Spirito Santo, assumeva un ruolo preminente sul Vecchio Testamento. Il 12 aprile 1529 Carlo V emanò un decreto di durissima condanna di questa famiglia protestante, l'Editto di Spira, nel quale si diceva: Chiunque ribattezza o si fa ribattezzare dopo aver raggiunto l'età della ragione, uomo o donna che sia, deve essere condannato a morte, sia con la spada, sia con il fuoco, sia con ogni altro mezzo, senza alcun processo preliminare.

        Già prima però un'altra crisi con Roma, che aveva portato ad una scissione d'autorità, si era avuta in Inghilterra con Enrico VIII, per questioni dinastiche. Per volontà espressa dal padre poco prima di morire, egli si era sposato nel 1509, quando aveva 18 anni, con Caterina d'Aragona (zia di Carlo V), vedova di suo fratello Arturo e più avanti negli anni. Dopo 18 anni di matrimonio, nel 1527, poiché non era nato alcun erede maschio, Enrico VIII chiese al Papa Clemente VII l'annullamento del matrimonio per poterne fare un altro che gli desse il desiderato maschio. Il Papa che già aveva subito il Sacco della città da parte di Carlo V, non voleva irritarlo ulteriormente e tergiversò allungando i tempi in vane trattative. Nel 1531, quando l'irritazione era cresciuta per 4 anni, Enrico VIII fece votare dal Parlamento un atto di supremazia in cui egli proclamava se stesso Capo della Chiesa d'Inghilterra. La parte più dura per la Chiesa, allora come ora, venne nel 1532, quando stabilì che i tributi non dovevano essere più pagati alla Chiesa ma direttamente alla corona. Finalmente nel 1533 Enrico VIII sposò Anna Bolena (Elisabetta I d'Inghilterra era nata da questo matrimonio), dalla quale già aspettava un figlio, facendosi sciogliere dal precedente vincolo dal suo rappresentante presso la Chiesa inglese, Thomas Cranmer. Nel luglio 1534, due mesi prima di morire, Clemente VII scomunicò il Re, la moglie ed il rappresentante Cranmer (interdisse pure l'Inghilterra ma della cosa non si accorse nessuno). Il problema venne preso in mano da Paolo III quando già Enrico VIII, nel novembre dello stesso anno aveva decretato, oltre alla chiusura dei monasteri ed al sequestro di ogni bene ecclesiastico:

Un ulteriore atto di supremazia (il re era il Capo Supremo sulla Terra della Chiesa di Inghilterra) con il diritto di reprimere le eresie e di scomunicare;

L'obbligo per tutti gli inglesi di giurare solamente davanti al re, e non davanti a qualche autorità straniera come era la Chiesa;

La condanna per tradimento per chi osasse sostenere che il re fosse eretico, tiranno o scismatico.

        Nasceva così la Chiesa Anglicana che era un'altra pezzo che si aggiungeva allo scisma di Lutero ed a quello che sarebbe seguito di Calvino. Solo due persone si opposero: l'umanista autore de l'Utopia Thomas More ed ex Lord Cancelliere e l'ex confessore di Caterina, il vescovo di

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Rochester John Fisher. Ambedue furono decapitati. Intanto penetrava in Inghilterra luteranesimo e calvinismo ed il Parlamento, nel 1549, promulgò il Book of Common Prayer (Libro della preghiera comune) che era una ufficiale ammissione di allontanamento dalla Chiesa di Roma. La storia qui accennata ebbe un lungo seguito che non è qui il caso di seguire. E' solo utile dire che Papa Pio V aiutò la ribellione dei cattolici (i papisti), che mal vedevano Elisabetta I sul trono d'Inghilterra per le sue simpatie calviniste, scomunicando la regina e dichiarandola deposta con la bolla Regnans in Excelsis del 1570 che però fu promulgata solo dopo che la ribellione era stata domata. Dopo la bolla Elisabetta cessò con la sua politica di tolleranza religiosa cominciando ad attaccare i suoi nemici papisti, che a loro volta reagirono con cospirazioni volte a rimuoverla dal trono.  La decapitazione della cattolica Maria Stuart (1587), Regina di Scozia, sostenuta dal Papa Sisto V, dai cattolici Re di Spagna e Francia ed aspirante al trono d'Inghilterra, per opera di Elisabetta I fa parte del seguito di questa storia, come l'espulsione dei gesuiti (1585), accusati di istigare alla disobbedienza. Come ulteriore conseguenza la cattolica Spagna di Felipe II intervenne in difesa dell'ortodossia attaccando l'Inghilterra (1588) con la sua Invincible Armada che affondò nella Manica insieme ai sogni imperiali della Spagna medesima. Alla morte di Elisabetta I nel 1603, salì al trono Giacomo I. Da questo momento  le controversie religiose assunsero sempre più una connotazione politica, a seguito della lotta del Parlamento contro l'assolutismo monarchico degli Stuart. Intorno al 1645 il Parlamento dichiarò fuori legge il Book of Common Prayer e nel 1649 il nuovo Re Carlo I fu condannato a morte. Nel 1662, dopo il processo di restaurazione condotto da Carlo II, fu di nuovo imposto il Book of Common Prayer nella forma ancor oggi in uso; in seguito, Giacomo II cercò di reintrodurre il cattolicesimo, ma perse il trono nel 1688 allo scoppio della Gloriosa Rivoluzione.  

 

IL CONCILIO DI TRENTO

 

        Sarebbe limitativo individuare solo nel luteranesimo lo scatenarsi della Controriforma. Vi sono altri elementi che, seppure non espressamente citati, fanno da sfondo a quanto va accadendo nel Cinquecento. Mentre fino al secolo precedente ogni sapere era patrimonio della Chiesa, quasi ogni persona colta proveniva da lì e doveva confrontarsi con una massa enorme di ignoranti, nel Cinquecento le cose cambiano sempre più radicalmente. L'invenzione della stampa a caratteri mobili ma soprattutto l'estendersi di un maggiore benessere materiale per le molte innovazioni tecniche che avevano reso l'agricoltura più produttiva aveva creato un maggior pubblico non solo colto ma in grado di produrre cultura. Iniziò una vasta produzione di sapere da opere laiche, da opere luterane, da tradizioni ermetiche che la stampa amplificava come mai era stato possibile. Le stesse Sacre Scritture, prima patrimonio di pochi teologi che ne centellinavano le parole al volgo riempiendole di commenti ed interpretazioni a piacere e diletto del momento, furono accessibili a tutti gli uomini di buona volontà che avessero voluto leggerle. Ed era tagliato via anche l'altro ostacolo alla lettura di queste opere: il latino. Vi erano state traduzioni di tali opere nel volgare di tutte le lingue europee e si era teorizzato dal mondo protestante che la parola del Signore doveva arrivare direttamente alla testa del fedele senza interpretazioni o commenti vari. Questi testi su cui si era basato il potere della Chiesa per secoli diventavano materiale di studio per una molteplicità di laici. Questo fu un vero colpo al cuore della Chiesa di Roma. Era come se qualcuno avesse svelato i trucchi di uno stregone perché la Bibbia era ben altro da quanto furbescamente raccontato a proprio uso e consumo. L'Antico Testamento era un testo di violenze inenarrabili, pieno di lascivia e

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crudeltà. Il Nuovo Testamento avvicinava ai deboli, agli oppressi con una figura, quella di Gesù, che nessun detective avrebbe mai potuto rintracciare nelle gerarchie della Chiesa di Roma. Quest'ultima capì che da qui arrivavano i colpi più duri al suo potere privilegiato e violento mantenuto per secoli e non esitò, come vedremo, a scagliarsi contro chi leggeva le Sacre Scritture vietandone la lettura pena la scomunica. Il complesso della cultura che avanzava venne stigmatizzato dalla Chiesa come qualcosa di demoniaco. Il Satana che appariva prima solo in affari da basso volgo di streghe e maghi, ora compariva a livelli più alti della cultura avanzante e, di conseguenza, divenne argomento per l'Inquisizione.

        Tornando all'impellenza di contrastare gli scismi luterano e calvinista che avanzavano facendo molti proseliti nel Nord Europa, nelle zone distanti dal coacervo degli interessi della Chiesa di Roma, si pensò ad una qualche forma di conciliazione attraverso un dibattito esteso e concludente. Questo fu il motivo che fece scegliere Trento, città al confine della Riforma, per convocare un grande Concilio.

        Un Concilio era richiesto da tempo da più parti. La cosa era addirittura auspicata dalle autorità laiche come Carlo V. L'unità della Chiesa avrebbe rafforzato il suo impero che invece si trovava profondamente diviso dalla religione (si pensi che ad Occidente vi era la cattolicissima Spagna e ad Oriente Lutero). Per altri versi il Concilio era osteggiato dalla Francia proprio per evitare il rafforzamento di Carlo V e la Chiesa, con Clemente VII Medici, era all'epoca legata alla Francia per cui non era intenzionata alla sua convocazione. Per altri versi il precedente Concilio Laterano, come del resto quello di Costanza, non aveva portato a nulla dal punto vista dei cambiamenti auspicati e richiesti e le speranze su un qualche cambiamento con un nuovo Concilio erano scarse. Vi erano due grandi realtà provenienti dalla storia della cristianità medioevale, la Chiesa e l'Impero, con la prima che si sfrangiava in tante chiese territoriali (mantenendo una sua territorialità sempre più localizzata in Italia) e con il secondo che aveva bisogno di costruire un'unità culturale (e quindi religiosa) e politica che racchiudesse in sé l'intera Europa ad evitare scontri ed incomprensioni che, appunto, avrebbero minato l'unità dell'Impero. Il Concilio era pensato come una sorta di costituente europea e perciò stesso osteggiato dalla Chiesa che si chiudeva sempre più nella difesa del suo territorio italiano e guardava con sospetto l'idea di un'Europa che l'avrebbe fagocitata. Per questo la Chiesa ha sempre oscillato tr avarie potenze (Germania, Spagna, Francia), senza mai legarsi ad una. I primi anni del Cinquecento corrispondevano a tenere a bada Carlo V che era troppo potente e che avrebbe usato per sé le conclusioni politiche di un Concilio percepito da Roma come una sorta di ricatto. Un alto prelato della curia di Clemente VII, Gian Matteo Giberti, ancora il 29 dicembre del 1526, scriveva: Non vorrà si parli del Concilio che ha detto sin qui volere che si facci, conoscendo che il mandare avanti detto Concilio serviria più a generare confusione contro Nostro Signore, il Papa, che al servitio di Dio. Vi era inoltre una profonda sfiducia di potersi accordare su qualcosa, in termini di fede, con i protestanti con i quali sembrava più ovvio ed economicamente efficace agire con le leggi canoniche della repressione (alla quale però non poteva aderire pienamente Carlo V perché la Germania si stava rapidamente luteranizzando). Fu questo il momento in cui Carlo V scatenò contro la Chiesa di Roma alleata con la Francia i suoi lanzichenecchi. Il 12 novembre del 1526 partì da Trento un contingente di Lanzichenecchi comandati dal francese Carlo di Borbone, avversario del Re di Francia. Ad essi si unirono gli spagnoli provenienti da Milano e molti italiani provenienti da vari statarelli dominati dalla Chiesa in modo da formare un contingente di 35 mila uomini. La città di Roma che era in totale decadenza (aveva circa 50 mila abitanti contro il milione di era imperiale) e che aveva una difesa di circa 5000 uomini tra cui un contingente svizzero, con il Papa nascostosi nella fortezza di Castel Sant'Angelo, fu attaccata ed espugnata il 6 giugno del 1527. Fino a febbraio del 1528 fu messa al sacco da parte dell'esercito imperiale e subì infiniti danni al suo patrimonio artistico. In una relazione dell’epoca si legge: gli imperiali hanno preso le teste di San Giovanni, di San Pietro e di San Paolo; hanno rubato l’involucro d’oro e d’argento e hanno buttato le teste nelle vie per giocare a palla; di tutte la reliquie di santi che hanno trovato, hanno

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fatto oggetto di divertimento. Carovane di carri cariche di ogni genere di ricchezze lasciavano la città. Erano i beni della nobiltà e del clero. Posso solo piangere per i danni alle opere d'arte. Il Papa, come sempre accade ai potenti, si salvò(4). Gli occupanti si ritirarono perché colpiti e decimati da varie malattie che erano diventate endemiche nella città per la mancanza di ogni cura igienica da 1500 anni, da quando era dominio della Chiesa. Il raddoppio della popolazione per circa un anno, quello del sacco, a fronte delle stesse fogne fatiscenti e della malaria regnante, ridusse gli abitanti di Roma a circa 20 mila.

Il Concilio di Trento

        A questo punto il Papa dovette accettare la politica imperiale ed avviarsi alla convocazione del Concilio (questa era la politica ufficiale, ma il sottobosco degli intrallazzi tentava di evitare l'evento aborrito dal Papa). I raffinati preti che consigliavano il Papa trovarono una formula. il Concilio si farà quando tutti gli Stati cristiani saranno in pace. E l'alleato di Clemente VII, il Re di Francia Francesco I, naturalmente non era d'accordo con la pace e la politica del papa aveva il sopravvento. Nel 1534 Clemente VII lasciava questa valle di lacrime e saliva al trono di Pietro il Papa Paolo III Farnese che si disse subito disposto alla convocazione del Concilio tra l'incredulità generale. Eppure subito il nuovo Papa  costituì una commissione che si occupasse di riforma della Chiesa che arrivò nel 1537 a pubblicare un importante documento: Consilium ad emendanda Ecclesia. Intanto Paolo III riconosceva la Compagnia di Gesù, le truppe di élìte del Papa, a difesa dell'ortodossia della Chiesa di Roma che egli utilizzerà appunto come utile strumento al servizio dell'Inquisizione. I gesuiti erano e sono teorici, in base ai dettami del loro fondatore, dell'uso ed abuso fino alla paranoia, dell'esame di coscienza. Nel loro emblema incombe minacciosa la croce-spada ad indicare una giustizia intransigente e temibile. Condussero una campagna contro i diversi che "infestavano" città e contadi, tra cui eretici, stranieri, ebrei ma anche donne, magari già emarginate dal consorzio sociale (ad es. ragazze madri cacciate di casa) che conducevano vita dura vendendo filtri terapeutici o ritenuti capaci di far innamorare chi li bevesse (pocula amatoria) od anche di far impazzire se non addirittura di uccidere). Finalmente il 2 giugno 1536 il Papa convocò il Concilio che si sarebbe dovuto tenere a Mantova (città in cui vi erano molti sostenitori di Carlo V) a partire dal 23 maggio 1537. Sembrava proprio che la Chiesa avesse deciso di riformarsi. Intanto Lutero pubblicò tradotto in Germania il Consilium arricchito da commenti sarcastici e ridanciani. La Curia di Roma che non

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voleva sentir parlare di riforme si oppose ad ogni seppur minima intenzione di cambiamento con il buon argomento che se avessero fatto qualcosa avrebbero dato motivi agli avversari che Lutero aveva ragione. Quel Consilium fu nascosto e dimenticato ed anche il Concilio fu rimandato perché Francesco I non lo voleva. Si tentò ancora per ben 5 volte a fissare data e luogo ma niente. Si tentarono accordi sotterranei con i luterani per cercare di capire cosa fare nel Concilio per riunificare la Chiesa. Vari incontri furono organizzati e niente si riuscì ad organizzare. Un prestigioso mediatore, il patrizio veneziano Gaspare Contarini, che stava conseguendo dei risultati fu cacciato da Roma con l'accusa di essere luterano. La fazione romana della curia era la più forte ed essa vedeva un Concilio solo addomesticato in cui si riformasse molto poco ma in modo tale da far apparire ciò come grande concessione, senza comunque toccare l'autorità del Papa e la struttura gerarchica di Roma, ed in cui si condannassero con durezza le tesi luterane. Fu questa la strada che si scelse alla quale, come evidente, si accompagnò una dura repressione di ogni dissenso. Ora era chiara la strada che un Concilio avrebbe dovuto percorrere e fu così che venne convocato a Trento da Paolo III il 22 maggio del 1542 con la bolla Initio nostri huius pontificati. Fu necessaria una seconda bolla del novembre 1544, Laetare Jerusalem, per fissare al 15 marzo 1545 l'inizio dei lavori (che poi slittarono al 13 dicembre 1545 per la vigorosa iniziativa politica e militare di Carlo V). Le 25 sessioni generali del Concilio si svolsero nella Cattedrale di San Vigilio ed interessarono, dopo il Papa Paolo III, Giulio III, Marcello II, Paolo IV, Pio IV; i lavori terminarono il  4 dicembre 1563. Il Papa Pio IV con la Bolla Benedictus Deus del 30 giugno 1564 approvò integralmente i decreti conciliari e nominò una commissione per vigilare sulla corretta interpretazione e attuazione degli stessi.

 

Il Concilio di Trento

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        Il tutto era andato secondo i voleri della curia romana. Riforme marginali (ma in ben 250 punti rispetto ai vari diritti precedentemente in vigore), rafforzamento dell'ortodossia e della centralizzazione di ogni minima decisione a Roma e dura condanna del protestantesimo. Seppur vi fosse stato un qualche cambiamento nel senso dell'apertura e della riconciliazione, venne fagocitato dal Papa che, con il solito metodo pretesco, di fronte a chi interpretava alcuni dettami conciliari in senso vicino a chi voleva cambiare e chi in senso vicino alla curia romana, decise salomonicamente che ogni interpretazione poteva essere solo demandata a LUI. Ed un primo risultato si ebbe subito: gli atti del Concilio furono bloccati alla pubblicazione e si seppe di loro solo alla fine del XIX secolo (!). Ciò permise al Papa completa discrezione anche perché quella commissione che doveva vigilare sulla corretta interpretazione e attuazione dei decreti conciliari, era fatta da cardinali e personale della curia romana e chi avesse voluto protestare per la non applicazione di qualche decreto, non poteva farlo perché non lo conosceva. In ogni caso la fine del Concilio di Trento segnava la data d'inizio della Controriforma (o Riforma Cattolica).

 

Il Concilio di Trento

        Dalla Germania venne subito nel 1565 una risposta con l'Examen Concilii Tridentini del luterano Martin Chemnitz. Era una totale stroncatura del Concilio, che ebbe profonda influenza per secoli, che, in più, con citazioni teologiche molto dotte entrava in polemiche dottrinali sui sacramenti divaricando sempre più il solco tra le due Chiese. I difensori dell'ortodossia cattolica (domenicani e gesuiti) non sapevano bene cosa rispondere perché non conoscevano i decreti conciliari ... che non potevano conoscere perché non potevano accedervi. Intanto gli anni passavano ed anche gli anziani testimoni conciliari sparivano con la conseguenza che ogni memoria del Concilio spariva. Intanto i luterani, a cui si associarono i calvinisti, già del 1562 negarono ogni validità al Concilio il cui scopo era perfettamente raggiunto, la divisione tra le Chiese era definitiva e sempre più incarognita. Ed anche l'Impero, Sacro e Romano, con Ferdinando I successore di Carlo V, per la prima volta non accettò il responso di una istituzione ecclesiastica.

        E non sembri che tutto marciava con dispute, magari violente, ma solo con manifestazioni verbali. Le guerre, soprattutto se di religione, sono le peggiori e chi ha forza e mezzi li usa. E la seconda metà del Seicento fu un terreno fertile per farne. Nel 1562 i cattolici massacrarono la comunità protestante di Vassy in Francia; nel 1572 ancora i cattolici massacrarono i protestanti

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Ugonotti nella Notte di S. Bartolomeo (sette guerre fossero necessarie prima che terminasse in Francia la contesa tra cattolici e ugonotti); nel 1587 la protestante Elisabetta I di Inghilterra fece uccidere la cattolica Maria Stuart per problemi di successione al trono.

 

NASCE IL SANT'UFFIZIO E L'INDICE DEI LIBRI PROIBITI

 

        Al di là di queste vicende importantissime ve ne erano di apparentemente meno importanti che marciavano sotterraneamente ma con impatti molto maggiori sulla società e sulla popolazione. La prima di esse era stata pensata prima che il Concilio si aprisse, tanto per mostrare l'apertura con cui la Chiesa si apprestava a riconciliarsi. Il 21 luglio 1542, Papa Paolo III emanò la bolla Licet ab initio con la quale creava la Congregazione della sacra romana e universale Inquisizione o Sant'Uffizio sotto la guida di Giovanni Pietro Carafa che (dal 1555) sarà il futuro Papa Paolo IV. Si trattava della riorganizzazione della vecchia Inquisizione Medioevale che, pur non avendo mai smesso di funzionare, non aveva ora strumenti culturali e materiali per intervenire contro le nuove eresie e contro quel grave male che era la cultura in espansione. Era un problema di efficienza della struttura repressiva che aveva fatto pensare ad una commissione permanente di cardinali e alti prelati diretta dal medesimo Papa che doveva mantenere e difendere l'integrità della fede, esaminare e proscrivere gli errori e le false dottrine. Il Carafa, lasciata al Papa la sola possibilità di concedere la grazia, dette tutto se stesso per rendere la nuova Inquisizione uno strumento repressivo di somma efficacia. Prima requisì un edificio romano e lo dotò di una prigione, quindi emanò 4 norme di procedura  per gli inquisitori: punire anche solo per sospetto; non avere alcun riguardo per i potenti; essere intransigente con chiunque avesse trovato rifugio da un potente; nessuna accondiscendenza con i calvinisti. Il futuro Paolo IV era convinto che l'azione sarebbe stata più efficace quanti più potenti si colpivano perché la salvezza delle classi inferiori dipende dalla punizione dei grandi. Inoltre, ma non lo disse, quanti più potenti si colpivano, meno avversari avrebbe avuto. In ogni caso si dette il via ad un'epurazione massiccia in ogni istituzione, ecclesiastica o laica. Ma il crudele maniaco Carafa vedeva con rabbia quella possibilità di grazia che aveva il Papa e riuscì ad arrivare al pieno della sua crudeltà, inaugurando roghi di ebrei convertiti ad Ancona e di eretici a Roma, solo quando divenne egli stesso Papa imponendo come Grande Inquisitore Michele Ghislieri che alla sua morte, come no!, divenne a sua volta Papa, l'altro criminale chiamato Pio V (e per questo santificato). Una festa di inquisitori che diventano papi, una saga che segue con Ratzinger. Era odiatissimo Carafa a Roma. Alla sua morte fu assaltato, saccheggiato,demolito ed incendiato il palazzo del Sant'Uffizio. Ma morto un  Papa criminale se ne fa un'altro e così Pio IV: nel 1562, fece massacrare 2.000 valdesi nel Sud d'Italia; nel 1567, fece decapitare e poi bruciare Pietro Carnesecchi, un eminente umanista di Firenze, perché diventato valdese; nel 1570, fece impiccare e poi bruciare Antonio Paleario, poeta, filosofo e letterato, perché sospettato di aver scritto questi versi:

«Quasi che fosse inverno,brucia cristiani Pio siccome legnaper avvezzarsi al fuoco dell'inferno»

        In linea teorica l'azione riguardava tutta la cristianità ma, nella pratica, proprio per quella territorialità che la Chiesa individuava nell'Italia, il suo operato fu quasi esclusivamente in questo Paese. Si può ben capire, comunque, come suonasse la finalità del Sant'Uffizio alle orecchie luterane alla vigilia dell'apertura del Concilio di Trento. Il Concilio comunque riformulò e ribadì la dottrina cattolica riguardo ai punti che erano stati posti in discussione: la giustificazione (ossia i

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mezzi per la salvezza dell'anima), l'interpretazione delle Sacre scritture da parte della chiesa, i sacramenti (in particolare, si riaffermò la transustanziazione, secondo cui nell'Eucarestia si ha la presenza reale del corpo e del sangue di Cristo nel pane e nel vino consacrati), la liturgia, il culto dei santi e della Madonna, l'uso delle indulgenze e l'obbedienza alla chiesa e al pontefice. E fece qualcosa di gravissimo, equiparò le Sacre Scritture alla tradizione della Chiesa elevando quest'ultima ad una Sacra Scrittura, con cioè una medesima autorità. Già a Concilio chiuso il Papa integrò il tutto con la Professio Fidei Tridentina(5), una sorta di preghiera che integrava il vecchio Credo. Una delle prime iniziative dell'Inquisizione Romana sotto la direzione di Paolo IV, insieme al problema del catechismo(5) e della riforma dei libri liturgici, riguardò la redazione dell'Index librorum prohibitorum(6) (noto come Indice Paolino) il primo dei quali venne pubblicato nel 1559. Ad esso seguirono nel 1564 quello realizzato da Pio IV e nel 1596 quello di Clemente VIII (l'Indice clementino), il Papa antisemita che fece assassinare Giordano Bruno. Per completezza devo dire che un Indice era richiesto anche da insospettabili come quel Francesco Maurolico, matematico e meccanico, che ebbe a che fare con la formazione di Galileo. Questi proponeva non solo l'eliminazione di tutti i libri di autori sospetti ma anche l'auspicio che da Roma si portasse avanti l'edizione di opere di autori ortodossi perché in Italia si era diffusa la peste degli scritti luterani, eretici ed antropophagi tedeschi. Ma di Indici ve ne erano stati dei precedenti pubblicati a Roma (Cathalogus librorum Haereticorum con libri luterani ed anche con i Commentari di Pio II al Concilio di Basilea), Venezia (1549), Milano, Parigi e Lovanio nel 1554 (ma anche altri in epoca precedente e successiva comunque antecedente al 1559). Questi Indici avevano comunque validità locale molto limitata e non si avevano pene come quelle previste per l'indice del 1559.

        L'operazione era perfettamente in linea con quanto dicevo a proposito dell'avanzare inarrestabile della cultura, della conoscenza. occorreva stroncare le fonti e l'Index serviva a questo(7). I decreti che definivano l'Index contenevano, tra le altre cose, il divieto di stampare, leggere e possedere versioni della Bibbia in lingua volgare senza previa autorizzazione personale e scritta del vescovo, dell'inquisitore o addirittura dell'autorità papale (nel primo indice venivano vietate 45 versioni della Bibbia e del Nuovo Testamento in lingua volgare; tale divieto resterà fino al 1758 quando fu abrogato da Papa Benedetto XIV). Come conseguenza di questo provvedimento la produzione di Bibbie in italiano subì un brusco arresto. E' utile avere un qualche riferimento degli autori che comparivano nel primo Index: Luciano di Samosata, Dante, Petrarca, Boccaccio, Ockham, Machiavelli, Erasmo, Rabelais. Più in generale erano all'Indice tutti gli autori non cattolici, 126 testi di 117 autori cattolici, 322 opere anonime, tutte le opere di astrologia e magia. La Bibbia si poteva leggere solo su permesso scritto di qualche prelato ed il permesso era concesso ai soli uomini che conoscessero il latino. Nel 1564, dopo la chiusura del Concilio, l'Indice viene aggiornato e diventa Indice Tridentino. La novità qui consisteva nella possibilità di togliere dai libri i passi ritenuti offensivi alla fede cattolica. Ciò comportò un altro elenco di libri da affiancare a quello dei libri proibiti, quello dei libri da espurgare, l'Index Librorum Expurgatorius, con la conseguenza che molti libri così ritagliati risultavano incomprensibili e contraddittori. Si e avanzavano qualche teoria in disaccordo con l'Aristotele della Scolastica, quello di Tommaso d'Aquino che, proprio in quegli anni (1567), veniva da Pio V nominato Dottore della Chiesa. Un'altra bolla del 1564 si inseriva in una questione estremamente delicata, il controllo di coloro i quali iniziavano ad alfabetizzarsi attraverso il controllo degli insegnanti da parte di esami del vescovo, dei luoghi in cui si svolgeva e dei testi che utilizzavano (la Chiesa è sempre stata contraria all'alfabetizzazione di massa ritenuta un grave pericolo).

        La costruzione di un Indice non era però cosa facile che potesse fare qualcuno di sua iniziativa. Fu necessario istituire un gruppo di persone che fosse in grado di decidere cosa proibire o espurgare. Nel 1571 Papa Pio V, il Papa che vietò la pubblicazione di opere nelle lingue volgari (1567), che abrogò il carnevale, che con una bolla fece chiudere tutte le sinagoghe di Roma, che fece convocare il Veronese perché desse spiegazioni sul suo dipinto Cena in casa di Levi

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obbligandolo alla modifica e che espulse gli ebrei dai territori dello Stato della Chiesa con l’eccezione di Roma ed Ancona dove esistevano già i ghetti, organizzò ed istituì la  Congregazione per l’Indice, costituita da alcuni cardinali e vari consultori esterni, con lo scopo di tenere aggiornato l'Indice e di diffonderlo in ogni luogo della cristianità attraverso gli inquisitori locali (tanto per mostrare la valenza dell'Indice). Per parte sua il Sant'Uffizio, che aveva preso il posto dell'Inquisizione, voleva gestire in proprio la scelta dei libri da porre all'Indice. Riuscirà nel suo scopo solo nel 1916 quando la Congregazione verrà abolita con il Sant'Uffizio ancora vivo e vegeto (con un cambiamento di nome nel 1965, Congregazione per la Dottrina della Fede.

        Qual era la caratteristica che distingueva il Sant'Uffizio dall'Inquisizione Medioevale ? La centralizzazione ed il poter operare in assoluta indipendenza rispetto ai tribunali vescovili. Per arrivare a questo servirono vari decreti e differenti discussioni che portarono al vero feroce organizzatore dell'Inquisizione, Papa Sisto V, che con la sua bolla del 1588,  Immensa Aeterni Dei, promosse la Congregazione del Sant'Uffizio, alla quale dette un potere molto maggiore, come la più importante delle 15 Congregazioni della Chiesa che, secondo la sua riforma, andavano a sostituire il Concistoro e la precedente struttura di potere. Nella stessa bolla il Papa utilizzava parole violente contro l'eresia (morbo perniciosissimo dell'anima e malattia contagiosa) e gli eretici (figli delle tenebre e dell'oscurità che spargono zizzania), inaugurando quel linguaggio ancora oggi in uso: gregge, ovile, pastore, fortezza assediata(8).

 

L'INQUISIZIONE PROTESTANTE

 

        Più volte abbiamo sentito parlare di protestanti non meno teneri dei cattolici nella repressione degli eretici rispetto alla loro fede, che era quella vera. Dico subito che nel mondo protestante vi furono roghi indegni per molte persone (anche qui i conti sono difficili perché non si conservano documenti). Ciò che interessa è la messa a tacere del dissenso con la morte. Il pallottoliere non dà maggiori o minori ragioni. Le religioni o sono un fatto individuale da rispettare come la libertà della persona, o sono i più feroci strumenti di repressione di ogni dissenso. Con questa premessa posso parlare di quella che qualcuno (i cattolici!) ha chiamato inquisizione protestante. Intanto non vi fu nessun Istituto protestante che inseguì l'eresia e non vi erano quindi Tribunali ecclesiastici ma solo Tribunali civili, laici. Vi furono invece molti esaltati protestanti che preparavano il terreno al Romanticismo decadente con maghi e streghe da bruciare. Questa è la parte più indegna della repressione eretica protestante, quella della caccia alle streghe. Vi furono anche roghi ed orrori di diverso tipo ma in misura molto marginale rispetto alla Chiesa di Roma, la vera maestra dell'oppressione e della repressione. Cerco di separare le due cose occupandomi prima di ciò che i protestanti hanno fatto contro l'eresia non qualificabile come stregoneria e quindi contro le streghe in una caccia che qualificare di indegna è dolce eufemismo. Divido in episodi le varie vicende secondo la cronologia.

 I FATTI DI MÜNSTER      

        Ho accennato alla famiglia protestante degli anabattisti che furono discriminati ed anche perseguitati sempre sia dai cattolici che dal resto dei protestanti. Nel 1534 alcuni membri della famiglia anabattista, sconfessati dagli altri, riuscirono a prendere il controllo della cittadina di Münster, che ribattezzarono come la nuova Sion, attaccandola con la violenza e quindi venendo meno alla dottrina predicata. Da costoro, ai quali si aggiunsero altri violenti provenienti da altre città, furono commesse violenze inenarrabili contro gli abitanti di Münster ai quali fu chiesto di

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essere battezzati. Coloro che rifiutarono ebbero le case saccheggiate ed occupate, furono spogliati nudi, cacciati dalla città e costretti ad andare nudi in mezzo alla neve di un rigido inverno.  Tutti i libri furono bruciati meno la Bibbia, ogni ricchezza era acquisita per maggior gloria di Gesù ed i beni erano forzatamente comuni con l'estensione del termine bene anche alle donne che divennero d'uso comune, con il divieto di restare nubili e con l'ammissione della poligamia (uno dei capi, Bokelson, aveva 16 mogli e ne decapitò in piazza una che si ribellava). Stupri omicidi e violenze erano praticati giornalmente. Chi si opponeva era ammazzato. Queste notizie si diffusero rapidamente ed un esercito di 2500 lanzichenecchi, al comando di un cattolico ma con il consenso degli altri protestanti, mise d'assedio la città che era sede di un vero regno del terrore.

        La città assediata cadde nel 1535 per fame dopo circa un anno e mezzo di regime anabattista. I lanzichenecchi fecero una strage di tutti, anche di chi si era arreso. I corpi dei capi, giustiziati dopo essere stati torturati, vennero messi dentro delle gabbie che furono appese al campanile della chiesa. Le gabbie sono ancora lì senza più i resti dei corpi. Da allora, sia i cattolici che i protestanti videro in questo movimento un nemico da eliminare, tanto che praticamente sparì.

MICHELE SERVETO

        Miguel Serveto (1511-1553), di origini ebraiche, prende il nome dal paesino di Serveto sui Pirenei spagnoli. Era un umanista, medico e teologo spagnolo. Fece i suoi studi in Francia proprio nell'epoca in cui circolavano i primi scritti protestanti fatto che lo spinse a studiare a fondo la Bibbia per capire la consistenza delle critiche dei riformatori alla Chiesa cattolica. I suoi studi lo portarono a mettere in dubbio l'esistenza della Trinità che nella Bibbia non compare da nessuna parte. Inoltre questo dogma della Chiesa cattolica allontanava la possibilità di convertire sia i musulmani che gli ebrei che non avrebbero mai accettato questo Dio uno e trino. Egli studiò ancora per approfondire ogni questione in ogni ambito del sapere. Nel 1529 lasciò gli studi di legge che nel 1527 aveva intrapreso all'Università di Tolosa per andare al servizio del francescano Juan de Quintana, confessore di Carlo V. Viaggiò in Italia per assistere all'incoronazione dello stesso Carlo V. Da questo viaggio tornò profondamente colpito dallo sfarzo della Chiesa che si accompagnava alla profonda immoralità del clero. Tornato in Germania (1530) al seguito di Carlo V, alla Dieta di Ausburg conobbe vari riformatori, tra cui Melantone, dai quali fu molto colpito, tanto che lasciò il servizio di Juan de Quintana per recarsi a Basilea per conoscere meglio ed approfondire le loro tematiche. Già allora si trovò abbastanza isolato per aver espresso le sue idee contro la Trinità che non trovavano d'accordo né cattolici né riformatori ed erano considerate potenzialmente eretiche. Tentò di parlare con altri riformatori in Germania ma poiché si sapeva di cosa avrebbe parlato, nessuno volle avere a che fare con lui. Poiché non riusciva a farsi sentire, Serveto pubblicò in proprio (1531) un libretto, De trinitatis erroribus (Gli errori sulla Trinità), in cui spiegava compiutamente quali errori teologici si facevano nel considerare Dio uno e trino e degli errori insiti nel considerare in Gesù una doppia natura, quella umana e quella divina. Conosciuto il contenuto del libro i riformisti si scagliarono contro le sue tesi e contro l'autore. Lo stesso Lutero disse che si trattava di un libro abominevolmente malvagio. Mentre il riformatore tedesco Martin Bucer, una specie di mediatore tra Lutero e i riformatori svizzeri, sentenziò che Serveto meritava di essere squartato. Il libretto fu bandito, sequestrato e bruciato dovunque se ne trovasse una copia. Un tentativo di ritrattare chiestogli dai riformatori svizzeri si ebbe nel 1532, con il libretto Dialogorum de Trinitate, ma non riuscì perché di fatto venivano riconfermate le primitive tesi. A questo punto Serveto era isolato da tutti (l'Inquisizione Spagnola e quella di Tolosa lo richiesero) e non trovò altra possibilità per sopravvivere materialmente che scappare a Parigi cambiando il nome in Michel de Villeneuve. Studiò matematica all'Università con successo fino ad insegnarla. I cattolici scoprirono che in quella università si erano infiltrati dei riformisti che furono costretti a scappare. Tra essi, oltre al rettore, anche Calvino che aveva conosciuto Serveto. Quest'ultimo si rifugiò a Lione dove fece il correttore di bozze collaborando con degli editori, professione che gli fece

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conoscere testi di medicina. Si appassionò alla materia e da Lione tornò a Parigi per studiarla (1536). Lo fece per 4 anni avendo come compagno di studi Andrea Vesalio con il quale condivise la scoperta della circolazione del sangue nei polmoni. La scoperta non suscitò interesse. Comunque Serveto, oltre ad esercitare la professione di medico, dava lezioni di geografia ed astrologia. Quest'ultima occupazione, insieme alla pesante critica dei colleghi medici che non praticavano l'astrologia, lo fecero accusare di eresia in quanto esercitava la divinazione. Scappò da Parigi tornando a Lione per fare il medico. Lì fu assunto come medico personale (1540) dall'arcivescovo di Vienne, una cittadina del Delfinato, una regione francese confinante con la Svizzera. Qui scrisse la Christianismi Restitutio (Restaurazione del cristianesimo), un'opera pubblicata nel 1552 in cui sottoponeva a critica l'interpretazione di alcuni testi dell'Antico Testamento e creava rotture sempre più insanabili con tutto il mondo cristiano. Vi fu un tentativo del 1546 di corrispondere su questioni dottrinali con Calvino che aveva già scritto la sua Institutio christianae religionis (1536) e che era diventato pastore protestante a Ginevra. Calvino rifiutò facendogli sapere tramite Farel, pastore di Neuchâtel, che se fosse capitato in Svizzera avrebbe fatto del tutto per non farlo uscire vivo. Ma Calvino fece di più, fece denunciare Serveto alle autorità cattoliche di Vienne da un suo amico di Lione, Guillaume Trye. Fu arrestato il 4 aprile 1553 ma riuscì ad evadere dalla prigione tre giorni dopo, di modo che l’Inquisizione dovette accontentarci di bruciarlo, come eretico, in effige. E fu quello il primo rogo su cui salì. Per quattro mesi si persero le sue tracce e, probabilmente perché disperato, senza soldi o beni di sorta sequestratigli, tornò proprio a Ginevra il 13 agosto. Fu riconosciuto, arrestato, processato senza possibilità di avvocato e condannato a morte. La sua figura fu anche utilizzata per lotte politiche interne tra riformatori e libertini tanto che era diventato fondamentale bruciarlo anche per motivi politici ed allo scopo si impegnò Calvino in persona (sulla responsabilità diretta di Calvino nell'assassinio di Serveto vi sono discussioni ancora aperte). Il 27 Ottobre 1553 Serveto fu condotto al rogo accompagnato dal pastore di Neuchâtel che gli chiedeva di pentirsi. Fu legato ad un palo, il suo ultimo libro gli fu legato ad una gamba, sulla testa gli sistemarono una corona di foglie cosparse di zolfo e fu bruciato, con la morte che tardò circa mezz'ora. L'anno successivo Calvino sostenne il diritto di uccidere gli eretici in un suo trattato, dal titolo Defensio ortodoxae fidei, contra prodigiosos errores Michaelis Serveti Hispani, mostrando, se fosse ancora necessario, che non esistono riforme religiose che abbiano un qualcosa di umanamente accettabile. In circa un ventennio Calvino bruciò una sessantina di persone per reati come la bestemmia, l'idolatria e l'adulterio. Aveva anch'egli dei cercatori di eresia che ispezionavano case, fustigando gli oziosi e arrestando i peccatori.

        Nonostante ciò il calvinismo ebbe vasta diffusione a cominciare dalla Francia come è testimoniato dalla crescita del numero dei processi dell'Inquisizione di Roma in quegli anni. A parte il massacro dei Valdesi in Provenza del 1545 al quale ho già accennato, si pensi solo che nel Sud della Francia si passò progressivamente dagli otto processi celebrati negli anni venti, ai 684 degli anni cinquanta, 62 dei quali si conclusero con la condanna al rogo. La persecuzione dell'Inquisizione romana contro i riformatori a cui si associavano i regnanti cattolici come i francesi, provocò una vasta migrazione di riformatori, in gran parte persone benestanti, da Francia ed Italia in Svizzera (si pensi solo che Ginevra passò dai suoi 13.000 abitanti nel 1550 ai 21.400 dieci anni dopo). Venivano accettati perché pagavano, secondo la legge vigente, una forte tassa che arricchiva i governi locali ma provocarono l'effetto di generare governi calvinisti.

GIOVANNI VALENTINO GENTILE

        Giovanni Valentino Gentile era un teologo ed umanista italiano di Calabria che non accettava il dogma della Trinità. Fu uno degli esuli italiani in Svizzera per le persecuzioni della Chiesa ai riformatori

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         Nel 1556 dalla Calabria emigrò a Ginevra dove si legò ai riformatori italiani già trasferitisi nella città. Le sue posizioni antitrinitaria gli fecero prendere le difese di Serveto e lo trovarono dalla parte di chi criticava Calvino. Quest'ultimo lo accusò di eresia con tutto il seguito noto. Fu processato, torturato, fatto camminare per Ginevra seminudo e con una candela in mano, fatto ripudiare e bruciare i propri libri e dopo imprigionato. Riuscì ad evadere e dopo un lungo pellegrinaggio per vari Paesi europei tornò a Berna, in Svizzera dove il successore di Calvino, Teodoro di Beza, lo fece arrestare con l'accusa di empietà. Fu di nuovo processato e condannato al rogo. Ebbero poi pietà di lui e tramutarono la condanna nella decapitazione (sic!).

        Altre persone giustiziate dalla Chiesa anglicana sono:

1. Anne Askew (1521–1546) 2. Joan Bocher († 1550) 3. George van Parris († 1551) 4. Matthew Hamont († 1579) 5. John Lewes († 1583) 6. Peter Cole († 1587) 7. Francis Kett († 1589) 8. Bartholomew Legate (1575–1612) 9. Edward Wightman (1566–1612)

 

LA CACCIA ALLE STREGHE

 

         La parte più odiosa e criminale della repressione contro gli eretici da parte protestante è quella nota come caccia alle streghe. Questa caccia, che tenterò di definire e descrivere, non è solo dei protestanti ma anche dell'Inquisizione cattolica. Vi è un grande affannarsi da parte di alcuni cattolici oggi, quelli impegnati a falsificare tutto pur di far capire che l'Inquisizione fu una cosa buona, per sostenere che la caccia alle streghe riguardò soprattutto i Paesi a maggioranza protestante. Si può in parte, ma solo in parte, convenire perché in aree cattoliche come la Francia, le zone pirenaiche, quelle alpine e quelle del Nord Italia vi furono persecuzioni e roghi contro le streghe perfettamente all'altezza di quanto accadde negli altri Paesi dove la caccia fu più dura.

        La caccia alle streghe, che si era mantenuta a livelli di ordinaria (sic!) caccia all'eretico, iniziò massicciamente a partire dalla pubblicazione tra il 1485 ed il 1486 del Malleus Maleficarum (Il flagello delle streghe), un libro dei due domenicani tedeschi, Kramer e Sprenger, inquisitori incaricati dal Papa Innocenzo VIII nel 1484 attraverso la bolla Summis desiderantes   affectibus (9) di estirpare la stregoneria e l'eresia in Germania, come gli stessi Kramer e Sprenger gli avevano richiesto. Questo libro ponderoso fu scritto allo scopo e servì a tutti gli inquisitori come base per perseguitare maghi e streghe scoperti seguendo alcuni criteri definiti con cura. Una vera e propria arma di legittimazione teologica e legale di chi fosse accusato di stregoneria. Fu il libro più stampato dopo la Bibbia, con 39 edizioni ed oltre 50 mila copie vendute. Dagli inquisitori cattolici il libro passò ai cercatori di eretici protestanti che ne fecero larghissimo uso tanto che in duecento anni furono decine di migliaia le persone che passarono attraverso sofferenze, torture, carcere con circa centomila persone, il novanta per cento delle quali donne, finite giustiziate(10). I riformatori, sia sul fronte luterano che su quello calvinista avevano un parossistico terrore del diavolo e le streghe erano le portatrici del diavolo con il quale facevano un patto. Dietro ogni pratica magica poteva esservi il diavolo e l'ossessione arrivò fino al punto di ritenere pratiche magiche quelle esorcistiche

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utilizzate dai cattolici. Ciò comportò il divieto di usare l'acqua benedetta, farsi il segno della croce, appendere immagini di santi per scacciare i diavoli. I calvinisti elaborarono invece la triste teoria della predestinazione (la negazione del libero arbitrio) secondo la quale era stato lo stesso Dio a stabilire all'origine quali persone si sarebbero salvate e quali no e poiché peccare avrebbe voluto dire che forse si era tra quelli che erano dannati, era preferibile vedere tutto il male incarnato in altri e per ciò la strega era perfetta. Lutero poi affermava che coloro che avevano a che fare con le streghe «Non devono avere alcuna compassione per queste malvagie, vorrei bruciarle tutte» mentre Calvino definiva le streghe le puttane del diavolo. Sulla strada degli anatemi contro le streghe si era mosso con virulenza San (sic!) Berardino da Siena (1380-1444) che fece prediche di fuoco in tutta Italia contro di esse. Le additava al pubblico, accendendo sdegno e mistica esaltazione contro le nemiche; inviava guardie sulle loro tracce, placando le ire della comunità con la cattura e l’uccisione di quelle che egli indicava come responsabili di cattivi raccolti, di menomazioni o morti di neonati o di altri drammi individuali e collettivi.

 

Un patto con il diavolo del 1632 stipulato tra Urbain Grandier, un prete, ed il diavolo. Il documento è firmato da  Grandier a da sei diavoli come testimoni.

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        La storia della stregoneria iniziò secoli prima con il Canon Episcopi(11), un documento della Chiesa del Nono secolo (in precedenza creduto del Quarto secolo), che definiva la stregoneria come culto del demonio e che istruiva i vescovi sul comportamento da seguire. Era uno scritto molto blando e tollerante che non scaricava sulle donne alcuna colpa che, quando non era semplice vanteria, veniva solo attribuita al demonio, in grado di creare illusioni o inganni. Le donne che si illudono di volare sarebbero persone deboli di mente, la cui scarsa fede permette al diavolo di ingannarle, ma non stringono con lui un patto consapevole e non lanciano malefici. E la questione del volo notturno su animali fantastici era di grande importanza perché avrebbe permesso alle streghe tutti quei riti che venivano loro addebitati, come il sabba,  il provocare tempeste, il distruggere raccolti, il mangiare bambini, l'adorare il diavolo, i malefici ed ogni turpitudine.  Nel canone vi erano però molte cose dette e negate che crearono problemi interpretativi a coloro che si occupavano di demonologia(12). In ogni caso, la massima punizione prevista era l'allontanamento dei supposti visionari o colpevoli dalla comunità. Non a caso questo Canone servì più per discolpare che non accusare le presunte streghe.

         Nel seguito parlerò di streghe anche se, teoricamente, occorrerebbe rivolgersi a streghe e stregoni. Ciò deriva dal fatto che relativamente pochi furono gli uomini che andarono sotto processo per stregoneria e dall'altro, più importante, secondo il quale la donna per sua natura era ritenuta più propensa al fenomeno, perché più deboli e con un intelletto inferiore. Inoltre nel 1500 Sprenger affermava: Bisogna parlare di eresia delle streghe, non degli stregoni; questi contano poco. Ed un altro, al tempo di Luigi XIII: Per ogni stregone, diecimila streghe. Uno dei libri che furono realizzati per sterminare le streghe, il Malleus Maleficarum, del quale parlerò tra poco, così definiva le donne: «Femina deriva da fe e minus, perché ha meno fede e sempre meno la mantiene […]. La donna, cattiva per sua natura, cade presto nei dubbi della fede, rinnega la fede medesima ed in ciò è la base stessa dei malefici. In quanto poi alla volontà, la donna, quando è presa da odio contro qualcuno che prima amava, arde d’ira e di impazienza, e si agita e ribolle come il mare. In conclusione, tutto dipende dalla concupiscenza carnale che, nelle donne, è insaziabile, onde si danno da fare con i demoni per soddisfare la loro libidine». C'è da aggiungere che un elemento che poteva essere richiamato contro le donne era il loro dedicarsi spesso ad aiutare a guarire con la conoscenza di erbe da far bollire come si fa oggi fermo restando che queste pratiche non erano esclusive delle donne. Come non era esclusivo il fatto che qualche incidente con queste pozioni poteva accadere e la persona che si sarebbe dovuta curare moriva. Altro elemento che, anch'esso, non era esclusivo delle donne era l'eventuale criminalità, il fatto cioè che qualcuno usasse appositamente alcuni alimenti o bevande per avvelenare delle persone. Il legame delle donne con la stregoneria non si può neppure spiegare con gli sviluppi della magia e della negromanzia (la magia nera, che serviva per mettere in atto vari malefici e per la quale venivano invocati vari demoni, da distinguersi dalla magia bianca, che poteva essere praticata poiché serviva per alleviare varie sofferenze e per la quale si invocavano angeli e santi) infatti i praticanti delle due arti suddette erano uomini e spessissimo dei preti. Scrive in proposito Kieckhefer:

In definitiva la vulnerabilità delle donne in questo contesto va vista come un corollario della posizione precaria delle donne nella società tardomedievale (e quanto a questo, in quasi tutte le società della storia). La cultura comune attribuiva alle donne debolezza d'intelletto e di volontà. Quando le istituzioni le prendevano a bersaglio, le donne avevano meno degli uomini il potere di resistere. Se il problema specifico era la stregoneria, era difficile per chiunque, uomo o donna, dimostrare la falsità delle accuse, perché non erano previste prove tangibili, ed era facile ottenere confessioni con l'intimidazione, con false promesse di clemenza, o con la tortura. Ma se le donne erano in generale ritenute meno degne di fiducia e più temute, questi mezzi di coercizione venivano diretti più contro di loro che contro gli uomini. I generici stereotipi misogini stimolavano i procedimenti giudiziari, che a loro volta stimolavano lo sviluppo di altri stereotipi. Gli stereotipi, tuttavia, non sono per sé stessi causa di iniziativa giudiziaria. Possono indirizzarla e contribuire a

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suscitare ostilità, ma quando ciò avviene essi sono utilizzati per giustificare e incoraggiare un'azione motivata da altri fattori. A provocare l'azione giudiziaria potevano essere casi personali di vario genere: il litigio di una vecchia comare con i vicini; un uomo che per scagionarsi di un amore illecito diceva di essere stato stregato; una levatrice che si lasciava indurre a curare la lebbra con il grasso di un feto abortivo. Tutte queste situazioni potevano portare ad accuse di stregoneria. Se l'accusato coinvolgeva altre persone, magari per vendetta, il procedimento giudiziario si allargava. I cittadini infuriati, dopo aver liquidato una presunta strega, potevano decidere di sbarazzarsi di tutti i suoi accoliti.

       Un successivo documento che tratta di streghe è stato falsamente attribuito al famoso giurista perugino del Quattrocento,  Bartolo da Sassoferrato (1314–1357). A lui si sarebbe rivolto il vescovo di Novara per chiedere un parere riguardo a come vada giudicata una strega sotto processo a Orta. Il giurista rispondeva con un suo parere, il  consilium Mulier striga.  La strega, contro cui sarebbe stato istruito il giudizio, avrebbe confessato di aver fatto una croce con pezzi di legno, e di averla poi calpestata, anzi, di aver confezionato la croce al solo scopo di oltraggiarla calpestandola. Oltre a ciò, la donna ha ammesso di essersi inginocchiata davanti al diavolo e di aver provocato, ammaliandoli, la morte di alcuni bambini. L'aver calpestato la croce deve far condannare a morte la strega(13), a meno che non si penta mentre le altre accuse non furono ritenute da Bartolo convincenti perché non credeva possibile provocare la morte tramite incantesimi. Quella donna fu mandata al rogo nel 1340 come eretica e ciò mostra che non lo fu come strega e quindi che ancora non esisteva una procedura contro le streghe in quanto tali (la prima strega sembra sia stata arsa sul rogo nel 1275 a Tolosa).

        Altre opere che riguardarono la repressione contro le streghe furono realizzate principalmente da altri inquisitori: l'inquisitore domenicano Bernardo Rategno, detto da Como, scrisse De strigiis e Lucerna inquisitorum (1485) in cui sostenne che la Chiesa Cattolica non riconosceva alle donne, streghe, un`anima, perché le considerava strumento del demonio per la dannazione degli uomini, che, nel solo vederle, subivano la tentazione del desiderio e, coerentemente con il suo pensiero, nel solo anno 1485 accese 41 roghi di streghe; il frate dell'ordine di Sant'Ambrogio, Francesco Maria Guaccio (o Guazzo), scrisse il Compendium maleficarum (1608) un vero compendio dei prodigi diabolici come scomparse istantanee, guizzi, repentine metamorfosi, che costituiscono il repertorio di un Satana illusionista e funambolo; l'inquisitore domenicano di Modena, Bartolomeo Spina, scrisse il Tractatus de Stringibus et Lamiis (1523); l'inquisitore domenicano Johann Nider scrisse nel 1437 il Formicarius, un trattato di demonologia. Vi furono anche persone oggi riconosciute come portatrici di idee aperte e certamente non fondamentaliste che aderirono all'idea di strega come un qualcosa da cui sbarazzarsi. In tal senso è esemplificativo Jean Bodin (1529 -  1596), giurista, consigliere del Re di Francia Enrico III, teorico del concetto moderno di «sovranità», precursore di Montesquieu sul tema della ricerca nella storia dello spirito delle leggi, fautore della libertà di commercio ma fautore del diritto divino dei re. Egli fu l’autore di un manuale giudiziario per la tortura e lo sterminio delle streghe, la De la démonomanie des sorciers, del 1580. In esso, oltre a negare che alle streghe possano essere applicate le abituali norme processuali, a stabilire che un bambino di tre anni, appena in grado di parlare, potesse accusare i propri genitori di stregoneria e stabilire ancora che le streghe debbano essere bruciate vive ma a fuoco lento, si sosteneva: "Poiché per mezzo delle donne Satana attira nei suoi lacci mariti e figli, sarà risoluzione giusta della legge divina che la strega debba subito essere fatta morire"; "Se la prova dell'empietà è difficile, la legge di Dio comanda che si facciano morire le streghe, che intorpidano gli occhi e la mente, senza ricercare oltre, poiché si deve ritenere per certo che l'inquisita è malefica ed ha stretto con satana un patto tacito o espresso"; "E' stato sperimentato che le streghe non piangono mai, il che è eccezionale indizio a loro carico, perché le donne mandano lacrime e sospiri a proposito e a sproposito". E mentre Hobbes, nel Leviatano arrivò ad assimilare maghi, streghe e cattolici, personalità come Boyle e Descartes dettero il loro credito alla stregoneria(14).

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        Al rogo che seguì al consilium Mulier striga di Bartolo da Sassoferrato seguirono altri isolati processi come quello del 1375 contro Gabrina degli Albeti nella città di Reggio Emilia. E' il più antico processo di questo tipo celebrato in Italia di cui ci restino i verbali. Altri processi furono quelli: contro Carlo Geno di Gaspare Grassi da Valenza celebrato a Milano nel 1385 con esecuzione finale;  contro Sibillia Zanni e Pierina de' Bugatis condannate al rogo per stregoneria a Milano nel 1390; contro Giovanna di Salussola giustiziata nel vercellese nel 1470 ma, ripeto, questi fatti furono episodici (a parte forse alcuni processi a varie streghe nel comasco nel 1416) fino a circa 20 anni dopo(15).

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Le streghe di Goya

        La caccia divenne frenetica dopo il Malleus Maleficarum (1486) che doveva fornire gli strumenti per riconoscere le streghe. Il libro, infarcito di giustificazioni bibliche, era suddiviso in due parti. La prima trattava delle tre condizioni necessarie per avere a che fare con una strega (il

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demonio, la strega ed il permesso di Dio). In essa, attraverso domande e risposte, si discuteva: dell'esistenza della stregoneria e come il solo negarlo era eresia; della necessità che il diavolo si associ alla strega intimamente; della possibilità di generare dall'accoppiamento di streghe e diavolo; di quali erano i diavoli che dall'inferno erano addetti allo scopo (qui viene esplicitamente richiamata la gerarchia dei diavoli fatta da San Tommaso); del perché aumentano i fenomeni di stregoneria; dell'estraneità dell'astrologia con la stregoneria; del come le donne si accoppiano con il demonio e del perché sono le principali adepte ad ogni malvagità; di quali sono le donne più adatte alla pratica della stregoneria (infedeli, ambiziose e lussuriose); di come il diavolo possa influire nella mente degli uomini per farli odiare o amare; di come si possa predicare ciò al popolo; di se e come le streghe possano impedire le gestazioni e provocare impotenza;  di se e come le streghe possano creare l'illusione che l'organo virile del maschio possa apparire separato dal corpo dell'uomo; di come le streghe con opportuni malefici possano trasformare gli uomini in bestie; di come le streghe possano far sembrare o realizzare che uomini o bambini fuori della culla possano essere divorati da lupi; di come le streghe possano procurare aborti o offrire al demonio i bambini appena nati; di come c'entri Dio poiché ogni essere creato non è mai esente da peccato come si è mostrato con i nostri primi genitori cacciati da Paradiso per opera del diavolo; del perché siano necessari i peggiori castighi per la stregoneria; di quali sono i peggiori incantesimi e malefici provocati dalle streghe e quali sono le preghiere per evitare tutto ciò e se esse possono essere efficaci di fronte alla potenza del demonio. La seconda parte, suddivisa in due capitoli, trattava dei metodi mediante i quali si realizzano i malefici della stregoneria e di come possono essere combattuti con successo. Nel primo capitolo di questa seconda parte si discuteva: dei diversi modi con cui i demoni, per intermediazione delle streghe, tentano ed attraggono gli innocenti per arruolarli nei loro eserciti; di come si stabilisce l'accordo formale con il diavolo; di come le streghe si spostino; di come le streghe si accoppino con il demonio che hanno dentro; di come si riproducono; di come i sacramenti sono usati dalle streghe per i loro malefici; di come intervengano per rendere difficile la procreazione; di come privano l'uomo dell'organo virile; di come i demoni riescono ad entrare nel corpo umano senza che uno se ne accorga; di come, attraverso le streghe, i demoni possano impossessarsi delle persone; di come le streghe possano produrre qualunque malattia; di come ammazzano i bambini e li cedono al demonio in modi orribili; di come provochino enormi danni al bestiame; di come provocano tempeste, grandinate e fulmini per abbattere uomini ed animali; di come gli uomini e non le donne praticano i malefici (è l'unico paragrafo che si occupa espressamente di uomini). Nel secondo capitolo di questa seconda parte si discuteva: dei rimedi prescritti dalla Chiesa contro i demoni interni ed esterni; rimedi per quelli che hanno subito il maleficio dell'impotenza generativa; rimedio per quelli che hanno subito il maleficio o di un immenso amore o di un immenso odio; rimedio per gli uomini che hanno perso il loro organo virile o sono stati trasformati in bestie; rimedio per gli ossessi da maleficio; degli esorcismi leciti per ogni tipo di stregoneria e per esorcizzare le medesime streghe; rimedi contro le tempeste provocate e contro gli animali stregati; rimedi contro i mali oscuri ed orrendi con cui i demoni possono affliggere gli uomini. In definitiva qui venivano fornite istruzioni pratiche sulla cattura, il processo, la detenzione e l’eliminazione delle streghe. Per incriminare una persona di stregoneria i pettegolezzi pubblici erano sufficienti ed una difesa troppo vigorosa da parte del difensore provava che anche questi era stregato. Nel libro, tra l'altro, si diceva che le streghe: uccidono il bambino nel ventre della madre, così come i feti delle mandrie e dei greggi, tolgono la fertilità ai campi, mandano a male l’uva delle vigne e la frutta degli alberi; stregano gli uomini, donne, animali da tiro, mandrie, greggi ed altri animali domestici; fanno soffrire, soffocare e morire le vigne, piantagioni di frutta, prati, pascoli, biada, grano e altri cereali; inoltre perseguitano e torturano uomini e donne attraverso spaventose e terribili sofferenze e dolorose malattie interne ed esterne; e impediscono a quegli uomini di procreare, e alle donne di concepire…. E questi feti e bambini erano molto richiesti dalle streghe perché servivano per essere disciolti e con loro fare unguenti che permettevano di volare. Si può quindi ben capire quanto fosse importante sradicare questo male assoluto.

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        Il libro indicava chiaramente quali domande dovevano essere fatte all'imputata:

"Da quanto tempo ella indulgesse nel vizio altamente esecrabile della stregoneria";

 "Sotto quali sembianze le fosse in principio apparso il diavolo foriero di ogni male: al mattino, a mezzogiorno, la sera o la notte?";

"Se ella fosse in grado di scrivere e di leggere e se avesse sottoscritto un patto con il diavolo, e insieme con chi? E posto che egli le avesse guidato la mano, di quale mano si trattava?";

"Che cosa ella avesse scritto e di che colore fosse l'inchiostro utilizzato; dove ella lo avesse reperito e chi fosse in possesso del manoscritto";

"Se [il diavolo] le avesse conferito un nuovo battesimo e chi inoltre vi avesse assistito; in che modo ella avesse chiamato il suo diavolo incubo e viceversa";

"Se [il diavolo] non le girasse intorno alla fronte, e se si fosse comportato come se volesse grattar via qualcosa".

Si doveva poi indagare se la strega "con le sue polveri ed unguenti diabolici [...] avesse condotto a morte uomini e animali; per quanto tempo ciò fosse durato; perché lo avesse fatto" e "che tipo di malattie avessero contratto gli uomini e gli animali; dove, per quanto tempo, perché e chi l'avesse aiutata in tutto questo".

L'indagine proseguiva per capire quali fossero gli elementi eretici relativi alla vera e propria fede, ai sacramenti chiedendo se la strega:

"avesse sempre preso la comunione ed in quale chiesa";

"avesse mai profanato l'ostia consacrata per scopi malèfici e con che frequenza avesse sottratto l'ostia dalla bocca";

"Dove l'avesse portata, come e dove l'avesse profanata e che cosa ne fosse conseguito; se non si fosse impaurita e dove fosse rimasto nel frattempo il suo diavolo incubo";

"Dove avesse posto, sistemato, gettato o altrimenti portato l'ostia consacrata"; 

"Quali soprannomi canzonatori ella avesse dato al nostro amato Signore, all'adorata santa Vergine Maria e a tutti gli altri Santi di Dio. E per quale motivo?"; 

"Quali formule avesse recitato al posto della Preghiera".

Si richiedevano successivamente notizie su come si svolgevano i sabba:

"Quante volte ella si fosse allontanata [si cerca di arrivare al volo notturno, ndr]";

"Su chi e in che modo";

"A che ora; se ella fosse seduta davanti oppure dietro";

"Quali parole ella avesse pronunciato prima di uscire";

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"Il nome dei luoghi nei quali era giunta";

"Quali cibi vi fossero là"

"Che cosa avesse bevuto e da chi avesse ricevuto le bevande e a chi le avesse passate"; "Quali parole pronunciassero tra di loro durante il convivio e come si disponessero uno accanto all' altro e come si decidesse chi doveva stare fuori sulla scopa";

"Che tipo di candeliere avesse, e se alcuni non facessero luce in un modo strano e se ella stessa fosse illuminata";

"Quanto tempo durasse il convivio, e quante persone fossero presenti, in ispecie durante un grande raduno";

"Che cosa si facesse dopo il pasto e se ella contasse molto";

"Quando si svolgeva una danza, quali compagni avesse nei ludi magici";

"Se forse, a due a due, non si strofinassero sui fianchi e che cosa talvolta fossero soliti fare";

"Se non vi fosse presente qualcuno a cui si dovesse rendere omaggio, e in che modo; se lui fosse seduto, oppure in piedi, come fosse vestito, chi fosse costui"

"Come ella avesse fatto in modo che suo marito, nel frattempo, non si svegliasse".

L'inquisitore doveva poi capire se la casa avesse qualche rifugio per il diavolo:

"Con che frequenza ella si fosse recata nelle cantine e a che cosa queste fossero adibite: se fosse una cantina per il vino, per la birra o per l'idromele, quanto tempo fosse trascorso dalla prima volta";

"Se si potesse bere da tutte le botti, e perché invece no?";

"Dove si trovasse nel frattempo il suo diavolo incubo o se anche egli avesse bevuto";

"Che parole avessero pronunciato nel passarselo l'un con l'altro";

"Se si fossero verificati atti illeciti nella cantina, e con che frequenza";

"Quante volte si fosse recata nelle camere e quali persone avesse angustiato e in che modo avesse organizzato queste stregonerie?".

Gli unguenti, le pozioni e gli ingredienti per essi erano oggetto di indagine e, nell'indagine, entravano anche i bambini perché utilizzati come materia prima(16):

"Quante volte ella si fosse recata, durante la notte, al cimitero ed avesse preso parte all'esumazione di qualche bambino";

"Cosa ne avesse poi fatto di questo bambino; ovvero, in che modo lo avesse cucinato: nell' acqua o arrostito? In quale luogo se ne fosse cibata; chi avesse partecipato al banchetto e se il cibo l'avesse ben appagata";

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"Che cosa aveva fatto della carne avanzata e delle ossa";

"Contro chi aveva utilizzato i filtri così ottenuti".

Altre domande erano relative a come si provocavano le avversità atmosferiche:

"Quante volte ella avesse provocato il temporale e dove e da chi era stata aiutata?"

"Che cosa avesse utilizzato per tale scopo e su che cosa lo avesse fatto";

"Se il temporale fosse scaturito immediatamente e quali danni ne fossero conseguiti; perché lo aveva fatto?";

"Allo stesso modo, quante volte ella avesse provocato gelo e nebbia; che cosa avesse usato e quali danni ne fossero conseguiti".

Seguivano le domande sui preliminari dei rapporti carnali, al di fuori del sabba, poi estesi ai veri e propri rapporti:

"Quante volte il diavolo fosse venuto a farle visita, a casa o in altro luogo, al di fuori delle orge danzanti";

"In quale periodo dell'anno"

"Se egli fosse rimasto seduto oppure stesse in piedi; come ella lo avesse riconosciuto e pregato";

"Se ella lo avesse adorato come proprio dio; e, quando ancora pregava, a chi avesse indirizzato una tal preghiera";

"Se in quel momento ella fosse stata indotta a compiere con lui atti indecenti e se tali atti fossero stati consumati prima o dopo la preghiera".

"Quante volte nell'anno il diavolo, al di fuori dei sabba, l'avesse indotta alla fornicazione [mixtura carnalis, ndr] e in che luogo; in casa o in quale altro sito?"

"Se ciò fosse accaduto durante la notte o di giorno";

"Come avesse avuto percezione di lui";

"Se il diavolo parlasse piano oppure forte";

"Come ella lo avesse riconosciuto";

"Come fosse vestito o, altrimenti, che sembianze avesse assunto".

Sui malefici diretti alla salute, infine, si chiedeva:

"Come ella inoculasse negli uomini malattie tali che essi non potessero più guarirne e che nessuno fosse in grado di recare loro giovamento";

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"In quante coppie di coniugi avesse portato discordia, a tal punto che si fossero accapigliati e percossi a vicenda o non avessero più potuto stare insieme".

        Con questo possente e dettagliato armamentario si poteva procedere(17). Si deve notare la grande insistenza su questioni sessuali che veniva artatamente ingigantito come mostra dell'eterna sessuofobia delle chiese ed in particolare della cattolica che eredita San Paolo, il capo supremo dei misogino che diceva: La donna impari in silenzio, con tutta sottomissione. Non concedo a nessuna donna di insegnare, né di dettare legge all'uomo; piuttosto se ne stia in atteggiamento tranquillo. Perché prima è stato formato Adamo e poi Eva; e non fu Adamo ad essere ingannato, ma fu la donna che, ingannata, si rese colpevole di trasgressione. Essa potrà essere salvata partorendo figli, a condizione di perseverare nella fede, nella carità e nella santificazione, con modestia (Prima lettera a Timoteo 2,11-15). Questa insistenza doveva poi trovare pieno sfogo sadico nelle torture che erano spesso rivolte ai genitali delle presunte streghe, in quanto avrebbero potuto avere rapporti sessuali con il diavolo in persona. Nel Malleus si descrivono alcune situazioni di rapporti sessuali tra la strega ed il diavolo incubo (quello appunto che aveva rapporti con streghe): rispetto alla strega il diavolo incubo opera sempre visibilmente e non gli è necessario avvicinarsi a lei invisibilmente perché tra loro c'è un patto esplicito. Tuttavia, per quanto riguarda gli astanti, le streghe molto spesso sono state viste giacere supine nei campi e nelle foreste, nude fin sopra l'ombelico. Con le membra e le gambe disposte per questa sporcizia si agitavano per la cooperazione dei diavoli incubi, invisibili agli astanti benché talvolta, alla fine dell'atto, un vapore nerissimo della lunghezza di un uomo si levasse nell'aria al di sopra della strega. E troviamo anche alcune arti in cui le streghe si dilettano: Queste streghe che [...] collezionano membri virili in gran numero (venti o trenta) e li mettono nei nidi degli uccelli o li chiudono in casse nelle quali continuano a muoversi come membri vivi, mangiando avena o altre cose, così come qualcuno li ha visti e come racconta l'opinione comune. Conviene dire che tutte queste cose si devono all'azione e alle illusioni del diavolo. [...] Un uomo racconta che aveva perso il suo membro e che per recuperarlo era ricorso a una strega. Questa ordinò al malato di salire su un albero e di sceglierne uno tra i molti che c'erano lì. Come rituale precedente alla tortura si raccomandava l’uso del ferro infuocato con cui togliere i peli dall'intero corpo della donna accusata allo scopo di trovarvi il marchio del Diavolo, che ne avrebbe provato la colpevolezza. Seguiva la tortura che si basava in gran parte su marchingegni che riguardavano il sesso. La tortura in tal senso più orrenda era Il topo: un topo vivo era inserito nella vagina o nell'ano della persona sospettata con la testa rivolta all'interno del corpo, e talvolta l'apertura veniva ricucita per evitare che l'animale fuoriuscisse dal corpo non prima di aver lacerato le carni del torturato. Altra tortura, pensata specificamente per le donne era L'Annodamento: i lunghi capelli erano annodati attorno ad un palo e uomini robusti facevano ruotare il palo, spesso causando la lacerazione dello scalpo. Altre particolari torture erano: Il dissanguamento (un taglio sopra il naso e la bocca causava la morte per dissanguamento); Le Turcas (tutte le unghie venivano strappate al loro posto erano inseriti aghi); La Vergine di Norimberga (una simulacro di donna in legno dentro il quale veniva posta la persona, una volta al suo interno lunghi aculei affilati trafiggevano il corpo del torturato senza colpire parti vitali che causavano una lunga e dolorosa agonia); La Pulizia dell'Anima (l'anima corrotta era purificata con l'ingestione obbligata di carbone, acqua calda e sapone); La Culla della Strega (la strega era rinchiusa in un sacco, appesa ad un ramo e fatta oscillare, questo movimento continuo creava confusione ed induceva la stessa a confessare); L'Impalamento (la persona torturata veniva spogliata, issata ad un palo con un oggetto a forma di piramide triangolare fissato alle sue estremità, il torturato era fatto sedere in modo tale che la punta della piramide penetrasse nel retto o nella vagina, in seguito pesi erano legati ai piedi ed alle mani del torturato); L'acqua ingurgitata (l'accusata, incatenata mani e piedi, è costretta a ingurgitare più di 9 litri d'acqua, e ancora altrettanti se il primo tentativo non risulta convincente). Come prova specifica per riconoscere una strega si utilizzava La prova dell'acqua (si doveva immergere la presunta strega nell'acqua di un fiume, di uno stagno o di un canale, talvolta legata a una grossa pietra. Se la donna galleggiava, significava

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che il diavolo desiderava salvarla e quindi la donna  era colpevole e veniva giustiziata. Se invece l'accusata andando a fondo affogava, veniva ritenuta innocente). Una variante della precedente prova era quella dello sgabello (la donna veniva legata ad un sedile che impediva ogni movimento delle braccia. Questo sedile veniva poi immerso in uno stagno o in un luogo paludoso e molto spesso si moriva per il freddo che si provava)(18). Non si creda però che le poche torture qui riportate esauriscano l'inventiva dei sadici inquisitori. Il resoconto di una sessione di tortura deliberata dalla Chiesa di Scozia sulla povera Beatrix Laing (accusata di stregoneria per delle crisi epilettiche che ebbe un ragazzo Patrick Morton per il fatto che, passando davanti a casa di Beatrix, pensò che la donna ce l'avesse con lui) nel 1705 è, pur senza gli strumenti ora citati, spaventoso:

L'imputata venne fatta gettare nella prigione di Pittenweem dal ministro e dai suoi magistrati; e poiché ella non voleva confessare di essere una strega e di operare in combutta con il diavolo, la torturarono impedendole di dormire per cinque giorni e cinque notti, e trafiggendole continuamente con strumenti le spalle, la schiena e le cosce, così che il sangue sgorgava in grande quantità e la vita era diventata un peso per lei; ed essi la spronavano senza sosta a confessare, e l'imputata disse molte cose sotto loro indicazione pur di essere liberata dalla tortura, ma dal momento che poi dichiarò pubblicamente di avere in precedenza mentito asserendo di aver visto il diavolo eccetera, venne messa ai ceppi per molti giorni e poi portata al buco del ladro, e da qui in una buia segreta, dove non le fu permesso di avere luce, né di parlare con alcuno; in questa condizione la lasciarono per cinque mesi di fila. Alla fine, essendo riuscita a trovare il modo di fuggire dalla detta segreta, ella andò vagando per strani luoghi quasi morta di fame e di freddo, anche se, e di questo rendeva grazie a Dio, a casa aveva di che vivere, ma non osava avvicinarsi, temendo l'ira e la violenza della gente.

        C'è da aggiungere al dettagliato manuale dei due domenicani tedeschi quanto scrisse un altro teorico dell'estirpazione della stregoneria, il colto teologo gesuita fiammingo (ma originario spagnolo) Martin Del Rio (1551-1608), nel suo Disquisitionum magicarum libri sex, in tre volumi (1600. Egli, soprannominato da Voltaire il procuratore generale di Beelzebuth, oltre a riportare una casistica monumentale, minuziosa ed esauriente di ogni fenomeno magico ed occulto, descrisse con cura il simbolo del diavolo, lo stigma, che doveva essere cercato sul corpo delle streghe (era questo il motivo per cui venivano completamente rasate). Così scriveva:

"Il Maligno suole imprimere il suo marchio o come si dice STIGMA nelle parti meno visibili del corpo dei suoi adepti, alla maniera che si usa contro gli schiavi fuggiaschi: questo S. non è affatto sensibile e si rivela indolore anche se viene trafitto con uno stilo acuminato. Nen v'è quindi da meravigliarsi se trattando tale argomento viene in mente la figura dell'Anticristo, quando negli ultimi tempi del suo imperio dovrebbe prendere la costumanza di segnare la carne dei propri seguaci, sulle mani od in fronte, con la figura simbolica della Bestia, cioè del Diavolo: su questo ha scritto S. Giovanni nell'Apocalisse (13, v.16) precisando che siffatto osceno marchio deve venire interpretato alla lettera, come disegno od arcana parola . In conformità al suo giudizio scrivono tanto Primasio che Ansberto che ancora il Domino Ippolito, precisando che, sin dall'inizio dei tempi, il Maligno si è adoperato ad emulare Dio. Quest'ultimo, come si legge nell'Antico Testamento, ordinò che i suoi fedeli venissero segnati colla pratica della circoncisione che, secondo gli ordinamenti del Vangelo, venne poi sostituita dal battesimo come peraltro sostengono Gregorio di Nazianzio e Ieronimo: Satana parimenti, ispirandosi al contenuto dei libri sacri, volle allora che anche gli eretici suoi seguaci, fra cui quanti praticano la magia, portassero impresso nella carne un segno del suo dominio. Autori serissimi e credibili sostengono questa ipotesi ed oltre ad Ireneo (per cui ai discepoli del Maligno il marchio è apposto dietro l'orecchia destra) è da ricordare Tertulliano il quale dice che Satana "per emulare e rovesciare in negativo il contenuto dei Sacramenti suol ungere i suoi fidi, promettendo l'espiazione dei crimini perpetrati col bagno votivo nelle acque infernali: inoltre egli li marchia per sempre, come suoi soldati, proprio sulla

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fronte, iniziandoli al culto del dio "Mitra".Ma chi sono questi seguaci cui allude Tertulliano? A mio avviso si tratta dei Basilidiani, quelli che veneravano Abraxas, che poi, stando al parere del citato Ieronimo, altri non è che il possente Mitra: tanto antica è dunque la consuetudine diabolica di marchiare i seguaci del male...coloro che hanno ricevuto nella carne questo marchio, che è simbolo d'obbedienza agli ordini demoniaci, promettono di pervertire le Sante Costituzioni, di dedicarsi ad orgie e manifestazioni di delirio, di non venerare nè rispettare l'Eucarestia, di oprare ingiuriosamente, con bestemmie ed offese, sia contro la Beata Vergine che gli altri Santi ed ancora di devastare, per quanto possibile, ogni addobbo sacro e qualsiasi simbolo della cristianità come le sacre immagini devozionali, il segno stesso della croce, l'acqua che purifica, il sale benedetto, le ceree torce devozionali già benedette dai sacerdoti. Queste medesime creature vendutesi al Maligno promettono altresì di tenere ben nascosto questo loro patto infernale, di servire al meglio il loro padrone e, in giorni ben stabiliti, di raggiungere, possibilmente volando, i luoghi in cui si radunano le armate di Satana. In compenso di tanta remissione e fedeltà il Demonio offre loro la promessa di soddisfarne i desideri terreni ed una volta defunti di ascriverli tra i suoi favoriti nel regno delle tenebre: da questi accordi, per me, non deriva tuttavia un rapporto di equilibri ed un patto giusto, comportante reciproci diritti ed obblighi: una volta che siano defunti, infatti, questi uomini vendutisi al male resteranno schiavi del Maligno, sottomessi alla più tormentante fra le prigionie".

        A queste indagini teologiche sui corpi delle persone (ed in particolare sul voler frugare nel corpo delle donne) serviva una veste giuridica che un magistrato inquisitore francese come Pierre de Lancre (1553-1631) fornì subito in vari suoi lavori e particolarmente nel Tableau de l'inconstance des mauvais anges et démons (1612):

Le confessioni rese da streghe e stregoni concordano con indicia così forti da poterli considerare autentici, reali e non ingannevoli né illusorio Ciò libera i giudici da qualsiasi dubbio possano nutrire. Infatti, quando esse [le streghe] confessano di avere commesso infanticidio, i genitori trovano i figli soffocati o completamente svuotati del sangue. Quando affermano di avere dissotterrato cadaveri e violato la sacra natura delle tombe, si scopre che i corpi sono stati portati via e non si sa dove siano finiti. Quando confessano di aver dato un brandello della loro veste in pegno a Satana, si trova sulla loro persona questo segno rivelatore. Quando dicono di avere gettato il malocchio su esseri umani o animali (e talvolta ammettono di averli curati), appare evidente che questi sono stati colpiti da maleficio, hanno riportato ferite o sono stati guariti. Di conseguenza, non si tratta di un'illusione. È questa la prima regola che ci rende chiaro cosa abbia fatto la strega, attraverso la sua confessione corroborata sia da convincenti indicia e da presunzioni molto gravi e forti, sia da irreprensibili testimoni.  La seconda regola per riconoscerle è sapere se Satana può fare le cose che esse confessano o ciò che i testimoni dichiarano contro di loro. Ora ... volare per l'aria e fare qualsiasi altra cosa di cui sono accusate non è soltanto possibile per lui, ma estremamente facile. La terza regola deriva dalla natura e dal gran numero dei testimoni, e dalle innumerevoli streghe curate e salvate per grazia di Dio e intercessione della Chiesa, che costituiscono una prova altrettanto valida e veritiera di quelle che non sono state redente: cinquecento bambini del Labourd, in verità più di mille (anche se questa è solo una piccola regione), vengono condotti ogni giorno ai convegni delle streghe da queste donne malvagie che hanno tutte ricevuto e recano il segno del diavolo; e quasi altrettanti dormono ogni notte nella chiesa, assai più al sicuro di quelli che, se dormono una sola notte all'esterno, ricadono nelle grinfie di Satana per mezzo della strega che di solito li portava al sabba; avvenimenti che si accordano tra loro, una notevole armonia di varie cose diverse l'una dall'altra e l'universale concordanza di tutte le nazioni, per quanto distanti tra loro. secondo cui [le streghe] narrano e descrivono le stesse cose. Se si trattasse di sogni, come potrebbero avere lo stesso marchio? Come è possibile che capiti loro la stessa cosa, e che questa avvenga nello stesso luogo, nello stesso periodo, nello stesso giorno e alla stessa ora? I medici

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affermano che la quantità e la qualità di ciò che le persone mangiano rendono i sogni diversi, e altrettanto fanno la differenza di età e quella della temperatura dei loro umori. Quelli che hanno a che fare con la stregoneria, invece, sognano la stessa cosa, siano essi grassi o magri, vecchi o giovani, uomini o donne, biliosi o flemmatici, ottimisti o malinconici !.

        Di processi o individuali o collettivi contro le presunte streghe, abbonda la letteratura, anche perché l'isteria collettiva non era solo delle streghe ma anche di preti e magistrati che riferivano di così tanti bambini vittime  di streghe. Occorre anche fare attenzione a chi ancora oggi tenta di fare affari inventando storie macabre, spacciate per vere. La bibliografia che fornisco potrebbe essere d'aiuto a chi volesse approfondire. Vorrei qui fare qualche esempio di leggende tramandate fino a noi e di veri tragici processi.

STREGHE DI BENEVENTO

        Il citato San Bernardino da Siena, tra le sue prediche contro le streghe, prediche che erano annotate da un suo fedele, ebbe anche a parlare delle streghe di Benevento con queste parole:

Elli fu a Roma uno famiglio d’uno cardinale, el quale andando a Benivento di notte, vidde in sur una aia ballare molta gente, donne e fanciulli e giovani; e così mirando, elli ebbe grande paura. Pure essendo stato un poco a vedere, elli s’asicurò e andò dove costoro ballavano, pure con paura, e a poco a poco tanto s’acostò a costoro, che elli vidde che erano giovanissimi; e così stando a vedere, elli s’asicurò tanto, che elli si pose a ballare con loro. E ballando tutta questa brigata, elli venne a suonare mattino. Come mattino tocò, tutte costoro in un subito si partiro, salvo che una, cioè quella che costui teneva per mano lui, che ella volendosi partire coll’altre, costui la teneva: ella tirava, e elli tirava. Vedendola costui sì giovane, elli se ne la menò a casa sua: e odi quello che intervenne; che elli la tenne tre anni con seco, che mai non parlò una parola. E fu trovato che costei era di Schiavonia. Pensa ora tu come questo sia ben fatto, che elli sia tolto una fanciulla al padre e alla madre in quel modo. E però dico che là dove se ne può trovare niuna che sia incantatrice o maliarda, o incantatori o streghe , fate che tutte siano messe in esterminio per tal modo, che se ne perde il seme.

Da alcune testimonianze sappiamo che nella curia arcivescovile della città erano conservati i verbali di circa 200 processi per stregoneria che furono distrutti nel 1860, prima dell'arrivo di Garibaldi, ad evitare che fossero usati in una campagna anticlericale. Al di là delle favole di Bernardino i processi veri si fecero a Benevento. Qualche documento di processo, fatto altrove ma riguardante in qualche modo Benevento, resta. Nel 1428 si ebbe a Todi il rogo di Matteuccia di Francesco, del paesino di Ripabianca presso Deruta, accusata di essere una strega. Durante l'interrogatorio sotto tortura della malcapitata, disse che dopo essersi unta di grasso di avvoltoio, sangue di nottola e sangue di bambini lattanti, invocava il demonio Lucibello, che le appariva in forma di caprone, la prendeva in groppa e, tramutato in mosca, veloce come il fulmine, la portava al noce di Benevento dove erano radunate moltissime streghe e demoni capitanati da Lucifero maggiore(20). La formula per volare era la seguente:

“Unguento, unguento, mandame a la noce di Benivento supra acqua et supra ad vento et supra ad omne maltempo”.

In questa invocazione compare l'altra famosa leggenda, quella della noce di Benevento che sarebbe stato uno dei luoghi preferiti da streghe e demoni per i loro sabba. Vale la pena, per cercare di

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capire, ricordare per sommi capi alcuni fati storici. Durante l'impero romano Benevento era una regione in cui si era diffuso il culto della dea egizia Iside, dea della Luna. E ciò non era una storiella poiché l'imperatore Domiziano aveva eretto in quei luoghi un tempio. Iside era poi stata identificata in altre religioni con Ecate, dea degli inferi e Diana dea della caccia. Si può quindi capire che vi sono i seguenti ingredienti: la Luna che è la notte, gli inferi che sono il regno dei diavoli, Diana che nella simbologia della stregoneria è una sorta di identificativo per le streghe. Quella zona fu successivamente scelta dai Longobardi (VII secolo) per loro riti particolari tra cui ve ne era uno che prevedeva che le donne della tribù ballassero intorno ad una noce cantando ad alta voce ed un altro di tali riti, propiziatorio per la battaglia, prevedeva ancora un carosello di uomini a cavallo  intorno ad un albero da cui pendeva la pelle di un caprone. Una leggenda successiva, in contrasto con i dati storici ma quando si parla di queste cose la storia è una strega, spiega la sparizione dell'albero. Un prete di nome Barbato accusò i longobardi di idolatria ed approfittò di un assedio per ottenere la promessa dal capo Romualdo che se gli invasori se ne fossero andati avrebbero rinunciato a tali riti. per grazia divina l'assedio finì e Romualdo fece estirpare l'albero di noce intorno a cui si realizzavano le loro cerimonie facendo erigere in suo luogo una chiesa. Il cristianesimo tentò così di estirpare ogni rito che richiamasse alte religioni e quindi lavorò per estirpare ogni residuo di paganesimo in quelle terre. Per farlo doveva demonizzare il tutto e le associazioni vennero di conseguenza, con le donne longobarde che si tramutarono in streghe (o lamie, figure in parte umane e in parte animalesche) adoratrici del demonio-caprone e dedite a riti orgiastici. Ed a partire dagli inizi del XIII secolo la leggenda si materializzò in una serie di racconti relativi alla presenza di streghe in quella terra ballando intorno ad un noce rinato da quello estirpato. Scrive Wikipedia sui malefici delle streghe di Benevento:

La leggenda vuole che le streghe, indistinguibili dalle altre donne di giorno, di notte si ungessero le ascelle (o il petto) con un unguento e spiccassero il volo pronunciando una frase magica, a cavallo di una scopa di saggina o, secondo altre versioni, in groppa ad un «castrato negro» voltandogli le spalle. Contemporaneamente le streghe diventavano incorporee, spiriti simili al vento: infatti le notti preferite per il volo erano quelle di tempesta. Si credeva inoltre che ci fosse un ponte in particolare dal quale le streghe beneventane erano solite lanciarsi in volo, il quale perciò prese il nome di ponte delle janare, distrutto durante la seconda guerra mondiale.Ai sabba sotto il noce prendevano però parte streghe di varia provenienza. Questi consistevano di banchetti, danze, orge con spiriti e demoni in forma di gatti o caproni, e venivano anche detti giochi di Diana.Dopo le riunioni, le streghe seminavano l'orrore. Si credeva che fossero capaci di causare aborti, di generare deformità nei neonati facendo loro patire atroci sofferenze, che sfiorassero come una folata di vento i dormienti, e fossero la causa del senso di oppressione sul petto che a volte si avverte stando sdraiati. Si temevano anche alcuni dispetti più "innocenti", per esempio che facessero ritrovare di mattina i cavalli nelle stalle con la criniera intrecciata, o sudati per essere stati cavalcati tutta la notte.Le janare, grazie alla loro consistenza incorporea, entravano in casa passando sotto la porta (in corrispondenza con un'altra possibile etimologia del termine da ianua, porta). Per questo si era soliti lasciare una scopa o del sale sull'uscio: la strega avrebbe dovuto contare tutti i fili della scopa o i grani di sale prima di entrare, ma nel frattempo sarebbe giunto il giorno e sarebbe stata costretta ad andarsene. I due oggetti hanno un valore simbolico: la scopa è un simbolo fallico contrapposto alla sterilità portata dalla strega, il sale si riconnette con una falsa etimologia alla Salus.Se si era perseguitati da una janara, ci si liberava di essa urlandole dietro «Vieni domani a prendere il sale!»; se si nominavano le janare in un discorso, si scongiurava il malaugurio con la frase «Oggi è sabato».

        Altri processi alle presunte streghe di Benevento riguardano Mariana di San Sisto, Bellezza Orsini e Faustina Orsi. Di tali processi ci informa il giornale Realtà Sannita:

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"Il nome di Benevento viene fatto in uno solo dei processi esaminati dal Nicolini e precisamente in quello del 1456 a carico di Mariana di San Sisto, conclusosi col rogo. Ella viene accusata di andare con una sua compagna «ad surchiandum pueros et una nocte dicti mensi Iulii dicta Mariana et eius sotia in facie et corpore ipsarum se unserunt cum certis unguentis diabolicis et incantatis per dictam mulierem sotiam dicte Mariane, inter alia dicendo: “Unguento, menace a la noce de Menavento, sopra l’acqua e sopra al vento” et de nocte accesserunt ad nuces et arbores nucum ubi sole et sine lumine tripudiabant». Mariana è accusata di aver ridotto in fin di vita il figlioletto di Paolo Giacomo, detto Barbiere, e di Flora Schiavo. Condannata a pagare in prima istanza una multa di 1300 danari nel termine di dieci giorni, ella risultò insolvente e per questo fu condannata «ad essere bruciata col fuoco in modo tale che muoia». In due processi tenuti al Santo Uffizio di Roma nel XVI secolo, raccolti da Bertolotti nel 1883, durante gli interrogatori salta fuori il nome di Benevento e le danze sotto al noce. Il primo processo era a carico di Bellezza Orsini , accusata di malefici e venefici. Ella era esperta di erbe e fabbricava medicine. Un giovane in cura presso di lei morì in seguito a malattia, ma i parenti del morto accusarono Bellezza d'averlo stregato e ucciso. Accanto a questa denuncia se ne raccolgono anche altre. Bellezza fu condotta nel carcere di Fiano e sottoposta a numerosi interrogatori con tortura, durante i quali ella «confessò» fra le altre cose: «Andamo alla noce de Benevento e illi [lì] facemo tucto quello che volemo col peccato renuntiamo al baptismo e alla fede e pigliamo per signore e patrone el diavolo e facemo quel che vole luj e non altro». E più avanti ribadisce: «E andamo alla noce de Benevento dove ce reducemo tucte insieme e illi facemo gran festa e jova [gioco] e pigliamo piacere grande e poi il diavolo piglia quattro frondi de quella noce e cusì ne ritornamo a casa e dove volemo ad streare [stregare] e far male ad qualcheduno…». Inoltre riporta la formula per volare: «Unguento, unguento, portace alla noce di Benevento, per acqua e per vento e per ogni maltempo». Stremata dalle torture la povera Bellezza Orsini si suiciderà in carcere, colpendosi più volte la gola con un chiodo. Sfuggirà così al rogo. Secondo Bellezza la riunione a Benevento si teneva ogni tre anni. Il secondo processo è datato al 1552 ed è a carico di Faustina Orsi , accusata di aver stregato dei bambini, uccidendoli con i suoi farmaci. Anche ella confesserà sotto tortura. All'epoca del processo Faustina ha ottanta anni e ripete il solito incantesimo: «Unguento mio unguento, sopra acqua e sopra vento portami alla noce del Benevento». Qui con altre quattro o sei donne balla e canta; racconta di esservi stata trenta o quaranta volte in tutta la vita, ma che manca alle riunioni da due anni perché si è pentita. Nella sua confessione manca l'abbondanza di particolari fornita da Bellezza, ma ella è bruciata ugualmente come strega".

LE STREGHE DI TRIORA, LA SALEM D'ITALIA

        Una vicenda di estrema gravità accadde a Triora nel 1587, nell'entroterra ligure, in provincia di Imperia. La riporto nel racconto di Ippolito Edmondo Ferrario:

Sul finire dell' estate del 1587 a Triora, millenario borgo di montagna del Ponente ligure, tirava una brutta aria; da circa due anni la gente non aveva più di che sfamarsi e nel giro di pochi giorni alcune donne che abitavano alla periferia del paese furono ritenute responsabili di questa presunta carestia. L' accusa? Essere streghe, o meglio bagiué, secondo il dialetto locale. Queste sono le premesse con le quali ha inizio uno dei più feroci processi alle streghe in Italia, per nulla inferiore in quanto a drammaticità a quelli di Loudun e di Salem, rispettivamente in Francia e in America. All' epoca dei fatti, Triora era un borgo fortificato al centro di intensi traffici commerciali tra il Piemonte, la costa e la vicinissima Francia. Politicamente dipendeva da Genova, di cui era podesteria, difesa da ben cinque fortezze al cui interno era di stanza una guarnigione di soldati della Repubblica. Nell' ottobre del 1587 il Parlamento locale, composto per lo più da persone rozze e ignoranti, con il beneplacito del Consiglio degli Anziani e del Podestà, stanziò cinquecento scudi per imbastire un processo; una

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cifra enorme in relazione alla condizione economica del borgo stesso. L'autorità ecclesiastica non tardò a intervenire; giunsero infatti il vicario dell' Inquisitore di Genova e il vicario dell' Inquisitore di Albenga, Gerolamo Del Pozzo. La prassi del tempo consisteva nel celebrare messa nella chiesa parrocchiale, invitando il popolo alla delazione. Il processo di Triora non stupisce inizialmente per il suo corso che ricalca nella sostanza molti altri con tutte le ripercussioni del caso. Si confiscarono alcune abitazioni private da adibire a prigione e non tardarono ad arrivare le prime vittime della giustizia: tra le prime venti donne incarcerate morirono la sessantenne Isotta Stella e un' altra donna, quest'ultima nel tentativo di calarsi da una delle finestre del carcere. Di streghe morte la storia ne e' piena, ma ciò che lascia perplessi e' l'evolversi della situazione. Il Consiglio degli Anziani, essenzialmente composto dai proprietari terrieri, mostrò le sue perplessità verso il processo quando le prime "matrone" di Triora furono incarcerate. La delazione, gli odi e le invidie personali stavano dilagando a tal punto da mettere sullo stesso piano, di fronte alla macchina della giustizia, le nobildonne come le prostitute e le emarginate che "sopravvivevano" alla Cabotina, un quartiere composto da misere abitazioni, vista precipizio, che si ergeva all'esterno delle mura del paese.I due inquisitori non riuscirono a concludere il processo causa il repentino allargamento delle accuse a tutto il tessuto sociale.Il dramma di Triora era solo all'inizio. Il governo di Genova intervenne personalmente nella questione. Il vescovo di Albenga, Mons. Luca Fieschi chiese spiegazioni al Del Pozzo sul suo operato attraverso una missiva. Tra i due iniziò un breve rapporto epistolare che non cambiò la sorte delle donne incarcerate ancora in attesa di giudizio.Il Del Pozzo sosteneva la presenza del Maligno come elemento portante della sua difesa; contemporaneamente anche il Consiglio degli Anziani ritirò le proprie perplessità precedentemente espresse riaffermando il proprio appoggio all'operato degli inquisitori.Gli storici ipotizzano una rassicurazione verbale da parte di Del Pozzo sulla sorte delle nobildonne e su una sua promessa di non estendere le accuse ai notabili del posto.Nel frattempo però il processo subì un rallentamento; nel gennaio del 1588 i due inquisitori partirono da Triora, lasciando dietro di sé una situazione drammatica. Da qui in poi e' un susseguirsi di lettere al governo genovese e richieste di aiuto che cadono inascoltate.Il Parlamento locale, iniziale fautore del processo, mutò rapidamente opinione, incaricando il notaio triorese Basadonne di scrivere a Genova per chiedere una rapida revisione del processo. Si attese fino a maggio per ottenere la visita inconcludente del padre inquisitore Alberto Fragarolo che dopo qualche interrogatorio lasciò Triora senza risolvere la situazione, esattamente come i suoi predecessori. Nel mese di giugno arrivò l'autentica svolta della vicenda, quella che nessuno però si sarebbe augurato. Il giorno 8 giunse a Triora, mandato da Genova, il commissario speciale Giulio Scribani, già Pretore a San Romolo, paese dell'entroterra di San Remo. Un mese dopo, in una sua lettera a Genova, lo Scribani affermava in maniera inquietante di essere giunto a Triora "per smorbar di quella diabolica setta questo paese che resta quasi per tal conto tutto desolato". Nel frattempo avvenne un avvicendamento di podestà; Stefano Carrega lasciò il posto a Gio Batta Lerice. Lo Scribani per prima cosa inviò nelle carceri genovesi tredici donne e il solo uomo che giacevano nelle prigioni trioresi al suo arrivo. Da qui in poi sarà un escalation di arresti e torture.Nei mesi successivi lo Scribani imperversò in tutta la zona aprendo nuovi casi e facendo morire donne innocenti. Per l'ennesima volta si verificò un colpo di scena: di fronte alla richiesta del via libera per decine di condanne a morte, il Doge iniziò a nutrire i primi dubbi sull'operato del commissario. Perplessità che sfociarono in una richiesta allo Scribani di attenersi alle confessioni e soprattutto di provarne la veridicità con riscontri reali e plausibili. Il richiamo cadde nel vuoto. Lo Scribani era ormai un cane sciolto. Genova affidò la revisione del processo all'uditore e consultore Serafino Petrozzi che sottolineò come lo Scribani si fosse interessato a reati connessi alla stregoneria, materia di esclusiva competenza dell'Inquisizione. Ma anche il Petrozzi concluse la sua relazione dicendo che la questione era troppo delicata e la possibilità di commettere errori elevata. In pratica se ne lavò le mani. Lo Scribani nel frattempo continuava a incarcerare donne e a difendersi dalla critiche con numerose lettere.

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Genova, seguendo una tragica prassi burocratica, affiancò al Petrozzi due giureconsulti: Giuseppe Torre e Pietro Allaria Caracciolo.La situazione divenne paradossale: i due nuovi revisori dopo una breve analisi del caso si dichiararono concordi con lo Scribani e convinsero anche il Petrozzi.Lo Scribani si sentì così autorizzato a proseguire; a Triora e nei borghi confinanti come Andagna, Bajardo, Montalto Ligure si registrarono le morti di tante innocenti.Prima di vedere uno spiraglio si dovranno attendere mesi. Lo Scribani per il suo scellerato operato subì la scomunica da parte dell' Inquisizione stessa, rimessagli poi, per intervento del Doge, il 15 agosto 1589.Il 28 aprile 1589 fu la Chiesa a dare un segnale di speranza concreto: i cardinale Sauli e quello di Santa Severina, fecero giungere l'ordine di chiudere i processi e per la prima volta, come si legge nella loro missiva, le streghe di Triora vennero chiamate "sudditi della Signoria" restituendo, almeno a parole, dignità alle innocenti. Nel frattempo altre due donne passarono a miglior vita; il 27 maggio toccò al Doge lamentarsi con il Cardinale Sauli del fatto che ancora non si fosse fatto niente. Solo il 28 agosto il Cardinale di Santa Caterina confermò la volontà dell'Inquisizione di chiudere i processi. E così la parola fine fu posta a sigillo dell'intera vicenda.Che fine fecero le streghe di Triora? Morirono in carcere o furono liberate?Da qui in poi il loro triste destino sprofonda nell'oblio del tempo per la mancanza di documenti.Sulla fine della vicenda gli storici si sono espressi in maniera differente. Alcuni sostengono che le donne rinchiuse a Genova furono liberate: la prova sarebbe leggibile nei registri parrocchiali di San Martino di Struppa, paese della Val Bisagno, a quel tempo colonia penale di Genova. Dal 1600 in poi compare il cognome Bazoro e Bazura che richiama inequivocabilmente bagiua, termine con il quale sono chiamate le streghe a Triora.Su quelle incarcerate a Triora si sa ben poco. Alcuni ipotizzano che siano state liberate e che abbiano partecipato alla costruzione di quel convento di San Francesco i cui lavori iniziarono nel 1592 e terminarono nel 1595.Al di là della drammaticità della vicenda le ipotesi più recenti sul processo hanno portato all'esame di alcune grandi anomalie che farebbero pensare che dietro all'accusa di stregoneria, il grande processo servì a nascondere situazioni al limite della legalità che vedevano il coinvolgimento delle stesse famiglie nobili di Triora.

Ecco qui di seguito alcuni punti sui quali gli storici si sono soffermati in questi anni:

- Per anni la causa del processo fu imputata ad una carestia che perdurava dal 1585; ciò sembrerebbe improbabile, vista la nomea di "granaio della repubblica" che Triora godeva a quei tempi. Si è pensato quindi ad una manovra speculativa dei latifondisti trioresi interessati all'innalzamento del prezzo delle derrate alimentari da rivendere a Genova, derrate però che non riuscivano più ad essere acquistate dai propri concittadini. In questo caso le streghe sarebbero state un capro espiatorio perfetto.

- Tra le accuse mosse alle streghe compare spesso quella di infanticidio. Dall'analisi del Liber Mortuorum et Baptizatorum di quegli anni non si rileva un innalzamento della mortalità infantile. L'ipotesi più credibile è quella della presenza di esperte levatrici che spesso si vedevano costrette a somministrare battesimi non ufficiali prima di dare sepoltura ai bambini nati morti, a loro volta sepolti sul sagrato della chiesa di S. Bernardino. Questa diffusa pratica, mal tollerata dalla religione ufficiale, potrebbe essere una delle cause dell'odio scatenato verso queste donne che conoscevano le proprietà curative delle erbe medicinali.

- Significativa è la figura del medico di Triora, tale Luca Borelli, che fino alla fine del processo sostenne l'operato degli Inquisitori, anche quando a finire negli ingranaggi della giustizia fu la sua parente Franchetta Borelli. Lo stesso medico, dopo la vicenda, fu accusato nel 1608 di essere il

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fautore di una cospirazione filosabauda ai danni di Genova.

- Il processo alle streghe potrebbe essere servito a distrarre l'attenzione da un processo che in quegli anni riguardò il canonico di Triora Marco Faraldi, giudicato in contumacia e accusato di falsa monetazione e ricerche alchemiche.

In definitiva un'oscura trama di rapporti politici, economici e interessi personali fa da sfondo ad una delle pagine più nere della nostra storia.

Il caso di Franchetta Borelli

In questo dramma collettivo rimane viva negli atti, conservati presso l'Archivio di Stato di Genova, la testimonianza di Franchetta Borelli sottoposta dallo stesso Scribani a più di un giorno di tortura al cavalletto.Franchetta apparteneva a una delle famiglie nobili di Triora; le cronache del tempo parlano di lei come di una donna bella e ricca, non sposata, e che in gioventù era stata una prostituta. Chiamata in causa da altre donne, Franchetta venne torturata una prima volta per una notte durante la quale confessò alcune accuse, ma successivamente si chiuse nel silenzio. Grazie all'intervento del suo avvocato e alla parola del fratello Quilico, pronto a sborsare una somma di mille scudi come cauzione, le furono concessi gli arresti domiciliari. Lo Scribani non era sicuro dell'innocenza della donna, ma accettò il compromesso. Senonché Franchetta tentò la fuga da Triora, costringendo il fratello a versare la somma e facendo rischiare il carcere a un tale di nome Buzzacarino che aveva garantito per lei. Franchetta decise allora di tornare a Triora per affrontare il proprio destino. La sua dolorosa odissea nelle mani dello Scribani ebbe inizio; ore e ore di continui tormenti durante cui la presunta strega dirà emblematicamente "Io stringo i denti e poi diranno che rido". In ventuno ore e più di supplizio Franchetta alternò momenti di sconforto e di silenzio a pensieri innocenti, rivolti al suo amato borgo e ai suoi familiari. Si offrì di riparare le scarpe rotte a un suo parente che la assisteva e si preoccupò del vento freddo che soffiava fuori dalla prigione, nocivo alla maturazione delle castagne. L'epilogo della vicenda di Franchetta diventa oscuro per mancanza di documenti certi. Un solo dato fa sperare bene sulla sua sorte. La presunta strega morì il 2 gennaio 1595, diversi anni dopo il processo. Fu seppellita in terra consacrata, nella chiesa dei SS. Pietro e Marziano, fuori dalle mura, edificio che già allora però iniziava ad essere abbandonato in favore della chiesa della Collegiata.

Un processo sepolto nella storia

Il processo di Triora venne per la prima volta riesumato dallo storico Michele Rosi nel suo libro "Le streghe di Triora in Liguria" pubblicato nel 1898 e successivamente da Siro Attilio Nulli ne "I processi alle streghe" del 1939. I due studiosi ebbero il merito di analizzare gli atti del processo conservati all'Archivio di Stato di Genova.Si dovettero aspettare alcuni anni per avere nuovi saggi, più ampi e approfonditi. Primo fra tutti a riportare il processo alla ribalta, intuendone anche le potenzialità turistiche, fu Padre Francesco Ferraironi, parroco di Triora, e suo insigne studioso. Nel 1955 pubblicò "Le streghe e l'inquisizione" e nel 1973, insieme alla nipote Amabile, il volume "Streghe o maliarde". Costui, prima del 1945, ebbe l'opportunità di consultare l'archivio comunale di Triora nel quale si conservavano le testimonianze del processo. Nello stesso anno l'archivio fu dato alle fiamme dai nazisti che fecero saltare parte del paese durante la loro ritirata.Da segnalare l'influsso che Triora, con le sue vicende, ha esercitato in campo letterario: ai fatti del 1587 si ispirarono gli scrittori Remo Guerrini (La strega) e Minnie Alzona (La strega).Negli ultimi anni diversi saggi hanno scandito le ricerche sul processo: da ricordare quelli di Gian Maria Panizza, Sandro Oddo, Stefano Moriggi. A breve, nel cuore di Triora, in quello che fu

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Palazzo Stella, aprirà i battenti il Centro Studi Internazionale sulla Stregoneria. Dal 1988 il borgo ligure ospita ogni quattro anni il Convegno Nazionale sulla Stregoneria.

Curiosità e misteri

Il nome Triora deriverebbe dal latino "tria ora", cioè "tre bocche", esattamente come le tre bocche di cerbero, il cane infernale posto a guardia degli inferi e raffigurato sullo stemma comunale di Triora.

Secondo la tradizione la chiesa della Collegiata sorgerebbe su un precedente "fanum" pagano.

Nei pressi di Triora, al passo della Mezzaluna, si erge un antichissimo "menhir", testimonianza di precedenti culti pagani.

Nella chiesa romanica di S. Bernardino è visibile un affresco di Giovanni Canavesio raffigurante un Giudizio Universale con tanto di streghe ed eretici fatti a pezzi e bambini, morti senza ricevere il battesimo, posti sotto le gigantesche ali da pipistrello di un demone.

_______________________________

Bibliografia:F. Ferraironi, "Le streghe e l'inquisizione", 1955S.Oddo, "Bagiué. Le streghe di Triora. Fantasia e realtà", Pro Triora editore, 1994C.Coppo, G.M.Panizza "La pace impossibile. Indagini ed ipotesi per una ricerca sulle accuse di stregoneria a Triora", 1990S.Morigg, "Le tre bocche di Cerbero", 2004I.E. Ferrario, "Triora, Anno Domini 1587. Storia della stregoneria nel Ponente Ligure", 2005

LE STREGHE DI SALEM

        La storia delle streghe di Salem non è più orrenda di altre ma rappresenta il trasferimento delle folli credenze europee nel Nuovo Mondo che, nelle intenzioni di qualcuno, doveva essere nuovo nella tolleranza e nei diritti dei cittadini.

        In Inghilterra, nel Cinquecento e nell'ambito della Chiesa  anglicana, si erano formati dei gruppi dissidenti che furono isolati e perseguitati dall'arcivescovo di York e dal vescovo di Lincoln. Gran parte di loro (i puritani integralisti Padri Pellegrini), erano dopo un passaggio per l'Olanda, decise di emigrare nella Nuova Inghilterra, in America. Partirono con un galeone chiamato Mayflower e sbarcarono l'11 dicembre del 1620 sulla costa occidentale del Massachusetts. Iniziò lì la colonizzazione civile della Nuova Inghilterra che arrivò anche a fondare la cittadina di Salem nel 1626.

        Come precedente vi è la pubblicazione di un libro, Memorable Providences, del pastore Cotton Mather. Le storie raccontate in questo libro, una delle quali riguardava delle bambine che avrebbero iniziato a comportarsi in modo incomprensibile e blasfemo dopo aver litigato con una lavandaia, insieme alle prediche di un altro esagitato puritano, Increase Mather, crearono un clima di intolleranza molto acceso. Nel gennaio del 1692 accadde a Salem un episodio che ricordava quello raccontato da Cotton: due bambine, Elizabeth Parris ed Abigail Williams, iniziarono a sragionare, bestemmiare, avere attacchi epilettici (in realtà le bambine, per gioco, cercavano di indovinare il loro futuro (chi avrebbero sposato, che mestiere avrebbero fatto i loro mariti ecc.). Una di esse ideò una specie di rudimentale sfera di cristallo: un bianco d'uovo sospeso in un bicchiere pieno d'acqua e disse al processo di aver intravisto galleggiare "uno spettro in sembianza di bara". I genitori

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credettero che queste fossero cose innaturali). Il fenomeno si estese ad altre bambine in un fenomeno di isteria collettiva che si amplificava senza che i medici riuscissero a dare spiegazioni. Uno dei medici disse che solo Satana poteva essere dietro un fenomeno di questo tipo ed il padre della piccola Elizabeth, il pastore Parris, riconobbe delle forti similitudini tra quanto raccontava il libro di Cotton e ciò che accadeva. Indagando su Satana si trovarono tre donne che potevano albergarlo:  Tituba, la schiava indiana di Parris, Sarah Good, una povera mendicante, e Sarah Osborne, una donna anziana e scostante. Quando furono accusate di stregoneria, sia Good che Osborne (che poi morì in prigione) negarono recisamente ma Tituba raccontò di aver incontrato un signore di Boston, immediatamente individuato come il diavolo, affermando che a Salem vi erano delle streghe. Iniziò la caccia a queste streghe ed in tre mesi furono riempite le prigioni senza un qualche processo in vista. Il governatore inviato dall'Inghilterra decise di istituire un processo che avrebbe avuto carattere ordinario ma Cotton Mather convinse chi doveva decidere che a Salem si trattava di fatti soprannaturali che non avevano a che fare con la giustizia civile e quindi dovevano essere prese in considerazioni le testimonianze in tal senso, anche quelle delle streghe che si accusavano. Il tribunale terminò il processo in un mese condannando tutti a morte (meno una) per stregoneria(19). A seguito di tale processo vennero giustiziate 20 persone accusate di stregoneria; 55 fra uomini e donne vennero torturati per aver reso false testimonianze, 150 sospettati furono imprigionati ed altre 200 persone vennero accusate di stregoneria. Le incriminazioni di stregoneria dilagarono in pochi mesi nei comuni circostanti.

Impiccagione di una strega a Salem

        Come già detto vi furono un'infinità di processi alle streghe non facilmente quantificabili come già detto(). Si può comunque dire che in Europa furono risparmiate le zone sotto l'influenza della Chiesa greco-ortodossa; la Spagna con l'esclusione dei Pirenei; quasi l'intera Italia meridionale. Gli epicentri della caccia, per quanto se ne sa, furono in Francia, Italia settentrionale, zone alpine, Germania, Fiandre, Scozia. Meno vittime si ebbero in Irlanda, Inghilterra, Scandinavia, Polonia, Boemia, Ungheria. La caccia alle streghe, ufficialmente, fu abolita in differenti Paesi in date diverse: in Olanda nel 1610; in Francia non si accettarono più denunce contro i maghi nel 1682 mentre l'ultimo clamoroso processo contro la stregoneria fu quello istruito contro il gesuita J.B. Girard nel 1731 e l'ultimo arso al rogo (Lione) fu Padre Louis Debaraz nel 1754; in Inghilterra le leggi contro la stregoneria vennero abrogate nel 1736 mentre l'ultima strega venne bruciata nel 1722; nel 1721 la magistratura prussiana dichiarò infondate le credenze riguardanti le discepole del diavolo ed i loro poteri; a Berlino l'ultimo processo si ebbe nel 1728; a Würzburg, sotto il governo

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di un vescovo-principe, fu processata nel 1749 per stregoneria la suora Maria Renata Singer di Mossau; in Baviera la tortura venne abolita nel 1808, ma l'ultima condanna per stregoneria di cui si ha notizia, risale al 1775, anno in cui fu processata e uccisa una ragazza handicappata, di nome Anna Maria Schwagelin, data alle fiamme dei rogo, nella città di Kempten; In Italia, nel 1749, l'abate Girolamo Tartarotti pubblicò Il congresso notturno delle lamie, col quale combatté le credenze nella stregoneria; nel 1781 fu bruciata a Siviglia una donna e nel 1782 una ragazza fu l'ultima decapitata per stregoneria in Spagna (anche se si ha notizia di una condanna, probabilmente non di morte, nel 1826); nello stesso anno in Svizzera, a Glarona, fu decapitata Anna Göldi, l’ultima strega condannata in Europa; nel 1783 venne bruciata l'ultima strega in Polonia; in Austria l'imperatrice Maria Teresa avocò a se la competenza dei processi per i sospetti di Stregoneria e nel 1787, per opera di Giuseppe II, tutte le leggi contro le Streghe vennero abrogate; a Gand, nelle Fiandre, una presunta Strega fu torturata e poi assolta nel 1840; in Messico, nel 1874, si hanno notizie di una condanna a carico di uno stregone.

        Restano da discutere almeno alcuni processi importanti dell'Inquisizione Romana contro personaggi noti (Pomponio Algerio, Giordano Bruno, Tommaso Campanella, Galileo Galilei, ...). Lo farò nel prossimo articolo. 

NOTE

(1) Solo 5 anni dopo, Papa Giulio II, lo propose come beato ma non gli riuscì perché i Medici si opposero. Nel 1558 verrà definitivamente scagionato dall'accusa di eresia. Giovanni Paolo II ha riprovato a beatificarlo nel 500° anniversario del martirio (1998).

(2) Scrive in proposito Deschner:

Già all'epoca di Jan Hus, il precursore ceco di Lutero, si trovavano allineate in bella mostra, nelle chiese di Praga, delle capaci cassapanche per la raccolta delle offerte per indulgenze dove, in mancanza di contanti, si accettavano anche merci. Al debutto di Lutero, l'indulgenza era diventata da lungo tempo un puro affare finanziario, uno sfruttamento vero e proprio delle masse dei credenti, E a trarre profitto dall'imponente gettito non erano solo il clero, la curia romana, i vescovi, i predicatori a ciò specializzati, i confessori, ma anche i principi laici, i cambiavalute, gli agenti, Indulgenza: ma che cosa vuoi dire propriamente? Nel mondo cattolico di tradizione latina (ma non nelle chiese orientali) si fa distinzione tra il peccato (culpa) e la cosiddetta punizione temporale dei peccati (poena). Peccato e punizioni eterne dei peccati vengono cancellati nella confessione, mediante il cosiddetto sacramento della penitenza. Restano però stranamente (come se in queste cose non fosse tutto strano!) le punizioni temporali, da espiarsi sulla terra oppure nel "fuoco del purgatorio". E manifestamente restano soltanto per potere essere appunto estinte per mezzo di indulgenze: o totalmente (attraverso indulgenze plenarie o perfette) oppure mediante indulgenze imperfette, che vanno a condonare soltanto una limitata misura di queste punizioni. E dunque, qualora uno morisse subito dopo l'acquisto di una indulgenza perfetta, arriverebbe "subito in cielo, senza toccare le fiamme del purgatorio". Non tutti, purtroppo, hanno questa fortuna. Ragion per cui madre chiesa, nella sua indefessa cura delle anime, diede vita alle indulgenze imperfette. Tuttavia, i rispettivi periodi di tempo ivi dichiarati non determinano un tempo da espiare sulla terra o nel purgatorio, bensì il periodo che, nel primo Medioevo, un penitente assumeva su di sé per liberarsi dai suoi peccati. [...]. Ulteriori dettagli relativi a questo problema ce li vogliamo risparmiare dal momento che qui - come di solito nella teologia - praticamente tutto è basato su finzioni, su fantasticherie, su idee cervellotiche. E quantunque la chiesa affermi che "Cristo" le avrebbe dato pieni poteri per la

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concessione delle indulgenze, nel Nuovo Testamento non v'è traccia di indulgenze. [...]In verità, la prestazione richiesta per l'indulgenza poteva ben essere di natura religiosa, ma finiva per sfociare sempre di più in sovvenzioni materiali. Il clero elargiva la grazia, il credente ci metteva i denari. I papi promossero attraverso le indulgenze perfino istituti di credito, naturalmente società apposite e specifiche, chiamate "montes pietatis", e poiché all'inizio il procacciamento del capitale aziendale era difficoltoso, incitarono i fedeli a "modeste spese" con la promessa di indulgenze: così fecero Pio II, Sisto IV, Innocenza VIII, Alessandro VI, Giulio II, Leone X. Specialmente sotto Sisto e Leone si moltiplicarono all'infinito le grazie ottenibili per tramite di indulgenze. In maniera del tutto evidente, poi, il fenomeno s'intensificò in conseguenza di croniche ristrettezze finanziarie. [...]In ciò si seppe bene come tenere sotto tutela anche i più poveri, le masse nullatenenti e indigenti, e capitalizzare quanto meno la loro forza lavoro, ad esempio nella costruzione di chiese, soprattutto di quelle grandi, come il completamento del duomo di Friburgo, per il quale si reclutarono gratuitamente operai perfino da regioni lontane. Allo stesso modo si apprese ad istituire le agognate "grazie", concesse in cambio di trasporto di sabbia e di pietrisco nella costruzione di conventi. Oppure per contributi lavorativi da prestare (persino le domeniche e in altri giorni festivi) nella costruzione di fortezze E nel 1503, nel ducato di Brunswick, si poteva acquistare un'indulgenza di 100 giorni prestando la propria opera addirittura in assai profani lavori stradali. Presto papi e vescovi presero ad elargire indulgenze a piene mani, per tutti gli usi e tutte le incombenze possibili ed immaginabili. Ad esempio, a Venezia, per la partecipazione ad una processione con tanto di pubblica flagellazione. O per la rispettosa pronuncia dei nomi di Gesù e Maria. Nel 1514 il Sinodo Laterano concesse un'indulgenza di dieci anni a tutti i delatori e giudici di comuni bestemmiatori. Nel 1287 i vescovi tedeschi avevano conferito un'indulgenza a tutti quanti evitavano di chiamare i Carmelitani (portatori di una tonaca bianca) "i fratelli bianchi", ma che continuavano a chiamarli "Frauenbrüder", ossia fratelli della Signora (col che non s'intendeva nulla di sconveniente, come si potrebbe credere dal coevo motto popolare - puttaneggiare come un carmelitano -, ma significava soltanto la Santa Vergine, che costoro veneravano in modo particolare). Si concedevano indulgenze per chiunque avesse dimenticato i peccati o le loro espiazioni, se ne elargivano a beneficio di violatori di voti, di spergiuri, di ladri e briganti (retentio rei alienae). Vi furono indulgenze anche per madri che nel sonno avessero schiacciato i loro lattanti, o per credenti che avessero contribuito o acquistato il loro nuovo messale. A questo scopo il vescovo Rodolfo di Wiirzburg concesse nel 1481 un'indulgenza di 40 giorni, un beneficio piuttosto misero. [...] 

(3)  Mentre Carlo V era impegnato in guerre e con i turchi e con la Francia, aveva dedicato poca attenzione agli sviluppi religiosi del suo Paese. In molti Stati tedeschi i principi avevano spontaneamente aderito alla Riforma di Lutero e ciò comportava che in Germania si stava originando un grande scisma. Carlo V intervenne nel 1529 durante la Dieta di Spira denunciando alcuni accordi che aveva fatto con i principi nel 1526 (dovevano essere i principi a scegliere la forma di religione all'interno del proprio stato) e riaffermando la validità della condanna a Lutero di Worms. Ma ormai la cosa era andata troppo avanti fino al punto che la maggioranza dei principi e dei delegati delle città imperiali si rifiutò di abolire nei propri Stati le riforme in materia religiosa già avanzate e protestò con forza contro l'ordine imperiale. Da qui il nome di protestanti.

Aggiungo qui che Lutero ed in generale la Chiesa protestante fu una grande delusione per chi aveva una qualche speranza. Anche con questa Chiesa funzionò allegramente il rogo per i dissidenti e vi furono da parte dello stesso Lutero degli scritti violentemente antiebraici. Aveva iniziato nel 1523 con uno scritto, Anche Gesù Cristo è nato ebreo, nel quale chiedeva in modo bonario agli ebrei di convertirsi criticando la rigida posizione della Chiesa di Roma. Nel 1526 gli ebrei gli sembrarono ostinati e maliziosi contro il Vangelo.. Nel 1543, con il suo Degli Ebrei e delle loro menzogne, consigliò ai fedeli di cacciare gli ebrei dalle loro case per confiscarne i beni, i libri con la bruciatura

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delle sinagoghe.. Tre giorni prima di morire, Lutero fece un discorso in cui ci fu l'istigazione ad ogni fedele di cacciare ogni ebreo dalla sua città. Non a caso i nazisti considerarono Lutero come uno degli ispiratori del movimento criminale.

(4) Il Guicciardini, nella sua Storia d'Italia, scrive così:

Tutte le cose sacre, i sacramenti e le reliquie de' santi, delle quali erano piene tutte le chiese, spogliate de' loro ornamenti, erano gittate per terra; aggiugnendovi la barbarie tedesca infiniti vilipendi. E quello che avanzò alla preda de' soldati (che furno le cose più vili) tolseno poi i villani de' Colonnesi, che venneno dentro. Pure il cardinale Colonna, che arrivò (credo) il dí seguente, salvò molte donne fuggite in casa sua. Ed era fama che, tra denari oro argento e gioie, fusse asceso il sacco a più di uno milione di ducati, ma che di taglie avessino cavata ancora quantità molto maggiore.

(5) Riporto la gran parte del testo di questa preghiera (che era in realtà il testo di un giuramento di fede che tutti gli ecclesiastici, ma anche ogni laureando o pubblico impiegato o medico o maestro, dovevano fare prima di assumere il loro ruolo):

Io [...] con ferma fede credo e professo tutto ciò che si contiene nel simbolo della fede usato dalla Santa Chiesa di Roma.Ammetto ed abbraccio fermamente le tradizioni apostoliche ed ecclesiastiche e le altre regole e costituzioni della medesima Chiesa.Inoltre ammetto la Sacra Scrittura secondo l'interpretazione che ha seguito e segue la Santa Madre Chiesa, a cui spetta giudicare del vero senso e delle interpretazioni delle Sacre Scritture, né mai la intenderò e interpreterò se non secondo l'unanime consenso dei Padri.Professo inoltre che veramente e propriamente sono sette i sacramenti della Nuova Legge istituiti dal Signore Nostro Gesù Cristo e necessari per la salvezza del genere umano [...] cioè il battesimo, la cresima, l'eucarestia, la penitenza, l'estrema unzione, l'ordine e il matrimonio, che essi conferiscono la grazia e che di essi il battesimo, la cresima e l'ordine non possono essere ripetuti senza sacrilegio.Accolgo ed ammetto inoltre i riti ricevuti e approvati della Chiesa cattolica nella solenne amministrazione di tutti i predetti sacramenti.Accolgo ed abbraccio tutto ciò che è stato definito e dichiarato intorno al peccato originale e alla giustificazione nel sacrosanto concilio tridentino.Professo parimenti che nella Messa viene offerto a Dio un vero, proprio e propiziatorio sacrificio per i vivi e i morti, e che nel santissimo sacramento dell'eucarestia è veramente, realmente, e sostanzialmente il corpo e il sangue, insieme con l'anima e la divinità di Nostro Signore Gesù Cristo e che vi si attua la conversione di tutta la sostanza del pane in corpo e di tutta la sostanza del vino in sangue, la quale conversione la Chiesa cattolica chiama transustanziazione. [...]Ritengo fermamente che il Purgatorio esiste e che le anime ivi rinchiuse si giovino dei suffragi dei fedeli.Analogamente che i Santi regnanti insieme con Cristo sono da venerare e invocare e che offrono per noi orazioni a Dio, e che le loro reliquie devono essere venerate.Fermamente affermo che si debbono avere e confermare le immagini di Cristo e della Madre di Dio sempre Vergine e degli altri Santi, e che ad esse va tributato il dovuto onore e la dovuta venerazione.Inoltre affermo che la potestà delle indulgenze fu lasciata da Cristo nella Chiesa, e che l'uso di esse è sommamente salutare al popolo cristiano.Riconosco la Santa cattolica e apostolica Chiesa di Roma, madre e maestra di tutte le chiese, e prometto e giuro sincera obbedienza al Romano Pontefice, successore del beato Pietro, principe degli apostoli, e vicario di Gesù Cristo.

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Similmente accolgo e liberamente riconosco ogni cosa tramandata, definita e affermata dal sacrosanto Concilio Tridentino, e similmente condanno e ripudio tutte le cose contrarie e tutte le eresie condannate e rigettate dalla Chiesa.Io stesso [...] prometto, mi impegno e giuro di mantenere e confessare integra e immacolata sino all'estremo di mia vita, costantemente, con l'aiuto di Dio, questa vera fede cattolica (fuori della quale nessuno può essere salvo), che adesso spontaneamente professo e tengo per vera; e che curerò, per quanto sarà in me, che sia osservata, insegnata e predicata dai miei sottoposti, o da coloro la cui cura spetterà a me nell'ambito del mio ufficio: così mi aiutino Iddio e questi santi Evangeli.

Il post Concilio fornì anche l'elaborazione del nuovo Catechismo, Cathechismus ex decreto Concilli Tridentini, del 1566 noto come Catechismo romano del concilio di Trento. Era un testo breve che divenne e si mantenne per secoli come un breviario della fede basata sulla filosofia aristotelica di Tommaso (via Gesù ed Apostoli, pure comparse e teloni di fondo. Avanti invece Aristotele epurato da Tommaso ad uso dei balordi).

(6) Questa vergogna totale fu abolita solo il 7 dicembre 1965 da Papa Paolo VI con l'Integrae servanda (da motu proprio) in contemporanea con la sostituzione dell'Inquisizione romana con la Congregazione per la Dottrina della Fede (il provvedimento divenne operativo con la  Notificazione del 14 giugno 1966 che il Cardinale Ottaviani, allora Prefetto del Sant'Uffizio, aveva dovuto firmare, forse con qualche dispiacere, per ordine di Paolo VI (in realtà non si tratta di abolizione dell'Index ma la sua trasformazione da libri proibiti a libri sconsigliati). Nella versione italiana di Wikipedia di questo non si parla perché alcune voci di Wikipedia sono strettamente controllate dalla Chiesa ma nel sito britannico si legge:

Abolition controversy

The Notification of 14 June 1966 does not mention the words "abrogate" or "abolish" in relation to the Index of Forbidden Books. Rather, it states that the Index retains "its moral force" (suum vigorem moralem).[16] What this means is not formally defined by the Vatican and at least one theologian (Hans Küng) has acknowledged the ambiguity behind the wording.[17] The official Latin text as given on the Vatican's web site reads, "Notificatio de Indicis librorum prohibitorum conditione" ("Notification on the condition of the Index of Forbidden Books").[18] The Italian on the same page reads, "Notificazione riguardante l’abolizione dell’Indice dei libri" ("Notification regarding the abolition of the Index of books"). There is no reasoning given for this difference between the Latin and Italian texts. The fact that the Latin language is the official language of the Catholic Church furthers the question as to which text is authoritative.[19][20]

1. 17 - ^ Hans Küng, My Struggle For Freedom: Memoirs, Continuum Publishing Group, 2004, pg. 432.

2. 18 - ^ http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/doc_dis_index.htm 3. 19 - ^ http://www.ewtn.com/library/Liturgy/latinvernac.HTM 4. 20 - ^ http://www.france24.com/en/20080509-vatican-website-roman-catholic-church-

pope-language-latin-internet

Poi venne il Papa polacco, Giovanni Paolo II, che dette nuova forza alla Congregazione mettendo alla sua testa un tal Joseph Alois Ratzinger e reintroducendo il 20 novembre 1979 l'Index nella sua versione di libri sconsigliati (che non cambia nulla nella vergogna dell'iniziativa, visto che non vi sono più le pene inquisitorie). L’Index venne così trasformato da una lista di libri proibiti ad una lista di libri sconsigliati che rimane comunque moralmente impegnativa per i fedeli cattolici costituendo peccato leggere i libri lì elencati.

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Nella Chiesa vi è un'organizzazione molto ma molto discussa, come l'Opus Dei, che ha una sua lista di libri proibiti, la Guida bibliografica, dove figurano 6892 libri da rigettare completamente (quelli con il numero 6). Esempi di autori (anche cinematografici) oggi proibiti dal'Opus Dei sono: Vittorio Alfieri, Francesco Alberoni, Balzac, Enzo Biagi, Teocrito, Max Weber, Luchino Visconti, Gore Vidal, Velazquez, Vazquez Montalban, Kirk Douglas, Milan Kundera, Abbagnano, Asimov, Stephen King, Jack Kerouac, Bukowski, Camus, Severino, Popper, Ida Magli, De Marchi, Philip K. Dick, Oriana Fallaci,  Woody Allen, Isabel Allende, Karen Armstrong, Margaret Atwood, Judy Blume, Roberto Bolano, Joseph Campbell, Gustav Flaubert, Allen Ginsberg, Mary Gordon, Gunter Grass, Andrew Greeley, Herman Hesse, Adolph Hitler, John Irving, James Joyce, Carl Jung, Eugene Kennedy, Jack Kerouac, Stephen King, Milan Kundera, Hans Küng, Harold Kushner, Henri Lefebvre, Doris Lessing, Sinclair Lewis, Richard P. MacBrien, Mary MacCarthy, Malinowski, Karl Marx, Somerset Maugham, Toni Morrison, Alice Munroe, Vladimir Nabokov, V.S. Naipaul, Pablo Neruda, Nietzcshe, Octavio Paz, Harold Pinter, Marcel Proust, Philip Roth, Bertrand Russell, John Updike, Gore Vidal, Voltaire, Alice Walker, Gary Wills and Tennessee Williams. Vi sono poi i libri da rigettare (quelli con il nuemro 5) tra cui figurano i seguenti autori:  W.S. Burroughs, John Cornwall, Marguerite Duras, William Faulkner, Nadine Gordimer, Eugene Kennedy, Jack Kerouac, Stephen King, Barbara Kingsolver, Doris Lessing, John O'Hara, A.J. Quinnell, Ayn Rand, Salman Rushdie and Kenneth Woodward.

Il principio dottrinale da cui viene fuori l'idea dell'Index è suggerito da un passaggio degli Atti degli apostoli nel quale i "libri cattivi" sono distrutti: «... e un numero considerevole di persone che avevano esercitato le arti magiche portavano i propri libri e li bruciavano alla vista di tutti» (At, XIX, 19). Nel 325, il Concilio di Nicea ordinò la distruzione dei libri ariani; e il decreto di Gelasio, nel 496, stabilì e diffuse la prima lista dei libri proibiti. Ma vi furono sempre nei secoli esplicite censure e distruzioni di libri, basti citare la decretale di Giovanni XXII contro i libri e "gli errori" di Marsilio e di Giovanni Gianduno, ecc.. Secondo Guy Bedouelle (Diz. di st. della Chiesa, p. 131), anche il Concilio Laterano V, con la bolla Inter sollecitudine del 1515, prevedeva già una censura preventiva. E anche in termini di esclusiva la Chiesa ribadiva che la censura dottrinale dei libri poteva essere fatta anche da altri (potere politico); ma "la condanna con podestà di vero costringimento", almeno per quelli che obbediscono a Roma, è prerogativa della sola Chiesa, anzi, del papa.

Nell'ultimo indice del 1948 figurano: F. Bacon, Balzac, Berkeley, Bergson, Cartesio, D’Alembert, Darwin, Simone de Beauvoir, Defoe, Diderot, Dumas (entrambi), Flaubert, Robert Fludd, Federico il Grande di Prussia, Giacomo I d'Inghilterra, Grotius, Heine, Hobbes, Hugo, Hume, Kant, Kepler, Lessing, Locke, Michael Maier, Malebranche, Montesquieu, Stuart Mill, Mills, Milton, Montaigne, Montesquieu, Henry More, Nietzsche, Pascal, Proudhon, Ernest Renan, Rousseau, George Sand, Sartre, Schopenauer, Spinoza, Stendhal, Sterne, Voltaire, Zola. E tra gli italiani Alfieri, Aretino, Beccaria, Bruno, Benedetto Croce, D’Annunzio, Fogazzaro, Foscolo, Galileo, Gentile, Giannone, Gioberti, Guicciardini, Leopardi, Marini, Minghetti, Monti, Ada Negri, Rosmini, Sacchetti, Sarpi, Savonarola, Settembrini, Tommaseo, Pietro Verri e anche il Teatro comico fiorentino; inoltre era all’Indice qualsiasi volume non autorizzato che trattasse di storia della massoneria o dell’Inquisizione e le versioni non cattoliche del Nuovo Testamento. Nel decennio successivo furono aggiunti tra gli altri Simone de Beauvoir, Gide, Sartre, Unamuno,

Malaparte e Moravia. Nell'elenco dei libri proibiti non fu inserito mai il Mein Kampf di Hitler, ma hanno trovato comodamente posto tanti altri personaggi che hanno veramente forgiato il pensiero europeo. tra cui Darwin e Marx.

(7) Il Concilio ebbe anche modo di occuparsi di Michelangelo. Nel 1551 un domenicano aveva anticipato tutti affermando, bontà sua, che Michelangelo è un grande artista nel raffigurare corpi

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nudi maschili e le loro pudenda  ma è un'assoluta indecenza vedere quelle nudità dappertutto, negli altari e sulle cappelle di Dio (il misogino Paolo di Tarso continua a colpire e resta l'idolo della confraternita della repressione ed oppressione sessuale!). Ed il Concilio decise di togliere quei nudi vergognosi, soprattutto nella Cappella Sistina. Nel 1565 il Papa Pio IV  pagò 60 scudi a Michele da Volterra che mise le braghe ai santi ed alle madonne del Giudizio Universale (fortuna che il tutto restò qui perché anni dopo, Clemente VIII ebbe la tentazione di distruggere l'intera opera). Approfitto per dire che quando si parla della libertà che la Chiesa lasciò agli artisti di esprimersi in completa libertà, si dice un'immensa sciocchezza che può essere misurata dal confronto di cosa facevano gli artisti fiamminghi nella stessa epoca. Da noi erano amputati. Lavoravano solo su santi e madonne, crocifissioni, natività, e cose sacre. Niente che li aprisse al mondo, alla natura, alla bellezza del corpo profano. Quando qualcuno fece qualcosa, come Leonardo, lo fece pagato e su incarico di stranieri.

(8) Un parziale elenco di esecuzioni, impiccagioni, decapitazioni e roghi di eretici realizzate da Pio IV e Pio V è la seguente:

 Pontificato di Pio IV

Negli stati tedeschi, durante il 1562: - 300 persone ad Oppenau- 63 donne a Wiesensteig- 54 donne a Obermachtalvengono bruciate vive per stregoneria.

Ed ancora:1560 - Giulio Ghirlanda, Baudo Lupettino, Marcello Spinola, Nicola Bucello, Antonio Rietto e Francesco Sega sono stati condannati a morte per aver partecipato ad una funzione religiosa (messa), in una casa privata, officiata da uno spretato.1560 - Giacomo Bonello, evangelista, bruciato vivo.1560 - Mermetto Savoiardo, eretico, bruciato vivo.1560 - Dionigi Di Cola, eretico, bruciato vivo.1560 - Aloisio Pascale, evangelista, impiccato e poi bruciato.1560 - Gian Pascali di Cuneo, eretico, bruciato vivo.1560 - Stefano Negrone, eretico, viene condannato a morire di fame nelle prigioni dell'inquisizione.1560 - Stefano Morello, eretico, impiccato e poi bruciato.1560 - Bernardino Conte, eretico, arso vivo.1562 - Macario, vescovo di Macedonia ed eretico, bruciato vivo.1562 - Si manifestano in Francia i primi segni di guerra religiosa tra gli Ugonotti (protestanti-calvinisti) e i cattolici saldamente radicati nel territorio.1562 - Cornelio di Olanda, eretico, impiccato e poi bruciato.1564 - Francesco Cipriotto, eretico, impiccato e poi bruciato.**** - Giulio Cesare Vanini, panteista, gli viene strappata la lingua e poi bruciato vivo.**** - Giulio di Grifone, eretico, giustiziato.1566 - Muzio della Torella, eretco, giustiziato.1566 - Giulio Napolitano, eretico, bruciato vivo.1566 - Don Pompeo dei Monti, decapitato per eresia.1566 - Curzio di Cave, decapitato per eresia,**** - In questo periodo agisce nel Comasco e nel Bergamasco, Michele Ghislieri (poi papa Pio V), che nel giro di poco tempo consegnerà all'Inquisizione 1200 persone accusate di eresia. Di queste oltre 200 verranno regolarmente massacrate.1567 - Ottaviano Fioravanti, eretico, murato vivo.

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1567 - Giovannino Guastavillani, eretico, murato vivo.1567 - Geronimo del Puzo, eretico, murato vivo.1567 - Macario Giulio da Cetona, eretico, decapitato e poi bruciato.1568 - Lorenzo Da Mugnano, eretico, impiccato e poi bruciato.1568 - Matteo d'Ippolito, eretico, impiccato e poi bruciato.1568 - Francesco Stanga, eretico, impiccato e poi bruciato.1568 - Donato Matteo Minoli, eretico, viene lasciato morire in carcere dopo avergli rotto le ossa e bruciato i piedi.1568 - Francesco Castellani, eretico, impiccato.1568 - Pietro Gelosi, eretico, impiccato e poi bruciato.1568 - Marcantonio Verotti, eretico, impiccato e poi bruciato.1568 - Luca di Faenza, eretico, arso vivo.1569 - Borghesi Filippo, eretico, decapitato e poi bruciato.1569 - Giovanni del Blasi, eretico, impiccato e poi bruciato.1569 - Camillo Ragnolo, eretico, inpiccato e poi bruciato.1569 - Fra Cellario Francesco, eretico, impiccato e poi bruciato.1569 - Bartolomeo Bertoccio, eretico, bruciato vivo.1569 - Guido Zanetti, eretico, murato vivo.1570 - Filippo Porroni, luterano, impiccato.1570 - Gian Matteo di Giulianello, eretico, giustiziato(?).1570 - Nicolò Franco, impiccato per avere deriso il papa con i suoi scritti.1570 - Giovanni Di Pietro, eretico, impiccato e poi bruciato.1570 - Aolio Pallero, eretico, impiccatbrespresso desiderio di Pio V.1570 - Fra Arnaldo di Santo Zeno, eretico, bruciato vivo.1571 - Don Girolamo di Pesaro, eretico, giustiziato(?).1571 - Giovanni Antonio di Jesi, eretico, giustiziato(?).1571 - Pietro Paolo di Maranzano, eretico, giustiziato(?).1572 - Francesco Galatieri, eretico, pugnalato a morte da sicari del papa.1572 - Madonna Dianora di Montpellier, eretica, impiccata e poi bruciata.1572 - Madonna Pellegrina di Valenza, eretica, impiccata e poi bruciata.1572 - Madonna Girolama Guanziana, eretica, impiccata e poi bruciata.1572 - Madonna Isabella di Montpellier, eretica, impiccata e poi bruciata.1572 - Domenico Della Xenia, eretico, impiccato e poi bruciato.1572 - Teofilo Penarelli, eretico, impiccato e poi bruciato.1572 - Alessandro Di Giulio, eretico, impiccato e poi bruciato.1572 - Giovanni di Giovan Battista, eretico, impiccato e poi bruciato.1572 - Girolamo Pellegrino, eretico, impiccato e poi bruciato.

Wikipedia riporta il seguente elenco di giustiziati dalla Chiesa Cattolica:

1. Ramirdo di Cambrai (1076 o 1077) 2. Pierre de Bruys († 1130) 3. Arnaldo da Brescia predicatore († 1155) 4. Gherardo Segarelli († 1300) 5. Fra' Dolcino († 1307) 6. Suor Margherita († 1307) 7. Longino († 1307) 8. Margherita Porete († 1310) 9. Botulf Botulfsson († 1311), l'unica condanna in Svezia 10. Jacques de Molay (1243–1314) 11. Guilhèm Belibasta († 1321), last Cathar

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12. Cecco d'Ascoli (Francesco Stabili) astrologo e poeta († Firenze, 16.9.1327) 13. Francesco da Pistoia († 1337) 14. Lorenzo Gherardi († 1337) 15. Bartolomeo Greco († 1337) 16. Bartolomeo da Bucciano († 1337) 17. Antonio Bevilacqua († 1337) 18. Michele da Calci fraticello († Firenze, 1389) 19. William Sawtre († 1401) 20. John Badby († 1410) 21. Jan Hus (1371–1415) 22. Girolamo da Praga (1365–1416) 23. Giovanna d'Arco (1412–1431) 24. Thomas Bagley († 1431) 25. Pavel Kravař († 1433) 26. Girolamo Savonarola († 1498) 27. Joshua Weißöck (1488–1498) 28. Jean Vallière († 1523) 29. Hendrik Voes († 1523) 30. Jan van Essen († 1523), 31. Jan de Bakker († 1525), 32. Wendelmoet Claesdochter († 1527), prima donna olandese bruciata come eretica 33. Michael Sattler († 1527) 34. Patrick Hamilton († 1528) 35. Balthasar Hubmaier (1485–1528), eretico recidivo 36. George Blaurock (1491–1529) 37. Hans Langegger († 1529) 38. Giovanni Milanese († 1530) 39. William Tyndale (1490–1536) 40. John Frith (1503–1533) 41. Jakob Hutter († 1536) 42. Bartolomeo Fonzio francescano († Roma, 1538) 43. Francisco de San Roman († 1540) 44. Giandomenico dell' Aquila († 1542) 45. George Wishart (1513–1546) 46. Fanino Fanini predicatore († Ferrara, 22.8.1550) 47. Giorgio Siculo (G. Rioli) predicatore († Ferrara, 23.5.1551) 48. Giovanni Mollio religioso (Roma, 5.9.1553) 49. Francesco Gamba († Milano, 21.7.1554) 50. John Rogers († 1555) 51. Rowland Taylor († 1555) 52. John Hooper († 1555) 53. Robert Ferrar († 1555) 54. Patrick Pakingham († 1555) 55. Hugh Latimer (1485–1555), eretico recidivo 56. Nicholas Ridley (1500–1555) 57. Bartolomeo Hector († 1555) 58. Paolo Rappi († 1555) 59. Vernon Giovanni († 1555) 60. Labori Antonio († 1555) 61. John Bradford († 1555) 62. Pompeo Algieri studente († Roma, 1555)

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63. Thomas Cranmer (1489–1556), eretico recidivo 64. Pomponio Angerio († 1556) 65. Nicola Sartonio († 1557) 66. Fra Goffredo Varaglia († 1558) 67. Gisberto di Milanuccio († 1558) 68. Francesco Cartone († 1558) 69. Antonio di Colella († 1559) 70. Antonio Gesualdi († 1559) 71. Giacomo Bonello († 1560) 72. Mermetto Savoiardo († 1560) 73. Dionigi di Cola († 1560) 74. Ludovico Pasquali di Cuneo († Roma, 9.9.1560) 75. Bernardino Conte († 1560) 76. Giulio Gherlandi anabattista († Venezia, 15.10.1562) 77. Antonio Ricetto († Venezia, 15.2.1565) 78. Francesco della Sega anabattista († Venezia, 26.2.1565) 79. Gian Francesco d'Alois poeta († 1565) 80. Publio Francesco Spinola umanista († Venezia, 31.1.1567) 81. Giorgio Olivetto († 1567) 82. Pietro Carnesecchi umanista (Roma, 1.10.1567) 83. Luca di Faenza († 1568) 84. Thomas Szük (1522–1568) 85. Bartolomeo Bartoccio († 1569) 86. Francesco Cellario pastore protestante († Roma, 25.5.1569) 87. Dirk Willems († 1569) 88. Fra Arnaldo di Santo Zeno († 1570) 89. Aonio Paleario umanista († Roma, 3.7.1570) 90. Alessandro di Giacomo († 1574) 91. Benedetto Thomaria († 1574) 92. Francisco de la Cruz domenicano (Lima, 1578) 93. Diego Lopez († 1583) 94. Gabriello Henriquez († 1583) 95. Borro of Arezzo († 1583) 96. Ludovico Moro († 1583) 97. Pietro Benato († 1585) 98. Francesco Gambonelli († 1594) 99. Marcantonio Valena († 1594) 100. Giovanni Antonio da Verona († 1599) 101. Fra Celestino († 1599) 102. Giordano Bruno (1548–1600) 103. Maurizio Rinaldi († 1600) 104. Bartolomeo Coppino († 1601) 105. Assuero Bisbiach viaggiatore tedesco († Bologna, 5.11.1618) 106. Giulio Cesare Vanini filosofo italiano († Toulouse 9.2.1619) 107. Kimpa Vita (1684–1706) 108. Maria Barbara Carillo (1625–1721)

(9) Riporto, tratti da Wikipedia, alcuni brani della bolla pontificia:

«Desiderando noi... che la fede cattolica... cresca e fiorisca al massimo grado possibile, e che tutte le eresie e le depravazioni siano allontanate dai paesi dei fedeli, questo decretiamo... È recentemente

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giunto alle nostre orecchie... che in alcune regioni dell'alta Germania, come... Magonza, Colonia, Treviri, Salisburgo, e Brema, molte persone di entrambi i sessi, ... rinnegando la fede cattolica... , si sono abbandonate a demoni maschi e femmine, e che, a causa dei loro incantesimi, lusinghe, sortilegi, e altre pratiche abominevoli... hanno causato la rovina propria, della loro prole, degli animali, e dei prodotti della terra... così come di uomini e donne, delle greggi e delle mandrie, delle vigne e dei frutteti... che essi hanno tormentato e torturato, infliggendo orribili dolori e angosce, sia spirituali che materiali, uomini, mandrie, greggi, e animali, impedendo agli uomini di procreare e alle donne di concepire, e facendo in modo che nessun matrimonio potesse essere consumato; che, per di più, essi non confessano le proprie colpe... la fede che ricevettero col santo battesimo... e si macchiano di molti altri abominevoli crimini e peccati... dando uno scandaloso e pernicioso esempio alle popolazioni. »    

«E, sebbene i nostri diletti figli Heinrich Institor e Jacob Sprenger, appartenenti all'ordine dei Frati Predicatori, professori di teologia, siano stati … nominati inquisitori dell'eretica pravità con le nostre lettere apostoliche; il primo nelle suddette regioni della Germania superiore… il secondo in alcune zone della valle del Reno; nondimeno alcuni esponenti del clero e del laicato locale …poiché nella sopracitata lettera di nomina le suddette province… e le persone e le colpe in questione non sono state individualmente e specificatamente indicate… asseriscono che costoro non sono per niente citati (n.d.T. nelle lettere)… e pertanto i suddetti inquisitori esercitano illecitamente il loro lavoro di inquisizione presso le province, le città, le diocesi, i territori e gli altri luoghi già specificati, e che a costoro non debba essere consentito procedere alla punizione, all' imprigionamento e alla correzione delle suddette persone per le colpe e i crimini sopracitati.  »

« Siccome nelle province tali crimini ed offese restano impuniti, per rimuovere ogni impedimento che ostacoli in qualsiasi modo i detti per impedire che la macchia dell'eresia di altri simili mali diffonda la sua infezione causando la rovina degli innocenti, Noi decretiamo in virtù della nostra autorità apostolica, che sia concesso ai sopracitati inquisitori di esercitare il proprio ufficio di inquisitori nelle sopracitate regioni, e procedere alla correzione, all'imprigionamento ed alla punizione delle suddette persone, per le colpe e i crimini sopracitati, in ogni loro aspetto e precisamente come se le province, città, territori, luoghi, personi e crimini sopraindicati fossero stati menzionati espressamente nella lettera sopracitata.  »

« E per maggior sicurezza, garantiamo ai sopraindicati inquisitori, accompagnandosi a loro in nostro amato figlio Johannes Gremper, sacerdote della Diocesi di Costanza, maestro nelle arti, che il presente notaio, o qualsiasi altro notaio pubblico possa esercitare contro qualsiasi persona di qualsiasi rango e condizione il sopraindicato ufficio dell'inquisizione, correggendo, imprigionando, punendo e castigando, a misura delle loro mancanze, le persone che essi troveranno colpevoli di quanto sopraindicato.  »

« Ed essi avranno piena ed intera libertà di proporre e predicare la parola di Dio ai fedeli, in ciascuna e tutte le chiese parrocchiali delle suindicate province, tanto frequente quanto a loro paia adatto ed appropriato, e di fare tutto ciò che sia necessario e giusto nelle suindicate circostanze.  »

« Ed inoltre noi imponiamo al Vescovo di Strasburgo, che impedisca che sia recata molestia o ostacolo (agli inquisitori) in qualsiasi maniera....possano essere la scomunica, la sospensione, l'interdizione ed ancora altre terribili sentenze, censure e pene.  »

« Che alcuno osi infrangere la nostra dichiarazione. Si renda noto agli attentatori che essi incorreranno nella rabbia di Dio Onnipotente e dei beati apostoli Pietro e Paolo.  »

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(10) Il Simposio Internazionale sull’Inquisizione, tenutosi in Vaticano nell’ottobre del 1998, forniva i seguenti numeri per le persone giustiziate per stregoneria:

• Germania: 25.000 su 16 milioni di abitanti• Polonia - Lituania: 10.000 su 3.4 milioni di abitanti • Svizzera: 4.000 su 1 milione di abitanti • Danimarca – Norvegia: 1.350 su 970.000 abitanti • Regno Unito: 1.000 • Spagna: 49 • Italia: 36 • Portogallo: 4

Molti storici concordano però nel ritenere che tali numeri vanno aumentati di molto. Il teologo cattolico Hans Küng scriveva che furono circa nove milioni le vittime dei processi contro le streghe (Repubblica, 4 ottobre 1985) e su questo numero vi sono altri storici che insistono riferendoli però al numero complessivo di persone perseguitate e non giustiziate. Le difficoltà nel quantificare nascono dal fatto che di molte centinaia (o migliaia) di processi si è ormai persa ogni traccia. E questo per vari motivi:

incendi saccheggi studi su particolari aree, incompleti o non eseguiti distruzioni accidentale di archivi distruzioni volute di archivi

Le distruzioni volute riguardano in particolar modo gli archivi dei tribunali ecclesiastici, in quanto il clero ha sempre e sistematicamente distrutto e/o occultato tutti i documenti ed i reperti storici che potevano essere considerati dannosi alla propria immagine di facciata. In molte occasioni i verbali dei processi vennero bruciati sul rogo unitamente alla strega affinché fosse distrutta qualsiasi testimonianza della sua esistenza satanica. Vi sono però stime che variano da valori minimi, a valori medi ed a valori massimi:

Minima: circa 300.000 processi e 145.000 esecuzioni (Levack B.P. - La caccia alle streghe in Europa - 2006)

Media: 1.200.000/1.500.000 processi e 900.000/1.200.000 esecuzioni Massima: circa 12.000.000 processi e 9.000.000 esecuzioni (Sigmund Riezler - Geschichte

der Exenprozess - Magnus-Verlag 1983)

(11) Il testo del Canon Episcopi è il seguente:

"I vescovi e i loro ministri vedano di applicarsi con tutte le loro energie per sradicare interamente dalla proprie parrocchie la pratica perniciosa della divinazione e della magia, che furono inventate dal diavolo; e se trovano uomini o donne che indulgono a tal genere di crimini, devono bandirli dalle loro parrocchie, perché è gente ignobile e malfamata. Dice, infatti, l’apostolo: "Dopo la prima e la seconda ammonizione evita l’eretico, sapendo che è fuori dalla retta via chi si comporta in tal modo". E sono fuori dalla via e prigionieri del diavolo coloro che abbandonano il loro Creatore per cercare l’aiuto del diavolo; e perciò occorre purificare la santa Chiesa da un tale flagello. Né bisogna dimenticare che certe donne depravate, le quali si sono volte a Satana e si sono lasciate sviare da illusioni e seduzioni diaboliche, credono e affermano di cavalcare la notte certune bestie al seguito di Diana, dea dei pagani (o di Erodiade), e di una innumerevole moltitudine di donne; di attraversare larghi spazi di terre grazie al silenzio della notte profonda e

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di ubbidire ai suoi ordini come a loro signora e di essere chiamate certe notti al suo servizio. Ma volesse il cielo che soltanto costoro fossero perite nella loro falsa credenza e non avessero trascinato parecchi altri nella perdizione dell’anima. Moltissimi, infatti, si sono lasciati illudere da questi inganni e credono che tutto ciò sia vero, e in tal modo si allontanano dalla vera fede e cadono nell’errore dei pagani, credendo che vi siano altri dèi o divinità oltre all’unico Dio. Perciò, nelle chiese a loro assegnate, i preti devono predicare con grande diligenza al popolo di Dio affinché si sappia che queste cose sono completamente false e che tali fantasie sono evocate nella mente dei fedeli non dallo spirito divino ma dallo spirito malvagio. Infatti, quando Satana, trasformandosi in angelo della luce, prende possesso della mente di ognuna di queste donnicciole e le sottomette a sé a causa della loro infedeltà e incredulità, subito egli assume l’aspetto e le sembianze di diverse persone e durante le ore del sonno inganna la mente che tiene prigioniera, alternando visioni liete a visioni tristi, persone note a persone ignote, e conducendola attraverso cammini mai praticati; e benché la donna infedele esperimenti tutto ciò solo nello spirito, ella crede che avvenga non nella mente ma nel corpo. A chi, infatti, non è accaduto nel sonno o in visioni notturne di essere tratto fuori da sé stesso e di vedere, dormendo, molte cose che, sveglio, non ha mai visto? Ma chi può essere così stupido e ottuso da credere che tutte queste cose che accadono solo nello spirito, avvengano anche nel corpo? Il profeta Ezechiele, infatti, vide il Signore nello spirito e non nel corpo, e l’apostolo Giovanni vide e udì i misteri dell’Apocalisse nello spirito e non nel corpo, come egli stesso dichiara: "Subito fui in spirito". E Paolo non osa dire di essere stato rapito fisicamente in cielo. Tutti, perciò, devono essere pubblicamente informati che chiunque crede a queste simili cose, perde la fede, e chiunque non ha vera fede appartiene non già a Dio ma a colui nel quale crede, vale a dire al diavolo. E’ scritto infatti di nostro Signore: "Tutte le cose sono state fatte per mezzo di Lui". Perciò chiunque crede possibile che una creatura cambi in meglio o in peggio, o assuma aspetti o sembianze diverse per opera di qualcuno che non sia il Creatore stesso che ha fatto tutte le cose e per mezzo del quale tutte le cose sono state fatte, è indubbiamente un infedele, e peggiore di un pagano".

(12) In uno dei punti cruciali si sostenevano, ad esempio, due cose diametralmente opposte. Da una parte si affermava che «chiunque è così stupido e folle da credere a storie tanto fantasiose è da considerarsi un infedele, perché ciò deriva da un'illusione del Demonio» e dall'altra si diceva che «pur volando con lo spirito e l'immaginazione, queste streghe sono ugualmente colpevoli, come se lo avessero fatto in carne ed ossa». Da queste contraddizioni si fece strada la teoria del patto con il diavolo che gli accusati di stregoneria avrebbero fatto con la conseguenza della quasi impossibilità di dimostrare il contrario.

(13) Bartolo si rifaceva a due norme ben precise: al una legge di Teodosio e Valentiniano, del 427, con cui si vietava di incidere, scolpire o dipingere il segno di Cristo al suolo o su pietre poste per terra; ad un canone di Bonifacio VIII del 1298 che condannava la pratica secondo cui le immagini della croce, della beata vergine Maria e dei santi erano poste a terra, e tormentate con ortiche e spine allo scopo di aggravare simbolicamente la deposizione.

(14) Su come la stregoneria ebbe accoglienza nel mondo scientifico, scrive Roberto Maiocchi:

Anche la tesi di una rapida scomparsa della magia demoniaca e della stregoneria nel corso del XVII secolo è stata soggetta a critiche. Indubbiamente vi fu un progressivo calo delle credenze nella stregoneria e un declino delle persecuzioni contro le streghe, che è facile mettere in relazione con la crescita della scienza; è questa la tesi sostenuta da W.E.H. Lecky (History of the Rise and Influence of Rationalism in Europe, 1865). È stato osservato però che non furono i membri della Royal Society a farsi promotori di una battaglia contro le credenze nella stregoneria. Essi erano spaventati dalle implicazioni atee del meccanismo di Cartesio e di Hobbes e non seguirono con coerenza la filosofia meccanicista. Il meccanicismo escludeva il ricorso al sovrannaturale, ma la tradizione

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religiosa ammetteva senza tentennamenti l'esistenza di una gerarchia di spiriti, ivi compresi i demoni, e respingere la stregoneria e la magia diabolica significava schierarsi su posizioni religiosamente eterodosse. I membri della Royal Society accettarono l'esistenza delle streghe, così come la stragrande maggioranza delle persone colte continuò ad accettarla. Posti di fronte al problema di conciliare la scienza con l'ortodossia religiosa essi studiarono la stregoneria allo scopo di respingere la massa di storie di dubbia autenticità circolanti e di trovare quel residuo di fenomeni che non ammettevano altra spiegazione se non il sovrannaturale. Diffondere uno scetticismo assoluto circa l'esistenza di streghe e demoni sarebbe stato invece favorevole all'ateismo. Nella seconda metà del XVII secolo vi fu un'ondata di interesse per la magia e la stregoneria da parte degli esponenti della scienza sperimentale. Boyle credette sempre nei demoni e si occupò attivamente dell'argomento; di demonologia scrisse con grande impegno J. Glanvill, uno dei maggiori apologeti della Royal Society. Non furono insomma gli scienziati a determinare il declino della stregoneria, ma essi si adeguarono a un movimento che aveva altrove il suo motore. Il loro atteggiamento conservatore nei confronti della stregoneria non fu neppure dettato da ragioni di opportunismo, per la necessità di parare le accuse sempre incombenti di materialismo ateo, ma scaturì da una convinzione profonda. Il neoplatonismo aveva diffuso idee di pienezza divina e di gerarchia degli esseri che implicavano un'infinità di esseri differenti dall'uomo tra i quali rientravano perfettamente demoni, gnomi, incubi e succubi ecc. Le scoperte astronomiche avevano poi stimolato il dibattito sulla pluralità dei mondi, idea che fu armonizzata con le dottrine neoplatoniche circa l'esistenza di "principi e principati" intermedi tra Dio e l'uomo.

Ricordo che la madre di Kepler fu perseguitata per anni con l'accusa di stregoneria.

(15) Per seguire la cronologia delle streghe a Milano si può vedere qui.

(16) Una ricetta per una pozione che serviva per volare venne tirata fuori in un processo per stregoneria contro Katharina Strelsin (Alto Palatinato, 1572). La riporto per far capire a quali livelli di follia si fosse:

Confessa che per il "volo notturno" viene preparato il seguente unguento. Ovvero: si prendano escrementi di vacca, di scrofa e di esseri umani, inoltre: i rifiuti dell'altare e della chiesa, sapone inutilizzato ed è tutto. Far bollire tutto insieme per tre ore nel nome del diavolo; e questo non deve essere fatto in casa, ma fuori, nel campo, altrimenti procura danno.

(17) Riporto alcune storie di streghe:

Bazuel (Cambresis), 1599-1627

Un'anziana vedova, Reine Percheval, finisce sul rogo dopo aver confessato pratiche stregonesche con le quali avrebbe ottenuto la morte della nipotina, colpita da una grave malattia, e prodotto parti deformi dalle vacche. Prima del rogo, Reine si vendica delle sue accusatrici indicandole come complici dei propri reati. Una di queste, Aldegonde de Rue, la seguirà nella morte violenta dopo un processo durato due anni e conclusosi con il riscontro, sul suo corpo, di punti insensibili al dolore, testimonianza della sua frequentazione diabolica. Altre tre donne subiranno la stessa fine.

Giura, 1600

Rolanda di Vernois e Claudia confessano al giudice Henri Bouguet di aver provocato la grandine mescolando la propria orina con ramoscelli verdi. Il demonio le difende sul rogo, provocando scrosci di pioggia che più volte spengono le fiamme. Il rito della morte si compie infine il 7 Settembre.

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Aix-en-Provence 1609

Dopo il rito esorcistico propinatole perché indemoniata, una monaca accusa il curato di Marsiglia, don Gaufridy, di averla stregata. Sottoposto a tortura, il curato resiste due anni, prima di confessare le pratiche sabbatiche e una violenza sessuale sulla suora. Muore bruciato il 30 Aprile 1611.

Zagarramudi (Paesi Baschi) 1614

Dopo un interrogatorio che riguarda 300 persone e che dura 4 anni, vengono riconosciute colpevoli 12 streghe. Sette sono condannate al rogo. Delle altre cinque, morte durante il procedimento, vengono bruciate immagini che le raffigurano.

Paderborn, 1631

Lisa Tutke, arrestata con l'accusa di stregoneria, confessa sotto tortura che suo padre (morto per le violenze dei giudici in un precedente processo) le ha insegnato a compiere malefìci fin da quando era piccola, consegnandola a un uomo che abusò sessualmente di lei. Che quell'uomo potesse essere il demonio è testimoniato dal fatto che durante il rapporto Lisa non sentì calore, ma gelo. Lisa denuncia altre sei persone.

Oppenau, 1631-32

Un processo da record: viene mandato al rogo l'8% della popolazione.

Palermo, 1640

Viene condannata dal Sant'Uffizio Caterina Brunì, "che andava con le donne di fuora la notte e che promettea portare li genti con essa et che li volea far cavalcare sopra un castrato, come facea essa".

Auch, 1644

Regine, donna del popolo,viene presa e gettata nel fiume Gers con appesa una pietra al collo. I giustizieri, questa volta senza processo, sono soldati che la accusano di pratiche malefiche, su istigazione di persone della città.

Montheliard, 1646

Trentadue testimoni accusano una vedova, Adrienne d'Heur, di aver fatto morire un bambino offrenedogli del pane; di aver fatto perdere la vista a un uomo, una donna e due bambini; di aver prosciugato il latte di una mucca; di aver provocato la morte di un cavallo; di aver tentato di rapire un bimbo; di essersi introdotta nelle case nottetempo senza aver bisogno di aprire le porte; di essersi trasformata in gatto, irritando il gatto di casa. Viene punta su tutto il corpo: l'ago entra tra le scapole e vi resta, senza produrre dolore o fuoriuscite di sangue, per un quarto d'ora. Adrienne nega ogni cosa e viene sospesa alla corda. A questo punto confessa: sabba, coiti col diavolo, malefici e trasformazioni. E' bruciata l'11 Settembre.

Juergensburg, 1692.

Un uomo di 80 anni, Thiess, confessa di essere un lupo mannaro, ma di quelli buoni che inseguono e lottano contro diavoli e streghe. I giudici lo condannano a 10 colpi di frusta.

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Inoltre tra  il 1627 e il 1630, a Colonia, vennero giustiziate quasi tutte le levatrici della città perché le più esposte ad accuse del tipo: avere tra le mani bambini non battezzati, praticare aborti e contraccezione. Ma anche le donne che si dedicavano alla guarigione dei malati erano bruciate. Le vedove (che a causa delle tante guerre erano diventate un esercito), le nubili, le cuoche ... tutte queste categorie di persone erano sotto tiro per essere sospettate di crimini graditi al diavolo. In Italia interventi repressivi di massa si ebbero in Valcamonica, in Valtellina, nell'area del Tonale, presso i territori di Brescia e Bergamo. Nel Canton Ticino il vescovo di Milano, Carlo Borromeo, tra il 1565 e il 1583, presenziò a processi ed esecuzioni di centinaia di fattucchiere e per questo fu fatto santo.

Quello che segue e' un campionario, ovviamente incompleto di circostanze e di atti anche innocenti che potevano aprire la strada verso il rogo:

non praticare alcuna religione non andare regolarmente in chiesa non rispettare il riposo domenicale avere pronunciato qualche bestemmia fornicare e prostituirsi essere sospetti di adulterio aver abortito o aiutato ad abortire accennare qualche passo di danza in prossimità o attorno ad un fuoco, sole o in compagnia possedere un rosario privo della relativa crocetta tenere in grembo, accarezzare e/o nutrire un gatto nero pronunciare preghiere o fare atti di devozione in chiese in rovina e sconsacrate tenere in casa un galletto nero raccogliere erbe e radici durante la festa di S. Antonio raccogliere erbe e radici genuflessi verso oriente essere omosessuali aver curato con pozioni o unguenti un infermo che poi era morto praticare in genere l'arte di curare con le erbe aver pronunciato, nel corso di un litigio, parole oscure ritenute maledizioni in grado di

procurare il "malocchio" e la "malasorte" essere figlia/figlio di donna già condannata per stregoneria avere inveito e/o minacciato qualcuno che aveva rifiutato l'elemosina.

(18) Queste prove e torture mediante l'acqua discendevano dalla medioevale ordalia dell'acqua (una delle varie e crudeli ordalie). In questo tipo di ordalia l'acqua simboleggia il diluvio dell'Antico Testamento. Come il diluvio spazzò via i peccati anche l'acqua purificherà la strega. Dopo tre giorni di penitenze l'accusata doveva immergere le mani fino ai polsi in acqua bollente. Spesso venivano costrette a immergerle fino ai gomiti. Si aspettava poi tre giorni per valutare le colpe dell'accusata. Veniva messa in pratica anche un'ordalia dell'acqua fredda. Alla strega venivano legate le mani ai piedi in modo che la posizione non fosse favorevole per rimanere a galla. Dopodiché veniva immersa in acqua; e, come scritto nel testo, se galleggiava era sicuramente una strega in quanto l'acqua "rifiutava" una creatura demoniaca, se andava a fondo era innocente ma difficilmente sarebbe stata salvata in tempo.

(19) Tra il 10 giugno 1692 e il 22 settembre 1692, 20 persone furono giustiziate tramite impiccagione ed entro il 1693 altre 5 sarebbero morte nelle prigioni.

10 giugno  

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Bridget Bishop

19 luglio    

Sarah GoodElizabeth HowSusannah MartinRebecca NurseSarah Wilds

19 agosto

George BurroghsMartha CarrierGeorge JacobsJohn ProctorJohn Willard

19 settembre

Giles Cory (pressato con pietre sul petto fino ad ucciderlo)

22 settembre

Martha CoryMary EstyAlice ParkerMary ParkerAnn PudeatorWilmot ReddMargaret ScottSamuel Wardwell

In prigione, accusate di stregoneria morirono:

Sarah Osburn il 10 maggio 1692;Roger Toothaaker il 16 giugno 1692;il bambino neonato e senza nome di Sarah Good il 19 luglio 1692, giorno della morte della madre;Ann Foster il 3 dicembre 1692;Lydia Dastin il 10 marzo 1693

(20) Riporto di seguito alcuni modi con sui il diavolo è stato fisicamente definito:

figura genericamente antropomorfa colore grigio-nero, nero o nerissimo ali membranate (tipo pipistrello) barba di tipo caprino ha un solo dente di cui si serve per marchiare le streghe (non tutti gli autori concordano) cervice dotata di grandi e robuste corna piedi forcuti pelle grinzosa

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dotato di lunga coda con terminale peloso o forcuto dotato di grandi mammelle privo di circolazione sanguigna sostituita da acqua congelata organo sessuale con le seguenti caratteristiche:

o straordinariamente grande e lungo o pesantissimo o fatto in parte di ferro e in parte di carne e rivestito con scaglie di materiale corneo o costantemente in posizione eretta ed in bellavista o temperatura gelida o emissione di sperma freddo come il ghiaccio.

Solitamente si presenta nudo. Quando però tenta di circuire o ingannare qualcuno ricorre a vari mascheramenti come, ad esempio:

assume le sembianze di un bellissimo giovane sempre elegantemente vestito dotato di calzature o stivali per nascondere i piedi forcuti.

(21) Durante l'occupazione dell'Italia da parte di Napoleone, moltissimi documenti furono razziati per essere portati a Parigi. Tra di essi tutti gli archivi dell’Inquisizione che andarono in gran parte dispersi (una parte fu venduta in epoca di Restaurazione come carta straccia e, ad esempio, alcune pagine dei verbali del processo a Giordano Bruno furono trovate in un mercato come carta per avvolgere il pesce). Solo una parte di questa importantissima documentazione resta intatta a Parigi.  I pacchi razziati e portati a Parigi erano 7900 circa, di cui 4148 volumi di processi e 472 di sentenze fino al 1771; nella seconda metà dell’800 in concomitanza con situazioni politiche “pericolose” (Garibaldi, porta Pia) i funzionari della Congregazione del Santo Uffizio operarono distruzioni nella documentazione processuale degli anni 1772-1810 che non era stata portata a Parigi e in quella prodotta in seguito. In Spagna, quando terminò l'incubo dell'Inquisizione, gli archivi furono bruciati dalla popolazione inferocita.

A Palermo (dove gli impiegati agli uffici dell'Inquisizione erano 25 mila) durante la breve parentesi di un governo illuminista, vennero bruciati tutti gli archivi per dimenticare gli orrori e per salvaguardare le migliaia di persone segnalate (come accadde in tutte le Indie portoghesi). Più che nei numeri, la tragedia sta nel fatto che tutti, nessuno escluso, poteva essere sospettato, imprigionato, perdere tutte le proprietà ed essere arso vivo in quanto l’Inquisizione non giudicava crimini, ma idee.

(1) Karlheinz Deschner - Il gallo cantò ancora. Storia critica della Chiesa - Massari 1998

(2) Franco Cardini - L'inquisizione - Giunti 1999

(3) John Edwards - Storia dell'Inquisizione - Mondadori 2006

(4) Jean Guiraud - L'Inquisizione medioevale - Corbaccio 1933

(5) Juan Blázquez Miguel - La Inquisicion - Penthalon Madrid 1988

(6) M. Baigent, R. Leigh - L'Inquisizione - Marco Tropea 2000

(7) William Monter - Frontiers of Heresy. The Spanish Inquisition from the Basque Lands to Sicily - Cambridge University Press 1990

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(8) Pietro Tamburini - Storia generale dell'Inquisizione - Bastogi 1862

(9) Karlheinz Deschner - Storia criminale del Cristianesimo - Ariele 2000

(10) Henry Ch. Lea - Storia dell'Inquisizione - Feltrinelli/Bocca 1974 (l'opera è del 1888)

(11) N. Eimeric, F. Peña - El manual de los inquisidores - Muchnik Barcelona 1983

(12) H. Kramer, J. Sprenger - Malleus Malleficarum - Circulo Latino, Barcelona 2005

(13) G. Deromieu - L'Inquisition - Presses Universitaires de France, 1946.

(14) F. Musslung - Lutero e la Riforma protestante - Giunti 2003

(15) M. Lutero - Le 95 tesi - Studio Tesi 1995

(16) Delio Cantimori - Eretici italiani del Cinquecento - Sansoni 1967

(17) Adriano Prosperi - Il Concilio di Trento - Einaudi 2001

(18) R. Po-Chia Hsia - La Controriforma - Il Mulino 2001

(19) Esther Cohen - Con el diablo en el cuerpo. Filosofos y brujas en el Renacimento - Taurus, Barcelona 2003

(20) P.G. Maxwell-Stuart - Storia della caccia alle streghe - Newton & Compton 2005

(21) Richard Kieckhefer - La magia nel Medioevo - Laterza 1993

(22) Cristoph Daxelmüller - Magia - Rusconi 1997

(23) Streghe di Benevento

(24) La caccia alle streghe. Sintesi di un genocidio

  

Parte IV: ALCUNI PROCESSI DELL'INQUISIZIONE ROMANA

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POMPONIO ALGERIO

 

            Pomponio Algerio (o de Algerio o Algeri) è un personaggio che molte poche persone conoscono ma che merita di essere conosciuto per le vicende vergognose ed orrende che lo hanno portato a processo e morte.

              Pomponio nacque nel 1531 a Nola, una città che ha dato fortissime personalità alla storia d'Italia tra cui Giordano Bruno. Rimasto orfano, dopo i primi studi nel Collegio Spinelli della città, un suo zio lo mandò a completare la sua preparazione all'Università di Padova dove Pomponio si iscrisse per laurearsi in discipline giuridiche studiando, come era costume dell'epoca, teologia, filosofia, diritto e medicina. Eravamo in Italia, ai primi anni della Riforma protestante con il Concilio di Trento aperto da qualche anno (1545). Nel 1552 il professore di Pomponio a Padova, Matteo Gribaldi, fu sospettato di essere un riformatore e poiché sapeva a cosa sarebbe andato

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incontro, decise di scappare a Ginevra, come tanti italiani all'epoca. Ma l'Inquisizione, all'epoca di Paolo IV Carafa, un vero assassino, fece perquisire tutte le abitazione degli studenti per controllare se vi fossero state nefaste influenze. Occorreva controllare la Repubblica di Venezia perché molto a rischio riforma. Non si riuscì a sottometterla ma a farla diventare molto più indulgente nelle stradizioni. Scrive Ammirati: "Per il suo ingegno brillante, per la serietà e l’assiduità nello studio, per il suo carattere cogitabondo, per lo zelo che mostrava nelle dispute filosofiche e teologiche, per l’entusiasmo verso la dottrina luterana di cui s’era imbevuto alla scuola dei suoi maestri, il Nolano non tardò ad emergere tra la folla degli studenti di Padova e a segnalarsi per la sua cultura. Il 29 maggio 1555 Pomponio da un delatore venne denunziato per le sue teorie luterane ed accusato di professare dottrine pericolosamente eretiche. Il giudizio si svolse nel Palazzo del Pretorio di Padova, dove il giovane Nolano comparve, per discolparsi, davanti al teologo Gerardo Busdrago, vicario del Vescovo, e all’inquisitore Gerolamo Girello, assistiti da tre giudici e da Geronimo Contareno. Pomponio de Algerio, giovane di 25 anni, esile nella figura, dal volto ascetico, scavato dalla meditazione e dallo studio assiduo sui testi sacri, e circondato - come un’aureola - da una rada barba bionda, «indutus habito laicali, videlicet, sagulo et bireto veluti capa et caligis panni nigri ...», si presentò sereno e deciso a sostenere le sue proposizioni davanti ai giudici. Durante l’istruttoria parlava come un ispirato e negò le accuse mossegli, per la verità alquanto contraddittorie, di negare, cioè, l’esistenza di Dio e di essere un seguace di Martin Lutero. E poiché i giudici, ben disposti verso di lui, con insistenza lo esortavano a confessare apertamente di credere alla Chiesa Cattolica Apostolica Romana, regolata dal Pontefice, egli «senza schermirsi dichiarò che la Chiesa Cattolica per lui era la Comunione dei Santi e che il Papa era homo. Né da quella, né dalle altre opinioni luterane sul numero e la natura dei Sacramenti e intorno al Purgatorio si rimosse; non le nascose, non tergiversò, e persistendo così a rispondere, fu rinviato in carcere ...». Vi rimase per breve tempo: un mese. Durante la detenzione, che non fu dura e inumana, come appare dall’esame degli atti processuali, il giovane eretico sopportò con animo forte ogni minaccia se non si fosse ravveduto; né cedette alle lusinghe, alle blandizie e alle insistenti esortazioni perché abiurasse le sue proposizioni in materia di fede" .

              Algerio ha 25 anni è un giovane idealista convinto delle sue idee. Non deve rendere conto a nessuno oltre che alla sua coscienza. Crede in Dio ed ha dei dubbi sulle corti papali e sulla simonia imperante a Roma. In particolare   nega i Sacramenti della Chiesa (eccetto il battesimo e l'Eucarestia, anche se non credeva che nell'ostia vi fosse il corpo di Cristo), il Purgatorio, la Confessione e l’autorità del Papa ( Credo sanctam Ecclesiam catholicam, communionem sanctorum, et ho

Christo capo di questa Chiesia ), in accordo con le idee dei riformatori. E' un credente sincero per una Chiesa che sia con i credenti e non difenda gli interessi gerarchici di famiglie che si succedono al pontificato perché hanno pagato loro elettori. In questi suoi dubbi ciò che conosceva della Chiesa protestante rappresentava la soluzione. Era una Chiesa cristiana perché doveva temere da altri cristiani ? Che colpa ho nel difendere ciò che credo sia la religione del mio Cristo ? Prosegue Ammirati: " In men di due mesi, il 17 e il 28 luglio 1955, il Tribunale patavino sottopose Pomponio ed altri due stringenti interrogatori, durante i quali i giudizi non tralasciarono alcun mezzo per indurlo all’abiura delle sue credenze. Ma il Nolano rimase fermo, né accettò supinamente le minacce e le esortazioni dei giudici; ma, documentandosi con la Bibbia e con i testi dei Dottori della Chiesa, egli disputò con gli Inquisitori e difese strenuamente il suo punto di vista. Fu rinviato alle carceri, ove stette fin quasi alla primavera dell’anno seguente ". Nell'interrogatorio del 17 luglio Pomponio affermò: “ chela Chiesia romana non è la catholica, perché la catholica è la universale, alla quale il Christianesimo debe esser conforme, sì come quella è il corpo mistico de Christo et ciascadun christiano è membro di Christo, ma la romana non solum è particulare, et a particolare alcunono nisun christiano restringere se debbe, possendo ogni chiesia particulare in alcune cose errare, et essa chiesia romana in più cose deviare dal vero”. Chiestogli quali fossero

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secondo lui gli errori della Chiesa romana, rispose: “Insin a questi tempi ha deviato dalla catholica havendo fermamente tenuto, insegnato et fatto tenire ad altri il christiano salvarse per le opere et non per il mero sangue di Christo, sì come per il concilio tridentino appare, ma il vero è in questo articulo che ciascadun christiano et elletto de Idio habbia sua salute et iustitia per la passion de Christo et non per sui meriti, ben vero che iustificatione et fede esser non po senza bone opere, sì come arbore bono dir non si po senza li frutti boni”; rincarando ancor più la dose, aggiunse: “Dico anchora deviare in quanto che dice l’homo posser fare da se cosa alcuna bona in alcun modo, non possendosi cognoscere cosa laudabile procedere dalla nostra infetta natura excetto in quanto il signor Idio ne dona la gratia”. Quindi, insistendo ancora sul medesimo punto, affermò: “Dico anchora deviare in quanto dice la eletion nostra non esser per mera gratia de Dio, ma per li nostri meriti.”               Comunque, finché le cose rimanevano alla periferia di Roma, in questo caso alla Repubblica di Venezia, si potevano prevedere sbocchi anche favorevoli, soprattutto perché Venezia era gelosa della sua autonomia e non consegnava a Roma certamente i suoi cittadini con valutazioni pratiche quelli di altri Stati, come Pomponio. In questo caso vi era la disapprovazione che sarebbe venuta da Padova da parte di molti studenti che apprezzavano Algerio e da altri che erano simpatizzanti per la Riforma. Ma il caso di questo giovane di 25 anni arrivò a Roma che è così debole ed impaurita da richiedere l'estradizione al Tribunale di Padova ed al Senato di Venezia per il pericoloso eretico. Fu lo stesso Papa Paolo IV ad incarognirsi con Pomponio, quel Papa eletto da poco (23 maggio 1555) e proveniente dalla carica di Grande Inquisitore con un nome che faceva paura: Gian Pietro Carafa. Fece scrivere (24 agosto 1555) al Consiglio dei Dieci dall'Ambasciatore di Venezia a Roma che lo fece con queste parole:

  «Excellentissimi domini.

Questa mattina il reverendissimo governator di Roma per commissione di sua santità è venuto a trovarmi a casa, et in nome di quella m’ha narrato di esser avisata come in Padova dal reverendo suffraganeo è stato messo in prigione per heresia uno scolare chiamato Pompeo da Nolla [sic], heretico pertinace, hora che è nelle carceri, sua santità desiderare che vostre eccellentie diano ordine alli clarissimi rettori di Padoa che favorischino il detto suffraganeo in questo caso et lo espedischino acciò secondo la giustitia sia punito. Altro non risposi salvo che non mancarei di significare a vostre eccellentie l’officio che, d’ordine di sua santità, faceva meco et il desiderio che la tiene della spedittione di questo caso. [...]». Il Tribunale di Padova non emise alcuna sentenza di estradizione ma lo mantenne in carcere, con la giustificazione che intanto potesse «mediante il tormento delle pregioni havesse vogliuto lasciare questa sua ostinazione et forsi humor malencholico». Invece il Senato cedette ed il 14 marzo 1556 concesse l'estradizione riconoscendo il frate nolano «suddito» del Papa. A indurre Venezia a questo sfregio furono decisivi i ricatti politici di Papa Carafa che fu felice dell'estradizione perché da vecchio Inquisitore si sentiva in dovere di combattere in ogni modo l'eresia (i ricatti li faranno anche altri papi come discuteremo con il caso di Giordano Bruno) ma anche perché, essendo stato da cardinale nella Repubblica di Venezia, si era reso conto di quanto grande fosse stata la penetrazione delle nuove idee riformiste nel territorio della Repubblica veneziana (della cosa aveva informato il Papa Clemente VII nel 1532). L'ambasciatore di Venezia, che nel frattempo era cambiato, scrisse (il 19 marzo) ai suoi referenti veneziani queste parole: «Sapiate, magnifico ambasciatore, che la Signoria, per la potentia che Dio benedetto gli ha dato ci po far molti piaceri, ma questo è il maggior che potessimo espettar da lei, perché ci va l’honor di Dio, onde la ringratiamo infinitamente et pregamo sua maestà gli rendi merito con accrescergli lo stato quanto ella desidera». Ed arrivato a Roma in catene, il povero giovane fu trasferito alle orrende carceri del Sant'Uffizio per affrontare il secondo processo dopo quello veneziano. Ed a questo punto c'è poco da dire perché, come sempre (o per fatti esterni o per precisa volontà di nascondere), non si hanno i documenti del processo. Si sa solo che Pomponio non volle abiurare dalle sue idee e che fu condannato al rogo, dopo un supplizio degno solo di un Papa,

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come eretico. La condanna fu eseguita a Piazza Navona il 19 agosto 1556. Prima di essere bruciato il giovane fu immerso in una caldaia contenente olio bollente, pece e trementina. Più precisamente Algerio si immerse spontaneamente nella caldaia, “con allegra faccia”, levando le mani al cielo e dicendo: “Suscipe domine Deus meus famulum et martirem tuum”. E così continuò “nel mezo delle fiamme et de tormenti per spatio di ¼ d’ora che vi visse”. Scriveva mestamente il 22 agosto l'Ambasciatore di Venezia al Consiglio dei Dieci: «quel scolaro da Nola che l’eccellentissime signorie vostre mandorno qui fu un di questi dì in piazza Navona brusciato vivo, con tanta constantia che fece meravigliar ogn’uno. Et intendo che, leggendoseli il processo, disse: "Di gratia, leggetemi la sententia". La qual, udita che hebbe, ringratiando Dio, disse: "Questo è quello ch’ho sempre dimandato dal mio Signor, vivat Dominus meus in aeternum"». Scrive Ammirati: In Piazza Navona a Roma, tra una folla di curiosi e di soldati schierati, avvezzi ormai ad assistere a siffatti raccapriccianti tormenti, ardeva una grande pira, sotto una grossa caldaia contenente «olio, pece et termentina». Le fiamme, guizzando alte, illuminavano sinistramente la piazza ed i volti dei presenti, e lambivano il calderone, in cui gorgogliava il tremendo liquido bollente. Dalle prigioni si snoda il funebre corteo che, salmodiando, accompagna l’eretico al supplizio. Tutti gli sguardi sono fissi su quel giovane frate biondo che, esile nella persona, avanza con passo fermo e col volto di asceta, incorniciato da una delicata e rada barba. Calato nella caldaia bollente, tra il silenzio tombale della folla che guarda con i volti atterriti, il crepitio delle fiamme non riesce a spegnere l’eco della sua voce che, soffocando gli spasimi dell’indicibile dolore, ripete: «Suscipe domine Deus meus famulum et martyrem tuum» (Accogli Dio mio il tuo servo   e martire). L’agonia e la preghiera «nel mezzo delle fiamme et dei tormenti durò per spazio di un quarto d’ora che vi visse».

              Di questo comune eretico,   che non aveva certo l'età per dare contributi teologici alla Riforma, che aveva solo una grande costanza nelle sue credenze di fronte agli Inquisitori e sublime eroismo nell’andare incontro alla morte, scrisse Benedetto Croce: « L’argomento meritava un tale studio e un tale illustratore; e non solo perché la forte costanza dello scolaro nolano, di questo giovane che, uscito dalla piccola cerchia di un oscuro paesello dell’Italia meridionale e andato in campo più largo, avido di scienza, appassionato del vero, poiché credette di aver raggiunto la bramata verità, affrontò la morte per non lasciarsi rapire il bene dell’anima sua, riempie di alta ammirazione e di nobile commozione per tanta fiamma di fede e di martirio. C’è anche un’altra ragione che ferma sopra di lui l’attenzione. Pomponio de Algerio   da Nola: un martire, dunque, dell’intolleranza ecclesiastica, nato in Nola, pochi anni prima che vi nascesse un altro, il cui nome è sulle bocche di tutti, e la cui vita ha tanti punti di somiglianza con quella dell'Algerio Senza dubbio Giordano Bruno, nella sua fanciullezza, dové udir raccontare con religioso raccapriccio la sorte toccata al suo compaesano, eretico pravissimo, in Rom chi sa che, fin d’allora, quell’eroica morte non esercitasse confusamente sul suo animo una misteriosa attrattiva; e chi sa che in seguito, nel carcere, a Venezia e a Roma, il destino di Pomponio de Algerio non gli tornasse alla mente, come visione del proprio destino, e forse anche come conforto nella lotta contro ogni umana viltà e nel saper morire per la propria fede ».

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Il supplizio di Pomponio Algerio.

 

GIORDANO BRUNO

 

              Di Giordano Bruno mi sono occupato più volte per la sua affascinante personalità e, debbo dire a premessa di quanto scriverò, che sono molto legato a lui da grandissimo affetto e stima. Avverto che utilizzerò qui, come farò per Galileo, molto del materiale che ho già pubblicato ma cercherò ora di concentrarmi più sul processo che sul pensiero in senso lato.              

              Filippo Bruno nasce a Nola (vicino Napoli) nel 1548 da Giovanni (soldato di   ventura) e da Fraulissa Savolino (famiglia di piccoli proprietari terrieri). « Io ho nome Giordano della famiglia di Bruni, della città de Nola vicina a Napoli dodeci miglia, nato et allevato in quella città ».   Inizia studi privati con il sacerdote Gian Domenico de Jannello, poi passa alla scuola pubblica di Bartolo Alaia delle Caselle. Prosegue gli studi a Napoli (umanità, logica e dialettica) in una scuola pubblica, quella dell'averroista antiaristotelico Giovan Vincenzo de Colle, detto Sarnese perché nato a Sarno, e segue lezioni private di logica dal padre agostiniano Teofilo da Vairano. Sotto l'influenza di quest'ultimo ne 1562 entra in convento (è un'epoca di vigilanza e repressione da parte delle autorità cattoliche e spagnole) (1) e nel 1562 veste l'abito di novizio domenicano in San Domenico a Napoli, prendendo il nome di Giordano. Fa l'anno di noviziato studiando retorica fino a diventare nel 1566 professo (prende cioè i voti). Dopo l'anno di prova a San Domenico si dovevano fare quattro anni di corso preaccademico con approfonditi studi di retorica, dialettica, filosofia naturale, teologia,

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mnemotecnica (2) , logica e metafisica il tutto ruotante intorno al Filosofo Aristotele (naturalmente si faceva finta che Copernico, già pubblicato da un ventennio, non fosse mai esistito). La scelta di farsi domenicano era stata meditata non tanto per l'amore alla teologia che Bruno non aveva o per difendere l'ortodossia cristiana, cosa alla quale non teneva, ma per poter studiare in pace tutte le cose che lo interessavano in un ambiente protetto perché di un ordine tra i più potenti. Anche se, occorre ricordare, questa scelta la facevano in molti e quindi la cosiddetta vocazione spessissimo non c'entrava nulla. Tanto è così che i monasteri e le Università annesse erano luoghi di violenze e scandali sessuali. Verrecchia racconta delle migliaia di studenti che si muovevano nello Studio annesso al Monastero di San Domenico, dove aveva insegnato Tommaso d'Aquino. Parla di questi studenti come non proprio tranquilli se il Viceré, per riportare la calma, tra il 1566 ed il 1568 dovette emanare due decreti in cui vietava l'uso delle armi sia offensive che difensive e se il Rettore poteva chiedere l'arresto dei più scalmanati. Nonostante ciò vi era un baccano continuo con corse, grida e violente risse ( et altre cose nefande ) per scale, chiostri e perfino nella chiesa. E Bruno che ha sempre convissuto con una doppia natura di mistico studioso dalle profonde riflessioni ed uomo che ama la vita, non deve essere stato estraneo a questa vita disordinata. Anche perché le lezioni erano quelle assurde disquisizioni su temi assegnati agli studenti che non erano però su temi d'interesse o di cultura classica come Aristotele, Platone, Democrito, ... ma sui noiosi Padri della Chiesa come Girolamo, Crisostomo, Crisologo, Ambrogio, Cipriano, ... Bruno doveva annoiarsi e, osserva acutamente Verrecchia, l'intelligenza comporta dei rischi anche nella Casa di Dio, anzi lì più che altrove, visto che ci entrano solo i poveri di spirito . Così che, durante l'anno di noviziato, dopo che egli stesso aveva gettato via le immagini di tutti i santi restando legato al solo Cristo, invitava un novizio che leggeva la Historia delle sette allegrezze della Madonna a gettar via quel libro che era solo una rituale, puerile e scialba esaltazione in versi   (tanto è così che per questo motivo l'opera fu poi messa all'Indice da Clemente XI) senza dir nulla di serio ed importante e che si sarebbe imparato molto leggendo invece la Vita de Santi Padri . Questo consiglio all'amico di convento servirà per dire che Bruno aveva attentato al culto della Madonna. Mentre continuava la dissolutezza conventuale vi era la pratica di punire severamente chi rivelasse cosa accadeva all'interno delle sante mura compresi i continui omicidi proprio in San Domenico dove alcuni frati come Teofilo Caracciolo e Marco Di Gennaro più che il rosario sapevano maneggiare il pugnale e non erano i più deprecabili se la sodomia, il furto ed ogni nefandezza erano pratiche comuni. Tra il 1567 ed il 1570 furono emesse una cinquantina di sentenze, di cui ben diciotto contro conversi, chierici e sacerdoti di San Domenico Maggiore . Bruno testimonia questo in alcune sue opere come il Candelaio e afferma di essere riuscito a restarne fuori perché, come dice Verrecchia con pieno merito, nei grandi spiriti la superiorità intellettuale va sempre di pari passo con quella morale. La filosofia di Bruno si rispecchia nella sua vita e viceversa . Non a caso, mentre i superiori dell'ordine domenicano emanavano la seguente direttiva: Dobbiamo per rispetto a Dio stroncare le iniquità e i delitti e, secondo le nostre leggi e istituzioni, punirli con le pene dovute, affinché i delinquenti vengano salutarmente repressi e gli altri siano indotti da tale esempio ad astenersi dal commettere scelleratezze , a Bruno venivano concessi permessi per visite, missioni, licenze e viaggi. Egli era capace di estraniarsi e restare a scrivere e meditare per molto tempo, quasi che il resto del mondo gli sparisse. Per questo non ebbe problemi di sorta in un coacervo di delitti, di pene, di sconvenienze (non già per frati ma addirittura per banditi) impensabili (si veda Verrecchia a pag. 24 e 25) ed ipocriti silenzi perché non si sapesse nulla all'esterno. Il mondo religioso del cattolicesimo andava dissolvendosi come denunciato già da moltissimi scrittori a partire da Dante e Boccaccio. Ma Bruno era solo uno studioso ed ancora il 15 luglio 1568 ottenne il permesso scritto di recarsi a visitare i domenicani della Lombardia dove, dopo essere passato per qualche convento romano, arrivò a quello lombardo di Santa Sabina. Naturalmente non abbiamo informazioni complete sui suoi spostamenti per cui debbo riportare solo alcune cose che vari studiosi sostengono. Tra queste il fatto che probabilmente, di passaggio a Roma, fosse presentato al Papa Pio V (al quale dedicò e recitò in ebraico un'operetta andata perduta, L'arca di Noè ). Proseguì gli studi, dovendo pagare per avere una celletta dove potesse studiare, che si conclusero con la laurea in teologia nel 1575 con due

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tesi, una su Tommaso d'Aquino e l'altra su Pietro Lombardo, e la carriera ecclesiastica che lo portò ad essere sacerdote nel 1573 a Campagna, vicino Eboli. Nel 1575, quindi, Bruno era sacerdote e teologo. Qualche dubbio si può avere sull'effettiva preparazione in teologia, anche se gli studi erano massacranti e duravano l'intero anno. Il fatto è cha agli studenti era proibito leggere i classici ed ogni autore quasi contemporaneo di grande importanza come Erasmo. Ma per altri versi sappiamo che Bruno, e credo ogni vero amante del sapere come sarà successivamente Tommaso Campanella, nonostante la stretta sorveglianza, leggeva di nascosto e di notte molte opere di autori non compresi nel corso di studi e messe all'indice tra cui filosofi, letterati e scienziati. Grande influenza su di lui ebbero Erasmo ed Ario (il mondo può rinnovarsi e ringiovanire solo se dissolve le tenebre della religione asinina di Paolo e di Cristo). La sua cultura fu definita prodigiosa perché prodigiosa era la Biblioteca di San Domenico (anche se venne fatta un'indegna opera censoria incollando le pagine dei testi proibiti). La discussione con altri studenti di queste letture lo rendono sospetto di eresia e lo fanno tenere sotto speciale controllo ma, come osserva Verrecchia, l'imprudenza è, al pari della distrazione, una caratteristica degli spiriti superiori . Il fatto è che questi spiriti credono in modo semplice che tutti gli altri siano al loro livello tanto da permettersi di discutere sperando di avere risposte e non denunce, ma evidentemente sbagliano di molto.

              Nel 1572 arrivarono a San Domenico Maggiore in visita alcuni domenicani fiorentini, tra cui Agostino da Montalcino (che Bruno dice essere lombardo). Nella discussione Montalcino disse che gli eretici erano ignoranti perché non conoscevano le Scritture oltre a non sapere disquisire come gli scolastici. Bruno scolasticamente e dall'alto delle sue conoscenze teologiche richiamando i Padri della Chiesa e Sant'Agostino obiettò. Ma alle obiezioni, tra cui la messa in dubbio della Trinità argomento tipico di Ario, questi saltarono su indignati dicendo che Bruno era un difensore degli eretici affermando addirittura che erano colti (questo è quello che raccontò Bruno ma noi ci possiamo anche mettere molto buon peso perché Bruno come mostrerà in seguito non era tenero con i caproni). Montalcino da buon domenicano corse subito a riferire tutto al Superiore, Domenico Vita, facendosi forte della testimonianza degli altri (in questa occasione fu riesumato il suo consiglio al collega studente di gettar via quel libro che parlava in quel modo stupido della Madonna). Fu perquisita la sua cella dove trovarono i libri di Erasmo. Non serviva altro per processare Bruno ed il processo iniziò a Napoli con l'invio delle carte a Roma. Chi conosceva, come Bruno, i procedimenti giudiziari inquisitori sapeva che lo avrebbero presto arrestato ed egli non avrebbe sopportato la prigione. Decise di scappare, abbandonò l'abito e, come egli stesso dice, la religione per recarsi a Roma. Era il febbraio 1576. A Roma chiese ospitalità presso i domenicani di Santa Maria sopra Minerva con la speranza di vivere tranquillo senza che nessuno venisse a sapere dei sospetti che si addensavano su di lui. Ma Roma non era da meno di Napoli, come racconta un cornista dell'epoca, il marchigiano Guido Gualtieri, in città scoppiavano frequentissimi e durissimi tumulti, con risse, furti ed ammazzamenti, con molte persone derubate poi gettate nel Tevere. Circolare per la città e pronunciare una parolina o dare uno sguardo interpretato come strano poteva essere fatale. Ed in mezzo alle bande di delinquenti non vi era solo gente sbandata di varia provenienza ma spesso preti e frati che lasciavano le chiese ed i monasteri per arrotondare le entrate. Ed il cronista dà la colpa di questo alle debolezze del vecchio Papa Gregorio XIII che si faceva condurre da suo figlio Giacomo. In mezzo a questo marasma Bruno sperava di passare inosservato. Ma da Napoli però sembra arrivasse   il suo confratello Montalcino. Il confratello finì annegato nel Tevere. Bruno, nonostante lo abbia sempre negato con energia, venne accusato del fatto e ciò lo rese di nuovo fuggiasco con abiti civili (marzo 1576). Il problema era però capire dove andare. In teoria il Sud sarebbe stato un luogo più accogliente per lui ma da poco vi era stata la strage di Valdesi a Montalto in Calabria. Essi fuggivano dal Piemonte e furono presi vicino Cosenza ed anche di recente (1561). Non era poi semplice muoversi perché vi era la peste (quella vera, molto più blanda dell'Inquisizione) ed occorreva cercare luoghi risparmiati, come la Liguria, fino ad allora fuori dal flagello. Bruno si recò a Genova povero e senza una vera meta. Da Genova passò a Novi, una specie di piccola Repubblica che godeva di grande autonomia, cercando una qualche

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occupazione. Le leggi ferree esistenti a Noli contro chi recasse offesa alla religione lo fecero andar via anche da lì sembra perché dava lezioni di cosmologia insegnando Copernico messo in opposizione al sistema aristotelico-tolemaico e la cosa giunse alle orecchie del Vescovo. Seguendo rapidamente i suoi spostamenti tra il 1577 ed il 1578, lo troviamo a Savona, poi a Torino. Quindi, navigando sul Po, a Venezia (un mese e mezzo) dove alle stampe stampe De' segni dei tempi (opera perduta) per guadagnare qualche soldo come egli stesso scrisse e con un minimo aiuto del confratello Remigio Nannini, poi a Padova, a Bergamo (dove rivestì l'abito talare perché gli sarebbe stato utile per trovare un giaciglio e mangiare), a Brescia, a Milano (estate 1578), a Torino. Da qui, a piedi, passò il Moncenisio e si recò al convento domenicano di Chambéry (1579). In primavera passò a Ginevra dove venne obbligato a farsi calvinista e fu ammesso all'Accademia di Ginevra dove dovette osservare rigidamente l'aristotelismo ed il calvinismo (intanto aveva dovuto deporre di nuovo l'abito talare e per mantenersi si era messo a correggere bozze). Bruno scoprì che i calvinisti erano intransigenti, duri, fanatici e sanguinari come i cattolici. Da quelle parti vi era un Venerabile Concistoro che funzionava come il Sant'Uffizio. In agosto Bruno non seppe trattenersi dall'attaccare a mezzo stampa il teologo e suo professore di filosofia Antoine De la Faye (in una lezione di quest'ultimo individuò - a seconda delle fonti - dai 20 ai 100 errori). Venne arrestato insieme al tipografo Jean Bergeon. Processato fu costretto a riconoscersi colpevole ed a sottomettersi alla pena. Appena ne fu in grado fuggì (da questo momento affermerà più volte che era meglio la Chiesa di Roma delle varie sette riformate). Prima si recò a Lione (un mese) poi a Tolosa (fine 1579) dove conseguirà un dottorato ( Magister artium ) e vincerà il concorso a lettore di filosofia. Insegnò pubblicamente il De Anima e privatamente dette lezioni sulla sfera e di filosofia. Nel frattempo tentò un riavvicinamento alla Chiesa. Nell'insegnamento pubblico toccò anche altri testi di fisica e matematica che lo resero sospetto. Anche a seguito di guerre civili (è l'epoca della violenta lotta tra cattolici e calvinisti ugonotti), riparò a Parigi nel 1581 (anche se il ricordo della notte di San Bartolomeo, 1572, era recentissimo) dove dette una serie di lezioni sui 30 attributi divini (con argomentazioni tratte da San Tommaso), sulla mnemotetcnica (arte antichissima ed in tempi relativamente recenti, a cavallo tra il XIII e XIV secolo, sviluppata dal maiorchino Ramon Llull o Raimondo Lullo). Le sue lezioni riscossero enorme successo come testimoniarono suoi ex allievi anni dopo e come dimostra il fatto che il cattolico Re Enrico III, figlio di una Medici, volle conoscerlo di persona (Bruno dirà di lui: magnanimo ed a buon diritto degnissimo dell'ossequio di tutti i dotti). Gli venne offerto di diventare ordinario ma egli rifiutò perché ciò, diversamente da Tolosa, avrebbe comportato l'assoggettarsi a pratiche religiose (obbligo di recarsi a tute le funzioni della religione cattolica). Accettò un semplice incarico remunerato che gli fu assegnato dal re Enrico III che in qualche modo lo faceva sentire protetto dai falchi aristotelici e scolastici che svolazzavano abbondantissimi a Parigi e gli permise di lavorare alla pubblicazione delle sue prime opere importanti che lo fecero conoscere in tutta Europa: De umbris idearum, Cantus Circaeus, De Compendiosa Architectura et complemento artis Lulli, Candelaio, Recens et completa   ars reminiscendi e scrisse: Explicatio triginta sigillorum. Ed Enrico III gli aprì anche la corte dove poté conoscere molte persone dotte, alcune delle quali veramente interessati alla conoscenza, come l'ambasciatore inglese a Londra, che lo ebbe ospite nella sua casa parigina. Questo è tutto vero ma F. Yates sottolinea il fatto che nella realtà Enrico III chiese di vedere Bruno per sapere se la sua arte della memoria era un qualcosa di lecito o era frutto di magia, anche perché qualche suo solerte consigliere gli aveva detto qualcosa in proposito ... Questa versione sembra corretta e solo si pensa che Bruno decise di andarsene da questo Paese per recarsi nell'Inghilterra illustratagli dal suo amico ambasciatore (ma sembra che egli sia stato invitato a lasciare Parigi per l'evolversi della situazione delle guerre di religione tra Francia, Olanda e Spagna e per i tumulti che avevano luogo a Parigi in relazione alle spinte che vi erano per introdurre nel Paese i decreti tridentini contro la Riforma).

        Nel 1583 Bruno passò in Inghilterra con una raccomandazione di Enrico III all'ambasciatore francese in Inghileterra, M. de Castelnan de la Mauvissière. Sembra che il suo viaggio avesse il fine di tentare una pacificazione tra Enrico III ed Elisabetta I convincendo quest'ultima dell'assenza di

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mire espansionistiche della Francia (qualcuno della corte inglese mise in relazione il suo viaggio con un qualche complotto in cui Bruno avrebbe avuto il ruolo di sostegno alla cattolica Maria Stuart ed ai papisti, ma queste sembrano davvero illazioni di pochissimo conto). Conobbe Gilbert, T. Digges, F. Bacon, Shakespeare (che a lui si ispirò per l' Amleto). Pubblicò l' Explicatio triginta sigillorum e il Sigillus sigillorum. Ottenne l'insegnamento ad Oxford, l'università che aveva dismesso l'abito della grande tradizione logico-scientifica per diventare una puritana sede di un aristotelismo blando e di una pedagogia umanistica. Tenne lezioni sull'immortalità dell'anima ma abbandonando San Tommaso ed introducendo proprie idee, che successivamente pubblicherà, sulle diverse dottrine astronomiche. Ebbe dispute pubbliche con i dottori di Oxford, inserendosi con le sue superiori conoscenze dei classici e con la sua superiore capacità di disputare ormai in declino in Inghilterra. Ma il suo non essere stato invitato non lo rendeva gradito,  tanto che fu amabilmente obbligato ad abbandonare le sue lezioni. Tornò a Londra a fare da segretario  all'ambasciatore di Francia. Fu di nuovo invitato a tenere delle lezioni ma fu un insuccesso in parte per il precedente ricordo, in parte per il suo piglio un poco pretesco ed un poco istrionesco, in parte per la sua cadenza napoletana, ma soprattutto perché le sue lezioni tendevano a mostrare il grande valore delle teorie copernicane. Ma vi fu un altro aspetto della questione che fu risolutivo in senso negativo. Thomas Digges, che Bruno aveva conosciuto, aveva scritto un libro, A perfit description of the Coelestiall Orbes, nel quale, per la prima volta, oltre al sostegno del sistema copernicano, compariva un cielo pieno di stelle al di là di quelle che anche per Copernico restava la sfera delle stelle fisse. Era un'apertura dell'universo che fu in seguito intravista come ispiratrice dell'infinito di Bruno. Le cose non stanno però così per almeno due motivi. Il primo è che le giustificazioni di Digges a questa apertura del mondo erano di tipo esclusivamente teologico la seconda era invece che il sistema copernicano all'interno di quelle stelle era unico e non pensato come da ripetersi per altri mondi inoltre era mantenuta la distinzione tra i due mondi quello terrestre della generazione e corruzione e quello eterno ed etereo delle stelle, elaborazioni completamente differenti da quelle di Bruno. A questo punto si inseriscono le lezioni copernicane di Bruno ad Oxford. Scrive Ricci:

Certo, il successo della Perfit Description, la familiarità che il tema dell'infinito, e quello eliocentrico, potevano sembrare aver acquistato nell'ambiente del Dudley [la massima autorità dell'Università di Oxford e consigliere della Regina, ndr], avranno incoraggiato il Nolano a dire la sua sull'argomento nel corso che gli era stato affidato a Oxford. Egli non valutò tuttavia di avere di fronte non un pubblico di "pratici" o di matematici intenditori di astronomia, o di cortigiani curiosi delle novità più recenti, ma di studenti e docenti di una università in crisi e per certi aspetti attardata, sebbene, su questo punto, non più di molte altre università europee, e che comunque coltivava pochissimo o per nulla le scienze, e sarà stato tutt'al più abituato a considerare [...] la teoria copernicana nel termini di una ipotesi matematica comparabile, non sostituibile, alla dottrina geocentrica. È assai probabile che Bruno, invece di proporre una neutrale esposizione tecnica della teoria (sulla quale, in termini strettamente matematici, non rivelerà in seguito una competenza davvero profonda), abbia abbozzato una illustrazione, magari un po' affannosa, e non priva forse di emozione, di quel pensiero suo proprio, che, in forma meglio elaborata, ma non meno provocante, avrebbe ripresentato di lì a qualche mese nella Cena de le Ceneri. Abbot [un testimone delle lezioni di Bruno, futuro Arcivescovo di Canterbury, ndr] volle ricordare solo l'aspetto copernicano della lezione di Bruno, poiché sarà stato, come i suoi colleghi, negativamente impressionato dallo "stile di pensiero" del filosofo, che avrà presentato ai suoi uditori un Copernico già "bruniano", combinato con la teoria dell'infinità dell'universo e della unità della sostanza, e di altri aspetti della «Nolana filosofia» in formazione. Il copernicanesimo di Bruno - che faceva del "mondo" copernicano ed eliocentrico solo uno degli innumerevoli "sistemi" e "mondi" dispersi nell'infinità di un universo omogeneo di sostanza, e senza alcun vero "centro" - soffriva, per i suoi ascoltatori di Oxford, di una doppia aggravante: faceva saltare agli occhi la contradditorietà dell'infinitismo copernicano di Digges, il quale conservava nel "centro" del sistema solare il "centro", impossibile a darsi, del resto,

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di un universo che si pretendeva infinito e al tempo stesso gerarchicamente "qualitativo"; e così facendo dimostrava come priva di senso una versione del copernicanesimo e dell'infinitismo che si sforzava di conciliare la nuova immagine dei cieli con il vecchio cielo della teologia e della Scrittura. La cultura protestante, a cominciare proprio da Lutero, Calvino e Melantone, aveva espresso la sua risoluta avversione per l'innovazione astronomica rappresentata da Copernico - che contraddiceva il racconto scritturale in molti punti - fin dalla prima circolazione della sua ipotesi. Il mondo della Riforma non era sfavorevole o diffidente verso l'eliocentrismo meno di quanto non lo fosse il mondo cattolico. Questo non aveva impedito che la teoria di Copernico, in quanto mera ipotesi matematica, avesse libero (e per la verità ancora assai modesto) corso nella scienza dei paesi protestanti. Ma Bruno non era un matematico, e non commentava un'ipotesi: già nelle lezioni di Oxford, e poi in modo organico e conseguente nella Cena de le Ceneri, egli avrà dato una lettura «realistica» della descrizione copernicana dei moti celesti, del tutto confliggente così con il geocentrismo scritturale, come con quello aristotelico. Che tale davvero fosse il motivo dello "scandalo" avvertito dai dottori di Oxford, o se le ragioni di quello che sarebbe accaduto di lì a breve al Nolano fossero altre, qualche personaggio autorevole e lungimirante pensò che a quel filosofo italiano non dovesse essere permesso di proseguire il suo corso. Abbot completa il suo racconto rivelando che «un uomo grave, che occupava allora, come tuttora occupa, una posizione eminente in quella università, ebbe l'impressione di aver letto da qualche altra parte quelle stesse cose che il dottore stava esponendoci ...».

Quell'uomo tornò a casa e si ricordò andando a controllare che quelle stesse cose che raccontava Bruno a lezione erano state scritte da Marsilio Ficino nel De vita coelitus comparanda. Era una grave accusa di plagio che costrinse coloro che gestivano quei corsi a chiedere a Bruno che lasciasse le sue lezioni.

 

        Chiuso l'incidente comunque Bruno continuò ad avere rapporti con Elisabetta I che da una parte apprezzava Bruno e dall'altra temeva la sua modernità. Dice Yates che Bruno scrisse in Inghilterra cose che non sarebbero mai state permesse ad un inglese e conclude che ciò doveva derivare dalla sua immunità diplomatica che sarebbe nata da accordi tra Enrico III e la Regina. Ma la studiosa di Bruno non esclude che egli fosse giunto a Londra come omaggio all'Inghilterra di un mago errante, un singolarissimo missionario. Tra l'altro l'ambasciatore inglese a Parigi lo presentava per lettera come gran professore di filosofia ma anche uno con una religione che non posso approvare in alcun modo. Sembra possibile che un uomo, uno studioso italiano come Bruno, fosse in grado di muoversi in giro per l'Europa con tanta autorità e con tanta paura esercitata su chi aveva a che fare con lui, anche se ai massimi livelli del potere ? Inoltre: sembra possibile che lo spostarsi per l'Europa dovesse significare o l'aderire a questa o quella religione o morire di qualche orrore o di qua o di là ? Non ci si rende conto della bestialità che è la religione, qualunque religione ? Ritornerò su ciò sul momento di massima evoluzione della civiltà europea e mondiale che è la Rivoluzione Francese. Ora torno sulle vicende di Bruno accelerando molto per arrivare a trattare le vicende processuali.

        Sempre a Londra, nel 1584 scrisse e pubblicò i dialoghi italiani: La cena delle Ceneri, De la causa principio et uno, De l'infinito universo et mondi, Spaccio de la bestia trionfante. Nel 1585 scrisse e pubblicò: Cabala del cavallo pegaseo, De l'asino cillenico, Gli eroici furori (che vide la luce quando già Bruno aveva lasciato Londra). Ad ottobre accompagnò in Francia l'ambasciatore de la Mauvissière. Durante il tragitto vennero rapinati e Bruno perse vari manoscritti. Giunsero a Parigi nel mezzo di profondi rivolgimenti con assassinii, scomuniche e tentativi di colpi di Stato dietro cui

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vi era la Chiesa di Sisto V. Enrico III si oppose alla politica papale di chiusura completa agli ugonotti ed il Papa iniziò una serie di ritorsioni che arrivarono alla rottura delle relazioni diplomatiche e che spinsero la Francia alla ottava guerra di religione (1585). Questi cambiamenti avevano fatto decadere l'ambasciatore e Bruno non aveva più riferimenti in una situazione in cui Enrico III era diventato un ostaggio in mano ai suoi nemici. In questo frangente, tramite l'ex ambasciatore spagnolo a Londra don Bernardin Mendoza conosciuto in quella città, furono ripresi dei contatti con il nunzio papale in Francia, il vescovo di Bergamo Girolamo Ragazzoni. Bruno avrebbe desiderato che gli fosse tolta la scomunica per apostasia (era una scomunica automatica per ragioni disciplinari) ma non voleva tornare ad essere domenicano. Era un'epoca in cui, soprattutto in Francia, erano concessi dalla Chiesa moltissimi perdoni ma il caso di Bruno era molto meno grave ma diverso da tutti gli altri. Non vi fu nulla da fare: il suo caso poteva essere discusso solo se rientrava tra i domenicani. Anche i tentativi che fece per rientrare a corte non davano esito. Annunciò un'opera che non c'è mai pervenuta, Arbor philosophorum, di lavorare su una sorta di sunto dell'opera di Aristotele (mai pervenuto), di spiegare in modo esaustivo l'opera di Llull. Sostenne accese discussioni al Collegio di Cambrai. Nel 1586, ancora a Parigi, pubblicò: Figuratio Aristotelici physici auditus, Dialogi duo de Fabricii Mordentis Salernitani prope divina adinventione …" (e poiché il Mordente si arrabbiò scrisse) Idiota triumphans e De somnii interpretatione. Alla fine di maggio attaccò duramente Aristotele nei Centum et viginti articuli de Mundo et Natura adversus Peripateticos. La polemica cresceva ed egli dovette andarsene dirigendosi verso la Germania. Prima a Marburgo dove gli negarono la possibilità di insegnare filosofia poiché era dottore in teologia romana. Sentendosi non libero passò a Magonza (12 giorni). Infine, in agosto, a Wittenberg ottenne l'immatricolazione all'Università come "Doctor Italus". Era tornato libero e questo periodo risultò il migliore della sua vita. Tra il 1586 ed il 1588 scrisse: De lampade combinatoria lulliana, De progressu et lampada venatoria logicorum, Lampas triginta  statuarum, Animadversiones circa Lampadem lullianam (queste ultime due solo manoscritte), Camoracensis Acrotismus, Libri Physicorum Aristotelis explanati, Artificium perorandi (pubblicato postumo nel 1612 a nome Alstedt), Oratio valedictoria (congedo dai colleghi ed alunni di Wittenberg). Poiché i calvinisti avevano assunto a Wittenberg il controllo degli affari religiosi Bruno se ne andò a Praga dove, nel 1588, pubblicò: De specierum scrutinio et lampade combinatoria Raymondi Lulli (con dedica all'ambasciatore di Spagna), Articuli centum et sexaginta adversus huius tempestatis mathematicos atque philosophos (dedicato a Rodolfo II). In questo anno si mostrò indignato per la prefazione che A. Osiander aveva fatto all'opera di Copernico. Ad ottobre si recò presso l'Accademia di Helmstädt (Granducato di Brunswick) per declamare un'orazione funebre in onore del Granduca morto e ritenuto eretico: Oratio consolatoria (nell'opera vi è un duro attacco al clero). Restò circa un anno e mezzo ad Helmstädt (tra il 1588 ed il 1590, dove scrisse: De magia et theses de Magia, De magia mathematica, De principis rerum, elementis et causis, Medicina lulliana (alcune di queste opere rimaste manoscritte). Anche qui nacquero problemi religiosi. L'autorità evangelica dello stato lo scomunicò e dovette andarsene (Bruno era stato scomunicato dalla Chiesa cattolica, da quella calvinista e da quella luterana !). Si recò a Francoforte (luglio 1590) per stampare i poemi latini con l'editore Wechel. Nell'inverno si recò a Zurigo dove scrisse Summa terminorum metaphysicorum (pubblicata con il nome di un suo allievo, Raffaele Egli, nel 1595). Nel 1595, a Francoforte, pubblicò: De monade numero et figura, De triplici minimo et mensura, De innumerabilibus, immenso et infigurabili, De imaginum, signorum ed idearum compositione, De vinculis in genere. Fu qui che, probabilmente, si cominciò a convincere di tornare in Italia a seguito del fatto che Clemente VIII aveva dato una cattedra alla Sapienza al filosofo della natura Francesco Patrizi. In agosto accettò l'invito del ricco mercante veneziano Giovanni Mocenigo a recarsi a Venezia (che risultava essere una Repubblica non condizionabile da Roma, anche se già vi era stato il caso Algerio) per essere suo maestro nell'arte della memoria. Inizialmente risiedette a Padova (autunno) dove scrisse Praelectiones geometricae e Ars reformationum  e dette lezioni a dei tedeschi che in cambio lo aiutarono nelle trascrizioni. All'inizio

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dell'inverno si installò a Casa Mocenigo a Venezia dove elaborò gli ultimi scritti che non vedranno mai la luce.

        Nel 1592 Bruno annusò il pericolo ed espresse il desiderio di tornare a Francoforte per rivedere alcune sue opere. Mocenigo si sentì defraudato per non aver appreso nulla, lo sequestrò in casa e lo denunciò al Tribunale veneziano dell'Inquisizione (23 maggio) per aver sostenuto varie eresie. In questo anno anche Galileo si trovava a Padova ma non si sa se vi sia mai stato un incontro tra i due. Bruno subì un processo e sembrava volesse chiedere perdono al Tribunale veneziano in cambio dell'immunità che lo stesso Tribunale sembrava disposta a dare. A luglio il Tribunale dell'Inquisizione di Roma chiese la sua estradizione. Venezia sembrò volesse resistere ma poi cedette sotto i soliti ricatti ed in cambio di benefici concessi alla città da Papa Clemente VIII. Il 27 febbraio del 1593 Bruno entrò nel carcere dell'Inquisizione romana.

 

        Era necessario riassumere (perché di questo si tratta) le tappe degli spostamenti di Bruno per far comprendere i travagli di questo ex frate che fu perseguitato dalle religioni per tutta la vita. Anche la sua immensa opera, dalla quale mancano gli scritti veneziani, quelli della maturità, meriterebbe una discussione che non è qui il caso di dare e per la quale rimando ad altro lavoro. Egli stesso scriverà negli ultimi suoi anni di libertà che quando si mette la tonaca ed il primo bottone è abbottonato male, tutti gli altri non potranno mai andare al loro posto. Nei paragrafi seguenti tenterò di raccontare il Processo a Bruno riprendendo alcune cose di quello veneziano (dai cui documenti ed interrogatori, tra l'altro, provengono molte informazioni sulla vita di Bruno che ho riportato).

 

IL PROCESSO A GIORDANO BRUNO

 

Premessa relativa ai documenti

        Fino al 1592 (processo di Venezia) si ha la documentazione pressocché integrale di tutti gli atti, conservata presso l'Archivio dei Frari. Con l'estradizione a Roma si perde ogni documento certo e completo. I primi documenti vengono alla luce nel breve periodo della Repubblica Romana (1849) quando il bibliofilo Giacomo Manzoni, entrato con un "commando" negli Archivi Segreti vaticani, riuscì a prendere nota di alcuni atti ivi conservati. Queste note passarono a Domenico Berti che risultò il primo biografo moderno di Bruno (1868 - 1889). Altri documenti furono resi noti da Spampanato nel 1924. Finalmente nel 1942 la Curia di Roma fece uscire un Sommario del processo di Giordano Bruno a cura del Cardinale Mercati. In questo Sommario i "verbali" sono numerati. Esso inizia con i "costituti" 9 - 11 che sono le 3 lettere di denuncia di Mocenigo (2 facciate l'una). Non sappiamo cosa vi fosse nelle prime 16 facciate. Prosegue con le "carte" dalla 34 alla 57. Non sappiamo nulla delle 44 facciate mancanti. Inoltre la carta 55 ha solo il titolo: Lista librorum Fratris Iordani e manca l'elenco dei libri e dei manoscritti che gli furono sequestrati a Venezia, le opere della maturità. Si passa quindi alla carta 83. Non sappiamo nulla delle 52 facciate mancanti.

         Siamo al 1593 ed a questo punto del Processo, contro Bruno vi era il solo teste Mocenigo (oltre alle sue opere) e l'intero processo romano era da qualche mese in uno stato di stallo facendo addirittura sperare in una soluzione favorevole per le buone difese ed il pentimento mostrato dell'imputato. Nell'estate del 1593 arrivò all'Inquisitore veneto la denuncia di un ex compagno di

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cella di Bruno (il cappuccino Celestino da Verona), ed ancora in carcere a Venezia, in cui si aggiungevano ai 29 capi di imputazione denunciati da Mocenigo altri 13, 10 dei quali nuovi. Si tratta delle carte 84 - 85r che nel Processo occuparono le carte 85v - 86v. Mancano la 87r, la 87v, la 88r. E da questo punto fino alla carta 295 è uno stillicidio di documenti mancanti. Risultano solo i documenti di testimonianze contro, di violazioni di censure riscontrate sui libri di Bruno, di atti formali (convocazione di Bruno, ritorno in prigione, …) e qualche difesa sui punti più deboli delle accuse che gli venivano mosse.

         È interessante leggere cosa dice il Cardinale Mercati sulle vicende dei documenti processuali riguardanti Bruno:

-  già nel 1849, secondo il Cardinale, non vi erano negli Archivi Segreti altri documenti sul processo altrimenti "gli astiosissimi ed ignoranti anticlericali li avrebbero trovati";

-   i documenti si persero tra il 1815 ed il 1817 quando da Parigi, dove li aveva trasferiti Napoleone nel 1810, si stavano riportando a Roma;

-   Marino Marini, all'epoca prefetto degli Archivi, ritenne inutili tutti i documenti dei processi del Santo Uffizio e ne autorizzò la distruzione, previa autorizzazione del Cardinale Consalvi che, in quel momento era "distratto". I resti di quella carta furono venduti a Parigi ad una fabbrica di cartoni per 4300 franchi;

-   "fortunatamente è stato testè (1940) rinvenuto una specie di sommario di tutto il processo";

-   Marini ebbe a dire, quando si concluse la Repubblica Romana, "gli Archivi conservano attualmente il loro stato d'integrità che vantavano prima di queste luttuose vicende". È interessante notare che nessun cenno fa il Marini ai traslochi napoleonici.

         A tutt'oggi, anno 2010, i documenti di questo e di altri processi dell'Inquisizione, insieme al cumulo di materiale manoscritto sequestrato, giace in quegli Archivi Segreti senza alcuna possibilità per gli storici di poterli consultare. Vi è anche un'aggravante: come nei peggiori servizi segreti del mondo di tanto in tanto viene fatto filtrare qualche documento che in date circostanze serve a sostenere una qualche tesi utile al Vaticano (si vedano i documenti usciti e fatti avere a Pietro Redondi, che ci scrisse un libro, Galileo Eretico, Einaudi 1983, secondo i quali la condanna di Galileo non fu per le sue posizioni copernicane ma per questioni teologiche).

Cronologia delle fasi processuali di Bruno (tratta da Ciliberto)

1592

23 maggio Il Mocenigo presenta agli Inquisitori veneti una denuncia per eresia contro Bruno(3), che viene arrestato la sera stessa e condotto nelle carceri di S. Domenico di Castello. Nei giorni seguenti viene interrogato.

26 maggio-23 giugno Nel corso dei costituti veneti, Bruno sviluppa la linea difensiva, mantenuta per tutto il corso del processo, osservando che, nelle proprie opere, ha sempre «diffinito filosoficamente e secondo il principio e lume naturale, non avendo riguardo principale a quello che secondo la fede deve essere tenuto (...)».

30 luglio Bruno si dichiara pentito, e, in ginocchio, chiede perdono al tribunale e a Dio (ultimo costituto veneto). Subito dopo gli Inquisitori veneti inviano copia integrale del processo a Giulio

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Santoro, cardinale di S. Severina e inquisitore supremo in Roma (da un documento, pubblicato nel 1959, risulta che, ancor prima dell'ultimo costituto, l'Inquisizione di Roma si era interessata del processo, allo scopo di ottenere il trasferimento di Bruno a Roma).

12 settembre Il cardinale di S. Severina chiede formalmente al tribunale veneto l'avocazione della causa al tribunale centrale.

17 settembre I giudici, accettando la richiesta di Roma, inoltrano la pratica alle autorità veneziane.

Ottobre-dicembre In questi mesi vengono condotte lunghe e laboriose trattative tra gli inquisitori romani - che, anche tramite il nunzio apostolico Ludovico Taverna, insistono affinché l'imputato sia trasferito a Roma - e le autorità venete, tendenzialmente sfavorevoli a tali richieste.

1593

9 gennaio All'ambasciatore veneziano a Roma, Paolo Paruta, viene comunicato il parere favorevole del Senato al trasferimento di Bruno.

19 febbraio-27 febbraio Esce dal carcere veneziano e viene condotto a Roma, nelle carceri del S. Uffizio. Per alcuni mesi il processo rimane in sospeso.

Estate Vengono presentati contro l'imputato nuovi e più gravi capi d'accusa, che emergono dalle deposizioni di fra' Celestino da Verona, suo compagno nel carcere veneziano.

Fine 1593 Dopo l'esame delle deposizioni di fra' Celestino e di altri carcerati veneziani, gli inquisitori procedono ad interrogare Bruno, che mantiene la linea difensiva adottata a Venezia.

1594

Gennaio-marzo A Venezia, vengono nuovamente interrogati i testimoni a carico dell'imputato, la cui posizione risulta notevolmente compromessa.

Maggio Tra il maggio del 1594 e gli inizi dell'anno successivo, vengono rinchiusi nello stesso carcere romano del S. Uffizio Tommaso Campanella, Francesco Pucci, Cola Antonio Stigliola. «Ciò aiuta a spiegare l'apparente disinteresse degli inquisitori per la causa bruniana in quel periodo ed oltre» (Aquilecchia).

20 dicembre Presenta un memoriale difensivo, che non ci è pervenuto.

1596

18 settembre La Congregazione del S. Offizio stabilisce che una commissione di teologi esamini le opere bruniane per individuare le proposizioni eretiche, che dovranno essere allegate al processo.

16 dicembre Si dispone che l'imputato sia al più presto interrogato riguardo alle proposizioni censurate.

1597

24 marzo Viene esortato ad abbandonare la sua teoria relativa alla pluralità dei mondi. Si stabilisce, inoltre, che l'imputato sia interrogato «stricte», probabilmente con applicazione della tortura. Nel

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corso dell'anno, Bruno risponde, forse oralmente, alle censure. [In quest'anno viene nominato Consultore del Sant'Uffizio il gesuita Roberto Bellarmino].

1598

13 aprile-19 dicembre La causa è sospesa per l'assenza da Roma di Clemente VIII.

1599

12 gennaio Su istanza del cardinale Roberto Bellarmino [dal 3 marzo], vengono sottoposte a Bruno otto proposizioni eretiche da abiurare.

15 febbraio Si dichiara disposto all'abiura incondizionata (20° costituto).

18 febbraio Consegna alla Congregazione un altro suo memoriale.

5 aprile Presenta una nuova scrittura autografa, in cui, pur dichiarandosi disposto a riconoscere i propri errori, manifesta qualche esitazione riguardo alla prima e alla settima delle proposizioni da abiurare.

9 settembre Nel corso della seduta conclusiva del tribunale, i sei consultori, ritenendo accertate colpe specifiche di Bruno, si dichiarano favorevoli all'applicazione della tortura, in assenza della prova giuridica della sua colpevolezza. Clemente VIII non concede la sua approvazione e stabilisce che sia intimata all'imputato l'abiura degli errori non contestabili.

10 settembre Nel 21° costituto, conferma di essere pronto ad abiurare.

16 settembre Viene letto un suo memoriale, indirizzato al papa, in cui sono rimesse in discussione le proposizioni censurate.

21 dicembre Nell'ultimo costituto - è il 22° - Bruno dichiara di non essere disposto a ritrattare perché non ha di che pentirsi. 

I capi d'imputazioni noti

        Come ho detto Mocenigo fu il primo a denunciare Bruno e dalle accuse di Mocenigo vennero fuori vari capi d'imputazione. Altri testimoni, successivamente, aggiunsero altre denunce dalle quali si ricavarono ulteriori capi d'imputazione. In definitiva i capi d'imputazione noti sono:

1 - nega la transustanziazione del pane in Carne ed il valore della Messa.

2 - nega la Trinità aderendo al subordinazionismo di Ario.

3 - nega la verginità di Maria.

4 - nega la divinità di Cristo.

5 - nega il culto dei santi.

6 - afferma che Cristo peccò quando, pregando nell'orto, rifiutava la volontà del Padre.

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7 - afferma che Cristo non fu crocifisso ma impiccato.

8 - nega l'inferno e le pene eterne poiché tutti si salveranno.

9 - afferma che Caino fece bene ad uccidere Abele in quanto carnefice di animali.

10 - nega i profeti che sono solo degli astuti profittatori.

11 - afferma che Mosè era un mago più bravo di quelli del faraone e che finse il Sinai e che le tavole della legge le costruì lui.

12 - nega i dogmi della Chiesa.

13 - afferma di essere un bestemmiatore blasfemo.

14 - afferma che se sarà costretto a tornare frate manderà all'aria il monastero.

15 - afferma di avere opinioni avverse alla Santa Fede ed ai suoi ministri.

16 - afferma di credere nella trasmigrazione delle anime.

17 - afferma di occuparsi di arte divinatoria e magica.

18 - afferma di indulgere al peccato della carne.

19 - ha soggiornato in Paesi eretici vivendo alla loro guisa.

20 - ha parlato con spregio del Breviario.

21 - afferma disprezzo per le reliquie.

22 - afferma la stupidità del culto delle immagini.

23 - nega l'adorazione dei Magi.

24 - ha irriso il Papa.

25 - afferma l'esistenza di più mondi e la loro eternità ed è un convinto copernicano.

26 - nega l'incarnazione.

27 - afferma che l'uomo si genera dalla decomposizione organica.

28 - nega l'utilità della penitenza.

29 - afferma che Dio ha tanto bisogno del mondo quanto il mondo di Dio.

A questi capi di imputazione occorre aggiungere svariate censure a brani tratti dalle sue opere. Tra queste censure quella che più bruciava venne letta a Bruno nel settembre del 1599 e riguardava la sua opera Spaccio delle bestia trionfante interamente dedicata alle vergogne della Chiesa e del

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Papa. Per togliere i mali dal mondo occorre espellere da esso la "bestia trionfante" e la sua "santa asinità" (la Chiesa ed il Papa).

I testimoni

        Fino al 1593 vi era la sola denuncia di Mocenigo all'Inquisizione di Venezia. Mocenigo era un arricchito profondamente ignorante che sperava nel fatto che Bruno facesse il miracolo di istruirlo. Inoltre egli voleva essere edotto sulle arti magiche e più volte Bruno gli disse che lui si occupava di "magie lecite" (quella divina, quella naturale e quella matematica) e non di "magie illecite" (quella nera).

        Seguì poi la testimonianza di vari eretici (definiti dalla stessa Inquisizione "scomunicati ed infami, criminosi ed eretici") ex compagni di cella di Bruno a Venezia. A questi testi era stata promessa, poi non mantenuta, la salvezza dal rogo o dal carcere a vita. Li ricordo:

-  Fra Celestino da Verona (aggiunse a quelli di Mocenigo 10 capi d'imputazione mentre tre erano già stati formulati dallo stesso Mocenigo) fu giustiziato con il rogo a Roma il 16 settembre 1599, meno di tre mesi dopo la sua testimonianza e cinque mesi prima del rogo di Bruno (4)

-    Fra Giulio da Salò, frate carmelitano

-    il falegname Francesco Vaia

-    un tal Matteo de Silvestris di Orio ( aggiunse 1 capo d'imputazione)

-   un tal Francesco Graziano insegnante di Udine ( aggiunse 1 capo d'imputazione, la riprovazione del culto delle immagini e delle reliquie: «Non haveva alcuna divotione alle reliquie de' santi, perché si poteva pigliare un braccio di un impiccato fingendo che fosse di santo Hermaiora, e che se le reliquie, che buttò per il fiume e per il mare il re d'Inghilterra fossero state vere havriano fatto miracoli, et in questo proposito ragionava burlando»).

      Dal Sommario mancano le pagine delle eventuali testimonianze degli altri compagni di cella: Fra Silvio da Chioggia, Fra Serafino d' Acquasparta, Francesco Ieronimioni.

      Secondo Firpo lo stesso Sommario rappresenta un fase arretrata del processo. Sono le censure che nascono dalla lettura delle sue opere quelle che debbono aver avuto più grande importanza nella sua condanna (questo risulta da un importante documento del 9/9/1599). Questo aspetto non viene discusso nel Sommario e fu proprio su queste censure che Bruno si mostrò inflessibile contrariamente a quanto aveva mostrato riguardo alle questioni di fede.

      La questione copernicana, come discuterò più oltre, doveva essere questione di rilievo e nel Sommario non vi è traccia di essa. Una maliziosa interpretazione potrebbe essere quella che il Cardinale Mercati abbia voluto sbarazzarsi nel 1941 di una imbarazzante continuità tra Copernico, Bruno e Galileo.

La condanna ed il rogo 

       Bruno, isolato in carcere, il 20 dicembre 1594 presenta un memoriale a propria discolpa. Intanto viene sottoposto a continue torture. Nel 1596 vengono proibite tutte le sue opere. Nel 1599 stette sul punto di cedere ma poi dichiarò di non avere di che pentirsi e sfidò ad una discussione qualsiasi filosofo scolastico.

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       Il 20 gennaio 1600, nell'anno di Giubileo eccezionale con Roma piena di pellegrini ansiosi di vedere lo spettacolo, il Papa Clemente VIII decise di consegnare Bruno al braccio secolare. L'8 febbraio, nel palazzo del Cardinale Madruzzi lo si degradò da sacerdote (!) e gli si comunicò la condanna. Essa venne anche affissa per le strade di Roma: 

DI ROMA, LI 12 FEBBRAIO 1600 SABBATO

Avviso di Roma

    Hoggi credevamo vedere una solennissima giustitia, et non si sa perché si sia restata, et era di un domenichino di Nola, heretico ostinatissimo, che mercoledì, in casa del cardinale Madrucci sententiarono come auttor di diverse enormi opinioni, nelle quali restò ostinatissimo, et ci sta tuttora, non ostante che ogni giorno vadano teologhi da lui. Questi frati dicono sia stato due anni in Genevra; poi passò a legere nello Studio di Tolosa, et poi in Lione, et di là in Inghilterra, dove dicono non piacessono punto le sue opinioni; et però se ne passò in Norimbergh, et di là venendosene in Italia, fu acchiappato; et dicono in Germania habbia più volte disputato col cardinal Belarmino. Et in somma il meschio, s'iddio non l'aiuta, vuol morir ostinato et essere abbruggiato vivo.

        Mentre questa condanna veniva pronunciata Bruno disse avete più paura voi ad emanare questa sentenza che non io nel riceverla. Il giovedì 17 febbraio  nel Carcere di Tor di Nona gli viene conficcato un chiodo ricurvo nella lingua collegato ad una striscia di cuoio perché non possa più parlare (la mordacchia); poi fu condotto in Campo de' Fiori. Quivi spogliato e legato fu bruciato vivo. Un fanatico del tempo, l'ex riformato Kaspar Schopp, collaboratore di Bellarmino, racconta: condotto al rogo, quando gli fu mostrata l'immagine del crocifisso, torvamente la respinse.  

        Dal Giornale dell'Arciconfraternita di San Giovanni Decollato in Roma (Roma 16-17 febbraio 1600) si leggono queste parole:

    "Giovedi a dì 16 detto. A hore 2 di notte fu intimato alla Compagnia che la mattina si dove far giustizia di un impenitente; et però alle 6 hore di notte radunati i confortatori e capellano in Sant'Orsola, et andati alla carcere di Torre di Nona, entrati nella nostra cappella e fatte le solite orazioni, ci fu consegnato l'infrascritto a morte condennato, cioè: Giordano del quodam Giovanni Bruni frate apostata da Nola di Regno, eretico impenitente. Il quale esortato da' nostri fratelli con ogni carità, e fatti chiamare due Padri di San Domenico, due del Giesù, due della Chiesa Nuova e uno di San Girolamo, i quali con molto affetto et con molta dottrina mostrandoli l'error suo, finalmente stette sempre nella sua maladetta ostinatione, aggirandosi il cervello e l'intelletto con mille errori e vanità. E tanto perseverò nella sua ostinatione, che da' ministri di giustitia fu condotto in Campo di Fiori, e quivi spogliato nudo e legato a un palo fu brusciato vivo, acompagniato sempre dalla nostrra Compagnia cantando le letanie, e li confortatori sino a l'ultimo punto confortandolo a lasciar la sua ostinatione, con la quale finalmente finì la sua misera et infelice vita".

        Tutte le opere di Bruno edite e sequestrate furono distrutte e bruciate in un gran falò in piazza San Pietro. A parte una ristampa dei Poemi latini (1614), le sue opere iniziarono ad essere ristampate e tradotte a partire dalla fine del '700. In Italia alla fine del 1800 le latine ed agli inizi del 1900 le italiane (a cura di Giovanni Gentile).

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Giordano Bruno

        Non posso terminare con il Processo a Giordano Bruno senza aggiungere alcune brevissime considerazioni. C'è chi sostiene che il processo è stato giusto secondo le leggi. Sarà probabilmente così ma non credo che i processi fascisti o nazisti non fossero giusti. Il problema è capire a quale giustizia uno si riferisce. Ed a noi ce lo spiega il cardinale Mercati, quello che  ha messo insieme ciò che serviva di farci conoscere dagli Archivi Vaticani. Diceva il cardinale che basti riconoscere alla Chiesa facoltà di legiferare nel suo campo con sanzioni [...] che rispondono alle concezioni ed agli usi dei tempi. Certamente, e chi lo impedisce ? Si sta dicendo che relativamente a quel tempo le cose andavano così. Sarà d'accordo Benedetto XVI, perché qui si fa del becero relativismo ? Oppure il relativismo è una pietra da scagliare agli altri ed utilizzarla a proprio uso e consumo ? Come la difesa della vita. Come ? Quando ? Perché ? ... qui il problema è essere relativisti per scaricarsi la coscienza e tentare da qualche parte di dire che l'Inquisizione era una bestialità che colpiva ammazzando per meri reati di pensiero. Ma la Chiesa non ha mai condannato quell'infinito crimine che ha realizzato per secoli e secoli. Ci ha fatto il piacere di FARE FINTA di riabilitare (sic!) Galileo. E basta.

 

TOMMASO CAMPANELLA

 

        Giovanni Domenico Campanella nacque nel 1568 in un paesino della Calabria, Stilo, da famiglia molto povera ed analfabeta. Per i miserabili l'unico modo di studiare ed uscire dalla miseria era andare in convento e fu così che Giovanni Domenico, a 13 anni, entrò nel convento

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domenicano di Placanica per poter studiare. A 15 anni divenne novizio assumendo il nome di Tommaso, continuò gli studi prima a Nicastro quindi, nel 1588, a Cosenza dove iniziò a studiare Teologia. Purtroppo per lui si imbatte qui nel De rerum natura iuxta propria principia di Bernardino Telesio, il filosofo della natura, il primo dei moderni pensatori rinascimentali. Tommaso scoprì un mondo impensabile, del tutto differente da quello descritto dall'imperante Aristotele come raccontato da Tommaso d'Aquino. Il mondo fisico può essere descritto in modo naturalistico, è possibile studiarlo in modo libero e razionale, toccando e pensando, senza ottusi sillogismi che sono pura metafisica. Proprio in quel 1588 Telesio moriva a Cosenza e Campanella rese omaggio a quella grande persona con un carme latino che appese alla sua bara. Ma i domenicani erano delle carogne che non smettevano mai di osservarti ed in quella occasione punirono il giovane Tommaso per quella sua azione nei riguardi di uno che snobbava Tommaso d'Aquino. Fu mandato in isolamento nel piccolo monastero di Altomonte perché meditasse sulle sue male azioni (sic!). Purtroppo, questa volta per i domenicani, anche lì Tommaso trovò libri da leggere tra cui opere di Marsilio Ficino. Nella sua opera del 1632 Syntagma de libris propriis et recta ratione studendi Campanella scrisse di sé che «essendo inquieto, perché mi sembrava una verità non sincera, o piuttosto falsità in luogo della verità rimanere nel Peripato, esaminai tutti i commentatori d'Aristotele, i greci, i latini e gli arabi; e cominciai a dubitare ancor più dei loro dogmi, e perciò volli indagare se le cose ch'essi dicevano fossero nella natura, che io avevo imparato dalle dottrine dei sapienti essere il vero codice di Dio. E poiché i miei maestri non potevano rispondere alle miei obiezioni contro i loro insegnamenti, decisi di leggere da me tutti i libri di Platone, di Plinio. di Galeno, degli stoici, dei seguaci di Democrito e principalmente i Telesiani, e metterli a confronto con il primo codice del mondo per sapere, attraverso l'originale e autografo, quanto le copie contenessero di vero o di falso». Questa sua autonoma formazione gli servì per scrivere, in sei mesi, il suo primo lavoro di ispirazione telesiana con un sottofondo ficiniano e platonico, la Philosophia sensibus demonstrata, nel quale parlò del modo di conoscere la natura come in Telesio attraverso i sensi e non attraverso  libri ma con la correzione ficiniana secondo cui l'ordine della natura è di derivazione divina «chi regola la natura è quel glorioso Iddio, sapientissimo artefice, che ha provveduto in modo da non reprimere le forze della natura, nella quale tuttavia agisce con misura». Ma Tommaso era isolato in un convento e quel libro l'avrebbe letto solo qualche suo confratello. Decise di andare via, a Napoli, per farlo conoscere. Se ne andò senza chiedere permesso anche se non abbandonò gli abiti ed a Napoli, vivendo fuori da conventi ed ospite di un suo ex discepolo, Mario Del Tufo marchese di Ravello, pubblicò il suo libro (1591), conobbe la più varia umanità (anche ricchi e scienziati), frequentò il circolo di Giambattista della Porta in cui si discutevano e studiavano questioni magiche ed alchemiche. In questi due intensi anni scrisse varie opere, molte delle quali andate perdute, tra le quali due ce ne ricorda lo stesso Campanella, « l'una del senso, l'altra della investigazione delle cose. A scrivere il libro De sensu rerum mi spinse una disputa avuta prima in pubblico, poi in privato con Giovanni Battista della Porta, lo stesso che scrisse la Fisiognomica, il quale sosteneva che della simpatia e dell'antipatia non si può rendere ragione; disputa con lui avuta appunto quando esaminavamo insieme il suo libro già stampato. Scrissi poi il De investigatione rerum [libro andato perduto, ndr],  perché mi pareva che i peripatetici ed i platonici portassero i giovani per una via larga ma non diritta alla ricerca della verità».

        Intanto la pubblicazione del primo libro era arrivata ai superiori domenicani del suo convento in Calabria. Tutto era nella completa ortodossia anche se si metteva in  discussione la scolastica e quindi il tomismo. In questi frangenti vi sono sempre i più bravi, che sono poi i più sciocchi. Vi fu infatti chi individuò nel lavoro una sua frase irriguardosa verso le scomuniche e lo attaccò ben sapendo che ormai Campanella era persona coltissima. Doveva esservi un qualche trucco. E qual era ? Beh, certamente il povero Campanella doveva avere un piccolo diavolo che lo assisteva suggerendogli ogni volta la giusta risposta a d ogni quesito e questo diavolo custode era alloggiato sotto l'unghia di un dito mignolo. Bastarono queste sciocchezze per farlo arrestare e processare con

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l'accusa di pratiche demoniache. La domanda alla quale doveva rispondere era principalmente la seguente: «Come sa di lettere costui se non le ha studiate ?». E Campanella che già conosceva bene l'uso della lingua, oltre agli scritti di San Girolamo che aveva usato analoga espressione, rispose: «Io ho consumato più d'olio che voi di vino». Con chiaro riferimento all'olio da lucerna per gli incessanti studi notturni. Nell'agosto del 1592 fu comunque riconosciuto non colpevole e poiché aveva già fatto un anno di carcere fu condannato a dire preghiere ed ebbe l'ordine di tornarsene al convento.

        Ma ormai Campanella aveva conosciuto un mondo tutto differente da quello nel quale aveva trascorso la sua gioventù e non aveva alcuna intenzione di ritornare in quella caverna. Non ubbidì all'ordine ed il 2 ottobre fuggì verso Roma e Firenze. Aveva una raccomandazione del padre provinciale di Calabria, fra Giovanni Battista da Polistena, per il Granduca di Toscana che parlava di lui come di persona sapientissima (mostro di natura) nonostante avesse solo 24 anni. Sperava di ottenere un posto di docente allo Studio di Pisa o Siena. In Toscana venne ricevuto ma non ottenne nulla perché il Granduca si consigliò con il Cardinale Del Monte che dette parere negativo perché l'inquisitore fra Vincenzo da Montesanto gli aveva riferito che del Campanella «si rivedono molti libri pieni [...] di leggerezza e vanitade, e [...] ancora non sono chiari se vi sia cosa che appartenghi alla religione». Campanella se ne andò da Firenze diretto a Padova passando per Bologna ma l'Inquisizione lo fece seguire da due frati che, ad un certo punto, lo assalirono per derubarlo dei suoi scritti al fine di andare a trovare eresie. Campanella riscrisse tutto ampliando ed arricchendo. A Padova, ospite del convento di Sant'Agostino(5), si iscrisse a medicina come se fosse uno studente spagnolo. Studiò a fondo da poverissimo che si sostentava come poteva dando lezioni private. In questa situazione disperata scrisse vari lavori: Fisica, Retorica, Del governo ecclesiastico. Fatto notevole è che, a Padova nel 1592, Campanella conobbe il giovane professore Galileo con il quale restò amico per tutta la vita. Ma l'anche lui giovane Campanella era ormai sotto l'occhio dell'Inquisizione che non perdonava. Nel 1593 fu accusato di aver avuto una disputa scolastica con un ebreo prima convertito al cattolicesimo e poi riconvertito all'ebraismo (sembra si tratti di un certo Ottavio Longo da Barletta, anch'egli arrestato a Padova, insieme all'altro giudaizzante Giovanni Battista Clario di Udine). Avrebbe dovuto denunciare la cosa all'Inquisizione e non lo fece. Quindi era colpevole e per tale reato sul finire del 1593 fu arrestato e messo nelle carceri del Sant'Uffizio. Le accuse furono una sfilza così riassunte:

aver scritto l'opuscolo De tribus impostoribus - Mosè, Gesù e Maometto - diretto contro le tre religioni monoteiste, libro a noi sconosciuto che sarebbe stato scritto ben prima della nascita di Campanella;

sostenere le opinioni atee di Democrito, evidentemente un'accusa tratta dall'esame del suo scritto De sensu rerum et magia, rubatogli a Bologna;

essere oppositore della dottrina e dell'istituzione della Chiesa; essere eretico; aver disputato su questioni di fede con un giudaizzante, forse condividendone le tesi,

e di non averlo comunque denunciato; aver scritto un sonetto contro Cristo, il cui autore sarebbe stato però, secondo

Campanella, Pietro Aretino; possedere un libro di geomanzia [un'arte divinatoria, ndr], che in effetti gli fu

sequestrato al momento dell'arresto.

        Il primo blocco di accuse era costituito dalle ultime tre per le quali poteva essere processato a Padova. Ma durante il processo e dopo la tortura dei due giudaizzanti le accuse si ampliarono all'intero blocco per cui il processo doveva svolgersi a Roma, dove sul finire del 1594 fu condotto Campanella nelle carceri dell'Inquisizione. Per difendersi, già nelle prigioni padovane e poi in quelle romane, Campanella scrisse varie cose: De monarchia Christianorum (opera perduta), De

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regimine ecclesiae, Dialogum contra haereticos nostri temporis et cuisque saeculi (in cui si difese dall'accusa di avere a che fare con i riformatori) e Defensio Telesianorum ad Sanctum Officium (in cui assunse le difese di Telesio). Nel 1595 Campanella fu sottoposto a tortura con la quale i preti ottennero la sua abiura (16 maggio) che avvenne nello stesso luogo dove la farà Galileo, in Santa Maria sopra Minerva, presso il convento domenicano. La condanna fu quella di chiudersi nel convento di Santa Sabina all'Aventino (Roma). Lì Campanella scrisse ancora infaticabilmente e, tra varie opere, scrisse anche il Dialogo politico contro Luterani, Calvinisti e altri eretici, con la speranza di essere riabilitato dal suo stato di pregiudicato (lapsus). Un episodio però, accaduto a Napoli nel 1597, gli creò altri gravi problemi. Abbiamo visto con Bruno il ruolo degli infami che cercavano grazia per sé denunciando gli altri e tale pratica era molto estesa. Un delinquente comune calabrese stava per essere giustiziato quando per ottenere una qualche clemenza fece il nome di Campanella con accuse di eresia a lato. Di nuovo il nostro venne arrestato, buttato in prigione per circa un anno, tempo necessario per un nuovo processo, alla fine del quale (dicembre 1597) risultò innocente ma, con una nuova punizione, doveva tornare senza obiezione alcuna nel suo convento in Calabria. Questa volta partì dirigendosi verso il suo convento. Strada facendo si fermò per un certo tempo a Napoli (dove scrisse altri lavori) finché nell'estate del 1598 si avviò verso la sua terra dove approdò a Stilo nel convento di Santa Maria di Gesù.

        La sua terra, oltre alle continue incursioni dei Turchi, la ritrovò sempre più disastrata e abbandonata. Scriveva nel 1921 Dentice D'Accadia nella sua vita di Campanella che i soprusi dei nobili, la depravazione del clero, le violenze d'ogni specie [...] la Santa Sede [...] sanciva i soprusi e proteggeva i prepotenti. Il clero minore, corrottissimo nei costumi, abusava ogni giorno più delle immunità ecclesiastiche, e profanava in ogni modo il suo ufficio. Fazioni avverse contendevano talvolta aspramente tra loro, e non poche lotte erano coronate da omicidi e delitti d'ogni specie. Gruppi di frati si davano alla campagna, e, forniti di comitive armate, agivano come banditi, senza che il governo riuscisse a colpirli [...] I nobili e le famiglie private, dilaniate da inimicizie ereditarie, tenevano agitato il paese con combattimenti incessanti tra fazioni [...] l'estrema severità delle leggi, che comminavano la pena di morte per moltissimi delitti anche minimi [...] la frequenza delle liti e delle contese, aumentavano in maniera preoccupante il numero dei banditi. Fu così che Campanella dal 1599 diventò un politico che, aiutandosi con le inondazioni che vi erano sia del Po che del Tevere e con il passaggio di una cometa che annunciavano per il nuovo secolo grandi disastri e cambiamenti in vista, con successivi incontri clandestini di frati e laici (anche con l'appoggio dei Turchi), mise in piedi una congiura contro il napoletano Viceregno di Spagna. L'idea era di costituire la Repubblica comunitaria e teocratica di Calabria alla cui testa sarebbe stato lui medesimo. Due dei pretesi congiurati denunciarono il tutto all'avvocato fiscale spagnolo Luigi Xavara che lo fece immediatamente arrestare (6 settembre) ed avviare, con altri 156 congiurati, in galere verso Napoli (8 novembre). All'arrivo molti dei congiurati furono immediatamente giustiziati in modo atroce per dare un clamoroso esempio. Campanella fu gettato nel carcere di Castel Nuovo e non fu subito giustiziato perché si volevano da lui tutti i nomi dei congiurati. Fu interrogato il 18 gennaio ma negò tutto e non dette alcuna informazione. Si passò alla tortura (7 febbraio 1600) con successiva chiusura nella fossa del coccodrillo(6). Sembrava completamente senza scampo quando decise di farsi passare per pazzo. Iniziò il 2 aprile quando si fece trovare vaneggiante sul pagliericcio, inscenando eccellenti simulazioni di pazzia che trassero in inganno i pur sospettosissimi giudici(7). Nel frattempo anche l'Inquisizione riprese in mano il destino del povero Campanella ed il 19 aprile il Papa Clemente VIII, tramite il Cardinale Bellarmino consultore del Sant'Uffizio, nominò due suoi giudici (il nunzio Jacopo Aldobrandini e l'abate Alberto Tragagliola che alla sua morte nel 1601 verrà sostituito dal vescovo di Caserta, Benedetto Mandina) per un nuovo processo per eresia contro di lui. Tale processo si sarebbe dovuto celebrare a Roma, ma la cosa risultò impossibile senza l'estradizione che la Spagna non concedeva. La giustizia civile però proseguiva, con una nuova sessione di tortura il 18 maggio, ma Campanella non si tradì e continuò

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a dare da matto portando avanti per circa un anno questa sua recita. Scrive Firpo un seguito allucinante della storia:

Tra il 4 e 5 giugno(8) si venne alla prova legale risolutiva, il cosi detto tormento enorme della «veglia». In luogo della rituale mezz'ora, l'imputato doveva restare appeso alla fune con le braccia slogate per ben 40 ore e, quando per il dolore atroce cadeva in deliquio, lo si calava a sedere su un legno tagliente che gli segava la carne delle cosce. Il verbale di quel supplizio, nel suo rozzo dettato cancelleresco misto di latino curiale, d'italiano e di termini dialettali calabresi, non si rilegge senza emozione profonda. Alla prima esortazione a confessare la propria finzione, Campanella rispose con follia poetica: «Dieci cavalli bianchi», ma dopo lunghissimo strazio, quando i giudici irridono i suoi lamenti per le atroci sofferenze fisiche e lo esortano a trascurare il corpo ormai perduto e a darsi pensiero invece della salvezza dell'anima, egli risponde con un guizzo di lucida fierezza: «L'anima è immortale». Cosi di ora in ora, nell'alternanza di vaneggiamenti simulati e di consapevolezza agghiacciante, assistiamo a quella lotta di un uomo solo e inerme contro la potenza terrena, il dolore cocente, la fine di ogni speranza. Un lungo giorno, una lunga notte: poi le trombe che suonano la sveglia sulla tolda delle galere ancorate nel porto, le candele che si spengono, il brivido freddo dell' alba che irrompe dalle finestre, e ancora un lungo giorno di sevizie su quel corpo ormai inerte, che più non risponde agli stimoli della sofferenza. Alla fine, gli stessi giudici, sfibrati, ordinano che venga deposto dal tormento e ricondotto alla sua cella. L'aguzzino, divenuto un po' ortopedico per lunga pratica, gli riduce le slogature, lo porta al tavolo del notaio, gli regge la mano inerte per firmare con segno di croce l'atto formale che lo qualifica giuridicamente pazzo. Poi se lo reca in collo per riportarlo su chissà quale sordido giaciglio: ma appena oltre la soglia l'indomabile ha come un sussulto e pronuncia - finalmente intoccabile, e perciò rinsavito - una frase triviale e proterva: «Si pensavano che io era coglione, che voleva parlare?». Due anni dopo, proprio nella chiusa della Città del Sole, per smentire il determinismo degli influssi astrologici scriverà: «Se in quarant'ore di tormento un uomo non si lascia dire quel che si risolve tacere, manco le stelle, che inchinano con modi lontani, ponno sforzare». Dal supplizio Campanella usci dissanguato e ferito al punto da restare poi per sei mesi tra la vita e la morte, ma invitto. A quel prezzo, riconosciuto legalmente pazzo, scampò al patibolo e venne poi, senza condanna conclusiva, dimenticato, per tacito accordo dei tribunali competenti, nelle segrete dei Castelli napoletani, sotto sorveglianza strettissima e senza speranza di proscioglimento. Da quel momento la lotta per la vita - per salvare, con la vita, il prorompente messaggio di cui si sentiva portatore - si tramuta in una altrettanto ostinata lotta per la libertà.

A Roma si visionarono gli atti del processo e si decise (13 novembre 1602) di dimenticarlo a vita in un carcere, poi divenuto quello di Castel Sant'Elmo (dove resterà dal 1604 al 1608). Proprio nel 1602 Campanella scrisse la sua opera più famosa, La città del sole, in cui sognava la nascita di una felice e pacifica repubblica universale fondata e condotta su principi di giustizia naturale

        In carcere Campanella scrisse senza sosta una quantità importante di lavori. Invierà (1606) varie suppliche al Papa perché lo grazi o almeno lo faccia trasferire a Roma. Nel 1607 iniziò una corrispondenza con quell'ex riformato di Schopp che abbiamo incontrato parlando della fine di Bruno. Schopp si recò a Napoli ma non gli fu permesso di vedere il prigioniero. Comunque Schopp sarà il corrispondente a cui inviare le sue opere. Nel 1608 lo trasferirono al carcere di Castel dell'Uovo, un poco meno duro di quello dove si trovava. A partire dal 1611, quando seppe della pubblicazione del Sidereus Nuncius di Galileo, iniziò a scrivergli con grande entusiasmo e continuità. La cosa si ripeté nel 1616 quando scrisse un coraggiosissimo libro, l'Apologia per Galileo, in difesa dello scienziato pisano che era attaccato per la prima volta dall'Inquisizione. Nel maggio del 1618 tornò in Castel Nuovo che era stato il carcere migliore nel quale aveva soggiornato.

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Tommaso Campanella

        Arriviamo al 23 maggio del 1626, dopo 27 anni di galera durissima, quando Campanella ormai dimenticato venne rimesso in libertà dopo una petizione dei domenicani calabresi presentata al Re Filippo IV di Spagna da  Maffeo Barberini che, prima di diventare Papa Urbano VIII, era arcivescovo dell'arcidiocesi di Nazareth che aveva una sede a Barletta in Puglia. Questa liberazione fece riprendere le speranze alla Chiesa di avere Campanella a Roma per fargli il processo per eresia. Temendo ancora una risposta negativa all'estradizione il Vaticano, ordinò al nunzio pontificio di Napoli che con destro modo, ma nella più cauta e sicura maniera che sia possibile, il frate Campanella fosse portato a Roma. L'ordine venne eseuito con un rapimento di Campanella. Egli fu preso da prezzolati dalla Chiesa e, in abito mentito, incatenato e sotto il falso nome di Don Giuseppe Pizzuto, a bordo di un silenzioso veliero, lasciò il porto di Napoli per Roma. A Roma venne rinchiuso nel carcere dell’Inquisizione, in attesa del processo, che fu celebrato nel 1629. Altre tre anni di galera anche se molto più blanda. Il processo portò un definitivo proscioglimento da ogni accusa (11 gennaio 1629) ed il 6 aprile varie sue opere furono tolte dall'Indice. Occorre dire che in suo favore intervenne quel Maffeo Barberini ora divenuto Papa Urbano VIII che Campanella era stato capace di conquistarsi, come dice Firpo, dettando un erudito commento alle poesie latine del pontefice e confutando vittoriosamente gli astrologi che ne prevedevano la morte imminente. Ed Urbano VIII era personaggio legatissimo all'astrologia, tanto che il Campanella entrò nelle sue grazie, gli concesse di celebrare messa, gli conferì il titolo di Maestro di teologia e si apprestava a nominarlo non solo Consultore del Santo Ufficio, lo faceva cioè diventare inquisitore !, ma anche a dargli la porpora cardinalizia. Questo affanno di Urbano VIII in favore di Campanella, che era diventato suo consulente astrologico, destò profonde invidie tra gli alti prelati, soprattutto tra i superiori dei domenicani tra cui il generale dei domenicani Niccolò Ridolfi ed il maestro dei Sacri Palazzi, Niccolò Riccardi, detto padre Mostro. Iniziarono revisioni accurate delle sue opere, il blocco di quelle che andavano in pubblicazione ed il sequestro di quelle pubblicate. Gli fu poi pubblicata clandestinamente dagli avversariuna vecchia opera, l'Astrologia, proprio quando il Papa aveva pubblicato  una bolla che condannava ogni oroscopo. Il Papa dovette fare marcia indietro e man mano che cresceva il ritirarsi del Papa aumentavano gli attacchi al nostro filosofo. Nel 1633 vi era stato il Processo a Galileo e Campanella generosamente aveva chiesto inutilmente di assumere la difesa dello scienziato. Questo fatto lo mise sotto la lente. Ma vi fu un altro episodio che congiurò contro di lui. Nel 1534 venne scoperta una congiura anti-spagnola a Napoli, guidata da un discepolo del Campanella, il domenicano calabrese Tommaso Pignatelli (si voleva sopprimere il viceré di Napoli. Alla sua morte chiamare il popolo napoletano all'insurrezione per liberare il napoletano dalla Spagna). Pignatelli fu subito arrestato e strangolato in carcere ma a Napoli si sapeva di suoi

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legami forti con Campanella. Le autorità spagnole, che non avevano digerito la sparizione avventurosa di Campanella da Napoli e non avevano creduto opportuno aprire un contenzioso con la Chiesa, costrinsero sotto tortura il Pignatelli a coinvolgere Campanella nella congiura e quindi a richiedere, questa volta con forti giustificazioni, la sua estradizione. Vi era stato anche un evento che aveva indispettito di molto tali autorità, il fatto che in una sua opera, la Monarchia in Spagna, Campanella aveva assegnato proprio alla Spagna il compito egemonico della gestione cattolica del mondo e che recentemente aveva tolto questa egemonia alla Spagna per assegnarla alla Francia. E probabilmente da ciò derivò l'accanimento contro Pignatelli perché confessasse la partecipazione di Campanella alla congiura. Per evitare comunque di resistere alla richiesta di estradizione ed iniziare una crisi diplomatica con la potente Spagna, Urbano VIII, insieme all'ambasciatore francese, François Noailles, a Roma, organizzò la sua fuga verso la Francia dove Campanella era molto conosciuto e stimato, Francia che, come ricordiamo, era in rapporti pessimi con la Spagna e quindi non avrebbe mai concesso l'estradizione. Un'altra volta il filosofo dovette mascherarsi, questa volta da frate minimo con il nome di fra Lucio Berardi. Questa volta lasciò Roma il 21 ottobre 1634 e si imbarcò a Livorno verso Marsiglia. Da qui a Parigi dove arrivò, accolto festosamente, nella corte di Luigi XIII il 1° dicembre 1634. Fu ricevuto prima da Richelieu e poi dal Re in persona che gli mostrò grandissimo affetto (addirittura lo abbracciò) e gli garantì una pensione.

        Aveva quasi settanta anni il vecchio combattente che però non riposò in questo luogo che glielo avrebbe permesso. Divenne consigliere di Richelieu per la politica italiana, pensò a tutti i modi per convertire gli Ugonotti, rivide e sistemò le sue opere. Anche qui invidie infinite che riuscirono a bloccargli la misera pensione del Papa, l'unica rendita che gli permetteva di vivere visto che quella del Re non gli era ancora corrisposta a causa della Guerra dei Trent'anni che assorbiva ogni risorsa. Lottò sempre senza cedere un attimo in difesa delle sue idee che prevedevano una monarchia universale descritta nella Città del Sole. Una città ideale governata dal Metafisico, un re-sacerdote volto al culto del Dio Sole, un dio laico proprio di una religione naturale coincidente con quella cristiana. Riuscì a mettere insieme solo i primi tre volumi (dei dieci) della sua immensa opera. Morì presso il convento domenicano di rue Saint-Honoré il 21 maggio 1639. M anche qui non riuscì ad avere pace. La Rivoluzione Francese nel 1795 abbatté quel convento e di Tommaso Campanella scomparve ogni traccia.

        Resta solo da dire come sia stato possibile rovinare in convento la vita di questo grande studioso e filosofo. Solo per i capricci di un Papa si è salvato ed ha potuto concludere la sua vita in modo degno. Una vita da perseguitato tra gli ottusi processi dell'Inquisizione che marchiarono la sua vita fino a portarlo in balia della furia della Spagna cattolica ed i divertimenti astrologici di un Papa. E questo Papa, Urbano VIII, merita un elogio a parte, con le parole di Camerota:

Con Urbano VIII quel che Gregorio Leti avrebbe, di li a qualche anno, denominato il «nipotismo di Roma» - cioè il deprecabile costume di assegnare a consanguinei prebende, posti, stipendi, rendite, usufrutti, possedimenti e quant'altro - aveva davvero toccato il suo apice. Ricordiamo che il Barberini elevò al cardinalato il fratello Antonio (un ascetico frate cappuccino alieno da ogni ambizione di carriera ecclesiastica), elargendo altresì la dignità cardinalizia ai nipoti, Francesco e Antonio. Il papa aveva poi nominato l'altro suo fratello, Carlo, governatore di Borgo e Generale della Chiesa, mentre Taddeo (figlio di Carlo e, dunque, nipote di Maffeo) acquisiva il titolo di Prefetto di Roma (in precedenza prerogativa ereditaria dei Della Rovere). Oltre alle cariche, il pontefice non mancò di distribuire ai parenti - con magnanimità degna di miglior causa - cospicue sostanze e ingenti proprietà. Per fare un solo esempio, nel 1627, egli assegnò al cardinale Francesco le ricche abbazie di Grottaferrata e Farfa, nominandolo quindi arciprete delle basiliche Lateranense, di S. Maria Maggiore e di S. Pietro, cui aggiunse il conferimento del «posto più redditizio della curia»: l'ufficio di vice-cancelliere. Non stupisce, pertanto, che questa "debolezza" del papa Barberini fosse oggetto di critiche e satire mordaci, come la seguente:

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Han fatto più danno Urbano e nepoti Che Vandali e Goti.

Ed a questa satira mordace aggiungo l'altra: "Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini" per un Papa che fece immensi scempi edilizi distruggendo Roma arrivando addirittura ad asportare e fondere gli antichi bronzi romani del Pantheon, per costruire il baldacchino di San Pietro e i cannoni per Castel Sant’Angelo.

 

GALILEO GALILEI

 

        Naturalmente non ritornerò sul Processo a Galileo che ho trattato a fondo in L'incapacità di comprendere la rivoluzione galileiana. Dopo il sunto che delle azioni contro Galileo si fecero tra i due processi, tratto da un documento degli Archivi Segreti del Vaticano pubblicato da Antonio Favaro, torno solo su una questione tecnica, anch'essa già trattata,  e cioè i falsi inventati per raggiungere lo scopo criminale della condanna.

SUNTO DEL PROCESSO CONTRO GALILEO GALILEI IN UN DOCUMENTO DEGLI ARCHIVI SEGRETI VATICANI

b) PROCESSI. 1615-1734.

Arch: Segreto Vaticano. Capsula X - Originale. Sul recto della prima carta del codice, che è parte di un' antica. coperta, e porta il numero 336, si legge, in alto: «Florentinus. Vol. 1181», e più sotto: «Ex Archivo S.Officii. Contra Galileum Galilei Mathematicum».

1) Car. 337r. - 340t.

CONTRO GALILEO GALILEI.

Nel mese di Febraro 1615 il Padre Maestro Fra Nicolò Lorini, Domenicano di Fiorenza, trasmisse qua una scrittura del Galileo, che in quella città correva per manus, la quale seguendo le positioni del Copernico, che la terra si muova et il cielo stia fermo, conteneva molte propositioni sospette o temerarie, avvisando che tale scrittura fu fatta per occasione di contradire a certe lettioni fatte nella chiesa di S.ta Maria Novella dal P. Maestro Caccini sopra il X capitolo di Giosue, alle parole Sol, ne movearis: fol. 2.     La scrittura è in forma di lettera, scritta al P. D. Benedetto Castelli Monaco Cassinense, Matematico all' hora di Pisa, e contiene le infrascritte propositioni:     Che nella Scrittura Sacra si trovano molte propositioni false quanto al nudo senso delle parole;     Che nelle dispute naturali ella doverebbe esser riserbata nell' ultimo luogo;    Che la Scrittura, per accommodarsi all' incapacità del popolo, non si è astenuta di pervertire de' suoi principalissimi dogmi, attribuendo sin all'istesso Dio conditioni lontanissime e contrarie alla sua essen[tia].     Vuole che in certo modo prevaglia nelle cose naturali l'argomento filosofico al sacro.     Che il commando fatto da Giosue al sole, che si fermasse, si deve intend[ere] fatto non al sole, ma al primo mobile, quando non si tenga il sistema Copernico.

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    Per diligenze fatte non si poté haver l'originale di questa lettera: f. 25.     Fu esaminato il Padre Caccini, qual depose, oltre le cose so dette, d' haver sentito dire altre opinioni erronee dal Galileo: fol. 11:     Che Dio sia accidente; che realmente rida, pianga, etc.; che li miracoli quali dicesi essersi fatti da' Santi, non sono veri miracoli.     Nominò alcuni testimoni, dall' esame de' quali si deduce che dette propositioni non fussero assertive del Galileo né de' discepoli, ma solo disputative.     Veduto poi nel libro delle macchie solari, stampato in Roma dal medesimo Galileo, le due propositioni: Sol est centrum mundi, et omnino immobilis motu locali; Terra non est centrum mundi, et secundum se totam movetur etiam motn diurno: fol. 34,     furno qualificate per assurde in filosofia: fol. 35;     e la prima, per heretica formalmente, come espressamente ripugnante alla Scrittura et opinione de' Santi; la 2ª almeno per erronea in Fide, attesa la vera teologia.     Per tanto a' 25 di Febraro 1616 ordinò N. S.re al S.r Card.le Belarmino, che chiamasse avanti di sé il Galileo, e gli facesse precetto di lasciare e non trattar in modo alcuno di detta opinione dell' immobilità del sole e della stabilità della terra: 36 a t.     A' 26 detto, dal medesimo S.r Cardinale, presenti il P. Comissario del S.O., notaro e testi[moni], gli fu fatto il  detto precetto [questa affermazione è falsa, ndr], al qual promise d'obbedire.     Il tenore di cui è che omnino desereret dictam opinionem, nec etiam de caetero illam quovis modo teneret, doceret et defenderet, alias contra ipsum in S. Officio procedetur: fol. 36 a t. et fol. 37.     In conformità di che uscì decreto della S. Congregatione dell'Indice, col quale si prohibì generalmente ogni libro che tratta di detta opinione del moto della terra e stabilità del sole: fol. 38.     Del 1630, il Galileo portò a Roma al P.M. di S. Palazzo il suo libro in penna per stamparlo; e per quanto si riferisce, fol. 46, fu per ordine di lui revisto da un suo compagno, di che non apparisce fede: anzi nella medesima relatione s' ha che voleva il M. di S. P., per maggior sicurezza, veder per se stesso il libro ; onde, per abbreviar il tempo, concordò con l'auttore che nell' atto di stamparlo gli lo facesse vedere foglio per foglio, et acciò potesse aggiustarsi col stampatore, gli diede l'imprimatur per Roma     Andò dopo l'auttore a Fiorenza, di dove fece istanza al P.M. di S. P. per facoltà di stamparlo colà, e li fu negata. Si rimise dopo il negotio all' Inquisitore di Fiorenza, et avocando il P.M. di S.P. da sé la causa. lasciò a lui la carica di concederla o no, e ravvisò di ciò ch' haveva ad osservare nell' impressione.     S' hanno copie d'una lettera scritta dal P.M. di S.P. all' Inquisitore di Fiorenza e della risposta dell'Inquisitore, il quale avvisò d'haver commessa la corrrettione del libro al P. Stefani, Consultore del S.O., e copia della prefatione o principio dell'opra, e notatione di ciò che doveva l' auttore dire nel fine dell'istessa opra: fol. 48 et seq.     Dopo questo il P. M. di S. P. non sepe altro, se non che ha veduto il libro stampato in Fiorenza, e pubblicato con l'imprimatur di quell'Inquisitore, et anco con 1'imprimatur di Roma; e per ordine di N.S. fece raccoglier gli altri, dove ha potuto far diligenza. Considerò il libro, e trovò che il Galileo haveva trasgredito gli ordini et il precetto fattogli, con riceder dall' ipotesi.     Et essendosi riferito questo et altri mancamenti nella Congregatione del S. Officio a' 23 di 7mbre 1632, Sua B.ne ordinò si scrivesse all' Inquisitore di Fiorenza che facesse precetto al Galileo di venir a Roma: fol. 52 a t.     Venuto, e costituito nel S.Officio a' 12 d'Aprile 1633, fol. 69, crede d'esser stato chiamato a Roma per un libro da lui composto in dialogo, nel quale tratta de i due sistemi massimi, cioè della dispositione de' cieli e delli elementi, stampato in Fiorenza l'anno 1632, qual ha riconosciuto, e dice haverlo composto da dieci o dodeci anni in qua, e che intorno a esso vi è stato occupato sette o otto anni, ma non continovamente.     Dice che dell' anno 1616 venne a Roma per sentir quello che convenisse tener intorno all' opinione del Copernico circa la mobilità della terra e stabilità del sole, della qual materia ne trattò

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più volte con li SS.ri Cardinali del S. Officio, et in particolare con li SS.ri Card.li Belarmino, Araceli, S. Eusebio, Bonzi et Ascoli; e che finalmente dalla Congregatione dell'Indice fu dichiarato che la so detta opinione del Copernico, assolutamente presa, era contraria alla Sacra Scrittura, né si poteva tener e difender se non ex suppositione; che a lui fu dal S.r Card.le Belarmino notificata tal dichiaratione, come appare dalla fede che gliene fece di sua mano, nella quale attesta ch' esso Galileo non ha abiurato, ma che solo gli era stata denunciata la sodetta dichiaratione, cioè che 1'opinione che la terra si muova et il sole stia fermo era contraria alle Sacre Scritture, e però non si poteva tenere né defendere.     Confessa il precetto; ma fondato sopra detta fede, nella quale non sono registrate le parole quovis modo docere, dice che di queste non ne ha formato memoria.     Per stampar il suo libro venne a Roma, lo presentò al P.M. di S. P., qual lo fece riveder e gli concesse licenza di stamparlo in Roma. Costretto a partirsi, gli dimandò con lettere licenza di stamparlo in Fiorenza; ma havendogli risposto di voler di nuovo riveder l'originale, né potendosi per il contagio mandar senza pericolo a Roma, lo consegnò all'Inquisitore di Fiorenza, il quale lo fece riveder dal P. Stefani e poi gli concesse licenza di stamparlo, osservandosi ogn' ordine dato dal detto M. di S. P.     Nel chieder detta licenza tacè al P. M. di S. P. il sodetto precetto, stimando non esser necessario il dirglielo, non havendo egli con detto suo libro tenuta e difesa l'opinione della stabilità del sole e della mobilità della terra, anzi che in esso mostra il contrario e che le ragioni del Copernico sono invalide.     A' 30 d'Aprile, dimanda esser inteso, fol. 75, e dice: Havendo fatto riflessione alle interrogationi fattemi intorno al precetto fattomi di non tener, difender et insegnar quovis modo la sodetta opinione, pur all' hora dannata, pensai di rilegger il mio libro, da me non più revisto da 3 anni in qua, per osservare se, contro la mia purissima intentione, mi fusse per inavertenza uscito dalla penna cosa per la quale si potesse arguir macchia d'inobedienza, et altri particolari per li quali si potesse formar di me concetto di contraveniente a gli ordini di S.ta Chiesa. Et havendolo minutissimamente considerato, e giungendomi per il lungo disuso quasi come scrittura nuova e di altro auttore, liberamente confesso ch' ella mi si rappresentò in più luoghi distesa in tal forma, che il lettore, non consapevole dell' intrinseco mio, harebbe havuto cagione di formarsi concetto che gli argomenti portati per la parte falsa, e ch'io intendevo di confutar, fussero in tal guisa pronunciati. che più tosto per la loro efficacia fussero potenti a stringer, che facili ad esser sciolti e due in partlcolare, presi uno dalle macchie solari e l'altro dal flusso e riflusso del mare, vengono veramente con attributi di forti e di gagliardi avalorati alle orecchie del lettore più di quello che pareva convenirsi ad uno che ·li tenesse per inconcludenti e che li volesse confutare, come pur io internamente e veramente per non concludenti e per confutabili li stimavo e stimo. E per iscusa di me stesso appresso me medesimo d'esser incorso in un errore tanto alieno dalla mia intentione, non mi appagando interamente col dire che nel recitare gli argomenti della parte avversa, quando s'intende di volergli confutar, si debbono portar, e massime scrivendo in dialogo, nella più stretta maniera. e non pagliargli a disavantaggio dell'avversario, non mi appagando, dico, di tal scusa, ricorrevo a quella della natural compiacenza che ciascheduno ha delle proprie sottigliezze, e del mostrarsi più arguto del commune de gli huomini in trovare, anco per le propositioni false, ingegnosi et apparenti discorsi di probabilità. Con tutto questo, ancorché con Cicerone avidior sim gloria quam satis sit, se io havessi a scriver adesso le medesime ragioni, non è dubbio ch' io le snerverei in maniera, ch' elle non potrebbero fare apparente mostra di quella forza, della quale essentialmente e realmente sono prive. È stato dunque l'error mio, e 'l confesso, di una vana ambitione e di una pura ignoranza et inavertenza. E per maggior confirmatione del non baver io né tenuta, né tener, per vera la detta opinione della mobilità della terra e stabilità del sole, sono accinto a farne maggior dimostratione, se mi sarà concesso: e l'occasione c'è opportunissima, atteso che nel libro già publicato sono concordi gl' interlocutori di doversi dopo certo tempo trovar insieme per discorrer sopra diversi problemi naturali, separati dalla materia ne i loro congressi trattata; onde, dovend'io soggiunger una o due altre giornate, prometto di ripigliar gli argomenti già recati a favore

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della detta opinione falsa e dannata, e confutargli in quel più efficace modo che mi verrà da Dio sumministrato.     Per sua difesa presenta l'originale di detta fede del S.r Card.le Belarmino, per mostrar che in essa non vi sono quelle parole del precetto quovis modo docere, e perchè se gli dia fede che nel corso di 14 o 16 anni ne ha perso ogni memoria, non havendo havuto occasione di farvi riflessione: fol. 79 et 83.     Prega ad esser iscusato se ha tacciuto il precetto fattogli, perchè non havendo memoria delle parole quovis modo docere, si credeva che bastasse il decreto della Congregatione dell' Indice, publico et in tutto conforme. alle parole che sono nella fede fattagli, cioè che la detta opinione non si debba tenere et deefendere; massime che nel stampar il suo libro ha osservato quello a che obbliga il detto decreto della Congregatione. Il che apporta non per iscusarsi dell'error, ma perchè questo gli si attribuisca non a malitia et artifitio, ma a vana ambitione.     Mette humilmente in consideratione la sua cadente età di 70 anni, accompagnata da comiseranda indispositione, l'afflittione di mente di dieci mesi, li disaggi patiti nel viaggio, le calunnie de' suoi emoli, alle quali è per soggiacer l'honor e riputatione sua.

IL FALSO PRECETTO

        Dopo le sue pubblicazioni fino al 1616, Galileo si era fatto una serie di nemici che da più parti andarono al suo attacco. Galileo, resosi conto che doveva fare qualcosa, aveva scritto una lettera per perorare le sue credenze con nuove prove o ritenute tali (Discorso del flusso e reflusso del mare, 8 gennaio 1616). Egli credeva di aver trovato la prova del sistema copernicano nelle maree, sbagliando in grandissima parte. Ma le sue argomentazioni non erano controbattibili con facilità e la cosa non era andata giù ai suoi accusatori. A questo punto si inserisce il citato racconto che l'ambasciatore Guicciardini fa al Granduca di Toscana. La veemenza di Galileo nel sostenere le sue tesi non lo aiuta. Lo stesso ambasciatore  ci fa conoscere alcuni retroscena che coinvolgono il Papa. Orsini cercò di raccomandare Galileo al Papa Paolo V ma questi «mozzò il ragionamento, et gli disse che havrebbe rimesso il negozio ai SS.ri Cardinali del S.to Offizio; et partitesi Orsino, fece S. S.tà chiamare a sé Bellarmino, et discorso sopra questo fatto, fermarno che questa opinione del Galileo fusse erronea et heretica: et hier l'altro, sento fecero una congregazione sopra questo fatto per dichiararla tale».         Tale giudizio era perentorio e proveniva dallo stesso Papa. Quindi, da questo momento, tutto ha uno svolgimento predeterminato.         Si comincia il 19 febbraio 1616 con la trasmissione, dal Tribunale dell'Inquisizione ai teologi, delle proposizioni da condannare: "Che il sole sii centro del mondo te per conseguenza immobile di moto locale. Che la terra non è centro del mondo né immobile, ma si muove secondo sé tutta, etiam di moto diurno".         Solo 5 giorni dopo si ebbe il giudizio dei teologi (detti Qualificatori) che dichiararono essere la prima proposizione stultam et absurdam et formaliter haereticam, perché era contraria alla Sacra Scrittura sia letteralmente sia nella su interpretazione da parte di tutti i teologi ed i Dottori della Chiesa. Riguardo alla seconda proposizione il giudizio fu più blando. Essa fu ritenuta censurabile in filosofia ed erronea rispetto alla fede.         Questo giudizio dei teologi fu portato al Sant'Uffizio e ratificato dal Papa che ordinò a Bellarmino di convocare Galileo e di fargli abbandonare quella eretica teoria. Nel verbale si legge la conclusione del discorso del papa: "Se dovesse ricusare obbedienza il Padre commissario avanti a notaio e testi gli faccia 'precetto' di astenersi assolutamente dall'insegnare o difendere tale dottrina, o trattare di essa. E se non acconsentisse, sia carcerato".         La macchina repressiva era stata messa in moto ed il 3 marzo fu emanato il Decreto di interdizione della dottrina copernicana e di messa all'indice e sequestro delle opere di Copernico o copernicane (i cardinali Maffeo Barberini e Caetani resistettero al bigotto Papa e riuscirono a non far dichiarare eretica l'opera di Copernico). Il De Revolutionibus era il primo libro che cadde sotto il

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decreto fino a che non fosse stato corretto (donec corrigantur), quindi il Commento a Giobbe di Didaco Stunica, la stessa Lettera di Foscarini, e tutte le altre opere che insegnavano il copernicanesimo. Il primo a finire in prigione fu, Lazzaro Scorriggio, l'ignaro stampatore napoletano di Foscarini che l'inquisitore Carafa fece sbattere in galera per non aver potuto presentare l'imprimatur. Incredibilmente Galileo si trovò a dover essere ottimista per quel che lo riguardava. Nessuna sua opera era stata nominata, tantomeno quella sulle macchie solari che era chiaramente copernicana. Una cosa era comunque certa: i suoi estimatori del Collegio Romano erano spariti dalla circolazione, anche quelli che egli sapeva essere copernicani, come  de Cuppis e Grienberger.         La cosa riguardava anche Galileo che fu convocato dal Bellarmino nella sua residenza di Santa Maria in Via e, alla presenza del Commissario generale Segizi (notaio) e di due testimoni, lo ammonì(9) di essere in errore e di abbandonare le sue credenze "indi senz'altro (successive ac incontinenti) il Commissario fece precetto e ingiunzione a detto Galileo ancor presente e costituito, in nome del Papa e di tutta la Congregazione del Sant'Uffizio, di abbandonare detta opinione, né altrimenti, in qualsiasi modo, di tenerla, insegnarla o difenderla, a voce o per iscritto; che altrimenti si procederebbe contro di lui da parte del Sant'Uffizio. Al quale precetto Galileo acconsentì e promise di obbedire".         E' a questo punto utile riportare l'analisi della vicenda e del documento fatta dal grande studioso di Galileo, Giorgio de Santillana:Il documento lascia subito perplessi per via della contraddizione interna. Le istruzioni nella prima parte dicevano: "Nel caso che rifiuti di obbedire"; ora nulla indica nella seconda che Galileo abbia elevato obbiezioni o fatto opposizione, anzi, è scritto che acquievit. È a questo punto, successive ac incontinenti, che il Commissario generale gli dà lettura dell'ingiunzione formale di abbandonare e di non discutere più in alcun modo l'opinione incriminata. Se si considera poi il fondo della questione, vi è di che stupirsi maggiormente: che la notifica gli fosse fatta dal cardinale in persona, costituiva un segno di considerazione, e non si accordava col seguito poliziesco (mentre si noti che a Foscarini, religioso legato dal voto d'obbedienza, non era stato dato alcun preavviso ufficiale, perché si giudicava che egli avesse parlato a suo rischio e pericolo). La convocazione a palazzo rappresenta una forma corretta e su un piano di dignità formale. Per una ironia della sorte, era questa proprio l'udienza che Galileo aveva tanto atteso. E si noti come si inquadra la cosa: Galileo il 26 febbraio è ammesso in udienza, per vana e formale che sia, solo ed appunto perché è venuto a Roma in veste di chi sollecita chiarimenti e direttive, onde non rischiar di contravvenire alle intenzioni di Santa Chiesa; quindi ancora, essendosi tutto svolto come doveva, sono esentate in seduta del 3 marzo, dalla proibizione amministrativa le sue Lettere Solari, pur copernicanissime, e assai più lette delle disquisizioni di Foscarini e Stunica. Si vuol premiare la sua buona volontà, e si conta che darà opera egli stesso a modificare le tesi. La logica di tutta quanta l'operazione è manifesta.Ma in questa logica, che si estende fino al marzo, dove troverebbe posto una intimazione sub poenis? Cade fuori di ogni costrutto. Il dispositivo delle istruzioni a Bellarmino era concepito in modo da far fronte ad ogni eventualità, inclusa quella, suggerita da Caccini, che Galileo avesse a smascherarsi come eretico discepolo di Bruno e si dovesse venire all'arresto seduta stante. Ma Galileo, come era ragionevole prevedere, acquievit. E davvero non sarebbe stato quello il momento di discutere. Di fronte a Bellarmino circondato dalla sua corte di "segugi bianchi e neri" del Signore, che lo alloquiva in camera del trono, Galileo non poteva, checché pensasse, se non inchinarsi in silenzio.Dal punto di vista della forma, il documento riesce altrettanto inspiegabile. Le istruzioni dicevano "avanti a notaio e a testi" ma il notaio non ha firmato, e nessun funzionario dell'Inquisizione è stato menzionato come testimone secondo l'uso. Non bisogna dimenticare che di regola, quando l'Inquisizione notificava una ingiunzione o precetto, l'accusato era richiesto di firmare di sua mano, e la firma doveva essere legalizzata. Qui, invece, anche dalla minuta, si direbbe trattarsi di un semplice verbale di notifica.

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Non solo il protestante Gebler, ma uno storico cattolico, Reusch, nel 1870 hanno attirato l'attenzione su questo fatto. Altro fatto strano: non solo non è fatta menzione di testimoni ufficiali, ma al loro posto intervennero due familiari della Casa del cardinale, che certo non erano affatto qualificati per prender parte a una procedura dell'Inquisizione.E poi il documento è al suo posto?Il "dossier" può sembrare incompleto a chi spera di trovarvi una minuta istruttoria. Ma non lo è. Si tratta di un incartamento legale formato dai dati strettamente necessari alla preparazione di una sentenza e in quanto tale, può dirsi completo o quasi. La numerazione delle pagine, iniziata al momento stesso in cui i primi documenti erano introdotti, è ininterrotta. Sappiamo dunque che non vi manca nulla, o piuttosto assai poco; e questo poco manca palesemente: due fogli contigui, appartenenti allo stesso doppio foglio, sono stati accuratamente tagliati, prima della numerazione del fascicolo, ma in modo da lasciare dei margini molto grandi, quasi per ricordarci la loro esistenza. Vengono subito dopo la copia falsificata da Lorini della Lettera a Castelli (foglio 346). Un'altra mezza pagina è tagliata allo stesso modo, in fronte alla pagina 376 che contiene la proposìtio censuranda. Lo stesso è avvenuto per le pagg. 431, 455, 495, e può essersi trattato di pagine bianche. La maniera in cui ciascun quinterno è costituito è chiara e naturale: ogni atto legale, o documento ufficiale, è stato scritto o cominciato sulla prima pagina [recto] d'un nuovo doppio foglio, incorporato di poi e cucito nel fascicolo, in ordine cronologico, cosicché nel contesto restano evidentemente un gran numero di mezzi fogli bianchi. Anche questi sono numerati; alcuni sono stati utilizzati per annotazioni amministrative, copie di ordinanze e istruzioni, tutte nel dovuto ordine. Ma non vi è una sola lettera, un solo rapporto, atto legale o copia conforme che non cominci sulla prima pagina di un nuovo foglio. Con questa sola eccezione : l'ingiunzione di Bellarmino. Questo documento essenziale è annotato su uno spazio che per caso s'è trovato disponibile, fornito dal rovescio dei fogli di due altri documenti. La sua posizione e la forma in cui è stato redatto basterebbero a rivelare che non vuol esser considerato se non come trascrizione.Le cartelle 378 verso e 379 recto, che combaciano, sono rispettivamente il verso della seconda pagina bianca del rapporto dei Qualificatori (pag. 377) ed il recto bianco del secondo mezzo foglio della pagina 357, ove si trova la deposizione di Caccini. Altre simili trascrizioni sono state redatte nello stesso modo (per esempio quelle che si riferiscono agli ordini del papa, 352 verso, e quella che si trova su una pagina non numerata dopo la pagina 354). La procedura seguita è del tutto regolare per la prima parte del testo, le istruzioni della Congregazione a Bellarmino, il 25 febbraio (vedi nota 27, ndr), perché il documento originale ha il suo luogo proprio tra i Decreta e viene riprodotto qui solo per informazione. Ma si passa poi, senza averne l'aria, alla seconda parte (vedi nota 27, ndr), datata 26 febbraio, che è l'ingiunzione vera e propria e che avrebbe dovuto essere conservata in originale.Il testo che abbiamo non pretende di essere l'originale ma una semplice trascrizione. Ma allora, dov'è l'originale? Dovrebbe trovarsi evidentemente su un foglio separato, al suo posto, come tutti gli altri originali. Ora esso non si trova affatto nel fascicolo, e non vi è stato mai inserito, come risulta dalla numerazione ininterrotta delle pagine. Dunque la prova delle decisioni prese nei riguardi di Galileo è fornita non da un documento legale, autentico o meno, ma da una annotazione. È strano che tanti storici accorti si siano lasciati sfuggire questo particolare. Pensavano forse che il dossier dell'Inquisizione fosse stato trasportato alla residenza di Bellarmino, come un registro, perché vi venisse scritto il protocollo sul retro delle pagine? I dossier non uscivano mai dagli uffici; i verbali, redatti altrove, vi erano inseriti in un secondo tempo.Non c'è dubbio che avremmo dovuto trovarvi un originale - le istruzioni a Bellarmino sono chiare — e che esso avrebbe dovuto essere firmato dal notaio, controfirmato dal cancelliere del Santo Uffizio e, eventualmente, da Galileo medesimo. Ma questo documento, se mai ci fu, deve essere stato soppresso prima di entrare nel dossier. Diciamo "se mai ci fu" perché è verosimile che non sia stato mai redatto nell'originale e che appaia solo sotto l'aspetto di una trascrizione che non pretende di essere altro che una copia. Lo scrivano poteva sempre dichiarare più tardi in confessione o sotto giuramento di non aver mai falsificato un documento, ma di aver solo redatto una minuta, che, dal

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punto di vista giuridico, era senza valore, perché tutte le firme mancavano.Non vogliamo asserire che tutti i precetti dell'Inquisizione dovessero contenere una dichiarazione di ricevuta; vi sono anzi numerosi esempi del contrario; ma questo poteva avvenire per gli affari correnti, per esempio il comando non discedendi; e anche in questo caso erano controfirmate da funzionari qualificati: quando pronunciava un ordine fuori del suo quartier generale, l'inquisitore era accompagnato dai suoi assistenti che servivano da testimoni. Ma in questo caso, se le istruzioni venute dall'alto sono state seguite, si tratta di un precetto in cui si esige sottomissione formale. Ci attenderemmo quindi di trovare: "Io G. G. ho ricevuto precetto come sopra e prometto di obbedire". Dire che la dichiarazione di ricezione non fosse necessaria, equivale a dire che l'ingiunzione sia stata formulata senza che Galileo avesse fatto l'obbiezione che avrebbe dovuto motivarla; in tal caso si sarebbe commessa una grave irregolarità e l'ingiunzione sarebbe contestabile solo su questa base.Malgrado tutta la sua prudenza, l'amanuense ha voluto strafare. Per rispettare l'uso ha prima trascritto il testo del decreto pontificale del 25 febbraio; ma se avesse potuto prevedere che l'originale del decreto sarebbe andato perduto — come è avvenuto — avrebbe preferito tagliarsi la mano piuttosto che conservare qui il testo incriminante che oggi fa saltare agli occhi la contraddizione flagrante che esiste tra gli ordini e la loro esecuzione.Dal momento che era esplicitamente ammesso che Galileo non aveva opposto resistenza, non v'era alcuna ragione valida perché il commissario gli facesse personalmente "divieto assoluto di insegnare e di discutere la dottrina quovis modo" ; perché questo andava oltre i termini del decreto e si applicava soltanto a coloro che erano in istato di "veemente suspicione" (nel qual caso l'acquiescenza diveniva tecnicamente una abiura). Il decreto stesso, nella forma in cui era redatto per tutti i buoni credenti, autorizzava implicitamente la discussione del copernicanesimo come ipotesi matematica; interdiceva soltanto il presentarlo come verità filosofica, compatibile con la teologica. Nessuna menzione di Galileo e delle sue opere: ora, come si può immaginare che, una volta divenuto sospetto, gli sia stato usato nel decreto lo straordinario trattamento di favore che esentava dalla proibizione le sue Lettere Solari? Invece pronta e sicura corse la voce, per opera dei soliti "circoli bene informati" che Galileo era stato tratto a fare ammenda. Scrive Matteo Caccini: ''In questa Congregazione coram summum Pontificem il Sig. Galilei fece l'abiurazione". Castelli scrive da Pisa: "Qui è stato scritto che V. S. ha abiurato segretamente in mano del'Ill.mo C. Bellarmino" e Sagredo da Venezia : "S'è sparsa voce esser lei trasferita costì a Roma con incommodo, sforzatamente, per mali ufficii di quelli nostri amici confederati con Rocco Berlinzone, i quali hanno fatto passar voce che sia stata ella chiamata all'Inquisizione per render conto se il sole si muove; aggiungendosi che, per schermire, convegna ella far palesemente il collo torto. Credo che questi ladroni facciano ancora altrove il loro potere contro di noi; ma Iddio, sì come spero, dissiperà i suoi mali consegli".Per mettere fine a queste voci e salvaguardare il suo onore personale, Galileo domandò a Bellarmino, con una breve e dignitosa lettera che ci è giunta, un certificato, e l'ottenne senza indugio nei seguenti termini:"Noi Roberto Cardinale Bellarmino, havendo inteso che il Sig.or Galileo Galilei sia calunniato o imputato di havere abiurato in mano nostra, et anco di essere stato per ciò penitenziato di penitentie salutari, et essendo ricercati della verità, diciamo che il suddetto Sig. Galileo non ha abiurato in mano nostra né di altri qua in Roma, né meno in altro luogo che noi sappiamo, alcuna sua opinione o dottrina, né manco ha riceuto penitentie salutari né d'altra sorte, ma solo gl'è stata denuntiata la dichiarazione fatta da N.ro Sig.re et publicata dalla Sacra Congregazione dell'Indice, nella quale si contiene che la dottrina attribuita al Copernico sia contraria alle Sacre Scritture, et però non si possa difendere né tenere. Et in fede di ciò habbìamo scritta et sottoscritta la presente di nostra propria mano, questo dì 26 di Maggio 1616."È certo che qui non è menzionata alcuna ingiunzione; anzi, viene formalmente smentita l'ammenda che avrebbe normalmente dovuto seguire l'ingiunzione. Gli storici ex parte hanno sostenuto trattarsi d'un gesto caritatevole da parte della Chiesa che, per considerazione verso Galileo e verso il granduca, avrebbe consentito a rilasciare un certificato di onorabilità, ma — sapendo di avere a che

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fare con un uomo pericoloso e ostinato — avrebbe tentato di mantenerlo nel dritto cammino mediante una ingiunzione segreta. Questa spiegazione può apparir valida a prima vista, ma rimane che l'ingiunzione avrebbe dovuto essere fatta e conservata, come tutte le altre, in forma regolare. Almeno negli atti segreti dell'amministrazione dovrebbe trovarsi un qualche riferimento a questo atto. E qui interviene un documento decisivo che fu rintracciato solo nel secolo scorso.Durante le brevi settimane della Repubblica romana del 1849, dopo la fuga del papa, si trovarono aperti gli archivi, e alle febbrili ricerche di Antonio Gherardi fu dato scoprire taluni Decreta della Congregazione del Sant'Uffizio che si riferiscono alla causa di Galileo. Fra questi vi è il verbale della seduta del 3 marzo, che fa seguito a quello già noto del 25 febbraio:"Il Cardinale Bellarmino riferisce che Galileo Galilei matematico è stato, giusta gli ordini di questa S. Congregazione, ammonito di aver a abbandonare [deserendam, che sostituisce il cancellato disserendam] l'opinione che ha finora sostenuto, essere il Sole, ecc. e che ha acconsentito [acquievit] ; ed essendo stato fermato il decreto della Congregazione dell'Indice, il quale interdice e sospende rispettivamente gli scritti di Nicolo Copernico, Didaco a Stunica e Paolo Foscarini, il Santissimo ha ordinato che tale decreto d'interdizione e sospensione venga pubblicato dal Maestro del Sacro Palazzo."Ecco un documento redatto per le sole autorità, un rapporto riservato sugli affari in corso. Esso corrisponde esattamente alle istruzioni del 25 febbraio. Tali istruzioni avevano previsto i tre atteggiamenti successivi da adottare nel caso di obbedienza, d'obiezione, o d'ostinazione da parte di Galileo: avvertimento, ingiunzione, arresto (sottolineatura mia, ndr). Ora, il rapporto dice semplicemente che l'avvertimento fu accolto con l'acquiescenza e passa agli altri argomenti: se vi fosse stato precetto, ne sarebbe stata fatta almeno menzione; altrimenti si sarebbe dovuto allegare un rapporto separato del commissario generale, e non ve n'è traccia. In base a questo solo rapporto alle autorità non poteva risultare che si era dovuto venire a precetto formale; per diciassette anni — come vedremo — esse non ne ebbero, a quanto pare, la minima idea. Galileo neppure.         Si tenga bene a mente tutto questo perché sarà di estrema importanza quando discuteremo del Processo a Galileo.         Galileo, dunque non era spaventato e la cosa risulta chiaramente dalle sue lettere di questo periodo. Tra l'altro l'ambasciatore Guicciardini, riferisce al Granduca (13 maggio) che Galileo fa una vita di stravizi in Roma e spende e spande a più non posso egli ha un umore fisso di scaponire i frati ... e combattere con chi egli non può se non perdere: però un poco prima o poi ... sentiranno costà che sarà cascato in qualche stravagante precipizio. Non era spaventato perché non ne aveva motivo! E tanto meno da quel Papa che, egli non poteva sapere, era stato il suo più duro nemico. E ciò è dimostrato dall'udienza che quello stesso Papa, Paolo V Borghese, gli concesse 5 giorni dopo, trattenendolo per ben tre quarti d'ora rassicurando Galileo che nessuno in Vaticano avrebbe dato orecchio alle calunnie. Mettendo tutto insieme ne risulta che quel processo verbale del 26 febbraio non avvenne e che mai fu fatto precetto a Galileo di non difendere quovis modo il copernicanesimo. Insisto: è importante ricordare che Galileo venne AMMONITO dall'insegnare e difendere la teoria copernicana e non gli venne fatto PRECETTO. Ciò è fondamentale dal punto di vista del Diritto Canonico: se gli fosse stato fatto precetto sarebbe stato recidivo e la cosa sarebbe risultata nei suoi precedenti penali; l'ammonizione non prevedeva nessuna delle due cose dette.         Sollecitato da più parti dalle autorità fiorentine di non stuzzicare il cane che dorme, Galileo il 30 giugno se ne tornò a Firenze ripromettendosi in una lettera di raccontare a voce le cose incredibili che aveva scoperto a Roma nel campo dell'ignoranza, invidia ed empietà. E così noi siamo privati di queste informazioni.

        Riporto ora una rapida cronologia di avvenimenti che portarono Galileo al Processo del 1633:

1632: Dopo varie indagini degli inquisitori romani si decide di far sequestrare l'opera di Galileo che aveva già ottenuto l'imprimatur dal domenicano Padre Mostro incaricato di seguire tutte le fasi della

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pubblicazione dell'opera. In estate Galileo tenta inutilmente di fermare il sequestro del suo Dialogo, appoggiato dai diplomatici fiorentini, presso la sede papale.

1632: in settembre viene confermato il sequestro e viene istituita una commissione di indagine, sui contenuti potenzialmente eversivi o eretici del Dialogo; la commissione passa le consegne al Sant’Uffizio (il massimo organo inquisitorio della Chiesa). L’Uffizio apre il 23 settembre la procedura processuale contro Galileo, dopo aver definito i capi di imputazione: il più grave fra questi, quello di non aver ottemperato al precetto di Bellarmino del 1616, interpretata secondo la versione dei gesuiti.

1632: ad ottobre a Galileo è imposto di recarsi a Roma per il processo.

1633: il 12 febbraio Galileo giunge a Roma dopo aver sostato in pieno inverno fuori dalle porte della città per svariati giorni, causa un periodo di quarantena imposto dalla peste. Galileo è ospitato per due mesi circa dall’ambasciatore di Toscana, in attesa della convocazione dell’organo ecclesiastico che si sarebbe riunito per giudicarlo.

1633: il 12 aprile avviene la prima udienza del processo. Padre Maculano, un domenicano, interroga il filosofo a proposito delle vicende del 1616 per conto del Sant’Uffizio. Viene contestata la mancata ottemperanza al precetto del Bellarmino. I capi d'imputazione sono: sostegno alla tesi di Copernico, insegnamento della stessa a molti discepoli, corrispondenza sospetta con alcuni matematici tedeschi, scrittura del saggio Delle macchie solari nel quale era presentata come vera la medesima teoria, esegesi della Bibbia volta a giustificare la centralità del Sole nell'universo e la rotazione della Terra. Galileo si difende sostenendo che mai gli è stato fatto precetto e portando come prova della sua innocenza l’attestato di "buona condotta" rilasciatogli a suo tempo dallo stesso Bellarmino. Tale attestato giustifica pienamente Galileo per aver insegnato e trattato in qualche modo l’eliocentrismo e rende costruito sul falso il processo in corso. 

Galileo è costretto a una difesa perdente in partenza. Prova a sostenere che le tesi copernicane sono esposte alla stessa stregua di quelle tolemaiche. Questo atteggiamento peggiorò la posizione di Galileo. I prelati parvero irritati: in particolare quelle componenti più rigorose e conservatrici del Sant’Uffizio parvero rifiutare in via definitiva ogni forma di mediazione e di compromesso.

Nei confronti di Galileo la corte assunse un atteggiamento di maggior severità. Questo atteggiamento coinvolse anche quanti si sarebbero accontentati di una condanna soltanto formale per lo scienziato. Nonostante qualche tentativo della diplomazia fiorentina  prevalse la “linea dura” del Sant’Uffizio.

1633: il mattino del 22 giugno Galileo viene condotto davanti all'inquisitore nella sala grande del convento domenicano di Santa Maria sopra Minerva. Lì lo attendono i cardinali del S. Uffizio, dei quali però tre su dieci sono assenti e non firmeranno il testo della condanna. Galileo veste il camice bianco dei penitenti e s'inginocchia davanti ai giudici che gli leggono la sentenza.

        Il primo ottobre 1632, tramite l'inquisitore di Firenze, viene imposto a Galileo, che aveva già 69 anni, di presentarsi a Roma entro 30 giorni, davanti al Tribunale del Sant'Uffizio. Vari amici lo sconsigliarono di andare reclamando ragioni di salute e la peste che continuava a mietere vittime. Ma Galileo aveva fiducia, era in buona fede, era 'amico' del Papa, aveva buoni argomenti con i quali avrebbe spiegato ... Intanto, già da luglio 1632, erano stati sequestrati dovunque i suoi libri. Cosa potevano imputare a Galileo ? Aveva avuto tutti i permessi (ben cinque imprimatur!), aveva ottemperato ad ogni ingiunzione. Ma Urbano VIII, consigliato dai preti gesuiti del Collegio Romano, che finalmente avevano modo di vendicarsi, aveva motivi personali che si mescolavano a

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quelli di Stato. Era sotto attacco perché accusato di non far fronte con la dovuta decisione all'eresia (era stato eletto da cardinali filofrancesi ed appoggiava la Francia e l'impero degli Asburgo contro la Spagna. Ciò provocò l'ira della Spagna che attraverso il Cardinale Gaspare Borgia, ambasciatore di Spagna, gli rivolse le accuse suddette). Cosa comunque poteva minacciare Galileo, se il diritto era dalla sua parte ? Al massimo, seguendo le procedure, avrebbero potuto fargli precetto di non difendere in alcun modo le teorie esposte nel Dialogo. ... Ma Galileo conosceva poco le capacità eccelse della Chiesa di falsificare e portare ogni cosa a proprio favore. In ogni caso tentò di tergiversare anche perché le sue condizioni di salute non erano buone. Il primo gennaio l'Inquisitore di Firenze ricevette una lettera durissima ed ultimativa da Roma:

« è stato molto male inteso che Galileo Galilei non habbia prontamente aderito al precetto fattogli di venire a Roma; et non deve egli scusar la sua disobbedienza con la stagione, perché per colpa sua si è ridotto a questi tempi; et fa malissimo a cercar di paliarla fingendosi ammalato... Se non ubbidisce subito si manderà costì un Commissario con medici a pigliarlo, et condurlo alle carceri di questo supremo Tribunale, legato anco con ferri, poiché sin qui si vede che egli ha abusato la benignità di questa Congregazione ».

        Galileo fu costretto a partire il 20 gennaio e, giunto a Roma nel febbraio del 1633, venne immediatamente messo sotto accusa per il suo essere recidivo nel difendere le teorie copernicane. Questo essere recidivo era relativo al preteso PRECETTO (di cui ho parlato) che gli sarebbe stato fatto da Bellarmino nel 1616. Ma nel 1616 Galileo aveva avuto solo una ammonizione ed in più il certificato di buona condotta dallo stesso Bellarmino.

        Gli inquisitori insistono ma Galileo non ricorda alcun precetto. Come se nulla fosse gli inquisitori gli chiedono se ha fatto vedere il precetto a coloro che seguivano le vicende del libro e che dovevano rilasciare le varie autorizzazioni. Galileo chiede allora di vedere il Precetto che, in quanto tale, deve risultare agli atti controfirmato da colui a cui era stato fatto (siamo nell'aprile 1633). Qui fu costruito uno dei falsi più ignobili della Chiesa (tra quelli noti, dico ...). Il libro dei Precetti e di ogni atto giudiziario in genere, a seguito della carta che era molto assorbente e quindi faceva trasparire tracce di inchiostro sul retro della pagina medesima, questo libro era scritto solo nelle pagine dispari, mentre le pari erano lasciate bianche. Solo il Precetto a Galileo è scritto alla data giusta sulla pagina pari! Ma vi è di più, all'atto del Precetto, l'accusato doveva apporre la sua firma sotto l'atto: la firma di Galileo in questo atto non compare. Tutti gli storici concordano in quanto ho detto: il Tribunale del Sant'Uffizio costruì un falso per poter condannare Galileo nel processo che ora gli faceva. 

        Riguardo alle accuse in quanto tali, Galileo tentò delle difese disperate. Dapprima cercò di dire che l'opera era anticopernicana ma quando una commissione di tre studiosi sentenziò che non era così cambiò registro e tentò di dire che aveva fatto errori ed aveva scritto cose che avrebbero potuto trarre in inganno ma che comunque lo aveva fatto in buona fede. Galileo (siamo nel maggio 1633) si disse disposto a modificare le pagine incriminate ed in ogni caso chiese che si tenesse conto della cadente vecchiezza (aveva settant'anni).

        In giugno gli inquisitori tornarono all'attacco per estorcere a Galileo una confessione che lo vedesse copernicano convinto. Se non avesse detto la verità (quella che la Chiesa imponeva) si sarebbe passati alla tortura. Siamo alla fine, con quel Precetto che vietava di difendere "quovis modo" la teoria copernicana, il Dialogo è proibito, Galileo nel Palazzo della Minerva, sede del Santo Uffizio, viene condannato (22 giugno 1633) ed è costretto all'abiura (e nessuno potrà o dovrà mai accusarlo per avere accettato un tale atto che non lo costrinse al silenzio ma che gli fece ancora pubblicare di nascosto, la parte più importante della sua opera). È comunque istruttivo leggere la sentenza del Tribunale e l'abiura che Galileo dovette leggere in pubblico.

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LA SENTENZA

"...Che il Sole sia centro del mondo e imobile di moto locale è proposizione assurda e falsa in filosofia, e formalmente eretica, per essere espressamente contraria alla Sacra Scrittura; Che la Terra non sia centro del mondo né imobile, ma che si muova eziandio di moto diurno, è parimente proposizione assurda e falsa nella filosofia, e considerata in Teologia ad minus erronea in Fide. .... Noi diciamo, pronunziamo, sentenziamo e dichiariamo che tu , Galileo sudetto, per le cose dedotte in processo e da te confessate come sopra, ti sei reso a questo Santo Officio veementemente sospetto d'eresia cioè d'aver tenuto e creduto dottrina falsa e contraria alla Sacre e divine Scritture, ch'il Sole sia centro della Terra e che non si muova da oriente ad occidente, e che la Terra si muova e non sia centro del mondo, e che si possa tener e difendere per probabile un'opinione dopo essere stata dichiarata e diffinita per contraria alla Sacra Scrittura; e conseguentemente sei incorso in tutte le censure e pene dai sacri canoni e altre constituzioni generali e particolari contro simili delinquenti imposte e promulgate. Dalle quali siamo contonto sii assoluto, pur che prima, con cuore sincero e fede non finta, avanti di noi abiuri, maledichi e detesti li sudetti errori e eresie, e qualunque altro errore e eresia contraria alla Cattolica e Apostolica Chiesa, nel modo e forma che da noi ti sarà data....Ed ordiniamo quindi che per publico editto sia proibito il libro de' Dialoghi di Galileo Galilei. Ti condanniamo al carcere formale in questo Santo Officio ad arbitrio nostro: e per penitenze salutari t'imponiamo che per tre anni a venire dichi una volta la settimana li sette Salmi penitenziali: riservando a noi facoltà di moderare, mutare, o levar in tutto o parte, le sudette pene e penitenze."

L'ABIURA

"Io Galileo, figlio di Vincenzo Galileo di Fiorenza, dell'età mia d'anni 70, constituto personalmente in giudizio, e inginocchiato avanti di voi Eminentissimi e Reverendissimi Cardinali, in tutta la Republica Cristiana contro l'eretica pravità generali Inquisitori ; avendo davanti gl'occhi miei li saerosanti Vangeli, quali tocco con le proprie mani, giuro che sempre ho creduto, credo adesso, e con l'aiuto di Dio crederò per l'avvenire, tutto quello che tiene, predica e insegna la Santa Cattolica e Apostolica Chiesa. Ma perché da questo, Santo Officio, per aver io, dopo d'essermi stato con precetto dall'istesso giuridicamente intimato che omninamente dovessi lasciar la falsa opinione che il Sole sia centro del mondo e che non si muova, e ehe la Terra non sia centto del mondo e che si muova, e che non potessi tenere, difendere né insegnare in gualsivoglia modo, né in voce né in scritto, la detta falsa dottrina, e dopo d'essermi notificato che detta dottrina è contraria alla Sacra Scrittura, scritto e dato alle stampe un libro nel quale tratto l'istessa dottrina già dannata e apporto ragioni con molta efficacia a favor di essa, senza apportar alcuna soluzione, sono stato giudicato veementemente sospetto d'eresia, cioè d'aver tenuto e creduto che il Sole sia centro del mondo e imobile e che la Terra non sia centro e che si muova; Pertanto, volendo io levar dalla mente delle' Eminenze Vostre e d'ogni fedel Cristiano questa veemente sospizione, giustamente di me conceputa, con cuor sincero e fede non finta abiuro, maledico e detesto li sudetti errori e eresie, e generalmente ogni e qualunque altro errore, eresia e setta contraria alla S.ta Chiesa; e giuro che per l'avvenire non dirò mai più né asserirò, in voce o in scritto, cose tali per le quali si possa aver di me simil sospizione; ma se conoscerò alcun eretico o che sia sospetto d'eresia lo denonziarò a questo S. Offizio, o vero all'Inquisitore o Ordinario del luogo, dove mi trovarò. Giuro anco e prometto d'adempire e osservare intieramente tutte le penitenze che mi sono state o mi saranno da questo Santo Officio Imposte...

In Roma, nel Convento della Minerva, questo dì 22 giugno 1633.

Io Galileo Galilei ho abiurato come di sopra , mano propria."

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        Da questo momento sentenza ed abiura ebbero la massima diffusione. Furono lette in scuole ed università.

        Fino al sette luglio 1633 Galileo è relegato a Villa Medici, sede dell'Ambasciata di Toscana, quindi fu trasferito prima a Siena custodito in domicilio coatto dall'amico Arcivescovo Antonio Piccolomini. Alcuni mesi dopo gli fu permesso di domiciliare in isolamento nella sua casa di Arcetri dove rimase fino al 1638, quando sopravvenne la cecità (fu il suo giovane discepolo Vincenzo Viviani che, a questo punto, aiutò Galileo facendogli da emanuense e mantenendolo attivo su questioni scientifiche) e dove, nel 1634, perse con grande dolore la figlia prediletta Virginia (suor Maria Celeste). Su insistenza dell'Inquisitore Muzzarelli di Firenze, che il 13 febbraio 1638 scrisse (è tanto mal ridotto che ha più forma di cadavero che di persona vivente) in proposito al nipote del Papa, Cardinale Francesco Barberini, gli fu permesso di recarsi a Firenze (per la comodità di essere visitato da medici) ma sempre in isolamento e sotto controllo e qui rimase fino alla morte che sopravvenne nel 1642 dopo una malattia renale che lo aveva costretto a letto dal novembre del 1641.

Galileo Galilei

        La sorveglianza fuori della casa di Galileo ad Arcetri era strettissima ma con la complicità di qualche amico e di sua figlia Livia (Suor Arcangela) riuscì a fare uscire a poco a poco dei manoscritti per la successiva pubblicazione. Questi manoscritti erano stati raccolti in anni precedenti, si tratta dei suoi studi precedenti aggiornati e sistemati. Galileo li fa uscire perché vadano presso gli Elzeviri di Leiden (Olanda) al fine di essere pubblicati. Ne verrà fuori la più grande opera di Galileo, quella della maturità. Si tratta dei Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze che vedrà la luce nel 1638. Ora non vi sono più conversazioni accattivanti, ora si tratta di un vero e proprio testo di fisica in cui vengono studiati tutti i vari campi della conoscenza dell'epoca. È la più copernicana tra le sue opere ma, proprio perché non capita dalle autorità, fu fatta passare senza eccessive reprimende (Galileo si difese sostenendo che l'opera era stata pubblicata a sua insaputa).

QUALCHE BREVE CONSIDERAZIONE

        Per quanto discuterò sugli indegni attacchi che ancora oggi provengono dalla Chiesa (a tutti i livelli, a partire dai Papi fino ad arrivare ai più ossequienti servi docili) contro Galileo, è utile osservare che la collocazione del fascicolo «Processo a Galileo» negli Archivi del Vaticano è sotto la voce «criminale» (tra le possibili: dottrinale, giurisdizionale, civile ed economica). Ed è anche utile sfatare un comodo mito. Si sostiene che Galileo era sinceramente pentito e che ubbidì di buon

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grado alla Chiesa essendo un cattolico osservante (sciocchezze di questo tipo le dice anche Zichichi). I fatti mostrano che Galileo aveva ben altre mire al momento della condanna e dell'abiura. Come discuterò di seguito, Galileo dal domicilio coatto scrisse per la pubblicazione, all'estero purtroppo, la più copernicana tra le sue opere, i Discorsi. E questo fatto la dice lunga sul pentimento e sulla vergognosa abiura impostagli.

        La Chiesa, per parte sua, mantenne con pervicacia la condanna fino alla fine. Inoltre impiegò circa 200 anni per togliere il divieto alle opere di Galileo e a sostenere ed insegnare le teorie copernicane. E, con Galileo, l'Italia perse ogni speranza di sviluppare la sua scienza che la vedeva ai primi posti in Europa e che, subito dopo, la vide decadere inesorabilmente.

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Ho riportato solo i principali processi ma ve ne sono moltissimi altri che non hanno la rilevanza di questi e per ora li tralascio.

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CONCLUSIONE

 

        La conclusione di questa vicenda sarebbe stata l'inesorabile fine di ogni sapere, di ogni conoscenza almeno in Italia. Vittime sciocche di un potere ottuso ed integralista che in nome non certo del Gesù evangelico ha ammazzato tutto ciò che di meglio l'uomo abbia prodotto. Ma la storia ha avuto qualche sussulto che ha fermato questa macchina di sterminio. Ed il principale sussulto che ci ha lanciati verso la modernità è stato la Rivoluzione Francese che ha fissato gli ambiti delle singole e collettive libertà con la Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo e del Cittadino del 1789 che all'Articolo 10 parla espressamente di libertà di religione.

I rappresentanti del Popolo Francese, costituiti in Assemblea Nazionale,

considerando che l'ignoranza, l'oblio o il disprezzo dei diritti dell'uomo sono le uniche cause delle sciagure pubbliche e dalla corruzione dei governi,

hanno stabilito di esporre, in una solenne dichiarazione, i diritti naturali, inalienabili e sacri dell'uomo,

affinché questa dichiarazione, costantemente presente a tutti i membri del corpo sociale, rammenti loro incessantemente i loro diritti e i loro doveri;

affinchè maggior rispetto ritraggano gli atti del Potere legislativo e quelli del Potere esecutivo da poter essere in ogni istanza paragonati con il fine di ogni istituzione politica;

affinché i reclami dei cittadini, fondati da ora innanzi su dei principi semplici ed incontestabili, abbiano sempre per risultato il mantenimento della Costituzione e la felicità di tutti.

In conseguenza, l'Assemblea Nazionale riconosce e dichiara, in presenza e sotto gli auspici dell'Essere Supremo, i seguenti

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Diritti dell'Uomo e del Cittadino:

Articolo 1

Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti. Le distinzioni sociali non possono essere fondate che sull'utilità comune.

Articolo 2

Il fine di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali ed imprescrittibili dell'uomo. Questi diritti sono la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza all'oppressione.

Articolo 3

Il principio di ogni sovranità risiede essenzialmente nella Nazione. Nessun corpo o individuo può esercitare un'autorità che non emani espressamente da essa.

Articolo 4

La libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce ad altri: così, l'esercizio dei diritti naturali di ciascun uomo ha come limiti solo quelli che assicurano agli altri membri della società il godimento di quegli stessi diritti. Questi limiti possono essere determinati solo dalla Legge.

Articolo 5

La Legge ha il diritto di vietare solo le azioni nocive alla società. Tutto ciò che non è vietato dalla Legge non può essere impedito, e nessuno può essere costretto a fare ciò che essa non ordina.

Articolo 6

La Legge è l'espressione della volontà generale. Tutti i cittadini hanno diritto di concorrere, personalmente o mediante i loro rappresentanti, alla sua formazione. Essa deve quindi essere uguale per tutti, sia che protegga, sia che punisca. Tutti i cittadini essendo uguali ai suoi occhi sono ugualmente ammissibili a tutte le dignità, posti ed impieghi pubblici secondo la loro capacità, e senza altra distinzione che quella delle loro virtù e dei loro talenti.

Articolo 7

Nessun uomo può essere accusato, arrestato o detenuto se non nei casi determinati dalla legge, e secondo le forme da essa prescritte. Quelli che procurano, spediscono, eseguono o fanno eseguire degli ordini arbitrari, devono essere puniti; ma ogni cittadino citato o tratto in arresto, in virtù della Legge, deve obbedire immediatamente; opponendo resistenza si rende colpevole.

Articolo 8

La Legge deve stabilire solo pene strettamente ed evidentemente necessarie e nessuno può essere punito se non in virtù di una legge stabilita e promulgata anteriormente al delitto, e legalmente applicata.

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Articolo 9

Presumendosi innocente ogni uomo sino a quando non sia stato dichiarato colpevole, se si ritiene indispensabile arrestarlo, ogni rigore non necessario per assicurarsi della sua persona deve essere severamente represso dalla Legge.

Articolo 10

Nessuno deve essere molestato per le sue opinioni, anche religiose, purché la manifestazione di esse non turbi l'ordine pubblico stabilito dalla Legge.

Articolo 11

La libera comunicazione dei pensieri e delle opinioni è uno dei diritti più preziosi dell'uomo; ogni cittadino può dunque parlare, scrivere, stampare liberamente, salvo a rispondere dell'abuso di questa libertà nei casi determinati dalla Legge.

Articolo 12

La garanzia dei diritti dell'uomo e del cittadino ha bisogno di una forza pubblica; questa forza è dunque istituita per il vantaggio di tutti e non per l'utilità particolare di coloro ai quali essa è affidata.

Articolo 13

Per il mantenimento della forza pubblica, e per le spese d'amministrazione, è indispensabile un contributo comune: esso deve essere ugualmente ripartito fra tutti i cittadini, in ragione delle loro sostanze.

Articolo 14

Tutti i cittadini hanno il diritto di constatare, da loro stessi o mediante i loro rappresentanti, la necessità del contributo pubblico, di approvarlo liberamente, di controllarne l'impiego e di determinarne la quantità, la ripartizione e la durata.

Articolo 15

La società ha il diritto di chieder conto a ogni agente pubblico della sua amministrazione.

Articolo 16

Ogni società in cui la garanzia dei diritti non è assicurata, né la separazione dei poteri determinata, non ha costituzione.

Articolo 17

La proprietà essendo un diritto inviolabile e sacro, nessuno può esserne privato, salvo quando la necessità pubblica, legalmente constatata, lo esiga in maniera evidente, e previa una giusta indennità.

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        E' una novità storica dirompente che assegnava alla Chiesa un suo ruolo che non poteva più avere a che fare con il sopruso e con la sovrapposizione al potere civile e temporale. In Italia questa Rivoluzione risvegliò molte coscienze che arrivarono alla presa di Roma il 20 settembre 1870 con il Papa (Pio IX) finalmente chiuso in Vaticano impossibilitato, apparentemente, a nuocere ancora. Poi venne il Fascismo che restituì alla Chiesa ogni potere, evento che ci fa ancora ritrovare tra le nazioni più arretrate del mondo per diritti civili ... paghiamo la mania di potere di 4 sciocchi politici, ignoranti della storia ed incapaci di vedere oltre i poveri fatti contingenti. Abbiamo così una Chiesa ancora oppressiva e rapace che si sovrappone ad ogni esigenza di avanzamento politico e sociale del Paese.

Roberto Renzetti

NOTE

(1) Fornisco alcune date di eventi di vario tipo che interessano il seguito della storia e per situare la vita e la vicenda di Bruno:

1504 - Il Napoletano passa dalla Francia alla Spagna.

1511/1516 - Elogio della follia e Nuovo Testamento di Erasmo.

1517 - prende il via la Riforma di Lutero (inizialmente contro il mercato delle indulgenze);

1519/1556 - Carlo V imperatore.

1527 - Truppe di Carlo V (i lanzichenecchi) saccheggiano Roma.

1529 - La Chiesa incorona Carlo V imperatore e da questo momento  diventa dipendente dalla Corona di Spagna.

1536 - inizia l'opera di Calvino;

1542 - Paolo III  riordina l'Inquisizione affinché sia più efficiente contro gli eretici;

1543 - Viene pubblicato il De Revolutionibus orbium coelestium di Copernico.

1545 - inizia il Concilio di Trento e la Controriforma;

1548 - Nasce Filippo (poi chiamatosi Giordano) Bruno;

1556/1598 - Felipe II re di Spagna.

1559 - si pubblica il primo Index librorum prohibitorum e tra gli autori proibiti vi sono: Dante, Boccaccio, Tasso, …

1562 - i cattolici massacrano la comunità protestante di Vassy;

1563 - termina il Concilio di Trento;

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1567 - Tommaso (che aveva realizzato la ciclopica operazione di raccordo tra la filosofia e cosmologia aristoteliche con le dottrine della Chiesa di Roma) viene nominato, da Papa Pio V, Dottore della Chiesa;

1572 - i cattolici massacrano i protestanti Ugonotti nella Notte di S. Bartolomeo;

1587 - Elisabetta I di Inghilterra fa uccidere la cattolica Maria Stuart;

1588  - Papa Sisto V fornisce ancora maggior potere all'Inquisizione;

1589 - Enrico III di Francia viene assassinato.

1596 - Kepler pubblica Mysterium Cosmographicum

(2) La mnemotecnica è in breve l'arte di sviluppare la memoria. In un'epoca in cui circolavano pochissimi libri stampati era molto difficile ritenere a memoria tutto ciò che serviva per elaborare uno scritto, uno studio, un confronto d'idee. Era di grandissima importanza trovare metodi che permettessero di ricordare il massimo delle conoscenze. Occorre fare attenzione a questo perché sarà uno degli argomenti che aleggerà intorno a Bruno come se questa abilità fosse associabile alla magia.

(3) La denuncia di Mocenigo venne fatta in tre scritti del 23, 25 e 29 maggio. Riporto i principali passi (citati da Ciliberto):

[23 maggio] Io ... dinunzio ... aver sentito a dire a Giordano Bruno nolano, alcune volte che ha ragionato meco in casa mia: che è biastemia grande quella de cattolici il dire che il pane si transustanzii in carne; che lui è nemico della Messa; che niuna religione gli piace; che Cristo fu un tristo, e che se faceva opere triste di sedur populi, poteva molto ben predire di dover esser impicato; che non vi è distinzione in Dio di persone, e che questo sarebbe imperfezion in Dio; che il mondo è eterno, e che sono infiniti mondi, e che Dio ne fa infiniti continuamente, perché dice che vuole quanto che può; che Cristo faceva miracoli apparenti e ch'era un mago, e così gli apostoli, e ch'a lui darla l'animo di far tanto, e più di loro; che Cristo mostrò di morir mal volentieri, e che la fuggì quanto che puoté; che non vi è punizione di peccati, e che le anime create per opera della natura passano d'un animal in un altro; e che come nascono gli animali brutti di corruzione, così nascono anco gli uomini, quando doppo' i diluvii ritornano a nasser. Ha mostrato dissegnar di voleri farsi autor di nuova setta sotto nome di nuova filosofia; ha detto che la Vergine non può aver parturito, e che la nostra fede cattolica è piena tutta di bestemie contro la maestà di Dio; che bisognarebbe levar la disputa e le entrate alli frati, perché imbratano il mondo; che sono tutti asini, e che le nostre opinioni sono dotrine d'asini; che non abbiamo prova che la nostra fede meriti con Dio; e che il non far ad altri quello che non voressimo che fosse fatto a noi basta per ben vivere; e che se n'aride di tutti gli altri peccati; e che si meraviglia come Dio supporti tante eresie di cattolici. Dice di voler attender all'arte divinatoria, e che si vuol far correre dietro tutto il mondo; che S. Tomaso e tutti li dottori non hanno saputo niente a par di lui; e che chiariria tutti i primi teologhi del mondo, che non sapriano rispondere.

[29 maggio] ch'usa adesso la Chiesa, non è quello che usavano gli apostoli ... ; che questo mondo non poteva durar così, perché non v'era se non ignoranza, e niuna religione che fosse buona; che la Cattolica gli piaceva ben più de l'altre, ma che questa ancora avea bisogno di gran regole; e che non stava bene così, ma che presto il mondo averebbe veduto una riforma generale di se stesso, perché era impossibile che durassero tante corruttele; e che sperava gran cose su'l re di Navarra, e che però voleva affrettarsi a metter in luce le sue opere e farsi credito per questa via, perché

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quando fosse stato tempo voleva esser capitano; e che non sarebbe stato sempre povero, perché averi a goduto i tesori degli altri. Mi disse anche in proposito del non saper di questi tempi, che, adesso che fiorisse la maggior ignoranza che abbi avuto mai il mondo, si gloriano alcuni di aver la maggior cognizione che sia mai stata, perché dicono di saper quello che non intendono, che è che Dio sia uno e trino, e che queste sono impossibilità, ignoranze e bestemie grandissime contro la maestà di Dio ... Ed in altro proposito mi disse che sicome riputava per altro saviissima questa republica, così non poteva fare che non la dannasse a lasciar così richi i fratti; e che doveriano fare, come hanno fatto in Francia, che le entrate dei monasterii se le godano i nobili, e li fratti mangiano un poco di prodo; e che così sta bene, perché quelli che entrono frati al dì d'oggi, sono tutti asini, a' quali il lasciar goder tanto bene è grandissimo peccato.

(4) La denuncia di Fra Celestino da Verona:

Dicit se deponere contra Iordanum, quia suspicatur se calumniose delatum fuisse ab ipso, et detulit omnia contra Iordanum in scriptis. Detulit Iordanum dixisse

1. Che Cristo peccò mortalmente quando fece l'orazione nell'orto recusando la volontà del Padre, mentre disse: Pater, si possibile est, transeat a me ealix iste.

2. Che Cristo non fu posto in croce, ma fu impiccato sopra dui legni a modo d'una crozzola, che allora si usava, e chiamavasi forca.

3. Che Cristo è un cane becco fottuto can: diceva che chi governava questo mondo era un traditore, perché non lo sapeva governar bene, ed alzando la mano faceva le fiche al cielo.

4. Non ci è Inferno, e nissuno è dannato di pena eterna, ma che con tempo ognuno si salva, allegando il Profeta: Nunquid in aeternum Deus irascetur ?

5. Che si trovano più mondi, che tutte le stelle sono mondi, ed il credere che sia solo questo mondo è grandissima ignoranza.

6. Che, morti i corpi, l'anime vanno trasmigrando d'un mondo nell'altro, dei più mondi, e d'un corpo nell'altro.

7. Che Mosè fu mago astutissimo e, per essere nell'arte magica peritissimo, facilmente vinse i maghi di Faraone; e ch' egli finse aver parlato con Dio nel monte Sinai, e che la legge da lui data al popolo Ebreo era da esso imaginata e finta.

8. Che tutti li Profeti sono stati uomini stuti, finti e bugiardi, e che perciò hanno fatto mal fine, cioè sono stati per giustizia condannati a vituperata morte, come hanno meritato.

9. Che il raccomandarsi ai Santi è cosa redicolosa e da non farsi.

10. Che Cain fu uomo da bene, e che meritamente uccise Abel suo fratello, perché era un tristo e carnefice d'animali.

11. Che, se sarà forzato tornar frate di S. Domenico, vuol mandar in aria il monasterio dove si troverà, e, ciò fatto, subito vuol tornare in Alemagna o in Inghilterra tra eretici per più comodamente vivere a suo modo ed ivi piantare le sue nuove ed infinite eresie. Delle quali eresie intendo produrre per testimoni Francesco Ieronimiani, Silvio canonico di Chiozza e fra Serafino dell'Acqua Sparta.

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12. Quel c'ha fatto il breviario, ovvero ordinato, è un brutto cane, becco fottuto, svergognato, e ch'il breviario è come un leuto scordaato, e ch'in esso molte cose profane e fuori di proposito si contengono, e che però non è degno d'esser letto da uomini da bene, ma dovrebbe essere abbrugiato.

13. Che quello che crede la Chiesa, niente si può provare.

Allegat in contestes fratrem Iulium de Salò, Franciscum Vaia et Mathaeum de Orio, concarceratos.

Le denunce 2, 5 e 6 erano state fatte anche da Mocenigo. Tutte le altre permisero di arricchire i capi di imputazione delle seguenti voci:

[11]. Di aver sostenuto che Cristo abbia peccato (cfr. n. 1).

[12]. Di avere opinioni erronee sull'Inferno (cfr. n. 4).

[13]. Di avere opinioni erronee su Caino ed Abele (cfr. n. 10).

[14]. Di aver parlato male di Mosè (cfr. n. 7).

[15]. Di aver parlato male dei Profeti (cfr. n. 8).

[16]. Di aver negato attendibilità ai dommi della Chiesa (cfr. n. 13).

[17]. Di aver riprovato il culto dei Santi (cfr. n. 9).

[18]. Di aver parlato con spregio del breviario (cfr. n. 12).

[19]. Di essere blasfemo (cfr. n. 3).

[20]. Di avere prave intenzioni, qualora fosse costretto a rientrare nel suo Ordine (cfr. n. 11).

(5) Tre giorni dopo il suo arrivo vi fu un episodio nel convento che lo vide imputato poi assolto. Il Padre Generale del convento fu violentato da vari frati. Poiché Campanella era appena arrivato si sospettò di lui ma, come annunciato, fu scagionato.

(6) Nelle segrete del Maschio Angioino vi era anticamente un deposito per il grano che fu trasformato in prigione. Narra la leggenda che i prigionieri ivi rinchiusi scomparivano all’improvviso; fu allora predisposto un controllo maggiore e si venne a conoscenza della presenza di un coccodrillo che entrava da un’apertura nella parete, azzannava i prigionieri e li trascinava con sé in mare. Appurato il fatto, si decise di dare in pasto al coccodrillo tutti i prigionieri che si voleva eliminare senza far sapere niente. Quella prigione fu chiamata fossa del coccodrillo. Questa fossa è oggi localizzata in Castel Nuovo, nel Maschio Angioino ma Luigi Firpo la localizza in Castel Sant'Elmo e la descrive nel modo seguente: "Si tratta di un vano cieco , cui si scende per 24 scalini, immerso nelle tenebre; alle pareti di pietra, lungo le quali l'umidità stilla di continuo, il prigioniero viene ferrato mani e piedi; dorme su un giaciglio di paglia fradicia e solo per mezz'ora al giorno gli vien dato un poco di lume per la lettura del breviario; per cibo riceve immondi rifiuti".

(7) Il pazzo non poteva essere messo a morte perché, dato il suo stato di non essere in sé, non avrebbe avuto la possibilità di pentirsi. Senza questo pentimento si sarebbe persa la sua anima e

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questo peccato sarebbe ricaduto sul capo dei giudici. Ammazzando invece una persona savia che non si pente è solo lui il responsabile della sua morte e dannazione.

(8) Giorno 4 di giugno 1601, a Napoli, nel regio Castel Nuovo, al cospetto dell’illustrissimo signor Jacopo Aldobrandini, vescovo di Troia, nunzio apostolico in questo regno, dell’illustre e reverendissimo signore don Benedetto Mandina, vescovo di Caserta, e del reverendissimo signor Ercole Vaccari, protonotario apostolico e vicario generale di Napoli, giudici delegati nonché di me notaio. Alonso Martinez, carceriere delle prigioni del Castel Nuovo, per ordine dei Signori predetti condusse alla loro presenza fra Tommaso Campanella, il quale, ritto in piedi di fronte ai Signori, essendo stato invitato a giurare di dire la verità, non volle farlo, dicendo invece: «Il Signore Iddio lo ha giurato. Accorri in mio soccorso!». E così i Signori ammonirono lo stesso fra Tommaso a voler smettere la simulazione di follia e di insipienza, perché era ormai giunto il momento di ravvedersi, altrimenti sarebbe andato incontro a grossi guai.Rispose: «Diece cavalli bianchi».E venendo interrogato dai Signori su molti altri punti, sempre rispose in modo incongruente.Allora i Signori giudici, dando esecuzione alla lettera dell’illustrissimo e reverendissimo signor Cardinale di Santa Severina datata da Roma il 24 marzo prossimo passato, allo scopo di mettere alla prova la simulazione predetta, ordinarono che lo stesso fra Tommaso venisse sottoposto al supplizio chiamato "la veglia", cioè posto su un supporto di legno, sopra del quale venne legato; e mentre si cominciava a legarlo disse: «Legatimi bene. Vedete che mi stroppiati. Ohimè, Dio! Ohimè, Dio!». E fu legato a sedere su quel supporto detto "il cavallo", con le mani dietro le spalle, appeso alla fune della tortura, ed era l’undicesima ora.Interrogato daccapo a deporre la simulazione, invocò a gran voce: «Monsignor, non vi ha fatto dispiacere! Biàsciami, che sono un santo!»; e diceva: «Sono santo! abbi pietà! ohimè, Dio, che son morto! ohimè, Dio, frate mio! Io letto mio! Marta e Madalena! ohimè, cor mio! E come mi strengano forte le mani! Oh, che son santo e non ho fatto male e son patriarca! Aiutami, che moro! Mi se’ parente e mi fai queste cose? oh, mamma mia!, oh, misericordia! oh, Cristo mio! E l’altra notte fra Dionisio mi portò lo breve de la Cruciata e non me lo volete dare mo. Ohimè, Dio! E come mi strengio forte! io mi stroppio», e spesso, gridando, diceva: «Ohimè!».E sottoposto al supplizio predetto diceva: «Ohimè, dove sono li soldati miei che mi aiutano? Venite, venite, frate mio! Fra Silvestro fu e non fui io, non fici niente io, che ho fatto la Biblia. Non, per Dio, fui io! Ohi, che moro e bruscio! Non, per Dio, fui io! Aiutatemi, frate mio, che casco!».Interrogato a smettere la simulazione, diceva: «Ohimè, frate mio, chiamate pàtrimo! [si riferisce al padre, Gerolamo, ndr] Mi spogliaro. Non mi ammazzate!»; e mentre diceva queste cose disse: «Stoiàtimi lo naso», il che venne fatto; e poi diceva: «Per Dio, non fui io, fu fra Silvestro»; e rivolto al signor Vicario di Napoli diceva: «Sì l’arciprete. Lassatimi stare, che vi do quindici carlini. Per Dio, che non fici niente!».E venendogli detto di deporre del tutto la sua simulazione, disse: «Ohimè!». E dopo esser stato legato per i piedi diceva: «Ohimè, che mi ammazzati!».E venendogli detto di smettere la simulazione, disse: «Non, frate! non, frate! ohimè, che son morto! Mille e seicento»: e venendo toccato dall’aguzzino, strillò dicendo: «Non mi toccare, che sii squartato! Mo me ne vado, frate!».E ripetutamente ammonito dai Signori a deporre la simulazione, diceva: «Ohimè, che son morto!». E avendo udito il suono delle trombette delle triremi attraccate al molo presso il Castel Nuovo, diceva: «Sonate, sonate! Son ammazzato, frate!».E ammonito a voler smettere la simulazione, vedendo aperta la porta della camera, diceva: «Aprimi!» e, rivolto all’aguzzino, diceva: «Eh, frate! eh, frate!».E venendogli detto di deporre la simulazione, non rispose alcunché, ma per un certo spazio di tempo rimase taciturno a capo chino; e poi, toccato dall’aguzzino, si volse verso di lui e disse: «Eh, frate!» e continuò per la durata di un’ora a rimanere col capo e il busto chinati.E venendogli detto di voler deporre di fatto la simulazione, non rispondeva cosa alcuna.

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E più volte interrogato se voleva scendere, perché sarebbe stato sciolto se aveva intenzione di giurare e di rispondere formalmente alle domande che gli sarebbero state proposte, giù altre volte formulate o da formulare, fece solo un cenno col capo, ma rifiutò di dare una risposta per il sì o per il no.E poiché diceva: «Mo mi piscio» e voleva esser calato a tale effetto, venne calato; e poi disse: «Mo mi caco», e venne tradotto alla latrina, per esser poi condotto al cospetto dei Signori.E interrogato dai Signori circa il suo nome, rispose: «Mi chiamo fra Tommaso Campanella».Interrogato circa la sua patria d’origine e la sua età, non diede alcuna risposta alle domande.Allora i Signori ordinarono che lo stesso fra Tommaso Campanella venisse sottoposto al supplizio predetto, e come vi fu collocato e sistemato nel modo predetto, ecco che diceva: «Mo mi ammazzati, ohimè, ohimè!» e tacque.Interrogato a smettere la simulazione, non rispose alcunché alle domande, ma poiché l’aguzzino gli diceva: «Non dormire!», egli, rivolto a lui, rispondeva: «Sedi, sedi alla seggia, taci, taci».E quando l’aguzzino gli parlava, rispondeva: «Zitto, zitto, frate mio!».E avendolo invitato i Signori a rispondere alle domande, cioè quale fosse la sua patria d’origine e quale la sua età, rispose: «Aiutami, frate!» e tacque.E avendogli detto i Signori di smettere la pazzia e di rispondere alle domande, non diede nessuna risposta alle interrogazioni, e taceva.Ed essendo stato ammonito più volte a voler deporre la follia e a rispondere alle domande, benché più volte interrogato, non diede alcuna risposta, e taceva.E dopo essere rimasto sotto il suddetto tormento senza interruzione ed essendo la ventiquattresima ora, uno dei Signori lo invitò a chiedere qualcosa ai Signori, ma egli, scuotendo il capo, diceva: «Ohimè, ohimè!» e tacque.E i signori gli dissero di smettere la pazzia e di rispondere alle domande, e lui, fissando i Signori, gridava dicendo: «Ohimè!».E come fu sonata la prima ora di notte, gli fu detto dai Signori di smettere e di rispondere alle domande circa la sua età e la sua patria d’origine, ed egli guardava i Signori, e gridò: «Non fati, che ti sono frate!» e tacque.E venendogli detto dai Signori di voler finalmente smettere la follia e di rispondere alle domande, disse: «Dàtimi da bere», e così gli fu dato da bere, e poi gridò, dicendo: «Aiutami, gioia mia!».E ammonito ripetutamente dai Signori a voler deporre la pazzia e quindi a rispondere puntualmente alle domande, taceva, ma sembrava in grado di capire e percepire con attenzione le parole che gli erano dette e i richiami a lui formulati, e poi diceva: «Cicco vono l’ammazzò».E intanto batté la seconda ora di notte, e gli fu detto di smetter la pazzia e di dire la sua età e patria, e non dava nessuna risposta alle domande, ma diceva: «Oh, Iddio, non mi ammazzati, frate mio!» e fissava quanti stavano attorno.E interrogato perché manifestasse la propria patria, e se era laico o religioso, disse alcune parole incongruenti, e poi diceva: «Sono de Stilo, e sono frate dell’ordine di San Domenico e da messa»; e disse queste cose dopo molte, anzi moltissime ammonizioni, e diceva anche: «Fici lo monastero di Santo Stefano con tre monaci, e presi l’abito alla Motta Gioiosa, dove è Lucrezia mia sorella e Giulio mio fratello», e tacque.Poi diceva: «Mia sorella si chiama Emilia, figlia di mio zio, e io la maritai».E poiché chiede da bere, dicendo: «Dàtimi a bevere vino», gli fu dato da bere del vino. E poi diceva: «Ohimè, tutto mi doglio!».E interrogato più volte, non rispondeva alle domande, ma diceva: «Zitto, frate mio!».E venendogli detto di rispondere a quanto gli viene proposto, smettendo la pazzia, diceva: «Ohimè, non mi ammazzati! tu mi se’ frate».E venendogli detto di smettere la pazzia e di rispondere a quello che gli si diceva, non dava alcuna risposta alle domande, ma riguardava gli astanti volgendosi ora qua e ora là, dicendo: «Son morto! non mi ammazzati! chiamàti pàtrimo!» e di tanto in tanto diceva: «Zitto, frate mio!» e altre cose senza senso.

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Ed essendo stato richiamato lungo l’intero corso della notte col dirgli: «Fra Tomasi Campanella, che dici? non parli?», non diceva cosa alcuna, ma rimase sempre sveglio, guadando qua e là, essendo state accese le candele.E spuntato che fu il giorno, aperte le finestre e spenti i lumi, dato che detto fra Tommaso Campanella se ne stava in silenzio, gli fu detto di smettere la pazzia, e di parlare, e di chiedere qualcosa; e lui rispondeva: «Moro, moro!».E venendogli detto di smettere la pazzia e di dire quando e da chi venne catturato e per qual causa, rispondeva: «Son morto, son morto non posso più, non posso più per Dio!» e tacque.Interrogato a smettere la pazzia e a rispondere a quanto gli viene detto, rivolto verso chi lo interrogava, diceva: «Moro, moro!».E poiché sembrava sul punto di svenire, i Signori ordinarono di calarlo dal supplizio predetto e di farlo sedere, e così fu fatto, e stando seduto diceva di voler orinare, e venne tradotto alla latrina esistente vicino alla stanza della tortura: e poco dopo suonò l’undicesima ora.E dato che chiedeva delle uova, i Signori ordinarono di dargliele, e così gli furon date tre uova da bere; e alla domanda se volesse bere rispondeva di sì, e così al predetto fra Tommaso venne dato da bere del vino; e avendo detto che si sentiva morire, i Signori gli domandarono se voleva confessare i propri peccati, e rispose di sì e che venisse chiamato un confessore, che però non venne chiamato perché si riebbe.E avendo i Signori ordinato di tornare a sottoporlo al predetto supplizio, rispose: «Lasciatimi stare!».E venendogli domandato perché avesse tante preoccupazioni per il corpo e nessuna per l’anima, rispose: «L’anima è immortale».E volendo gli aguzzini ricollocarlo al supplizio, diceva: «Aspettàti, frate mio», e venne così risistemato nel modo predetto, senza che dicesse una parola.E dopo essere rimasto sotto il tormento in atteggiamento quieto e silenzioso, disse poi all’aguzzino di spostare più in alto la fune che gli legava i piedi, perché se li sentiva in fiamme, e i Signori ordinarono che si facesse quanto chiedeva, e così continuò a starsene tranquillo.Interrogato dai Signori se volesse dormire, rispose di sì.E venendogli detto di rispondere alle domande, perché avrebbe avuto agio di dormire, non diede risposta.E sotto al tormento gridava, dicendo ripetutamente: «O mamma mia!».E dopo la quindicesima ora diurna, con l’occasione della chiamata di fra Dionisio Ponzio per interrogarlo sul riconoscimento di un certo memoriale da lui presentato, i Signori ordinarono al detto fra Dionisio di rivolgersi a detto fra Tommaso posto sotto il tormento e di convincerlo a voler rispondere formalmente alle domande che gli venivano poste e gli sarebbero state poste in futuro, allo scopo di evitare il supplizio, che per lui era del tutto senza scopo, e che senza fallo il sant’Uffizio avrebbe trovato il modo di avere le sue risposte con qualunque mezzo; il quale fra Dionisio svolse quel compito con buona diligenza e modi affettuosi, e discusse e dibatté con lui la questione proposta; e a lui disse che intendeva rispondere alle domande che i Signori gli avrebbero fatte; e allo stesso fra Tommaso fu concesso di venir calato dal supplizio e di rifocillarsi con cibo e bevanda, e per di più gli fu permesso di recarsi alla latrina in compagnia del predetto fra Dionisio; nel che si consumò lo spazio di oltre un’ora, e poi i Signori ordinarono che si sedesse su uno sgabello vicino al tavolo e lo esortarono a volersi ravvedere, visto che era ormai stremato dalle torture, e a rispondere in forma legale alle domande già fatte e da farsi.E in modo particolare che narri in qual modo si trovi detenuto in questo Castello. Rispose: «Che voliti da me?».E i Signori, rendendosi conto del fatto che detto fra Tommaso forniva solo parole, ordinarono di ricollocarlo sotto il tormento; e lui, così sistemato, mostrò all’evidenza di non sentire alcun dolore, e non diceva verbo.E visto che detto fra Tommaso Campanella se ne stava sempre in totale silenzio, non faceva il minimo movimento e sembrava che non sentisse alcun dolore, e dato che altro non si poteva cavare

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da lui, che di tanto in tanto ripeteva: «Moro, Moro!», i Signori ordinarono di farlo scendere con delicatezza dal supplizio predetto, di ridurgli le lussazioni, di rivestirlo e di ricollocarlo nella sua cella, dopo che era rimasto sotto al predetto tormento per circa trentasei ore, e così fu fatto, non senza però la formale protesta ecc.

Giovan Cammillo Prezioso,notaio e mastrodatti delle cause della Santa Fedenella Curia arcivescovile di Napoli.Deposizione di un aguzzino

Il 20 del mese di luglio 1601, in Napoli, al cospetto dell’illustrissimo e reverendissimo signore don Benedetto Mandina, vescovo di Caserta, giudice delegato alla presente causa, e di me notaio ecc. è stato interrogato Giacomo Ferraro della città di Trani, in età di anni, a suo dire, quaranta all’incirca, addetto alla Gran Corte della Vicaria, il quale, dopo essere stato invitato a giurare di dire la verità e dopo che ebbe giurato con la mano ecc., in qualità di citato a deporre venne interrogato sui punti seguenti,. e in primo luogo:Interrogato su «che parole si lasciò dire fra Tommaso Campanella dopo che fu sceso dal tormento della veglia, che li fu dato allo Castello Novo di questa città li giorni passati, e proprio del mese di giugno prossimo passato, che le voglia dire, dove le disse e chi fu presente che l’intese e possìo intendere».Rispose: «La verità è che, essendo io intervenuto come ministro de la Gran Corte de la Vicaria a dare tormento de la veglia a fra Tomaso Campanella predetto, dove io intervenni continuamente, avendomelo posto in collo per consegnarlo allo carceriero delle carceri di detto Castello Novo, e cacciatolo così in collo da la camera dove ebbe lo tormento fino a la sala Reale, detto fra Tomaso Campanella mi disse da sé le formate o simili parole: - Che si pensavano che io era coglione, che voleva parlare? - e a queste parole non ci fu nessuna persona presente, che l’avesse intese. E dopo consegnai lo detto fra Tomaso Campanella al carceriere e non intesi altro». Come sopra ha risposto su quanto sa, sul luogo e la data.E non essendosi potuto da lui ricavare altro, l’interrogatorio venne chiuso, dopo avergli intimato l’obbligo del segreto, sotto pena di scomunica; e avendo dichiarato di non saper scrivere, firmò per conseguenza con un segno di croce.

Il documento qui riportato è tratto da una raccolta pubblicata da Luigi Amabile in un’opera in tre volumi:Fra Tommaso Campanella, la sua congiura, i suoi processi e la sua pazzia, Morano, Napoli, 1882. 

(9) Die Jovis 25 Februarii 1616.

Ill.mus D. Cardinalis Millinus notificavi RR. PP. DD. Assessori et Commissario S.cti Officii, quod relata censura PP. Theologorum ad propositiones Gallilei Mathematici, quod sol sit centrum mundi et immobilis motii locali, et terra moveatur etiam motu diurno, S.mus ordinavit Ill.mo D. Cardinali Bellarmino, ut vocet_coram se dictum Galileum, eumque moneat ad deserendam dictam opinionem ; et si recusaverit parere, P. Commissarius, coram notario et testibus, faciat illi praeceptum ut omnino abstineat huiusmodi doctrinam et opinionem docere aut defendere, seu de ea tractare; si vero non acquieverit, carceretur.

Die Veneris 26 eiusdem.In palatio solitae habitationis dicti Ill.mi D. Card.lis Bellarminii et in mansionibus Dominationis Suae Ill.mae, idem Ill.mus D. Card.lis, vocato supradicto Galileo, ipsoque coram D. sua Ill.ma

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existente, in praesentia admodum R. P. Fratris Michaelis Ange!i Seghitii de Lauda, ordinis Praedicatorum, Commissarii generalis S.ti Officii, praedictum Galileum monuit de errore supradictae opinionis et ut illam deserat; et successive ac incontinenti, in mei etc. et testium etc., praesente etiam adhuc eodem Ill.mo D.Card.li supradictus P. Commissarius praedicto Galileo adhuc ibidem praesenti et constituto praecepit et ordinavit [proprio nomine] S.mi D. N. Papae et totius Congregationis S.ti Officii, ut supradictam opinionem, quod sol sit centrum mundi et immobilis et terra moveatur, omnino relinquat, nec eam de caetero, quovis modo, teneat, doceat aut defendat, verbo aut scriptis; alias, cantra ipsum procedetur in S.to Officio. Cui praecepto idem Galileus acquievit et parere promisit. Super quibus etc.Actum Romae ubi supra, praesentibus ibidem R.do Badino Nores de Nicosia in regno Cypri, et Augustino Mongardo de loco Abbatiae Rosae, dioc. Politianensis, familiaribus dicti Ill.mi D. Cardinalis, testibus etc.

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