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STREGHE ED ERETICI LE STREGHE E L'INQUISIZIONE : HORROR ET AMOR DIABOLICUS (1) LE FANTASIE PSICOPATICHE DELLE STREGHE di Paolo Aldo Rossi - Storia del pensiero Scientifico (Univ. di Genova) Articolo pubblicato per la prima volta sulla rivista Abstracta, n° 19 (ottobre 1987), pp. 34-41, riprodotto per gentile concessione dell'autore, che ne detiene i diritti. Riproduzione vietata. La maga Circe, dipinto di D. Dossi (1489 circa). La sopravvivenza, soprattutto nelle campagne, di riti e leggende pagane a sfondo magico contribuì a formare il fenomeno della caccia ossessiva ai presunti seguaci di Satana. Comincia una serie di interventi del prof. Paolo Aldo Rossi (Storia del Pensiero scientifico - Univ. di Genova - direttore scientifico di Airesis) volti a delineare una storia critica della stregoneria e dell'inquisizione. I diversi interventi saranno volti ad evidenziare le diverse radici - religiose, giuridiche, sociali, economiche - che porteranno all'evoluzione storica del fenomeno stregoneria ed alla sua sanguinosissima repressione. Una stagione della follia, quella della repressione e del massacro delle streghe, che costituisce una tra le più oscure pagine all'interno della storia della civiltà occidentale. 1

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STREGHE ED ERETICI

LE STREGHE E L'INQUISIZIONE : HORROR ET AMOR DIABOLICUS (1)

LE FANTASIE PSICOPATICHE DELLE STREGHEdi Paolo Aldo Rossi - Storia del pensiero Scientifico (Univ. di Genova)

Articolo pubblicato per la prima volta sulla rivista Abstracta, n° 19 (ottobre 1987), pp. 34-41, riprodotto per gentile concessione

dell'autore, che ne detiene i diritti. Riproduzione vietata.

La maga Circe, dipinto di D. Dossi (1489 circa). La sopravvivenza, soprattutto nelle campagne, di riti e leggende pagane a sfondo magico contribuì a formare il fenomeno

della caccia ossessiva ai presunti seguaci di Satana.

Comincia una serie di interventi del prof. Paolo Aldo Rossi (Storia del Pensiero scientifico - Univ. di Genova - direttore scientifico di Airesis) volti a delineare una storia critica della stregoneria e dell'inquisizione. I diversi interventi saranno volti ad evidenziare le diverse

radici - religiose, giuridiche, sociali, economiche - che porteranno all'evoluzione storica del fenomeno stregoneria ed alla sua sanguinosissima repressione. Una stagione della follia, quella della repressione e del massacro delle streghe, che costituisce una tra le più oscure

pagine all'interno della storia della civiltà occidentale.

Fra le componenti fondamentali della stregoneria europea emergono alcuni fatti universalmente accettati come definitori dell'ambito oggettuale della medesima, ossia il patto satanico, i malefici operati a danno dei singoli e della collettività, le riunioni

sabbatiche ed infine il volo notturno. Le ultime due caratteristiche compaiono in maniera omogenea ed uniforme in

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tutte le confessioni di tutti i processi europei per stregoneria. (Almeno a noi personalmente non risultano dei controesempi);

questo è un fatto che deve farci riflettere. Il mito del Sabba e del volo notturno, infatti, va addebitato o alla fantasia degli

inquisitori che 10 avrebbero comunicato alle imputate oppure deve essere in qualche modo inserito in un contesto esplicativo

che tenga conto degli aspetti più propriamente medico-psichiatrici del fenomeno, oltre che delle caratteristiche di

cultura materiale e spirituale, che analizzeremo in seguito. A nessuno dei coevi del periodo persecutorio, siano essi stati

difensori o detrattori della realtà della stregoneria, e mai venuto in mente di affermare che il volo notturno fosse una menzogna

intenzionale della strega, né tantomeno una invenzione dei giudici torturatori. Piuttosto essi si sono sforzati di dimostrare rispettivamente e in che modo questo fosse possibile, oppure

che l' esperienza del volo era riconducibile alla sfera onirica e/o psicopatologica. Con un buon senso che a molti dei nostri

studiosi contemporanei manca, tutti costoro tengono conto del fatto che la totalità delle accusate pur mostrando, a volte,

disaccordo su altri punti del rito e del culto diabolico, non mette mai in discussione la realtà dei convegni a cui esse si recano per

via aerea. L 'unico punto di discordanza è semmai quello se al Sabba ci si reca "in somnis" oppure "corporaliter", o per meglio dire se ci si va solo con l'anima o anche col corpo. La questione

è subito risolta: basta vegliare tutta la notte una strega, e se questa al mattino dichiara di essersi recata al Sabba allora vuol dire che vi si è recata solo "in spirito" (i più radicali detrattori e

difensori della realtà del Sabba prendono posizioni meno sfumate). Wier (1) dichiara che il volo e il Sabba sono soltanto

sogni, mentre il Bodin (2) e il Boguet (3) affermano che nel letto è rimasto solo un fantasma del corpo, a ciò composto da Satana medesimo per confondere il marito o i familiari della strega) .Al

di là della polemica che vede contrapposto l'ambiente inquisitoriale, che crede in un Sabba reale, ai pochissimi scettici

dell'epoca, che oppongono al Sabba tangibile una esperienza onirica e fantastica, valla pena di ascoltare le parole stesse delle streghe, le quali ammettono decisamente di recarsi al convegno

satanico "lassando a casa il corpo", oppure percepiscono l'andare in sogno come qualcosa di reale, una sorta di

sonnambulismo in cui il corpo è comunque avvertito come presente. (Non è un caso che per

gli Autori del Malleus Maleficarum (4) il sonnambulismo è assimilato ad altre manifestazioni diaboliche quali le trasformazioni sostanziali, il volo, l'ossessione ecc.).

In ogni caso i punti su cui non v'è alcun disaccordo nei referti delle streghe sono i seguenti: tutte ammettono di recarsi al Sabba in volo, di utilizzare a tal scopo unguenti adatti alla

bisogna, di cadere in una sorta di catalessi e di risvegliarsi nel luogo del convegno dove provano tutte una serie di esperienze o disagevoli o addirittura dolorose, dove avvertono le sensazioni amplificate ed infine dove tutto viene percepito in uno stato di

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disordine e di confusione.

Dichiarare che queste esperienze sono il prodotto della tortura ci semplificherebbe parecchio la vita, ma il fatto che sia il Sabba che il volo notturno fanno parte di una mitologia arcaica, che vengono descritti con assoluta uniformità e concordanza in

tutte le confessioni (sia spontanee che no) , che già sin dal periodo altomedievale si discuteva se fossero menzogne o sogni

(“innumera multitudo hac falsa opinione decepta" oppure "daemonum illusionibus et fantasmatibus seductae" si legge nel

Canon Episcopi) (5) ci costringe a tentare una strada più complessa. Al riguardo sono possibili due diverse ipotesi.

La prima, che molte streghe, essendo epilettiche o isteriche, potessero durante i momenti di crisi perdere i sensi, vivere

esperienze di sdoppiamento schizoide, cadere nel delirio tipico dell'istero-epilessia o in forme stuporose della schizofrenia

catatonica. La seconda che, data per certa e abituale la pratica dell'unzione prima del volo, si può ipotizzare una tossicomania per l'uso ripetuto di farmaci psicoanalettici o psicodislettici (la maggior parte delle "erbe delle streghe" contengono alcaloidi

adatti a provocare i fenomeni in questione) ..

Queste ipotesi non si escludono a vicenda e neppure escludono i referti ottenuti tramite l'interrogatorio con tortura. Tuttavia devono essere soppesate con una certa attenzione.

Riguardo alla prima ipotesi, va subito detto che non è possibile ridurre l'intero universo di queste manifestazioni

all'ambito della patologia, non foss'altro che per motivi statistici: un numero così elevato di malati di mente ci obbliga ad

"invertire” le linee di demarcazione fra la salute e la malattia, facendo della malattia mentale una sorta di "stato normale" dell'epoca. Inoltre le allucinazioni, anziché situarsi nella sfera individuale e privata, posseggono una consistenza culturale di

tipo collettivo (e, come sappiamo, non è del tutto rigoroso parlare di "inconscio e nevrosi collettive"). Infine bisogna cercare

di andare cauti nell'attribuire alla psicopatologia l'intera responsabilità delle forme "strane" della religiosità popolare o di aspetti del misticismo deviato. (Il termine "suggestione" abusato

dalla medicina del secolo scorso, ben lungi dallo spiegare qualcosa ha, al contrario, necessità di essere lui medesimo

spiegato) .

Ben diversa è la situazione quando si considerano la grande epidemia epilettica che dal 1350 in poi prende il nome popolare di "ballo di S. Vito" e la "grande histèrie" del XVI secolo, la quale

si manifestava, tra l'altro con deliri convulsivi e perdite della coscienza. Questi sono "fatti" che non possono venir

frettolosamente liquidati come "fantasie della psicoanalisi", ma afferiscono ad una ben precisa condizione "igienica" dell'Europa

dal XV al XVII secolo, così come le malattie scrofolose, le

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carenze ematiche, la peste, la lebbra e la sifilide.

Oltretutto già nella stessa epoca persecutoria vien fatta l'ipotesi che le streghe siano affette da "malattie mentali", anche se per la maggioranza di coloro che enunciarono tale tesi non fa

alcuna distinzione fra il crimine del pazzo e quello del sano di mente. Nonostante il delirio fosse riconosciuto come

manifestazione patologica, la sua causa era collocata non in ambito medico, ma in ambito etico; d'altra parte ciò non deve assolutamente meravigliarci se si pensa che in tutto l'arco di tempo che Va dalla riforma medica vesaliana alla rivoluzione harveiano-malpighiana, i problemi neuro-psichiatrici vengono

accuratamente evitati, in quanto sono fatti afferire alla morale e alla psicologia razionale.

Gli stessi Autori del Malleus Maleficarum dedicano un numero non indifferente di pagine alla discussione del tema del delirio e delle fantasie. AI riguardo Gregory Zilboorg nel suo Medical Men and the Witch during the Renaissance ricava dalla lettura del Malleus in

chiave psichiatrica la convinzione che «esso potrebbe, con qualche piccolo ritocco editoriale, servire da eccellente manuale

di" psichiatria clinica descrittiva del XV secolo: basterebbe sostituire alla parola strega la parola paziente ed eliminare il

demonio.

Non bisogna stupirsi che i demoni - si legge, infatti, nel Malleus Maleficarum - abbiano tali poteri, quando anche un

difetto naturale può portare allo stesso risultato, come si dimostra nel caso degli eccitati e dei melanconici, nei maniaci ed

in alcuni alcolizzati ...infatti gli eccitati credono di vedere cose prodigiose, come bestie ed altri orrori, quando in realtà non

vedono nulla».

Ammesso questo bisogna chiedersi se mai i Nostri si siano posti la domanda del perché i malati mentali siano tali?

Certamente! Essi, infatti rispondono togliendoci ogni dubbio:

«...a volte l'uso della ragione è completamente reso impossibile; e questo stato può essere esemplificato da certe persone come gli anormali, i pazzi e gli ubriachi. Non fa perciò

meraviglia che i demoni possano, col permesso di Dio, incatenare la loro ragione e difatti si dice che tali uomini

farneticano perché i loro sensi sono stati sottratti dal demonio». Sia come sia, essi ci avvertono che gli stregoni, anche se sono

riconoscibili come malati di mente, non vanno giustificati, dato che la loro malattia è opera del demonio cui il soggetto in esame

ha dato motivo e possibilità di agire:

«il demonio non può entrare in alcun modo nella mente e nel corpo dell'uomo, né ha il potere di penetrare i suoi pensieri se questo non s'è prima spogliato di tutti i pensieri santi, ed è del tutto cieco e privato di contemplazione spirituale» (ossia, detto

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in altre parole, quando è in peccato mortale)

La notte di Valpurga, incisione di A. Dürer (1471-1528) Non c'è da scandalizzarsi per questo, anzi bisognerebbe

superare l'astioso puerile disprezzo che ancor caratterizza parte della storiografia "laica e liberale" nei confronti della religione cattolica (responsabile secondo costoro, di buona parte delle ombre che gravano sulla nostra storia passata) e cercare di capire le ragioni effettive che hanno indotto a certe prese di

posizione della Chiesa. Nel caso presente va detto che davvero le streghe (o quantomeno la maggior parte di queste) erano

eretiche, miscredenti e sacrileghe, solo che alla luce delle nostre attuali conoscenze parleremmo piuttosto di "paranoia mistica" , di "psicosi schizofrenica " e di "nevrosi coatta " tutte cose che, ovviamente, afferiscono più alla psicopatologia che all'etica. Specie il caso della "nevrosi coatta" è riconoscibilissima nella pratica delle streghe di dileggiare la religione, di vilipendere i Sacramenti, di bestemmiare le cose più sacre. È caratteristica tipologica di questo genere di nevrotico (come ben sanno gli

odierni psichiatri) di rispondere alla repressione con la bestemmia, con la farsa del rito religioso, con il sacrilegio fatto

di nascosto e con tutta una serie di pulsioni emozionali contro le imposizioni. L'abitudine delle streghe di schernire il nome di Dio o di vilipendere l'Ostia consacrata, di rispondere alla Messa con formule blasfeme e di dileggiare i riti sacri fa pensare, data la

costanza e l'uniformità di tale atteggiamento, ad una sintomatologia di tal genere.

Per quanto riguarda, invece, la "paranoia mistica" e la "psicosi schizofrenica", non è difficile riconoscere nelle "sacerdotesse di Satana" lo sdoppiamento psicotico, le fantasie cannibaliche, la

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ninfomania e il delirio del possesso. Quando queste "devianze" si estendono in senso collettivo, allora si normalizzano in forme di liturgie e mitologie eretiche, credenze eterodosse, congreghe di minoranze anticonformiste. Oltre agli aspetti psichiatrici della stregoneria andrebbero presi in esame anche gli aspetti più

propriamente psicoanalitici, ma purtroppo questo è un terreno minato, denso di pericoli per lo storico che voglia improvvisarsi cultore di una disciplina che, oltretutto, resta ancora campo di battaglia di avverse e irriducibili fazioni. Sia come sia, anche se ci si accontenta di muoversi a livello di storia della psichiatria e

della medicina, si possono rilevare nelle tante demonologie dell'epoca, così come dai verbali dei processi, esempi e

descrizioni "cliniche" di non poche psicopatologie di origine, presumibilmente, sessuale. Il Malleus Maleficarum, così come la

Demonomanie del Bodin, il Discours execrable del Boguet, il Tableau de l'inconstance des mauvais anges del De L' Ancre (6) , il Disquisitionum magicarum libri sex di Del Rio (7) , sono altrettante miniere d'oro

per leggere in chiave "psicopatologica" le "devianze" delle streghe e le "nevrosi" degli inquisitori.

Ma ritorniamo al nostro problema, che è in definitiva di carattere medico più che psicologico,

Su un ben diverso piano infatti, può essere condotta l'indagine quando siano stati accertati gli agenti patogeni delle varie forme di malattia mentale rilevabili nella fenomenologia

dell'evento stregoneria. Certamente a forme, come le già ricordate nevrosi coatte e paranoie mistiche, bisogna rivolgersi tenendo costantemente d'occhio tutta una serie di condizioni culturali di ordine politico e sociale, ma quando si entra nel

campo dell'isteria, dell'epilessia, delle nevrosi depressive, dei deliri ossessivi, dell'alcolismo, delle tare demenziali ereditarie,

delle neuropatie ad eziologia tossica (alimentare e farmacologica) , allora la consistenza stessa del fenomeno si

impone con forza propria in termini squisitamente psichiatrici.

Tutte queste forme della malattia mentale sono perfettamente riconosciute dagli stessi Autori del Malleus, solo

che vengono dichiarate effetti dell'eresia e non loro causa.

In un solo caso essi danno l'impressione di credere il contrario:

«. ..un oggetto materiale può causare nel corpo umano una predisposizione che lo rende suscettibile alle operazioni

demoniache. Ad esempio secondo il parere di alcuni medici la mania predispone fortemente gli uomini alla demenza e

conseguentemente all'ossessione demoniaca: perciò se in un caso simile, l'agente passivo che induce la predisposizione viene rimosso, ne seguirà che l'afflizione attiva provocata dal demonio

sarà guarita».

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Una strega rende osceno omaggio al diavolo nel corso del sabba (dal Compendium maleficarum di Francesco Maria Guaccio, Milano 1626)

Impressione la nostra che svanisce di colpo, qualche riga dopo, allorché si legge che il rimedio adatto a rimuovere

l'agente passivo altro non è che un adeguato esorcismo. D'altra parte non c'è da farsene meraviglia in quanto qualche pagina prima, nel discutere se è lecito amministrare i Sacramenti agli indemoniati, i Nostri avevano già chiaramente avvertito che,

date certe particolari condizioni (che non staremo a ricordare), la cosa è lecita «per i battezzati che sono tormentati nel corpo

da immondi spiriti, così come verso gli altri dementi» .

Eccitati, melanconici, maniaci, alcolizzati, sadici e masochisti, ninfomani e frigide, isteriche, epilettici, nevrotici e psicotici

d'ogni genere; schizofrenici e paranoici, e financo i sonnambuli, i lunatici e i mitomani si trovano tutti descritti con dovizia di

particolari nel più famoso dei manuali di stregoneria. A quadri clinici descritti con rara perizia di osservatori corrisponde, però,

la solita diagnosi: possessione diabolica e quasi sempre l'estrema cura: il rogo. Moltissimi i sani di mente coinvolti nella

persecuzione da denunce e confessioni di folli. Essi sono sicuramente la maggioranza dei perseguitati, ma quando un

meccanismo come quello della caccia alle streghe è innescato, allora i confini fra il sano e il malato si abbattono. Dai verbali dei

processi non è molto difficile riconoscere gli uni dagli altri: il mitomane racconta spontaneamente ogni sorta di assurdità e trova sempre chi è disposto a credergli, il nevrotico, affetto da

isteria di conversione, dà segni tali di sopportare la tortura {anestesia isterica) che l'inquisitore non può che chiamare in

causa la protezione di Satana, allo stesso modo la sors silentii {il sortilegio per cui l'imputata si rifugiava in un irremovibile mutismo) è riconoscibile, secondo Zilboorg, nelle forme

stuporose della schizofrenia catatonica; lo psicotico alterna, durante l'interrogatorio e la detenzione, periodi di depressione, delirio e allucinazione {in moltissimi casi confessano che Satana

è li alloro fianco per consigliarli) ; lo psicotico paranoide dapprima accusa alcune persone di avergli gettato il malocchio o

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addirittura di averlo stregato, in seguito o mantiene il delirio di persecuzione o lo trasforma in mania di grandezza {e allora si

autoaccusa di essere il più eminente degli stregoni) .

Solo i "normali" {difficile era rimanerlo per tanto dopo l'arresto) negano coscientemente ogni addebito, entrano a testa alta in prigione, certi di potersi presto scagionare, convinti che

sia loro accaduto un increscioso incidente, insistono nell'autodifesa, chiamano a giuramento la Madonna e i Santi,

esibiscono prove della loro estraneità ai fatti di cui sono accusati, alla fine cedono alla tortura, ma scesi dal cavalletto

ritentano subito la difesa e ritrattano la confessione. In definitiva si comportano da "innocenti ". Certo la maggior parte di loro non

è accusata a torto: essi sono implicati in riti superstiziosi, procurano aborti, dispensano erbe medicamentose e veleni,

praticano la divinazione, procurano talismani e offrono la loro arte sia a chi vuole ottenere amore, sia a chi vuole placare

l'odio; ma si stupiscono di essere accusati di infamie e delitti inconcepibili.

Uno di questi casi, trattato dal Boguet, quello di Françoise Secretain, una mendicante di Coirière che sbarcava il lunario come guaritrice, fornitrice d'erbe e di talismani, impressionò

tanto il medico del Duca di Clèves, J. Wier, da indurlo a scrivere quello che è stato definito il primo manuale di psichiatria e cioè il De praestigis demonum. Questa donna, morta, presumibilmente di infarto, in carcere, dopo aver resistito in ogni modo alle accuse; mentre la sua compagna, Rolande de Vemois, confessava le più incredibili nefandezze, induce il Wier a rovesciare la posizione

tradizionale della Cultura dei suoi tempi nei confronti della relazione follia-eresia. Per la prima volta ci sentiremo dire:

"L' oggetto di questo mio libro è anche medico, in quanto dimostro che le malattie attribuite alle streghe provengono da

cause naturali. ..che il Diavolo si insinua nella loro fantasia, desta o addormentata, in varie forme ed apparizioni spettrali

muovendo i loro umori e i loro spiriti vitali ...mentre le loro menti sono ferite, turbate e sconvolte da fantasmi e apparizioni in

cervelli già istupiditi dalla melanconia e dai suoi vapori. ..cosicché esse osano giurare sulla vita che hanno visto o

fatto cose che non sono mai accadute in natura».

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Il diavolo si impadronisce dell'anima di una donna di poca fede (incisione del 1517). Gli inquisitori Spenger ed

Institor arrivarono ad affermare che il termine "...femina viene da fe e minus, perché essa sempre ha ed è capace di

conservare minore fede".

E’ il 1563, il periodo dell'inizio della più terribile delle ondate persecutorie e l'opera del medico tedesco,

che chiedeva cure cliniche al posto dei roghi, sarà bandita come la più perniciosa delle astuzie sataniche. Mentre il

calvinista Daneau e il cattolico Bodin riuscivano a

rovinare la carriera e la reputazione di Wier, la sua opera faceva proseliti ed

inseriva nella cultura europea il dubbio che la

stregoneria altro non fosse che il frutto della fantasia

malata di individui: «bisognosi - a detta di Pietro

d'Abano, Agostino Nifo e Michel de Montaigne - più

dell'elleboro che del fuoco». Al più attivo dei seguaci di

Wier, quel Regjnald Scot che meritò in risposta al suo

scetticismo nientemeno che un'opera polemica firmata

dal suo Sovrano, Giacomo VI di Scozia (8) , si oppose

anche il reverendo Perkins il quale accampò, tra tante insulsaggini, una ragione

intelligente

Contro l'opinione che le streghe "fossero delle vecchie dal cervello debole", obiettò che se fosse vero che queste sono delle psicopatiche, allora ognuna di esse avrebbe una sua personale allucinazione, mentre si rileva, da tutti i processi, una singolare

uniformità di prassi e di teoria demonologica.

L'unica risposta a questa obiezione (come già abbiamo premesso all'inizio) è quella di complementare l'ipotesi della

follia con quella della tortura e dell'uso delle droghe allucinogene, e, in altre parole, di giustificare l'omogeneità delle

descrizioni del sabba volo notturno attribuendole in parte a ragioni di ordine culturale \il mito contadino della fertilità) ,

giuridiche (la stereotipia dei procedimenti inquisitori), dottrinario (la mitologia cristiana dell'angelo ribelle), psicologico

(l’endemicità di alcuni disturbi mentali ad origine psicogena oppure organica e farmacologica: l'uso ripetuto di erbe

"medicinali" contenenti alcaloidi ad effetto psico-dislettico o psicoanalettico),

Se aggiungiamo a queste caratteristiche della fenomenologia

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della mentalità magico-diabolica le ragioni di ordine ambientale (l'habitat geografico, etnico e antropologico); socioeconomico e politico, legate al problema della genesi della stregoneria, allora

potremo approssimarci in modo, a nostro avviso, abbastanza soddisfacente, a quella costruzione,di un universo d'oggetti della teoria storiografica sulla stregoneria che, tenteremo, nel corso

dei prossimi interventi, di mettere in cantiere.

Note:

(1) Giovanni Weyer o Wier (1515-1588), medico renano, allievo dell’occultista Cornelio Agrippa. Nei suoi scritti, tra cui il De praestigiis daemonum (1563) sostenne che i crimini imputati alle streghe erano

immaginari e che tali donne, invece di essere imprigionate, torturate e bruciate, dovevano essere affidate alle cure di un buon medico.

(2) Jean Bodin (1529 o 1530- 1596), professore di diritto romano. Portatore di un’ideologia preilluministica della tolleranza. Bodin pubblicò nel 1580 il trattato De la Demonomania des sorciers, nel quale, rovesciando incredibilmente

le proprie posizioni tolleranti, sostenne la legittimità di un implacabile persecuzione delle streghe, codificandone metodi disumani.

(3) Henry Boguet, giudice in Borgogna, scrisse il Discours des sorciers (1601) per offrire ai tribunali, sulla base della propria esperienza, una serie di

consigli per rendere più spedite le procedure contro le streghe.

(4) Malleus Maleficarum (Il martello delle streghe) : manuale per la caccia alle streghe, scritto dai due inquisitori tedeschi Jakob Sprenger (1436 ca.-1495)

e Heinrich Institoris (1430 ca.-1505 ca.);È composto di tre parti: la prima dimostra l'esistenza delle streghe; la seconda espone, spesso in forma aneddotica, i poteri delle streghe e i possibili rimedi per contrastarli; la

terza tratta la procedura da seguire nei processi per stregoneria.

(5) CanonEpircopi: breve istruzione, destinata ai vescovi, sull'atteggiamento da assumere nei confronti dell'antica credenza nella "società di Diana "

(corteo di donne che durante la notte vola al seguito di Diana). Il Canon, che risale probabilmente al IX sec., nega la reale possibilità di tale volo

notturno, ritenendolo pura illusione. Nei secoli successivi, quando il volo notturno fu attribuito alle streghe quale mezzo per recarsi al Sabba, i "difensori" delle streghe tentarono invano di poggiare le proprie tesi

sull'autorità dell'antico documento canonico

(6) Pierre de Lancre, consigliere del Parlamento di Bordeaux. Unitamente al suo collega Jean d'Espagnet, il 18 febbraio 1609 fu incaricato da Enrico IV di

ripulire la zona del Labourd dai pericoli causati da streghe e stregoni. I processi da lui istruiti accesero centinaia di roghi e fecero scrivere: “ I

giudici sono talmente prevenuti che assai spesso spopolano regioni intere, sotto pretesto di purificarle e ripulirle da queste diffuse infezioni, arrivando

a bruciare quattrocento persone alla volta". .

(7) Martin Del Rio (1522-1608), gesuita belga, latinista di grande fama, fu autore del Disquisitionum magicarum libri sex, il prontuario inquisitoriale più usato

nel XVIII sec. (venti edizioni sino al 1755). L'attenzione di Del Rio è rivolta 10

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soprattutto al tema dell'unione sessuale tra demoni e streghe, del quale si teorizzano i dettagli più morbosi. Per le sue tesi allucinanti, Del Rio fu

ribattezzato dagli avversari "Martin Delirio". .

(8) Giacomo VI di Scozia, poi divenuto Giacomo I d’Inghilterra (1566-1625) pubblicò nel 1604 il trattato Demonologia, costruito in forma di dialogo tra

due personaggi, Filomato ed Epistemone, che dibattono le questioni inerenti la magia e la stregoneria.

HORROR ET AMOR DIABOLICUS (2)

L'UNGUENTO PER VOLARE AL SABBAdi Paolo Aldo Rossi - Storia del pensiero Scientifico (Univ. di Genova)

Hexensabbat, dipinto di F. Francken (1581- 1642). Le streghe vi sono rappresentate in abiti contadini, nell'atto di svestirsi per poi ungersi vicendevolmente, onde recarsi in volo al sabba. In terra, all'interno di un cerchio magico, sono disposti un rospo attraversato da

una freccia e la testa di un soldato decapitato.

Prosegue la serie di interventi del prof. Paolo Aldo Rossi sulla genesi e lo sviluppo della stregoneria in occidente. In questo secondo articolo si analizzano i collegamenti tra il volo

notturno per recarsi al sabba, di cui raccontavano le stesse “streghe”, e l’uso di unguenti dai possibili effetti allucinogeni.

“Unguento unguento, mandami alla noce di Benevento supra acqua e supra

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vento et supre ad omne maltempo”. (1)

Questa formula, universalmente conosciuta ed ossessivamente ripetuta in tutte le innumerevoli versioni dei

racconti sulle streghe che si davano convegno sotto il più celebre noce d'Europa, ha finito col rappresentare, nella

concisione del dettato stilistico popolare, l'immagine forse di maggior potenza evocativa del rituale preparatorio al volo

notturno.

Nonostante, però, che la credenza nelle streghe quali abili manipolatrici di erbe, filtri e veleni, capaci di procurare visioni o indurre eventi "innaturali" , fosse generalmente diffusa fin dall'

età classica, il collegamento fra il volo magico e l'unguento appare relativamente tardi o quantomeno nei documenti

cristiano-medievali sulla stregoneria si parla frequentemente del viaggio aereo, ma non si fa parola degli elementi tecnici che lo

precedevano e preparavano. "...certe donne scellerate, e seguaci di Satana – recita il Canon Episcopi - ingannate dalle illusioni e dalle seduzioni del diavolo, pretendono e dichiarano di cavalcare certe bestie, nella profondità delle ore notturne, insieme con la dea pagana Diana (o Erodiade) accompagnandosi ad una innumerevole folla di altre donne, e affermano di attraversare enormi

spazi di terra nel silenzio della notte. "(2)

A questo, che è il più antico documento ecclesiastico sulla stregoneria ed ha rappresentato per secoli una delle principali

basi dottrinali del Magistero circa tale argomento, ha contribuito, come si è già avuto modo di dire, a ritardare il periodo

persecutorio in quanto il suo dettato originario recitava in merito alla illusorietà e fantasticità del fenomeno, tanto da terminare con l'avvertimento che chiunque avesse, al contrario, creduto

nella realtà dell'operazione stregonesca: " ...procul dubio infidelis est et pagano deterior". In questa prospettiva era evidente che

l'interesse veniva spostato sull'agente principale dell'evento: Satana, maestro di illusioni, mentre le presunte streghe

venivano considerate semplicemente come sciagurate colpevoli del peccato di superstizione o, al più, come adoratrici dei

demoni pagani, ma non certamente come autentiche malfattrici capaci, oltretutto, di operare eventi straordinari quali la

traslazione aerea del proprio corpo attraverso enormi spazi in brevissimi tempi. Né la Chiesa, né lo Stato medievale credono

che le streghe siano davvero in grado di mettere in atto quanto affermano e difatti se andiamo a vedere la legislazione in merito ci rendiamo conto che il tono generale della cultura giuridica, sia

civile che religiosa, dell’Alto Medioevo è sostanzialmente conforme alla concezione che la stregoneria sia una forma perversa e ignorante della superstizione pagana e che di

conseguenza vada trattata come tale, e cioé corretta dalla Chiesa tramite prescrizioni di opportune reprimende penitenziali

e punita dal potere civile con pene pecuniarie e detentive, all’interno della tradizione, costituita da un magistero e da una

giurisprudenza che s’erano chiaramente espressi contro la realtà del Sabba, diventava estremamente difficoltoso perseguire il delitto di stregoneria a meno di dimostrare da un lato che i

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"canoni"' andavano interpretati diversamente e dall'altro che le streghe erano davvero in grado di recarsi al congresso notturno con mezzi straordinari e, giunte colà, congiurare con l'Avversario

per portare ogni sorta di delitto contro la società. Bisogna, però, attendere fino alla prima metà del XV secolo per trovare una trattazione completa ed articolata di tale

tematica. Il teologo spagnolo Alfonso Tostado, nella Quaestio XLVII dei Comentaria in Primam Partem Metthaei, riesce a mettere a fuoco il

tema basilare su cui incentrare la dimostrazione della realtà della stregoneria: il Canon Episcopi, se rettamente interpretato, dichiara la falsità della demonolatria delle streghe, ma non

quella del volo notturno o in altre parole le streghe seguono una falsa fede, ma operano autentici malefici, per cui conclude che: " ...Le malefiche donne, come anche gli uomini, compiute alcune nefande pratiche superstiziose e unzioni, vengono presi dai diavoli e trasportati attraverso luoghi

diversi. .." (3).

Rivoltata dunque, a favore della propria tesi la fonte più autorevole del magistero, grazie anche a tutta una serie di

citazioni testuali presenti nella Tradizione e nella Rivelazione: Gesù trasferito da Satana sul più alto pinnacolo del tempio, il volo del profeta Abacuc, Simon Mago trasportato per l'aria dai demoni e, naturalmente, tutta una serie di exempla tratti dalle Vite dei Santi, Tostado può tranquillamente affermare che non esistono più controindicazioni canoniche a parlare di trasporto

aereo delle streghe, mentre vi sono testimonianze dirette e ben documentate che lo confermano.

In questa nuova dimensione ideologica egli è anche il primo a parlare specificatamente dell'unguento: "Ci sono delle donne, quelle che noi chiamiamo streghe, che spergiurano di potersi recare in qualsivoglia

luogo. ..una volta cosparse con uno speciale unguento. ..E là si permettono ogni sorta di piacere" (4).

Il fatto interessante è che la maggior parte degli

assertori della realtà del volo, Tostado compreso, dichiarano anche di aver assistito personalmente

all'unzione e di aver potuto accertarsi che la strega

rimaneva nello stesso luogo dove s'era unta, cadendo in

una sorta di deliquio, seguito da un sonno

profondo, e svegliatasi avrebbe raccontato di aver

percorso spazi inimmaginabili.

Questo, comunque, non smuove minimamente la

loro convinzione nella realtà dell'evento dato che

spiegano il tutto con la

Il pasto delle streghe (da U. Molitor, De lamiis phitonicis mulieribus, Costanza 1489)

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teoria che le streghe si recano al Sabba lasciando a

casa un corpo (alcuni dichiarano che vanno al

"gioco" in ispirito ed altri, invece, ipotizzano la

sostituzione del corpo fisico con un fantasma, creato per ingannare i presenti).

Vi è anche chi attribuisce il volo al parto di fantasie malate (umori melanconici, debolezza propria del cervello femminile, follia...), ma costoro si sentono rispondere, e questa volta con

una certa ragione, che le alterazioni mentali sono rigorosamente soggettive, mentre la presunta "fantasia" in questione è

assolutamente omogenea in tutte le confessioni.

In ogni caso, quantomeno fino a Giovan Battista della Porta, a nessuno è mai venuto il sospetto che il tanto famigerato

unguento avesse a che vedere con la costante omogeneità della descrizione del volo. Se andiamo a leggere le tante "ricette" dell

'unguento, riportate in quasi tutti i manuali inquisitoriali o nei documenti letterari o giuridici, ci rendiamo conto di come

venisse sempre messa in rilievo la serie dei componenti orridi o grandguignoleschi: grasso di bambino non battezzato, sangue di

pipistrello, vipere, rospi, ossa di morti, sangue mestruale. .., mentre si accenna soltanto di sfuggita ad "erbe delle streghe"

non meglio identificate. Alla stessa stregua, anche i medici e gli scienziati più illuminati giungono fino a dissertare dei vari

aspetti psicopatologici nel comportamento della strega, tanto che Gregory Zilboorg (5) non ha forse visto male quando ha affermato che il De prestigiis daemonum di Johan Wier può essere

considerato il primo autentico manuale di psichiatria, ma, in ogni caso, nessuno è stato sfiorato dall'ipotesi che le cause

andassero ricercate in ambito fisiologico (quelle che noi oggi chiameremmo patologie organiche, carenze alimentari,

intossicazioni).

Lasciamo, quindi, parlare alcuni testi particolarmente illuminanti: " Accadde che una di queste donnicciole che affermano di far

parte di tale setta - scrive

Tostado nei Commentaria super Genesim - non essendo creduta dai presenti in merito a questo punto [ il volo ] ..fece alcuni segni particolari e si

cosparse con un unguento e immantinente giacque esanime. Quando dopo molte ore si riebbe, asserì di essere stata in questo o in quel luogo. ..Ma i presenti la contraddirono facendole notare che per tutto quel tempo era rimasta stesa a

terra e a prova di ciò le dissero che, per essere sicuri, l'avevano bastonata e le avevano procurato delle bruciature con il fuoco. Ma questa s'era svegliata senza

sentire ne il dolore delle ustioni ne la sofferenza delle bastonate. .." (6) e ancora, J. Nider narra nel suo Formicarius che il Padre

Domenicano, avendo sentito che una certa donna si vantava di esser trasportata di notte al Sabba, le propose di acconsentire a

che lui presenziasse l'evento onde poterne essere testimone: "giunto il giorno che la vecchia aveva fissato per la prova. ..presenziò

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l'avvenimento in compagnia di uomini degni di fede. La donna entrò in uno di quei recipienti in cui si suole fare la pasta e vi si accomodò,. dopo aver

pronunciato le formule malefiche si cosparse con un unguento e, subito, reclinato il capo si addormentò e, per opera del demonio, sognò con tanta intensità Venere e altre superstizioni sicché, con voce alterata, mandava grida di gioia e batteva

le mani come per applaudire, ma nel muoversi tanto scompostamente fece cadere dall’ alto sgabello il recipiente in cui sedeva. .." (7). L' esilarante comicità

del tutto, tipica peraltro del teatro medievale, non è minimamente rilevata dai due ecclesiastici tanto che invece di

dar adito ad uno scroscio di risate, provoca dottissime e pedanti argomentazioni circa gli inganni dei demoni.

Aguarda que te untex (Guarda che ti ungono) incisione di F. Goya: l'unguento trasforma all'istante le streghe in esseri bestiali che spiccano il

volo verso il sabba.

È invece Apistio, un personaggio della Strega di Giovan Francesco Pico della Mirandola ad esprimersi nel senso del

ridicolo" ...mi par cosa da ridere che fatto un circolo et untosi il corpo con esso uno unguento non so in che modo, e dette mormoran io non so che parole si

mescolino co i Demoni e che quelle ribalde cavalchino 'a notte quel legno si concia il lino o la canapa. .." (8) e, appena qualche decennio più tardi,

il grande giurista Andrea Alciati dopo aver celiato di un inquisitore operante nel comasco: " ...costui ne aveva arse moltissime,

certo più di cento, e ogni giorno le offriva, una dopo l'altra, come nuovi olocausti a Vulcano, non poche delle quali meritavano d'esser curate più con l'elleboro

che con il fuoco" e dopo aver dichiarato sarcasticamente: " ...perché non supporre che il malvagio demone se ne stesse con i suoi demoni, mentre

quella [la strega che si recava al gioco lasciando un fantasma nel letto] con suo marito? Perché immaginare un corpo vero in un sabba fasullo ed un corpo fasullo in un letto vero?" termina acidamente: "...alcuni teologi,

moderni si sforzano di ribattere a quel testo [il Canon Episcopi] ma, con

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argomentazioni che non possono stare ne in cielo ne in terra" (9).

Negli stessi anni in cui fervevano tali insulse dispute Paracelso, preso atto delle conoscenze di medicina popolare

(streghe erboriste, ostetriche, cerusici e boia) intuiva la composizione di quell'unguento satanico che Pietro Andrea Mattioli trascrive in una ricetta, calibrandone gli elementi:

sugna, resina e fiori di canapa, rosolaccio e semi di girasole.

Ma è solo con il Della Porta che si prende piena coscienza del rapporto fra le sostanze neuropsicoattive contenute

nell'unguento e il delirio indotto.

Egli assiste, infatti, ad una esperienza "neuropsichica" analoga a quelle precedentemente citate: " Mi accadde di avere a

disposizione una vecchia la quale, spontaneamente e in breve tempo, mi offrì la soluzione del problema. Comandò che venissero mandati fuori coloro che io

avevo chiamato a testimoniare e mentre noi la stavamo a spiare da una apertura della porta essa si spogliò e si frizionò vigorosamente con un unguento che, a

causa dei suoi succhi soporiferi, la fece cadere in un sonno profondo. Allora noi aprimmo la porta, ma essa, svegliatasi, ci cacciò a male parole, ma poi cadde completamente priva di sensi. Noi ritorniamo fuori e, piano piano, il potere del filtro perde i suoi effetti. Essa si risveglia e incomincia a delirare e dice di aver

attraversato mari e montagne e risponde in modo menzognero alle mie domande. Noi affermiamo di non essere convinti di quanto ci dice e lei insiste, perdiamo la pazienza, ma lei si ostina ancora di più" (10) e, con molto maggior buon senso dei suoi predecessori, ne conclude: " Una esagerata bramosia

di sensazioni morbose ha talmente invaso lo spirito umano da trascinare all'abuso delle sostanze che la provvida natura ha messo a disposizione degli

uomini. Di molte di esse riunite insieme sono composti gli unguenti delle streghe, I quali, benché siano mescolati a molte superstizioni, mostrano a chi li esamina,

che la loro efficacia proviene da forze naturali. Dirò quanto ho appreso dalle streghe. Esse cuociono in un vaso di rame grasso di bambini stemperato con

acqua. Cuocendo l'acqua evapora e nel vaso rimane una pasta, a cui le streghe aggiungono aconito, foglie di pioppo, sangue di pipistrello, solano sonnifero e

olio. È possibile mescolarvi anche altri ingredienti non dissimili. Appena l'unguento è pronto se ne spalmano il corpo, strofinando la pelle lino ad arrossirla, in modo che si rilasci e si dilatino i pori e l' olio penetri più

profondamente nei tessuti provocando una reazione più rapida e violenta,, (11)

Due degli ingredienti che compongono l'unguento, sono sicuramente interessanti: l'aconito e il solano sonnifero.

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Una strega fa sfoggio dei suoi poteri facendo apparire un mostro (da S.

Munster, Cosmographia universalis, Basilea 1544)

L'aconitum napellus è una pianta erbacea perenne,

frequente in tutta Europa, predilige i pascoli montani fertilizzati fino ad altitudini intorno ai 3000 metri. Tra i

suoi principi attivi: gli alcaloidi del gruppo diterpene, napellina, aconitina e i glucosidi flavonici luteolina e

apigenina. E, subito dopo, l' Aconitum ferox del

Nepiù, il veleno vegetale più attivo che esista. Una

dose di 2 gr. di tubero fresco {da 1 a 3 mg. di

aconitina) può rappresentare la dose mortale per l'uomo. il

veleno penetra attraverso la pelle ( anche il semplice mazzetto, tenuto in mano,

provoca intossicazioni e dermatiti).

Le preparazioni di aconito applicate sulla cute inducono parzialmente una eccitazione sensoriale, cui segue un

caratteristico formicolio e l'ottundimento della sensibilità con conseguente anestesia, disturbi sensoriali, paralisi dei centri

bulbari, irregolarità cardiache.

Il solano sonnifero o atropa belladonna è una pianta perenne. diffusa in tutta Europa, specie nelle radure e nelle macchie e

lungo le strade boschive. Il frutto è una bacca nera lucida grande quasi quanto una ciliegia. (la dose letale va da 10 a 15 bacche,

mentre a medi dosaggi provano modificazioni neuropsicologiche ed esperienziali) La pianta intera contiene vari alcaloidi fra cui la

scopolamina, l'iosciamina e l'atropina. Nel processo di disidratazione la iosciamina si trasforma, a causa di un processo

enzimatico, in atropina. Fra le sostanze delirio-inducenti, l'atropina e gli atropino-simili rappresentano la classe di farmaci più interessanti ai nostri scopi. La maggior parte delle erbe delle streghe (gli ingredienti non dissimili di cui parla il Della Porta e

che troviamo spesso qua e là citati nella maggior parte dei verbali giudiziari) appartengono a questo gruppo. Giusquiamo, datura" stramonio, atropa mandragora sono tutti farmaci dose-dipendenti: a bassi dosaggi danno euforia, benessere, disturbi della memoria, alterazioni spazio-temporali e vividezza nelle

percezioni sensoriali, mentre ad alte dosi compaiono midriasi, allucinazioni e delirio. (La sintomatologia e il vissuto neuro-

psichico sono simili a quello degli allucinogeni)

Esistono poi, numerosissime testimonianze circa l'uso da parte dell'erboristeria delle streghe di varie piante spontanee

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quali la cicuta, il verbasco, la valeriana, l'erba morella, la dulcamara, la digitale, il salice. La cicuta induce paralisi motoria

graduale, rallentamento cardiaco, ipossia (insufficiente ossigenazione), delirio e eccitazione convulsiva, il verbasco e la valeriana sono sedativi, la morella e la dulcamara (contenenti

solanina) danno nausea, allucinazioni visive, diafonia, vertigine, paralisi dell'attività motoria e respiratoria, sono anche narcotici e analgesici, la digitale (in caso di intossicazione acuta o cronica) provoca disorientamento spazio-temporale, confusione, afasia,

delirio. allucinazioni ed infine i salicilati sono responsabili di confusione, delirio, psicosi, forme stuporose, sindromi maniacali,

allucinazioni.

Da ultimo vanno menzionati due ulteriori ingredienti dell'unguento di cui parleremo comunque, ancora in seguito: il

rospo e la canapa. Le ghiandole cutanee dei rospi contengono la bufotenina ( dimetil-5-idrossi-triptamina) una sostanza indolica simile per struttura alla serotonina e alla dietilamide dell'acido

lisergico, ancor oggi usato ritualmente, in alcune culture primitive, per indurre stati allucinatori (è appena il caso di

ricordare che la fustigazione del rospo, onde ottenerne il veleno, è uno degli elementi centrali del Sabba). Per quanto riguarda la canapa è evidente che, quando se ne parla, si tratta di cannabis

sativa e non della cannabis indica, ma è ormai chiarito che la percentuale dei cannabinoidi attivi della pianta europea non è dissimile da quella della canapa indiana, dipendendo ciò dalle

condizioni di coltura.

Le tre streghe, olio di J. Fusely (1714-1825) ispirato al Machbet di Shakespeare

Una delle obiezioni fondamentali contro l'ipotesi dell'induzione farmacologica di esperienze psichiche a causa dell'uso di tali unguenti e che questi, dovendo essere ovviamente spalmati

sulla pelle, non potevano essere assorbiti in manie!a apprezzabile dall'organismo. E’ vero che le sostanze attive non

attraversano la cute, ma fanno eccezione proprio i composti liposolubili veicolati su eccipienti lipidici (in parole povere l'unguento delle streghe). Se si tien conto poi che queste

venivano strofinate sulla pella lacera, su piaghe o sulla carne viva, si capisce come potevano funzionare più rapidamente che

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per ingestione o inalazione. L 'igiene dell'epoca, specie nelle classi più povere (si pensi, però, anche alla scarsa pulizia delle

classi abbienti) era del tutto approssimativa, le malattie scrofolose sono patologie normali, i parassiti sono ospiti fissi, le carenze vitaminiche naturale prodotto di squilibri alimentari e

l'ignoranza di ogni elementare cautela antisettica porta con se il prurito e l'infezione, Gli unguenti delle streghe calmano il dolore

e spesso lo guariscono, ma sovente danno reazioni tossiche. Molti degli ingredienti visti sopra entrano nella pomata con funzione vulneraria (es. le foglie di pioppo), sedativa ( es. le

solanacee ), antiflogistica ed antibatterica ( es. l'olio di iperico) e quindi non solo leniscono i dolori, ma curano anche i mali dando

in aggiunta "sogni dilettevoli" che soddisfano le "bramosie esagerate di sensazioni morbose".

È quindi plausibile ammettere, in generale, che gli stati tossici indotti dall' uso di questi farmaci neuropsicoattivi provochino

nell'individuo una lacerazione del tessuto connettivo coscienziale fra immagini di origine sensoriale e immagini endogene che si

presentano con carattere percettivo e vengono vissute dal soggetto come autentiche percezioni e scambiate con queste,

tanto che sono attribuite alla realtà esterna e ritenute immagini reali.

In definitiva si induce un feed-back positivo: coloro 'che sono affetti da piaghe dolorose o algie varie ricorrono alla strega

erborista per avere lenimento e questa nel procurare loro un potente analgesico (ipnotici, tranquillanti, neurolettici) inizia costoro, può essere anche inconsapevolmente, ai misteri del

Sabba e li lega ad una assuefacente tossicodipendenza.

Una seria valutazione di questa ipotesi (complementare, si badi bene, a quelle che già abbiamo chiamato tessere del

mosaico o linee multiway) può essere fatta solo se si chiamano in causa tutta una serie di elementi interne transdisciplinari quali

ad es. la storia dell'alimentazione e della salute, la psicologia sociale, la psichiatria e la farmacologia, il tutto passato

attraverso la: formulazione di precise cautele metodologiche e impianti epistemologici adeguati (12), ma di questo torneremo a

parlare nel corso dei prossimi interventi.

Note:

(1) D. Mammoli, Processo alla strega Matteuccia di Francesco, 20 marzo 1428, Todi 1969.

(2) Il Canon Episcopi è riportato da :

a ) Reginone di Prum, Libri duo de Synodalis causis, in Migne P.L. CXL, coll. 1853-1870

b ) Burcardo di Worms, Corrector et medicus, (Decretorum liber XIX) in P.L. CXL, col, 976

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c ) Graziano, Decretum magistri Gratiani editio liptiensis, ed A Freideberg, Lipsia 1922, pp. 1030-1031 e in tutte le opere di demonologia dal XIIIal XVIII

secolo, commentato, annotato e interpretato a sostegno contro la realtà della stregoneria.

(3) Alfonso Tostado Commentaria in primam partem Matthaei, Quaestio XLVII cap. IV, pag. 410, Venetiis 1615

(4) Alfonso Tostado, Commentaria super Genesim, Quaestio CCCLIV, Venetiis 1507

(5) Gregory Zilboorg, The medical man and the witch during the renaissance, J. Hopkins University press, Baltimore 1935.

(6) Alfonso Tostado, Commentaria super Genesim, Quaestio CCCLIV, Venetiis 1507

(7) Johan Nider, Formicarius , Colonia 1475I, II, c4

(8) Giovan Francesco Pico della Mirandola, Dialogo intitolato la Strega, overo de li inganni de’ Demoni, tradotto dall’abate Turini, Pescia 1555 pag.21

(9) Andrea Alciati, Andrea Alciati iuriconsulti Mediolanensis Parergon iuris libri VIII, Lione 1544, pp. 92-94

(10) Giovan Battista della Porta, Magia naturalis sive de miraculis rerum naturalium, Napoli, 1558, I, II, 26

(11) Ibidem cfr. Giuseppe Bonomo, Caccia alle streghe, Palermo 1959, pp. 394-396 di cui abbiamo usato la traduzione del brano dellaportiano.

(12) Indispensabile e fondamentale per iniziare una seria disamina della questione è: Walter Sannita, Induzione farmacologica ed esperienza psichiche,

medicina popolare e stregoneria in Europa agli inizi dell’età moderna, in M. Cuccu - P. A Rossi La strega, il teologo, lo scienziato, Genova, ECIG 1986, pp. 119-140.

All’amico Walter Sannita va il mio ringraziamento per avermi introdotto a questa tematica e la doverosa dedica di quest’articolo

HORROR ET AMOR DIABOLICUS 3/

I TEMPI DELLA TOLLERANZA

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di Paolo Aldo Rossi - Storia del pensiero Scientifico (Univ. di Genova)

Articolo pubblicato sulla rivista Abstracta n° 16, (giugno 1987) pp. 38 - 45, riprodotto per gentile concessione dell'autore che ne detiene i diritti

Il trionfo di Bacco, di Marten Van Heemskerck (XVI sec.). Il baccanale è uno dei modelli di corteo orgiastico, retaggio della cultura pagana, dai quali scaturirono le fantasticherie

sul Sabba.Nell’alto medioevo il tono della cultura giuridica, sia civile che religiosa, è sostanzialmente

conforme alla concezione che la credenza nella stregoneria sia una forma di ignorante e perversa superstizione; e che, di conseguenza, vada trattata come tale, e cioè corretta dalla

Chiesa tramite opportune espiazioni penitenziali o punita, nei casi più gravi, dal potere civile con pene pecuniarie o detentive

Durante il periodo altomedievale non vi fu praticamente “caccia alle streghe", per quanto non sia possibile affermare che sia il potere religioso che quello laico non avessero esattamente

presente il problema dell'esistenza di tutto un insieme di pratiche magico-superstiziose legate al culto dei demoni ed

all'agire conseguente. Anche in seguito, nell'epoca del preludio repressivo che va dall'inizio del XIV alla fine del XV secolo, la

persecuzione non ebbe mai un vero e proprio carattere organico e continuativo, ma fu un fatto episodico, facilmente

circoscrivibile in aree di tensione politica ed ideologica del tutto particolari. Affinché la recita del drammatico olocausto avesse inizio, bisognava dare un filo logico, una sorta di omogeneità ai

disorganici spezzoni provati antecedentemente o, in altre parole, si rese necessario unificare il soggetto e scriverne il copione. Il soggetto fu reso unitario nel momento in cui l'assimilazione fra stregoneria ed eresia venne portata a definitivo compimento,

mentre il copione fu stilato in quel magistrale manuale del perfetto cacciatore di streghe, il Malleus Maleficarum (1486), che i domenicani tedeschi Sprenger e Kramer pubblicarono due anni

dopo che il papa Innocenzo VIII ne aveva concepito la prefazione con la Bolla: Summis desiderantes affectibus ( 5 dicembre 1484) ,

offrendo agli Inquisitori il giustificativo giuridico ancora mancante. Da questo momento in poi il fenomeno assumerà un andamento esponenziale e toccherà il suo culmine fra il 1580 e i11640, cioè il periodo in cui ha inizio e si sviluppa con maggior vigore quell'evento culturalmente eccezionale che va sotto il nome dì "rivoluzione scientifìca". (Quest'epoca corrisponde,

tanto per esemplificare, agli ultimi anni di vita di Vesalio, Tycho 21

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e Cardano, alla maturità dì Cartesio, Pascal e Hobbes, all'intero corso dell'esistenza di Galileo, Keplero e Mersenne). Il primo dei dati storici a cui cercheremo quindi di pervenire è quello della assimilazione fra eresia e stregoneria. Esso ricopre, all'interno della nostra questione, un ruolo tanto fondamentale che senza averne precisati adeguatamente i termini, si corre il rischio di non capire assolutamente l'evento persecutorio. L 'immagine che va quindi preliminarmente messa a fuoco è quella della

trasformazione della concezione altomedievale (per cui è eretico affermare l'esistenza reale della stregoneria) in quella

diametralmente opposta del periodo rinascimentale per cui è eretico negarla. I due termini estremi dell'itinerario in questione

sono dati dal Canon Episcopi (databile approssimativamente intorno al IX secolo) e dalla già menzionata Bolla di Innocenzo

VIII le cui prescrizioni furono rese operanti con il Malleus Maleficarum (fine del XV secolo).

Il Canon Episcopi recita così: “...I vescovi e i loro ministri facciano in modo di applicarsi con tutte le loro energie per

sradicare interamente dalle loro parrocchie la pratica perniciosa inventata dal diavolo; e se trovassero uomini o donne che si

dedicano a tali scelleratezze li caccino dalle parrocchie perché si tratta di gente turpe e disonesta...”.

...Episcopi, eorumque ministri omnibus viribus elaborare studeant, ut perniciosam et a zabulo inventam sortilegam et magicam artem ex parochiis suis

penitus eradicent, et si aliquem virium aut mulierem huiuscemodi sceleris sectatorem inveniant, turpiter dehonestatum de parochiis suis eiciant. [...]

Illud etiam non est omittendum, quod quaedam sceleratae mulieres retro post sathanam converae, demonum illusionibus et phantasmatibus seductae, credunt se et profitentur cui Diana nocturnis horis dea paganorum, vel cum Erodiade et

innumera multitudine mulierum equitare super quasdam bestias, et multa terrarum spacia intempestae noctis silentio pertransire, èiusque iussionibus

obedire velut dominae, et certis noctibus evocari ad eius servicium. [. ..j

Qua propter sacerdotes per Ecclesias sibi còmmissas populo Dei omni instantia praedicare debent, ut noverint hec omnino falsa esse et rton a divino sed a maligno spiritu talia Phantasmata mentibus fidelium irrogari. Siquidem

ipse sathanas qui transfigurat se in angelum lucis, cum mentem cuisque mulieris coeperit, et hanc per infidelitatem sibi subiugaverit illico transformat se in

diversarum personarum species atque similitudines, et mentem, quam captivam tenet, in somnis deludens, modo laeta, modo tristia, modo cognitas, modo

incognitas personas ostendens, per devia quaeque deducit, et, cum solus spiritu hoc patitur in fidelis hoc non in animo, sed in corpore evenire opinatur. Qui enim

in somnis et nocturnis visionibus se non extra ipsum educitur et multa videt dormiendo, quae vigilando numquam viderat. Quis vero tam stultus et hebes sit,

qui hec omnia quae in solo spiritu fiunt, etiam in corpore accidere arbitretur (. ..)

Quisquis ergo credit fieri posse, aliquam creaturam aut in melius aut in deterius immutari, aut transformari in aliam speciem vel in aliam similitudinem,

ab ipso creatore, qui omnia fecit, et per quem omnia facta sunt, proculdubio infidelis est, et pagano deterior.

“...Non va dimenticato che certe donne depravate, le quali si

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sono rivolte a Satana e sono state sviate dalle sue illusioni e seduzioni, credono e affermano di cavalcare nottetempo certe bestie, in compagnia di una moltitudine di donne, al seguito di

Diana, dea pagana ( o di Erodiade) e di attraversare istantaneamente, nel silenzio della notte, enormi spazi di terre e di ubbidire agli ordini di questa loro signora e di esser chiamate

in certe notti al suo servizio. .. Perciò nelle chiese a loro assegnate i preti debbono

costantemente predicare al popolo di Dio che queste cose sono completamente false e che tali fantasie non sono evocate nelle menti dei fedeli dallo spirito divino bensì da quello malvagio"

Satana, infatti, si trasforma in angelo della luce e prende possesso della mente di queste donnicciole e le sottomette a si

causa la loro scarsa fede e incredulità," immantinente egli assume aspetto e sembianze di persone diverse e durante la

notte inganna la mente che tiene prigioniera, alternando visioni liete e tristi, gente nota e ignota e le conduce in cammini mai praticati,' e nonostante la donna infedele sperimenti questo

soltanto nello spirito, ella crede che questo avvenga nel corpo e non nella mente, A chi, infatti, non è mai accaduto d'uscire fuori

di si durante il sonno o nelle visioni notturne e di vedere, dormendo, cose che da sveglio non aveva mai veduto? Chi può essere tanto sciocco o ottuso da credere che tutte queste cose

che accadono solo nello spirito avvengano anche nel corpo?

Perciò chiunque credesse che una creatura possa cambiare in meglio o in peggio, o assuma diverso aspetto o sembianze per opera di qualcuno che non sia lo stesso Creatore, il quale tutto ha fatto e per mezzo del quale tutte le cose sono state fatte, è

indubbiamente un infedele e sicuramente peggiore dei pagani...” (1) .

Mentre la Summis desiderantes affectibus dichiara con spietata convinzione:

“...In verità è da poco pervenuto alle nostre orecchie - con nostra grande sofferenza - che in alcune regioni della Germania,

nelle province, città, terre, paesi e vescovati di Magonza, Colonia, Treviri, Salisburgo e Brema, parecchie persone d'ambo i sessi, dimentichi della propria salvezza e allontanatisi dalla fede

cattolica, non temono di darsi carnalmente ai diavoli incubi e succubi, di far morire o deperire la progenie di donne, animali, dei frutti della terra, le uve delle vigne e i frutti degli alberi per

mezzo di incantesimi, fatture, scongiuri ed altre esecrabili pratiche magiche, eccessi, crimini e delitti. Né temono di

rinnegare con bocca sacrilega persino quella fede che hanno ricevuta con il santo battesimo, e di compiere e perpetrare

moltissimi nefandi crimini ed eccessi, per istigazione del nemico del genere umano....volendo rimuovere ogni genere di impedimenti per i quali si potrebbe in qualunque modo ostacolare l'espletamento dell'ufficio degli inquisitori, e

provvedere, come ci impone il nostro incarico, con opportuni rimedi che il flagello dell’ eretica pravità non diffonda i suoi

veleni a danno degli innocenti. ..sia consentito agli inquisitori 23

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summenzionati Sprenger e Kramer di esercitare l'ufficio inquisitoriale su quelle terre, che possano procedere alla

correzione, incarcerazione e punizione di quelle persone per gli eccessi e i crimini predetti, in tutto e per tutto...” (2).

E il tutto è quindi stigmatizzato nel frontespizio del Malleus Maleficarum dove irrevocabilmente sta scritto: “Haeresis est maxima

opera maleficarum non credere” ossia: “Non credere nella stregoneria è la peggiore delle eresie”.

Si tratta dunque di capire come si sia operato un tal rovesciamento di fronte, in quanto

solo a questo patto è possibile giustificare, sul piano del diritto, gli esiti penali dei

procedimenti giuridici contro la

stregoneria. Che all' eretico dovesse venir comminata la

pena capitale e non soltanto delle

sia pur rigorosissime reprimende

penitenziali o, magari anche la scomunica, è per

la Chiesa e lo Stato medievale

una norma indiscutibile per la salvaguardia della convivenza civile, per cui non sono i termini della pena

che vanno discussi, ma quelli dell’attribuzione

della colpa

Il demone Belial ritorna ai cancelli dell'inferno (Das Buch Belial di Jacobus da Teramo, 1473)

Sulla pena da comminare a chi si fosse macchiato del delitto di eresia ci basti un solo esempio, peraltro autorevolissimo, in cui si cerca di dar ragione del perché di tale norma giuridica:

“....1' eresia è un peccato per cui gli eretici non solo meritano d'essere scomunicati, ma anche esclusi dal mondo mediante

morte. Molto più grave è infatti corrompere la fede, per la quale

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è data vita all’ anima, che batter moneta falsa, per la quale è data vita al corpo. Per questa ragione se i principi secolari

mandano a morte i falsari e gli altri malfattori, a maggior ragione è giusto che gli eretici siano non solo scomunicati, ma anche

uccisi “. (3)

Per quanto, a onor del vero, va detto che san Tommaso, figlio di un secolo ancor mite e tollerante. avverte che:

“. [...] da parte della Chiesa vi deve essere misericordia per chi ha sbagliato e intende convertirsi. Per questa ragione non vi sia condanna ne dopo il primo ne dopo il secondo richiamo, ma se in seguito costui perseverasse ancora, la Chiesa non potendo sperare più nella sua conversione, dovrà provvedere alla salute

degli altri scomunicandolo e separandolo dalla comunità in modo che, lasciato al braccio secolare, sia messo a morte...” (4).

Se quindi la pena è indiscutibile e, tutto sommato, tenuto conto della giusta prospettiva storica è anche “corretta e

legittimata” dal diritto, per quanto concerne invece l’attribuzione della colpa bisogna seguire l'itinerario per cui si passa dalla

concezione della stregoneria come peccato di superstizione alla sua trasformazione nel delitto di eresia, perché diversamente il tutto diverrebbe giuridicamente incomprensibile. Mentre, infatti,

la pratica superstiziosa non può esser altro che corretta dai “Penitenziali” come mancanza morale, l'eresia viene repressa dai «codici» come il più grave degli attentati contro la Fede e

l’Ordine civile.

Il culmine dell'idealità politica medievale si trova nel concetto di Res Publica Christiana, chiaramente espresso da papa Gelasio, sul finire del V secolo: l'umanità è il corpo mistico: “unus populus, una

civitas” ed è governata da due poteri: «auctoritas sacrata pontificum», e «regis potestas». Ambedue debbono agire, in primis, nell’ordine della storia della salvezza, preparando la prossima venuta della

Città di Dio e, secondariamente, nell'attesa di questa, governando una società diretta esclusivamente a quel fine.

Compito del sacerdos è, quindi, quello di edocere legem divinam ossia insegnare la legge di Dio (la lex aeterna) e fissare sopra di

questa i termini dello jus naturae, (il diritto naturale) sul quale, in seguito il rex costruirà ed emanerà le norme del diritto positivo: “rex legem igitur divinam edoctus ad hoc precipuum studium intendere debet

qualiter multitudo sibi subdita bene vivat” (il re edotto nella legge divina deve adoperarsi in ogni modo per il benessere: dei suoi sudditi).

È evidente a questo punto che il consentire l'esistenza di più Chiese contrapposte

(quelle ereticali) avrebbe avuto come conseguenza diverse formulazioni della lex aeterna e dello jus naturae con il risultato di avere differenti e contrapposti diritti positivi all'interno dello

stesso Stato, ossia il totale smantellamento della società.

È evidente, quindi, il rigore giuridico contro l'eresia, mentre 25

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non ci è ancora chiaro come la stregoneria si trasformi da «peccato di superstizione» in «delitto di eresia», poiché dopo che sia stato compiuto questo passo, la caccia alle streghe

diventa un fatto del tutto comprensibile.

Diana cacciatrice, Scuola di Fontainebleau, metà del XVI sec.. Secondo la tradizione pagana, Diana, accompagnata da un corteo di donne, percorreva

di notte, in volo, la campagna per recarsi alla caccia. Nel Medioevo si credeva ancora alla realtà del corteo di Diana e alcune donne raccontavano di essersi aggregate al seguito della dea. Il Canon Episcopi (IX sec.) riteneva

tali affermazioni frutto di visioni e farneticazioni.

I secoli della Chiesa missionaria in terra d'Europa furono secoli di lenta e costante opera di sostituzione dei valori delle

religioni autoctone, con quelli del cristianesimo, di innesto della nuova liturgia sulla intelaiatura formale del vecchio culto, di razionale cristianizzazione delle antiche fedi e credenze. Il

sentimento prevalente di questo periodo fu una intelligente tolleranza mirante alla sostituzione indolore delle precedenti

credenze pagane con la nuova religione. Dal VI all'XI secolo non c'è animosità alcuna contro la superstizione, ma solo un sincero desiderio di correzione, tanto che la Chiesa è spesso disposta a

fare concessioni formali in merito alla magia purché nella sostanza sia chiaro che l'unico che può operare nel senso delle

modificazioni sostanziali è soltanto Dio.

Agli estremi del periodo citato si vedano due documenti che fanno fede di quanto s'è detto: la lettera, riportata nella Historia

Anglorum del venerabile Beda, di Gregorio Magno all'abate Mellito:

“...dite a lui [. ..j che i templi pagani non vanno distrutti, ma

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siano distrutti gli idoli che stanno dentro di essi. Sia fatta dell'acqua benedetta e la si asperga sopra questi templi, si

costruiscano altari e vi si pongano le reliquie perché se i templi sono ben costruiti, è bene che passino dal culto dei demoni a

quello del vero Dio, affinché i popoli vedano che i loro templi non sono stati distrutti e vengano a conoscere e ad adorare il Dio

vero nei luoghi cui sono familiari. E poiché si era soliti sacrificare molti buoi ai demoni, è necessario che tale abitudine resti,

anche se mutata, facendo un convivio, su tavole fatte di rami d'albero, in luoghi posti intorno alle chiese che prima erano

templi, nel giorno della dedicazione [. ...] (5) e un noto passo del Corrector et medicus di Burcardo di Worms:

"Hai prestato fede o hai partecipato a quella superstizione della quale sono vittime certe donne scellerate, seguaci di

Satana e ingannate da false illusioni? [ qui viene specificato di quale superstizione si tratta riportando il dettato originale del

Canon Episcopi, e si termina dicendo..]

...Se hai creduto a tali vanità dovrai digiunare per due anni nei giorni stabiliti..." (6).

Fra queste due date i documenti contrari alla credenza nella realtà della stregoneria si moltiplicano: nel VII secolo S.

Bonifacio dichiara che tale opinione non cristiana e il già citato Canon Episcopi esplicita: «procul dubio infidelis est et pagano deterior», nel 785 la carolingia Capitulatio de partibus Saxoniae tratta da omicida e

quindi commina la pena di morte a chi abbia messo al rogo qualcuno sotto. l' accusa di stregoneria, Sant'Agobardo di Lione

parlando della credenza nella magia tempestaria dichiara: «sono del tutto ignoranti nelle cose di Dio coloro che affermano che gli

uomini possono fare una cosa di tal genere».

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Il Signore e Satana si disputano l'anima di un uomo che naviga nell'oceano del

vizio e del peccato.

Nello XI secolo, re Colomanno d'Ungheria si rifiuta di promulgare leggi contro le streghe in quanto

«esse non esistono». (Opinione questa

rigorosamente condivisa anche un secolo dopo da Giovanni di Salisbury). In questa prospettiva il

tono della cultura giuridica sia civile che religiosa nell’Alto Medioevo è,

quindi, sostanzialmente conforme alla concezione

che la credenza nella stregoneria sia una forma di perversa e ignorante superstizione e che, di

conseguenza, vada trattata come tale e cioè

corretta dalla Chiesa tramite opportune

espiazioni penitenziali o punita, nei casi più gravi, dal potere civile con pene

pecuniarie o detentive. Il Penitenziale laico di san Colombano (VI secolo) ed il

contemporaneo Penitenziale di Finnian contemplano in modo circostanziato diversi livelli di espiazione: da 40 giorni di digiuno per chi abbia partecipato ai riti pagani o diabolici a tre quaresime

di penitenza per i recidivi, fino a tre anni di penitenza per gli abitudinari (il tutto opportunamente maggiorato, secondo

gerarchia, per i membri del clero: il doppio per un diacono e il triplo per un prete) e mentre per il sortilegio d'amore basta un

anno, per procurato aborto si arriva fino a sei quaresime di digiuno. Carlomanno nel Capitolare Liptinense si accontenta di 15

soldi di ammenda per un'interminabile serie di pratiche superstiziose, mentre Etelstano permette agli stregoni omicidi che, pur risultando colpevoli a tre ordalie, neghino il crimine, di scontare 120 giorni di prigione. Teodoro vescovo di Canterbury

minaccia tre anni di pena per sacrifici ai demoni, mentre il coevo Witraedo, re del Kent, si limita a comminare ammende. Infine il già ricordato Corrector et medicus di Burcardo prevede tutta una

serie di precise penitenze: 20 giorni di digiuno per riti superstiziosi e 40 per procurata impotenza o sterilità, sette

quaresime per pratiche di fecondità, due per l'adescamento atto a ottenere l' adulterio.

Anche dopo l'istituzione dei tribunali dell'Inquisizione, a due secoli da Burcardo, si tengono accuratamente distinti i due capi di imputazione: l'eresia e la stregoneria. Ad esempio, i Decretali di Graziano riportano due diverse rubriche - De Sortilegiis e De Hereticis - e la Summa Theologica di S. Tommaso tratta i due temi. in maniera

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rigorosamente distinta: la Quaestio 11 della Secunda Secundae ha per titolo De Haeresi, mentre le Quaestiones dalla 92 alla 96 della stessa

parte portano come titolo: De Superstitione.

Ma già nel 1233, con la Bolla Vox in Rama, papa Gregorio IX incomincia a dar credito alle voci sul sabba e suggerisce,

all'appena istituita Inquisizione, i termini di un collegamento fra stregoneria e eresia che, in seguito, diverrà davvero micidiale. Di li a cinquant'anni, infatti, gli Inquisitori di Linguadoca otterranno

da Innocenzo IV, ma non senza sue precise resistenze e ripensamenti, il diritto di agire anche contro le streghe, purché si

riesca a dimostrare che queste siano anche passibili di convinzioni o comportamenti ereticali.

Da questo momento in poi, per più di due secoli, l'Inquisizione farà di tutto per ottenere questo risultato. L'operazione sarà comunque estremamente difficile e complicata sia sul piano

giuridico che su quello dottrinale, perché i documenti emessi da più di mezzo millennio di tolleranza e buon senso non potevano

venire semplicemente trascurati.

Baccanale (particolare) di Giorgio Ghisi (1520-1582)

Note:

(1) Il Canon Episcopi (brevi istruzioni date ai vescovi in materia di superstizione pagana) è stato considerato per tutta l'età

medievale un documento canonico del concilio di Ancyria, per quanto è assai probabile che facesse parte di un capitolare di

Ludovico II (867). Esso è riportato da:

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a - Reginone Abate di Prum: Libri duo de Synodalis causis, in Migne, Patrologia Latina CXXXXII, coll. 1853-60

b - Burcardo di Worms, Decretum, P.L. CXL coll. 537-1058

C - Graziano, Decretum magistri Gratiani, ed A. Freidberg, Tauchnitz, Leipzig, 1922

(2) La Summus desiderantes affectibus è alle pagine 296-297 del Magnum Bullarium Romanum, V, Augusta Taurinorum, 1860

(3) San Tommaso Summa Theologica, II, IIae, q. 11 a 3

(4) Ibidem

(5) Gregorii I Papae, Registrum Epistularum, XI, 56, ed. P. Ewald et M. L. Hartman, Berolini, 1899, pp. 331

(6) cfr. nota 1/b

Indicazioni Bibliografiche

Le principali raccolte di materiali sono: J. Hansen, Zauberwahn, Inquisition und Hexenprozess im Mittelalter und die Entrthung der grossen Hexenverfolgung, Munchen-Leipzig, 1900 et Quellen und Untersuchungen zur Geschichte des Hexenwahns und der

Hexenverfolgungen im Mittelalter, Bonn, 1901; W.G.Soldan- H. Heppe- M. Baurer: Geschichte der Hexenprozesse aus den Quellen dargestellt, Stuttgart-Munchen, 1843-

1980- 1911; H. Ch. Lea: Materials Toward a History of Witchcraft, New York, 1957; ].B. Russel: Witchcraft in the middle Ages, Ithaca-London, 1972; S. Abbiati-

A. Agnoletto - M.R. Lazzati. La stregoneria, Mondadori, Milano 1984; E e G. Battisti, La civiltà delle streghe, Milano, 1964; F. Bolzoni, Le streghe in Italia,

Cappelli, Bologna, 1963; G. Bonomo, Caccia alle streghe, Palumbo, Palermo, 1985; F, Cardini, Magia, stregoneria, superstizioni nell'Occidente medievale, La Nuova Italia, Firenze, 1979; M. Romanello, La stregoneria in Europa, Il Mulino, Bologna, 1978 F, Troncarelli: Le streghe, Newton Compton, Roma, 1983; M. Murray, Le

streghe nell'Europa occidentale, Garzanti, Milano, 1978; M. Murray, Il dio delle streghe, Ubaldini, Roma, 1972; P. A. Rossi, L’eclisse della ragione all'alba della

scienza moderna, in Misc. Fil. 1980 , Le Monnier, Firenze, 1981; A. Runemberg, Demons and Fertility Magic, Hèlsingfoors, 1947; H. Trevor-Roper, La caccia alle

streghe in Europa nel Cinquecento e nel Seicento in Protestantesimo e trasformazione sociale, Laterza, Bari, 1975.

Per quanto attiene i documenti originali: Per i documenti pontifici:

P. Ewald-L.M. Hartmann: Registrum Epistolarum, Berolini, 1899; Magnum Bullarium Romanum, Augusta Taurinorum, [IV (1859 -VIII (1863)]; F. Pena. Litterae

apostalicae divisorum romanorum pontificum pro officio sanctissimae Inquisitionis (in app. al Direttorium Inquisitorum di N. Eymerich); J .Hansen: Quellen... Zauberwhan. ( op. cit. ); H. Ch. Lea. Materials.... (op, cit.); F. Cardini: Magia (op. cit.); F. Troncarelli: Le

Streghe (op. cit.); Abbiati-Agnoletto-Lazzati: La stregoneria (op. cit.);

Per i Penitenziali: Poenitenltiale Arundel, Poenitentiale Egbetrti, Poenitentiale

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Vidanbonense, Poenitentiale Hubertense, Poenitentiale Casinense, Poenitentiale Theodorii, Poenitentiale Vallicellianum I, Poenitentiale laurentianum, Poenitentiale di Finnia,

Poenitentiale Sancti Colomboni, Dicta Pirminio o Scarpsus. H.J. Schimitz: DieBussbücher und die Bussdisziplin der Kirche (Graz, 1958); J.T.Mc Neill -H.M. Gamer, Medieval

Handbooks of Penance, New York, 1938; V. Vogel: La discipline penitentielle en Guale des origines à la fin du XII siecle, Paris, 1910 e Les pecheurs et la penitence au Moyen Age, Paris, 1969; F. Cardini: Magia.. (op. cit.); R. Manselli, Magia e stregoneria nel Medio

Evo, Giappichelli, Torino, 1976

Perii pensiero dei Padri e dei Dottori: S. Agostino (De civitate Dei); Lattanzio (Divinae institutiones); Cesario di Arles, (Sernones); Gregorio di Tours (Historia

Francorum, Liber de Miraculis); Beda il Venerabile (Historia gentis Anglorum); Isidoro di Siviglia (Etymologiae); Agobardo di Lione (Liber contra insulsam vulgi opinionem de

grandine et tonitruis); Rabano Mauro (De Magicis artibus, De universo); Incmaro di Reims (De divortio Lotarii et Tetbergae); Reginone di Prum (De synodalibus causis et disciplinis ecclesiasticis, Canon Episcopi); Bucardo di Worms (Corrector et medicus,

Decretum, Canon Episcopi); Ivone di Chartres {Decretum); Guglielmo di Malmesbury (Historia regum anglorum); Giovanni di Salisbury (Polycraticus); Pier Lombardo (Sententiat); Graziano (Decretum. Concordantia discordantium canonum);

Cesario di Heisterbach (Dialogus miraculorum); Guglielmo d'Alvernia (Magisterium divinale); S. Tommaso (Summa Theologica Secunda Secundat Quaestiones 92-96 De

Superstitione)] - P. Migne, Patrologiae cursus completus [. ..l: Series Graeca, Lutetiae Parisiorum; 1857-1866 et Series Latina, Parisiis, 1844-1964, Per i documenti

giuridici:

Pactus Alemannorum (600), Editto di Rotari (643), Leggi di Witraedo del Kent (690), Capitolare di Carlomanno (742), Capitulatio de partibus Saxoniae (775-90), Admonitio

Generalis (789), Capitolare di Carlomagno detto «de Villis» (800), Placitum di Querzy di Carlo il Grosso (873), Leggi di Edoardo e Guthrum (901), Leggi di Etelstano (924-40); Regole

ecclesiastiche di Edgardo (959); Leggi di Etelredo (978-1000); Leggi di Re Canuto (1017-1035) Fontes Iuris Germanici Antiqui in usum scholarum, MGH, Hannoverae et Lipsiae, 1918

et Capitularia Regum Francorum in H.G.H. (ed. A. Boretius-F Walter; Hannover, 1883) E. Baluze: Capitularia Regum Francorum, Parisiis, 1677; Torpe-Beniamin: Monumenta

Ecclesiastica. London. 1840.

HORROR ET AMOR DIABOLICUS (4)

IL PROLOGO DELLA REPRESSIONEdi Paolo Aldo Rossi - Storia del pensiero Scientifico (Univ. di Genova)

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San Domenico presiede un tribunale dell'Inquisizione (olio di P. Berruguete, XV sec.). L'ordine dei domenicani fu fondato dal religioso spagnolo Domenico Guzman nel 1215, con il preciso scopo di combattere l'eresia albigese. Circa vent'anni dopo i domenicani

ebbero l'incarico dell'inquisizione per l'Italia, la Spagna e il Portogallo.

Continua la serie di interventi a cura del prof. Paolo Aldo Rossi, sulla genesi e lo sviluppo della stregoneria in occidente. In questo e nei prossimi lavori saranno via via esaminate le

caratteristiche del fenomeno e le sue ragioni di ordine culturale, giuridico, dottrinario, psicologico e socio-economico. Nel 1233, con la bolla Vox in Rama di Papa Gregorio IX, l'atteggiamento della chiesa nei confronti della stregoneria cambia: il Sabba non è più una

superstizione popolare, ma un rito orgiastico e diabolico. Un secolo più tardi Giovanni XXII, uomo contemporaneamente affascinato e terrorizzato dall'occulto, lancia con un'altra bolla l'ordine di persecuzione contro magia, stregoneria e astrologia giudiziaria: il tempo della

tolleranza è finito; si apre quello dei roghi.

Nel 1231 Gregorio IX nominò il primo della serie dei grandi inquisitori che per i secoli successivi terrorizzeranno la

Germania: Corrado di Marburgo, un folle sanguinario che per un biennio trasformò la valle del Reno nel teatro di una delle più efferate "giustizie" contro una fantomatica setta di seguaci di Lucifero che, a suo dire, compiva nefandezze di ogni genere e congiurava contro la Dio e la Sua Chiesa per riportare l'Angelo

Ribelle in cielo e sostituirlo al Creatore. L'assassinio del fanatico frate coincise sì con un momentaneo arresto della persecuzione,

ma nel contempo convinse il papa che tale setta esisteva realmente ed aveva ampie capacità di operare, tanto che reputò

necessario promulgare una Bolla per far conoscere all'intera cristianità le notizie che erano state raccolte in merito.

La Bolla di papa Gregorio IX,Vox in Rama, del 1233 dando credito alle indicazioni di Corrado di Marburgo sul Sabba

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suggeriva quindi alla appena istituita Inquisizione i termini di un collegamento che in seguito si sarebbe rivelato micidiale, per

quanto, in questo tempo particolare, l'immane lotta contro l'eresia catara, repressa, ma non ancora completamente

domata, non poteva che distogliere l'attenzione degli Inquisitori dalle forme di eterodossia minore.

Nel documento pontificio in esame la figura della strega è ormai perfettamente delineata e il rituale messo in scena alla presenza del Signore delle Tenebre è descritto in un quadro

d'insieme che si replicherà per innumerevoli volte nei secoli a venire come un tema passibile di nuove riedizioni e di sempre

più ingegnose varianti .

"Quando si accoglie un neofita e lo si introduce per la prima volta nella assemblea dei reprobi, gli appare una specie di rana; altri dicono che è un rospo. Alcuni gli danno un ignobile bacio sul

l'ano, altri sulla bocca, leccando la lingua e la bava dell'animale... Il neofita intanto avanza e si ferma di fronte a un uomo dal pallore spaventoso, dagli occhi neri, e talmente magro ed emaciato da sembrare senza carne e niente più che pelle e ossa. Il neofita lo abbraccia e s'accorge che è freddo come il

ghiaccio; in quello stesso istante ogni ricordo della fede cattolica scompare dalla sua mente. Poi si siedono tutti a banchettare e e quando si alzano, dopo aver finito, da una specie di statua che di solito si erge nel luogo di queste riunioni, emerge un gatto nero,

grande come un cane di media taglia, che viene avanti camminando all'indietro e con la coda eretta. Il nuovo adepto, sempre per primo, lo bacia sulle parti posteriori, poi fanno lo

stesso il capo e tutti gli altri, ognuno osservando il proprio turno, ma solo quelli che lo hanno meritato ... Terminata questa

cerimonia si spengono le luci e i presenti si abbandonano alla lussuria più sfrenata, senza distinzione di sesso... Tutti gli anni a

Pasqua essi ricevono il corpo del Signore dalla mani del sacerdote, lo portano in bocca e lo gettano fra le immondizie per

recare offesa al Salvatore. Questi uomini, i più miserabili bestemmiano contro il Re dei cieli e nella loro pazzia dicono che

il Signore dei cieli ha operato da malvagio gettando Lucifero nell'abisso. Gli sventurati credono nel demonio, dicono che egli è il creatore di tutti i corpi celesti e che, nei tempi futuri, dopo la

caduta del Signore, ritornerà nella sua gloria. "

Siamo ormai molto distanti dal "gioco di Diana", il possente costrutto mitopoietico presente e perfettamente definito nel

diritto e nella morale dei secoli dal IV all' XI.

Nei punti di confluenza fra l'universo leggendario germanico e quello delle mitologie greco-romane il cristianesimo aveva

trovato la coerente e costante presenza del demoniaco nella storia: le orge bacchiche, i riti della fertilità, la Wilde Jagdt o

cavalcata selvaggia, i fauni e le divinità delle acque, dei boschi e dei campi, le fate, gli elfi, gli gnomi, i folletti, Pan, i Satiri, Wilda,

Perchta, Diana, Ecate e tutti gli innumerevoli abitatori della

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notte, degli universi marginali, degli immensi spazi selvaggi, si mescolano in un unica orda infernale, un esercito disordinato che percorre un cosmo rovesciato, antitesi e destrutturazione

dell'armonico. Il micropanteon agrario dove continuava a vivere, in termini di persistenti polimorfe miscellanee, quell'immaginario

contadino-pastorale nuovamente stanziato nello stesso ambiente ( il pagus ) che ne aveva segnata l'origine, non

cessava di generare miti e dei che la chiesa missionaria in terra d'Europa faticava ad integrare o ad estirpare.

Ma in ogni caso questo mondo di indotta infedeltà, di ignorante superstizione, di inconsapevole peccato era tollerato

in nome di una pedagogia intenzionalmente progettata sui tempi lunghi, ben diversa dall'apolegetica che s'era dovuta mettere in

opera con estrema rapidità e della difesa dell'ortodossia che doveva addirittura essere effettuata in "tempo reale".

Ancora cinquant'anni prima della Vox in Rama, il teologo Giovanni di Salisbury aveva raccolto e sintetizzato nel

Polycraticus le più varie versioni del Sabba riportate dalle diverse voci dei teologi, dei predicatori, dei giuristi e,

fondamentalmente, dalla tradizione popolare quale s'era venuta a sistematizzare lungo i secoli precedenti. Il volo e il congresso

notturno, il culto di Diana ed Erodiade, le magie d'amore e i culti pagani, il cannibalismo rituale e i sortilegi ne erano le principali

componenti:

"Alcuni affermano di convocare di notte conciliaboli o congressi, diretti da una qualche dea lunare, o da Erodiade o da

una Signora della notte, dove celebrano banchetti, svolgono diversi uffici ricoprendo differenti mansioni: a volte giudicano,

condannano e puniscono per le loro colpe, altre volte li premiano. Essi offrono bambini alle Lamie e addirittura li fanno a brandelli e con vorace ingordigia li divorano e se ne cibano, ma spesse volte li riportano nelle culle perchè Colei che dirige ne

prova compassione" [ Polycraticus , ed. C.I.Webb, Oxford, 1909, pag.17].

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Gli orrori delle Streghe, incisione di Jaspar Isac, XVI sec.

Ma in merito alla interpretazione di queste voci, verso le quali non nasconde una profonda diffidenza, Giovanni di Salisbury aderisce completamente alle indicazioni del Canone o in altre parole, voli e concilii notturni, banchetti e congressi carnali,

infanticidi e cannibalismo altro non sono che sogni indotti dallo Spirito Maligno negli sventurati che ne cadono preda.

D'altro canto una delle massime autorità teologiche del tempo, Pietro Lombardo da Novara aveva, con rigorosa

argomentazione teologico-filosofica, chiaramente sostenuto nelle sue Sentetiae che la magia non esiste, mentre Graziano

poneva addirittura in discussione prima l'entità e quindi la gravità della colpa in merito al peccato di sortilegio. A questo

riguardo è interessante notare come nel Decretum , che rappresenta la voce ufficiale della Chiesa in materia di diritto canonico, la questione della magia e stregoneria è discussa

incidentalmente esclusivamente nella causa 26 e solo in relazione al fatto che un prete, scomunicato perché praticava

sortilegi e divinazione, pentitosi in punto di morte e quindi reintegrato ai sacramenti, fosse da considerarsi validamente

assolto anche senza il diretto intervento del suo vescovo. Ed è proprio a questo riguardo che Graziano, come s'è già avuto

modo di dire in precedenza, riporta il dettato del Canon Episcopi per affermare la mera illusorietà dell'operazione stregonesca, pur bollandola come colpa morale in quanto induce il fedele a

comunicare con Satana.

Ma ancora mancano i due ingredienti principali che permetteranno di confezionare e far detonare la bomba della

persecuzione: l'assimilazione della stregoneria al delitto di eresia e la dimostrazione della realtà delle operazioni stregonesche.

Il primo dei due ingredienti è già abbastanza ben evidenziato nella Bolla di papa Gregorio: la demonolatria dei partecipanti al Sabba è sostituzione del culto dovuto a Dio con l'adorazione di

Satana, mentre per il secondo degli ingredienti si dovrà attendere il terribile Malleus Maleficarum.

D'altro canto dalla prima metà del XII fino agli ultimi decenni del XIII secolo la Chiesa aveva preparato opportunamente il terreno all'enunciazione dell'equivalenza stregoneria-eresia.

Guglielmo di Malmesbury scrive una Historia Regum Anglorum nella quale il mondo magico gioca un ruolo

preminente, Cesario di Heisterbach compone un Dialogus miraculorum letteralmente infarcito di eventi magico-stregonici,

Guglielmo d'Auvergne nel Magisterium divinale incomincia a porre una netta differenza fra l'ignoranza superstiziosa e

l'intenzionalità colpevole della stregoneria, S. Tommaso d'Aquino costruisce una monumentale demonologia in cui pone la

differenza fra l'operare divino ( il miracolo ) e quello diabolico ( il prodigio ), alla base di due mondi speculari intorno ai quali la

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scienza di Satana risulta essere l'esatto rovesciamento della scienza di Dio e coloro che scelgono ( airesis) di appartenere alla schiera satanica ( maghi e streghe ) operano al fine di ribaltare

l'ordine divino .

Ma, come s'è detto, l'attenzione degli inquisitori verso le forme dell'eterodossia minore, nei tempi in cui ferveva la guerra contro l'eresia catara, non avrebbe potuto che essere soltanto

episodica. Quando invece a cinquant'anni di distanza dal massacro degli Albigesi di Beziers la paura catara s'era, almeno

momentaneamente sopita, allora i frati domenicani, accortisi della disattenzione e dell'omissione, chiesero ad Alessandro IV il

diritto di inquisire anche sulle streghe. In un primo momento (1257 ) il Pontefice, reso dubbioso dai Penitenziali e specie dalla

tradizione canonica si oppone alla richiesta, ma nell'anno successivo finisce per cedere e pubblica la Bolla: Quod super

nonnullis (ampliata nel 1260 con una seconda Bolla omonima ) in cui vengono condannati coloro che sono dediti a pratiche di

stregoneria purché sia dimostrabile che costoro oltre che stregoni siano anche eretici. A tal scopo, fatto meritevole

d'attenzione, i domenicani ottengono che sia tolta la giurisdizione ai vescovi in merito ai casi di magia e stregoneria.

Si incomincia così a considerare idealmente accoppiati, anche se non lo sono ancora sul piano giuridico, i due capi di imputazione. I perseguitati sono, almeno inizialmente, i catari di Linguadoca e i Valdesi delle Alpi ( si noti incidentalmente che in alcuni dialetti

gli stregoni sono detti wauenses o gazarii)

Rifugiati sulle montagne, dispersi e disperati di un ricongiungimento, gli eretici non hanno più la forza della

coesione e, quindi, non rappresentano più un gruppo politicamente temibile. Le zone dove essi si stanziano, in esigui gruppi sociali o addirittura in semplici comunità familiari, sono

per tendenze etniche e per condizioni geografiche, regioni in cui le culture spirituali, cosi come le vegetazioni originarie, mal si

lasciano bonificare per "razionale colonizzazione"; agli esiti favorevoli ottenuti con la forza corrisponde spesso una lenta, costante e quasi sempre vincente riconquista delle antiche

forme della cultura autoctona, così come il bosco ritorna foresta e si riprende lo spazio occupato dalle terre coltivate. L'ortodossia

importata dalle religioni delle pianure ha sempre trovato sui monti strenue barriere e indomite resistenze: le antiche

credenze pagane, i riti di propiziazione della fertilità, i particolari costumi morali e sociali, le concezioni magico demoniche di un

mondo marginale sommerso dai sussurri e dalla grida del panteismo naturalistico, non si sono mai lasciati conformare alle ideologie vincenti. Sono questi i luoghi in cui, come si vedrà in seguito, la stregoneria ha da sempre convissuto con l'evolversi del quotidiano, sono queste le regioni dell'individualismo e della

fierezza anticonformista, lo spazio dove possono coesistere, senza scontrarsi fra loro, le più diverse eterodossie, o per meglio

dire dove l'ortodossia non può affermarsi senza essersi prima adeguata alle polimorfe caratteristiche dei paesaggi umani e

naturali che a vicenda si condizionano. E' qui che i nuclei degli

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eretici superstiti trovano momentanea pace. E' qui che i frati difensori della più ottusa ortodossia li inseguirono portando loro nuova guerra. Fu infine nel corso di questa che s'accorsero di

come il nemico eretico, il cataro manicheo che equamente aveva diviso il mondo fra il principe delle tenebre ed il principe

della luce, s'era alleato con una pericolosissima progenie di Satana, abilissima nella latitanza: la strega.

Non è un caso che la concessione di inquisire la stregoneria, strappata a fatica ad Alessandro IV, divenga, a sessant'anni di

distanza, il preciso ordine di un ex inquisitore, vescovo di Linguadoca, e cioè il papa avignonese Giovanni XXII , uomo

affascinato morbosamente dalle pratiche magiche che temeva oltre ogni dire e reputava efficacissime.

Satana impartisce il suo battesimo ad un giovane stregone (dal Compendium maleficarum di R. P. Guaccius, Milano 1626).

Ha inizio quindi la prova generale del dramma persecutorio al quale manca ancora un preciso copione. Alla stesura di tale

copione, solo abbozzato da Giacomo di Cahors, e al quale verrà data forma definitiva con il Malleus Maleficarum, si dedicheranno

per circa un secolo e mezzo teologi, giuristi e filosofi, in un inimmaginabile crescendo di teorie fantasiose costruite con

logiche perverse ed approssimative ermeneutiche e corredate da un contorto impianto epistemologico e metodologico.

"Posti all'altezza di Colui che per primo formò il genere umano .. abbiamo percepito con dolore che vi sono cristiani solo di

nome. Essi, abbandonato la primigenia luce della verità si sono ricoperti da una gran caligine di errore tanto da stringere una alleanza con la morte e stipulare un patto con l'inferno. Essi

sacrificano ai demoni, rendono loro atto di adorazione, costruiscono e fanno costruire immagini, anelli, specchi o vasi o altri oggetti con cui evocare e legare i diavoli; a questi chiedono

responsi, li accettano e per dar sfogo ai loro desideri malvagi domandano loro aiuto dando loro in cambio l'omaggio

vassallatico. Quale sofferenza! Una tal peste si va sempre più diffondendo per il mondo e più del solito contagia il gregge di

Cristo.

Di conseguenza, in seguito al dovere proveniente dal compito pastorale da noi assunto, è necessario ricondurre le pecore che

vagano sviate all'ovile di Cristo e separare dal gregge quelle

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infette perché non appestino le altre. Con la presente costituzione valida in perpetuo, dopo aver sentito i nostri fratelli, ammoniamo tutti coloro che sono rinati in virtù del battesimo, in nome della santa obbedienza e sotto la minaccia di scomunica, e

prescriviamo loro che nessuno osi insegnare o, ancor peggio, mettere in atto tali empie dottrine.

E poiché è giusto che costoro, che con le loro perverse azioni disprezzano l'Altissimo, siano colpiti con le debite pene per le

loro colpe, noi scomunichiamo immediatamente, sia in singolare che in collettivo coloro che abbiano avuto l'ardire di mettere in atto qualcuna delle predette cose contro i nostri ordini e moniti

salutarissimi, sicché incorrano nella scomunica ipso facto.

Stabiliamo con fermezza che, oltre le pene sopra esposte, contro coloro che, ammoniti delle predette cose o di qualche

aspetto di esse, non si siano corretti entro otto giorni da contarsi dal momento dell'ammonizione, si procederà attraverso i giudici

competenti ad infliggere quelle pene, tutte e singole, oltre la confisca dei beni, che per legge meritano gli eretici."

Con questi intenti , dalla sua sede di Avignone, egli lanciò l'ordine di persecuzione contro la magia, la stregoneria e

principalmente contro l'astrologia divinatrice ( la quale ebbe il suo primo martire nel rogo fiorentino del 1327 in cui morì Cecco d'Ascoli). Personalmente guidò la crociata contro le sacerdotesse

di Satana delle regioni alpine e pirenaiche, usando lo stesso rigore con il quale andava a caccia e condannava gli eretici. Fu

proprio con questo Pontefice, ossessionato dalla nevrosi dei valdesi non meno che da quella delle streghe, che la

persecuzione prese una forma meno discontinua, anche se restò confinata geograficamente alle regioni montane del sud della Francia e fu limitata socialmente ai nuclei ereticali classici e ai

gruppi di pericolosa opposizione politica. Pur prese con la dovuta cautela le cifre fornite da E.W. Monter [ Witchcraft in Geneva in

J. of Modern History, XLIII, 1971 ] circa il numero di processi celebrati in Europa fra il 1320 e il 1420, sono ben lontane dalle

decine o centinaia di migliaia di roghi su cui, dopo il Michelet, ha favoleggiato una certa storiografia. Stando ai documenti

abbiamo in questo secolo 12 processi celebrati dall'Inquisizione contro 24 tenutisi presso i tribunali civili.

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Andrea da Firenze Allegoria Domenicana (1355), Cappella degli Spagnoli, S. Maria Novella, Firenze.

Dal centro verso destra si possono vedere l'Imperatore ed il Papa, i due vicari di Cristo in terra.

Il fatto è che il nesso fra stregoneria ed eresia non è ancora riconosciuto come automatico in questo periodo, per quanto si

tenda sempre più a riconoscere che le zone di Narbonne, Beziers, Carcassone, Avignon, Arles, Embrun e Aix,

rappresentano non solo sacche di eresia, ma anche di stregoneria. In altre parole: dal Rossiglione alla Linguadoca, dal

bacino del Rodano fino alle Alpi, il connubio fra le credenze contadine e la ribellione manichea convince sempre più gli

Inquisitori che lo stregone e l'eretico altro non sono che le due facce della medesima medaglia. Ma per giungere alla piena

consapevolezza di questo fatto dovranno passare ancora molti anni. Nei 150 anni che infatti intercorrono fra il preludio

scatenato da Giovanni XXII e l'inizio della vera e propria "caccia alle streghe" voluta e benedetta da Innocenzo VIII, il fenomeno

mantiene una andamento irregolare, disordinato ed episodico. A momenti in cui l'imputazione accoppiata di eresia e stregoneria viene utilizzata contro le più svariate forme di non conformismo

sociale e di ribelle eterodossia ( gruppi ereticali, avversari politici, ebrei, streghe, ecc..) si alternano pause di tolleranza nei

confronti delle varie forme di sorçellerie.

Vedremo in seguito come le rigogliose fioriture che dal XIII al XV secolo ebbero l'astrologia divinatrice, le dottrine

misteriosofiche, la magia naturale e, in definitiva, le varie forme della cultura magico-demonica, furono indotte anche da fattori quali le complici acquiescenze del potere politico che, specie in Italia, non seppe resistere al fascino dell'astromantica, le spesso

ambigue posizioni dei Pontefici umanisti nei confronti delle suggestive riscoperte dell'antica sapienza pagana, le defezioni di alcuni parti del clero, dotto e raffinato, in favore del misticismo neoplatonico. Inoltre le immani tragedie sociali ( peste, guerre,

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carestie ..) , se da un lato esigevano una ragiona apocalittica ed un capro espiatorio (gli ebrei e gli eretici di solito, molto più raramente le streghe), dall'altro lato permettevano che si

scrutassero i signa e i portenta di cui erano prodighe le legioni dei demoni abitatori delle sfere celesti.

Troppo vaste e profonde furono le molteplici crisi che travagliarono il XIV e il XV secolo perché fosse possibile

organizzare, sia da un punto di vista ideologico che logistico, la persecuzione contro una specifica e in fin dei conti non troppo

pericolosa eterodossia.

Il Grande Scisma d'Occidente che aveva tripartito la Cattedra di Pietro, e la Guerra dei Cento Anni ponevano ai potenti della

terra ben, altri problemi che quello di una organica persecuzione della stregoneria. Allo stesso modo, il continuo fiorire di miriadi

di sette ereticali di rigorosa ispirazione evengelica e di inappuntabili costumi morali non poteva che aumentare la

confusione degli spiriti verso l'ortodossia rappresentata da un clero corrotto, rapace e simoniaco; e d'altra parte questo stesso

clero era già occupato a difendersi dagli eretici e dalle loro accuse per poter pensare anche alle " sacerdotesse di Satana".

Inoltre i gravi problemi di lealismo politico ( che per poter essere convincente doveva passare attraverso il lealismo religioso)

posti dalla presenza delle minoranze ebraiche e musulmane in Spagna, e risolti con una feroce persecuzione contro i marrani e i moriscos, rei di mancare della necessaria "limpieza de sangre"

eclissarono quasi totalmente le devianze superstiziose dei montanari pirenaici e d'Aragona.

Con ciò non si vuol certo sostenere che il XIV secolo e la prima metà del XV non conobbero la persecuzione contro le streghe, ma solo che questa fu meno organica e continua di

quanto per abitudine ideologica sia portati a credere e soprattutto che durante questo periodo non vennero promulgate precise norme giuridiche che permettevano l'assimilazione della superstizione di stregoneria con il delitto di eresia. Se è vero che le leggi sono lo specchio della società che le ha prodotte, allora

dobbiamo anche ammettere che l'epoca in questione non conobbe l'inciviltà di ratificare in norme di diritto gli arbitrii che

di fatto venivano commessi.Affinché, quindi,

l'indicazione di Giovanni XXII potesse divenire

norma di legge bisognava che mutassero le

premesse teologiche, filosofiche, morali e

giuridiche sulle quali si era retta la dottrina della

Chiesa nei secoli altomedievali o

perlomeno che i Canoni, le raccolte giuridiche, le

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Uno stregone scambia il vangelo con un libro di magia nera (dal Compendium Maleficarum

di R. P. Guaccius, Milano 1626)

opere di filosofia e teologia venissero

interpretate in maniera diversa da quanto

tradizionalmente s'era fino ad allora fatto.

A questo compito si dedicherà appunto il mileu culturale che

animerà il periodo che va dalla prima età

umanistica a quella della Rinascenza.

Andrea da Firenze Allegoria Domenicana (1355), Cappella degli Spagnoli, S. Maria Novella, Firenze.

Sullo sfondo, assisi sul trono, il papa e gli alti prelati. Il gregge ai loro piedi rappresenta la comunità cristiana protetta dai pericoli dell'eresia dai cani bianchi e neri, ossia dai Domenicani (domini canes, i cani del signore) il cui saio è appunto, bianco e nero.

L'UNIVERSO DELLA STREGONERIA: HORROR ET AMOR DIABOLICUS (5)

L’INIZIO DEL DRAMMA PERSECUTORIOdi Paolo Aldo Rossi - Storia del pensiero Scientifico (Univ. di Genova)

Articolo pubblicato sulla rivista Abstracta n° 19 (ottobre 1987) pp.34- 41, riprodotto per gentile concessione dell’autore, che ne detiene i

diritti. Riproduzione vietata con qualsiasi mezzo. 41

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Allà và eso, Dandateci dunque (da Los Caprichos di F. Goya)

Per un lungo periodo, i dubbi sul carattere ereticale delle pratiche legate alla stregoneria, fecero sì che le condanne fossero miti e rette dal buon senso e dalla tolleranza. Nei Registri

dell’inquisitore Jacques Fournier, che risalgono alla prima metà del ‘300, sono ancora rarissimi i procedimenti contro la magia; tuttavia si andava già delineando un tracciato di

pensiero estremamente pericoloso. A grandi passi ci si avvicinava alla prima metà del ‘400 e iniziava ad oscurarsi il sole della ragione.

Negli anni immediatamente susseguenti la pubblicazione della bolla Super illius specula il vescovo di Novara, Giovanni de

Plotis, dominus in spiritualibus et temporalibus, si trovò a giudicare una donna originaria della città lacustre di Orta dell’imputazione di stregoneria. Nonostante l’esistenza di una confessione in cui la donna dichiarava di aver adorato il diavolo, dileggato la Santa Croce e ucciso bambini tramite incantesimi e fascinazioni, il

vescovo resta incerto sul modo di trattare giuridicamente il caso e quindi invita il massimo dei giuristi dell’epoca: Bartolo di

Sassoferrato, a fornire un consulto chiaro ed autorevole, in modo da sciogliere qualsivoglia dubbio in materia. Il grande canonista perugino accetta l’incarico, ma posto di fronte allo specifico si

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trova a sollevare più problemi e perplessità di quanti in realtà non fosse prima stato in grado di scioglierne. Egli inizia con una citazione assolutamente dirimente, in quanto tratta della «lex

divina»: il Vangelo: «Se qualcuno di voi si staccherà da me, sarà preso e gettato via come in tralci della vite e disseccato verrà dato da ardere nel fuoco», quindi appellandosi alla lex Gabinia, tratta l’offesa e il dileggio del Salvatore come crimine di lesa maestà e infine, rifacendosi alla lex Cornelia de sicariis et veneficiis,

dichiara che «la strega, in quanto omicida, deve morire». Ma, di fronte alla pena da comminare, figlio di una cultura ancor mite e tollerante, la stessa che aveva fatto affermare a S. Tommaso:« [...] da parte della Chiesa vi deve essere misericordia per chi ha

sbagliato e intende convertirsi. Per questa ragione non vi sia condanna né dopo il primo né dopo il secondo richiamo, ma se in

seguito costui perseverasse ancora, la Chiesa non potendo più sperare più nella sua conversione, dovrà provvedere alla salute

degli altri scomunicandolo e separandolo dalla comunità in modo che, lasciato al braccio secolare, sia messo a morte» (1), Bartolo

dichiara:«Ma qualora questa strega si pentisse e tornasse alla fede cattolica, pronta ad abiurare il proprio errore in pubblico,

davanti al Vescovo di Novara, allora si dovrebbe risparmiarle le pene temporali e la morte terrena (nel caso che senza frapporre tempo dopo la scoperta dell’errore sia tornata alla fede e in lei

siano chiari i segni di pentimento, in questo caso non v’è dubbio che le si deve risparmiare la vita) [...] Dove fosse ammesso,

invece, che questa sia stata omicida, neppure con il pentimento sfuggirebbe alla pena, ma riguardo al fatto se sia stata omicida

o meno, mi rimetto al giudizio della Santa Chiesa» (2).

Circa quest'ultimo problema va messo in rilievo il fatto che qualche paragrafo prima il giurista perugino aveva tenuto a

puntualizzare che «se le streghe possano nuocere col tatto o con lo sguardo, fino a procurar morte, mi rimetto alla santa madre Chiesa e ai sacri teologi», lasciando chiaramente intendere che

al «sentito dire» [ sic! ] egli personalmente non dava alcun credito, ma in quanto giurista non era suo compito trattare una

questione di tal fatta.

Questo è un, punto di enorme importanza. Fintantoché i teologi non avranno sciolto la questione affermando

decisamente la piena realtà dei poteri malefici delle streghe. l'unica possibilità di incriminazione resterà l'assimilazione fra eresia e stregoneria; una strada che, benché fosse già stata

imboccata, non aveva ancora trovato, neppure fra gli inquisitori più accaniti, adepti così diligenti da farne l'unità di misura

giuridica. Nel 1378 l'inquisitore generale d' Aragona, Nicholas Eymerich stila una guida all'azione processuale: il Directorium

Inquisitorum che, riaggiornato nel Cinquecento da Francisco Pena, resterà, accanto al Malleus Maleficarum, uno dei capisaldi del diritto canonico sulla stregoneria. Ma a differenza di quanto si sostiene

nel terribile manuale quattrocentesco dei due domenicani tedeschi, in quest'opera appare chiarissimo come il cammino

verso l'identificazione fra eretico e strega, sia ancora alle primissime battute e non possieda la forza sufficiente per

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fungere da vero e proprio calibro teologico-giuridico.

In primo luogo tale manuale distingue fra le forme di stregoneria eretiche e quelle soltanto superstiziose, caratterizza

le prime come demonolatrie e demonodulie e, anche qui distingue ulteriormente fra il caso di apostasia e quello di eresia (la quale non è un fatto individuale, ma come corruzione della fede, è sempre un fatto sociale). Inoltre, in perfetta coerenza

con la mentalità giuridica medievale, eleva a principale problema legale non le «malefatte» delle streghe (difficili da provare e, a volte, anche da credere), ma la fellonia di chi

tradendo il suo Signore, rende l'homagium e istituisce un nuovo patto vassallatico con Satana, suo tradizionale nemico, Come per Bartolo, anche per il domenicano spagnolo la realtà del

potere stregonico deve essere provata, mentre la lesa maestà e la rottura del patto battesimale sono sufficientemente chiari.

Ma anche in presenza di forte sospetto di eresia, l'indicazione dell'azione procedurale è, tutto sommato, intenzionata dal buon

senso e dalla tolleranza.

"Quando non si disponga dell'assoluta certezza circa l'uso di queste pratiche (sia che il mago non confessi, sia che non si riescano a portare prove a suo

carico) ma vi siano solo indizi, occorre valutarli con molta attenzione. Se sono tali da giustificare un forte sospetto di eresia, bisogna ottenere il tipo di abiura

previsto per il sospetto grave, se gli indizi sono leggeri, si richiederà un' abiura per sospetto lieve.

Se gli indizi non fossero chiari e non vi fosse altra testimonianza che la voce pubblica, ci si contenti di infliggere al sospetto una penitenza canonica. In caso di

dubbio sul carattere ereticale delle pratiche l’inquisitore non se ne occuperà» (3).

Circa i dubbi sul carattere ereticale delle pratiche val la pena di ricordare come lo stesso papa Giovanni XXII, il primo che

intenzionalmente lanciò la crociata contro le streghe, si dimostrava, almeno formalmente e probabilmente per artificio

retorico, tanto incerto in merito a tale questione da interpellare i teologi e l'episcopato affinché gli risolvessero il problema,

definendo se certe attività stregoniche fossero da reputarsi eretiche o soltanto superstiziose.

Il che, come si è già sufficientemente analizzato in precedenza, rappresenta il confine fra crimine sociale e colpa

morale:

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«Il papa chiedeva se fosse eretico

battezzare le immagini con

acqua secondo la liturgia della

Chiesa o commettere

qualsiasi atto irrazionale per realizzare dei malefici, e se i colpevoli di tali gesti fossero da giudicare come

eretici o solo come sortilegi e in

che modo debbano nel primo e nel

secondo caso essere puniti; secondo, se il sacerdote che amministra a qualcuno un

secondo battesimo in

modo superstizioso e sacrilego, nella credenza che in questo modo si

ottiene la forza di guarire

dall'epilessia, fosse eretico o solo sacrilego; terzo, se coloro

che ricevono l’eucaristia per

valersene per fare dei malefici o dei sortilegi sono da

punire come eretici, quarto, se

coloro che sacrificano ai demoni o ne

hanno intenzione e per mezzo di tale sacrificio

Volaverunt (da Los Caprichos di F. Goya)

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sforzano la loro volontà a fare un

atto che desideravano ottenere per

mezzo dell'aiuto del diavolo sono da considerarsi

eretici o solo sortilegi» (4).

Anche se possiamo

considerare come estremamente probabile che il

questionario papale avesse lo scopo di spingere

l'"intelligenza" cattolica a rispondere

affermativamente sulla perfetta identità fra

pratiche stregoniche e

pratiche ereticali, resta il fatto che

Giacomo di Cahors non ebbe

immediata soddisfazione alle

sue nevrosi persecutorie. La crociata del papa avignonese non avrà mai un vero

e proprio carattere di continuità e

capillarità e, tutto sommato, dopo la

sua morte perderà gran

parte dell’interesse che

aveva indotto negli inquisitori.

Nella Practica inquisitionis

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hereticae pravitatis

Bernardo Gui, il terribile

domenicano nemico

dell’eresia pauperistica, tratta della questione

stregoneria in un solo

capitolo e ponendo

costantemente l’accento sul tempo in cui è

accaduto il fatto, quasi a ribadire che

dopo l’indicazione papale egli si trova a dover

trattare da eretici coloro che fino ad allora aveva

spregiato come

superstiziosi. Nei Registri dell’inquisitore Jacques Fournier, divenuto papa con

il nome di Benedetto XII, sono rarissimi i casi di procedimenti contro la magia, mentre per quei pochi ricordati, vedi il

procedimento contro Beatrice di Planissolas e un prete suo amante, con cui praticava sortilegi appresi dagli ebrei, la

condanna è di una mitezza impressionante: un anno di prigione e l’obbligo di portare per tutta la vita il segno dell’infamia cucito

sulle vesti.

Siamo ben lontani dall’esortazione allo sterminio con il quale Bernardino da Siena dilettava il suo uditorio:

«E però dico che la dove se ne può trovare niuna che sia incantatrice o maliarda, o incanta tori o streghe, fate che siano tutte messe in isterminio per tal

modo che se ne perdi il seme; ch 'io vi prometto che se non se ne fa un poco di sacrificio a Dio, voi ne vedrete vendetta ancora grandissima sopra a le vostre

case e sopra a la vostra città. E scrivarovelo ancora con le lacrime agli ochi che la cagione dei danni vostri sarà in parte questa, (5).

Mentre invece, con un equilibrio del tutto opposto ai furori sanguigni di Bernardino, un altro grande predicatore, Jacopo

Passavanti inaugurava un tracciato di pensiero ben più pericoloso e passibile in futuro di dare i terribili frutti che il frate

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senese reclamava immediatamente: anche se la strega non è in grado di compie- re l'azione malefica, quel che conta perché sia colpevole di eresia è l'intenzione. In altre parole, anche se non

fosse provata la colpa sul piano dell'esito penale, basta e avanza il «peccato mortale» dell'aver voluto intenzionalmente nuocere col favore di Satana. La potenza devastatrice di quest'idea non

venne però immediatamente compresa e di conseguenza si continuò a ricercare le prove dell'azione malefica.

La cosa non era facile. Andavano abbattute due immani muraglie: quella canonica rappresentata dal Canon Episcopi e

quella filosofica costruita sulla definizione aristotelica di natura. In merito alla prima già s'è detto abbondantemente e si tratterà soltanto di vedere con quali capziose argomentazioni si opererà alla sua demolizione. In merito alla seconda lasciamo la parola

ad Arnaldo da Villanova nel De improbatione maleficiorum:

«Se qualcuno afferma che si può costringere uno spirito maligno a dare certe risposte o a fare del male a qualcuno, si risponde ragionando in questo modo: l'uomo che riesce a costringere lo spirito maligno agisce o per virtù propria o

per virtù di qualcun altro. Di virtù propria non è possibile, perché la virtù è del corpo o dell'anima o di tutte e due insieme. Ma nessuna virtù di sostanza

corporale può agire in sostanza incorporale, in quanto tra di esse non c'è quel rapporto che dovrebbe esistere tra colui che agisce e colui che sopporta. Ma anche la virtù dell'anima non può fare una simile azione, in parte perché o è, appunto, l'anima o è di sostanza intellettuale, in parte perché è congiunta alla

sostanza corporale. Quindi nessun uomo può agire su di uno spirito».

e a Ruggero Bacone nell' Epistola fratris Rogerii Baconis de secretis operibus artis et naturae et de nullitate magiae:

«Tutto ciò che è fuori dall'operare di natura o di arte, o non è umano, oppure è soltanto il risultato di trucchi e inganni» .

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Strega che congiura con i demoni (da Historia de gentibus septentrionalibus, di Olaus Magnus, roma 1555)

A tali argomentazioni, cui stava alla base l'imponente edificio della fisica aristotelica, non sembrava potesse esservi rimedio se

non al costo di sconvolgere la stessa dottrina della sostanza sulla quale si basava, in parte non indifferente, l'intero costrutto teologico. Le trasformazioni sostanziali appartengono alla sfera

del miracolo e, quindi, sono soltanto di competenza divina e, seppur nella Quaestio 78 della Secunda Secundae, S. Tommaso avesse posto la distinzione fra miracolo «aliquid excedens facultatem naturae»

e prodigio «un qualcosa che per cause naturali sconvolge l'ordine di natura", la realtà dell'operazione magica non era mai stata pienamente riconosciuta se non come frutto dell'illusione.

In altre parole così come l'arte è la scimmia della natura, il Demonio è la scimmia di Dio e così come l'imitazione della

natura può istituirsi solo sulla sfera estrinseca dell'operare, ma non su quella intrinseca dell'essere, allo stesso modo il prodigio

imita il miracolo nel suo svolgersi, ma non nel suo essere. Quando poi verrà ammesso che la scena di questo mondo è illusoria e che il mondo dei sensi potrebbe non corrispondere

alla vera realtà delle cose, allora il Principe di questo mondo, il Padre delle illusioni, farà della terra la palestra in cui possono

avvenire tutte le più incredibili e fantastiche operazioni di illusionismo e prestidigitazione.

Ma non si ha, comunque, ancora la presunzione di affermare che tali operazioni siano reali.

Il 19 settembre 1398 la Facoltà di Teologia di Parigi pubblicava 28 articoli in cui si dimostrava la reale efficacia della

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magia: quella bianca o naturale (la stessa per cui Arnaldo da Villanova e Ruggero Bacone avevano combattuto affinché

venisse considerata l'arte di utilizzare i segreti della natura) e quella eretica o demoniaca (l'attività dell'esercito degli adepti di Satana, coloro che a lui Puro Spirito - impossibilitato ad operare

realmente sulla materia - prestavano il loro corpo).

Il Quinto libro del Formicarius di Johann Nider è interamente dedicato a questo argomento. A partire dall'esperienza sua propria e di altri inquisitori, il frate domenicano fornisce al lettore una tal congerie di exempla da lasciarlo interamente

convinto che i poteri magici esistono realmente e che il fondamento teologico dei Padri parigini altro non fa che dar

ragioni e basi filosofiche a tutta una serie di eventi di inconfutabile verità effettuale.

Restava soltanto il dettato contrario del Canon Episcopi in cui si dichiarava «peggiore dei pagani e degli infedeli» coloro che

avessero creduto nella realtà delle operazioni magiche.

Ad abbattere questa «falsa interpretazione del Canone» ci pensa il teologo Spagnolo Alfonso Tostado il quale dichiara che essendo le Scritture molto chiare circa il «volo» e le operazioni

magiche (vedi ad esempio Gesù trasferito da Satana sur più alto pinnacolo del tempio, il profeta Abacuc, Simon Mago e tutta una congerie di santi aviotrasportati) i casi sono due: O si rifiutano le Sante Scritture o si reinterpreta il Canon Episcopi. Ovviamente l’unica

vera strada è la seconda, e il Tostado la imbocca con la competenza dell'esegeta, la finezza dell'ermeneuta e il rigore

del sofista:

«Ma si obietta che è scritto, e bisogna dirlo pubblicamente, che chi crede a tali cose perde la fede e perciò il credervi è un atto di infedeltà, mentre bisogna affermare che esse siano inganno della fantasia. Questo si riferisce proprio agli errori sopra elencati e cioè chi crede a tutte le cose affermate da quelle donne perde la fede. Esse dicevano infatti che Diana era una dea con cui vagavano di notte, perciò credere a questo è perdere la fede dato che significa credere a più

di una divinità. [...] Ritenere che l'uomo possa essere trasportato dal diavolo attraverso l'aria non è credere nel diavolo e quindi allontanarsi dalla retta fede...

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La posizione della Chiesa è resa quindi omogenea e la contraddizione dottrinaria, dubbi e le incertezze sono

banditi: il Canone non si limita soltanto a dichiarare eretiche le opinioni di certe scellerate donne che credono in diana,

ma afferma proprio che queste si recano in ore notturne al Saba dove congiurano con il

diavolo.

Siamo ormai arrivati alla fine della prima metà del

Quattrocento. ricomposto il Grande Scisma d’Occidente (e quasi contemporaneamente si credette di aver risolto anche quello d’Oriente) stroncati gli

ultimi focolai dell’eresia hussita e lollarda, la Chiesa

ritorna ad essere l’immagine trionfante dell’unità dei fedeli;

la pace di Lodi in Italia, il termine della guerra dei Cento

anni per la Francia e l’Inghilterra, la riunificazione

dei regni di Spagna, sono altrettanti termini di una

stabilità politica che mancava da secoli; sul piano delle

culture materiali si assiste ad un insospettato sviluppo

dell’economia, delle tecniche produttive e del commercio,

mentre su quello delle culture spirituali splende viva la luce della Renovatio delle arti, delle

lettere e delle scienze.

Un’età fortunata e felice, insomma.

Ma a perenne monito di chi crede di poter misurare il

progresso storico sui parametri schematici

dell’ordine economico, politico e sociale, ecco che proprio in

quest’epoca inizia ad oscurarsi il sole della ragione

Nel 1450 l’inquisitore generale di Carcassone, Jean Vineti, forte della tradizione di cui s’è appena discusso, afferma per al

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prima volta nel suo Tractatus contra daemonum invocatores che la stregoneria è una nuova, intenzionale ed autentica forma di

eresia.

Sembra essere questa solo la consapevole consacrazione di una lunga ed ininterrotta teoria di fatti ed idee, ma, a ben

pensarci, è proprio il ponte lanciato su di un baratro altrimenti invalicabile. Ma la teoria del frate domenicano non sarà

immediatamente codificata in termini giuridici. Bisognerà attendere la fatidica data del 1484, anno in cui il cardinale

genovese, Giovan Battista Cybo, divenuto papa con il nome di Innocenzo VIII, inaugura il suo primo anno di pontificato con la

famigerata Bolla: Summis desiderantes affectibus nella quale:

«Desiderando di tutto cuore che la fede si espanda e si accresca dovunque al di sopra di tutto e che la perversità eretica sia espulsa dalla comunità dei fedeli,

manifestiamo il nostro pio e santo desiderio accordando nuovi mezzi per metterlo in esecuzione....

In verità è da poco pervenuto alle nostre orecchie - con nostra grande sofferenza - che in alcune regioni della Germania, nelle province, città, terre, paesi e vescovati di Magonza, Colonia, Treviri, Salisburgo e Brema, parecchie persone d'ambo i sessi, dimentichi della propria salvezza e allontanatisi dalla

fede cattolica, non temono di darsi carnalmente ai diavoli incubi e succubi: di far morire o deperire la progenie di donne, animali, dei frutti della terraI le uve delle vigne e i frutti degli alberi... per mezzo di incantesimi, fatture, scongiuri ed altre esecrabili pratiche magiche, eccessi,' crimini e delitti. .. Né temono di rinnegare

con bocca sacrilega persino quella fede che hanno ricevuta con il santo battesimo, e di compiere e perpetrare moltissimi nefandi crimini ed eccessi, per

istigazione del nemico del genere umano. ..»

[sebbene gli Inquisitori di Germania siano stati inviati dal Papa, Egli si lamenta che esistano ancora molti ecclesiastici che

non collaborano allo sterminio delle streghe per cui. ..]

« ...volendo rimuovere ogni genere di impedimenti per i quali si potrebbe in qualunque modo ostacolare l'espletamento dell'ufficio degli inquisitori, e

provvedere, come ci impone il nostro incarico, con opportuni rimedi che il flagello dell'eretica pravità non diffonda i suoi veleni a danno degli innocenti. ... sia consentito agli inquisitori summenzionati [Sprenger e Kramer] di esercitare l’ufficio inquisitoriale su quelle terre, che possano procedere alla correzione,

incarcerazione e punizione di quelle persone per gli eccessi e i crimini predetti, in tutto e per tutto ...».

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Ensayos, Tentativi ( da Los Caprichos di F. Goya).

NOTE:

(1) San Tommaso, Summa Theolgiae; IIa, IIae q. 11 a. 3.

(2) Bartolo da Sassoferrato, Consilia seu responsa ad causas criminales recens Edita, I Cons. IV, Venetis, 1572, p. 5.

(3) N. Eymerich – F. Peña, Le manuel des Inquisiteurs, Parigi 1973, pp. 69-70.

(4) Cfr. Raul Manselli, Magia e stregoneria nel Medio Evo, Torino 1976.

(5) Bernardino da Siena, «Quaresimale Senese» in Novelle del ‘400, a cura di A. C. Borlenghi, Milano 1962.

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L'UNIVERSO DELLA STREGONERIA: HORROR ET AMOR DIABOLICUS (6)

IL MALLEUS MALEFICARUM

di Paolo Aldo Rossi - Storia del pensiero Scientifico (Univ. di Genova)

Articolo pubblicato sulla rivista Abstracta n° 20 (novembre 1987) pp. 36- 42, riprodotto per gentile concessione dell’autore, che ne

detiene i diritti. Riproduzione vietata con qualsiasi mezzo.

Miniatura del XV sec. raffigurante i tormenti infernali

Con la bolla Summis desiderantes Affectibus, promulgata il 5 dicembre 1484, papa Innocenzo VIII autorizza di domenicani Heinrich Institor e Jakob Sprenger a ricercare e quindi «punire,

incarcerare e correggere» le persone resesi colpevoli di stregoneria. Nell’inverno del 1486-87, i due inquisitori danno alle stampe «Il Martello delle Streghe», che spiega le ragioni teoretiche

e le procedure da adottare nella caccia alle streghe. Il successo è enorme, e per due secoli il Malleus diviene il punto di riferimento sull’argomento.

«Innocenzo, vescovo, servo dei servi di Dio a perpetua memoria. Desiderando di tutto cuore che .... ogni eretica pravità sia espulsa dai confini della cristianità»: il 5 dicembre 1484, nel

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primo anno del suo pontificato, Innocenzo VIII promulgava la bolla Summis desiderantes affectibus, nella quale, dopo aver esternato

la sua «grande afflizione» per il continuo espandersi delle pratiche magico-demoniache, specie in Germania, si meraviglia che questo scandalo possa continuare nonostante che: « i nostri diletti figli Enrico Institoris, nelle suddette regioni della Germania in cui si trovano comprese anche le province, città, terre, diocesi ed altri simili domini, e Giacomo Sprenger nelle regioni del Reno,

entrambi domenicani e professori di teologia, siano stati nominati inquisitori dell’eretica pravità con lettere apostoliche

ancora vigenti».

Ma il fatto più incomprensibile per il papa è che «alcuni chierici e laici di quelle parti, presumendo di sapere al di là di quella che sarebbe la loro competenza, non si vergognano di sostenere ostinatamente che, siccome nelle

lettere di incarico inquisitoriale non erano state espressamente nominate quelle province, città, vescovadi, terre ed altri luoghi, persone e delitti predetti, tutto ciò non rientra nella sfera di competenza dei sunnominati inquisitori e che pertanto non è lecito a questi di esercitare il loro ufficio ... per cui ne consegue che nelle

stesse province, città, vescovadi, terre e luoghi, tali eccessi e delitti restano impuniti, non senza evidente danno per le anime e pericolo per la loro eterna

salvezza». Di conseguenza: «volendo rimuovere ogni genere di impedimenti per i quali si potrebbe in qualunque modo ostacolare l’espletamento dell’ufficio degli inquisitori, e provvedere, come ci impone il nostro incarico, con opportuni rimedi

che il flagello dell’eretica pravità non diffonda i suoi veleni a danno degli innocenti... affinché non accada che le province, città vescovadi, terre e gli altri

luoghi della Germania siano privati del debito ufficio dell’Inquisizione, stabiliamo con la presente, in virtù dell’autorità apostolica, che sia consentito agli

Inquisitori summenzionati [Sprenger e Kramer] di esercitare l’ufficio inquisitoriale su quelle terre, che possano procedere alla correzione,

incarcerazione e punizione di quelle persone per gli eccessi e i crimini predetti, in tutto e per tutto....». ed infine per rendere la cosa ancor più sicura, il papa affida al vescovo di Strasburgo il compito di garantire che

in suoi inquisitori non siano molestati da nessuna persona di qualunque rango o condizione sociale e qualora ciò dovesse

accadere l’autorità ecclesiastica deve procedere alla scomunica, alla rigida applicazione delle pene canoniche e, se è il caso,

ricorrere al braccio secolare. Mai un papa era stato più esplicito. La Grande Caccia poteva quindi incominciare anche se mancava

ancora un copione preciso. È vero che i tanti manuali inquisitoriali pubblicati nei primi decenni del secolo già contenevano, almeno implicitamente, tutti gli elementi

necessari, ma, come s'è visto, lasciavano ancor troppo spazio alla personale interpretazione del giudice, non precisavano adeguatamente il campo di intervento e fondamentalmente consentivano l'intervento giudiziario solo contro coloro che

operavano in ambito magico-stregonico, ma non ancora contro coloro che, in accordo con la tradizione canonica, reputavano illusoria la stregoneria e addirittura contro chi si esimeva dal

denunciarla.

Tale mancanza fu subito ovviata con la pubblicazione del Malleus Maleficarum, un biennio dopo la legittimazione del compito

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persecutorio, ottenuta con la Bolla innocenziana, proprio da parte dei due «dilettissimi figli»: Jakob Sprenger e Heinrich

Kramer (Institor).

Il primo, nato a Rheinenfelden intorno al 1436, era entrato nel convento domenicano di Basileia e quindi aveva studiato

teologia a Colonia, dove iniziò una carriera ascendente che l'avrebbe portato da priore ( 1472) a provinciale per la Germania dell'Ordine di San Domenico (dal 1488 al 1495). Inquisitore nelle diocesi di Colonia, Treviri e Magonza sotto il pontificato di Sisto IV, la carica gli fu estesa, in seguito da Innocenzo VII per tutta la

Renania.

Il secondo, nato a Schlettstadt intorno al 1430, a differenza del confratello Sprenger, il quale aveva una ben diversa

spiritualità e anche altri interessi, essendosi dedicato con zelo alla riforma dell'ordine e all'introduzione in Germania del Culto

del Rosario, Heinrich von Kramer fu sostanzialmente un autentico maniaco dell'ortodossia e del lealismo verso Roma che, ossessionato dal terrore delle streghe, si dedicò con ogni

mezzo al loro sterminio sistematico. Personaggio di assai dubbia moralità, viene coinvolto in faccende di estorsione nei confronti di una vedova e di furto verso due suoi confratelli, ma riesce a

cavarsela. A causa della sua inimmaginabile ferocia solleva l'indignazione del vescovo Geog Glosser di Bressanone, presso il

quale svolgeva il suo compito inquisitoriale, sicché questi gli toglie di mano cinquanta donne da lui incolpate di stregoneria e

lo caccia dalla diocesi, ma grazie ai «servigi» resi all'intrigo pontificio poté continuare a godere di un potere talmente ampio da terrorizzare le massime autorità politiche e religiose del suo ordine e del suo paese. Fu lui a brigare perché Innocenzo VIII gli concedesse illimitati poteri e Sprenger gli servì egregiamente da

copertura filosofica e di ufficialità religiosa. Lo stesso libro, nonostante gli avvertimenti del tipo «siamo in due a scrivere»,

frequentemente lascia scorrere un io che denota come l'estensore vero fosse il von Kramer che peraltro aveva già riempito l'Europa di libelli antiereticali e, dopo la morte del collega (1495), continuerà con i vari «Contra errores adversus

eucharistiam extortos», ,«Adversus errores A. Rossetti de plenaria potestate pontificis ac monarchiae» , «Sancte Romane Ecclesiae fidei defensionis clippeus

adversus waldensium et pickardorum heresim».

Per poter infatti agire in maniera del tutto indisturbata, ed evitare incidenti di percorso come quello con il vescovo di

Brixen, Institor ha bisogno che il copione stilato con il MalIeus Maleficarum, sia garantito dall' auctoritas e quindi, oltre alla Bolla pontificia, egli ottiene anche una patente regale e l'Approbatio della Facoltà teologica. Per quest'ultima gli è indispensabile la

mediazione di Sprenger, Superiore provinciale dell'Ordine, riformatore della Regola e dei costumi, stimato quale teologo e

guida spirituale. Con l'aiuto di questi ottiene l'Aprobazio, ossia autorizzazione accademica per pubblicare l'opera da parte della

Facoltà di Teologia dell'Università di Colonia (dove il suo 56

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coautore era vescovo, inquisitore e professore di teologia). La cosa però non fu per nulla facile ed infatti, per vincere le

esitazioni della Facoltà, von Kramer fa pervenire ai membri della commissione una lettera intimidatoria in cui si allega l'approvazione imperiale del 6 novembre del 1496 di

Massimiliano I d'Austria, re dei romani e quindi simula una riunione di facoltà, mai avvenuta, dalla quale esce con la

delibera desiderata. Di fronte ad un tale intrigo e ad un'opera che recava la duplice autorizzazione del pontefice e

dell'imperatore, non restava ai teologi di colonia che l'adesione entusiastica. Ed infatti il 19 maggio del 1497 la più importante

Facoltà europea di teologia, quella a cui il papa aveva affidato il compito di censurare le opere a stampa, si riunì, questa volta

per davvero, e non solo approvò il Malleus Maleficarum, ma giudicò essenziale la persecuzione contro le streghe.

Fu un colpo davvero magistrale questo in cui si ottenne non soltanto il nihil obstat, ma addirittura la condanna contro chiunque

avesse sollevato qualsivoglia ostacolo.

L’opera si apre infatti con una indicativa domanda retorica: «È possibile dire che l' affermare l' esistenza delle streghe sia così autenticamente

cattolico che il dichiarare ostinatamente il contrario sia del tutto eretico?»,

La risposta è scontata, se non altro perché la si poteva trovare già stampata sul frontespizio del libro: «Haeresis est maxima

opera maleficarum non credere», ossia «La massima delle eresie è quella di non credere nella stregoneria».

Comunque, per onorare compiutamente il titolo dell'opera gli Autori demoliscono a colpi di maglio (che in realtà è questo il loro raffinato strumento teoretico) tutte le opinioni contrarie,

reinterpretano a loro esclusivo beneficio i testi canonici, si appoggiano su citazioni, opportunamente scelte e private del

contesto, dei Dottori e dei Padri, riscoprono brani biblici cristianamente inquietanti e forzano addirittura le parole del

Vangelo e degli Atti degli Apostoli, ed infine, per far salvi anche i diritti della «ragione», si avventurano in argomentazioni

filosofiche capziose e spesso risibili,

Nonostante, però, la sua estrema debolezza sia a livello ermeneutico che teoretico, l'opera avrà, dal 1486 al 1669, ben

trentaquattro edizioni con tiratura di circa trentacinquemilacopie stampate (la prima è quella di Strasburgo, presso J. Pruss, del

1486, seguita subito nello stesso anno da Speier a Lione, quindi le principali: Strasburgo, 1488, Magonza, 1488, Speier, 1487-89-90- 92, Colonia, 1494, Norimberga,1494-96, Parigi, 1510-17-19, Lione, 1515-84-96- 1620-29-69, Colonia, 1520, Venezia, 1576,

Francoforte, 1582-88-1600: un successo editoriale senza precedenti!

Inoltre, per circa un secolo non comparirà alcun anti-Malleus capace di risultare se non proprio vincente, almeno convincente,

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mentre saranno edite alcune centinaia (a noi personalmente ne risultano circa trecento, sia anonimi che firmati) di lavori a

stampa costruiti nel solco e secondo la tradizione del Malleus Maleficarum.

Le notissime ed acerrime battaglie combattute dalla cultura dell’epoca contro il dogmatismo della scolastica deteriore

risparmiarono con somma cura questo vero e proprio insulto alla ragione. A tale problema non ci pare che gli storici abbiano

ancora, non si dice dato una risposta accettabile, ma addirittura prestata la dovuta attenzione.

La Questio Prima della Prima Pars del Malleus Maleficarum è, a nostro avviso, estremamente illuminante per comprendere il

cambiamento di clima culturale e le ragioni che hanno permesso l' assimilazione di diritto fra eresia e stregoneria.

Alla più forte delle ragioni filosofiche

contro la realtà dei poteri

vantati dalle streghe, e cioè

quella che afferma che

nessun artificio può indurre in natura delle

modificazioni sostanziali, si

risponde che il diavolo, previo

permesso divino, può

dare alla strega tale

potere.

Ora, chi si oppone a

questo argomento è chiaramente eretico, come è facile vedere dal seguente

ragionamento: le Scritture

affermano che il diavolo opera nel mondo, la

La caccia alle streghe scatenata definitivamente dal Malleus durò a lungo, sia pure con modalità ed intensità diverse secondo le epoche e le regioni. qui vediamo uno dei più celebri roghi del '600, quello in cui fu bruciato nel 1634 Urbano Grandier, protagonista innocente

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filosofia ci insegna che un

puro spirito deve ricorrere

ad un opportuno

intermediario per poter agire sulla materia, quindi chi non

crede che esistono tali intermediari

non crede neppure nel

diavolo; ma chi non crede

nella presenza dell' Angelo

ribelle in questo mondo,

rifiuta una parte delle Scritture; di

conseguenza costui, non accettando uno degli argomenti della Fede

cattolica, è un infedele.

Conclusione: «E poiché

l'infedeltà del battezzato è detta eresia,

costoro vengono

riprovati come eretici» .

All'inizio della questio si

trova, infatti, detto che:

«. ...qui occorre

impugnare tre errori eretici,

delle vicende legate alla cosiddetta possessione di Loudun.

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respinti i quali si manifesterà la verità... c' è chi ha tentato di affermare

che nel mondo non esiste la

stregoneria se non

nell'opinione di uomini che

attribuiscono a quella gli

effetti occulti della natura.

Altri ammettono

che gli stregoni esistono, ma

affermano che questi possano

solo immaginare

con la fantasia di concorrere

agli effetti della

stregoneria. Una terza categoria

sostiene che gli effetti di

stregoneria siano del tutto

fantastici e immaginari, anche se il

diavolo concorre

realmente... questi errori puzzano di

eresia e sono contrari a una

sana comprensione del Canone (1) e lo si dimostra

soprattutto attraverso la legge divina come pure

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attraverso la legge

ecclesiastica e civile».

Il primo degli errori lo abbiamo appena visto; e, sia detto per inciso, l'argomento di Sprenger e Kramer è la prima, sia pur inconsapevole, affermazione di un principio che si rivelerà in

seguito fertilissimo: ossia che il baratro aperto fra natura e arte dalla filosofia classica può, a certe condizioni, essere valicato.

Per il momento è solo la strega che, aiutata dal Principe di questo mondo, può effettuare delle modificazioni sostanziali

nell'ambito del naturale o, in altre parole, a lei soltanto è possibile violare il vecchio tabù del naturale che diceva: "Nulla ars

imitari solertiam naturae potest». In seguito sarà lo scienziato, licenziato Satana, ad arrogarsi un identico potere.

«Gli altri due errori - continuano i Nostri - pur non negando l' esistenza dei demoni e la loro naturale potenza, tuttavia sono in disaccordo a proposito

dell' effetto di stregoneria e della stessa strega, in quanto l'uno ammette che la strega collabori realmente all'effetto, benché questo non sia vero, ma

fantastico,. il secondo, invece, ammette la realtà dell' effetto nella vittima, ma ritiene che la strega, collabori solo in modo fantastico». Queste sono, in fin

dei conti, le posizioni che avevamo già trovato nella cultura medievale: la prima diceva che l'intenzione della strega è

malvagia, ma le sue pratiche superstiziose non sortiscono effetti nocivi; la seconda dichiarava che la strega si vanta di opere

malvage e si arroga poteri che in realtà sono di Satana.

Proprio in virtù di queste due ragioni il Medioevo ha potuto tenere correttamente distinti, sul piano giuridico, l'intenzione di

compiere un delitto (consapevole o mitomaniaca) dalla sua reale esecuzione, le quali colpe, pur equivalendosi sul piano morale,

non possono venir identificate su quello legale.

In ogni caso, per gli autori del Malleus: «questi due errori puzzano di eresia e sono contrari ad una sana comprensione del Canone e lo si dimostra

innanzitutto attraverso la legge divina come pure attraverso le leggi ecclesiastiche e civili».

Risparmiamo al lettore gli spericolati equilibrismi mentali per poter pervenire ad una "sana comprensione del Canone»,

Sembrerebbe, infatti, impossibile far dire a quel brano che è eretico chi non crede nella realtà della stregoneria, eppure i due

domenicani ci riescono. In prima battuta essi avvertono che «prese alla lettera» le parole del canone sono contrarie alla Scrittura, ma dato che non è possibile che proprio la Chiesa

possa aver commesso un errore di tale fatta, bisogna trascurare il contenuto letterale del testo per poterne cogliere l'autentico

significato. Di conseguenza si avventurano in una serie di fantasiose interpretazioni, di argomentazioni sofistiche e di

equilibrismi retorici così rozzi che un qualsiasi studente di logica sarebbe riuscito agevolmente a vanificare.

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Il triste è che nessuno si è provato a confutarle, neppure i coevi maestri di logica, retorica e dialettica che già si stavano

abituando a convivere con le tecniche del pensiero disciplinato.

D'altra parte che dire del silenzio degli umanisti riguardo alle allegre etimologie di Kramer? Uno degli argomenti più persuasivi del MalIeus, almeno secondo il parere degli Autori, è quello che si

fonda sull' etimologia di «Maleficii» per costruire l'accusa di eresia. «Maleficiendo» vuol dire «male de fide sentiendo», ossia

«avere cattive opinioni in materia di fede»; ora la traduzione latina del volgare «stregoni» è proprio malefici, ossia coloro che

provocano tali cattive opinioni.

Infatti: «Mentre tutte le semplici eresie accondiscendono all'errore per la difficoltà del credere, ma senza alcun patto tacito o esplicito con i diavoli.. .. al

contrario questa eresia del provocare stregonerie e malefici che addirittura, come già dimostrato, prende il nome da maleficere, ossia dall'aver cattive

opinioni intorno alla fede, raggiunge il sommo grado della malizia».

Inoltre, il diavolo (che poi significa diabolus, ossia colui che fa due bocconi di anima e corpo) si serve della strega proprio

perché, essendo femmina (da Fe-minus o colei che ha minor fede) è più portata all'eresia. Interpretato quindi rettamente il canone e dimostrata etimologicamente l' eresia, vediamo quali sono le

leggi umane e divine per cui si evidenzia che è eretico non credere nella stregoneria. In primo luogo, bisogna avvertire che: «Secondo il diritto è ritenuto eretico chiunque erri nell' esposizione delle Sacre

Scritture e chiunque, in materia di fede, sia di parere diverso da quello della Chiesa romana» .

Ora, la Chiesa si è appena pronunciata sulla stregoneria con la Bolla di Papa Innocenzo VIII; S. Agostino, S. Tommaso, nonché

la maggior parte dei Dottori della Chiesa, hanno ammesso il fatto che Satana operi in questo mondo (ovviamente, con l'aiuto

intermediario della strega); inoltre, le Scritture recitano chiaramente, in più parti, che la stregoneria è passibile di pena

capitale.

Come è possibile dunque opporsi a tanta autorità, se non per il fatto che si è dalla parte di Satana? E con quest'ultimo

finissimo argomento che si tappa la bocca a qualsiasi avversario tanto sprovveduto e sconsiderato da voler discutere.

Stregone non è solo chi è parte operativa nella congiura satanica, ma anche colui che non crede nella congiura.

Rispolverata, quindi, l'antica ingiunzione della legge mosaica: «Non permetterete che vivano gli stregoni» (Exodus, 22,17), se ne fa la parola d'ordine del cacciatore di streghe, la terribile consegna che comporta, per chi non la faccia rispettare o la esegua con

negligenza, la stessa pena dei rei di stregoneria.

Il cammino è definitivamente compiuto e le posizioni

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altomedievali sono completamente rovesciate: contro S. Bonifacio si dichiara che è del tutto cristiano affermare la realtà della stregoneria; contro il Canon Episcopi si sostiene che l' eretico non è solo chi fa parte della congiura satanica, ma anche chi la nega; ed infine, contro la Capitulatio de partibus Saxoniae si commina la pena di morte anche a coloro che hanno cercato di strappare

al rogo i rei di stregoneria.

Da questo momento in poi, non essendovi più alcun freno ne dottrinale, ne morale, ne filosofico e neppure giuridico, il

massacro può iniziare indisturbato.

La tortura di un gruppo di ebrei accusati di eresia (xilografia del 1475). La stregoneria fu assimilata al reato di eresia per farla entrare nell'ambito della

competenza specifica dell'inquisizione

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L'UNIVERSO DELLA STREGONERIA: HORROR ET AMOR DIABOLICUS (7)

IL RAPPORTO ETNICO-CULTURALE

di Paolo Aldo Rossi - Storia del pensiero Scientifico (Univ. di Genova)

Articolo pubblicato sulla rivista Abstracta n° 23 (febbraio 1988) pp. 38- 43, riprodotto per gentile concessione dell’autore, che ne

detiene i diritti. Riproduzione vietata con qualsiasi mezzo.

Il «dio cornuto» nell'interpretazione pittorica di F. Goya

Secondo la tesi prevalente tra gli storici, la stregoneria fu un mito costruito dal potere religioso, il frutto necessariamente scaturito dalle imperanti teorie demonologiche. Questa posizione si scontra con le ipotesi di quegli antropologi che all’origine della persecuzione

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delle streghe pongono piuttosto l’effettiva permanenza nell’Europa medievale di riti e credenze connessi ad una religione agraria pre-cristiana.

Senza arrivare a dire che la persecuzione è un fatto puramente medievale, protrattosi in seguito per l’inerzia di una

forza storica che, prima di esaurire cineticamente l’enorme energia potenziale accumulata, ha dovuto liberarla come per lo scatto di una molla, ci si può accontentare di affermare che il

mito demonologico è una tipica costruzione culturale del Medioevo e che, mancando di una prova sperimentale, si

dovette per forza inventare le streghe, visto che si era in un periodo in cui non si poteva più accettare che una teoria

restasse senza verifica; e la teoria demonologica (la realtà operativa di Satana in questo mondo) sta alla base sia dell’etica

cattolica che di quella protestante.

È questa una posizione molto diffusa ed accreditata tra gli storici della stregoneria, che però si scontra con interessanti acquisizioni di carattere

etnologico ed antropologico di tenore molto differente.

la prima delle teorie al riguardo può essere ascritta già al roveretano Girolamo Tartarotti il quale, nella sua opera Del congresso notturno della Lamie (1749) cercò di dimostrare che molti dei culti delle streghe erano

in realtà residui di antiche religioni.

Nel 1835 J. Grimm pubblicò a Gottinga la sua Deutsche Mithologie in cui sosteneva che la stregoneria altro non era che l’antica

religione teutonica sopravvissuta alle vicende della cristianizzazione. Ma fu la grande antropologa Margaret Murray

che sviluppò la tesi secondo cui il culto delle sacerdotesse di Satana n on fu né un mito inventato dal Medioevo, né una

calunnia ben utilizzata dal potere nel XVI secolo, ma rappresenta la permanenza di una antichissima religione pagana e, in

particolare, di un culto pre-cristiano della fertilità, sopravvissuto anche dopo l’avvento del Cristianesimo.

nel coesistere di questo mito contadino con le vicende dell’evangelizzazione dell’Europa si configura la nascita e lo sviluppo dell’intolleranza della Chiesa

verso le pratiche magiche, presto considerate come demoniache.

Le opere della Murray: The witch cult in Western Europe, The God of the witches ed infine, The Divin King in England, sono per la verità costruite

con una metodologia a volte stravagante; alcune tesi spesso risultano ingiustificate e molte questioni sono condotte in modo acritico, ma, nonostante questo, le idee espresse in questi saggi

hanno finito con l’imporsi, se non altro per il fatto che si presentano in alternativa al consueto modo di impostare il

problema. In primo luogo, rompono il cerchio della storia della persecuzione per addentrarsi in quello della genesi della

stregoneria, secondariamente risolvono una carenza storiografica significativa in quanto «mancava e manca ancor

oggi – nota Carlo Ginsburg – un’altra interpretazione

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complessiva della stregoneria popolare». (C. Ginsburg, I Benandanti, Torino 1966) ed infine spezzano la catena fatta di pretesti polemici fra i cattolici, i protestanti e i laici radicali, i quali, nel palleggio delle responsabilità della persecuzione,

hanno spesso dimenticato che non sempre le cause efficienti di un fenomeno rappresentano anche la ragione del medesimo.

La tesi principale della Murray è, in sintesi, la seguente: «La stregoneria culturale, o culto di Diana, come propongo di chiamarla, comprende le concezioni religiose e i riti degli

individui conosciuti nel tardo Medioevo come “streghe”. Le testimonianze dimostrano che all’interno del Cristianesimo esisteva un culto praticato da molte classi della comunità,

specialmente dalle persone più ignoranti e dagli abitanti delle aree meno popolate del paese. Questo culto risale all’epoca pre-cristiana ed era, a quanto sembra, l’antica religione dell’Europa occidentale. Il dio, antropomorfo e teriomorfo, era venerato con riti ben definiti. L’organizzazione era ramificata e il rituale simile

a quello delle altre religioni antiche» (M. Murray, Le streghe nell'Europa Occidentale, Milano, 1972).

Questa è un'ipotesi molto sensata (a giudicare anche da quanto ci riferiscono alcuni autori latini di epoca precristiana e dei primi secoli del Cristianesimo sui riti religiosi dei Celti, dei

Balto-Slavi, dei Germani e dei Britanni) ed ha il merito non indifferente di scavalcare la macchinosa costruzione

storiografica che vuole attribuire la stregoneria soltanto alla fantasia sfrenata dei teologi scolastici ed agli omogenei

procedimenti giudiziari degli inquisitori medievali, i quali non solo suggerivano le risposte all'imputato, ma esigevano con la

tortura che fossero conformi al contenuto dei manuali demonologici.

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Il diavolo come caprone da un'incisione del Compendium Maleficarum di F. M. Guaccio

D'altra parte se ci si prova ad

integrare la tesi della Murray con

alcune pezze giustificative, che peraltro nella sua opera non sono frequenti, ci si accorge che

molti dei giudizi astiosi nei suoi

confronti dovrebbero

essere rivisti.

Ad esempio ( e a chi abbia

dimestichezza non si dice con la

Storia delle religioni, ma con

la letteratura latina, non metterebbe

neppur conto di ricordarlo)

Artemidoro, Posidonio, Strabone, Cesare,

Pomponio Mela, Lucano, Tacito, S.

Agostino ecc. sono concordi nel

raccontarci, riguardo alla religione dei

barbari britanni e mitteleuropei, di riti propiziatori,

di liturgie orgiastiche, di

sacrifizi umani, di tecniche

divinatorie, di demoni incubi

che commerciano

carnalmente con le donne, delle

selve usate come templi e del sacerdozio

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femminile, le quali cose sono, che lo si voglia o

meno, le componenti

tipiche di quello che in seguito

verrà detto «culto satanico» .

Il Canon Episcopi (per non stare a

ricordare tutte le opere alto

medievali già menzionate)

ammette l'esistenza di:

quaedam sceleratae mulieres retro post

Sathanam conversae, daemonum illusionibus

et fantasmatibus seductae, credunt se et profitentur, cum Diana

nocturnis horis dea paganorum, vel cum

Herodiade et in numera multitudine mulierum

equitare super quasdam bestias, et multa terrarum spacia

intempestate noctis silentio pertransire, eiusque jussionibus

obedire velut dominae, et certis noctibus evocati ad eius servitium, e ciò non sarebbe stato possibile scriverlo

se i missionari cristiani non si

fossero trovati di fronte a reali

credenze superstiziose come

quelle descritte. R. Manselli, ad

esempio, nelle sue importantissime

opere sull'argomento, ci

dà una vivida

Ancora una immagine dal Compendium maleficarum

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immagine dell' ambiente sociale in cui si trovarono ad

operare i grandi missionari cristiani dell'alto Medioevo:

Cesario di Arles, Agobardo di Lione, Reginone di Prum, S. Bonifacio (l'inglese apostolo della Germania), Incmaro di Reims,

Pirmino, Martino di Braga, Eligio di Noyon (per ricordare solo i più noti) ci raccontano come la loro pastorale si trovava spesso in

contrapposizione con la resistenza di antiche religioni pagane e sottoposta al costante pericolo di contaminazione con riti e culti

in cui gli elementi fondamentali sono precisamente quelli «fantasiosamente» delineati dalla Murray, ossia le superstizioni

legate alle tematiche della fertilità.

In primo luogo la fiaba popolare è un immenso serbatoio di storie in cui sono perfettamente riconoscibili i motivi dominanti

della stregoneria: sortilegi, trasformazioni in animali, manifestazioni di poteri magici, fantasmi e spiriti (buoni e

cattivi), eventi, oggetti e creature prodigiose, talismani e formule magiche, prove per poter avere accesso a luoghi o a congreghe particolari, riti propiziatori nei confronti di creature detentrici di

poteri eccezionali, l'uso magico della parola e del gesto... Al riguardo invitiamo il lettore a confrontare le più diverse

esemplificazioni dei casi di stregoneria (estraendole dai vari classici della demonologia) con il Motif lndex of Folk Literature

(Helsinki, 1932-36) di quel grande storico del Folk Tale che è S. Tompson, e vedere, quindi, se è possibile trovare nei «malleus»,

qualcosa di realmènte originale. Per quanto ci riguarda non ci siamo proprio riusciti; anzi ci siamo sempre più convinti che l'impressionante uniformità delle confessioni delle streghe

(solitamente spiegata a partire dall'uniformità dei procedimenti giudiziari) ha certamente più a che fare con il cosmopolitismo del

racconto di fiaba, uguale sotto tutti i cieli, che con il fatto che i giudici suggerissero le risposte a partire da domande tipo

questionario.

Anche a voler credere a tale macchinosa spiegazione (che, si badi bene, non respingiamo, ma non ci riesce di considerare come unica matrice dell'uniformità della stregoneria) resta ancora da dimostrare dove i vari Sprenger fossero andati a

prendere una così prodigiosa raccolta di storie fantastiche da far sottoscrivere alle accusate di «sorcellerie sabbatique». In

secondo luogo ci accorgiamo proprio dai verbali dei processi che molte delle confessioni furono spontanee, circostanziate e ricche

di notizie, tanto che servirono per integrare l'esemplificazione dei manuali e

aggiunsero insospettate qualità alla figura tradizionale di Satana e nuove caratteristiche ai poteri delle sue sacerdotesse,

non ancora contemplate nelle pur ricche demonologie.

Si può avvertire, inoltre, nell'atteggiamento di molte streghe, 69

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sia di fronte ai giudici che al patibolo, una certa fierezza ed orgoglio, molto simile a quella che contraddistingue chi muore

per la propria fede, non diversa da quella di chi si sacrifica sapendo che dopo di lui ci sarà qualcuno che continuerà la sua

opera e da questa ne trarrà giovamento.

Sta comunque di fatto che, se la Murray parte da una buona ipotesi, approda spesso a risultati discutibili, specie quando,

troppo affezionata alla sua idea, tenta di rovesciare completamente la concezione storiografica classica dichiarando

che la Chiesa Romana si trovò di fronte queste congreghe di sacerdotesse di Satana (Diana, Erodiade, Helda, Perchta. ..) che

si opponevano in maniera organizzata alla fede cristiana cercando di abbatterla. Per questa ragione - essa argomenta, - il clero cattolico inventò il collegamento fra eresia e superstizione,

trovò nuove categorie giuridiche più efficienti, s’adoperò per relegare questa religione nel cerchio satanico dell’immoralità e

del pericolo sociale. In definitiva, se la storiografia classica esalta la funzione della Chiesa come unica creatrice dell’ossessione

diabolica e suggeritrice delle fantasie stregonesche, l’antropologa inglese, al contrario riconosce a questa un ruolo

solo marginale.

Vi sono però alcune obiezioni che potrebbero avere la forza di stroncare completamente le teorie della Murray.

In primo luogo ci si chiede perché la Chiesa Ortodossa, che pur ebbe a che fare con i residui del paganesimo, forse ancor più

che la Chiesa Cattolica, non conobbe né la condanna né la persecuzione della stregoneria

Secondariamente è scor retto non discriminare quanto è realmente di esclusiva provenienza inquisitoriale da quanto ha,

invece, origine nel folclore popolare, dato che è una presupposizione acritica quella che vuole gli inquisitori soltanto come «cronisti giudiziari» e non anche come attivi elaboratori di

originali teorie demonologiche.

Infine è necessario considerare con attenzione un fatto irrefutabile, e cioè: se è vero che le streghe altro non furono che le affIliate di un antico culto della fertilità, come si spiega che fin dalle 'origini della persecuzione troviamo che la gente si difende

da loro perché rendono sterili donne, uomini e animali, provocano tempeste nocive alle colture, danneggiano i raccolti e

diffondono malattie e pestilenze?

Arne Runenberg, riprendendo le tematiche della Murray, le rende scientificamente più accettabili. Nel suo Witches, Demons and Fertility Magic (Helsingfors, 1947) egli tiene conto da un lato della

assimilazione da parte dei nuclei ereticali catari ( rifugiati sui monti) dell'antico culto della fertilità dei loro ospiti; della

diffusione, in uno spazio culturale già predisposto, dell'eresia manichea; dell'opposizione di queste due componenti: eretici e

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pagani, all'ortodossia re- pressiva mediante la creazione di una «secta et haeresis haereticorum fascinariorum» (i cui adepti son detti fascinarii, malefici o Hexen) e dall'altra dell'aspra battaglia

ideologica e politica ingaggiata dalla Scolastica e dall'Inquisizione contro questa nuova associazione.

Con ciò egli può affermare che l'identificazione fra eresia e magia ha un fondamento reale nell' associazione fra eretici e malefici, che le costruzioni teoriche della Scolastica furono

dettate dal desiderio di razionalizzare in schemi mentali ben precisi il disordinato rifiuto, da parte dei montanari, dell' etica

cristiana, che il culto della fertilità viene a far parte del bagaglio eterodosso dell’ eretico tradizionale e quindi non è più solo

«superstizione pagana», ma consapevole ribellione del battezzato apostata contro la dottrina cristiana (A. Runenberg,

Witches, Demons and Fertility Magic, Helsingfors, 1947).

Ma è l'esemplare studio di Carlo Ginsburg sui «benandanti» friulani a portar nuova luce sulla teoria inaugurata dalla Murray

(C. Ginsburg, op. cit.).

Nel XVI e XVII secolo venivano chiamati in Friuli, col nome di "benandanti", i portatori di un antico culto agrario, i quali

avevano eletto a scopo della loro confraternita la difesa dei raccolti e la salvaguardia della fertilità dall'opera contraria degli

stregoni. Sotto l'incessante martellamento inquisitoriale, essi sono costretti a trasformarsi nei loro antichi rivali e nemici e a divenire ( o meglio ad accusarsi di essere) stregoni. Se prima

essi dichiaravano di lottare strenuamente contro i portatori del culto della sterilità, in seguito (sotto il procedimento

inquisitoriale) essi assumono tutte le caratteristiche dei fedeli di Satana e ammettono di «far tempestare», di provocare morte e

malattie, di rendere sterili uomini e animali, di rovinare i raccolti.

Questo antico culto friulano, posto com'è al crocevia geografico delle diverse culture europee, può indicare la strada della costruzione di un'ipotesi etnologica ed antropologica sulla

stregoneria che, in linea con la tesi Murray-Runenberg, ne sfugga, però, le critiche.

La trasformazione del culto agrario in congiura diabolica è infatti esemplare dell'interazione fra la cultura ortodossa e

l'eterodossia popolare. Sarebbe così possibile ritrovare il tema del passaggio dalla religione mitteleuropea della fertilità alla sua

metamorfosi nella ribellione contro l'imposizione dottrinaria di una Chiesa che ingiungeva che s'accettasse oltre al mito

cristiano anche la sua teologia e la sua etica.

Con ciò si riesce agevolmente ad integrare l'ipotesi che vuole la stregoneria europea come esclusivo parto del potere religioso e civile del Medioevo con la tesi della Murray che, come s'è visto,

s'impone di tener conto della funzione degli antichi culti pre-cristiani della fertilità sulla religiosità popolare dell'Occidente

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cattolico.

L' andamento interattivo di questo processo ci fornisce, quasi a mo' di grafico, un secondo rilevantissimo dato da comporre sul

nostro mosaico.

Stregone a cavallo di un becco (dal De Lamiis et pythonicis mulieribus di Molitor, 1489)

L'UNIVERSO DELLA STREGONERIA: HORROR ET AMOR DIABOLICUS (8)

I TEMPI NEGATI ALLA SPERANZA

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di Paolo Aldo Rossi - Storia del pensiero Scientifico (Univ. di Genova)

Articolo pubblicato sulla rivista Abstracta n° 25 (aprile 1988) pp. 36- 41, riprodotto per gentile concessione dell’autore, che ne detiene i

diritti. Riproduzione vietata con qualsiasi mezzo.

Streghe Basche. Nelle regioni basche, su entrambi i lati dei Pirenei, sopravvissero a lungo pratiche pagane, che gli in quisitori interpretavano

come prove di eresia e stregoneria.

Alla domanda «Donde proviene la strega?» Jules Michelet risponde: «Essa proviene dai tempi negati alla speranza» alludendo la disperazione dovuta alla miseria spirituale e materiale che stigmatizza l’Europa del XIV secolo. Ma i tempi negati alla speranza sono soprattutto quelli in cui gli ebrei e i moriscos verranno forzatamente battezzati per essere trasformati da infedeli in eretici, quando, senza più misericordia verso l’errore, verrà coniata una nuova definizione di

eresia tanto ampia da poter servire per colpire sia la superstizione delle streghe che il dissenso degli eterodossi.

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Il diavolo come caprone da un'incisione del Compendium Maleficarum di F. M. Guaccio

Più volte abbiamo avuto modo di

ricordare, nel corso degli articoli

precedenti, la localizzazione

montanara della stregoneria, il che può

anche, molto verosimilmente, voler dire che essa ha avuto le sue origini proprio nelle regioni alpine.

Ad un sia pur sommari individuazione

geografica dei centri in cui avvennero le

grandi persecuzioni, ci si accorge che sono tutti situati attorno

alle Alpi, o quantomeno in regioni montuose di analoga

geografia umana. Valtellina, Friuli,

Trentino, i vescovadi di Milano, Bergamo, Brescia, l’Appennino reggiano-modenese, la Savoia, la Franca – Contea, l’Alsazia, la

Lorena, la Svizzera, il Tirolo, la Baviera, il

Bearnese, la Navarra, l’Aragona, l’Alta Provenza e la

Catalogna sono le tradizionali sacche della stregoneria

europea. Ciò deve

necessariamente voler dire qualcosa.

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Fernand Braudel, all’inizio di quel suo

capolavoro che è Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II, si domanda come sia possibile definire la configurazione che

s’innalza a confine (non solo geologico, ma

geografico) delle terre che circondano il mare

che fu la culla e la matrice della nostra

civiltà: «Le montagne - egli si chiede – sono le

zone povere del mediterraneo, le sue

riserve di proletari?». E subito risponde: «ciò è

vero solo grosso modo.... numerose sono infatti in

Mediterraneo le montagne che fanno

eccezione alla regola di povertà». Nessuna di queste aree fa però eccezione ad altre

caratteristiche specifiche che qualificano al

montagna come habitat umano del tutto

particolare.

«La montagna, per solito, è un mondo chiuso – scrive il Braudel – Un mondo a parte delle

civiltà, creazioni delle città e dei paesi di

pianura. La sua storia sta nel non averne, nel restare abbastanza

regolarmente ai margini delle grandi correnti

incivilitrici, anche quando scorrono con lentezza: queste, quantunque capaci di allargarsi

notevolmente i superficie, in senso

orizzontale, si rivelano impotenti in quello

Uno stregone cavalca verso il Sabba (da De Lamiis et phytonicis mulieribus, di U. Molitor,

1489)

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verticale. Anche la lingua latina non ha trionfato

affatto.... e la casa latina resta una casa di pianura. Più tardi

succeduta alla Roma dei Cesari la Roma di S. Pietro, il problema

permane. solo dove la sua azione poté

rinnovarsi, ripetersi con insistenza pedagogica, la

Chiesa riuscì ad ammansire ed ad

evangelizzare quei pastori, quei contadini

indipendenti. E per questo vi impiegò un

tempo inaudito... Così la vita nelle zone basse e delle città penetra poco a poco in quel mondo primitivo. vis si infiltra

lentamente, col contagocce. ciò non è accaduto soltanto al

Cristianesimo Il regime feudale, sistema politico,

sociale, economico e giuridico non ha forse lasciato fuori dalle sue

maglie le zone montane? Quando le raggiunse lo

fece molto imperfettamente la

montagna è un ostacolo Ma è in pari tempo anche un rifugio, un paese per uomini liberi. Lì infatti non pesano sull'uomo tutte le costrizioni e le

soggezioni che la civiltà impone altrove

Così la montagna respinge la grande

storia, gli oneri come i benefici e i prodotti più perfetti della civiltà...».

Sotto questa luce diventa ragionevole ipotizzare che la stregoneria sia

Due streghe mettono in atto un srtilegio per provocare una tempesta di gradine (dal

frontespizio di De Lamiis et phytonici mulieribus di U. Molitor, colonia 1489).

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stata una forma di ribellione (non importa

se realmente organizzata o solo supposta tale dal potere). In questo caso, però, la rivolta che va

presa in considerazione non è quella tipica del povero contro il ricco

( che in fin dei conti non è né la più trainante

delle energie ribelli, né tantomeno l'unica possibile), ma più

precisamente quella della civiltà autoctona

che s'oppone alla violenza

dell'acculturazione esogena, della libertà contro l'oppressione,

della nazione contro lo straniero, della fierezza autonomista contro il

conformismo.La civiltà vincente delle pianure non poteva comprendere

(e di conseguenza tollerare) una forma di cultura che, figlia di uno spazio storico diverso, era necessariamente dissimile

dalla propria e quindi ripugnante. La storia della civilizzazione delle montagne è una storia di continue

riconquiste, di equilibri instabili con il potere centrale, di strenue resistenze, di improvvise rivolte e, di conseguenza,

di feroci repressioni.

L'ordito sul quale è intessuta la cultura spirituale dei montanari ha nelle sue trame religiose, come s'è visto, le superstizioni pagane e demoniache, non meno di quanto,

nelle sue trame civili, presenti forme di interazione sociale, economica e giuridica del tutto particolari.

Attorno al nucleo di queste forme della religiosità arcaica si sedimenta il mito del Cristianesimo, ma non certo l'etica e la teologia, che rimangono patrimonio esclusivo della cultura esogena. Lo stesso clero, che svolge attività pastorale nelle

terre escluse o appena toccate dalle correnti incivilitrici, rimane contagiato dalla mentalità superstiziosa, per cui non è infrequente che il parroco di montagna, fattosi portavoce della cultura dei suoi fedeli, sia il primo ad essere inquisito

(la famosa indagine di Pierre de L' Ancre nel Labourd fa testo al riguardo).

Se si pensa a quante pratiche magiche e superstiziose sopravvivono ancor oggi nelle nostre cattolicissime

campagne, allora diventa ragionevole cercare di

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comprendere i meccanismi di omogeneizzazione fra i culti precristiani e gli affascinanti miti del Cristianesimo. Esse

spesso fan parte di quel bagaglio etnico che individuano, tra le genti che abitano una regione, un popolo o una razza.

Allo stesso modo in cui la montagna accetta, ma in un senso del tutto proprio, la religione cristiana, così anche le

istituzioni politiche della civiltà delle pianure vengono stravolte al punto da non essere che il pallido spettro del

dettato giuridico originale.

È del tutto inevitabile che in simili condizioni sociali si provochi lo scontro, non certo una battaglia in campo

aperto, ma una lunga, continua e sorda lotta di posizione. Quando la Chiesa diventa un organismo sociale

sufficientemente sistematizzato da pretendere l'ortodossia più completa e lo Stato risulta sufficientemente omogeneo

per esigere il lealismo politico, allora non è più possibile tollerare le sacche di non conformismo, le quali sono anche serbatoi di eresia, di resistenza politica e ribellione sociale,

ricovero dei perseguitati, baluardo dell'individualismo e fattori di scomposizione e dissoluzione dell'edificio politico-

istituzionale. Già s'è visto come nel Medioevo l'accusa fondamentale contro la stregoneria era, assieme a quella di

superstizione pagana, quella di «fellonia» nei confronti di Nostro Signore, ossia di denuncia e tradimento del patto

vassallatico in favore di una nuova alleanza con il tradizionale Nemico della Chiesa di Cristo.

È questa, in definitiva, la stessa accusa che alle terre di montagna viene mossa sul piano politico ogni qualvolta si è

mancato l'obiettivo della loro completa conquista e inderogabile infeudamento.

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I ruderi del castello di Montségur, centro dell'eresia catara, per vincere la quale fu indetta una vera e propria crociata. Gli eretici rifugiatisi nelle valli alpine e pirenaiche aggiunsero probabilmente ulteriori motivi alla

ribellione verso al chiesa e lo stato messa in atto dalle popolazioni montanare, fra le quali, tra l'altro, sopravvivevano pratiche superstiziose

e pagane.

La Chiesa e lo Stato dell'epoca post-feudale ribadiranno le stesse imputazioni cambiando loro soltanto il nome: la superstizione diverrà eresia degli stregoni e la fellonia mancanza di lealismo politico e conformismo sociale.

Gli ebrei, i moriscos e gli eretici catari e valdesi, rifugiati nelle valli alpine e pirenaiche,non solo aggiungono motivi in

più alla sorda ribellione montanara, ma costringeranno in seguito il potere a catalogarli in un'unica secta et haeresis: la stregoneria, e quindi a perseguitarli assieme a quelle genti portatrici di riti superstiziosi che per secoli avevano bene o

male tollerato.

IL TEMA DEL RAPPORTO SOCIALE O DELLA DISPERAZIONE

Jules Michelet, l’autore della monumentale Histoire de France, apre quel suo piccolo capolavoro che è «La Sorciere» chiedendosi: «Donde proviene la strega?» Notissima è la sua tesi: «Io rispondo senza esitazioni. Essa proviene dai tempi negati alla speranza» (J. Michelet, La strega, Milano 1972).

Ma cosa è esattamente questa «disperazione»? o, in altre parole, quali sono i segni che configurano tale negazione

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della speranza?

Per Michelet, tale disperazione è quella della miseria spirituale e materiale che stigmatizza l'Europa del XIV

secolo: l'epoca della grande peste, dei lutti e delle carestie della Guerra dei Cento Anni, delle Crociate contro gli eretici e gli infedeli, delle insopportabili gabelle (ecclesiastiche e civili) che trasformano la fame in inedia, del clero rapace e

litigioso e dei signori disumanamente prepotenti.

Certo la campana che scandisce la vita di quest’epoca suona costantemente i tre lugubri rintocchi dell'usata litania:

«A malo, a fame, a bello libera nos Domine», ma se tutto questo ha certamente contribuito alla nascita della

stregoneria, non ha da solo la forza per spiegare il fenomeno in tutta la sua complessità.

Michelet insiste nel dire che la miseria chiama vendetta e che quando all' oppresso non resta neppure l'ardire di

provarci di persona, allora egli deve evocare lo spirito che può accollarsi il compito di far giustizia per lui.

Sono splendide pagine poetiche quelle in cui lo storico francese traccia il volto della miseria e la maschera della disperazione, ma purtroppo non sempre la letteratura di

valore è anche storiografia di qualità.

Già abbiamo avuto modo di notare come proprio il XIV fosse un secolo di relativa calma persecutoria, anche se è in

questo periodo che compare (ma solo a livello di prassi penale e non ancora di dottrina giuridica) la prima

consapevole condanna dell'eresia degli stregoni ( essa, però, fu in realtà più un' arma contro gli albigesi e i valdesi che un

vero e proprio bando di caccia alle streghe).

Ma anche a voler credere alla tesi della miseria che evoca lo spirito della vendetta restano alcuni fatti non

agevolmente inseribili nel quadro d'insieme.

In primo luogo deve essere spiegato perché l'ossessione diabolica prende forma di fenomeno sociale dagli ultimi

decenni del XV secolo, mentre la tesi in esame situa l'asse portante del fenomeno nel XIV secolo. Secondariamente il fatto incontestabile della localizzazione montanara della

stregoneria ci porta a riconsiderare alcune questioni: primo, l'esclusione della montagna dalle grandi correnti storiche ci deve quantomeno far dubitare del fatto che queste regioni

siano state toccate profondamente dalla miseria del XIV secolo, inoltre va chiarito che la povertà delle regioni alpine

non è disperata ( sui monti si esercitava una economia di sussistenza che, se non vinceva la fame, almeno garantiva la sopravvivenza) e quindi non è facile credere che proprio questa povertà possa aver indotto l'odio e la rabbia sociale,

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infine il Michelet individua nell'oppressione feudale (fatta di tremendi arbitri dei potenti contro i deboli) la molla

principale della supposta rivolta, ma non spiega perché proprio sui monti, che oltretutto erano le zone di minor infiltrazione dell'istituto feudale, sia suonato il tempo

«negato alla speranza» .

Da ultimo vorremmo riuscire a capire come la vendetta non sia quasi mai indirizzata verso i veri responsabili

dell'oppressione, della fame e delle miserie, ma colpisca, a boomerang, la parte dei disperati, dei diseredati, degli

affamati e dei miseri.

Chi abbia letto con attenzione i verbali dei processi non può non essersi accorto, con meraviglia, che è quasi sempre

la mucca di un povero a rifiutare il latte o la moglie di un bifolco a diventare sterile, che la tempesta cade sempre sui

campi di chi non ha di che sfamarsi e che il sortilegio dell'impotenza colpisce molto di frequente il villano, che,

infine, al Sabba, a cui partecipano gli abitanti di uno stesso paese, danzano in girotondo (come sarà poi al processo) gli accusatori, lesi nella salute e nella proprietà dagli accusati i

quali a loro volta, scambiate le parti, avranno gli stessi identici motivi per ritorcere contro di quelli le stesse

imputazioni e i medesimi sospetti.

L' onnipotente Satana non vendica i torti subiti dai deboli, risparmia i potenti ed evita di colpire gli oppressori, ma in

compenso soffia sul fuoco di una rissa colossale fra miserabili in cui tutti s'azzuffano accanitamente contro tutti. Lungimirante è la miopia del «povero», il quale ha maggior soddisfazione nella disgrazia di un invidiato vicino che nella

morte del tiranno.

È anche per questo che ci è difficile credere in uno spirito della vendetta evocato in difesa dei diritti dell'oppresso,

mentre ci è più facile accettare che la «disperazione» possa richiamare dai recessi dell'istinto le Erinni cieche dell'odio. Ma è un odio individuale, la sorda rabbia del vinto, l'astio che non sa dove sia il suo «telos» e non può placarsi nello

sfogo. L'odio collettivo scoppierà più tardi quando l'ortodossia, il conformismo sociale e il lealismo politico non

lasceranno più alcuno spazio al «diverso» (il quale nel frattempo ha imparato a sentirsi tale). Sono questi i «tempi negati alla speranza», ossia quando gli ebrei e i moriscos

verranno forzatamente battezzati per trasformarli da infedeli in eretici (e di conseguenza per poterli sottoporre alla

giurisdizione inquisitoriale), quando gli «eretici» saranno inseguiti dovunque troveranno rifugio, quando senza più

misericordia verso l'errore, verrà coniata una nuova definizione di eresia tanto ampia da poter servire anche (e fondamentalmente) per colpire sia la superstizione delle

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streghe che il dissenso degli eterodossi.

Ogni rapporto sociale sarà, allora, avvelenato dal sospetto, ogni momento della vita segnato dal timore di una probabile denuncia; si ingenera, quindi, un diffuso senso di

insicurezza e sulle macerie di una società frantumata dall'intolleranza sorgerà lo spazio storico della disperazione.

Il Satana che è dentro di noi, il demone che abita in ogni uomo, si risveglia ogni qualvolta: ci si sente braccati,

impossibilitati a chiamare in causa il diritto, incapaci di tollerare il sopruso e l'arbitrio.

Non è facile evocare un tale demone dalla coscienza collettiva di un'intera società, bisogna aver sostituito i valori

con la confusione, aver proliferato le norme fino al vuoto formalismo, aver fatto del politico lo spazio dell'abuso e

della sopraffazione, svuotato la fede dell'emozione d'amore, mortificata e derisa l'intelligenza.

Se questo riuscì al potere fu anche perché l'inquisizione religiosa e i tribunali civili, da questo tragicamente emanati, seppero trasformare in disperazione l'inquietudine sociale e

in cieco odio la coartazione dei desideri.

L'UNIVERSO DELLA STREGONERIA: HORROR ET AMOR DIABOLICUS (9)

IL TEMA DELLA TORTURA

di Paolo Aldo Rossi - Storia del pensiero Scientifico (Univ. di Genova)

Articolo pubblicato sulla rivista Abstracta n° 27 (giugno 1988) pp. 31- 37, riprodotto per gentile concessione dell’autore, che ne detiene i

diritti. Riproduzione vietata con qualsiasi mezzo.

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Streghe sottoposte alle prove del giuramento e dell'acqua ( dal Manoscritto di Heidelberg).

La storiografia liberale ha individuato nell’uso della tortura giudiziaria lo strumento capace di edificare e sorreggere da solo il mito della stregoneria, l’unica fonte cui far risalire le

confessioni degli inquisiti e l’ossessione diabolica del tempo delle persecuzioni. Tale interpretazione non solo non è del tutto vera, ma costituisce anche il modo più sicuro di

fraintendere un fenomeno molto più complesso di quanto il semplicistico schema di causa (tortura) – effetto (stregoneria) voglia lasciarci credere.

Ho affermato che la mitologia dell’ossessione della stregoneria – scrive H. Trevor-Roper in Protestantesimo e

trasformazione sociale – è una manifestazione della pressione sociale. In una società religiosa tale manifestazione assume la forza dell’eresia. ma prima di prendere in esame una qualsiasi eresia è opportuno chiedersi chi, in realtà, l’abbia enunciata.

Furono gli stessi eretici o furono gli Inquisitori ad enunciarla al loro posto?» (1).

La risposta di Trevor-Roper è perfettamente in linea con quella della storiografia tradizionale e di conseguenza non tiene

in alcun conto l’ipotesi Murray-Runenberg-Ginsburg: «Tutti i documenti – egli dichiara – dimostrano chiaramente che la

struttura della nuova mitologia è opera esclusiva degli Inquisitori stessi» (2).

Dato che crediamo di aver sufficientemente motivato il nostro dissenso al riguardo, vale al pena di considerare l’unica vera

ragione che potrebbe giustificare l’ipotesi che la stregoneria, o per meglio dire il culto di Satana, sia stata una elaborazione

dell’Inquisizione (da parte nostra aggiungiamo un «in parte non indifferente» in sostituzione dell’«esclusivamente» di Ttrevor-

Roper). Tale ragione è legata all'uso della tortura giudiziaria nei procedimenti penali. Già fin dai primordi dell' epoca tragica della persecuzione s'erano levate alcune voci contro la credibilità delle

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confessioni estorte con la tortura, ma la norma giudizi aria che impediva che si verbalizzassero tali confessioni se non quando fossero state successivamente rilasciate durante un normale interrogatorio, aveva bene o male tranquillizzato più di una

coscienza.

Nel 1678, Sir Ceorge Mackenzie nel discutere le linee del diritto penale in Scozia, s'era addentrato nel problema dei

processi per stregoneria ricavandone la convinzione che «questa pratica (la tortura) è stata la causa di tutte le confessioni delle

streghe" (3). Si apre con questo una fortunata linea interpretativa del fenomeno persecutorio. Sarà, infatti, questa la

strada battuta dai più eminenti fra gli storici della stregoneria europea, da W .C. Soldan, l' autore della monumentale Geschichte

der Hexenprozesse, fino ad H.C. Lea, il curatore della grande raccolta documentaria che va sotto il titolo di Materials toward a History of

Witchcraft. Essi affermano, infatti, che la stregoneria è figlia della tortura giudiziaria non meno di quanto lo sia delle elaborazioni

dottrinarie della Scolastica. Se questo fosse del tutto vero, allora non metterebbe alcun conto occuparsi del problema della

stregoneria, dato che siamo tutti disposti ad ammettere che un forte gruppo di potere possa, attraverso l'uso sistematico della

violenza e del terrore intimidatorio, modificare a suo piacimento la coscienza della collettività. Al più si tratterebbe di chiedersi perché la Chiesa abbia avvertito il bisogno di verificare la sua

costruzione demonologica ricorrendo alla strada sicura dell'interrogatorio con tortura. Per il resto la vicenda della

stregoneria europea non avrebbe altra storia che quella della persecuzione di alcuni individui particolarmente adatti ad essere

trasformati in prova vivente della bontà delle concezioni Scolastiche su Satana.

Ma, a nostro avviso, non solo questo non è del tutto vero, ma è anche il modo più sicuro per riuscire a

fraintendere un fenomeno molto più complesso di quanto il semplicistico schema di causa (tortura)- effetto

( stregoneria) voglia lasciarci credere.Nell'ipotesi Soldan-Lea v'è comunque una notevole

parte di verità e cioè che l' alto Medioevo non avrebbe conosciuto la persecuzione contro le streghe perché non conosceva l'uso della tortura giudiziaria, mentre dal XIV

secolo in poi si incominciano a raccogliere tutta una serie di confessioni perfettamente in linea con le concezioni

Scolastiche sull'eresia e la stregoneria (infatti la famosa Bolla Ad extirpanda di Innocenzo IV del 1252, in cui si

autorizza l'uso della tortura giudiziaria contro gli albigesi, provoca di lì a pochi decenni la normalizzazione di tale

pratica inquisitoriale). D'altra parte ciò non è sufficiente per dichiarare che, prima della riscoperta della tortura giudiziaria, non esistesse la stregoneria, almeno nei

termini in cui si è soliti definirla. In primo luogo va detto che la tortura viene legalmente autorizzata nei processi per

stregoneria solo dal 1468, ossia dopo che Paolo II

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dichiara le pratiche demoniache «crimen exceptum». Prima di questa data, però, molte delle più famose opere

di demonologia sono già state scritte e «senza 1' aiuto delle confessioni delle streghe». In secondo luogo

dobbiamo avvertire ancora una volta che un conto è parlare di «caccia alle streghe» e ben altro conto è

parlare di stregoneria. Non faccia- mo davvero fatica a credere che senza la tortura sarebbero impensabili due secoli di persecuzione, mentre non riusciamo proprio a

convincerci del fatto che sia la tortura a creare quel vasto fenomeno fatto di nevrosi collettive e di ossessionanti

terrori che è la stregoneria europea del XV e XVI secolo.

Il meccanismo su cui ruota l'uso della tortura giudiziaria è assolutamente automatico. Per istituire il processo bastano delle semplici prove indiziarie (ed è grottesco che proprio oggi ci sia

chi se ne meraviglia); per trasformare gli indizi in prove a carico non ci sono che due strade: la confessione dell'imputato e

l'esibizione da parte dell' accusa di elementi incriminatori (prove materiali o testimoniali) assolutamente incontrovertibili. Ora, è

ovvio che anche nel caso in cui non si trovino le prove materiali - il patto satanico scritto col sangue, le varie strumentazioni

magiche per evocare lo Spirito del male (le formule dei Grimoire, i pentacoli, i talismani. ..) e gli arnesi del mestiere dei «malefici»

(grasso di "bambino non battezzato, resti di membra umane, intrugli di erbe. ..) - la denuncia fatta contro la presunta strega

non può essere lasciata cadere, a meno di ammettere il principio (sul quale ancora oggi la coscienza popolare si mostra perplessa) dell'assoluzione per insufficienza di prove. D' altro canto non ci si deve dimenticare che l'imputazione contro una presunta strega parte sempre da una precisa denuncia proveniente da semplici

cittadini e quasi mai dalla medesima autorità giudiziaria (la quale non ha in appoggio alla sua opera una vera e propria «polizia

investigativa" ). Oggi ci accontenteremmo delle sole prove testimoniali, tantopiù se è in gioco l'omicidio, la strage,

l'attentato, intenzionale e volontario contro la salute pubblica, l'associazione a delinquere o sovversiva. Purtroppo anche il più fededegno dei testimoni può sempre lasciare qualche sospetto sulla sua sincerità e sulla lealtà del suo rapporto, e questa che

stiamo considerando è un'epoca che non accetta dubbi, ma esige certezze assolute sull'eventuale colpevolezza e, di

conseguenza, pretende la confessione. È a questo punto che subentra la tortura. Essa è l'unico modo per ottenere, sempre e

comunque, il reo confesso.

Prima però di discutere ulteriormente della funzione svolta dalla tortura giudiziaria nell'ambito della stregoneria, pensiamo

valga la pena di analizzare, sia pur con estrema concisione, i termini del pro- cedimento giudiziario quale compare nei suoi

diversi aspetti in due manuali fondamentali: il Directorium inquisitorum di N. Eymerich del 1376 e il Malleus Maleficarum di J.

Sprenger e H. Kramer del 1486, i quali rappresentano le punte di diamante giuridico-dottrinali del periodo del preludio

persecutorio e, rispettivamente, dell'epoca della caccia alle

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streghe.

Nel primo di questi due testi non ci risulta che si faccia menzione della tortura. Il procedimento giudiziario è molto semplice: se qualcuno viene trovato in flagrante pratica di

superstizione o eresia diabolica «deve essere considerato eretico e come tale beneficiare del perdono dei giudici a patto che si

penta e accetti la penitenza che gli verrà inflitta. In caso contrario sarà consegnato come eretico impenitente al braccio secolare per subire il supplizio del rogo. Quando, invece, non si dispone di assoluta certezza circa l'uso di queste pratiche (sia

che lo stregone sospetto non confessi o non si riescano a provare le accuse nei suoi confronti), ma si abbiano solo indizi, occorre valutarli con attenzione. Se essi sono tali da giustificare un forte sospetto di eresia, bisogna ottenerne il tipo di abiura prevista nel caso di sospetto grave; se gli indizi sono lievi si richiederà un' abiura per sospetto leggero. Se gli indizi non

fossero però chiari e se non si avesse altra testimonianza che la voce pubblica, ci si dovrebbe accontentare di infliggere al

sospetto una penitenza canonica. In caso di dubbio sul carattere ereticale delle pratiche utilizzate da qualche stregone,

l'inquisitore non se ne occuperà». A differenza di questo testo il Malleus Maleficarum non possiede né il dono della semplicità espositiva ne quello della concisione (tutta la Terza parte del volume è dedicata all'azione giudiziaria e si scandisce lungo trentacinque circostanziatissime questioni), ragioni per cui

cercheremo di sintetizzarne al massimo i punti salienti.

Il processo, secondo Sprenger, può iniziare in tre diverse 'maniere: «Qualcuno accusa un altro del crimine di eresia e di

favoreggiamento offrendosi di fornire le prove»; oppure chi denuncia, non volendo esser parte in causa (pur volendo fare il suo dovere di cristiano) rifiuta di fornire le prove; e ancora, «in città, o in paese corre voce che vi siano delle streghe per cui il

giudice non procede su istanza di parte ma d'ufficio». I testimoni devono, in ogni caso, essere almeno due, concordi e legittimi. La loro legittimità è data dalle seguenti condizioni: i malfattori non sono ammessi come testi contro la gente perbene, così come

sono esclusi i servi che accusano i loro padroni, mentre gli eretici e gli stregoni non possono testimoniare a discarico, ma solo a

carico. I nemici mortali dell'imputato sono teoricamente esclusi dal processo, ma in pratica non testimoniano solo quando

l'accusato, prima che inizi il processo, riesce ad indovinare il nome del suo accusatore e fornisce inconfutabili prove di una

insanabile inimicizia con questi. Gli astii fra donne (che come si può vedere da molti verbali sono motivi di incessanti calunnie e

di innumerevoli condanne) non sono presi in alcuna considerazione in quanto non potrebbero venir catalogati fra le "inimicizie mortali". Accettate quindi le deposizioni concordanti

(è detto esplicitamente che la concordanza non deve necessariamente essere specifica, ma basta che sia generica) si

arresta la strega e le si comunica l' accusa. A questo punto il gioco è fatto dato che una persona arrestata, sia per l'evidenza del fatto sia per le deposizioni dei testi, o confessa il suo crimine

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o no. Se confessa e si pente bisogna portarla al braccio secolare perché la colpisca con l'estremo supplizio, come dice il capitolo del diritto, o la cacci in carcere a vita, secondo un altro capitolo

che si riferisce alla scomunica. Se invece non confessa e continua a negare, bisogna consegnarla alla curia secolare

perché sia punita con il castigo necessario". Nonostante la strada imboccata sia ormai senza sbocchi, gli Autori continuano

imperterriti (per altri venticinque capitoli) a discutere tutta la possibile casistica: «Purtuttavia - essi scrivono - sia per non dare

l'impressione di precipitare la sentenza, sia, soprattutto, per procedere assolutamente secondo giustizia, ci si chiede che cosa si debba fare in seguito». Essi, difatti, si domandano se è giusto

assegnare all'imputata un avvocato difensore (la risposta è affermativa), se costui debba o meno conoscere i nomi dei testi a carico (la risposta è negativa a meno che giuri di non rivelarli

all' imputato) , se si debba promettere salva la vita pur di ottenere la confessione (risposta affermativa, dato che, in

seguito, si consiglia di sostituire il giudice che ha promesso con un altro), cosa debba fare il giudice in sede di interrogatorio ed

infine come utilizzare lo strumento della tortura giudiziaria e perché. Su quest'ultimo punto essi sono estremamente espliciti e cioè affermano che senza tortura molti stregoni negherebbero gli

addebiti loro fatti e dato che «la strega non deve venir condannata alla pena capitale se appunto non si dichiara tale

per propria confessione» ne consegue che la tortura è lo strumento principe del giudice.

D'altro canto, essi stessi lo ammettono più volte, non è detto che sia sempre necessario ricorrere a tale pratica giudiziaria, dato che sono molti i casi in cui gli imputati confessano «de

plano» i più orrendi e nefandi delitti. Per questa ragione il giudice deve cercare, ogniqualvolta gli sia possibile, di fare in modo di

espletare l'indagine seguendo i normali sistemi di interrogatorio per domande e risposte, tantopiù che se ne ricava maggior soddisfazione in quanto giocando d'astuzia e mettendo in

contraddizione l'imputato, si vince una emozionante sfida con Satana (il quale, come si sa, parla per bocca della strega e le fa

da avvocato difensore).

Il principe del Male è infatti un logico raffinatissimo e, così come la Morte non rifiuta mai una partita a scacchi, anche

Satana non è capace di evitare il tavolo della disputa filosofica. Egli sa bene che gli uomini, così come avvenne per Guido da

Montefeltro, spesso lo sottovalutano e dimenticano ch' egli è un maestro di logica e dialettica. Ed è anche per questo che è sicuro

di vincere. Oltretutto Satana, preso con le cattive, è testardo e "resiste strenuamente alla tortura che gli esorcisti gli infliggono; allo stesso tempo sa infondere nelle sue sacerdotesse torturate una incredibile forza di sopportazione. Ma quando lo si riesce a battere sul piano della disputa logica, egli sembra provare una

così lacerante vergogna che senza colpo ferire abbandona definitivamente il campo. L'esorcismo e la tortura esigono

pazienza e santità, mentre l'argomentazione vincente richiede prontezza e intelligenza. Chi di noi non sceglierebbe d' esser

reputato esperto nella seconda?87

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L 'idea liberale della tortura come esclusivo ed

infallibile procedimento

giudiziario capace di edificare e

sorreggere il mito della stregoneria, non ha mai fatto i conti con questa

prospettiva che dai verbali dei processi viene alla luce con

altrettanta frequenza dell'interrogatorio

con tortura.Certo non era difficile

mettere alle corde delle donne ignoranti

ed incolte, ma quando in queste

contadine si risveglia l'astuzia atavica di Bertoldo, allora la

sfida diviene esaltante e di solito sono i giudici che, sentendosi battuti,

infrangono le regole del gioco e si rifugiano nella

tortura.

Ma prima di arrivare a questo si

comportano con un rigore investigativo

estremamente scrupoloso, simile a

quello del più preciso ed ordinato degli

«scienziati».

Essi mettono a confronto i testimoni

cercando di appianare le

eventuali discordanze fra le

loro versioni, analizzano con

pedanteria il testo 88

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delle verbalizzazioni, ricercano con

«serietà scientifica» le prove materiali del

patto e, ricorrendo all'opera di «barbieri e cerusici», tentano di scoprire il marchio di Satana sul corpo

delle imputate, consultano i medici su varie questioni

fisiologiche e «psichiatriche»), perseguono con

tenacia l'obiettivo della confessione completa e anche

quando l' ottengono pretendono che

l'imputato produca al riguardo delle prove

irrefutabili.

La tortura è spesso l'ultima ratio ed è, di solito, provocata o

dall'ostinato silenzio dell'imputato o dalle

sue disarmanti ragioni. Jean Bodin vi ricorre ad esempio quando, dopo aver dato fondo alle sue raffinate tecniche di

logica ed aver convinto l'imputata Jeanne d'Harvillier

che, date le inoppugnabili prove a suo carico, è più

ragionevole che essa confessi, si sente

rispondere: «Ditemi voi che cosa io

debbo confessare che lo confesserò».

Ma d'altra parte è proprio Bodin,

l'indiscusso «principe della cultura

francese del tardo

Scene dal film La visione del sabba di Marco Bellocchio. Nel film, il protagonista, in bilico tra

realtà e sogno, vive una vicenda di stregoneria del XVII secolo. Il ruolo di Mad, la "strega", è

interpretato da Beatrice Dalle.

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Cinquecento», il padre della storiografia comparata e dell'economia

politica, il teorico della dottrina dello

Stato e il colto precursore

dell'Illuminismo politico, che si

trasforma in uno dei più ottusi ed accaniti

persecutori delle streghe perché,

come egli stesso ci racconta, ha udito

con le proprie orecchie delle

confessioni assolutamente spontanee; non

estorte, non si dice con la tortura, ma

neppure con le minacce. È a partire da personaggi della

statura di questo grande giurista,

fermamente convinti della realtà della

«sorcellerie sabbatique» che

abbiamo incominciato a

dubitare dell'idea che le confessioni

delle streghe fossero esclusivo prodotto della tortura: Bodin non ci sarebbe certo

cascato. D'altra parte non è l'unico

ad aver avuto l'esperienza delle

confessioni spontanee;

ricordiamo il giudice italiano Paolo

Grillandi, il calvinista inglese W. Perkins, il consigliere di Stato Pierre de L' Ancre

dalla parte dei 90

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demonologi e J. Wier, Reginald Scot, Ulrico Molitor da parte dei

"difensori" delle streghe.

Proprio dal Discovery of Witchcraft di Reginald Scot sappiamo che in Inghilterra, dove non

esisteva la pratica giudiziaria dell'interrogatorio sotto tortura, le streghe

«possono essere indotte con facilità a confessare ciò che non fecero mai e che nessuno sarebbe mai in grado di fare».Queste in realtà confessarono ogni sorta di

delitti e di misfatti e si vantarono di incredibili poteri, se dobbiamo credere agli esiti di

migliaia di processi celebrati dal XV al XVII secolo in tutto il territorio inglese (si veda ad esempio la suddivisione dei processi per aree geografiche e la catalogazione nominativa dei

condannati fatta dalla Murray e il materiale documentario riportato da Alan Macfarlane nel

volume Witchcraft in Tudor and Stuart England). Inoltre il collegamento fra tortura e

stregoneria non è così automatico come si suoI credere. Se la tortura fosse davvero condizione necessaria e sufficiente delle

confessioni delle streghe e di conseguenza dell' ossessione diabolica, allora bisognerebbe dimostrare che la stregoneria scompare con

l'abolizione della pratica della tortura giudiziaria. Il fatto è, invece, che il delitto di

stregoneria scompare dal diritto penale molto prima dell'abolizione della tortura ( così come

era apparso molto dopo la sua istituzione).

In Francia la stregoneria muore legalmente nel 1676 per merito di un editto di Colbert che vietava ai tribunali di accettare i processi per «sorcellerie sabbatique», mentre la tortura viene abolita in epoca rivoluzionaria. Così in Baviera: si abolisce la tortura nel 1806 e la

stregoneria era scomparsa nel 1766, in Prussia le date sono rispettivamente il 1721 e il 1740. stesso discorso lo si può fare per la Svizzera,

la Svezia e la Nuova Inghilterra. In Italia la Chiesa chiude con i processi per stregoneria nella seconda metà del XVII secolo, mentre

mantiene la pratica del tormento fino alla fine del XVIII secolo.

In definitiva, nello stesso modo con cui abbiamo cercato di respingere gli schematismi

semplificatori delle teorie che attribuiscono 91

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alla Scolastica la genesi della mitologia satanica, ugualmente rifiutiamo il mito della

storiografia liberale che vuole la tortura come unica fonte delle confessioni e dell' ossessione

diabolica.

Questo se non altro perché, espresse in termini tanto rigidi, sono ipotesi inutili.

Il panorama della storia non può essere disegnato all'«egiziana», ossia con tutti i suoi

attori posti sotto un unico profilo e sullo stesso vettore spaziale; il quadro che ci si aspetta di vedere non è, quindi, quello dei «cartoons», in cui il mondo è completamente stilizzato e fatto di personaggi coerenti, ma improbabili; infine,

pochi di noi sono disposti a considerare un libro di storia alla stregua di una cartolina illustrata, mentre quello che di solito ci si

attende dalla storiografia è un racconto fatto di continuo susseguirsi di immagini in

movimento, di sfondi reali che richiamano un universo fatto di cose familiari e di sensazioni conosciute, di dialoghi possibili con gli uomini

del passato, di analogie culturali fra due mondi in successione o in definitiva di uno spazio

umano altrettanto complesso che quello in cui viviamo, e proprio per questo vicino alla nostra

sensibilità e passibile di comprensione.

Streghe sottoposte a tortura. Xilografia di anonimo

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tedesco.

PER UNA STORIA DELL'ERESIA MEDIEVALE (1)

QUALE ERESIA ?

Raniero Orioli - Medievalista - Redaz. Accademia dei Lincei

Miniatura riferita a Deuteronomio , da un antico esemplare di codice cristiano: la "Bibbia di S. Paolo fuori le mura" (870 circa)

Patarini, bogomili, catari, dolciniani, beghini, fraticelli, ussiti. ..Accogliendo le richieste di tanti lettori, inizia una serie di articoli che esplorerà sistematicamente il mondo delle eresie medievali. In questo primo

intervento, premessa indispensabile, si imposta il problema e si fa cenno alle prime grandi eresie che sconvolsero il nascente mondo cristiano.

Eresia così dicesi dal greco 'scelta " cioè ognuno sceglie ciò « che gli par essere migliore». Così scriveva, a cavallo tra VI e VII

secolo, il vescovo di Siviglia Isidoro; e Raoul Manselli, forse il nostro più grande esperto di movimenti ereticali, poteva

giustamente chiosare: “Se airesis è scelta, ebbene l'eresia sarà allora la coscienza di questa scelta». Ed eresia è quindi una

libera adesione ad un credo comportamentale, etico, spirituale, che necessariamente si contrappone a qualcosa di altrettanto categorico definito e definitivo da cui si distingue e dal quale

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riceve la connotazione negativa che la parola indubbiamente oggi - ma non solo oggi - implica. Perché è certo che anche se la scelta comporta coraggio, un coraggio che non indietreggia ne svilisce neppure di fronte alla morte e alla morte violenta, ciò

che resta è la connotazione negativa che comunemente accompagna questo termine.

Abbiamo dunque da una parte un monolite pieno di certezze, dogmatico e che si ritiene depositario della verità, esauriente ed

esaustivo (e lo possiamo chiamare chiesa, sistema tolemaico, partito, ortodossia), dall'altro invece il singolo - che può farsi gruppo o folla o movimento - che pur accogliendo il sistema,

operando e restando all'interno di esso, ne intacca le certezze, il dogmatismo, quando non addirittura le basi.

Già da questa definizione si evince la necessità di delimitare i termini del nostro approccio, che non pretende certo di

ripercorrere la storia di una parola, la storia cioè di tutte le eresie, siano esse di tipo religioso o politico o scientifico. Questo significherebbe rincorrere la fortuna di un termine non sempre usato a proposito. Non si intende ingrossare la già fitta schiera

dei tuttologi, infausta progenie dei giorni nostri, per cui è opportuno chiarire che l'eresia di cui si intende parlare sarà

quella con chiare connotazioni religiose. Ma non solo.

Questo non basta a delimitare il campo. Eresie religiose e politico-religiose - e di non poco momento - sono riscontrabili nel

mondo islamico e in quello orientale, mondi che solo marginalmente saranno sfiorati se non per la parte che possono

aver avuto venendo a contatto con l'Occidente cristiano. Ma ancora non basta.

L' eresia di cui si parlerà sarà quella medievale, anche se inevitabilmente qualche cenno si dovrà pur fare alle eresie dei

primi secoli, se non altro per porsi la domanda se abbia una ragion d'essere parlare di continuità o meno tra II e III e XI-XII

secolo.

Ma c'è ancora un'altra ragione - soltanto apparentemente banale - che obbliga lo studioso che non voglia bluffare con il

proprio lettore, a delimitare sia dal punto di vista cronologico sia da quello contenutistico il discorso; ed è il fatto che storia

dell'eresia e storia del Cristianesimo vanno di pari passo, così come non c'è quasi periodo in cui ad un papa non si sia

contrapposto un antipapa. Riassumere duemila anni di storia in pochi articoli sarebbe un atto a dir poco presuntuoso.

La scelta s'impone dunque e quella che qui si opera è mirata.

Ripercorrere la storia dell'eresia medievale significa cercare di cogliere la progressiva trasformazione o il farsi in parallelo di

una eresia che da «teologica», tesa cioè a dibattere temi cristologici, liturgici ecc" quale quella dei primi secoli, si fa mistica, popolare, animata da istanze etiche strettamente

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connesse con la realtà sociale; significa registrare una variazione quantitativa oltre che qualitativa a livello di partecipazione;

significa necessariamente ricercarne le cause anche al di fuori dello stretto ambito religioso per invadere il sociale, il politico,

l'economico. E significa anche tracciare la storia della «reazione», di come cioè il «sistema» si sia difeso, di quali strumenti si sia servito; si tratta, tra l'altro, di parlare della nascita e dello svilupparsi dell'Inquisizione, che non è stata

sempre uguale a se stessa ne uguale a quell'immagine terrorifica che ancora regna nel subconscio comune. Si tratta di

vedere che significato avesse la scomunica, l' essere cioè escluso dalla vita ecclesiale e comunitaria, con tutte le

conseguenze politiche ed economiche che un tal provvedimento comportava necessariamente in un contesto sociale che pur non

essendo ierocratico, trovava tuttavia potere civile e potere religioso spesso schierati dalla stessa parte.

Foglio miniato con scene dai vangeli, da uno dei più antichi codici cristiani che ci siano pervenuti (manoscritto "Rabbula", 586 circa)

Insomma, l' obiettivo non è quello di scrivere una esauriente e completa storia dell'eresia; un tale progetto – lo abbiamo detto - è forse un'utopia; ciò che ci si propone è più modesto: capire di che natura fossero gli eretici, quali pulsioni avessero, su quale umanità fosse fatto calare il pesante abito ereticale da parte di chi avvertiva in loro una diversità pericolosa e destabilizzante.

Resta tuttavia il fatto che queste sole ragioni non bastano per giustificare una delimitazione temporale così drastica. Contro i circa duemila anni del Cristianesimo può sembrare a dir poco

riduttivo limitare il discorso ai secoli sia pur centrali di tale

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esperienza, soprattutto quando sappiamo che il termine “eresia” è testimoniato già nel Nuovo Testamento. Eppure tra quelle che generalmente vengono connotate come eresie dei primi secoli, in realtà ve ne sono alcune che rappresentano qualcosa di ben

più di una scelta diversa dall’ortodossia, che sono vere e proprie religioni alternative, che dal Cristianesimo assumono alcune

tematiche adattandole o stravolgendole nell'ambito di un contesto che non è ancora completamente «cristiano».

È il caso dello Gnosticismo, «l'insidia mistico- speculativa, visionaria ed individualistica» (Concetto Marchesi) sorta, non a

caso, in Alessandria, il gran calderone in cui confluivano la filosofia greca ed il misticismo religioso d'Oriente.

Bene e male, eterno dilemma

umano

Servendosi del messaggio cristiano e

fondendolo con miti ellenistico-

orientali d'impronta

l'eterno misterica, gli Gnostici

distinguevano tra l'imperfezione del

mondo umano visibile e la

perfezione,di un Dio supremo, la

conoscenza (gnosis in greco ha infatti questo significato) del

quale, individuale e riservata a pochi eletti,

tramite forme iniziatiche di

apprendimento, avrebbe portato

alla salvezza.

Al di là della questione ancor

oggi non del tutto risolta,

concernente una probabile - o

meno -derivazione dello

Ercole e l'Idra (sopra) e Le Samaritane al pozzo (sopra): questi affreschi, dall'ipogeo di via Latina,

Roma, (IV secolo) mostrano una convivenza di temi pagani e temi cristiani, senza alcun intento di

conciliazione. Segno, questo, dell'osmosi tra le due culture religiose nella Roma imperiale.

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Gnosticismo da talune sette

giudaiche (Esseni, Ebioniti, ecc.), il

pensiero gnostico incominciò a

manifestarsi già nel I secolo d.C.,

nell'area del Giordano,

quando, dopo la morte del

Battista, un certo Simone di Gitta, identificato con il Simon Mago degli Atti degli Apostoli,

8, 9-24, si sarebbe

autodefinito la «Grande Potenza

di Dio».

Diffusosi nel mondo greco e in quello romano, lo

Gnosticismo si suddivise ben

presto in sette; tanto che non è facile riuscire a

fornirne un quadro al tempo

stesso chiaro, omogeneo ed esauriente.

Tutto sembra prender l'avvio dal dilemma umano per eccellenza, quello sul significato del nostro essere e della

contrapposizione tra bene e male. La conoscenza fornirà a coloro che a tal uopo sono predestinati la risposta al quesito, una risposta, tra l'altro, che parte da un presupposto di squisito stampo platonico, dall'idea cioè , che gli uomini possano, attraverso il mondo inferiore che abitano; immaginare la

perfezione e la beltà di un mondo superiore. All'inizio è un Eone (che nella terminologia gnostica indica una sorta di universo a struttura temporale) perfettissimo ed eterno, un Proto-padre

coesistente con il suo pensiero che è altresì il Silenzio cosmico e assoluto. Come in una specie di reazione a catena, dal Padre e dal Pensiero si generano gli Eoni del pleroma, che a loro volta

originano un'immagine del Padre - diversa a seconda delle sette - svincolata dall' isolamento primordiale e in grado di generare.

Una delle emanazioni eoniche, Sophia, sprofonda nella

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materia:dimenticando il suo universo celeste e dando origine ad un mostro leone-serpente. Il nostro mondo, così pieno di brutture

e di mali, è quindi, per così dire, un incidente cosmico. Da siffatto incidente trae origine Ialdabaoth, la potenza difforme

circondata da un Eone tenebroso che sarebbe, appunto, il nostro mondo. Contro la superbia cieca del mostro il Padre Arconte

manda1'uomo Adamo, a sua immagine e portatore di luce, che però, avendo suscitato la gelosia dei suoi artefici, viene da questi rinchiuso in un involucro corporeo e gettato in un Eden velenoso dal quale, con la sua compagna Eva, sarà espulso da Ialdabaoth.

Ma continuerà la lotta tra il Demiurgo e i discendenti di Seth, i «perfetti», che conservano una scintilla del Logos; e sono

costoro che, mediante la gnosi, devono essere risvegliati per riprendere totale coscienza della loro natura divina. In ciò

saranno aiutati dal Salvatore, alcune volte identificato con Cristo.

L'imperatrice Teodora (Ravenna, S. Vitale, VI secolo). Teodora aderiva

all'eresia monofisita, che negava l'esistenza in Cristo delle due nature, umana e divina, affermandone la sola

natura divina.

Il conseguimento della gnosi porterà alla liberazione dalla materia e dall'asservimento

carnale; un'ascesa senza ritorno ai cieli, anche se, per taluni

particolarmente eletti, il viaggio potrà essere possibile anche restando in vita. Per quanto

riguarda la ritualità gnostica, si suppone che esistessero la

pratica della confessione, anche se probabilmente compiuta in sede d'iniziazione, quella del battesimo, praticata in diversi

modi, quella di una specie d'eucarestia, compiuta in genere col «sangue» della

Madre celeste - una coppa di vino - o, come presso la setta degli Ofiti, con pani messi a

contatto d'un serpente, da essi venerato, probabilmente, quale

simbolo di una costellazione.

Altre sette, invece, celebravano, non sappiamo quanto o meno

simbolicamente, le "nozze spirituali" che avrebbero dovuto

riprodurre i raggruppamenti eonici celesti.

Come si vède, anche se presenti in maniera cospicua, gli imprestiti cristiani non sembrano essenziali né determinanti; vi

sono indubbie analogie tra Gnosticismo e Cristianesimo, ma non è possibile ne corretto spiegare riduttivamente il primo come

una “deviazione” del secondo. Val tuttavia la pena di ricordare come risalgano a sant'Epifanio, nel IV secolo, autore di un'opera

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fortemente polemica e denigratrice nei confronti dello Gnosticismo, le informazioni, per altro di seconda mano,

secondo cui orge e riti immondi avrebbero caratterizzato certe forme di Gnosticismo, dando così l'abbrivio al formarsi di un 'topos' che con grande frequenza e con costanza ossessiva

ritroveremo applicato per tutto il Medioevo e che sarà ereditato dalla polemica antistregonica.

Ed allo stesso modo dello Gnosticismo non è possibile ricondurre tout court al Cristianesimo il Manicheismo.

Anche in questo caso indubbi elementi consimili, cui si aggiunge il fatto che di Manicheismo si dovrà parlare fino al XIII secolo, hanno spesso indotto a considerare questa religione una “eresia” cristiana, negandole una autonoma dignità di pensiero.

In realtà l'insegnamento di Mani opera una sintesi di varie istanze presenti sia nel Cristianesimo, sia nello Gnosticismo, sia

nel Mazdeismo, ma ha nello stesso tempo una propria ragion d'essere non necessariamente collegata al Cristianesimo.

Mani, nato nel 216 da nobilissima famiglia persiana, imparentata con la stirpe degli Arsacidi, ebbe, a soli 12 anni, la rivelazione del Paracleto che gli aprì il mistero della luce e della

tenebra.

Dea Eresia, xilografia di Anton Eisenhoit (1553 - 1603)

Incomincia da qui l'attivià missionaria di Mani, svoltasi principalmente in Iran, nell'attuale Pakistan e nella regione

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mesopotamica, e rivolta al fine specifico di fare del suo credo una religione di stato. Il che non poté non comportare un

durissimo scontro con la classe sacerdotale zoroastriana, allora predominante; scontro che si risolse, dopo parecchi anni, con la vittoria dei magi mazdei. con l'imprigionamento di Mani. con la

sua morte per inedia, nel 276 o 277, e lo scempio del suo cadavere, che, secondo alcune fonti, sarebbe stato scorticato,

impagliato ed esposto al pubblico ludibrio. I Principi della dottrina Manichea - "I1pensiero di Mani,

che dichiarava esplicitamente di aver avuto come precursori Gesù, Budda e Zoroastro, e di essere egli l'apostolo del vero Dio

nella terra babilonese, è basato sulla gnosi; pur tuttavia dallo Gnosticismo si differenzia enormemente, avvicinandosi invece al Cristianesimo, proprio perché la conoscenza non è, come nel

primo, uno strumento di perfezione riservato a pochi eletti, bensì il n'1ezzo di diramazione e proliferazione di una religione

che vuole tutti toccare e di tutti essere.

Al Mazdeismo - la religione organizzata da Zoroastro nel primo millennio a.C. ed imperniata sul dualismo tra bene e male - è invece ispirato il pensiero manicheo quando considera due

principi coeterni, non inferiori l'uno all’altro, egualmente potenti ed in eterna lotta. L 'uno, Dio, il Padre di grandezza, è lo spirito,

la luce, la pace; l'altro è il Re della tenebra, il signore della materia, del caos, della guerra, della magia malefica, della

discordia perenne in cui egli stesso è coinvolto.

E questo sovrano delle tenebre, dilacerato com'è dal suo stesso regno e dal suo stesso essere, spasima d'invidia

struggente ogni volta che gli si rivela un barlume della perfetta bellezza del regno della luce.

Il Padre di grandezza, buono per eccellenza e"definizione, non può avere mezzi di difesa, ma solo, di fronte alla rapace

invidia del nemico, offrire se stesso come olocausto.

A tal scopo emana la Madre della vita e questa, a sua volta, l' Uomo primordiale che accetta personalmente il combattimento

con le forze del male e dà in pasto se stesso e le proprie emanazioni ai figli delle tenebre.

In tal modo ha origine la miscela di bene e male, di luce e tenebra, di spirito e materia che caratterizza il nostro mondo. E

pur tuttavia i cinque figli dell'uomo primordiale sono vere e proprie forze nel seno del nemico e l'uomo primordiale ottiene dal Padre l'emanazione d'una triade (Amico delle Luci, Grande Architetto, Spirito Vivente), da cui sortiranno l'Ornamento dello Splendore, il Gran Re d'Onore, l' Adamante Luce, il Re di Gloria

e Colui che porta. Ed è lo Spirito Vivente ad iniziare l'opera redentrice, stabilendo un mutuo rapporto con l'uomo primordiale e liberandolo dalla materia per portarlo,

nuovamente, alla luce. È questa liberazione il primo segno della vittoria del Padre di grandezza, il germe escatologico della

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speranza.

Però luce e materia, biologicamente, sono ancora frammiste nel mondo e per timore della vittoria di Dio le tenebre inviano due demoni che generano Adamo ed Eva, figli dell'odio e della

lussuria. Da qui il concetto manicheo del corpo umano considerato quale sostanza diabolica. Ma il bene continua la sua

opera redentrice e cerca di risvegliare in Adamo la coscienza della sua origine divina. Ecco allora l'arrivo di Gesù, Il Luminoso, e la conseguente liberazione di Adamo; Gesù, la cui passione e

crocifissione è il dramma della luce inchiodata alla materia: «Gesù, vita e salute degli uomini, è sospeso ad ogni legno».

La perenne tensione universale, secondo la cosmogonia di Mani, rivela come il nostro mondo sia prigione della luce e nel contempo delle tenebre che non potrebbero trattenere la luce

se non abbandonando il mondo stesso. Sarebbe allora opportuno evitare i concepimenti, che costituiscono ogni volta un imprigionamento della luce nella materia. Pur tuttavia, dopo una Grande guerra e dopo la fine del mondo, si avrà il definitivo

trionfo della luce sulla materia e le tenebre saranno relegate per sempre nel loro mondo. Questa, molto in sintesi, la dottrina

manichea che era, per di più, corredata da precetti comportamentali alquanto rigidi e da cerimoniali fastosi e suggestivi, ma il cui aspetto precipuo, quello che la separa nettamente dalla miriade di pensieri gnostici, fu il rifiuto dell'aspetto iniziatico e selettivo e l'impronta, invece, di

un'interpretazione d'una storia universale «capace di appagare la mente de fedele semplice e ignaro e, insieme, dell’uomo

colto e filosoficamente preparato» (Manselli).

Una religione, dunque, di indubbio fascino, contro la quale si scateneranno i polemisti cristiani del IV-V secolo, tra cui

Agostino (che ben la conosceva perché ne era stato un adepto), ma di cui si continuerà a parlare - vedremo con quale

fondamento -fino al XIII secolo.

Ciò non toglie che sarebbe riduttivo relegarla, almeno nelle sue origini e nei primi secoli di vita, al ruolo di «eresia», così come, operando un salto di più di un millennio, altrettanto

incongruo sarebbe insistere su tale termine per contrassegnare due distinte realtà fenomeniche quali la stregoneria e,

successivamente, la Riforma protestante.

Nel primo caso infatti più che ad una scelta cosciente di contro ci troviamo di fronte ad una strumentale

demistificazione di comportamenti spesso anomali, spesso ritenuti tali, spesso artatamente interpretati come tali.

Qualunque sta la giustificazione o, meglio, la spiegazione che si intende dare della caccia alle streghe (follia collettiva, ricerca

del diverso ad ogni costo e conseguente emarginazione, sopravvivenza popolare di riti arcaici O di culti sciamanici,

creazione strumentale ex cathedra, ecc.), ciò che resta di base è la mancanza assoluta o quasi di una «teologia» alternativa o

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parallela, tale da giustificare l'accusa stessa di eresia. Con la stregoneria assistiamo all'ultimo ed esasperato tentativo di un

mondo in crisi (si pensi alla Cattività Avignonese, prima, al Grande Scisma, poi) di compattarsi e ricompattare un'unità che si sta inesorabilmente sfaldando. La caccia alla strega è ad un tempo caccia al diverso e ragion d'essere di strutture che non riescono più ad incidere come vorrebbero nel tessuto sociale.

Non che l'Inquisizione perda potere a partire dal XV secolo, anzi semmai lo rafforza, accentuando gli aspetti deterrenti che inizialmente non le erano propri. Ma di fronte a se troverà una

realtà di gran lunga diversa da quella dei secoli XI-X III. La nascita degli stati nazionali, la crisi della ierocrazia, favoriscono lo sfaldarsi di quel monolite che si era costituito a partire dal IV-

V secolo dalla fusione o concomitanza di interessi tra potere civile, Regnum, da una parte e potere religioso, Sacerdotium,

dall'altra.

Duplice è il fenomeno cui assistiamo con la nascita dell'età moderna: da una parte sempre più frequenti gli assertori di una

libertà di pensiero che prelude al ritorno all'uomo, alla sua dignità in quanto tale, che caratterizza l'Umanesimo prima e il Rinascimento poi; dall'altra verrà spezzato drammaticamente il

binomio Cristianesimo = Chiesa di Roma e in nome di un recupero delle primigenie istanze apostoliche, non nuove come vedremo, ma certamente qualitativamente e quantitativamente

diverse. La Riforma, che la controparte si ostinerà a definire «eretica» e che, più correttamente si deve dire «scismatica», in realtà prelude se non ad una pluralità di Cristianesimi, certo ad una pluralità all'interno del Cristianesimo. Parleremo dunque

d'eresia, con limiti temporali e contenutistici, e accogliendo, per fiera comodità e al di là di qualsivoglia posizione soggettiva, la definizione che connota l' eresia quale dottrina in opposizione

immediata, diretta e in contrasto con la verità rivelata da Dio e proposta dalla Chiesa di Roma. Ci occuperemo della nascita

delle prime eresie; esamineremo poi quei movimenti che permearono della loro azione e dei loro contenuti i secoli di

mezzo. Il nostro excursus si fermerà nel momento in cui, ad una Chiesa, per la fattispecie quella universale, cattolica e

apostolica, vedremo opporsi altre Chiese e quando osserveremo spezzarsi quell'unità che si era man mano

costituita a partire dal IV secolo. Ci fermeremo cioè quando, con l'inizio dell'era moderna, non si potrà più parlare di un Medioevo e di un mondo cristiano; quel Cristianesimo che, appunto nel Medioevo, era il “sistema” e del quale l'eresia medievale - a prescindere da alcune cautele necessarie nei

confronti dell'orgogliosa ed autonoma chiesa catara. era stata parte attivissima, vitale, sofferta e fondamentale.

Confutazione della gnosi valentiniana dall ' Adversus baereses di sant'Ireneo: « ...Dicon che nelle invisibili e indescrivibili altezze c'è un Eone perfettissimo ed eterno... che è invisibile e che non può - esser circoscritto da nulla. E così, essendo Egli sempieterno e non creato, stava negli spazi temporali eonici in silenzio e quiete...

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«Il Pleroma, secondo essi invisibile e puro spirito; è suddiviso in tre parti, una di otto elementi, una di dieci e una di dodici; e per questo motivo affermano che il Salvatore (che rifiutano di chiamare Dio) in trent'anni non ha fatto nulla di manifesto se non rivelare il mistero di questi Eoni. E affermano che la parabola dei lavoratori mandati nella vigna è un'evidentissima dimostrazione dei trenta Eoni...

«Affermano che ci sono quattro elementi, il fuoco, l'acqua,la terra e l'aria... Enumerano dieci virtù: sette, che chiamano anche Cieli; un'altra, detta l'ottavo Cielo; e poi il Sole e la Luna...».

I testi del Manicheismo : Le fonti in nostro possesso per il Manicheismo sono opere, a partire dal IV secolo, di autori greci, latini e siriaci, neoplatonici o cristiani ed altre, dal V al XV secolo, armene, persiane musulmane.

Tra la fine del XIX e l'inizio del :X secolo in Asia, soprattutto nel Turkestan cinese, e, ne11918, in Algeria, sono stati ritrovati i primi testi autenticamente manichei, i talora ricchi di belle miniature. Soltanto ne11932, grazie allo studioso tedesco Carl Schmidt, si sono potute conoscere le opere più antiche del pensiero manicheo, rinvenute in Egitto e risalenti al IV-V secolo: i Kephalaia (dialoghi tra Mani e i discepoli), le Lettere di Mani, il commentario all' Evengelo vivente – l’opera principale di Mani - ed altre. L'importanza di siffatto rinvenimento è stata quella di permettere di sfrondare il Manicheismo di tutti i filtri e le sovrastrutture mediante i quali c'era stato tramandato dalle opere di parte avversa che, tra l'altro, avevan fatto sì che, nel corso dei secoli, fossero identificati con il Manicheismo movimenti religiosi fondamentalmente diversi da esso e, limitando la portata del pensiero di Mani - quella di una vera e propria religione universale a tutti destinata e da tutti fruibile - avevan creduto e fatto credere questa religione nient'altro che una deviazione, una setta, un’eresia cristiana.

Il Manifesto Ideologico di Mani – “Le Scritture, i testi di Sapienza, le Apocalissi, le parabole e i salmi delle chiese precedenti sono convenuti, da ogni luogo, nella mia Chiesa, compenetrandosi con la Saggezza che io ho rivelato. Come due fiumi confluiscono l'un con l'altro, dando origine ad una potente fiumana, così gli antichi testi sono confluiti nei miei Scritti; e questi costituiscono il massimo della Sapienza, quale mai esistette precedentemente”. Carme manicheo - «Originato dalla Luce e dagli dei,/ eccomi in esilio e separato da essi. / I nemici, levandosi su di me, / m'hanno trascinato in mezzo ai morti. / Che sia benedetto e trovi la propria salvezza / colui che libererà 'anima mia dall'angoscia / lo sono un dio, nato da dei, / splendente, scintillante, luminoso, / radioso, profumato e bello, / ma adesso ridotto alla sofferenza. / Schifosi demoni delle tenebre m'hanno ghermito / e m'hanno levato il mio potere./ La mia anima ha perso la conoscenza. / I demoni m'hanno morso, lacerato, divorato. / Demoni d'ogni tipo, / scuri draghi spietati, / repugnanti, mefitici e neri, / m'hanno fatto provare il dolore e la morte. / Urlano e si slanciano contro di me, / mi perseguitano e mi tormentano...».

Preghiera Manichea a Gesù - “Ti prego, Gesù, dammi misericordia!

Scioglimi e liberami dal vincoli dei demoni e degli spiriti malvagi.

La mia vita attuale si svolge in una landa di fuoco,

conducimi verso il mondo puro che dona riposo.

O Grande Re, salute di ogni infermo!

O potente luce di ogni tenebra,

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rifugio misericordioso di tutti colorò che han perso la strada,

di tutti coloro che si sono allontanati dalla conoscenza...

io sono, o grande Santo, un profumato seme della Luce

e fui lanciato tra ì rovi di una folta boscaglia;

concedimi la tua grande misericordia, raccoglimi,

portami nell'aia della Legge, nel deposito della Luce...

io sono, o grande Santo, una veste nuova e splendida

che è stata lordata dal sudiciume dei demoni.

Ti supplico, lavala con l'acqua della Legge, falla tornare nitida,

così che io ottenga un corpo pieno di gioie trascendenti e pure membra...

Tu sei, o grande Santo, la vita eterna che speriamo,

l'albero sempre in fiore che può dar vita all'anima nostra,

sei la saggezza, il puro spazio, colui che è eterno, colui che veglia;

tu sei il re della conoscenza e sai distinguere.

O potente, io ti supplico col mio pianto e in sincerità.

Tu che tutto conosci, Sjgnore della Legge, Dio Gesù,

dona il riposo e la gioia al mio corpo carnale e rendi il mio io divino incontaminato.”

L'eresiarca Ario (280-336) affresco di area fiorentina. Le sue tesi furono

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condannate dal Concilio di Nicea (325)

PER UNA STORIA DELL'ERESIA MEDIEVALE (2)

PRIMA DELL'ANNO MILLE

Raniero Orioli - Medievalista - Redaz. Accademia dei Lincei

Battesimo di Cristo, Battistero degli Ariani a Ravenna (VI secolo)

I primi secoli dell’era cristiana sono caratterizzati dal fiorire di eresie cristologiche, che sorgono cioè dalla necessità di giustificare la compresenza di una natura umana e divina in

Cristo. Ma per comprendere in pieno il diffondersi di alcune di queste eresie non si può prescindere, al di là dei contenuti ideologici, da una valutazione della situazione politica

dell’epoca.

“Vi sono eretici, che hanno abbandonato la Chiesa, che derivano il loro nome da quello dei loro iniziatori; altri invece dalle motivazioni che “stanno alla base

delle loro scelte”.

Così, sempre il nostro santo vescovo sivigliano, Isidoro, introduce un lungo elenco di circa settanta eresie, alcune delle quali risalenti ai primissimi secoli dell'era cristiana Sappiamo

infatti che già nel II secolo Tertulliano, celebre apologista cartaginese, combatteva con veemente e appassionata

dialettica contro Marcione, che negava la realtà corporea del Cristo e distingueva tra il Dio, giusto ma terribile, del Vecchio

Testamento e quello, buono, dei Vangeli; e contro i Patripassiani, negatori del dogma trinitario, perché per essi era stato lo stesso

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Padre a scendere nel grembo della Vergine e a soffrire la passione; e contro i Valentiniani, sostenitori della comunione

mistica dell'uomo con gli Eoni; e contro Ermogene, che rifiutava il Dio d'amore come creatore della materia, della quale riteneva

invece autore il Demiurgo malvagio.

Una reazione al dilagare dello Gnosticismo, anch'essa ben presto destinata a sconfinare nell'eterodossia, fu quella dei

Millenaristi, i quali, basandosi su un passo dell'Apocalisse, predicavano ('attesa della venuta di Dio in terra e

dell'instaurazione del suo Regno A sua volta Montano, un predicatore frigio scortato da profetesse estatiche ed invasate,

esasperò il concetto millenaristico predicando l'imminenza dell'avvento del Paracleto, lo Spirito Santo, e dell’instaurarsi del nuovo Regno Ma oltre a questo concetto - che determinerà per

secoli e secoli tutto un pensiero ed una prassi che caratterizzeranno buona parte della spiritualità occidentale e,

culminati nel XII secolo con Gioacchino da Fiore, saranno ancora ben presenti nei movimenti flagellanti, negli Spirituali, negli

Apostolici - dolciniani e via via fino alle sette anabattiste - oltre a ciò Montano predicava anche un'ascesi e una penitenza

rigorosissime, al fine di meglio prepararsi alla venuta dello Spirito, e giungeva ad affermare una netta distinzione tra gli “animali” - gli esseri grossolani - e i “pneumatici” - gli esseri

ispirati dal Pneuma, lo Spirito Santo, che, come già negli Apostoli di Cristo, scendeva ora nei Montanisti.

Ed è questo un concetto che, oltre ad avere anch'esso lunghissima vita nel pensiero eterodosso, in cui lo ritroveremo

spesso, è peraltro pericolosamente suscettibile, con la sua netta ed orgogliosa demarcazione tra pneumatici. ed .animali., di un troppo facile accostamento alla distinzione gnostica tra eletti e

non eletti.

Le eresie cristologiche - Ma i primi secoli dell'era cristiana sono altresì caratterizzati da eresie che si sogliono

comunemente definire cristologiche; eresie cioè che sorgono dalla necessità di giustificare la compresenza di una natura

umana e divina in Cristo. La soluzione che venne adottata - e che ancora oggi divide i cattolici dagli ortodossi - nei concili di Nicea (325) e di Costantinopoli (381) è quella di una Trinità in cui Padre, Figlio e Spirito Santo sono sia individualmente sia

nell'unità un unico Dio. In so stanza, ciò che determinò la nascita di numerose eresie in un mondo quale quello orientale,

economicamente e culturalmente ancora vivo, fu lo sforzo di spiegare razionalmente ciò che non poteva essere accettato se non come dogma e questo provocò le continue diatribe cui gli

stessi imperatori non furono estranei.

Tra le diverse sette troviamo così i Monarchiani di Paolo di Samosata, per i quali Cristo è soltanto un uomo animato dalla

forza di Dio, dell'unico ( = monos) Dio; gli Adozionisti, che vogliono Gesù adottato da Dio e quindi come lui divino ma non

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coeterno; i Modalisti, che considerano la seconda persona della Trinità un modo di manifestarsi di Dio; infine, i Subordinaziani, che relegano Cristo in posizione subordinata rispetto al Padre.

Ma il richiamo, operato in apertura, al lungo elenco di Isidoro ha una duplice funzione. Se da una parte sembrerebbe mitigare

quanto nella nostra premessa poteva apparire troppo drasticamente riduttivo nel limitare il numero delle eresie, per

quanto riguarda i primi secoli, dall'altra, invero, ci lascia perplessi non tanto sulla realtà di alcune sette descritte quanto sulla loro consistenza e, quindi, sul peso e influsso esercitato

sulla comunità dei fedeli: “Adamiani sono così chiamati perché imitano la nudità di Adamo, per cui pregano nudi e nudi, uomini e donne, si radunano.

Cainani: così detti perché adorano Caino. Sethiani: presero il nome dal figlio di Adamo, che è appunto chiamato Seth, e affermano che egli e Cristo son la

medesima persona. Melchisediani: così detti perché pensano che Melchisedec, sacerdote di Dio, non sia stato un uomo, ma la stessa potenza divina. Angelici: si chiamano in tal modo perché venerano gli

angeli. Apostolici: si appropriano di questo nome perché non possiedono nulla né accolgono tra loro chi possiede qualcosa in questo mondo...”.

E si potrebbe così continuare questa lunga litania, di fronte alla quale spesso non possiamo che limitarci passivamente ad una presa d'atto, senza poter avvicinarci alle realtà sottese da alcuni nomi. Quanti erano gli Adamiani? qual era il ceto sociale

degli Angelici? che influsso esercitarono sulla comunità ortodossa i Cainani? Sono domande, queste, alle quali per molte delle eresie ricordate da Isidoro non è possibile allo stato attuale degli studi - e forse non lo sarà mai - dare una risposta. Ma se la

presenza di alcune di esse in Isidoro ci lascia perplessi per la mancanza di riscontri, questo non vale per l'Arianesimo, un'eresia diffusissima non soltanto nell'area dell'Impero

d'Oriente, ma altresì presso la stragrande maggioranza delle popolazioni barbare, vuoi per i loro contatti, in qualità di truppe

federate o mercenarie, con Bisanzio, vuoi perché i loro evangelizzatori ed autori delle prime conversioni al Cristianesimo erano stati missionari di fede ariana.

Scheda 1Il Concetto di Auctoritas –

Isidoro di Siviglia consente di accennare a un aspetto che per la mentalità medievale ha una particolare pregnanza. Ci riferiamo al concetto di

“auctoritas”, al concetto cioè di affermazione che ha valore quasi assoluto non tanto o non solo per la verità intrinseca quanto per l’autorevolezza

dell’autore.

Se si considera che Isidoro è reputato l’ultimo Padre della Chiesa e che è l’autore di uno dei testi fondamentali per la cultura e il pensiero medievali, una specie di enciclopedia dello scibile improntata in un ottica cristiana,si

capisce perché molte delle sue “etimologie”siano passate pari pari nel diritto canonico e tra queste anche quella lunga litania d’eresie cui si

accennava all’inizio. E si capisce anche quale significato possa aver assunto questo tipo di processo culturale. Quelle eresie che per noi sono destinate

a rimanere soltanto dei nomi e nulla più, nella cultura medievale

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assumono invece il ruolo di illustre “precedente”, di parametri di raffronto; e assisteremo costantemente al tentativo di ricondurre qualsiasi

movimento eterodosso ad un qualcosa di già definito, di deja vu, con lo scopo di più facilmente etichettarlo e conseguentemente emarginarlo e

colpirlo.

All’inizio del IV secolo - Per comprendere il successo di questa eresia - un successo, lo diciamo subito, che va ben al di

là dei contenuti ideologici, che non si distaccano dalle tematiche cristologiche caratterizzanti la quasi totalità delle eresie dei

primi secoli - occorre aver presente quella che era la situazione politica dell' inizio del IV secolo.

Anche se è risaputo che la Donazione Costantiniana, con la quale Costantino avrebbe affidato la sovranità sull'Occidente al papa di Roma, è un falso del IX secolo, resta indubbio che con Costantino e con l'Editto di tolleranza di Milano del 313 si apre

un nuovo periodo per la Chiesa, ricco di conseguenze e non tutte positive. Cessano finalmente le persecuzioni, in quanto al

Cristianesimo viene riconosciuta, dal punto di vista formale, pari azione dignità rispetto alle altre religioni; ma nella sostanza

l'Editto è qualcosa di molto di più. Costantino, resosi conto della forza non solo morale o ideologica del Cristianesimo ma

soprattutto economica ed organizzativa, Al proprio ideale di potere politico, unitario, «monarchico» e centralizzato trova

quale naturale riscontro il Cristianesimo in cui avverte la presenza di un potere religioso organizzato su parametri

analoghi. Ciò spiega la sua scelta e quella dei suoi successori - fatta eccezione dell'effimera esperienza di segno opposto dell'imperatore Giuliano, destinata a fallire miseramente

nell'illusione di poter ridar vita ad un paganesimo culturalmente ormai spento. Una scelta, quella di Costantino e dell'Impero, volta a favorire l'unità dei cristiani anche attraverso la lotta contro gli eretici, i dissidenti, gli scismatici, coloro cioè che

potevano in qualche modo creare difficoltà a tale intento. Ma per capire bene la storia dei secoli successivi è necessario tener

presente che sia in Costantino sia nei suoi successori l'elemento religioso è continuamente subordinato e funzionale all'ideologia di un Impero unitario e centralizzato e non viceversa. Non a caso

tra le disposizioni del Concilio di Arles del 314 è prevista la condanna di quei cristiani che abbandonano l'esercito.

Il potere politico si sentì quindi legittimato ad intervenire ogni qualvolta un'eresia rischiasse di compromettere l'unità; e ciò

non significa necessariamente che a muovere l’imperatore fosse una disinteressata difesa dell'ortodossia. Anzi; alle cessate persecuzioni farà seguito una pesante se non addirittura

indebita intromissione del potere civile nelle questioni religiose e queste a loro volta serviranno spesso a mascherare dissidi col

potere centrale di natura politico-economica.

Scheda 2

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L’Editto di Milano

A proposito dell’Editto di Milano del 313 (dal De mortibus persecutorum di Lattanzio):

“...Quando noi, Costantino Augusto e Licinio Augusto, felicemente ci incontrammo nei pressi di Milano e discutemmo di tutto ciò che attiene al bene pubblico e alla pubblica sicurezza, questo era quello che ci sembrava

di maggior giovamento alla popolazione, soprattutto che si dovessero regolare le cose concernenti il culto della divinità, e di concedere anche ai

cristiani, come a tutti, la libertà di seguire la religione preferita, affinché qualsivoglia sia la divinità celeste possa esser benevola e propizia nei nostri

confronti e in quelli di tutti i nostri sudditi.

Ritenemmo pertanto con questa salutare decisione e corretto giudizio, che non si debba vietare a chicchessia la libera facoltà di aderire, vuoi alla fede

dei cristiani, vuoi a quella religione che ciascheduno reputi la più adatta a se stesso. Così che la somma divinità, il cui culto osserviamo in piena libertà,

possa darci completamente il suo favore e la sua benevolenza.

Perciò è opportuno che si sappia, Costantino, che io, Licinio, sono d’accordo col tuo editto, cosicché, abolite del tutto le precedenti disposizioni imperiali concernenti i cristiani, ora, invece, in assoluta tranquillità, tutti coloro che

vogliano osservare la religione cristiana possano farlo senza alcun timore o pericolo di molestie...”.

Scheda 3

L’Editto di Teodosio del 380

“Graziano, Valentiniano e Teodosio, Imperatori Augusti. Editto per il popolo di Costantinopoli. Vogliamo che tutte le genti sottoposte alla clemenza del nostro governo aderiscano a quella religione che il santo Pietro Apostolo,

come tutt’ora afferma questa stessa religione da lui introdotta, avrebbe rivelato ai romani; quella religione che, come è evidente, è praticata dal

vescovo Damaso e dal vescovo di Alessandria Pietro, uomo di apostolica santità.

Perché, in conformità all’insegnamento degli apostoli e alla dottrina dei Vangeli, si creda che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono un solo Dio,

di pari potenza e che costituiscono la Trinità divina. Ordiniamo che solo coloro che osservano questa legge siano chiamati cristiani cattolici; gli altri saranno invece considerati dementi, folli e colpiti dall’infami di un credo ereticale e le loro adunanze non avranno diritto al titolo di chiese; ed essi saranno colpiti dapprima dalla vendetta divina e poi anche dalla nostra ira

che discende dalla volontà celeste.

Dato in Tessalonica, il 3 delle calende di marzo, da Graziano e Teodosio.”

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Cristo fra gli apostoli, affresco del IV secolo nelle catacombe di S. Domitilla a Roma

Scheda 4

Dalla “Donazione di Costantino”.

“Nel nome della Santa e indivisibile Trinità, del Padre, e del Figlio e dello Spirito Santo. L’imperatore Cesare Flavio Costantino....al santissimo e

beatissimo padre dei padri Silvestro, vescovo di Roma e papa, e a tutti i suoi successori che siederanno come pontefici nella sede del beato Pietro fino alla fine dei tempi, ed anche a tutti i reverendissimi e cari a Dio vescovi cattolici

e ai soggetti della sacrosanta Chiesa Romana in tutto il mondo, mediante questa nostra imperiale costituzione, ora e per sempre nei tempi a

venire....vogliamo che voi sappiate come già esprimemmo nella nostra precedente prammatica sanzione, che noi ci siamo allontanati dal culti degli idoli, dei vuoti simulacri e dei turpi oggetti, dalle diaboliche macchinazioni e

da ogni pompa di Satana e siamo giunti alla pura fede cristiana, che è vera luce e vita eterna, credendo conformemente a quanto di insegnò il nobile sommo padre e dottore nostro Silvestro papa: in dio padre, onnipotente

creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili ed invisibili, e in Gesù Cristo, suo unico Figlio, signore Dio nostro, per mezzo del quale tutte le

cose furono create, e nello Spirito Santo, Signore e apportatore di vita a tutte le creature.... Questa è la nostra fede ortodossa rivelataci dal beatissimo

padre nostro Silvestro sommo pontefice. E dunque esorto ogni popolo e tutte le nazioni ad osservare questa fede....

Ordiniamo di onorare con venerazione la sacrosanta Chiesa Romana e di lodare, ancor più che il nostro impero e il nostro trono temporali la

santissima sede del beato glorioso Pietro, e concediamo ad essa potere e dignità di gloria e forza e onori imperiali. Decretiamo altresì che essa sia

superiore alle quattro principali sedi di Antiochia, di Alessandria, di Costantinopoli e di Gerusalemme e a tutte le chiese del mondo; ed ogni

vescovo che sarà a capo della sacrosanta Chiesa Romana sia considerato al di sopra di tutti e il principe di tutti i sacerdoti del mondo.... Al padre nostro Silvestro e ai suoi successori lasciamo il nostro palazzo lateranense e la città

di Roma e le province d’Italia....”La nascita

dell’Arianesimo - Ed è in siffatto clima politico che viene ad inserirsi

l'Arianesimo la cui storia 110

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avrà un andamento a dir poco anomalo,

comunque significativamente espressivo delle premesse o del

compromesso su cui si basava la

«collaborazione» tra potere religioso e potere

politico.

Nel IV secolo un prete alessandrino di nome

Ario predica che, essendo il Figlio

generato dal Padre e quindi non a lui

coeterno, essi fossero simili per divina natura,

ma non esattamente uguali, relegando quindi

il Figlio ad un ruolo subordinato ed

infrangendo così il dogma trinitario. Quel trinitarismo su cui la

Chiesa fondava il proprio potere e la

propria indipendenza.

La moltiplicazione dei pani e dei pesci in S. Apollinare Nuovo (VI secolo) a Ravenna.

Infatti con la concezione ariana di Dio emerso dalla solitudine con la creazione, del Verbo all'origine delle cose create e del

Figlio generato nel tempo, la Chiesa, in quanto voluta da Cristo, veniva a perdere uno dei suoi maggiori punti di forza

carismatica.

La fortuna di Ario la dice lunga sul reale significato sotteso al movimento. È indubbio che esso, attaccando il trinitarismo,

tendesse ad indebolire il primato già in parte riconosciuto della Chiesa di Roma e nello stesso tempo si allineasse a

quell'esasperato teologizzare che contraddistingueva la pars orientale dell'Impero.

Inutilmente un Tertulliano aveva gettato, nei suoi scritti, le più salde basi per la formulazione del dogma trinitario, quasi preveggente difesa contro il successivo pericolo ariano;

inutilmente un Ilario di Poitiers leverà la sua voce in difesa dell'ortodossia, sopportando sconfitte ed esili ad opera

dell'imperatore Costanzo «nuovo nemico di Cristo»; inutilmente, nel 325, nel concilio convocato a Nicea, il vescovo Atanasio

difenderà l' ortodossia contro le tesi ariane: anche se formalmente condannato, l' Arianesimo continuerà ad esistere,

spesso tutelato dallo stesso potere civile in opposizione alla

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Chiesa di Roma. Il fatto che Costantino, il promulgatore dell'Editto di Milano, il mitizzato protettore della Chiesa, abbia,

solo in punto di morte, ricevuto il battesimo da un vescovo ariano, è sufficientemente significativo. Non solo, ma mentre

dopo la morte di Costantino i suoi successori nella parte occidentale si manterranno sostanzialmente fedeli al credo

niceno, in Oriente la simpatia Continuerà a giocare indubbiamente a favore degli Ariani e ariano, significativamente,

sarà Ulfila, l’apostolo dei Goti

Particolare da La trasfigurazione di Cristo, mosaico absidale di S.

Apollinare in Classe (VI secolo). Nel mosaico Cristo scompare innanzi agli

Apostoli (posti ai lati della grande croce centrale). Rimane visibile, in posizione apicale, solo la mano del

Redentore.

Il ruolo del potere civile – Come si vede, siamo ben

lontani dall’indeterminatezza che caratterizza alcune delle eresie isidoriane. Per la prima

volta vediamo schierato a fianco della Chiesa, o addirittura pronto ad assumersi un ruolo di promotore, il potere civile; un

potere civile che, se con Costantino ha colto il significato assunto all’interno dell’Impero

da parte del Cristianesimo, tanto da volerlo salvaguardare alla stessa stregua delle altre

religioni pagane, soltanto poco più di mezzo secolo dopo, con

Teodosio, ne riconoscerà la supremazia e lo eleggerà

religione di stato, con tutte le conseguenze facilmente

immaginabili sia per le reliquie di culti pagani, sia per le eresie,

cioè per tutto ciò che poteva costituire un ostacolo alla

compattezza della popolazione.

E quale sia il ruolo che in tal senso giocano imperatori d’Oriente e d’Occidente lo rivelano i numerosi concili da essi

convocati; ma soprattutto lo dimostrano le diverse esperienze ereticali del Priscillianismo da una parte e del Monofisismo e del

Monotelismo dall’altra.

Il primo deriva il proprio nome da Priscilliano, un predicatore spagnolo della fine del IV secolo, che attirò su di sé le ire del

clero contemporaneo nonché la polemica di un santo Agostino e di un Paolo Orosio. Considerato autore di diverse opere, dalla maggior parte delle quali, in realtà, non traspare punto alcuna

forma di eterodossia, Priscilliano, costretto anche dal Concilio di Saragozza, in cui, tra l’altro, si condannava l’uso di riunirsi,

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uomini e donne, per leggere e commentare i testi biblici, emigrò con alcuni suoi fedeli in Aquitania e in Italia, nel tentativo di

parlare con il pontefice Damaso.

Ma quando, nel 383, le regioni bretoni proclamarono imperatore Magno Massimo, questi, al fine di garantirsi

l’appoggio economico della parte cattolica, fece processare Priscilliano in Treviri, lo giudicò colpevole di maleficium e lo fece

mettere a morte nel 385.

Alla caduta dell’usurpatore Massimo, però, la traslazione in Spagna del corpo di Priscilliano si trasformò in un’apoteosi di

entusiasmo popolare che portò all’elezione di numerosi vescovi priscillianisti.

Soltanto nel 563, con il concilio di Braga, il Priscillianismo verrà definitivamente condannato e si estinguerà.

Ricostruzione fantasiosa dei costumi dei cristiani dei primi secoli da una stampa ottocentesca di Andreas Müller (fine ottocento).

Priscillanismo e Monofisismo - Ma quale, in sostanza, il pensiero dell'asceta e predicatore spagnolo? La maggioranza e delle opere attribuitegli non consente affatto, come s'è detto, di

ravvisare germi eterodossi né, tantomeno, quel permixtum dogma di Gnosticismo e Manicheismo di cui verrà accusato da

Isidoro di Siviglia. Paolo Orosio, dal canto suo, sosterrà che Priscilliano, nella definizione della Trinità avrebbe eliminato l'et tra le Persone, finendo col ricondurre il tutto al solo Dio Cristo.

Non è da escludersi che il pensiero priscillianista, in origine precipuamente rigoristico ed ascetico, possa esser stato toccato

da influenze dualistiche atte a giustificare la paura ch'esso suscitò e la taccia di Manicheismo che lo accompagnò. Ciò che

resta è il fatto che con Priscilliano assistiamo al primo episodio di intervento del braccio secolare comportante una pena capitale,

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mentre fino ad allora le varie pronunce conciliari si erano limitate ad infliggere deposizioni o tutt’al più l’esilio o

l’allontanamento dalla sede episcopale.

L’esperienza priscillanista ben rivela come potere religioso e potere civile puntino uno sull’altro con fini puramente

strumentali, tanto che gli interessi di parte prevalgono fino a fare obliterare le istanze religiose che informano l’eresia stessa.

La diversità o divergenza conclamata e difesa sono spesso funzionali e subordinate ad un disegno politico teso a controllare

e determinare il potere religioso.

E’ questo il caso del Monofisismo, un ‘eresia assai diffusa in area bizantina tra il V e il VI secolo, che attribuiva al Figlio la sola

natura divina, e in tal senso, pregiudicando l’incarnazione e la passione del Cristo, colpiva, come già l’arianesimo, la Chiesa di

Roma in uno dei suoi capisaldi.

Invano nel concilio di Efeso del 431, convocato dall’imperatore Teodosio II, era stata proclamata la dottrina di

Maria Madre di Dio, dottrina che, ovviamente, sembrava annullare le tesi monofisite. Invano, nel concilio di Calcedonia

del 451, il monofisismo verrà pubblicamente condannato. L’importanza di questo pensiero e le implicazioni politiche ch’esso comportava erano troppo grandi: pur tra dispute e

polemiche il Monofisismo sopravvisse. Nel 4812 l’imperatore Zenone pubblicò l’Hemotikon o “Editto d’Unione”, in cui cercava

di porre termine alla diatriba. Servirà poco anche perché, nel 544, Giustiniano, spalleggiato da una corte tutta monofisita,

prima fra tutte l’imperatrice Teodora, con l”Editto dei tre capitoli” arriverà a condannare gli scritti antimonofisiti di tre vescovi ligi alle decisioni di Calcedonia e ad obbligare il papa

Vigilio a sottoscrivere l’editto.

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Ancora una ricostruzione di Andreas Müller

PER UNA STORIA DELL'ERESIA MEDIEVALE (3)

ALL'ALBA DELL'ANNO MILLE

Raniero Orioli - Medievalista - Redaz. Accademia dei Lincei

Cristo raffigurato come guerriero trionfa sul Serpente (miniatura della fine del X secolo)

Nell’Europa medievale il secolo XI segna l’inizio di profonde trasformazioni, che investono i più diversi campi della vita sociale, e quindi anche quello religioso. La storia dell’eresia

subisce una svolta: nascono nuovi gruppi all’interno dei quali diviene sempre più rilevante la partecipazione dei laici, della gente del popolo.

“E già voci correvano tra la gente di nascite mostruose, di grandi battaglie combattute nel cielo da guerrieri ignoti a cavalcione di draghi. Per ciò tutto niun secolo al mondo fu

torpido, sciaurato, codardo siccome il decimo....E che stupore di gioia e che grido salì al cielo dalle turbe raccolte in gruppi

silenziosi intorno à manieri feudali accosciate e singhiozzanti 115

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nelle chiese tenebrose e ne' chiostri, sparse con pallidi volti e sommessi mormorii per le piazze e alla campagna, quando il sole, eterna fonte di luce e di vita, si levò trionfale la mattina

dell'anno mille... Il sole! Il sole! V'è dunque ancora una patria? v'è il mondo? E l’Italia distendeva le membra raggricciate dal

gelo della notte e toglieasi d'intorno al capo il velo dell'ascetismo per guardare all'oriente” .

Queste le ancor suggestive immagini con cui Giosue Carducci descriveva l'alba dell'anno Mille. L 'uomo, che fino al giorno

prima viveva immerso nella psicosi di una tragedia, dell'annunciata fine dei tempi, all'insperato risveglio, al vedere

che nulla è cambiato e che tutto continua come prima, si rianima, riprende nuovo vigore e guarda con fiducia al proprio

futuro.

Ma è risaputo che quest'immagine carducciana, così plasticamente evocativa, non ha alcun riscontro nelle fonti

dell'epoca e che l'attesa escatologica era presente allora ne più ne meno di quanto lo fosse stata nei secoli precedenti e di

quanto lo sarà nei secoli a venire. Ciononostante è indubbio che il secolo XI segni l'inizio di una profonda trasformazione. Quali ne siano le cause è difficile dirlo, o perlomeno resta arduo dare

la prevalenza a una più che a un'altra. Tra X e XII secolo sembrano scomparire le grandi epidemie che continuamente falcidiavano la popolazione; il clima si addolcisce favorendo lo

sviluppo dell'agricoltura, i che in questi tempi si avvale anche di nuovi strumenti tecnici (aratro di ferro, ferratura degli zoccoli ai

cavalli, rotazione triennale anziché biennale, ecc.); e cessa anche la paura delle invasioni, la paura dell'orco ( = Ungaro). I

più larghi spazi resi disponibili dai disboscamenti, un potere centrale pressoché inesistente e comunque non in grado di impedire le tendenze centrifughe e la ricerca di autonomia locale, la ripresa di un commercio che si era quasi inaridito

durante il precedente periodo dominato da un sistema economico chiuso, autarchico, sono alcuni degli aspetti che preludono alla rinascita del basso Medioevo, al sorgere dei Comuni in Italia, degli Stati nazionali in Europa. E come nel

campo socioeconomico, anche in quello religioso registriamo novità di rilievo. I laici, destinatari passivi dell'azione congiunta dei due ordini predominanti - i clerici e i milites, il clero cioè e l'alta nobiltà terriera - tenderanno sempre più ad acquisire non tanto

un'autonomia quanto un diverso ruolo di coprotagonisti e li vedremo alleati al papa nello sforzo di riforma e di

affrancamento dal potere imperiale, dall’invadenza di un potere che tanto ricorda il cesaropapismo costantiniano.

Le eresie e il popolo – Se ciò vale per la storia della Chiesa, vale anche -vista la stretta correlazione - per la storia delle eresie, dove assistiamo ad una partecipazione sempre più

qualitativamente e quantitativamente rilevante dei laici, del popolo; una partecipazione che spesso contiene in se i germi di

un possibile scardinamento dell'ordine costituito.

«Verso la fine dell'anno Mille viveva in Gallia, nel villaggio di 116

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Vertus, nel territorio di Chàlons, un popolano chiamato Leutardo, senz'altro da ritenere un inviato del demonio, come dimostrò la conclusione della sua vicenda». Chi parla è Rodolfo il Glabro, un

monaco che, anche se non viveva in forma parossistica la supposta catarsi dell'anno Mille, tuttavia sentiva il tempo suo

pervaso da presenze demoniache.

Questo Leutardo, sentendosi improvvisamente ispirato da Dio, caccia la propria moglie, entra in chiesa e spezza il

crocefisso e al popolo, che inizialmente lo crede pazzo, predica di non pagare le decime.

Purtroppo non abbiamo altre fonti che ci consentano di valutare appieno la portata ereticale di siffatta predicazione.

Certo è che l'accenno alle decime è tema di immediata accessibilità per il suo pubblico che sembra costituito da gente

umile ed illetterata. Forse la cacciata della moglie gioca in favore di un ascetismo spinto; difficile resta tuttavia dire quale

valore assegnare al gesto iconoclastico nei confronti della croce: rifiuto dell'ordinamento sacerdotale e di ogni simbologia da

questi strumentalmente usata o addirittura la negazione della redenzione. Ben pochi sono gli elementi in nostro possesso e

Leutardo sconcerta se è vero che questo popolano, «bomo plebeius», aveva una sorprendente conoscenza del Vecchio e del Nuovo Testamento. Una conoscenza, tuttavia, non bastevole a

resistere alla dialettica del vescovo di Chàlons, Geboino + 1004), il quale lo umilia a tal punto che Leutardo per la vergogna

pone fine ai suoi giorni gettandosi in un pozzo.

Ma ecco che nel 1018 un altro cronista, Ademaro di Chabannes (988-1034), parla di una massiccia presenza di

eretici nell' Aquitania. Costoro - egli afferma - negano il battesimo; digiunano come monaci votati all'astinenza; proclamano la superiorità della castità ma di nascosto si

concedono le più ampie libertà. Ademaro li dice «manichei» ma ignoriamo su quali basi attribuisca loro questa etichetta. Forse l'astensione da alcuni cibi o la condanna del matrimonio, così come si evincerebbe dall' esaltazione della castità. Qui basti

sottolineare due aspetti: da una parte il richiamo al Manicheismo, che ha, come abbiamo avuto modo di ricordare a proposito di Isidoro di Siviglia, l'indubbia valenza di «auctoritas», di precedente atto a contrassegnare di eresia chi si comporta in modo difforme e deviante; dall'altro il “topos” delle dissolutezze

sessuali, già presente tra le accuse contro gli eretici dei primi secoli, e che ritroveremo tanto più frequentemente quanto più arduo sarà per l'autorità costituita connotare i diversi gruppi

dissenzienti e devianti.

E per questi eretici di Aquitania non conosciamo ne l'estrazione sociale ne la consistenza proprio perché

estremamente stringata è la notizia che ce ne dà Ademaro: “...poco dopo sono apparsi in Aquitania dei Manichei che

seducevano il popolo. Costoro negavano il battesimo e la croce e 117

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ogni sano fondamento religioso.

Astenendosi dai cibi, si mostravano come monaci e fingevano di essere casti; in realtà, tra di loro si davano alla più sfrenata lussuria; erano messaggeri dell' anticristo e traviarono molti

dalla retta fede...”.

Gli eretici di Orleans - “In quel tempo (1022) Si scoprì che dieci canonici di Santa Croce d’Orleans, che pur sembravano più pii degli altri, erano eretici. Poiché non intendevano convertirsi, il re Roberto dapprima li degradò, poi li fece scomunicare, infine ordinò di

metterli al rogo. Costoro erano stati traviati da un contadino che affermava di saper fare prodigi e portava con sé polvere di bambini morti, che se uno l’assumeva quale eucarestia, si trasformava in Manicheo; adoravano il diavolo che appariva loro sotto forma di etiope o

di angelo di luce il quale li provvedeva quotidianamente di denaro. Ed obbedendo a lui rifiutavano di nascosto Cristo e sempre di nascosto compivano azioni ignominiose a tal punto che è scabroso ripeterle; ma all’esterno apparentemente si mostravano fedeli

cristiani....Costoro furono condannati al rogo....furono ridotti in cenere furono ridotti in cenere perché non rimanesse reliquia alcuna di loro”.

Ma fenomeno di ben diversa portata è quello che si registra - sempre in Francia - ad Orleans nel 1022. A parlarcene sono diverse fonti, tra cui i già citati Ademaro e Rodolfo. Un Certo

Arefasto sospetta che il chierico Eriberto, da lui inviato ad Orleans presso i canonici Stefano e Fulcherio perché si perfezioni

negli studi, abbia tratto ben poco giovamento da tale scuola, anzi sembra aver assunto posizioni dottrinali quanto mai

sospette. Per fugare ogni dubbio egli si reca senza indugio presso i canonici, finge di voler divenire loro discepolo e nel

contempo li denuncia al duca Riccardo II di Normandia e al re Roberto II il Pio. Questi si porta ad Orleans il 24 dicembre, fa

arrestare i canonici e li fa giudicare da un concilio appositamente convocato dove Arefasto assume il ruolo di

pubblico accusatore.

Sin dalle prime battute si ha la netta sensazione di trovarsi di fronte ad una religione diversa, alternativa, a cui si accede

attraverso l'imposizione delle mani, un rito che conferendo il dono dello Spirito Santo, libera da ogni peccato e infonde

nell'anima la conoscenza delle Sacre Scritture.

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Il Pontefice a colloquio con un Re in un disegno ottocentesco che ricostruisce l'abbigliamento dell' XI secolo

I canonici negano la redenzione operata da Cristo e la maternità divina della Madonna, da loro reputata una creatura

non diversa dalle altre. Non credono all'eucarestia e al battesimo; rifiutano di riconoscere ai vescovi il potere di

ordinare sacerdoti e conseguentemente pongono una pesante ipoteca sulla validità della confessione come strumento di

remissione dei peccati.

A queste accuse, che ci rivelano un fondamento culturale di particolare valenza, si aggiunge tutta una serie di dicerie

indubbiamente fomentate e dal linguaggio iniziatico proprio dei canonici orleanesi e dalla morbosità popolare, in tal senso

sollecitata dalla segretezza di cui si ammantavano le riunioni degli eretici. Essi vengono pertanto accusati di orge sessuali, i

cui frutti, nati da connubi incestuosi e sacrileghi, sarebbero sacrificati, arsi e la polvere delle loro ossa assunta a mo' di

eucarestia, al fine di far nuovi proseliti.

La diversità e la divergenza tra le fonti impediscono di tracciare in maniera chiara i reali contorni di questa eresia; in

essa sembrano confluire elementi molteplici e diversi. Al rifiuto dell'autorità religiosa costituita fa da contrattare una liturgia

quale quella dell'imposizione delle mani che sembra a sua volta implicare l'esistenza di una gerarchia, sia pur diversa da quella ortodossa. Ademaro parla addirittura di latria demoniaca, di un diavolo che apparirebbe agli adepti sotto forma di etiope o di

angelo della luce e che fornirebbe loro denaro in gran quantità. Certo la segretezza, o meglio il segreto di tipo iniziatico che

sembra caratterizzare gli eretici orleanesi, non dovette favorire una larga diffusione a livello dei ceti più modesti. Anzi, in

contrapposizione all'esperienza di Leutardo, che aveva visto aderire a se molti popolani, per i canonici di Orleans dovrà

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intervenire la stessa regina, Costanza di Arles, onde impedire alla folla di entrare in chiesa a fare giustizia sommaria degli

eretici, anche se poi, accertata la colpevolezza dei canonici, sarà la prima ad infierire contro il proprio confessore, cavandogli un

occhio con un bastone.

Dei circa quattordici inquisiti solo una suora ed un chierico ritrattano; gli altri, dopo essere stati degradati, il 28 dicembre 1022 vengono messi al rogo e il vescovo Odolrico riesuma le

ossa del canonico Deodato, morto tre anni prima e dai compagni di fede venerato come santo.

Ma a dispetto di quanto affermerà San Gerardo Sagredo ( + 1046), vescovo di Csanà in Ungheria, che lamenterà la presenza di eresie nei paesi greci, in Italia e negli altri paesi occidentali, magnificando l'eccezione della Gallia, ecco che a tre anni dal

rogo di Orleans troviamo un'ulteriore presenza ereticale proprio in Francia: ad Arras.

Gerardo, vescovo di Cambrai e Arras (1013-1048), convoca una sinodo diocesana al fine di smascherare e por termine

all'azione di un gruppo di eretici provenienti dall'Italia e seguaci di un certo Gandolfo.

Leutardo di Vertus - «Verso la fine dell'anno Mille viveva in Gallia, nel villaggio di Vertus, nel territorio di Chàlons, un popolano

chiamato Leutardo, senz'altro da ritenere un inviato dal demonio, come dimostrò la conclusione della sua vicenda. La storia della sua temeraria follia ebbe questo inizio. Una volta si trovava da solo nei

campi intento ad alcuni lavori agricoli. Vinto dal sonno per la stanchezza, gli parve in sogno che un grande sciame di api

penetrasse nel suo corpo per la nascosta apertura naturale e che, uscito dalla bocca con un forte ronzio, lo trafiggesse con

innumerevoli punture. Dopo esser stato a lungo tormentato, gli sembrò che le api gli parlassero, ordinandogli di fare molte cose che

erano impossibili agli uomini .

Alla fine di svegliò, esausto, e tornato a casa scacciò la moglie, affermando di voler divorziare in virtù degli insegnamenti

evangelici. Uscì poi di casa ed entrò in chiesa come se volesse pregare: afferrò invece la croce e fece a pezzi l'immagine del

Salvatore.

I presenti che lo videro rimasero atterriti e lo ritennero, come era in realtà, pazzo.

Ma Leutardo riuscì a persuaderli - poiché i contadini sono di mente debole - di aver compiuto queste azioni per una straordinaria

rivelazione di Dio.

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Andava facendo in continuazione gran discorsi privi di utilità e di ogni fondamento di verità; voleva apparire un dottore, ma faceva

dimenticare la dottrina dei maestri.

Sosteneva infatti che pagare le decime era inutile e senza senso. E come gli altri eretici si ammantano con quelle sacre scritture che invece avversano per ingannare in modo più subdolo, così anche

costui andava affermando che i racconti dei profeti erano in parte utili, ma in parte non degni di fede.

In poco tempo la sua fama, quasi fosse quella di un uomo savio e pio gli attirò il consenso di gran parte del popolo...».

Già a proposito del gruppo orleanese Rodolfo il Glabro aveva formulato l'ipotesi di un'introduzione delle eresie da parte di una donna italiana, mentre Ademaro indicava un nativo del perigord. D'altra parte l'Italia non era immune da simpatie ereticali e già all'inizio del secolo si era segnalata in Ravenna la presenza di

un' eresia decisamente anomala rispetto a quelle finora ricordate. Un certo Vilgardo, cultore e studioso di autori classici, s'era talmente invaghito dei propri studi da preferire gli autori

latini a Cristo e alla Scrittura. Racconta Rodolfo: «Un tale chiamato Vilgardo si dedicava con grande passione ed assiduità allo studio delle discipline linguistiche, come da sempre usano gli italici, che per applicarsi a questi studi tralasciano tutti gli

altri. Gonfio di superbia per il suo sapere e quando ormai manifestava nei suoi atteggiamenti una sempre maggiore

stoltezza, una notte gli apparvero dei diavoli sotto le sembianze dei poeti Virgilio, Orazio e Giovenale. Essi finsero di ringraziarlo per la passione con cui si dedicava alle loro opere e per essere

un così felice divulgatore della loro fama presso i posteri, promettendogli inoltre di farlo in futuro partecipe della loro gloria. Corrotto da questi diabolici inganni, Vilgardo iniziò in

modo tronfio ad impartire insegnamenti contrari alla santa fede e ad affermare che le parole dei poeti dovevano essere in tutto

ritenute vere».

Ben poco seguito ebbe questa posizione, decisamente colta e destinata a rimanere chiusa in un ambito quanto mai ristretto,

anche perché il vescovo Pietro provvide subito a condannare Vilgardo come eretico.

Gli eretici di Arras

"... Il vescovo interrogando costoro dice: Come potete essere consequenziali se affermate di tenere per fermo gli insegnamenti evangelici e poi predicate il contrario?...Essi risposero: la nostra legge e regola, così come l'abbiamo ricevuta dal nostro maestro, non ci sembra essere in contrasto con i decreti

evangelici né con quanto stabilito dagli apostoli. Essa consiste in ciò: abbandonare il mondo, frenare la concupiscenza, vivere del proprio lavoro, non cercare il male di alcuno, amare chiunque aderisca al nostro modo di

vivere. Se tenuta per ferma questa verità, il battesimo non serve; se disattesa, ben poco potrà essere di aiuto. Questa è la nostra suprema convinzione, a cui

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nulla può aggiungere il battesimo, poiché ci basta quanto istituito dagli apostoli e contenuto nel Vangelo. Se qualcuno afferma che nel battesimo è

contenuto un qualche sacramento sia disincantato da queste tre ragioni. Innanzitutto che la vita reproba dei ministri non può recare alcun vantaggio ai battezzandi. La seconda ragione è che nella vita ci si riappropria di tutti quei vizi cui si è rinunciato al fonte battesimale. Infine, a nulla servono la

fede e la professione di altri ad un bambino che non è in grado di volere, che nulla sa della fede e che non può avvertire la necessità di professarla...".

Ma ritorniamo ad Arras e alla confutazione che Gerardo fa degli errori predicati dagli

eretici locali, eretici che egli afferma di aver sapientemente smascherato nonostante la loro

reticenza, la quale spesso traeva in inganno i presuli che avrebbero dovuto sorvegliare sulla salute del loro gregge - come Gerardo rimprovera al

vescovo Ruggero I nella lettera con cui gli trasmette gli atti

sinodali. Chi sono questi eretici provenienti dall’Italia? Qual è la

loro estrazione sociale?

Si tratta di gente semplice, illetterata che a malapena si

firma con una croce e fatica a capire il latino. Il Concilio di Toledo (manoscritto del

X secolo)

Eppure la loro fede, tutta condensata nel richiamo ai canoni evangelici e alla via apostolica, comporta implicazioni tali da costringere Gerardo ad una strenua difesa e ad una vera e

propria analogia della fede cattolica. Questi eretici – afferma – si dichiarano soddisfatti di seguire gli apostoli, di abbandonare il

mondo, vincere le passioni carnali, guadagnarsi da vivere con il lavoro senza necessitare dell’aiuto di chicchessia ma contando

esclusivamente sulle proprie opere al fine di ottenere la salvezza.

E’ facile intravedere la portata rivoluzionaria di tali affermazioni, solo apparentemente ingenue e pacifiche, certo di

facile accesso per chiunque e soprattutto per i ceti meno abbienti e per quelli culturalmente emarginati. In sostanza gli

eretici di Arras rifiutano la validità di tutti i sacramenti, in quanto - sostengono - se manca l'impegno individuale di vita apostolica

a nulla posson servire il battesimo o l'eucarestia o la confessione; come pure i suffragi per i defunti, da cui consegue la negazione dell'esistenza del Purgatorio. Ma a questo punto

perde la propria ragion d'essere la stessa Chiesa con tutta la sua 122

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struttura gerarchica, fatta di sacerdoti e vescovi, con al vertice il papa; le chiese non sono più rispettabili di un'alcova e l'altare

altro non è che un mucchio di sassi.

Questi eretici possono effettivamente apparire di gran lunga più pericolosi di tutti i gruppi finora esaminati. I loro sono temi di

facile approccio per le masse, forieri, con il rifiuto della gerarchia, di possibili sconvolgimenti dell'ordine costituito.

Eppure Gerardo crede immediatamente alla loro conversione, accetta il loro pentimento e li manda liberi con tanto di benedizione vescovile. E così se ne perdon le tracce.

Non come questo l'esito di un altro focolaio d'eresia, stavolta di chiara origine italiana.

Siamo nel 1028. L'arcivescovo di Milano, Ariberto d’Intimiano, passando da Torino, decide di interrogare un certo Gerardo, esponente di un gruppo ereticale asserragliato - ed invano

attaccato - nel castello di Monforte. La deposizione di Gerardo, così come ci viene riportata dal cronista milanese Landolfo

Seniore, ci rivela un'ideologia di gran lunga diversa e diversificata rispetto al pensiero ortodosso. Innanzitutto troviamo l'esaltazione della pratica della verginità, o, in mancanza di essa,

di una vita coniugale basata sulla castità.

Il che lascia ovviamente trasparire una concezione negativa della vita materiale e della realtà. L 'applicazione rigorosa di

siffatta pratica comporterebbe infatti la scomparsa del genere umano, se non fosse che Gerardo crede nell'avvento di un'epoca

in cui gli uomini nasceranno come le api, senza che si sia concesso alcunché ai piaceri della carne.

La condanna di ogni forma di rapporto sessuale sembra implicita in

un'altra pratica di Gerardo e dei suoi e precisamente nella totale astensione dai

cibi carnei, nati cioè in seguito ad un rapporto.

Appartengono sempre all’ ambito comportamentale ed etico l 'uso ininterrotto

della preghiera, in cui i maiores della setta si

alternano giorno e notte, e l'assoluta comunione dei

beni intesa quale forma di rinuncia al possesso

privato. Gerardo inoltre afferma

che nessuno può

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Ricostruzione ottocentesca dell'abbigliamento ecclesiastico nel XII

secolo.

terminare la propria vita senza tormenti, nel senso che o sono i nemici a dare la morte oppure qualcuno dei fedeli» provvederà, a

scopo espiatorio, ad abbreviare gli ultimi istanti

del moribondo. Dal punto di vista teologico a Monforte si professa la fede in

una Trinità che non ha nulla a che vedere con il simbolo Niceno. Il Padre è il Creatore del mondo; ma il Figlio rappresenta l'animo

umano che, grazie a Maria, può direttamente attingere dalle Sacre Scritture i mezzi per la propria redenzione; e lo Spirito Santo altro non è che la comprensione della Scrittura stessa.

Gli abitanti di Monforte leggono continuamente il Vecchio e il Nuovo Testamento; ma che tipo di lettura questa sia e a quali

esiti conduca non ci è dato sapere, quasi che dietro questa indeterminatezza si celi in realtà una concezione metafisica,

probabile appannaggio di pochi eletti. Inoltre l'accenno all'esistenza di maiores, che pregano notte e giorno e fanno proseliti, lascia intendere chiaramente l'esistenza di una

gerarchia, che non ha tuttavia né i poteri né le funzioni propri della gerarchia ortodossa. La diversità gerarchica è chiaramente

e strettamente connessa con la qualità della fede e non discende da una consacrazione o da una funzione acquisita

magari simoniacamente. Lo stesso pontefice, che dicono essere a capo della loro setta, e che è sempre in visita pastorale presso gli adepti sparsi per il mondo, non appartiene ad un qualsivoglia ordine clericale ne deriva il proprio potere da una consacrazione rituale. Ariberto si rende conto solo fino a un certo punto della

gravità e del pericolo sottesi alle affermazioni del gruppo monfortiano. Decide infatti di dar corso ad una spedizione che si

conclude con la cattura di un discreto numero di eretici, tra i quali la stessa contessa del luogo, e li conduce con se a Milano ove, tuttavia, essi sembreranno godere di una discreta libertà

dal momento che verrà loro permesso di continuare a predicare a quei «rustici» che dal contado si recano in città appositamente

per ascoltarli. Ma se Ariberto sembra non prendere troppo sul serio questo sparuto gruppo di persone e non pare dar peso

eccessivo all'affermazione di Gerardo a proposito di numerosissimi seguaci della sua setta in tutto il mondo, di

diverso avviso è la nobiltà laica, che sembra cogliere maggiormente la gravità e la portata sociale di certe

affermazioni. La comunanza dei beni e l'esaltazione della castità e della verginità sono altrettante frecce contro una società e soprattutto contro una gerarchia, laica e religiosa, che ormai

fonda il proprio potere sulle ricchezze personali, sulla simonia, sul nicolaismo. Le pressioni esercitate dalla nobiltà finiscono col costringere Ariberto a dichiarare eretici i compagni di Gerardo e

ad offrir loro la scelta tra la conversione e la morte sul rogo; alcuni abiurano, ma sono tanti quelli che, copertosi il volto con le

mani, si gettano spontaneamente nel fuoco.

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Con questo rogo si esaurisce l'esperienza di Monforte.

Ma non se ne perde l'eco.

Tematiche quali l'astinenza dai cibi carnei o la morte violenta ci avvicinano ai Catari, altri eretici che ebbero una vicenda ben più complessa e tragica di questo sparuto gruppo piemontese e dei quali avremo modo di parlare ampiamente. Ma se è difficile poter stabilire apoditticamente un rapporto tra questi ultimi e Monforte, anche perché la presenza di elementi diversi non consente un facile parallelismo, è indubbio che la gente di

Monforte abbia creato col proprio credo le premesse per un altro movimento destinato ad avere ripercussioni non solo per la zona

lombarda ma per la storia della Chiesa; un movimento riformatore, che farà della lotta alla simonia, all'intromissione

del potere civile nelle cariche religiose, alla diffusione di un clero concubinario, la propria ragion d'essere.

I laici, inizialmente favoriti da una parte della stessa gerarchia ecclesiastica, rivendicheranno un loro ruolo attivo, si faranno

giudici di un clero corrotto, invocheranno il ritorno alla purezza della Chiesa primitiva, e daranno corso ad un’azione

moralizzatrice che con toni drammatici e talvolta corruschi sarà conosciuta sotto il nome di Pataria. Ma questa è un’altra storia

Un diacono canta l'Exultet, in una miniatura dell'XI secolo.

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PER UNA STORIA DELL'ERESIA MEDIEVALE (4)

LA PATARIA MILANESE

Raniero Orioli - Medievalista - Redaz. Accademia dei Lincei

L'imperatore Ottone III in trono (da miniatura tedesca della fine del X sec.). Sotto gli Ottoni il mercimonio di cariche

religiose divenne più diffuso.

Nell’XI secolo un peso particolare ha l'esperienza patarinica, movimento riformatore sostenuto dal popolo e durato circa un ventennio, che trova nella curia romana un totale appoggio. In esso il Papato vede, infatti, una forma di difesa del proprio potere su quello

temporale.

La collocazione della Pataria milanese nell'ambito di una storia dell'eresia può suscitare qualche perplessità, anche

perché tra gli stessi storici non esiste un accordo in proposito.

Tuttavia le anomalie che la caratterizzano, il diverso schieramento e le diverse motivazioni delle forze in gioco, gli

esiti alla media e lunga distanza forse possono gettare non poca luce sulle vicende religiose dei secoli successivi.

Ignoriamo il significato del termine Pataria; le ipotesi formulate dai contemporanei ai fatti e dagli storici dei giorni

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nostri spesso appaiono tutt'altro che illuminate e illuminanti. La più probabile è forse quella che la ricollega al paté del dialetto

milanese, in cui il termine equivale a straccivendolo e, per traslato , a straccione; ma quale che sia la vera etimologia, è

indubbio che tale denominazione venne applicata, in accezione dispregiativa, dalla parte avversa, nei confronti di un movimento

ad alta partecipazione popolare (popolo che non era tanto, in realtà, la miserrima accozzaglia di straccioni, così come fu designata dagli avversari, quanto piuttosto il nuovo ceto

emergente di artigiani e lavoratori, in netta rivalità economica con le forze signorili; e appartenenti a classi elevate furono, per di più, gli iniziatori e vessilliferi del movimento); un movimento

che si inserisce in un processo di riforma della cristianità iniziato ad opera della parte "laica", ma che avrà come esito naturale e inevitabile l'aperto scontro tra Chiesa e Impero, quello che si è

soliti indicare sotto il nome di "Lotta per le investiture".

Nel gennaio del 1045 muore Ariberto da Intiminano, l'arcivescovo milanese che aveva catturato e poi giustiziato gli

eretici di Monforte. Forte di una tradizione da tempo affermatasi, l'assemblea cittadina formula una rosa di quattro candidati alla successione, che sottopone all'attenzione dell'imperatore Enrico

III: Anselmo da Baggio, Landolfo Cotta, Arialdo da Carimate e Attone.

Ma Enrico alle segnalazione dell'alto clero e della nobiltà cittadina preferisce un esponente della nobiltà feudale: Guido da Velate, la cui elezione dapprima duramente contestata dal clero

locale, viene poi riconosciuto e più o meno pacificamente accolta.

Enrico III, favorendo Guido, altro non fa che seguire un uso invalso già da diverso tempo: assicurarsi che a capo delle

singole diocesi, vi siano persone legate all'imperatore, di sua fiducia, che assicurino cioè quel raccordo con il potere centrale

necessario a garantire un minimo di compattezza all'interno dell'impero.

In ciò egli si richiama ad una tradizione iniziata, o meglio istituzionalizzata nella seconda metà del secolo X da Ottone I, il

quale aveva conferito benefici e poteri comitali ai vescovi, garantendosi così la presenza di funzionari a lui legati e

soprattutto alieni da ubbie ereditarie che potevano produrre una frammentazione e parcellizzazione amministrativa e politica del territorio. Una soluzione, questa, che ha il chiaro sapore di un cesaropapismo di tipo costantiniano, ancor più reso palese dal fatto che Ottone era intervenuto addirittura nella elezione del

pontefice, deponendo il corrotto Giovanni XII, nominando al suo posto Leone VIII e facendo giurare al popolo romano di mai più

eleggere al successore di Pietro persona non gradita all'imperatore o al suo rappresentante.

Questa indebita - agli occhi di noi moderni - intromissione era, 127

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d'altra parte, giustificata dalla corruzione imperante in Roma, dove l'elezione del pontefice era in balia delle beghe familiari

locali.

Enrico III, dunque, non inventa nulla di nuovo né a Milano né nei suoi interventi nelle nomine dei pontefici: solo garantendosi

un papato libero dalle panie locali e proiettato in una dimensione veramente cattolica ed universale può sperare di frenare quella spinta centrifuga che contraddistingue il comportamento della

classe signorile e delle forze sociali cittadine emergenti.

Ma questa politica è un'arma a doppio taglio. Da una parte favorisce un processo di trasformazione e di riforma che porterà la Chiesa a rivendicare il diritto alla propria autonomia, con un crescendo che sfocerà inevitabilmente nello scontro aperto con l'Impero e con ogni potestà laica tesa a condizionarne la libertà;

dall'altra, il sistema introdotto dai Carolingi, potenziato dagli Ottoni ed ereditato da Enrico, aveva prodotto degenerazioni tali da rendere quotidiano e usuale, al punto da non destare quasi

più scandalo, il mercimonio di cariche religiose. San Pier Damiani ci informa che a Milano esisteva un vero e proprio tariffario per l'accesso agli ordini religiosi, persino a quello episcopale, e alle

relative prebende: occorrevano 12 denari per ottenere il suddiaconato, 18 per il diaconato, 24 per il presbiterato.

È in siffatto contesto, dunque, che si colloca l'azione moralizzatrice di due degli sconfitti nelle mire alla cattedra

milanese: Arialdo, «magister artium liberalium», di buona famiglia brianzola, di Carimate o Cucciago, vicino a quella Cantù in cui

ancor oggi, mediante gli affreschi di San Vincenzo di Galliano, si perpetua il ricordo di Ariberto d'Intimiano; e Landolfo, fattoci

conoscere come «Cotta», ma assai probabilmente imparentato con i nobili capitanei di Besana. Azione, la loro, che è forse

facilitata dai germi ereticali introdotti in Milano dagli eretici di Monforte, come vuole un altro Landolfo, Landolfo Seniore, un cronista contemporaneo nettamente avverso alla Pataria.

Arialdo e Landolfo sono inizialmente favoriti dalla prematura scomparsa dell'imperatore Enrico; scomparsa che non può che

mettere in difficoltà Guido da Velate.

Un primo scontro tra i Patarini - Landolfo, Arialdo e parte del popolo milanese, infiammato dalle parole di quest'ultimo - e i

loro avversari si registra in occasione della processione in onore di san Nazario, il 10 maggio del 1057. Guido da Velate sembra non dare importanza al fatto, tutto preso com'è dalla tutela dei propri interessi presso la curia imperiale; ma quando i Patarini

pretendono dal clero milanese un formale giuramento di osservare la castità, ecco allora che questo si appella a Roma.

Ma al papa si rivolgono anche i Patarini e Stefano IX non vede altra soluzione, al fine di calmare gli animi, che imporre a tutti di riunirsi in una sinodo per discutere e sanare una situazione che

rischia di farsi sempre più scabrosa, dal momento che Arialdo e i 128

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suoi rifiutano di far rientrare in città l'arcivescovo Guido. A loro volta, in una sinodo tenutasi a Fontanetto, i vescovi suffraganei

propongono al presule di dimettersi.

Richiedere a Roma di ergersi a giudice di quanto stava accadendo in Milano significava riconoscere alla città di Pietro

un ruolo egemone e un primato che il capoluogo lombardo si era ben guardato, nel passato, di ammettere. Fu forse un errore,

l'errore tattico di un clero che sperava nell'aiuto di un pontefice che era pur sempre, se non una creatura imperiale, persona che

comunque la corte aveva riconosciuto e confermato. Ma lo spirito di riforma, promosso dallo stesso imperatore, permeava

ormai tutta la curia pontificia ed uomini come

Un avvenimento chiave sul finire dell' XI secolo: Papa Urbano II indice la crociata ( due scene da una miniatura del XV sec. )

Pier Damiani, il cardinale Umberto da Silvacandida, Anselmo da Baggio e Ildebrando di Soana, il futuro Gregorio VII, vedevano nella rigenerazione morale della Chiesa e nella lotta alla simonia gli strumenti più idonei a garantirne l'emancipazione dal potere

laico e dalle intromissioni imperiali.

La chiamata in causa di Roma e la risposta di questa, se inorgoglirono e rafforzarono gli intenti di Arialdo e di quella parte del popolo che era con lui, esasperarono però gli avversari, che

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cercarono di uccidere

Landolfo. Le reazione dei Patarini fu altrettanto repentina ma soprattutto si arricchì di tematiche nuove e di più facile presa presso la popolazione. Alla lotta contro un clero incontinente e

corrotto si affianca ora l'accusa di simonia e si mette in atto quello che è stato definito lo sciopero liturgico, il boicottaggio

cioè delle funzioni celebrate da preti che dovevano la loro consacrazione sacerdotale all'acquisto della stessa o al fatto che

il loro ordinante fosse stato a sua volta colpevole di simonia. Questo colpo d'ala della Pataria sortisce un effetto clamoroso a livello popolare: le chiese diventano deserte e disertate sono le

funzioni celebrate dai chierici simoniaci e/o nicolaitici.

Ci troviamo ad un passo dall'eresia; il movimento sembra muoversi in bilico tra ortodosso allineamento alle direttive

riformistiche provenienti da Roma ed eretica negazione della validità oggettiva dei sacramenti, indipendente cioè dalla dignità

del ministro. Ma l'intento di Arialdo e dei suoi è decisamente avulso da motivazioni di stretta pertinenza teologica. Ed è forse

proprio per questa ragione che Roma, anziché sconfessare il movimento patarinico, come parte del clero e della stessa

popolazione avrebbe auspicato, lo aiuta.

Simonia: indica l'illecito commercio, con lucro e per lucro, di beni sacri e spirituali. Si vuole far derivare il termine dal simon Mago - probabilmente lo stesso Simone di Gitta, iniziatore di uno Gnosticismo a livello magico-popolare - che in At 8, 9-24 avrebbe voluto acquistare da Pietro i doni

concessi agli Apostoli dallo Spirito Santo.

Nicolaismo: nella Bibbia le indicazioni al proposito sono assai generiche; in Ap 2, 6 e 14-15 si può tutt'al più opinare che i «Nicolaiti» osservassero dottrine simili a quelle dei seguaci dell'indovino mesopotamico Balaam, i quali, tra l'altro, erano dediti alla fornicazione. sant'Ireneo, dal canto suo, identificò come iniziatore il diacono antiocheno Nicola, ricordato in At 6,

5. Tuttavia, anche se lo stesso Pier Damiani parlerà ripetutamente di nicolaitica haeresis, il celibato del clero non era, in età patarinica, una

norma canonica rigida. Anzi, nel mondo orientale bizantino esso valeva soltanto per i gradi più elevati e la chiesa ambrosiana si sentiva, forse -almeno nelle tradizioni autonomistiche e negli usi -più vicina a Bisanzio

che a Roma. E non è un caso se il definitivo distacco della chiesa bizantina si consuma nel 1054 con lo Scisma di Oriente, sotto il

pontificato di Leone IX, un papa riformatore che non poco aveva premuto a favore di un celibato assoluto per il clero.

Nel 1059 la missione annunciata da Stefano IX giunge a Milano. Di essa fanno parte lo stesso Pier Damiani ed Anselmo

da Baggio, proprio quell'Anselmo che era tra i designati alla possibile successione di Ariberto e che il cronista Landolfo

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Seniore accuserà di essere uno dei promotori della Pataria. La scelta romana di queste due personalità la dice lunga sulla reale volontà di addivenire ad un compromesso: Pier Damiani, infatti,

perdona coloro che si erano resi colpevoli di simonia ma non sembra volerli reintegrare; di fatto criminalizza un

comportamento ed un uso invalsi e mai formalmente condannati, proprio per le gravi conseguenze sociopolitiche che

da siffatta condanna sarebbero potute derivare. E che la soluzione proposta dal Damiani non sia un compromesso ma una

scelta di parte si esalta alla luce del fatto che nel 1061 viene eletto papa col nome di Alessandro II lo stesso Anselmo da

Baggio,

Tra il '61 e il '62 muore il compagno di Arialdo, Landolfo «Cotta», e gli succede, sia pur riluttante, il di lui fratello Erlembaldo. Strano destino il suo: miles e pellegrino in

Terrasanta, misogino e anticlericale - se vogliamo prestar fede alle maligne illazioni di Landolfo Seniore - perché tradito dalla moglie proprio con un prete; uomo d'aspetto autorevole, «quasi

dux, in vestiibus pretiosis», e d'indole profondamente religiosa, che lo aveva portato a desiderare la vita eremitica e che gli farà

compiere gesti d'umiltà quale quello dell'abluzione dei piedi ai poveri - stando ad Andrea da Strumi, esaltatore di Arialdo e della

Pataria - Erlembaldo si trova sulle spalle, quale eredità lasciatagli dal fratello Landolfo, un fardello che non è affatto

sicuro di volersi assumere, tanto che decide di recarsi a Roma per trovare - dicono le fonti patariniche - conforto e

approvazione alla decisione che Arialdo lo sollecita a prendere.

Alessandro II non solo lo spinge ad accollarsi il compito che già era stato di Landolfo, ma gli consegna, a suggello della

propria approvazione, il vessillo della Croce o di San Pietro, che sempre, da questo momento, sarà presente nelle vicende e nelle

azioni della Pataria.

Investito dal pontefice di questa sorta di «spirituale cavalleria», Erlembaldo della Pataria diverrà così il miles e il dux,

votando tutto se stesso, senza più esitazioni di sorta, al compito affidatogli, giungendo a combattere in campo aperto contro gli

avversari, arrivando, egli, un laico, ad imporre l'elezione del nuovo arcivescovo e a sostituire il crisma battesimale dei

vescovi ambrosiani con uno fornito da lui stesso. E, alla fine, cadrà massacrato dalla folla, avvinghiato al suo gonfalone di San

Pietro, a quel gonfalone, che, una volta consegnatogli, era divenuto per lui la ragion stessa dell'essere.

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Papa Alessandro, dunque, incoraggia Erlembaldo. Confortato da ciò Arialdo

accentua la lotta antisimoniaca, anche se il pontefice lo invita ad una maggiore

tolleranza. Un richiamo blando, che non sortisce effetti, dal momento che da una

parte Arialdo diviene capo militare e combatte nel contado Guido da Velate,

mentre Erlembaldo, nel '66, recatosi nuovamente a Roma, ne ritorna portando

seco due bolle: una con la quale si scomunica l'arcivescovo e l'altra con la quale si chiede al clero milanese di sottomettersi a

Roma. Un capolavoro dell'oreficeria lombarda dell'XI secolo. Tesoro del

duomo, Milano. Il papato si sta servendo della Pataria come di una quinta colonna, al fine di affermare il

proprio primato. Roma è in lotta su due fronti: da una parte auspica e caldeggia una riforma morale del

clero, che faccia cessare rasservimento di esso ai potentati i locali, dall'altra s'indirizza ad acquisire non solo la “libertas ecclesiae” ma addirittura l'affermazione della superiorità del religioso sul laico, del Sacerdotium sul Regnum. E per far questo non esita ad avvalersi, in

maniera forse spregiudicata, di qualsiasi forza possa risultarle utile.

Ma la situazione politica sta cambiando: Enrico IV è uscito dalla minore età e nel 1065 diventa imperatore. Guido da Velate ora conta sul suo appoggio e si sente forte, tanto forte da convocare, nel giugno dell'anno successivo, un'assemblea cui partecipano gli

stessi Arialdo ed Erlembaldo e nella quale il presule irride alla bolla di scomunica e fa leva con successo sullo spirito autonomistico cittadino che accusa la Pataria di aver asservito

la chiesa ambrosiana a quella romana.

Arialdo ed Erlembaldo si salvano a stento dal linciaggio, come pure a stento si salva lo stesso arcivescovo dalla repentina reazione dei Patarini. Ma ormai le sorti del movimento sono segnate. Arialdo è costretto a lasciare Milano e, catturato dalla nobiltà feudale, il 28

giugno del 1066 viene ucciso. Guido è considerato colpevole della sua morte e viene scomunicato, mentre il ritrovamento del corpo del martire, alcuni mesi dopo, è occasione

per un riaccendersi degli entusiasmi popolari. Tuttavia Alessandro II non intende legittimare uno stato di tensione molto prossimo alla guerra civile ed invia pertanto a

Milano una legazione volta a riportare la pace. L 'esito è perlomeno strano e fa legittimamente sospettare che Roma voglia condurre un'azione doppiogiochista, anche

se, probabilmente, l'equivocità dell'atteggiamento è dovuta al fatto che il pontefice intravede già i futuri sviluppi di uno scontro che si preannuncia duro e traumatico; Per

questo la beatificazione di Arialdo, che Erlembaldo porta con sé rientrando da Roma nel '68, ben poco compensa la sentenza emessa l'anno prima dalla legazione pontificia, con la

quale Guido da Velate veniva ricollocato sulla cattedra milanese .

Tuttavia l'abile e prudente politica condotta da Alessandro II non consente comunque di abbassare la guardia ne dj lasciare al loro destino i Patarini. E che l'esperienza patarinica

esorbiti i limiti territoriali che le sono proprI e stia ad indicare la crisi di un sistema - quello feudale - che non vuole rassegnarsi tanto facilmente, lo si avverte quando Guido da

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Velate, riconciliatosi con Roma, esce di scena, rinunciando all'arcivescovado in favore del suo segretario, Gotofredo da Castiglione. Enrico IV, infatti, accetta la designazione, ma in barba alle vicende degli ultimi dieci anni, pretende dal candidato una congrua somma in

danaro e l'impegno di estirpare la Pataria dalla città.

Martirio di S. Giacomo Maggiore, affresco lombardo dell'inizio del XI secolo.

La reazione di Alessandro II è fulminea: scomunica Gotofredo e incarica Erlembaldo di impedirgli l' accesso in città.

Nel frattempo Guido muore ed Erlembaldo si affretta a far eleggere Attone. L'iniziativa non è però gradita ai milanesi tradizionalisti e gli aliena non poche simpatie: l'elezione

non nasce infatti da un'assemblea cittadina e, poiché avviene alla presenza e col consenso del legato pontificio Bernardo, sembra risentire del pesante condizionamento della curia romana. Ora, però, con la morte di Guido, lo scontro tra Impero e Chiesa di Roma si fa aperto e diretto. Attone e Gotofredo sono i simboli di due mondi che hanno

cessato di coesistere pacificamente e questo perché uno dei due non intende più svolgere un ruolo subalterno. Per Milano e per la Pataria gli eventi precipitano. Erlembaldo non sarà

mai abbandonato dal neo pontefice Gregorio VII - l'anima pervicace e informante del neppur lungo processo di emancipazione della Chiesa - ; tuttavia la scena si sposterà su fronti più vasti e troverà in Canossa il simbolo di un successo papale che avrà però in se

tutti i limiti di un equivoco sostanziale: l'impossibilità di realizzare una pacifica convivenza tra Regnum e Sacerdotium se non a discapito di uno dei due.

Siamo ormai giunti al 1075, quando un incendio scoppiato in città rivela quanto affievolitisi siano la forza e il potere di Erlembaldo. Egli e i suoi ne sono infatti ritenuti

responsabili e quando, durante la Settimana Santa, Erlembaldo, esasperando forme forse già presenti in Arialdo, non solo si ergerà a giudice del clero ma addirittura rifiuterà il

crisma consacrato da mani simoniache, si scatenerà una serie di tumulti, in uno dei quali troverà la morte lo stesso portatore del vessillo di San Pietro.

Dire che con Erlembaldo finisce completamente la Pataria sarebbe eccessivo; essa infatti continuerà ad esistere, ma sostanzialmente sopravvivendo a se stessa. Ed esiti patarinici li troviamo testimoniati, in quegli stessi anni, non solo a Milano, ma anche in

altre città, pur se non con la stessa irruenza, fatta eccezione per Firenze dove l'azione dei monaci vallombrosani, fondati da Giovanni Gualberto, si raccorda strettamente agli

avvenimenti milanesi. Quest'ultimo infatti profonde non pochi mezzi personali a favore di Erlembaldo e invia i propri monaci - quale milizia immacolata e non tocca da simonia o da

nicolaismo - a Milano.

Certe tematiche esasperate, proprie dell'Erlembaldo dell'ultima ora, a Firenze 133

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sembrano presenti da prima e con toni ben più marcati: basti pensare che si pone in dubbio non solo la validità del sacramento, ma addirittura si battezza senza crisma, onde evitare l'uso di un olio consacrato da mani simoniache. Siamo, a Firenze ancor più che a

Milano, vicini a posizioni ereticali, ma nel 1O73, alla morte di san Giovanni Gualberto, anche nella città toscana ormai gli entusiasmi si sono spenti e le fazioni avverse

abbandonano le beghe locali per assistere e partecipare al ben più vasto e pregnante scontro che si annuncia tra Enrico IV e Gregorio VII. Questi, sia pur sommariamente, i fatti

e le tematiche che contraddistinsero l'esperienza patarinica. Le perplessità sull'opportunità di inserire tali vicende nell'ambito della storia dell'eresia sembrerebbero più che giustificate. In fondo si tratta di un movimento riformatore, cui aderisce una larga parte di popolo, tutto teso a combattere simonia e concubinato dei preti e che trova nella

curia romana, e nei vari pontefici che si succedono nel corso dei vent'anni in cui si esaurisce tale esperienza, un pieno ed aperto appoggio.

Tutto questo però vale soltanto in una visione della realtà della seconda metà dell'XI secolo semplicistica e riduttiva, che individua i buoni tra i riformatori e i cattivi nei loro

avversari. Ma le cose non stavano in questi termini. Esisteva infatti una terza componente, costituita da coloro che pur auspicando una riforma del clero, pur condannando il malcostume dei preti concubinari, non accettarono mai e non

perdonarono mai alla Chiesa di aver demandato tale ruolo ai laici. È il partito di coloro che legati ad una tradizione che voleva la società ripartita in tre ordines (clerici, milites e layci),

significativamente speculare della Trinità divina - dove i primi detengono il potere sacrale e fungono da tramite tra Dio e gli uomini, i secondi difendono i primi e i terzi e questi ultimi devono vivere in funzione subordinata e di mantenimento dei primi due - non

possono accettare che siano proprio i laici, coloro che il disegno divino ha relegato ad un ruolo puramente passivo, ad ergersi giudici del clero. Ma soprattutto non accettano che il

pontefice non solo tolleri ma addirittura favorisca un siffatto stato di cose.

Il partito - tutt'altro che esiguo - dei "non allineati" seppe forse intravedere i rischi insiti nell'abitudine dei laici di fare a meno delle cerimonie liturgiche e di discutere liberamente di cose sacre. E quando nel XII secolo sorgeranno movimenti ereticali che del rifiuto dei sacramenti e della gerarchia ecclesiastica faranno i temi precipui delle loro predicazioni,

ecco allora che l'assimilazione di costoro alla Pataria, la "ricerca del precedente", dell'auctoritas, inevitabilmente sortirà l'effetto di farli assimilare ai Patari. E quando il

Catarismo a sua volta sarà diventato la peste ereticale per eccellenza, l' equazione si completerà e già nei documenti della seconda metà del XII secolo, ad appena cento anni

dalla morte di Erlembaldo, l'equazione sarà perfetta ed un termine pur nato come espressione di disprezzo, si colorerà di un contenuto che forse non gli era mai stato

proprio e "Pataro" passerà ad indicare, tout court, l'eretico. L' episodio patarinico, nella sua esasperata ricerca di una riforma morale del clero e della Chiesa tutta, è stato

giustamente considerato - insieme con il dualismo e l'evangelismo, dei quali avremo occasione di parlare - una delle componenti informative della spiritualità medievale, ma è anche la prima e ultima vera occasione concessa ai laici per esprimere da protagonisti le

proprie istanze religiose.

A partire dal XII secolo, infatti, la Chiesa romana sarà sempre attenta e pronta ad inibire le iniziative autonome del laicato e sarà portata ad individuare in esse i germi di

una prava baeresis .

I PROTAGONISTI

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I protagonisti della Pataria sono diversamente raffìgurati a seconda delle fonti; di Erlembaldo ad esempio, abbiamo uno splendido ritratto.

ARIALDO: «A Cucciago, paese tra Milano e Como... vivevano Bezo e Beza, sua sposa, entrambi di nobile origine ma ancor più nobili per l'onestà della loro vita... Una notte a Beza, ch'era incinta, apparve in sogno una luce sfolgorante,

come lo splendore del sole", E quando, arrivato il momento. nacque il figlio, lo chiamarono Arialdo e lo avviarono alla carriera ecclesiastica... Egli proseguì indefessamente gli studi in diversi paesi per conseguire una perfetta conoscenza sia

delle arti liberali sia delle Sacre Scritture ...» (Andrea di Strumi, Vita sancti Arialdi)

«... il sacerdote... Arialdo, originario di una famiglia di cavalieri, era assai esperto nelle arti liberali, , , » (Bonizone, Liber ad amicum) «Arialdo, diacono del clero decumano, vissuto tra lussi e onori presso il vescovo Guido, quando ancora non

aveva finito gli studi letterari, incominciò a proferire giudizi durissimi contro il clero...» (Arnolfo, Gesta archiepiscoporum Mediolanensium)

«... un levita di nome Arialdo, consacrato dallo stesso Guido, nato a Cucciago, vicino a Cantù, maestro d'arti liberali... dominato dalla superbia... che, ricambiando col male il bene ricevuto, agiva non certo per divina ispirazione ma

terrena...» (Landolfo Seniore, Historia Mediolanensis)

LANDOLFO: «... un chierico di nome Landolfo, tra i migliori della città, sia per grado che per nascita, oratore possente e facondo...» (Andrea di Strumi)

«... il sacerdote Landolfo, uomo elegante e raffinato parlatore, proveniente da una famiglia dell'alta nobiltà ...» (Bonizone)

«... Arialdo... essendo di umili origini, pensò di associarsi Landolfo, più nobile di lui e di maggiore autorevolezza, e lo fece divenire il suo schiavo fedele. E Landolfo, oratore dotato di una, voce possente e più abile di Arialdo, amante del plauso , si mise a predicare, pur non avendo il diritto, secondo gli usi ecclesiastici alla facultas praedicandi. Non aveva,

infatti, alcun grado ecclesiastico...» (Arnolfo).

«In quel tempo il chierico Landolfo, di nobilissima famiglia; assiduo frequentatore della canonica della Vergine, poiché apparteneva, quale notaio, al clero maggiore della chiesa Metropolitana, lacerato dall’ambizione e soprattutto dalla bramosia dell'episcopato per il quale sbavava apertamente come un cane, incominciò ad istigare tutti gli ordines...

(Landolfo Seniore)

ERLEMBALDO: «...Landolfo, morendo, lasciò un fratello, Erlembaldo. uomo prudente e religioso, pur se laico. Appena rientrato da Gerusalemme, desiderava abbandonare il secolo e votarsi alla vita monastica. ..Il nobile Erlembaldo era,

agli occhi degli uomini, come un condottiero, adorno di vesti preziose, di armi e di cavalli, ma, agli occhi di Dio, nel suo intimo, era, come un eremita dei campi, vestito di ruvida lana. Ricordo, cosa che non vidi mai compiere da altri, d'averlo

visto lavare i piedi ai poveri...» (Andrea di Strumi)

«... Erlembaldo... fortissimo soldato di Dio, come Giuda Maccabeo, resistette imperterrito.. .» (Bonizone) :

«... Erlembaldo, per amore del fratello, si accollò, benché laico, un onere che non gli spettava e si fidò così tanto delle parole di Arialdo che si mise a percuotere con flagelli chiodati coloro che suo fratello s'era limitato a sferzare... Si

gloriava d'aver ricevuto dalle mani del papa il vessillo di San Pietro... e lo aveva issato in cima a una lancia, così che sembrava, piuttosto, la bandiera degli assassini... »(Arnolfo)

«... Erlembaldo, fratello di Landolfo, discendente da una nobile famiglia capitaneale, era appena tornato da Gerusalemme, ove se n'era fuggito quando, sposatosi nel fiore della gioventù e avendo appurato che sua moglie se la

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faceva con un prete, aveva posto fine definitivamente al matrimonio. E gli era rimasto l'odio nei confronti del clero. Era un cavaliere fortissimo per natura.; con una barba rossiccia che portava lunga, all'uso antico.; di volto sottile, con occhi

da aquila, con un coraggio da leone che suscitava l'ammirazione; prudente nell'accondiscendere alle richieste del popolo, durissimo in battaglia come un Cesare, fin troppo tenero nei confronti dei poveri; assai generoso d'animo, di corpo snello e proporzionato, con membra slanciate e piedi sottili; abituato a star sveglio tutta la notte per non farsi

sorprendere dai nemici; era assai prudente nel prender decisioni...» {Landolfo Seniore)

Re David attorniato dai suoi musici (miniatura da un salterio ambrosiano dell'XI sec.)

I sacerdoti coniugati.

Tratto dalla Lettera contro le offese dei laici verso i sacerdoti coniugati del monaco Sigeberto di Gembloux, da questo brano traspare lo sgomento di coloro che, pur riconoscendo la necessità di una riforma morale del clero, non accettarono che essa fosse

demandata ai laici proprio da chi ricopriva le più alte cariche in seno alla gerarchia ecclesiastica.

"... Nessuno, uomo o donna che sia, qualunque condizione o stato o ordine religioso appartenga, può ignorare quale sconvolgimento sia in corso. Ormai dovunque, tra le donne che tessono e nelle botteghe artigiane, non si parla d'altro, non c'è più certezza del diritto

nella società, le regole di santità cristiana sono sconvolte, l'ordine sociale ha subito un improvviso mutamento, l'onore del clero è stato ripetutamente conculcato, i servi usano perfidie inusitate verso i padroni, e questi diffidano completamente di loro, gli amici tradiscono fraudolentemente, si trama contro l'autorità riconosciuta da Dio, l'amicizia è offesa, la fedeltà negletta, la più oscena

malizia impera, si introducono dogmi contrari alla fede cristiane - cosa quanto mai miseranda - tutte queste assurdità avvengono col permesso di coloro che sono a capo della cristianità, sono sostenute dal loro consenso e rafforzate dalla loro autorità...

Se ci si richiama ai principi, che c'è di più bello, di più vantaggioso per la cristianità, che vincolare i sacri ordini alle leggi della castità; valutare e preferire le promozioni ecclesiastiche non sulla base di un accordo venale ma secondo il merito; correggere la vita e i costumi del giovane re nell'interesse suo e dei suoi sudditi; liberare la dignità episcopale dall'onere di espletare funzioni secolari? Tutto ciò sempre che venga proposto con il dovuto rispetto, nella forma consentita dalla legge... Ma il volgo ignorante, che sempre

cerca il proprio tornaconto onde dar sfogo alla propria follia, ha atrocemente convertito lo spirito d'obbedienza che dovrebbe informalo in offese contro i sacerdoti.

Ingannato da false idee, dovunque vada lancia insulti, alza il dito accusatore, usa i pugni... Se poi ti chiedi quale sia la radice di tal frutto, bene! sappi che questo bel ornamento della nostra società lo dobbiamo ad una legge destinata ai laici, grazie alla quale gente

del tutto inesperta si è convinta che si debbano assolutamente disertare le messe e tutte le altre funzioni liturgiche officiate da

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sacerdoti coniugati...".

La morte di Arialdo

Riportiano due brani tratti da scrittori contemporanei e relativi alla morte di Arialdo. Il primo si trova nella Passione di Sant'Arialdo di Andrea di Strumi, che dell'iniziatore della Pataria fu l'agiografo; il secondo, invece, è del cronista più ostile al movimento patarinico, colui che lo vide quale

naturale conseguenza dell'eresia di Monforte: Landolfo Seniore.

Sguainate le spade, gli prendono da ambo le parti le orecchie dicendogli - Allora, furfante, il nostro vero signore è l'arcivescovo? -

Egli rispose: - Non lo fu mai perché non si è mai comportato, né lo fa ora, da arcivescovo -

Senza pietà gli tagliano entrambe le orecchie ed egli, alzati gli occhi al cielo: - Ti sono grato Cristo, per avermi voluto includere oggi tra i tuoi

martiri -

Interrogato nuovamente se Guido sia o no il vero arcivescovo, egli, conservando la solita fermezza, risponde: - Non lo è -

Ecco allora che gli amputano il naso e il labbro superiore, pi gli strappano gli occhi, infine gli mozzano la mano destra dicendogli: -

Questa è la mano che scriveva lettere a Roma! -

Gli amputano poi alla radice il membro e: - Hai sempre predicato la castità, ora sarai casto anche tu -.

Gli strappano la lingua dicendogli: - Taccia finalmente chi ha posto in subbuglio e sconvolto le famiglie dei chierici. Così quella santa anima fu

liberata dal corpo, che fu lì sepolto in qualche modo...".

Ma Arialdo, nonostante la nipote di Guido da Velate, Oliva, signora della rocca di Angera, lo abbia fatto buttare nel Lago Maggiore, appare a più

persone ed Erlembaldo organizza una spedizione che recupera il cadavere e lo porta a Sant'Ambrogio per esporlo alla venerazione popolare, prima

della solenne tumulazione in San Celso.

Naturalmente il corpo sembra presentare le caratteristiche tipologiche dell'incorruttibilità proprie della santità.

Nonostante la prolungata immersione nel lago, è intatto e "...le sue interiora erano candide come la neve...e il fegato del colore del bronzo...e

sentii emanare un tale profumo che mai ebbi occasione di sentire...".

Diversa la versione di Landolfo Seniore: scarni cenni al crudele martirio e giustificazione naturale delle presunte mutilazioni:

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Interrogato se riconosceva come arcivescovo Guido, che la Chiesa di Roma aveva confermato dandogli il pallio e col voto dei cardinali,

rispose: - Finché avrò lingua in bocca e avrò spirito e la mia mente sarà libera, non lo avrò per vero né lo accetterò come arcivescovo - .

Detto questo gli uomini di Oliva gli si gettano contro e gli strappano la lingua, lasciandolo sull'isola mezzo morto. Il giorno seguente, per ordine di Oliva, che non voleva che il corpo fosse rinvenuto dai Patarini e che a cagione di ciò Erlembaldo la cingesse d'assedio, seppellirono il cadavere

nella cella di Sant'ambrogio della rocca di Valtravaglia. Ma trascorsi pochi giorni il castello fu i vaso dal fetore insopportabile del cadavere

tanto che tutti nauseati se ne fuggivano".

La cella viene riempita d'acqua con lo scopo di attutire il cattivo odore. A sua volta Erlembaldo, venuto a conoscenza del luogo del martirio,

organizza una spedizione di recupero cingendo d'assedio Oliva. Nell'accampamento sembra di avvertire una voce che indica dove si trova

il corpo, per cui tutti si recano sul luogo e trovano "...il corpo mutilato dalla donna pressoché putrefatto, che non puzzava grazie al fatto che era

stato immerso nell'acqua, ma gli mancavano del tutto le membra e l'organo sessuale perché marciti, e in tali condizioni, orribile a vedersi,

fu loro consegnato..."

PER UNA STORIA DELL'ERESIA MEDIEVALE (5)

DALLA RIFORMA DELLA CHIESA AL

RIFIUTO

Raniero Orioli - Medievalista - Redaz. Accademia dei Lincei

Nell'XII secolo, di fronte alla dilagante corruzione del clero, si assiste a una sempre maggior esigenza di ritorno alla semplicità evangelica. Sono soprattutto i laici. esclusi da ogni ruolo attivo nell'economia salvifica cristiana, i più sensibili, divenendo così terreno fertile per le

eresie di tipo patarinico; condanna del clero corrotto, «sciopero liturgico», abolizione della stessa gerarchia ecclesiastica: queste le istanze degli eresiarchi che seppero farsi interpreti di

un laicato indignato e deluso.

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La lotta per le investiture, con il suo avvicendarsi di esiti

favorevoli ora ai riformisti della Curia romana ora al disegno

egemonico della parte imperiale, aveva messo in luce quello che era in realtà il nodo centrale del dissidio tra i due poteri: entrambi ecumenici, erano entrambi portati ad

invadere le competenze proprie dell'altro, perché di fatto «non esisteva una sfera religiosa e

una laica, un mondo sacro e uno profano: si viveva in "una sola società, cioè la Chiesa, dove tutto si amalgama", come si

sarebbe espresso di lì a qualche decennio Ottone di Frisinga» (Cardini). La Pataria non era stata, dunque, che uno dei

possibili strumenti adottati da Roma al fine di pervenire

all'emancipazione dapprima e all'affermazione poi della

propria superiorità, così come questa era stata teorizzata da

Gregorio VII si è parlato di tradimento della riforma

gregoriana ed anche, in forma volutamente paradossale, si è imputato alla Chiesa di essere stata la causa indiretta della

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nascita delle eresie, non avendo di fatto introdotto un recupero

del ruolo attivo dei laici nell'economia salvifica cristiana

ed avendo invece favorito ed istituzionalizzato

l'approfondimento del solco tra laicato e clero.

D'altra parte, sia Pier Damiani sia lo stesso Gregorio, per quanto pronti ad avvalersi

dell'aiuto della parte laica, non avevano mai inteso concedere

ad essa un'autonomia o addirittura la possibilità di

surrogare nelle funzioni il clero indegno. La lotta condotta dalla

Curia romana si colorava di tonalità moralizzatrici ma aveva

come obiettivo primario l' emancipazione del clero dalle

intromissioni del potere politico.

Che l'appoggio ai laici fosse strumentale e definito nel

tempo e non una scelta socio-religiosa di lungo momento è

dimostrato da episodi posteriori ai fatti milanesi, nei quali

notevole fu la parte avuta dalla componente laica popolare ma che ebbero esiti ben diversi da quelli registrati per la Pataria.

Se ancora nel 1076-77 Gregorio VII minacciava di scomunica

coloro che si erano resi colpevoli della morte di un certo Ramirdo

di Schere, il quale aveva rifiutato di ricevere l'eucarestia

da sacerdoti simoniaci, ben diverso sarà l'atteggiamento

che la Chiesa, ormai assestatasi su posizioni di primato e non più

tormentata dall'affannosa ricerca della propria autonomia,

assumerà nei confronti di Tanchelmo di Anversa, dei

fratelli Clemente ed Everardo, di Pietro de Bruis, del monaco

Enrico e soprattutto di Arnaldo da Brescia.

Le esperienze di costoro, a volte singolari e quasi sempre

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tragiche, testimoniano come il desiderio di riforma morale non

fosse rimasto patrimonio esclusivo della Pataria ma

costituisse uno degli elementi informanti la spiritualità dei

secoli XI e XII. Ne fa fede la compresenza di analoghi fenomeni in diverse

parti di Europa, fenomeni la cui somiglianza alle tematiche patariniche non legittima tuttavia l'ipotesi di una diretta

filiazione, come l'espressione attualizzante ma non felice di «euro- pataria», da taluni usata, potrebbe lasciare intendere.

Ma procediamo per ordine. Agli inizi del 1100, ad Anversa nelle Fiandre, un laico di nome Tanchelmo riesce a convogliare

su di se l'attenzione di contadini, marinai e donne. La sua predicazione si modula su pochi stilemi però significativi e di

facile presa: aperta condanna del clero corrotto e simoniaco e rifiuto dei sacramenti ritenuti non validi perché amministrati da

sacerdoti indegni. Tanchelmo, addirittura, sembra si sia autoproclamato Dio, si sia circondato di un vero e proprio

esercito e sembra anche che l'acqua delle sue abluzioni venga conservata dai seguaci come fosse benedetta e dotata di poteri taumaturgici. I canonici di Utrecht, nell'invitare l'arcivescovo di

Colonia a por fine a un siffatto scandalo, parlano addirittura di un blasfemo fidanzamento di Tanchelmo con una statua della

Madonna: «Ecco disse - o carissimi, mi sono fidanzato con la Vergine Maria. Fatemi voi, ora, i regali di fidanzamento e pensate alle spese del matrimonio». E

poste due cassette ad entrambi i lati della statua disse: Qui depongano le loro offerte gli uomini, là le donne. Adesso potrò vedere quale dei due sessi nutre un amore più intenso nei confronti miei e della mia promessa sposa». Cerimonia irriverente, sembrerebbe codesta, ma attenzione all'esito: «Ed

ecco che, a gara, la gente, completamente pazza, si precipita con doni e offerte. Le donne gettano orecchini e gioielli. E così, con un rituale assai oltraggioso, egli ammucchiò un 'enorme somma di denaro». Che significato dare a tutto

ciò? Tanchelmo si ammanta di una simulata santità per carpire la buona fede dei seguaci ed arricchirsi alle loro spalle - non

differenziandosi dunque da quel clero che accusa di essere corrotto - oppure è l'invidia che rende così solleciti ed astiosi i

canonici che si sentono depauperati da un laico? Non lo sappiamo: forse l'una e l'altra cosa insieme o forse è solo lo zelo

d'ortodossia a spingere i canonici. Sta di fatto che nel 1115 Tanchelmo muore per mano di un sacerdote.

Con Clemente ed Everardo cambia lo scenario ma non cambiano gli stilemi. Nel 1114 questi due fratelli, contadini di Bucy-Le-Long vicino a Soissons, rivolgono la loro predicazione alle genti della campagna, richiamandosi, quale auctoritas, agli

Atti degli Apostoli, in cui trovano la legittimazione dell'ascetismo rifuggente da ogni contatto carnale, quale quello ch'essi van

sostenendo. Anche per Clemente ed Everardo il bersaglio - ed è ciò che più li accomuna al milieu riformistico - resta il clero

corrotto ( "Chiamano bocca dell’inferno la bocca di ogni sacerdote", ci dice 141

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l'abate di S. Maria di Nogent, Guiberto) e conseguentemente i sacramenti da questi amministrati. E sono tanto incolti, i due fratelli, da interpretare la frase evangelica “Beati eritis “ (sarete

beati) come “Beati gli eretici” e da credere anche “che gli eretici si chiamassero così quasi a voler significare che erano indubbiamente eredi di

Dio...“

Nel sottolineare questo aspetto, Guiberto rivendica al proprio status la legittimità del predicare e della raccolta delle elemosine, legittimità derivante dal carisma religioso e

soprattutto dalla superiorità culturale; un atteggiamento, questo, che troveremo presso che identico, un secolo e mezzo più tardi, nel francescano Salimbene de Adam, quando questi accuserà il

“rozzo” Gerardo Segarelli, il precursore di Fra Dolcino, di indebita intromissione nelle cose della Chiesa da parte di chi pretende di predicare e fruire delle elemosine nonostante la propria plateale

inferiorità culturale .

Un po' sospetta la testimonianza di Guiberto lo è anche per un altro motivo. Egli infatti ci dice che clemente ed i suoi si recano

da una donna che mostra loro le natiche messe a nudo; dopodiché “spengono le candele e da ogni parte urlano 'caos' , ed ognuno si

accoppia con la prima persona che gli capita a tiro...". Se poi da siffatti amplessi nascerà una creatura, essa verrà uccisa, bruciata e con le sue ceneri si impasterà un pane che sarà distribuito tra i fedeli a mo’ di eucarestia. Una liturgia che abbiamo già visto attribuita

agli eretici di Orléans, ad eresie dei primi secoli – gli Gnostici accusati da S. Epifanio – nonché ai cristiani dei primi tempi e

che, divenuta topos della polemistica antiereticale, ritroveremo nei secoli successivi. Sicché proprio l’impiego di un tale

stereotipo “colto” e suffragato da tante “auctoritates” non può non indurre qualche perplessità circa l’effettiva attuazione di siffatte modulazioni orgiastiche da parte di due contadini del Soissons.

Comunque, vera o non vera che fosse l’accusa rivolta ai due fratelli, essi furono sottoposti dal vescovo al giudizio di Dio;

Clemente, messo in una botte, venne gettato in acqua e, per sua disgrazie, poiché invece di affondare galleggiò, il fatto fu considerato indizio di colpevolezza ; Everardo, invece, si

riconobbe colpevole ed entrambi allora, furono imprigionati in attesa di regolare processo. Ma ormai il popolo aveva visto

nell’ordalia il segno della volontà divina e, approfittando di una momentanea assenza del vescovo e “temendo un’eccessiva indulgenza

da parte del clero... prese gli eretici e acceso un rogo fuori dalla città ve li fece bruciare”. Un rogo purificatore, dunque, come almeno appare

nella chiusa di Guiberto: “Il popolo di Dio era giustamente sdegnato contro di loro poiché temeva che il loro cancro si propagasse”.

Ma la soddisfatta constatazione dell’abate sarà presto disillusa, in quegli stessi anni, dalla fortuna di un altro

predicatore.

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Pietro de Bruis ed Enrico.

Nato probabilmente nel cantone di Rosans nelle Hautes- Alpes, Pietro de Bruis inizia a predicare nei primi anni della

seconda decade del 1100. E’ un prete espulso dalla sua diocesi, un prete incolto – ci dicono le fonti di parte avversa, ed è

un’accusa credibile perché i temi dell’apostolato di Pietro sono estremamente semplici e di facile presa a livello popolare. Egli infatti privilegia il Nuovo Testamento ma soprattutto introduce un concetto destinato ad avere un notevole successo negli anni a venire, “il concetto, cioè di chiesa spirituale, di una Chiesa che riesca in un rinnovato slancio di fede evangelica, ad allontanare

da sé non solo ogni mondanità, ma anche ogni materialità, dall’edificio di culti, alla croce, al canto liturgico”. (Manselli).

In siffatto contesto ala chiesa è la comunità dei credenti, una realtà che non necessita né di intermediari, né di strutture

istituzionalizzate, perché dovunque si trovino credenti ivi sono Dio e la sua Chiesa.

Con Pietro de Bruis l’anelito riformatore non si limita più allo sciopero liturgico, al rifiuto dei sacramenti amministrati dai

sacerdoti simoniaci o concubinari, ma si teorizza l’abolizione della gerarchia ecclesiastica in favore di quel rapporto diretto fra

Dio e il credente, che un Sigeberto di Gembloix e chi come lui non approvava la politica gregoriana, tanto avevano temuto. Sono queste le premesse ideologiche dalle quali derivano le

motivazioni sottese ai cinque punti ereticali che l’abate di Cluny, Pietro il Venerabile, individua come peculiari della predicazione

petrobrusiana.

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Innanzitutto viene negata ala validità del battesimo impartito ai bambini, in quanto la fede è atto di volontà del singolo che non può essere surrogato da altri. Non è il sacramento che

garantisce la salvezza ma è la fede coscientemente espressa che con il battesimo salva l’individuo.

Dal concetto, poi, di chiesa spirituale, discende l’inutilità di dedicare edifici al culto di Dio, in quanto Questi può essere

adorato e invocato in qualsiasi luogo. Non nuovo è poi è il rifiuto della croce, intesa come strumento della passione di Cristo e

come tale da ripudiare in assoluto.

Più direttamente collegate al rifiuto, non solo della gerarchia, ma anche del ruolo avocato a sé dal clero, risultano la negazione della realtà del corpo e del sangue di Cristo nell’eucarestia e la possibilità di procurare benefici ai defunti tramite le elemosine, le offerte sacrificali e le preghiere. L 'aldilà è inteso come luogo

di retribuzione cui il credente accede recando con se tutti i propri meriti o colpe, che non possono subire mutamenti di sorta per

intervento di altri. Si ribadisce in tal modo il concetto di una fede intesa come strumento di salvezza individuale, che non

necessita di intermediari ne può essere oggetto di deleghe. La pericolosità di Pietro è a tal punto avvertita dall'autorità che, dopo circa vent'anni di itinerante predicazione tra Provenza e

Delfinato, il nostro viene messo al rogo a St. Gilles. Chi lo condanna è “lo zelo dei fedeli” che vendicano “le croci del

Signore da lui incendiate”, bruciandolo vivo. Così racconta Pietro il Venerabile, ma non infondato è il sospetto che questa frase, anziché riecheggiare quel furor di popolo che aveva posto fine

alla vita dei fratelli Clemente ed Everardo, voglia solo intendere l'avvenuta ricongiunzione del potere civile e potere religioso, “la

positiva risposta della vis armata dei laici a un appello ecclesiastico” (Merlo).

Ma l'eliminazione fisica di un soggetto non necessariamente risolve un problema, se questo travalica i limiti del soggetto stesso. E così Pietro trova subito in un monaco eremita il suo

successore.

Di Enrico non si conosce molto prima della predicazione che inizia a Le Mans verso il 1116. Accolto benevolmente dal vescovo come predicatore, egli gioca inizialmente su modulazione di tipo patarinico, trovando il consenso del clero e del popolo. Ma il tono deve assumere ben presto altra valenza se il vescovo Ideberto di Lavardin, rientrando a Le Mans, lo invita ad abbandonare la città e se pochi anni dopo, convocato a Pisa, Enrico è costretto, in una sinodo tenutasi nel 1134, ad abiurare ogni eresia e a promettere

di rientrare in monastero.

Siffatta misura non è tanto punitiva quanto tesa ad inibire un fenomeno fo riero di gravi conseguenze per la Chiesa e al quale

la Chiesa stessa non è preparata. L'itinerantismo di questi predicatori, che è la ragione prima del loro successo evidenzia la

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tragica carenza di un'adeguata e sollecita cura animarum che i monaci non ritengono essere di loro pertinenza e che il clero

secolare, che è quello pii vicino alle masse, non è culturalmente in grado di esercitare, privo com'è della pur minima

preparazione teologico-dottrinale. E non è un caso se la predicazione di Enrico, che continuerà fino al secondo arresto de

1145, punta particolarmente al recupero della dignità sacerdotale, alla quale subordina la validità dei sacramenti. Il nostro si muove, apparentemente ancor più di Pietro de Bruis, lungo tematiche di tipo patarinico, senza peraltro esasperare

quelle punte polemiche che in Pietro avevano assunto un indubbio sapore ereticale. Tuttavia l' esperienza di Enrico rimane

per noi significativo della nuova dimensione di «apostolato» di questi nuovi predicatori della vita evangelica.

Monaci o laici che siano, lasciano il monastero o la loro quotidianità per predicare e non sono le distanze a far loro

paura: Pietro percorre la Provenza, la Francia meridionale, la Guascogna; Enrico è a Losanna, a Le Mans, a Poitiers, a Bordeaux, a Pisa, a Tolosa. Questa dinamicità spirituale

l’avvicina alla dinamicità economica caratterizzante tutta la realtà sociale del XII secolo, di cui mostrano d'essere degni figli, mentre le tradizionali forze politiche e religiose non riescono a

far fronte, se non servendosi di schemi operativi obsoleti. Everardo, Clemente e Pietro sono messi al rogo a furor di popolo,

Enrico, con ogni probabilità, finisce i suoi giorni in carcere. Ma nulla, o comunque assai poco, viene fatto per conseguire quella

moralizzazione auspicata anche da figure al di sopra di ogni sospetto, come lo stesso Guiberto di Nogent o Bernardo di

Clairvaux, nonché dai laici.

I proventi delle decime vanno ad arricchire una Curia in cui la palese ricchezza appare sfrontata e contraddittoria provocazione al messaggio evangelico. Non solo, ma nelle mente si insinua - come era già implicito nella predicazione di Pietro di Bruis - che la salvezza non sia patrimonio gestibile da una sola componente istituzionalizzata della società, ma, qualora ci si voglia attenere al messaggio evangelico, sia in realtà aperta a tutti, perché ogni

individuo è responsabile della propria fede.

L’eresia di Pietro de Bruis nella testimonianza di Pietro il Venerabile.

“Il primo articolo degli eretici nega che i bambini non ancora in età della ragione si salvino grazie al battesimo di Cristo, e che la fede di altri possa giovare a loro che non sono in grado di praticare la propria; dal momento che, a loro parere non la fede di un

terzo, ma la propria con il battesimo dà la salvezza...

Il secondo articolo afferma che non si devono costruire nuovi templi e nuove chiese, ma che è anzi necessario demolire quelli già esistenti; ai cristiani non necessitano

luoghi sacri per pregare, perché Dio presta ugualmente attenzione se invocato in una bettola e in una chiesa, in una piazza e in un tempio, davanti a un altare o davanti a

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una stalla, ed esaudisce chi ne è degno.

Il terzo articolo ordina di distruggere e bruciare le sacre croci, perché quell’immagine è strumento con cui Cristo fu così atrocemente torturato, così crudelmente ucciso, non è

degna di adorazione, di venerazione o di preghiera alcuna, mentre per vendicare i tormenti e la morte da Lui patiti, si dovrebbe disprezzare con ogni possibile ludibrio,

fare a pezzi con le spade, bruciare con il fuoco. Il quarto articolo non solo nega la realtà del corpo e del sangue del Signore, ogni giorno offerto grazie al sacramento eucaristico nella Chiesa, ma ritiene che non abbia assolutamente alcun valore e che non si debba

offrire a Dio. Il quinto articolo irride alle offerte e ai sacrifici, ale preghiere, alle elemosine e alle altre buone opere fatte dai fedeli in vita per i fedeli defunti, ed afferma

che esse non possono giovare ad alcun morto, neppure in minima parte.”

Arnaldo da Brescia

E' chiaro come un siffatto discorso esorbiti di gran lunga

dagli schemi classicamente patarinici. Se nella Pataria la

contestazione era rivolta al solo clero concubinario e simoniaco e condotta con l'appoggio delle forze «sane» della Curia e dei

nuovi ordini - quale quello vallombrosiano -, ora il rischio

che si corre è quello di teorizzare l'ininfluenza o meglio

la non necessità di una gerarchia titolare di poteri carismatici esclusivi. Ed è

significativo il fatto che l'attacco forse più violento che, nella

prima metà del XII secolo, viene portato alla Chiesa, sia condotto

nella stessa sede papale, a Roma, da un italiano di Brescia, Arnaldo, che pur doveva aver recepito, anche se non vissuto

personalmente, l'affiato patarinico.

«La tormentata e tragica vicenda del canonico bresciano

Arnaldo riveste un valore esemplare, un coagulo di

tensioni religiose, di attese inascoltate, di travaglio e di crisi

della Chiesa, che sembra incapace di abbandonare i

tentennamenti e le resistenze per imboccare con decisione la

via di una profonda riforma» 146

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(Paolini).

Un'anima inquieta quella di Arnaldo? Forse no; certo un'anima che produce inquietudine, disagio,

malessere. È un uomo che, secondo l'immagine che di lui

offrono i suoi stessi nemici, non risparmia nulla agli altri perché non risparmia nulla a se stesso.

Nel 1139 Innocenzo II deve intervenire per inibirgli ogni attività ed espellerlo dalla città natale in seguito all'aperto

scontro che l'aveva contrapposto al vescovo. Lascia Brescia per Parigi, dove l’amicizia, o meglio il discepolato del magister

Abelardo lo rende, assieme a quest'ultimo, bersaglio degli strali di S. Bernardo. Abelardo accetta il silenzio che a Sens, dov'era stato convocato, gli viene imposto; Arnaldo invece preferisce parlare, continua ad insegnare teologia, e lo fa anche se gli

manca la profondità speculativa del suo maestro, rispetto alla cui indagine teologica mostra di preferire temi quali la povertà e la

vita evangelica; e poveri sono i suoi studenti.

San Bernardo però non desiste e riesce, esercitando pressioni sul re di Francia, a far sì che Arnaldo lasci Parigi per rifugiarsi dapprima a Zurigo poi presso il legato papale in Moravia. L'

accoglienza del legato lascia intendere che non è tanto ciò che Arnaldo predica quanto la sua ostinazione a turbare personalità

quali Bernardo, da tutti invocato quale nume tutelare dell'ortodossia cattolica.

Seguono così alcuni anni di silenzio che si romperà clamorosamente quando Arnaldo, recatosi a Roma in

pellegrinaggio, entrerà in diretto contatto con la realtà della Curia, con una realtà che egli giudicherà in osceno contrasto con

il rigorismo evangelico.

Il successo ottenuto dalla sua predicazione è il frutto di varie e disparate componenti di cui la più significativa è quella politica.

Già nei primi anni quaranta del XII secolo a Roma c'era stata una ribellione da parte dei ceti più abbienti contro lo strapotere della

Curia che inibiva qualsiasi possibilità di autonomia alla componente laica. I rapporti tra romani e pontefice erano

decisamente tesi.

Al desiderio di autonomia comunale il papa aveva risposto duramente ed ai «ribelli» non era restato che giocare tutte le carte possibili, ivi compresa quella dell'aiuto imperiale, ch'era

stato sollecitato nel ricordo di una Roma antica, nel nome di un mito cui avevano aderito «uomini di cultura, giudici e funzionari e uomini di quel ceto che dall' orientamento imperiale e non più

papale di Roma, spera nuova dignità e onori e ricchezza e uomini infine di religione» (Frugoni).

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In siffatto clima il radicalismo riformatore di Arnaldo diviene uno dei possibili strumenti, atto com'è a sollecitare l'appoggio del basso clero, della plebe e dell'elemento muliebre contro lo

strapotere della gerarchia.

Ma Arnaldo è più una pedina che non il tribuno di una plebe ribelle ed i giochi sono fatti altrove e da altri. E cosi basta

l'avvicinarsi della Pasqua del 1155, la minaccia d'interdetto sulla città, con la conseguente perdita dei benefici economici derivanti

dall'afflusso dei pellegrini, perché la «repubblica» romana si accordi con il pontefice ed espella Arnaldo, la cui presenza in

città non può che produrre motivo di disagio. Non solo; ma il neo eletto imperatore, Federico I Barbarossa, aspira con troppa

brama alla consacrazione imperiale per poter consentire che un individuo possa creargli difficoltà nei suoi rapporti col pontificato.

Per cui, catturato dall'imperatore, Arnaldo viene consegnato ai cardinali di Adriano IV ed il prefetto di Roma, della Roma

nuovamente riappacificata col suo «dominus», provvede ad impiccarlo, a bruciarne il corpo e a spargerne le ceneri nel

Tevere e il Barbarossa può tornarsene oltralpe debitamente consacrato.

Ancora una volta superiori ragioni di opportunità politica frustravano le legittime esigenze di coloro che, vivendo del

messaggio evangelico, non potevano osservare impassibili lo sfarzo e lo sperpero della Curia.

Arnaldo da Brescia visto da Ottone, vescovo di Frisinga e zio di Federico I Barbarossa.

Arnaldo, originario dell’Italia della città di Brescia, e chierico con l’ordine soltanto di lettore nella stessa Chiesa, un tempo aveva avuto come maestro Pietro Abelardo. Era certamente uomo non ottuso di mente, ma tuttavia era

più abile parlatore che non profondo pensatore. Era amante di originalità, avido di novità, come sono spesso le menti di tali uomini, inclini a suscitare

eresie, scismi e tumulti...

Denigratore del clero e dei vescovi, persecutore dei monaci, adulava soltanto i laici. Diceva infatti che né i chierici che avevano proprietà, né i vescovi che avevano diritti regali, né i monaci possidenti potevano salvarsi per nessuna ragione. Tutto ciò apparteneva all’autorità civile, che doveva concederle in

beneficio ed uso soltanto ai laici....

Come seppe che Innocenzo II era morto agli inizi del pontificato di Eugenio III ritornò a Roma, e trovò la città in piena rivolta contro il proprio pontefice. E

non volendo seguire il consiglio dell’uomo sapiente che a tal proposito dice: - non ammucchiare legna sul fuoco – (Eccl. 8,3) fomentò ancor più la ribellione.

Esaltò il ricordo degli antichi romani, che, con la prudenza e il consiglio del senato e con la disciplina e l’integrità del coraggio dei giovani, sottomisero a

sé tutto il mondo, e così predicò che si doveva ricostruire il Campidoglio, reintrodurre la dignità senatoria, rifondare l’ordine equestre. Niente del

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governo di Roma avrebbe dovuto spettare al pontefice; a lui dovevano bastare le questioni più propriamente ecclesiastiche.

La morte di Arnaldo nella testimonianza di un anonimo coevo.

“ Ma la lingua di così duro maestro, non si trattiene dal diffondere il solito errore, dal mordere con dente avvelenato ancor più duramente la Chiesa romana, e dall’insegnare al popolo le sue opinioni contrarie al papa. Arnaldo, denunciato allora al re Federico, viene

imprigionato per essere giudicato dal prefetto di Roma.

Il sovrano ordina a questi di giudicare la nota causa, e il dotto maestro viene condannato per il suo insegnamento. E mentre osservava i preparativi del suo supplizio e si avvicinava

il momento fatale gli venne posto il laccio al collo. Richiesto se volesse abiurare la sua empia dottrina e confessare le sue colpe, come fanno i saggi, intrepido e sicuro di sé da

destar meraviglia, rispose che la sua dottrina gli pareva sana, e che non temeva di subire la morte per le sue parole, nelle quali non c’era niente di assurdo e di nocivo. Chiese un

attimo di tempo per pregare, dicendo di voler confessare le sue colpe.

Allora, inginocchiatosi e con le mani e gli occhi rivolti al cielo, gemette sospirando dal profondo del cuore e in silenzio pregò col pensiero il Dio dei Cieli, raccomandandogli

l’anima. Poco dopo, abbandonò il suo corpo alla morte, pronto a subire con animo forte la pena di morte.

Anche i littori, presenti all’esecuzione, piansero, commossi per un attimo.

Infine penzolò sospeso al cappio.

Si dice che il re, troppo tardi impietositosi, si addolorò per quella morte.

Gli Arnaldisti

Si potrebbe chiudere qui l'esperienza di Arnaldo, se non fosse che ancora; verso la fine del secolo, si continuerà a parlare di Arnaldisti, attribuendo loro tutta una serie di affermazioni che,

pur se consequenziali a certe tematiche del Bresciano, non necessariamente erano state da questi fatte proprie. La

mancanza di scritti di Arnaldo rende difficile definirne l'esano pensiero ma non pensiamo d'essere lontani dal vero accogliendo come determinante di tutta la sua azione una letterale e ferrea adesione all’istanza pauperistico-evangelica, sostenuta con un

'animosità e una convinzione che potrebbero aver sfiorato quasi il fanatismo.

Nella Manifestatio haeresis Catharorum, l'abiura del cataro milanese Buonaccorso, alla fine del secolo XII, gli Arnaldisti sono accusati

di sostenere il diritto alla predicazione da parte dei laici, l'obbligo della povertà evangelica, la negazione del diritto di possesso per il clero, l'inefficacia dei sacramenti conferiti da ministri corrotti.

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Tematiche, quest'ultime, che, a dire il vero, nelle fonti coeve ad Arnaldo ed a lui avverse non appaiono e che lasciano pensare che sotto il nome di Arnaldisti sia da intravedere uno di quei

gruppi - ma quale? -che, nella seconda metà del 'XII secolo, si ersero in aperto contrasto e si proposero come alternativa alla

Chiesa e che come tali saranno bollati di eresia.

PER UNA STORIA DELL'ERESIA MEDIEVALE (6)

I LAICI E IL VANGELO: UMILIATI E VALDESI

Raniero Orioli - Medievalista - Redaz. Accademia dei Lincei

A partire dalla seconda metà del XII secolo, l’evangelismo irrompe nella società. Se l’eresia patarinica era stata espressione dei nuovi ceti mercantili emergenti, Umiliati e Valdesi

propugnano invece il ritorno alla povertà e alla semplicità evangelica, criticando proprio i nuovi commerci non più volti a soddisfare le vere esigenze vitali ma alla ricchezza. A questo si affianca l’esigenza di una predicazione diretta, che provocherà diverse reazioni da parte della

Chiesa, dalla condanna al tentativo di “normalizzazione”.

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Fiera paesana benedetta dalla Chiesa (miniatura del XII secolo). Contro il lavoro volto al guadagno e al lusso si scagliarono gli Umiliati e Valdo, propugnatori di un ritorno alla

povertà evangelicaNel 1184 Federico Barbarossa e Lucio III, a Verona,

suggellarono la fine di un trentennio di lotte e di alterne fortune. Erano stati, quelli, gli anni della distruzione di Milano, della Lega

Lombarda, dell’ostinato tentativo di un imperatore di andare contro la storia, nell’esasperata ricerca di imporre un ideale – quello imperiale, per l’appunto – ricorrendo a intimidazioni,

fiscalismi e prevaricazioni destinati a sortire l’effetto opposto a quello desiderato. Dopo questa esperienza Federico di dedicherà anima e corpo alla crociata, a quella crociata, la terza, nel corso della quale la fine per annegamento che egli troverà nel fiume Salef, ha quasi il sapore di una beffa per un uomo che pure era

stato grande.

L’irruzione del vangelo nella realtà del secolo XII – Ma quelli erano stati anche gli anni in cui la Chiesa di Roma, tutta

presa com’era dalla necessità di salvaguardare la propria autonomia messa in discussione dalla politica imperiale, non

aveva potuto opporsi con le dovute energie alle conseguenze di un fenomeno che è stato definito il “risveglio” o “l’irruzione” del

Vangelo nella realtà storica del XII secolo.

Ancora ai primi del secolo, il tema della “vita apostolica” veniva a coincidere con il concetto di vita monastica,

Un’equazione, questa, risalente agli stessi riformatori gregoriani; per Ildebrando e Pier Damiani, infatti, il rimedio contro la

decadenza del clero era la vita comunitaria del monastero, in cui la povertà dell’abito, del cibo, il lavoro manuale inteso come

strumento penitenziale,diventavano la diretta risposta al rilassamento generale. Ma ben presto la caduta di tensione e

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l’inevitabile istituzionalizzarsi degli ordini nuovi o neoriformati, avevano sussunto questi ultimi in una realtà socioeconomica che

progressivamente ne aveva vanificato l’incisività nel tessuto religioso. Ed è ancora una volta dai laici che giunge la spinta al

cambiamento e al concetto monastico di vita apostolica si sostituisce progressivamente un ideale che vede negli apostoli di

Cristo l’esaltazione si della povertà, ma soprattutto privilegia l’aspetto di predicazione, di apostolato, appunto. Non è più il monaco nel chiuso della sua cella il naturale imitatore degli apostoli, ma può esserlo chiunque, a prescindere dalla sua

collocazione nella canonica ripartizione della cristianità in ordines.

Ciò che alimenta una siffatta concezione è la lettura della Bibbia, in particolare del Vangelo, che viene interpretato nel suo più immediato significato. Questo evangelismo letterale ha un duplice valore: da una parte appare come scelta culturale che

può diventare alternativa al mondo clericale, ad un mondo che si ritiene unico legittimo detentore del potere di interpretare la Sacra Scrittura e, in quanto tale, intermediario tra Dio e gli

uomini; dall'altra, la scelta pauperistica, inevitabile conseguenza dell'ideale evangelico, assume il sapore di un'alternativa al sistema economico imperante, Se infatti la Pataria era stata l'espressione di un ceto sociale emergente, quello del mondo

cittadino e del commercio,che rivendicava per se un ruolo attivo nell'ambito della società feudale, l'evangelismo della seconda metà del XII secolo ha quasi la valenza di una critica - se non

proprio di un rifiuto - di un'economia che ha trasformato il lavoro in uno strumento di egoistico accumulo e non più di

soddisfazione delle necessità primarie dell'individuo. Questi due aspetti sono indubbiamente compresenti nelle esperienze, per

tanti versi parallele, di due movimenti che operarono in Italia e in Francia: gli Umiliati e i Valdesi.

Sulla nascita dei primi si è alquanto favoleggiato, narrando che all'inizio dell'XI secolo l'imperatore Enrico Il, fatti prigionieri,

nel corso della lotta contro il re d'Italia Arduino, alcuni nobili milanesi e comaschi, li avesse condotti seco in Germania quali ostaggi. Costoro, dimessa ogni speranza di un rientro in patria,

avrebbero abbandonato le ricche vesti optando per un abito semplice e povero e si sarebbero dati ad una vita di penitenza e di lavoro nel settore della lana. Enrico, venutone a conoscenza, li

avrebbe convocati e dopo aver esclamato « Eccovi finalmente umiliati », li avrebbe lasciati liberi di tornare alle loro case. Sarebbe stato dunque un imperatore tedesco, che in una

cronaca posteriore diventerà addirittura lo stesso Barbarossa, ad originare, sia pure involontariamente, questo movimento, dando

ad esso persino il nome. Se non fosse che, per la storia degli Umiliati, le notizie anteriori alla seconda metà del XII secolo non hanno mai trovato adeguato riscontro. La prima testimonianza, la più attendibile, quella che ci consente di cogliere se non la nascita, almeno le caratteristiche del movimento, proviene da

una cronaca di Laon, dove, all'anno 1178, si dice che in Lombardia alcuni cittadini, pur restando nell'ambito familiare, 'si

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sono dati ad una vita di preghiera e di apostolato in difesa della Chiesa cattolica; costoro si astengono dai giuramenti, vestono un abito semplice di stoffa grigia - che prenderà il nome di «panno

umiliato» -e «vivono del lavoro delle proprie mani, cioè dell'industria dei panni e la loro vita è quella di umili operai». Se

si trascura il rifiuto del giuramento, che ha dato la stura ad ipotesi - non del tutto immotivate - di possibili agganci con Catari, Valdesi e altri movimenti, l'aspetto maggiormente significativo che si aggiunge a quello del vivere come una

comunità religiosa, pur rimanendo nell'ambito della famiglia e del proprio humus urbano, sta nel proposito di difendere la

Chiesa. Si tratta di uno schieramento di indubbio segno positivo: nessuna contestazione o contrapposizione alla gerarchia ma

ricerca di una comune azione di proselitismo e di recupero nei confronti di coloro che si sono allontanati dalla vera fede. Per far ciò gli Umiliati da una parte costituiscono sempre più comunità di uomini e donne, che realizzano la loro scelta pauperistica in un costante lavoro artigianale, destinando il surplus a poveri e

derelitti; dall'altra, si arrogano la facoltà di predicare, sia a coloro che fanno parte della comunità sia a coloro che ne sono fuori e

coi quali entrano in costante rapporto grazie alla loro attività o al fatto di essere comunque rimasti inseriti nel tessuto sociale

urbano. Ma questo secondo aspetto non è gradito alla Chiesa: nel 1178 Alessandro III approva il propositum vitae degli Umiliati,

ma proibisce loro ogni forma di predicazione. La scelta di condurre una vita evangelica, finche non si atteggia a forme di marcato anticlericalismo, non trova opposizione da parte della Curia, ma l'impegno antiereticale, di cui gli Umiliati tendono a farsi portatori, di fatto esautora o almeno depaupera il clero di

quella cura animarum che è per costituzione suo patrimonio. Il pontefice dunque non si fida del movimento e di fatto gli tarpa le ali: l'inibizione a predicare significa togliere agli Umiliati la prima ragion d'essere della loro scelta e si ha quasi l'impressione che la gerarchia ecclesiastica non solo non abbia compreso il significato della proposta del movimento ma abbia addirittura operato nel senso di una progressiva emarginazione verso l'eresia di gente che, nei propositi e nella vita, era pienamente ortodossa. Sta di

fatto che la risposta decisamente inadeguata di Alessandro determinò una reazione da parte di coloro che l'avvertirono

come una prevaricazione cui non intendevano soggiacere. Solo così si giustifica la decretale Ad abolendam di Lucio III, dove per l'appunto tutto il movimento, senza distinzioni di sorta, viene

tacciato d'eresia e condannato.

Ma se l'esistenza di alcune frange dissenzienti poteva aver giustificato la decisa condanna degli Umiliati, ciò non toglie che alcune case continuassero a godere - sia pur sotto diverso nome - dell'appoggio ecclesiastico, tanto che il movimento, alla fine del

1100, risulta presente in diverse città della Lombardia e del Piemonte e nel 1198-99 invia delegati al papa, al fine di ottenere un riconoscimento atto a cancellare dalla propria immagine quel marchio che la Ad abolendam aveva indiscriminatamente impresso. La risposta di Innocenzo III si farà attendere; il papa usa con gli

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Umiliati la stessa cautela che userà con i Valdesi e con Francesco d' Assisi. Una cautela tuttavia che rivela nei suoi esiti la

lungimiranza e la capacità di Lotario da Segni. Due sono i punti per i quali egli è chiamato a dare una risposta: l'anelito ad una

comune vita di povertà e la forte pulsione ad un apostolato attivo e alla predicazione. Innocenzo è consapevole delle

lacerazioni introdotte nell'ordine dalle disposizioni di Alessandro e di Lucio III e non intende ripeterne gli accenti, senza tuttavia

rinnegare l'operato dei predecessori e soprattutto senza depauperare la Chiesa e il clero di quelle prerogative che non si sono mai volute veramente delegare ai laici. Con una serie di

bolle egli organizza gli Umiliati in tre ordini di cui il primo - significativa novità - è costituito da soli chierici, del secondo fan parte laici d'ambo i sessi non sposati e viventi in comunità ed il terzo raggruppa quei laici che continuano a vivere in seno alle loro famiglie. Ai primi due ordini impone una regola che è un

compromesso tra quella benedettina e quella dei canonici regolari; al terzo - tale in ordine gerarchico, ma di fatto primo come nascita - riconosce soltanto il propositum di vita, non una

vera e propria regola.

Il sogno di Innocenzo III, afresco (1297 -99) di Giotto: il pontefice sogna S. Francesco che sostiene la chiesa.

Innocenzo III pose le premesse per un recupero delle forze valdesi in seno alla chiesa.

Innocenzo, a differenza di

Lucio, preferisce recuperare il movimento attraverso

l'istituzionalizzazione dei tre ordini, che gli consente sia di vigilare su

di essi sia di stabilire i confini

entro cui sia lecita l'azione e al di fuori dei quali

si cada nell'eresia.

Concede agli Umiliati anche la

facoltà di predicare, ma

perché tale concessione non

appaia come rinuncia ad una prerogativa del

clero, ne vengono chiaramente

definiti i limiti: «Sarà vostra abitudine che

ogni domenica vi raduniate pèr ascoltare la

parola di Dio in 154

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un luogo adatto, dove uno o più

fratelli di provata fede e di

sperimentata religione. ..con

l'autorizzazione del vescovo diocesano propongano una parola di Dio, ammonendoli e

invitandoli a costumi onesti, in modo tale

che non parlino degli articoli di fede e dei

sacramenti della Chiesa».

La predicazione è ammessa,

dunque, ma solo in ambito

comunitario, su temi di carattere

etico e non teologico e

subordinata al preventivo assenso del

vescovo locale. Gli Umiliati, irregimentati in tal modo, continueranno a

sussistere ancora per tutto il XIII secolo, ma assisteremo alla progressiva clericalizzazione del movimento e, alla fine del '200, i primi due ordini si distaccheranno dal terzo, il quale, verso la

metà del '300, cesserà di esistere. Ed è un esito, questo, particolarmente significativo, se si pensa che ad estinguersi per prima sarà proprio quella componente ch'era stata all'origine del

movimento stesso.

A testimonianza del fermento religioso che anima la seconda metà del XII secolo, troviamo in Francia un'esperienza che è -

come si è detto - quasi parallela a quella italiana degli Umiliati.

L'opera di Valdo - Agli inizi degli anni '70 un ricco mercante di Lione, di nome Valdo o Valdesio - e non Pietro Valdo come si è

per troppo tempo erroneamente detto - suggestionato dalla Canzone di So Alessio o dal passo evangelico (M t 19, 21) in cui Cristo invita il giovane ricco a vendere tutto ciò che possiede e darlo ai poveri, affida le due figlie al monastero di Fontevraud, lascia alla moglie un terzo dei propri beni e distribuisce quanto resta del suo patrimonio ai poveri, così da potere «seguire nudo

il Cristo nudo». Una scelta, questa, che non avrebbe nulla di particolarmente innovativo se non fosse accompagnata dalla

ferma decisione di affiancarsi al clero nell'apostolato e nella lotta contro gli eretici attraverso l'adozione di un modello di vita

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evangelico, di cui la povertà è componente essenziale, stimolo ai laici e atta a confondere i dissidenti.

Ma, sembra, all'origine della conversione di Valdo non è tanto l'anelito alla povertà ne ciò che costituisce la vera, grande novità della «rivoluzione antropologica» di Francesco - tifarsi povero e restare uomo - quanto il desiderio di approccio immediato alla

Scrittura e la volontà d'interpretarla e propagarla. Per questa sua missione di predicazione Valdo si farà infatti tradurre in volgare i Vangeli e altri brani biblici e dei padri della Chiesa e nel 1178-79

si recherà a Roma, al fine di ottenere l'approvazione del suo proposito di vita ma soprattutto l'autorizzazione a predicare. Qui egli ed i suoi compagni vengono esaminati da un prelato della

curia, l'inglese Walter Map, che ne ridicolizza l'assoluta impreparazione teologica ma resta ad un tempo colpito dalla genuina aspirazione ad una vita evangelica e dalla povertà vissuta nelle sue forme più crude. Tanto che Valdo ritorna a

Lione con il consenso orale di Alessandro III al la predicazione, sia pure a patto che gli argomenti trattati tocchino soltanto temi

morali e non teologici e dietro previa autorizzazione del clero locale.

Il viaggio a Roma aveva consentito a Valdo ed ai suoi, ormai conosciuti come «Poveri di Lione», di non trovarsi preclusa in

assoluto la possibilità di predicare, loro laici, ad altri laici, come invece era avvenuto nello stesso anno per gli Umiliati. Ma l'ostilità del clero locale, unita all'indubbia difficoltà di non

coinvolgere tematiche teologiche nella predicazione, fecero sì che ciò che a Roma era stato tollerato, non lo fosse a Lione. E Valdo, che nel 1180 s'era assoggettato ad una professione di

fede, dalla quale risulta un'evidentissima ortossia, nella sinodo diocesana tenutasi alla presenza del legato papale, non intese soggiacere e disubbidì apertamente all'ordine d'espulsione e

scomunica che il vescovo lionese emanò nei suoi confronti nel 1182/83. Se ancora con Alessandro III Valdo ed i suoi si

distinguono dagli Umiliati perché è loro consentita una sia pur ridotta forma di predicazione, nel 1184 la Ad abolendam li

accomunerà quali eretici. Una condanna tuttavia che, come per gli Umiliati, non serve ad inibire ne il fondatore ne i suoi seguaci,

la cui presenza è testimoniata nel mezzogiorno francese, in Germania e in Italia, con caratteristiche e peculiarità

diversificate, a seconda della situazione politica, sociale, economica e religiosa in cui vengono a trovarsi. Infatti, mentre nella Francia del sud il loro sviluppo privilegia l'aspetto di lotta contro l'ere- sia catara e si organizzano centri di studio tesi a formare culturalmente i predicatori, nell'ltalia settentrionale il movimento assume caratteristiche tali da originare una vera e

propria scissione.

La presenza degli Umiliati dovette esercitare un indubbio influsso sui Valdesi italiani, i quali si differenziano dai gruppi più vicini all'iniziatore per il diverso concetto di povertà ed il diverso atteggiamento nei confronti del lavoro. Mentre infatti in Italia il

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lavoro è concepito sia come forma penitenziale sia come mezzo irrinunciabile di sostentamento e di aiuto per i poveri, in Valdo prevale una diffidenza di fondo nei suoi confronti e viene visto

soltanto come pericoloso strumento di arricchimento. Una divergenza sostanziale, che nel 1205 determinerà una

spaccatura all'interno del movimento e la nascita dell'ala italiana che, in contrapposizione a quella lionese, sarà detta dei “Poveri

Lombardi”.

L'azione di Valdo, tutta tesa alla costante ricerca di un ritorno in seno alla Chiesa cattolica e a mantenere unito il movimento,

conosceva ora l'amaro sapore del fallimento ed il fondatore scomparve, non sappiamo dove, poco tempo dopo la scissione lombarda. Il movimento valdese, senza più Valdo, si disperde in rivoli che sempre più si diversificano tra loro, dando l'abbrivio al

sorgere di estremismi e radicalismi che non erano affatto presenti nel primitivo disegno del mercante lionese. E diventa difficile, anche per lo storico, cogliere nella loro reale valenza tutta una serie di «errori. attribuiti genericamente ai Valdesi e che devono essere considerati propri soltanto di alcune ali più

radicali ed in parte patrimonio comune di frange disparate e non necessariamente a matrice valdese. Alcuni di questi «errori.,

come il rifiuto della gerarchia ecclesiastica, l'inutilità della preghiere per i defunti, il disprezzo per le chiese ed i luoghi di

culto in genere, sono tematiche che abbiamo già trovato in Pietro di Bruis e negli eretici dell'inizio del secolo XII. Sembrano

invece di segno valdese, anche se estremizzate da una consequenzialità esasperata, la rivendicazione ai laici del ruolo sacramentale, patrimonio esclusivo del clero, e la restrizione a

tre soli sacramenti: battesimo, confessione, ed eucarestia, altrimenti nota sotto il nome di «Cena valdese».

A fronte di queste posizioni permane vivo ciò che è stato definito il dato più importante del Valdismo, cioè «una nuova

coscienza dei laici, uomini e donne, di essere parte attiva - con la predicazione e l'attuazione dei consigli evangelici come fossero

precetti - nella chiesa e nell'esperienza religiosa di salvezza; mantenendo, peraltro, buoni rapporti con i sacerdoti degni,

frequentando i loro sacramenti, aiutandoli nelle dispute pubbliche contro i Catari, ma rifiutando decisamente quelli corrotti» (Paolini). Ed è il persistere di questa componente, nonostante il radicalizzarsi di talune posizioni, che spiega la

nascita dei «Poveri Cattolici».

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Popolano, ebreo e agiato cavaliere del XII secolo. Ricostruzione fantasiosa da una stampa tedesca del secolo scorso.

Durando di Osca - Nel 1207 il Valdese Durando di Osca o Huesca, a seguito d'una disputa dottrinale, si dichiara convinto e

pronto a rientrare nei Tanghi cattolici, a condizione che gli sia consentito di poter ancora esercitare la propria missione di

apostolato contro gli eretici. Una richiesta analoga a quella degli Umiliati, che trova ancora un'adeguata risposta in Innocenzo III.

Questi infatti approva Durando ed i suoi «Poveri Cattolici» e pone le premesse per un recupero - anche se non totale - delle forze

valdesi in seno all'ortodossia; quel recupero ch'era stato al centro delle aspirazioni di Valdo.

Un primo successo di tale politica sembra aversi in Italia, dove un gruppo, capeggiato da Bernardo Primo, si allinea all'indirizzo

di Durando e nel 1210 viene riconosciuto sotto il nome di «Poveri Riconciliati". È pur vero che questi ultimi sembrano garantirsi

maggiormente la salvaguardia di alcune peculiarità valdesi, quali l'uso dei sabots, simbolo del proselitismo itinerante, o il diritto di

predicare e reclutare nuovi predicatori. Ma ben presto la loro esistenza e la loro ragion d'essere sembra vanificarsi e le funzioni di predicazione e di apostolato così strenuamente

rivendicate, diverranno patrimonio di due ordini nuovi, questi però nati e in un certo senso voluti dalla gerarchia: gli Ordini Mendicanti di Francesco e Domenico. E così, ben presto, dei Poveri Riconciliati di Bernardo Primo si perderà ogni traccia,

mentre i Poveri Cattolici di Durando nel 1256 saranno conglobati negli Eremiti Agostiniani. In realtà i Valdesi, unici tra i tanti

movimenti eterodossi del Medioevo, riusciranno a sopravvivere, soprattutto grazie all'isolamento delle valli alpine e nonostante le numerose persecuzioni di cui saranno oggetto a partire dal '300.

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L 'adesione, nel 1532, alla Riforma protestante, il definitivo rientro in Italia - il «Glorioso Rimpatrio» - del 1688,

l'equiparazione nei diritti civili concessa nel 1848 da Carlo Alberto, hanno portato alla configurazione dell'attuale Chiesa

Valdese e alle sue numerose attività socio-culturali, in collaborazione con la Federazione delle Chiese Evangeliche. Ma

Umiliati e Valdesi non sono gli unici eretici ricordati dalla decretale di Lucio III de11184. In essa infatti, accanto a loro ed ai Catari, troviamo tacciati d'eresia altri gruppi, quali i Passaggini, i Giuseppini o Iosefini, gli Arnaldisti, e sappiamo esser presenti in Italia anche gli Speronisti, così detti dal nome del loro iniziatore, Ugo Speroni. Se si escludono i Catari, anche questi movimenti si

possono legittimamente far rientrare, per quel poco che ne sappiamo, nell'ambito del letteralismo evangelico che

caratterizza la seconda metà del millecento. I Giuseppini sembra praticassero il “matrimonio spirituale” o “non consumato”, sul modello di quello di Giuseppe e Maria. I Passaggini altro non fanno - parrebbe - che sostenere la necessità di trasferire lo stesso letteralismo impiegato nell'interpretazione evangelica anche al Vecchio Testamento, così da giungere a praticare la

circoncisione e tanto da essere apparsi a taluni come un movimento neogiudaizzante. Ed infine il civilista Ugo Speroni, che con i suoi è presente soprattutto a Piacenza verso i11185,

nella sua stringente critica della funzione e della ragion d'essere della gerarchia ecclesiastica, si muove lungo binari analoghi a

quelli, non tanto di Arnaldo, quanto degli Arnaldisti, di quei supposti successori del Bresciano che - stando alle fonti -

portarono alle estreme conseguenze posizioni che in Arnaldo eran forse soltanto accennate. Sono, questi, movimenti di scarso

rilievo nella panoramica, ereticale del XII secolo e sui quali soprattutto troppo incerte e frammentarie sono le fonti in nostro possesso per permettere di poterne valutare la reale incidenza

sulla società coeva. Le cose sono, invece, ben diverse per quanto riguarda i Catari.

GLI UMILIATI NELLA CRONACA ANONIMA DI LAON: In Lombardia vi erano diversi cittadini che pur restando in seno alla loro

famiglia e nella loro casa, avevano scelto un particolare modo di vivere religioso basato sull’astensione da menzogne, giuramenti e liti, sul

portare un abito semplice e sulla lotta per la fede cattolica. Costoro si rivolsero al papa e chiesero che il loro proposito venisse approvato. Il

papa consentì loro di fare ogni cosa in umiltà e onestà, ma fu categorico nel vietare loro di fare riunioni nascoste o di azzardarsi a predicare

pubblicamente. Ma essi disprezzarono il mandato apostolico, e resisi disubbidienti, furono per questa ragione scomunicati. Costoro si

denominarono Umiliati per il fatto che non vestivano abiti colorato, ma preferivano una veste semplice.....

GLI UMILIATI NELL'IMMAGINAZIONE ORMAI “ISTITUZIONALIZZATA” DI UMBERTO DI ROMANS - In Italia esiste un

ordine religioso dotato di singolari peculiarità: annovera nello stesso convento,

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tenendoli divisi, sia donne sia uomini laici dotati di buoni sentimenti e disposti a lavorare.

E tali case sono ben ordinate. Vi sono infatti alcuni chierici, appartenenti allo stesso ordine religioso, che recitano l'ufficio in una cappella. Mentre i laici: uomini e

donne, recitano preghiere particolari secondo le forme proprie dei laici.

Tutti obbediscono ad un solo superiore, vivono in comune e non possiedono in proprio; hanno statuti a cui si adeguano di buon animo e con .sentimento religioso

e raramente escono dalle case o se ne vanno per il mondo; siffatti religiosi sono detti Umiliati. È noto che vi sono religiosi dotati di notevoli proprietà e rendite,

mentre ve ne sono altri che, non possedendo nulla, vivono soltanto di elemosina. Costoro invece, in analogia a quanto avveniva nella Chiesa primitiva, vivono del

proprio lavoro. Non possiedono infatti nulla, se non poche cose, ma sia uomini sia donne vivono del loro lavoro, che viene esercitato prevalentemente nell'industria

dei panni, fanno elemosine e sovvengono ai bisogni dei religiosi poveri. Inoltre manifestano grande umiltà nei confronti di coloro che incontrano per strada e

fanno loro un inchino : accogliendo devotamente i religiosi e le altre persone di pari dignità, genuflettendosi e baciando loro le mani, come recita: quel passo della prima lettera di Pietro: «Ispiratevi umiltà l'un con l'altro». E per questa ragione

vengono: ingiustamente chiamati Umiliati, dal momento che conducono una vita di umili lavoratori.

VALDO E VALDESI NELLA DESCRIZIONE DI STEFANO DI BOURBON - C'era in quella città [Lione] un uomo benestante, di nome Valdesio, che avendo

ascoltato spesso la lettura del Vangelo, desiderava comprenderne esattamente il significato. Essendo ben poco istruito si accordò con due uomini di chiesa

perché uno provvedesse a tradurre in volgare e l'altro scrivesse: quanto il primo dettava. E così fecero anche per molti libri del Vecchio Testamento e per brani dei santi Padri, che essi ordinarono per argomento e chiamarono sentenze. La

continua lettura di questi testi, da lui imparati a memoria, spinse questo cittadino al proposito di osservare la perfezione evangelica alla maniera degli

apostoli, per cui venduto ogni suo bene, in disprezzo del mondo profuse il ricavato ai poveri e usurpò l'ufficio stesso degli apostoli.... per le strade e per le

piazze, recitando quei brani che aveva imparato a memoria, e raccolse attorno a sé numerosi uomini e donne perché facessero altrettanto, insegnando loro il

testo dei Vangeli e mandandoli in giro a predicare nei villaggi vicini, nonostante esercitassero i mestieri più spregevoli. E costoro, uomini e donne. ignoranti e

privi di cultura, spostandosi da un paese all'altro e visitando le case e predicando nelle piazze e addirittura nelle chiese incitavano gli altri a far lo

stesso. Dal momento che per la loro sconsiderata ignoranza diffondevano nel territorio numerosi errori e davano scandalo, furono chiamati dall'arcivescovo di

Lione, ché si chiamava Giovanni, il quale inibì loro di intromettersi nelle Sacre Scritture illustrandole e predicando. Ma essi ricorsero alla risposta data dagli apostoli ed il loro maestro, sostituendosi nella carica a Pietro, con la stessa

risposta data ai principi dei sacerdoti disse «Più che agli uomini è a Dio che si

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deve obbedire», a Dio che ordinò agli apostoli: «Predicate il Vangelo a tutte le creature», come se il Signore avesse detto loro quanto aveva detto agli apostoli i quali, nonostante il mandato avuto, non presunsero di predicare fino a quando non furono illuminati dalla scienza più perfetta e piena e non ricevettero il dono

di tutte le lingue. E cosi costoro, Valdesio ed i suoi, si resero dapprima disubbidienti per la loro presunzione e per aver usurpato indegnamente le funzioni degli apostoli. e poi, resisi ostinati, furono colpiti dalla sentenza di

scomunica.

Scena di banca italiana. Lo sviluppo dei commerci favorì l'accumulo di capitali e, di conseguenza, la nascita degli istituti di credito. Unaltro segno, questo, dell'allontanamento

dall'evangelico labor di pura sopravvivenza.

WALTER MAP ESAMINA I VALDESI A ROMA NEL 1179 - Al concilio romano tenutosi sotto il pontificato di papa Alessandro III, vidi alcuni valdesi,

uomini semplici e illetterati, così chiamati dal nome del loro capo spirituale Valdes, che era cittadino di Lione sul Rodano. Costoro presentarono al pontefice un libro

scritto in francese che conteneva il testo con commento del libro dei salmi e di diversi altri libri del Vecchio e del Nuovo Testamento.

Con insistenza chiedevano che fosse loro concessa l’autorizzazione a predicare, pensando di essere esperti nel farlo, mentre erano si e no dei principianti. Deridevo

e mi stupivo che la loro richiesta venisse discussa o vi fossero dubbi in proposito. Venni poi chiamato da un prelato di alto rango, al quale il sommo pontefice aveva dato l’incarico di fare una relazione sulle confessioni. Mi misi in posizione come un bersaglio per le frecce. Convocati numerosi giuresperiti e saggi, vennero condotti a me due Valdesi, che nel loro gruppo sembravano quelli di maggiore autorità, ondo

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discutere con me sulla fede....

Il prelato mi ordinò di cimentarmi con loro ed io innanzitutto proposi delle domande facilissime, che nessuno può ignorare, ben sapendo che l’asino quando

mangia il cardo, poi disprezza la lattuga. “Credete in Dio padre?”; risposero: “Crediamo”. Allora proseguii: “Nella Madre di Cristo?”; ed essi allo stesso modo :

“crediamo”. E mentre venivano derisi con grida e schiamazzi dai presenti essi se ne andarono giustamente umiliati, perché, pur non facendosi istruire da nessuno,

pretendevano essere stimati come maestri, alla stessa stregua di Fetonte che non imparò neppure il nome dei suoi cavalli. Costoro non hanno una dimora fissa: se ne vanno girovagando a piedi a due a due, scalzi, con addosso indumenti di lana, senza

nulla possedere e mettendo tutto in comune come gli apostoli e seguendo nudi il Cristo nudo. Per ora si avvalgono di un atteggiamento conforme alla più grande umiltà, perché non sanno come attaccarci, ma se li facciamo entrare, costoro ci

butteranno fuori...

DALLA PROFESSIONE DI FEDE DI DURANDO DI HUESCA: Sia noto a tutti i fedeli che io, Durando di Huesca e Giovanni di Narbona ed Ermengaudo e Bernardo di Béziers e tutti i nostri

confratelli.... riteniamo che la predicazione sia necessaria e lodevole; tuttavia riteniamo anche che la si debba esercitare per ordine e con il

consenso del sommo pontefice e dei prelati. Ma dovunque vivono eretici noti come tali, che ripudiano e oltraggiano Dio e la fede della Santa

Chiesa di Roma, crediamo di doverli confondere disputando ed esortandoli in ogni modo e secondo la volontà di Dio, e di doverci

opporre loro a viso aperto, fino alla morte, in quanto avversari di Dio e della Chiesa.... E poiché siamo per la gran parte chierici e letterati, abbiamo deciso di dedicarci con zelo allo studio, all’esortazione,

all’insegna,mento e alla disputa contro tutte le dottrine erronee. Ma le dispute saranno presiedute da confratelli più dotti, confermati nella fede cattolica e istruiti nella legge del Signore... Pertanto noi, con il consiglio dei nostri fratelli, vi ordiniamo con lettera apostolica, una volta ottenuto dai fratelli un simile giuramento, di riconciliarli alla unità della Chiesa e

di dichiararli pubblicamente veri cattolici e fedeli, conservandoli, con precetti e altro, immuni da ogni scandalo e vergogna....

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PER UNA STORIA DELL'ERESIA MEDIEVALE (7)

GLI ERETICI "PERFETTI": I CATARI

Raniero Orioli - Medievalista - Redaz. Accademia dei Lincei

Portatore, a differenza di precedenti forme ereticali, di un’ideologia “Forte”, il Catarismo si presenta sul finire del XII secolo come movimento organicamente strutturato e dotato di una

propria gerarchia e liturgia, nonché in grado di rispondere a quelle esigenze di coerenza evangelica avvertite da tempo nell’Europa medievale. Ciò spiega il consenso riscosso dal

Catarismo presso la popolazione, in tutti i livelli sociali, e contemporaneamente la violenta reazione ispirata dalla Chiesa.

Rogo di u eretico. Da una miniatura del XV secolo. Nel 1167 a Saint Felix de Caraman, una località della Francia meridionale nei pressi di Tolosa, si diedero appuntamento i

maggiori esponenti dell'eresia catara. Scopo della riunione era l'organizzazione del movimento attraverso la creazione di nuovi

vescovi e la definizione dei confini territoriali dell'istituenda diocesi di Carcassona. Era presente «papa» Niquinta o Niceta

della chiesa di Dragovitza, proveniente dai Balcani o da Bisanzio. Un episodio, questo di St. Felix, che palesa l'esistenza, nella

seconda metà del XII secolo, di un'organizzazione strutturalmente definita, di rapporti e contatti con il

cristianesimo e le chiese orientali, ma soprattutto - al di là delle significative conseguenze che questo «concilio» avrà

nell'evoluzione dell'eresia - in stridente contrasto con il quasi assoluto silenzio delle fonti di parte cattolica.

In quel 1167, infatti, in Italia raggiungeva l'acme il contrasto tra i Comuni e il Barbarossa e nel nord si dava vita alla Lega

Lombarda e l'imperatore tedesco si vedeva costretto, a causa dell'epidemia dissenterica che aveva colpito il suo esercito alle porte di Roma, a ridimensionare la progettata aspirazione di far valere la propria supremazia sul papa e sui Comuni della ricca Lombardia. Le due massime autorità del modo occidentale - il

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Papato e l'Impero - erano dunque troppo indaffarate a tutelare i propri interessi per rendersi conto di quale pericolo si stesse diffondendo nella cristianità. A dire il vero sin da una ventina

d'anni prima il prevosto Evervino di Steinfeld aveva avvertito con preoccupata apprensione la presenza e la diffusione in Colonia di un gruppo particolare di eretici e ne aveva scritto a san Bernardo

di Clairvaux. Costoro - Evervino afferma -si ritengono i veri depositari dell'insegnamento di Cristo e gli unici legittimati a

chiamarsi suoi discepoli perché come Cristo e gli apostoli nulla possiedono; hanno una loro gerarchia; condannano il matrimonio

e si astengono da latticini e carne, da tutto ciò insomma che è originato da un rapporto sessuale; non hanno sacramenti tranne il battesimo, che impartiscono non con l'acqua ma imponendo le mani, e tranne l'eucarestia, che consiste nello spezzare il pane recitando il Pater, unica preghiera da essi ammessa. Non solo, ma il loro credo è tale che, condannati al rogo, sopportano il

martirio stoicamente e una loro giovane compagna, cui si voleva risparmiare tale fine, preferisce addirittura gettarsi

spontaneamente nelle fiamme piuttosto che rinnegare la propria fede.

Evervino, poi, riferendo che gli eretici coloniesi «affermano che la loro eresia è rimasta nascosta dal tempo dei martiri fino ai

nostri giorni in Grecia e in altre regioni» donde sarebbe trasmigrata in Germania, conferma quei legami con la chiesa orientale che la presenza di un «papa» Niceta a St Felix lascia intuire. Il prevosto tedesco, tuttavia, non coglie nei temi propri del movimento quella che ne è la peculiarità, l'adesione cioè ad

un dualismo di tipo mitigato, riconducibile ai Bogomili della Tracia e della Macedonia, ben diverso dal dualismo radicale che

a St Felix sarà predicato da Niceta e che, d'ispirazione chiaramente pauliciana, si affiancherà al primo e determinerà

non poco lo sviluppo e la storia dell'eresia occidentale.

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Il lavoro nei campi. Miniatura dal Theatrum Sanitatis, XV secolo

L’ideologia dei Bogomili - Ma chi erano i Bogomili e i Pauliciani? I primi

derivano il loro nome da Bogomil, un prete portavoce

del mondo contadino slavo

contro l'opprimente tirannide dello zar Pietro ( + 969). Per

Bogomil Dio è sovrano del mondo

invisibile e spirituale, mentre

sul mondo terreno e materiale regna

Satana «il principe di questo mondo». Questi, espulso dal

cielo per la sua ribellione, ottiene da Dio sette giorni, in cui riesce a dare

assetto alla materia e a dar vita all'uomo

che vuole suo schiavo; e questo

impero di Satana sul mondo si

perpetuerà mediante la lussuria

accesa nel primo uomo e nella sua

compagna. Da siffatta

concezione della materia, intesa

quale opera diabolica, derivano

diverse singolari tematiche, alcune

delle quali significativamente

coincidenti con quelle segnalate da

Evervino per gli eretici scoperti a

Colonia. Tra esse vi è quella del battesimo insegnato da Cristo, diverso da quello acqueo del Battista, considerato messaggero di

Satana; quella di Maria, angelo inviato da Dio per accogliere Cristo; l'interpretazione esclusivamente allegorica dei miracoli

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evangelici e del sacramento dell'eucarestia; il rifiuto della venerazione della croce, strumento della passione di Cristo; la

rigida condanna dei contatti sessuali e l'astensione dai cibi carnei o comunque originati dal coito. L 'unica preghiera

consentita è il Pater perché direttamente insegnata da Gesù e molteplici sono i riti iniziatici - dall'imposizione dei vangeli sul

capo dell'adepto alla finale imposizione delle mani - che permettono al fedele, liberato da ogni contatto con la materia, d'essere illuminato dallo Spirito Santo. Forte era nei Bogomili il disprezzo per la chiesa ufficiale, della quale condannavano la

ricchezza in stridente contrasto con la loro povertà, rifiutavano il riposo domenicale e la vita coniugale e tenevano in scarsa considerazione il lavoro, giudicandolo sintomo d'eccessivo

interesse per le necessità temporali.

Da questa esaltante autocoscienza e da questo disprezzo avrebbe potuto probabilmente sortire una carica d'odio sociale; il

presbitero Cosma, perlomeno, afferma che i Bogomili disprezzavano i ricchi ed esortavano i servi a ribellarsi ai padroni. Purtuttavia non possediamo testimonianze su veri e propri moti bogomili a sfondo sociale e l'affermazione di Cosma può essere

solo la spia di quel timore - nella storia ereticale sempre riaffiorante - di cui risulta pervasa la letteratura polemistica;

timore che farà accusare di sovvertimento sociale, d'incitamento al disordine, di attentato preordinato al potere legittimo da parte

di gruppi eterodossi o comunque «diversi», in tempi e luoghi differenti, dai lebbrosi agli Ebrei, dagli eretici alle streghe.

Nel 1096 i primi crociati avevano trovato numerose comunità bogomile tranquillamente stanziate in Macedonia e s'erano affrettati a massacrarle, rendendo un non piccolo servigio

all'imperatore Alessio, assai turbato dalla scoperta nella stessa Bisanzio di un fortissimo nucleo bogomilo. Nonostante i

massacri, i processi, le condanne, di Bogomili si continuerà a parlare fin dopo la metà del XII secolo, quando assisteremo al progressivo avvicinamento di essi ad un'altra antica corrente

ereticale, che per il pessimismo cosmogonico che la caratterizza, dovuto all'esasperazione di tematiche di deciso carattere dualistico, sembrava più adatta a spiegare e fornire un significato alle persecuzioni stesse: l'eresia pauliciana.

L’ideologia dei Pauliciani - Movimento etichettato come manicheo, derivante presumibilmente il nome da san Paolo, di

cui i fedeli si ritenevano eredi e discepoli, il Paulicianesimo, ricordato per la prima volta nel 702, già nel settimo secolo era

costituito da un gruppo ben definito, stanziatosi in Armenia e da qui scacciato sulle rive del Mar Nero. Caratterizzati dalla fama di

valorosi combattenti, i Pauliciani si erano trovati ad agire nel pieno della lotta iconoclastica; ben accetti dai Musulmani,

avevano combattuto con essi contro Bisanzio ! finche l'imperatore Basilio I ( + 886) non aveva inviato presso di loro, per intavolare trattative, il suo funzionario Pietro di Sicilia -cui

dobbiamo la testimonianza più ricca su questo movimento. Dopo

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varie vicende si erano finalmente stanziati in Tracia.

Se il vescovo armeno Giovanni di Ozun li accusa di essere adoratori del Sole e di praticare, per l'elezione del loro capo, il

rito nefando del passaggio di un neonato di mano in mano, fino alla morte del bimbo e alla nomina di colui nelle cui mani

l'infante è spirato - altro topos che ritroveremo frequentissimo nelle descrizioni dei barilotti ereticali e stregonici - da Pietro di

Sicilia apprendiamo invece che i Pauliciani avevano una perfetta conoscenza del Nuovo Testamento, mentre rifiutavano l'Antico,

le lettere di san Pietro e l' Apocalisse. Alla base del pensiero pauliciano è il concetto della compresenza di un Dio cattivo e di un Dio buono: il primo padrone del mondo, il secondo del futuro. Da qui la negazione dell'incarnazione di Cristo, natura angelica

scesa tra gli uomini passando attraverso Maria e assumendo solo in apparenza l'aspetto corporeo. Dall'odio per la materia nasceva

poi consequenzialmente il rifiuto dei sacramenti e il disprezzo per la croce, strumento di tortura dell'angelo inviato da Dio.

Anche se non ci sono pervenute particolari mitologie riconducibili al pensiero dei Pauliciani è indubbio che sia essi sia i

Bogomili esercitarono una notevole influenza sul pensiero eterodosso europeo. Ci troviamo, infatti, di fronte ad ideologie assai più organicamente strutturate di quelle dei movimenti

evangelici e pauperistici dell'XI secolo e della prima metà del XII. Ed è dalla influenza di siffatte ideologie, variamente combinate

tra loro ed arricchite di tematiche proprie del mondo occidentale, che nasce quell'eresia conosciuta come Catarismo, il cui nome si pensava derivare dal greco catharos = puro, e non è un caso Se la

maggior diffusione dell’eresia catara viene registrata nella Francia meridionale, nelle Fiandre, nella Germania e nell'Italia

centro-settentrionale, le zone più vive dal punto di vista culturale e dove con particolare sensibilità si avvertiva la discrepanza tra il dettato evangelico e la prassi comportamentale della gerarchia,

tra l'attivismo economico tutto teso all'accumulo e alla concentrazione della ricchezza e l'invito evangelico ad un

distacco da essa, La discrasia tra i due momenti veniva pertanto vissuta in modo lacerante e faceva sì che il dualismo - fosse esso

di tipo moderato come quello bogomilo o radicale come il pauliciano - si potesse proporre quale ideale chiave

interpretativa delle incongruità proprie della società. A questo aspetto significativo se ne aggiungeva un altro altrettanto

sintomatico e rispondente alle istanze culturali proprie dell'ambiente in cui vediamo maggiormente svilupparsi il

Catarismo: il rifiuto della quasi totalità del Vecchio Testamento quale espressione del Dio malvagio e del ribelle Satana e l'accettazione pressoché esclusiva del Nuovo erano scelte motivate e soprattutto sostanziate da una lettura e da una preparazione sui testi, tali da consentire ad un tempo sia di affrontare la gerarchia in aperto dibattito sia di fornire uno

strumento culturalmente appagante e rispondente alle aspettative delle masse e dei singoli.

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Un lebbroso e uno storpio, esempi delle folle di diseredati del Medioevo.

A favore di una rapida diffusione del Catarismo

v'erano ulteriori elementi etici e socio-politici: il disinteresse

per il mondo del lavoro e l'aperto disprezzo per le

ricchezze facevan sì che i Catari non aspirassero ad

assumere un ruolo egemone all'interno della società,

cosicché quello che spesso sarà bollato dalla Chiesa

come atteggiamento filoereticale delle classi dirigenti comunali era in

realtà solo un disinteresse per un fenomeno che non

mirava a sovvertimenti politici, I “buoni cristiani”,

com' eran chiamati ed amavano essere chiamati i Catari, non interferivano,

infatti, nella vita pubblica e a rendere ancor più appetibile il

Catarismo era anche la polifunzionalità di approccio e

di adesione che esso prevedeva.

Combattimento tra musulmani e cristiani sotto le mura di Costantinopoli. Le crociate favorirono il

diffondersi di eresie di matrice orientale.

Il più crudo ascetismo, fatto di disprezzo della ricchezza e di completa astensione dai rapporti sessuali, era infatti riservato ad

una strettissima minoranza; a tutti gli altri credentes veniva 168

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riconosciuto un ruolo di supporto ma non per questo di scarso valore, ed in tale ruolo eran perciò lasciati liberi di avere

famiglia, di lavorare e partecipare alla vita sociale senza che il loro credo interferisse. Una morale, quindi, quella catara, che

dava largo spazio e concedeva ampi margini di libertà ed azione senza impedire al credente di sentirsi parte attiva del processo

salvifico.

A tutti questi elementi che spiegano il successo del Catarismo se ne aggiungono altri due altrettanto essenziali e forieri di

conseguenze di notevole rilevanza esterna. Di uno di essi si è già avuto sentore ricordando il concilio di St Felix de Caraman,

l'esistenza cioè di una vera e propria gerarchia decisamente alternativa e contrapposta a quella cattolica; e strettamente

connessa a questa l'adozione di una liturgia e di una ritualità che rendevano i fedeli pienamente partecipi, sia pure a livelli e con

modalità differenziate.

La gerarchia - A capo di ogni chiesa stava il vescovo coadiuvato nelle sue funzioni da un «figlio maggiore» e un «figlio

minore»; costoro costituivano la dignità episcopale in forma collegiale in quanto, oltre a funzioni di carattere amministrativo, garantivano, con la consacrazione del vescovo, la successione e la continuità ai vertici della chiesa stessa. In caso infatti di morte

del vescovo, il figlio minore provvedeva alla consacrazione vescovile del figlio maggiore e questi, a sua volta, consacrava il

nuovo figlio minore eletto dalla comunità.

Anche se si è a lungo fantasticato sull'esistenza di un «papa» cataro, sappiamo che al di sopra del vescovo non esisteva

un'autorità atta a garantire il coordinamento delle varie chiese. E questo . fu sempre un motivo di debolezza per il Catarismo, sostanzialmente compatto nell'opposizione alla gerarchia

cattolica ma diviso, anche se non lacerato, da una pluralità di «chiese».

Accanto al vescovo e ai due figli troviamo poi i diaconi, che svolgevano quelle funzioni che in ambito cattolico sono proprie

del sacerdote o del parroco, ed i «perfetti». Erano, costoro, l'anima della chiesa catara. Inizialmente si distinguevano per un

abito particolare, che fu ben presto ridotto ad un semplice scapolare onde evitare il riconoscimento in tempo di

persecuzione. Essi costituivano il nucleo da cui venivano prescelti coloro che erano destinati alle più alte cariche ed erano

accompagnati da un alone di santità e di devota ammirazione dei loro fautori. Viaggiavano generalmente in coppia e tenevano le riunioni dei fedeli di notte, nella casa di qualche adepto. Qui davano corso alloro proselitismo contraddistinto da una vera e propria gradualità pedagogica: si partiva dall'esegesi letterale dei testi evangelici, con riferimento a quei precetti di valore morale che eran particolarmente sentiti ed accessibili alle

masse; si passava poi ad esaltare la necessità di dar vita ad una nuova chiesa, diversa e contrapposta a quella cattolica. Vi era infine un terzo momento, riservato a coloro ch'eran destinati a

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divenire perfetti» o quanto meno ad elevarsi ad un grado superiore di compromissione, in cui si introduceva il dualismo

con tutta la sua mitologia. Queste diversità di approccio tuttavia rappresentavano significativi momenti di un unico processo

ordinato ed ideologicamente coerente che si offriva come una rivelazione superiore e aggiunta al Nuovo Testamento, che ne

era perciò, anche ed insieme, il garante» (Manselli).

La ritualità - Per comprendere il significato di tutta una ritualità, diversa e contrapposta a quella ortodossa, occorre

ricordare che il Cataro, fosse egli dualista radicale o moderato, si sentiva gettato sulla terra per una colpa non sua, di cui però era partecipe e pagava di persona le conseguenze. Solo una visione

sostanzialmente negativa della realtà fenomenica della quotidianità può infatti spiegare la crudezza - o crudeltà - di certi

riti e l'ascetico rigorismo di certi precetti. Strettamente dipendente e connessa con una siffatta visione è senz'altro

l'astensione già ricordata dai cibi carnei, cui si affianca il digiuno attuato tre giorni alla settimana e per tre quaresime all'anno

(prima di Natale, di Pasqua e dopo Pentecoste). Venivano inoltre praticate la salutatio o abbraccio che credenti e perfetti si scambiavano incontrandosi, spesso accompagnato dal

melioramentum, vero e proprio omaggio che il credente rivolgeva con una riverenza o un inchino al perfetto; la frazione del pane, accompagnata dalla recita del Pater, dove al “dacci oggi il nostro pane quotidiano” si sostituiva l'espressione “dacci oggi il nostro

pane soprasostanziale”, con la quale s'intendeva non tanto rievocare l'Ultima Cena o procedere alla consacrazione del pane

stesso ma invocare sui presenti la luce della parola divina.

Ma ciò che sacralizzava il perfetto e lo rendeva colonna portante del Catarismo era il consolamentum, vera e propria

consacrazione sacerdotale. Esso era riservato ad un ristretto numero di eletti, mentre alla massa dei credenti veniva

generalmente impartito soltanto in punto di morte, quando cioè l'imminente dipartita garantiva, per così dire, l'impeccabilità del “consolato”. Altrimenti chi aspirava ad essere perfetto doveva

aver compiuto diciotto anni e per un periodo più o meno lungo - in genere un anno - veniva istruito per essere in grado di

predicare e di confrontarsi in dibattito coi cattolici. Terminato quest'apprendistato aveva luogo il vero e proprio rito di fronte alla comunità dei fedeli e alla presenza di almeno due perfetti,

con la consegna del Vangelo e la recita del Pater.

Il consolamento rappresentava tuttavia, nella perfezione, un momento di equilibrio instabile, suscettibile cioè di venire

compromesso dal minimo peccato. Di qui la necessità da una parte di reiterarlo ogni qualvolta la presenza di più perfetti lo

consentisse, dall'altra lo stretto legame con due altri riti conosciuti come martirium ed endura. Riservati entrambi

generalmente a coloro che venivano consolati in punto di morte, il primo consisteva nel soffocamento del morente, l'altro nel

digiuno totale fino alla morte per inedia. Entrambe le pratiche sottendevano una duplice motivazione: “la consapevolezza

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catara che solo nel dolore e nella morte poteva esserci la liberazione più completa, perfetta ed inmediata dal male” (Manselli) e la paura che un'eventuale guarigione potesse

indurre nuovamente al peccato.

Una pericolosa espansione - Al di là di ogni possibile considerazione d'ordine etico non v'è dubbio che un'ideologia capace di giungere a tali estremi, di dar vita ad un movimento

non più spontaneistico e velleitario ma organicamente strutturato e dotato di una propria gerarchia e liturgia, nonché in grado di rispondere a quelle esigenze di coerenza evangelica già presenti nell'XI secolo, rendono comprensibile l'ampio consenso da essa ottenuto presso un largo strato di popolazione e a tutti i

livelli sociali. E se ciò spiega il successo del Catarismo, di cui troveremo testimonianze ancora dopo quasi due secoli, spiega altresì la paura, per non dire la psicosi, con cui la Chiesa visse

l'esperienza catara tanto che cataro divenne progressivamente sinonimo per eccellenza di eretico: un fenomeno, quello cataro, che per il periodo compreso tra la seconda metà del mille cento

e la prima metà del milledue fu in costante e pericolosa espansione e destinato a colorarsi di tematiche che avrebbero

esorbitato dall'ambito religioso.

In Francia il concilio di St Felix altro non era stato che la punta di un iceberg di ben più ampie dimensioni. Alla metà del XII

secolo san Bernardo di Clairvaux, strenuo assertore dell'opportunità di perseguire il recupero degli eretici attraverso

la discussione ed il dibattito, riesce ad ottenere con la sua predicazione un discreto, seppur precario, successo ad Albi; ma

a Verfeil nessuno lo ascolta ed un eretico gli rinfaccia apertamente la grassezza del suo mulo. A sua volta, l'abate Enrico di Marcy, parlando di Tolosa, ne fornisce un quadro a

fosche tinte e preconizza che mancando gli opportuni interventi nella regione non vi sarebbe stato più alcun cattolico nel giro di

tre anni. Lo stesso vale per la città di Beziers, dove il signore locale, Ruggero Il Trencavel, con tutta la sua famiglia, risulta

fortemente compromesso; la moglie Adelaide tiene addirittura presso di sé Bernardo Raymond, consacrato a St Felix vescovo cataro di Tolosa, e Raimondo di Barniac, uno dei saggi cui era

stato affidato il compito, sempre nel concilio di St. Felix, di definire i confini dell ' erigenda diocesi catara di Carcassona.

Costoro, grazie ad un salvacondotto, possono recarsi a Tolosa; dibattere pubblicamente con Enrico di Marcy e ritornarsene incolumi presso Adelaide, senza aver peraltro rinunciato ad

alcuna loro posizione dogmatica.

La situazione si stava deteriorando anche perché le adesioni, come ci dimostrano Ruggero Il e Adelaide, non si limitavano ai

bassi ceti ma toccavano anche la nobiltà locale, tanto che il conte di Tolosa, Raimondo V, si vide costretto a richiedere contro

i Catari l'aiuto del cognato Luigi VII di Francia e di Enrico II Plantageneto re d'Inghilterra. Ma ancora per tutta la seconda

metà del XII secolo la gerarchia ortodossa sembra non dare gran

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peso a questa realtà e comunque preferisce un'azione di apostolato a qualcosa di più efficacemente incisivo.

La crociata albigese - La svolta vera e propria la si avrà nel 1208 con l'assassinio del legato pontificio Pietro di Castelnau. Innocenzo III, che fino ad allora aveva preferito adottare una

linea morbida, fatta di missioni, d'interventi in ambito locale con la rimozione di quei prelati la cui azione risultava inefficace e la cui vita destava scandalo, adesso opta per un'azione risoluta e bandisce la crociata che prenderà il nome di albigese da Albi, anche se in questa città i Catari non eran più numerosi che altrove. Quella che nelle intenzioni del re di Francia Filippo Augusto doveva risolversi in una rapida - quaranta i giorni

preventivati - spedizione punitiva, si trasformò in una vera e propria guerra di conquista ad opera di Simone di Montfort e della nobiltà francese del Nord, favorendo per contrasto la

nascita del nazionalismo occitanico. Perché se vero era che molti signori locali non avevano nascosto le loro simpatie per l'eresia, ciò non significava necessariamente che tutta l'Occitania, colpita

dalla crociata, fosse catara.

La prima città ad essere conquistata fu Beziers e ancora sconvolge l'esultante trionfalismo con cui i legati pontifici

comunicano a Innocenzo III, conquistata la città, «poiché i nostri non guardarono a dignità o al sesso o all'età, in quasi ventimila

furono passati per le armi», mettendo così tragicamente in atto il consiglio del monaco Amalrico di Clairvaux : «Ammazzateli tutti,

Dio riconoscerà i suoi». La crociata, o meglio la conquista, si protrasse ben oltre la pace di Parigi del 1229 con la quale il

conte di Tolosa, Raimondo VII, s'impegnava a garantire la libera lotta all'eresia nei suoi territori per altro notevolmente

ridimensionati. L 'assedio di Montsegur del 1243, proclamato dopo l'assassinio ad Avignonet di due inquisitori domenicani e

del loro seguito, segnò la fine del Catarismo francese. Nella rocca si erano infatti rifugiati gli autori del complotto e la

resistenza che seppero opporre alle forze assedianti venne meno soltanto dopo quasi un anno. In quella occasione, guidati dal

vescovo cataro Bernard Marty, salirono sul rogo ben duecento persone e la località dell'esecuzione ancora oggi evoca il ricordo di quella tragica ed eroica testimonianza: Pratz dels crematz (prato

dei bruciati).

Il Catarismo non scomparve del tutto; in parte si salvò occultandosi e mimetizzandosi, in parte trasmigrò nell'Italia del

centro-nord, dove diverse e di diversa natura erano state le sorti dei Catari locali. Ma nella seconda metà del milleduecento

l'eresia sostanzialmente sopravvisse a se stessa, sia per una propria incapacità di rinnovamento sia soprattutto perché la

Chiesa cattolica, dopo un lungo periodo di tentennamenti alternati alla più cruda violenza, seppe dotarsi di strumenti che

le consentirono di confrontarsi con gli eretici sul piano ideologico e su quello comportamentale.

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DAGLI ATTI DEL CONCILIO DI ST. FELIX DE CARAMAN - Nell’anno dell’incarnazione del Signore 1167, nel mese di maggio, la chiesa di Tolosa ospitò papa Niquinta nel castello di St. Félix e lì si riunì gran numero di donne e uomini di quella chiesa e di

altre viciniori per ricevere il consolamentum e l’ordine episcopale da papa Niquinta, onde presiedere la chiesa di Francia; anche Sicardo Cellarius fu consolato e consacrato vescovo della chiesa di Albi; lo stesso dicasi per Marco che ricevette il

consolamentum e l’ordine episcopale per la chiesa di Lombardia; Bernard Raymond fu a sua volta consolato e consacrato vescovo di Tolosa; Giraldo Mercerius ricevette il consolamentum e l’ordine che lo rese vescovo della chiesa di Carcassona e lo stesso avvenne per Raimondo de Casalis che fu consolato e creato vescovo di Aran. Dopo ciò papa Niquinta disse: “mi avete sollecitato a parlarvi delle consuetudini delle chiese primitive, se erano moderate o rigide. Vi risponderò che le sette Chiese

d’Asia furono tra loro divise con confini ben definiti, ma nessuna agiva mai in contrapposizione alle altre. Ed anche le chiese di Romania, di Dragovitza, di Melenguia, di Bulgaria e di Dalmazia sono distinte e con confini ben definiti e nessuna agisce in

contrapposizione o a danno delle altre; e in tal modo sono in pace tra loro. Fate così anche voi.

Le rovine del castello di Monségur, luogo dell'estrema resistenza catara.

I LEGAMI TRA ORIENTE ED OCCIDENTE SONO COSI’ RIASSUNTI DAL DOMENICANO ANSELMO D’ALESSANDRIA - Si deve sapere che in Persia vi fu un tale chiamato Mani, che innanzitutto si domandò: “Se Dio esiste, da dove proviene il male? E se Dio non

esiste, donde arriva il bene?”. Da ciò derivò e stabilì l’esistenza di due principi.

Insegnò nelle regioni di Dragovitza, della Bulgaria e di Filadelfia, e tanto l’eresia prese piede che furono istituiti tre vescovi....

Successivamente alcuni greci si recarono in Bulgaria per ragioni commerciali, e ritornati i patria elessero anche lì un vescovo, indicato come vescovo dei greci. Dei francesi poi andarono a Costantinopoli per conquistare quella regione e trovarono questa setta e

moltiplicatisi elessero a loro volta un vescovo, detto vescovo dei latini. Più tardi, alcuni di Sclavonia, regione che viene detta anche Bosnia, andati a Costantinopoli per

commerciare, ritornati nella loro terra si diedero a predicare, e cresciuti in numero elessero un vescovo che è detto vescovo di Sclavonia o di Bosnia. Quei francesi che si

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erano recati a Costantinopoli, ritornati in patria e messisi a predicare e moltiplicatisi, elessero un vescovo detto vescovo di Francia. E poiché questi furono inizialmente

sedotti dai bulgari di Costantinopoli, in Francia sono conosciuti come eretici Bulgari. Lo stesso dicasi per i provenzali, che confinando coi francesi, uditane la predicazione ne furon sedotti e si moltiplicarono a tal punto da istituire quattro vescovi: a Carcassona,

ad Albi, a Tolosa e ad Angen.

UN ESEMPIO DI PREDICAZIONE CATARA - Il fattore iniquo di cui si parla nel Vangelo (Luca 16, 1-8) fu il diavolo che era stato messo a capo di tutti gli angeli, per raccogliere

le lodi e i salmi che gli angeli dovevano cantare a Dio. Ma egli, onde divenire simile all’Altissimo, congiurò con alcuni angeli, che mal sopportavano tali imposizioni. Ed ogni

giorno frodava sui tributi dicendo: “Quanto devi al mio padrone?”. “Cento misure di grano”. Ed egli: “Prendi nota del tuo impegno e registra ottanta” e così via. Ma

l’Altissimo se ne accorse e sostituitolo con Michele, lo rimosse dalla carica di fattore e lo cacciò dal cielo coi suoi complici. Allora il Diavolo bonificò la terra dalle acque e fabbricò

i corpi di due uomini ma non riuscendo, per trenta anni, ad infondere in loro la vita, si appellò alla misericordia dell’altissimo chiedendogli due angeli. Si fecero subito avanti due che in cuor loro ammiravano il Diavolo e pregarono l’Altissimo di lasciarli andare con lui, dicendo che sarebbero ritornati al più presto. Dio, sapendo del loro inganno,

disse:”Andate, ma fate attenzione a non addormentarvi, perché ciò facendo non potrete più ritornare e vi incamminereste nella via dell’oblio. Ma se dormirete io verrò

a voi tra seimila anni”. Vennero dunque e dormirono. Dimenticatisi del cielo furono rinchiusi nei corpi. Costoro sono Adamo ed Eva. Questi spiriti trasmigrarono nei corpi di

Enoc, Noè, Abramo e di tutti i patriarchi e profeti, e mai riuscirono a trovare la salvezza.....

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