CONCORSO D’IDEE PER LA RIQUALIFICAZIONE E SVILUPPO … · olivina, ortopirosseno e...
Transcript of CONCORSO D’IDEE PER LA RIQUALIFICAZIONE E SVILUPPO … · olivina, ortopirosseno e...
CODICE 0123VALE
CONCORSO D’IDEE PER LA RIQUALIFICAZIONE E SVILUPPO DEL SITO MINERARIO DI BALANGERO E CORIO
RELAZIONE ILLUSTRATIVA
1
SOMMARIO
1. ALCUNE PREMESSE
2. LE ANALISI
2.1 LA GEOLOGIA GENERALE
2.2 ELEMENTI GEOLOGICI LOCALI
2.3 L’IPOTESI DI BONIFICA
2.4 L’AMIANTO - ASPETTI SANITARI - IL PRINCIPIO DI PRECAUZIONE
2.5 LE QUESTIONI SOCIALI
2.6 LA PIANIFICAZIONE TERRITORIALE E URBANISTICA
2.7 L’AMBIENTE FLORO-FAUNISTICO
3. GLI SCENARI
3.1 IL PRIMO SCENARIO: “OPZIONE ZERO”
3.2 IL SECONDO SCENARIO: “LA CITTADELLA TERZIARIA”
3.3 IL TERZO SCENARIO: “LA FONTE ENERGETICA DI BALANGERO”
3.4 L’ANALISI MULTICRITERIALE
3.5 L’UNICO SCENARIO SOSTENIBILE
4. LE PROPOSTE PROGETTUALI
4.1 LA FONTE ENERGETICA
4.2 L’ATTREZZATURA DELL’AREA
4.3 L’ARCHIVIO DELLA MEMORIA E DELLA MINIERA
5. I COSTI E I BENEFICI, LA MANUTENZIONE E LA GESTIONE, I FINANZIAMENTI
6. IL COMMIATO
*****
1. ALCUNE PREMESSE
prima premessa - sulle potenzialità naturali
dell’area
Non sarà necessario scomodare Empedocle:
fuoco, acqua, terra, aria, elementi primordiali,
“radici” come le chiamava lui, sono qui tutti.
Lo scenario è solenne, particolarmente
nell’anfiteatro che circonda il bacino d’acqua: la
scalinata dei giganti.
Solenne come le piramidi di Giza e Saqqara, alla
rovescia, e terribile come i gironi dell’inferno
dantesco.
L’impressione è drammatica.
E la bellezza dei luoghi e dell’intorno emoziona e
commuove: dalla corona delle Alpi alla piana del
Po.
In fondo è Torino, e, più in fondo, i colli di
Superga.
seconda premessa - sulla scala del concorso
Le analisi e le proposte progettuali che seguono
hanno la scala della “fattibilità”: non hanno perciò
in alcun modo la presunzione di essere “progetto”,
ma soltanto l’espressione di idee, in coerenza con
il bando.
terza premessa - sulla sostenibilità delle
proposte
È diffusamente ribadita nel bando la condizione
preliminare e ineludibile della sostenibilità
dell’intervento: sostenibilità paesaggistico-
ambientale, sostenibilità economica, sostenibilità
etico-sociale. Per garantire ciascuna delle tre
fattibilità, sono state valutate tre alternative,
descritte più oltre con scenari.
quarta premessa - sul metodo
Diceva Giovanni Astengo, sintetizzando le fasi del
metodo scientifico: “conoscere, comprendere,
giudicare, intervenire”. Il metodo scientifico
dev’essere applicato anche al paesaggio.
Conoscere significa studiare il territorio e
2
l’ambiente. Comprendere significa cogliere le
connessioni fra uomo, ambiente e paesaggio.
Giudicare significa attribuire valori variabili, anche
in relazione allo stato di conservazione e di
degrado. Intervenire significa pianificare in modo
corretto.
2. LE ANALISI
2.1 LA GEOLOGIA GENERALE
La miniera a cielo aperto di San Vittore a
Balangero, coltivata sino al 1990, è una cava ad
anfiteatro impostata nelle serpentiniti ricche in
amianto dell’omonimo massiccio ultrabasico,
satellite nord-orientale del più ampio Massiccio di
Lanzo (figura 1). Esse sono costituite da peridotiti
parzialmente serpentinizzate, derivate dal
mantello litosferico situato in origine sotto il
margine continentale adriatico rappresentato in
questo settore delle Alpi occidentali dalla Zona
Sesia-Lanzo, elemento interno del sistema
tettonico austroalpino. Durante l’orogenesi alpina,
a partire dal Cretacico, la crosta continentale della
Zona Sesia-Lanzo, costituita da parascisti e
granitoidi, e il sottostante mantello litosferico sono
stati subdotti sino a profondità di 60-70 km,
subendo trasformazioni metamorfiche in facies
eclogitica, per poi risalire nel settore interno della
catena collisionale sino alla superficie.
Il massiccio ultrabasico di Balangero è costituito
da prevalenti serpentiniti antigoritiche, derivate
dall’alterazione idrotermale delle originarie
peridotiti, rocce ultrabasiche (povere in silice) a
olivina, ortopirosseno e clinopirosseno, nonché
dalla ricristallizzazione metamorfica alpina.
L’amianto (asbesto) è rappresentato dalla varietà
fibrosa (crisotilo) del serpentino e si concentra in
più generazioni di vene che tagliano l’ammasso
roccioso con orientazioni varie.
La cava di Balangero ha suscitato per decenni
elevato interesse geologico-mineralogico ed è
stata oggetto di ricerche scientifiche e tecniche, di
visite didattiche per gli studenti di Università e
Politecnici e di escursioni di congressi nazionali e
internazionali, sino alla tragica scoperta della
tossicità dell’amianto e alla chiusura dell’attività
estrattiva.
Di particolare interesse le numerose varietà
mineralogiche, alcune nuove, e la presenza di
processi di reazione metasomatica tra serpentiniti
e micascisti incassanti, con formazione di rocce
molto tenaci, ricche in silicati di calcio, dette
rodingiti. È uno dei siti al mondo in cui il fenomeno
si manifesta in modo particolarmente vistoso. figura 1
Carta schematica delle Alpi nord-occidentali: 1)Successioni sedimen-
tarie elvetiche ultra-elvetiche 2) Massicci cristallini elvetici (MB: Monte
Bianco, AR: Aiguilles Rouges); 3) Unità mesozoiche della Zona Penni-
dica, piemontesi, brianzonesi, vallesane; 4) Ricoprimento del Gran San
Bernardo; 5) Ricoprimenti del Monte Rosa (MR), Gran Paradiso (GP),
Dora-Maira (DM); 6) Ricoprimento Dent Blanche e Zona Sesia-Lanzo;
7) Alpi Meridionali.
Numeri cerchiati: affioramenti di rocce rodingitiche: (1) Polluce, (2) Roc-
ca di Verra, (3) Valtournan-che, (4) Givoletto nel Massiccio di Lanzo, (5)
Balangero
La figura 2 (Dal Piaz, 1969) mostra la
disposizione di queste rocce sul fronte di cava,
così come si presentavano alla fine degli anni 60’.
Vediamo il cuneo di micascisti glaucofanici e
gneiss albitici della Zona Sesia-Lanzo (ZS),
profondamente inserito nell’ ammasso
serpentinitico (Sp) e la zona di reazione (nero) al
3
loro contatto, spessa 1-2 m, formata da una fascia
di granatite beige-rosata, adiacente alla
serpentinite, e da una seconda fascia grigio-
verdognala, a grana finissima, costituita da un
feltro di pirosseno diopsidico. La trasformazione
rodingitica comporta un sensibile arricchimento in
calcio, generato verosimilmente dalla
serpentinizzazione della peridotite, e una totale
perdita degli alcali. figura 2
ZS = micascisti glaucofanici e gneiss albitici della Zona Sesia - Lanzo;
Sp = ammasso serpentinitico, Fascia di reazione (nero) al loro contatto,
spessa 1-2 m, formata da una fascia di granatite beige-rosata,
adiacente alla serpentinite, e da una seconda fascia grigio-verdognala,
a grana finissima, costituita da un feltro di pirosseno diopsidico.
2.2 GLI ELEMENTI GEOLOGICI LOCALI
Gli aspetti geologici locali che indirizzano e
condizionano l’utilizzo dell’area sono
essenzialmente tre:
a) stabilità delle scarpate delle discariche
b) analisi della sismicità dell’area
c) adeguamento sismico degli edifici in area.
Per quanto riguarda la stabilità delle scarpate
delle discariche si rileva che i pendii presentano
pendenze variabili da 25° a 35°; in prima analisi,
se si considera un angolo di attrito dei materiali di
risulta pari a 40-42° le scarpate risultano stabili.
I problemi di instabilità che si verificano sopra
tutto alla base delle scarpate sono dovuti
essenzialmente all’accumulo di materiale fine
nella parte basale della scarpata stessa. Tale
fenomeno è dovuto alla percolazione delle acque
di pioggia nel corpo di discarica con conseguente
trascinamento del fine verso la parte bassa della
scarpata.
Si dovrà quindi operare in modo da ridurre, per
quanto possibile, l’infiltrazione delle acque
meteoriche nel corpo delle discariche; non
essendo ipotizzabile una copertura impermeabile
con materiali sintetici, si consiglia di intervenire
con un “capping” costituito da terreno naturale
opportunamente inerbito e piantumato.
A riguardo della sismicità dell’area, i dati contenuti
nella pubblicazione "La microzonazione sismica",
Università di Roma "La Sapienza" Centro di
Ricerca C.E.R.I., 2004, indicano per la zona di
Balangero i seguenti tempi di ritorno (in anni):
MCS V VI VII Tr 35 350 3.000
L’area può quindi essere definita a bassa sismicità.
Ai sensi del DM 14 gennaio 2008 "Norme
Tecniche per le Costruzioni", il sottosuolo
roccioso della zona va classificato in Categoria A;
la zona dei due edifici “recuperabili” presenta
inclinazione inferiore ai 15°, per cui è classificata
in Categoria Topografica T1, la categoria
topografica porta al valore massimo del
coefficiente di amplificazione topografica S T=1.
I parametri sismici del sito possono essere
determinati tramite le sue coordinate che nel
sistema ED50 sono 45,288599 Nord 07,506687
Est.
Il parametro che maggiormente influenza l’ade-
guamento sismico è ag / g; nel caso specifico, per
un uso “tecnico” o per un eventuale uso museale
pubblico si ricavano i seguenti valori:
stato limite uso tecnico uso pubblico SLO 0,026 0,031 SLD 0,028 0,038 SLV 0,060 0,073
Nel caso dell’uso pubblico, l’aumento di spesa per
l’adeguamento sismico delle strutture sarebbe di
circa il 35% superiore a quello dell’uso tecnico.
Anche questo aspetto, oltre alla limitata fruibilità
dell’area, sconsiglia il recupero della ex palazzina.
2.3 L’IPOTESI DI BONIFICA
Il bando dà come fatta la bonifica del sito, in modo
4
necessario e sufficiente a neutralizzare ogni
pericolo, ogni insidia.
Ma non sarà facile, né indolore, dovendosi
procedere ad operazioni complesse e costose.
L’Ente pubblico, con l’aria che tira, non ha i mezzi,
o li avrà in tempi biblici: Stato, Regione, Provincia,
Comunità montana, Comuni di Balangero e Corio
hanno in questi anni assai più aspre
preoccupazioni e priorità.
È del tutto improbabile l’intervento privato, se non
con la formula della finanza di progetto di cui si
dirà nel Piano di Gestione.
Qualche conto sommario: bonificare
trecentocinquanta ettari, a duecento euro per
metro quadrato, costerebbe settecentomilioni di
euro, quasi millecinquecento vecchi miliardi: con
la legge 257/1992 lo Stato finanziava con appena
trenta miliardi dell’epoca l’accordo di programma
per il risanamento della miniera.
Cinquanta volte meno.
Sicché possono essere concentrate tutte le
risorse disponibili per interventi generali nello
stretto ambito ridotto che si propone di aprire ai
visitatori.
Si ritiene comunque opportuno valutare se i fondi
relativi al progetto “sistemazione statica
idrogeologica ed idraulica del lato settentrionale
del sito (lato Corio)”, pari a circa 5,3 Meuro, non
possano essere destinati alla sistemazione delle
scarpate così come proposta nel successivo
paragrafo 4.2.11
2.4 L’AMIANTO - ASPETTI SANITARI - IL
PRINCIPIO DI PRECAUZIONE
L’amianto è la principale causa del mesotelioma, il
tumore che colpisce i tessuti di rivestimento del
torace e dell’addome, e che solitamente conduce
a morte entro un anno dai primi sintomi; altra
malattia collegata all’amianto è l’asbestosi.
Nel 1898 Lucy Deane, ispettrice del lavoro in
Gran Bretagna, incluse la lavorazione dell’amianto
tra le quattro esposizioni lavorative a polveri;
lavorazioni poste sotto osservazione per la
pericolosità per la salute dei lavoratori (Deane,
1898).
Nel 1909 e nel 1910 si ebbero analoghe
segnalazioni da parte di altre ispettrici del lavoro
britanniche; le loro osservazioni, largamente
diffuse nel settore, non vennero confutate ma
semplicemente ignorate.
Nel 1906 in Francia un ispettore del lavoro
segnalò una cinquantina di morti tra le lavoratici
tessili dell’amianto; segnalazione ignorata
(Auribault, 1906).
Altre prove dei rischi dell’amianto per i lavoratori
furono evidenziate nel 1910 (Collis, 1911).
Già nel 1918 negli U.S.A. e in Canada le
compagnie di assicurazione avevano sufficienti
prove di patologie da amianto da rifiutare la
copertura assicurativa ai lavoratori del settore
(Hoffman, 1918).
In Sud Africa, nel 1928, alcuni studi evidenziarono
che il 66% di coloro che lavoravano in miniere di
amianto da oltre 20 anni era affetto da asbestosi.
Nel 1938 le autorità germaniche erano convinte
del nesso causa/effetto; nel 1943 il cancro da
amianto divenne una malattia professionale
indennizzabile.
Le prime normative sul controllo delle polveri di
amianto risalgono al 1931 e rimasero immutate
sino al 1969, quando vennero introdotte nuove
normative dalla Gran Bretagna, che tra il 1982 e il
1989 introdusse norme più restrittive, sia per i
produttori, sia per le industrie utilizzatrici
dell’amianto.
Nel 1998-1999 l’Unione Europea e la Francia
misero al bando l’amianto; si ebbe comunque un
ricorso da parte del Canada, grande produttore,
che venne respinto dal WTO nel 2001.
Poiché intercorre un periodo di latenza di 10-40 a
anni tra l’esposizione all’amianto e le malattie che
esso causa, non si può ad oggi valutare quali
saranno i danni reali nei prossimi 20-40 anni.
Si stima che nel periodo 2000-2035 vi saranno
nella UE circa 250.000 morti per mesotelioma,
5
che salgono a 400.000 considerando anche
l’asbestosi (Peto,1999).
In assenza di dati chiari e univoci si rende quindi
obbligatorio applicare il principio di precauzione,
limitando al massimo le possibili esposizioni.
2.5 LE QUESTIONE SOCIALI
un po’ di storia
La miniera di San Vittore sorge circa 30 Km a
N/W di Torino, all’imbocco delle Valli di Lanzo.
L’area si estende su un territorio di circa 4 Kmq
intorno al monte San Vittore. Il giacimento, situato
sulla dorsale che separa il comune di Corio da
quello di Balangero, è stato coltivato a cielo
aperto, creando un ampio anfiteatro a gradoni
sovrapposti alti 14 metri ciascuno. Nella miniera di
Balangero è stato estratto minerale di serpentino
a partire dagli anni ‘20 sino alla fine degli anni ’80;
l’elevata produzione annua aveva portato
l’Amiantifera di Balangero tra i primi produttori
mondiali di amianto.
sintesi storica
1907 scoperta del giacimento asfestifero
1918 Si costituisce la
“Società Anonima Cave di San Vittore
1951 La società si trasforma in
“Società Amiantifera Spa di Balangero”
1983 Cambia la proprietà
Inizia la fase di declino
1990 Dichiarazione di fallimento
1992 Legge n° 257 del 27.03.1992 “Norme per
la cessazione dell’impiego di amianto”.
I trent’anni di amministrazione dal 1950 al 1980
sono quelli di maggiore crescita, cambia inoltre il
sistema di coltivazione dal “glory hole” ai gradoni.
l’azienda e i lavoratori
L’azienda fu molto attenta a seguire le innovazioni
tecnologiche mirate a migliorare la produzione e
la competitività sul mercato. Il beneficio
economico derivante dall’attività estrattiva, ha
visto impegnati circa il 20% delle forze lavoro dei
comuni di Corio e Balangero, ma soprattutto ha
creato un generale stato di benessere tramite
l’indotto.
La cessazione dell’attività ha innescato quindi una
brusca versione di tendenza.
Oltre alla Società Amiantifera di Balangero, molte
altre aziende cessarono di essere operative,
ponendo in mobilità numerosi lavoratori.
Si registrarono flessioni anche nei settori tessile e
metalmeccanico.
Le aspettative della popolazione prevedono oggi
una fruizione limitata dell’area: non si ha piacere
che l’area venga “invasa “ dai turisti o curiosi.
Ci si augura vengano presto concluse le vertenze
relative alle malattie professionali da amianto e ai
compensi non ancora percepiti dai lavoratori.
Si ha il timore che l’area possa essere utilizzata
come discarica per manufatti di amianto.
Particolare attenzione si è rilevata rispetto ad un
pieno ed attento recupero ambientale della zona.
Ci si attende molto dalle energie alternative, nelle
loro diverse forme, che potranno fornire calore ed
elettricità a prezzi di favore per le comunità locali.
Pur essendo ancora vivo un certo senso di
riconoscenza nei confronti della cava, che aveva
portato il benessere della zona, ci si è resi conto
di aver perso il contatto con la natura e con la
terra e di doversi trascinare ora una pesante
eredità.
6
È molto sentita la pressante necessità di creare
nuovi posti di lavoro, in quanto la chiusura della
cava e di altre aziende metallurgiche locali sta
mettendo a dura prova l’economia della zona.
In questo senso viene attesa ed auspicata la
creazione di nuovi posti di lavoro legati alle
energie alternative, unico settore che attualmente
si trova in fase di sviluppo, la creazione del museo
e di un centro di ricerca avanzata.
le interviste
Sono state condotte alcune interviste con minatori
dell’Amiantifera e con altri cittadini di Balangero;
qui riprodotte per stralcio, così come sono state
registrate, errori compresi. Gli intervistati hanno
chiesto l’anonimato. È importante evidenziare in
quelle interviste alcune costanti:
� sui pericoli
”l’Amiantifera sta ammorbando l’aria con tutto
quel pulviscolo che si alza dalla discarica, sta
distruggendo la flora e la fauna locale, sta
danneggiando irrimediabilmente tutto quello
che di buono noi avevamo: il turismo e
l’agricoltura”, ”il totale stato di abbandono
della miniera è più pericoloso dell’attività
estrattiva stessa”; “nel 1986 il Ministro
Costante Degan scopre ufficialmente, nella
sua circolare del 10 luglio, che l’amianto fa
male”; ”e adesso mi trovo davanti una
Montagna nociva spero che si diano da fare a
fare questa bonifica mio padre mi dice io non
la vedo fare una bonifica perché tutti quei
soldi che devono stanziare vadino a finire tutti
in un altro posto”; “perché d’estate i turisti e i
villeggianti non venivano più per la polvere in
fandaglia e i rumori dei camion dello sterile”;
”questo giornalista descriveva addirittura i
minatori come dei cadaveri o comunque
condannati a morire in poco tempo”; ”che
l’amianto faccia male è certo e lo sappiamo
tutti, ma che sia descritto come fibra micidiale
è comunque un’esagerazione”; ”non lo sanno
che tutti i giorni che c’era il vento la nube si
alzava ancora oggi che la fabbrica è chiusa la
polvere esiste”; ”lo stesso direttore, pace
all’anima sua, lui che diceva che di polvere in
azienda non ce n’era, ma si poteva mangiare
per terra e che l’amianto non faceva male”;
”forestieri non venivano più a Corio, perché
c’era l’amianto”
� sul disinteresse di taluni apparati e della
stampa
”la Regione Piemonte aveva così risposto: “Si
declina ogni responsabilità, in quanto trattasi
di attività estrattiva di miniera, materia di
esclusiva competenza statale.”; “il Direttore
Generale dell’Igiene pubblica afferma che “il
rischio da amianto è un rischio socialmente
accettabile (i rappresentanti del Comune di
Corio presenti alla riunione si alzano e se ne
vanno)”; ”Donat-Cattin rassicura gli
amministratori locali che “la circolare Degan
era utile ma esagerata”; ”un giro di omertà”;
”al principio della nostra storica vicenda
dell’Amiantifera le nostre amministrazioni
locali erano abbastanza dalla nostra parte;
con il passare del tempo le nostre
amministrazioni locali si sono un po’
allontanate dal nostro problema”; ” con i
mass-media è guerra aperta; essi sono
innanzi tutto responsabili di aver creato un
allarme ingiustificato alla pericolosità
dell’amianto, senza peraltro conoscere a
fondo il problema; essi sono pagati da
qualcuno per compiere una simile operazione;
essi ascoltano solo una campana e non tutte
le voci a favore e contro; essi raccontano solo
ciò che fa loro comodo, seguendo preconcetti,
senza preoccuparsi invece di raccontare la
verità”; ”indagine epidemiologica mai
eseguita”; “l’Amiantifera Spa era per la
Parrocchia come il pozzo di san Patrizio”;
“mai una volta usciva un articolo a sfavore
dell’Amiantifera”; ”i rapporti di comunicazione
sui casi dell’Amiantifera sono sempre stati
pochi e di scarsa verità scrivevano solo quello
che faceva comodo a qualcuno”
7
� sul ruolo dei Sindacati
”il Sindacato...invece col passare degli anni
ha sempre fatto più interesse dei datori di
lavoro che ai lavoratori”; ”i sindacati ci hanno
messo il bastone nelle ruote”; ”un sindacalista
che a mio avviso, detto in parole semplici
venduto dopo aver comunicato con una certa
imposizione che reputo di stampo fascista o
fate quello che vi dico oppure il sindacato si
ritira abbandonando la lotta, pretendendo che
il giorno seguente riprendessimo l'attività
lavorativa”
� sul dramma della disoccupazione
”il 19 maggio 1991 per tutti indistintamente ci
è stato notificato il licenziamento”; “l’Amianto
che tutti l’hanno definito “morte” io non dico
che faccia bene ma non fa nemmeno male”;
“perché noi operai siamo stati derubati di
tutto sia dal lato economico sia sul piano della
dignità morale”; ”si sostiene, insomma, che
l’amianto non è pericoloso e non può fare
male perché la tecnologia avanzata protegge
le persone”
� sulle paure di usi pericolosi
”per fare una discarica di rifiuti tossici perché
un buco grande così non si trova in tutta
Europa”; ”barba Giuvanin detto Agnelli deve
collocare i suoi bidoni chimici e nucleare che
non sa dove metterli, perché nessuno li vuole,
allora vuole utilizzare questo buco unico in
Europa”; ”secondo me vedendo quello che ho
visto, potrei soltanto dire che siamo stati
abbandonati da tutti, Sindaci di Corio,
Balangero, Corpo delle Miniere, Sindacati, da
Roma e dalla popolazione; però la
popolazione non ha capito che era un gioco di
padroni, i nostri datori di lavoro perché i nostri
datori di lavoro, in collaborazione con governo
o la Fiat vogliono fare una discarica tossica,
nociva”
� sulle aspettative
”speriamo che facciano questa maledetta
bonifica”
� sulle emozioni e sulla sofferenza
”lo spettacolo diventa sempre più desolante,
sembra un campo di battaglia”; ”l’ingresso
dello stabilimento è subito disastroso,
l’entrata, la recinzione, viene subito tolta da
qualcuno in poche parole accesso a tutti; i
carabinieri di Lanzo non vengono, forse
hanno avuto qualche ordine dall’alto”;
”venendo a visitare la cava avrei voluto non
vedere quel flagello; [e poi, in modi e forma di
poesia, dolce e terribile] una volta qui si stava
insieme sotto l’ombra ed era piacevole vivere
quelle sere prima delle ultime fatiche del
giorno; adesso quel tempo è passato
abbandono e distruzione ho trovato rimane
solo più ricordo e amarezza e presentimento
che quella stagione non vivrà più”
conclusioni
tutti gli intervistati e, in particolar modo, i lavoratori
vedono l’intervento sul territorio innanzitutto come
un modo per tornare a lavorare; è interessante
anche sottolineare come il nuovo ambiente sia
immaginato in termini poetici e bucolici; piante,
fiori, sentieri tra i boschi; il riferimento ricostruttivo
è il territorio “com’era una volta”; probabilmente
non è mai stato così e quindi, anche in questo
caso, intervengono elementi distorti della
memoria; elemento dominante tutte le interviste è
la tristezza ed il rimpianto: la tristezza per aver
rivisto un luogo di lavoro, una volta tecnicamente
assai qualificato e perfettamente organizzato
(“con la tecnologia più avanzata al mondo”),
ridotto ad un cumulo di rovine; il rimpianto per
aver perduto il posto di lavoro, tanto importante da
minimizzare i pericoli.
2.6 LA PIANIFICAZIONE TERRITORIALE E
URBANISTICA
piano territoriale regionale
Il Piano Territoriale Regionale del 1997 individua,
descrive e analizza le principali componenti del
territorio regionale. Evidenziati due sistemi
fondamentali: quello territoriale e quello storico-
8
paesistico. L’ambito di Balangero ricade nel
“sistema del verde” regolato dall’articolo 8 delle
NdA. I contenuti dell’articolo medesimo sono
molto generici; la Relazione individua l’ex cava di
Balangero come “area ambientalmente critica” e
la disciplina con l’articolo 38 delle NdA. Le aree
critiche, oltre ad essere sottoposte alle specifiche
normative settoriali, potranno essere oggetto di
Progetto Territoriale Operativo. Le relative
prescrizioni costituiranno automaticamente
variante ai Prg comunali.
Le Nda del nuovo Piano Territoriale Regionale del
2008, all’allegato C - Tematiche settoriali di
rilevanza territoriale, riportano l’ambito
d’integrazione territoriale AIT 10 - Ciriè per il quale
si prevedono i seguenti indirizzi: produzione
integrata da fonti rinnovabili, specie idroelettrica e
da biomasse vegetali. Recupero della ex cava di
amianto di Balangero come campo fotovoltaico.
piano territoriale di coordinamento provinciale
Il nuovo Piano Territoriale di Coordinamento della
Provincia di Torino, adottato e trasmesso, indica
gli obiettivi e gli elementi fondamentali dello
sviluppo urbanistico provinciale, individuando le
nuove esigenze del territorio, con riferimento alla
salvaguardia, conservazione e valorizzazione
delle risorse territoriali.
Lo schema di Piano, individua circa cinquanta
obiettivi, riconducibili a cinque macro-categorie
trasversali di obiettivi generali, e declinabili in
strategie guida, che a loro volta trovano
esplicitazione concreta in una o più azioni per il
governo del territorio (indirizzi, direttive,
prescrizioni). Gli obiettivi che interessano l’ambito
di studio sono:
� Ob. 48: riqualificare e riutilizzare le aree
degradate per usi compatibili con il contesto e
con il tipo di bonifica;
� Ob. 49: produrre risorse minerarie solo in
aree ambientalmente idonee;
� Ob. 50: riqualificare le aree di cava dismesse.
Successivamente la struttura del sistema
obiettivi/strategie è stata ricomposta, operando
alcuni accorpamenti per rendere più agevole la
lettura sinottica del Piano. In tal modo gli obiettivi
sopra citati e la strategia/azione S74 “indirizzare i
PRG per la razionalizzazione dell’uso delle acque
e per il corretto uso del suolo” si accorpano nelle
strategie ST14 “promuovere politiche e azioni per
il risparmio energetico e un uso razionale delle
risorse naturali” e ST36 “attuare quanto previsto
dall’azione 10 del piano strategico provinciale per
la sostenibilità: definire linee guida finalizzate alla
verifica in fase programmatoria della compatibilità
ambientale/paesaggistica degli interventi relativi
alle infrastrutture”. Tali strategie si attuano nella
gestione del piano stesso con le specifiche norme
agli articoli 15 e 34 delle norme tecniche di
attuazione.
PRG del Comune di Balangero
Le NTdA del PRG (articolo 12) individuano
l’ambito di San Vittore e rinviano all’articolo 41 la
relativa disciplina, la quale a sua volta rinvia
sostanzialmente l’assetto dell’ambito agli
strumenti esecutivi (articolo 4.6). Qualche
indicazione generica viene dall’articolo 44.1,
relativo alle aree agricole di valore ambientale.
PRG del Comune di Corio
Analogamente, il PRG di Corio delimita l’ambito e
la disciplina con l’articolo 41 delle norme: finalità,
destinazioni e prescrizioni appaiono anche in
questo caso abbastanza generiche.
Come si vede, sia i piani territoriali sia i piani
urbanistici si limitano a dare direttive prescrizioni e
vincoli per i piani esecutivi subordinati.
2.7 L’AMBIENTE FLORO-FAUNISTICO
clima e bioclima
Complessivamente, l’area di studio è
caratterizzata climaticamente da:
1. precipitazioni relativamente abbondanti,
intorno a 1.300 mm annui, in particolare in
prossimità della displuviale e sul versante a
settentrione; il regime è equinoziale
medioprimaverile (massimo in maggio) con
minimo invernale più prolungato e profondo di
9
quello estivo;
2. temperatura relativamente mite, che decresce
all’aumentare dell’altimetria, con un valore
medio annuo che si aggira intorno ad 11°C
alle quote inferiori e 8°C a quelle superiori;
l’escursione termica annua si pone al limite
fra continentalità e oceanicità e nei mesi
invernali si possono verificare situazioni
d’inversione termica nella cintura altimetrica
inferiore;
3. possibili situazioni di deficit idrico per la
vegetazione, determinato in base al ritmo
medio di precipitazioni ed evapotraspirazione
(a sua volta quantificata in funzione della
temperatura) in luglio e, meno marcate, in
agosto;
4. ventosità tipica dell’imboccatura delle valli
chiuse e del loro intorno prossimale:
predominanza di calme interrotte da brezze di
valle e di monte, con episodi di favonio da
Ovest e Nord-Ovest in inverno e all’inizio della
primavera.
A scala più dettagliata, il sito può essere suddiviso
in più topoclimi, in funzione essenzialmente della
capacità dei versanti di ricevere energia solare;
capacità definita dalla loro assolazione (Bartorelli),
determinata dalla combinazione fra esposizione e
pendenza dei versanti stessi (oltre che
dall’orizzonte reale) e quantificata dal numero di
ore annue (hn) in cui il sole dovrebbe rimanere
immobile sulla normale del luogo per cedergli
l’energia che gli trasmette durante tutto l’anno; nei
luoghi orizzontali dell’area si ha un valore di circa
2.000 hn, che, fatto pari a 100 e con l’ausilio della
tabella sottoriportata (valida esclusivamente per le
coordinate locali), consente di risalire
all’assolazione dei vari versanti.
pendenza
esposizione 5° 15° 25° 35° 45° N 95 76 60 47 35
NE-NW 95 84 73 63 54 E-W 100 100 99 97 95
SE-SW 105 113 119 123 123 S 107 118 127 131 132
Poiché nell’area di studio prevalgono nettamente
le esposizioni calde ne deriva che i valori di
assolazione prevalenti sono compresi fra poco più
di 2.000 hn e poco meno di 2.650 hn.
In relazione al bioclima, inteso come interazione
fra il clima meteorologico e gli esseri viventi,
secondo le classificazioni di più frequente uso, il
sito è riconducibile:
1. in termini fitoclimatico-forestali al Castanetum
caldo senza siccità estiva (con un accenno
d’intonazione fredda sul versante di Corio),
corrispondente alla fascia basale (Bernetti);
2. in base alla metodologia di Thornthwaite al
primo mesotermico del clima umido (BB1’r
b3’), con una tendenza verso l’omonima
varietà del clima perumido (AB1’r b3’);
3. alla sottoregione ipomesaxerica tipo C di
Bagnouls e Gaussen;
4. ad una situazione di esalpicità umida, che
nello specifico si estende da poco oltre la
base del rilievo fino alla displuviale, secondo
la classificazione bioclimatica regionale.
vegetazione
Più che l’assetto attuale, frutto d’intenso
rimodellamento ad opera dell’uomo (e il
coniferamento è l’esempio più eclatante),
interessa quello potenziale, o climacico,
dipendente esclusivamente dai fattori naturali e
con questi in duraturo equilibrio; ciò significa far
riferimento ad un contesto vegetazionale di area
vasta, e in particolare a quello del piano collinare
(Ozenda), coincidente alla zona altimetrica
inferiore del piano montano, come definito nella
suddivisione proposta da Mondino per il territorio
regionale.
Su suoli acidi derivanti da substrati silicatici, come
nella zona di studio, la vegetazione potenziale
propria di questo piano è il querceto dominato
dalla rovere (Quercus petraea), con presenza di
roverella (Quercus pubescens) nelle facies
pedologiche più asciutte e nelle stazioni più calde
(ed anche tendenzialmente xeriche) e con una
risalita della farnia (Quercus robur) in presenza di
10
suoli freschi; accompagnano le querce il
castagno, il sorbo, la betulla, nelle stazioni
caratterizzate da maggior illuminamento, e il
frassino sui suoli più umidi; negli impluvi più stretti
e ombrosi, dove si ha ristagno di aria umida,
compaiono il tiglio e l’acero e sono anche possibili
stazioni abissali di faggio, in condizioni di buona e
ben distribuita piovosità e sopra tutto di
persistente ed elevata umidità atmosferica.
È questo un quadro molto semplificato, a livello
d’inquadramento generale (e quindi di concorso
d’idee) e limitato esclusivamente alla componente
arborea; in occasione di progettazione esecutiva
degli interventi il quadro dovrà essere oggetto di
dettagliato approfondimento, almeno fino al livello
di tipo forestale e di alleanza.
Nell’assetto attuale dell’ambito, il querceto
“naturale” è stato in gran parte sostituito dal
castagneto: è una sostituzione di chiara
derivazione antropica; nonostante la specie sia
indigena, l’attuale prevalenza del castagno è
dovuta all’opera dell’uomo, che nel corso dei
secoli ha via via attribuito a quest’albero capacità
più utili delle querce: è ben noto l’apporto
alimentare offerto dalle castagne nei secoli scorsi
a favore delle popolazioni delle zone collinari e
bassomontane; nell’ultimo cinquantennio il minor
interesse per il castagno sembra favorire un certo
recupero del rovere, di cui si osserva una buona
rinnovazione.
Nello specifico dell’area di studio l’assetto
vegetazionale attuale si discosta ancor più da
quello originario a causa delle superfici, di
significativa estensione, oggetto di
rimboschimento con conifere (in particolare pino
nero e pino strobo); il che ha incrementato ancor
più l’allontanamento da una situazione di a-
emerobia: se il castagneto è infatti meso-emerobo
i coniferamenti sono caratterizzati da meso-∝-eu-
emerobia.
La sostituzione querceto→castagneto ha portato
ad un progressivo impoverimento del quadro
floristico e all’alterazione delle caratteristiche
strutturali e compositive del paesaggio forestale
originario; tali variazioni appaiono ancor più
accentuate in corrispondenza dei coniferamenti,
pressoché privi di sottobosco e caratterizzati da
una diversa situazione humica rispetto al bosco di
latifoglie.
Se al concetto di vegetazione naturale potenziale,
equivalente allo stadio climax, si associa quello di
serie dinamica, si può dire che l’odierno
castagneto, o più esattamente querco-castaneto,
è, almeno nel contesto in cui è localizzata l’area di
studio, una facies regressiva (e antropica) della
serie del querceto acidofilo, in via peraltro di
avvicinamento alla situazione climacica se
persiste l’abbandono della castanicoltura.
fauna
L’impressione immediatamente coglibile, e sotto
un certo punto di vista inaspettata, in merito
all’assetto faunistico dell’area di studio (che è pur
sempre un sito minerario a connotazione
amiantifera) è di certo la presenza degli anatidi
nel “lago” presommitale.
In termini generali, e non può essere altrimenti, le
caratteristiche faunistiche del sito (e dell’intorno
prossimale) sono quelle delle zone in cui boschi,
prati (sia utilizzati, sia abbandonati) e incolti (fra
cui il “verde tecnico”) convivono a contatto
abbastanza ravvicinato con l’uomo.
Il che significa che vi si possano ritrovare sia
molte specie (sopra tutto uccelli) proprie della
cosiddetta “fauna urbana”, sia i selvatici, il cui
ambiente di vita è essenzialmente l’alternanza
bosco-prateria.
Un censimento faunistico, tanto specifico del sito
quanto dell’intorno ambientalmente affine, è in
quest’occasione fuori scala; tuttavia si possono
elencare fra i mammiferi il capriolo, la volpe, la
faina, il cinghiale, il ghiro e la lepre e, fra gli
uccelli, l’usignolo, il luì piccolo, lo scricciolo, il
picchio e il rampichino.
11
3. GLI SCENARI
Come già più sopra è accennato, sono qui
proposti tre scenari.
Per poter valutare con la massima possibile
obiettività la rispondenza a ciascuna delle tre
condizioni di fattibilità (paesaggistico-ambientale,
economico-gestionale, etico-sociale), diffusamen-
te imposte dal bando, si è adottato il metodo
dell’analisi multicriteriale, assumendo valori e pesi
coerenti con gli obiettivi di fattibilità.
I tre scenari sono i seguenti:
3.1 PRIMO SCENARIO: “OPZIONE ZERO”
Lasciare tutto com’è, senza attivare alcuna
operazione. Restano le criticità ambientali relative
alla cessata attività estrattiva. Lo sviluppo
economico e culturale è pari a zero.
Lasciare tutto com’è.
È una tentazione da scartare subito, poiché il
genius loci, che da qualche parte vigila sui destini
del sito, non ne vuole l’eutanasia; e neppure il
radicale risanamento, costosissimo accanimento
terapeutico.
Entrambi offendono le caratteristiche dell’ambito
e, sopra tutto, la memoria delle popolazioni.
3.2 SECONDO SCENARIO: “LA CITTADELLA
TERZIARIA”
Servizi di livello superiore sono diffusi nella valle,
da Ciriè a Lanzo: della cultura e dello svago, della
sanità, dell’assistenza, del commercio,
dell’istruzione superiore, della logistica connessa
al turismo.
La domanda di residenza appare più che
soddisfatta; sono segnalati episodi di abbandono
di taluni borghi circostanti, dove non c’è alcuna
insidia.
Poiché la strada provinciale e la ferrovia collegano
facilmente con Torino, dove c’è tutto e dove i
valligiani vanno frequentemente ad usufruire di
quei servizi, radicalmente competitivi con quelli
della valle, la sostenibilità economica di un
potenziamento locale dei servizi di livello
superiore non appare proponibile: è come dire
che la sostenibilità economica non è dimostrabile.
Il mercato potenziale della Valle, la domanda dei
residenti, non è in grado di sostenere l’offerta che
potrebbe venire da investimenti consistenti.
Ancor più improbabile è invertire la tendenza: mai
un torinese percorrerebbe cinquanta chilometri
per trovare, in un luogo a rischio, ciò che ha
comodamente sotto casa.
Ma c’è di più: se anche tutte le insidie e i pericoli
fossero rimossi, la memoria storica di sofferenza e
di morte impedirebbe l’uso turistico diffuso del
sito.
Al minimo, la paura di pericoli, reali o immaginari
che siano, impedisce all’immaginario collettivo la
frequentazione dell’ex miniera.
Percorsi lungo sentieri attrezzati? Per chi?
Portereste i vostri figli?
Quando fu fatto il sopralluogo obbligatorio, un
forte vento da nordovest sollevava la polvere di
superficie. Bardato con mascherina e calzari,
anche il più spensierato e coraggioso rifletteva
costantemente su cosa stesse respirando.
In queste condizioni l’utenza pubblica del sito,
ancorché bonificato, sarebbe assai problematica.
E il godimento del paesaggio, peraltro bellissimo,
non basta da solo a giustificare un ipotetico
recupero ad uso turistico.
I codici dei beni culturali (il primo, detto “Melandri”,
del 1999, e il secondo, del 2004, detto “Urbani”)
riprendono le definizioni di bellezze naturali già
nella legge 1497/1939: sono soggette a tutela “le
bellezze panoramiche considerate come quadri e
così pure quei punti di vista e di belvedere,
accessibili al pubblico, dei quali si gode lo
spettacolo di quelle bellezze”.
Quei concetti sono ribaditi dalla Convenzione
Europea sul paesaggio.
Come a dire che non è paesaggio quello che non
vede nessuno o che è visto da pochi. È come un
paesaggio che non c’è, un non paesaggio,
un’isola che non c’è, un’utopia.
12
Ben altri itinerari, assai meno insidiosi, più
accessibili e, alla fine, più piacevoli, sono
disponibili in prossimità di quei luoghi: c’è la
Mandria, c’è Venaria Reale, ancorché in riva
destra della Stura), c’è la Vauda, c’è la Serra.
In queste condizioni, la cittadella della cultura e
dello svago, della sanità, dell’assistenza, del
commercio, dell’istruzione superiore, della
logistica connessa al turismo e di episodi di
residenza, è a Balangero da scartare.
Se anche fosse realizzata la bonifica totale,
resterebbe la paura, diffusa non solo fra gli abitati
dell’intorno, ma anche in un ambito assai più
vasto.
3.3 TERZO SCENARIO: “LA FONTE ENER-
GETICA DI BALANGERO”
Riprendendo Empedocle, fuoco, acqua, terra,
aria, se non elementi primordiali sono qui radici,
segni forti della natura, generosi fornitori di
energia pulita a buon prezzo.
Di quegli elementi l’uomo, con i suoi bisogni, con
le sue aspirazioni e con il suo ingegno, deve
avere dominio; l’uomo deve adeguarsi alla natura
e assecondarla, sfruttandola con intelligenza; mai
opporvisi, a pena di disastro.
In tal modo le radici della natura diventano fonti
d’energia:
� il fuoco è sole e calore della terra
� l’acqua si lascia scomporre in idrogeno e
ossigeno
� la terra è suolo fertile
� l’aria è vento.
Si può facilmente ipotizzare una assai consistente
produzione di energia, utilizzando:
� l’energia solare;
� la geotermia a bassa entalpia (pozzi da
cento metri) o alta entalpia (pozzi molto
profondi);
� il vento, con impianti eolici poco
impattanti;
� batterie di celle a combustibile;
� le gallerie della miniera e le derivazioni
dal lago, per alimentare microcentrali
elettriche.
Costruiamo perciò una macchina ciclopica a
servizio della comunità, che fornisce energia a
basso costo, sfruttando le risorse della natura.
Tutte le risorse.
Alcune, sperimentate, in fase produttiva; altre, in
fase sperimentale; esempio unico in Italia.
3.4 L’ANALISI MULTICRITERIALE
L’analisi multicriteriale necessita per valutare il più
“fattibile” dei tre scenari proposti, individua le
modalità di valutazione, i valori e i giudizi, nel
modo che segue.
la valutazione
L’analisi multicriteriale ha utilizzato i seguenti
indici quali-quantitativi riferiti alla risposta
progettuale specifica di ogni alternativa in
relazione ai criteri:
valore della risposta progettuale
giudizio della risposta progettuale
0 nulla
1 bassa
2 media
3 alta
4 ottima
Lo sviluppo della matrice quantitativa è avvenuto
definendo in primo luogo il sistema dei pesi dei
singoli criteri; il metodo di assegnazione dei pesi è
stato effettuato attraverso una matrice che ha
pesato reciprocamente alcuni valori assegnati a
priori, normalizzando i pesi entro un range che va
da 0 a 1. I criteri valutativi sono stati pesati nel
seguente modo: CRITERI PESI valorizzazione del patrimonio 0,05 livello di sicurezza 0,05 benefici economici 0,15 benefici culturali 0,1 sostenibilità ambientale e paesaggistica 0,08 produttività energetica 0,2 competitività 0,1 valorizzazione della vocazione del territorio 0,02 sostenibilità sociale 0,1 durevolezza interventi 0,05 sostenibilità economico-gestionale 0,1
TOTALE 1
13
CRITERI IPOTESI ALTERNATIVE-INDICI CLASSIFICA
I II III PESI I II III 1 valorizzazione del patrimonio 1 3 3 0,05 0,05 0,15 0,15 2 livello di sicurezza 1 2 3 0,05 0,05 0,1 0,15 3 benefici economici 0 3 4 0,15 0 0,45 0,6 4 benefici culturali 0 3 3 0,1 0 0,3 0,3 5 sostenibilità ambientale e paesaggistica 1 2 4 0,08 0,08 0,16 0,32 6 produttività energetica 0 3 4 0,2 0 0,6 0,8 7 competitività 0 2 4 0,1 0 0,2 0,4 8 valorizzazione della vocazione del territorio 0 2 3 0,02 0 0,04 0,06 9 sostenibilità sociale 3 0 3 0,1 0,3 0 0,3 10 durevolezza interventi 0 3 3 0,05 0 0,15 0,15 11 sostenibilità economico-gestionale 0 3 3 0,1 0 0,3 0,3
totale 1 0,48 2,45 3,53
Il processo valutativo sin qui esposto porta a
concludere che la proposta progettuale, valutata
come quella a miglior performance, risulta essere
il terzo scenario, che totalizza un punteggio pari a
3,53, contro un valore di 2,45 per il secondo e di
un valore di 0,48 per il primo.
Si riportano di seguito le rappresentazioni dei
diagrammi di Kiviat relative alla valutazione delle
tre proposte progettuali, da cui emerge la maggior
estensione areale del terzo scenario che soddisfa
il maggior numero di criteri.
Primo scenario
0
0,05
0,1
0,15
0,2
0,25
0,3 valorizzazione del patrimonio
livello di sicurezza
benefici economici
benefici culturali
sostenibilità ambientale e paesaggistica
produttività energetica competitività
valorizzazione della vocazione del territorio
sostenibilità sociale
durevolezza interventi
sostenibilità economico-gestionale
Secondo scenario
0
0,1
0,2
0,3
0,4
0,5
0,6 valorizzazione del patrimonio
livello di sicurezza
benefici economici
benefici culturali
sostenibilità ambientale e paesaggistica
produttività energetica competitività
valorizzazione della vocazione del territorio
sostenibilità sociale
durevolezza interventi
sostenibilità economico-gestionale
14
Terzo scenario
0
0,1
0,2
0,3
0,4
0,5
0,6
0,7
0,8 valorizzazione del patrimonio
livello di sicurezza
benefici economici
benefici culturali
sostenibilità ambientale e paesaggistica
produttività energetica competitività
valorizzazione della vocazione del territorio
sostenibilità sociale
durevolezza interventi
sostenibilità economico-gestionale
3.5 L’UNICO SCENARIO SOSTENIBILE
Dall’analisi multicriteriale appare con tutta
evidenza che lo scenario più attendibile è il terzo:
la fonte energetica di Balongero.
Si accompagna ad esso un limitato uso turistico
didattico, limitato a percorsi protetti, come più oltre
si dirà.
4. LE PROPOSTE PROGETTUALI
4.1 LA FONTE ENERGETICA
È descritto nei paragrafi seguenti il complesso di
apparati che costituiscono “la fonte energetica:
4.1.1 generalità
4.1.2 fotovoltaico a concentrazione e
inseguimento
4.1.3 le celle e combustibile
4.1.4 gli elettrolizzatori
4.1.5 le batterie di celle
4.1.6 i moduli integrati
4.1.7 l’immagazzinamento dell’idrogeno
4.1.8 il confronto fra accumulatori energetici ed
elettrochimici
4.1.9 le considerazioni conclusive sull’apparato
4.1.10 la geotermia a bassa entalpia
4.1.11 la geotermia ad alta entalpia
4.1.12 l’eolico sistema Gullwing
4.1.1 GENERALITÀ
Il recupero dell’area ex-mineraria di Balangero
costituisce un’occasione per l’installazione di un
impianto di generazione energetica da fonti
rinnovabili ed ecocompatibili, basato su tecnologie
innovative e di rispetto ambientale, ossia dirette in
verso opposto rispetto a quelle che nei decenni
passati hanno portato alla grave alterazione del
sito.
Invece che un sistema basato su tecnologie
oramai consolidate, e oramai considerate
convenzionali, quali il fotovoltaico (PV)
monocristallino, policristallino, o a film sottile, si
propongono qui soluzioni più avanzate che sono
oggi oggetto di intenso sviluppo scientifico-
tecnologico e che potranno assumere grande
importanza energetica nel prossimo futuro.
Si tratta quindi di un’installazione pilota, costituita
da:
1) sistema di captazione fotovoltaica a
concentrazione ed inseguimento;
2) sistema di accumulo energetico in loco che
attui produzione, stoccaggio e utilizzo di
idrogeno mediante Regenerative Fuel Cell
System (RFC).
La scelta di questi sistemi scaturisce sia da
considerazioni climatico-radiative e
paesaggistiche del sito che dalla loro fortissima
scalabilità, che li rendono preferibili ai sistemi di
generazione da solare termico a concentrazione
ed ai sistemi eolici.
4.1.2 FOTOVOLTAICO A CONCENTRAZIONE E
INSEGUIMENTO
La particolare conformazione della cava mineraria
di Balangero attorno suggerisce di sviluppare, sui
versanti volti a mezzogiorno, un sistema
innovativo di impianti fotovoltaici ad inseguimento
e a concentrazione.
In particolare, il sito costituisce un’eccellente
opportunità per l’installazione di un impianto con
sistemi ad inseguimento, in quanto essi
prevengono il problema dell’ombreggiamento tra
le schiere di impianti, essendo queste
posizionabili sui versanti meridionali
Tramite un sistema ad inseguimento, l’energia
annua radiante incidente la superficie del sistema
15
è maggiore di circa il 30% rispetto ad un piano
fisso ottimamente orientato.
figura 1 captatore a concentrazione ed inseguimento
L’adozione dell’inseguimento solare si combina
vantaggiosamente con il fotovoltaico a
concentrazione (in inglese Concentrating
Photovoltaics - CPV), nel quale le celle in silicio
captano radiazione concentrata e quindi ad alta
intensità radiativa (figura 1).
A parità di potenza elettrica prodotta rispetto al PV
convenzionale, i sistemi CPV utilizzano una
quantità ridotta di materiale semiconduttore
concentrandovi la radiazione solare per mezzo di
specchi o lenti. In tal modo il materiale
semiconduttore, molto costoso, è sostituito con
materiali ottici, più economici.
Si realizza in tal modo lo sfruttamento ottimale del
materiale attivo delle celle.
A causa delle alte densità di potenza che incidono
sulla superficie della cella per effetto della
concentrazione, i CPV richiedono un adeguato
raffreddamento delle celle. Infatti l’efficienza delle
celle fotovoltaiche, per un dato rapporto di
concentrazione, dipende fortemente dalla
temperatura di lavoro e mantenendo le celle a
bassa temperatura (sotto i 25°C) si hanno
importanti vantaggi in termini di produzione
energetica annua. Inoltre evitando temperature di
funzionamento elevate si previene la riduzione
della vita delle celle.
Il CPV, come il resto dei sistemi fotovoltaici,
sfrutta una fonte rinnovabile per generare energia
elettrica ed è modulare e fortemente scalabile,
potendo essere dimensionato con potenze che
vanno da pochi chilowatt a parecchi megawatt.
Questa caratteristica concorre a preferirlo,
nell’ambito di questa proposta, ad altre soluzioni
più rigide in termini di dimensionamento, quale un
sistema di tipo solare termodinamico.
Inoltre il CPV richiede bassa manutenzione, può
essere installato con il minimo impatto
ambientale, a volte in configurazioni che
permettono un duplice utilizzo del terreno.
I sistemi CPV variano ampiamente a seconda del
tipo di celle utilizzate, del rapporto di
concentrazione, del tipo di ottica (rifrazione o
riflessione) e della geometria. Nella applicazione
considerata per il sito di Balangero si ritiene di
proporre sistemi ad alta concentrazione (con
rapporto di concentrazione superiore a 100x)
oppure sistemi a media concentrazione (con
rapporto di concentrazione tra 10 e 100x)
tralasciando i sistemi a bassa concentrazione. Nel
caso della media concentrazione si utilizzano
comunemente celle in silicio mentre nel caso di
alta concentrazione si possono utilizzare celle
multi giunzione III-V a base di arseniuro di gallio
(GaAs). Infatti, usando concentratori con rapporti
di concentrazione elevati (maggiori di 100), può
diventare conveniente utilizzare celle solari multi
giunzione che possono arrivare a convertire in
potenza elettrica oltre il 40% della potenza solare
incidente.
Le celle solari multi giunzione III-V sono utilizzate
da molto tempo in applicazioni spaziali e solo
recentemente si comincia ad utilizzarle per le
applicazioni terrestri, a causa dei costi elevati, che
però diventano accessibili in presenza di elevati
rapporti di concentrazione, grazie alla implicita
forte riduzione di superficie attiva necessaria. In
questo caso si parla di sistemi fotovoltaici ad alta
concentrazione (HCPV), che richiedono sistemi
ottici relativamente costosi e un sistema ad
16
inseguimento a doppio asse molto preciso ed un
sistema di raffreddamento particolarmente
efficace.
Sistemi PV convenzionali ad inseguimento su uno
o due assi sono ormai largamente disponibili.
Invece impianti a concentrazione CPV solo di
recente iniziano ad essere proposti a livello
commerciale.
A livello internazionale negli ultimi anni il numero
di aziende attive in questo settore è stato in
progressivo aumento e più recentemente anche
alcune aziende italiane stanno valutando con
interesse l’ingresso nel mercato del fotovoltaico a
concentrazione.
Ad oggi, gli impianti CPV sono installati perlopiù in
zone ad alto irraggiamento, come le regioni a
Sud-Est degli Stati Uniti. I sistemi CPV risultano
più convenienti per le regioni soleggiate con alti
valori di radiazione diretta, poiché utilizzano il
fascio diretto e non sono efficaci nel catturare la
luce diffusa. Il mancato utilizzo della radiazione
diffusa non gioca a favore dell’utilizzo di sistemi a
concentrazione in molti siti dell’Italia
settentrionale, anche se va detto che la perdita
della radiazione diffusa viene compensata dalle
più alte efficienze di cella e, in termini economici,
dai più bassi costi del kWh prodotto che si
potranno raggiungere con un mercato del CPV più
sviluppato.
Va anche detto che da questo punto di vista, nel
caso dell’area ex-mineraria di Balangero, gioca a
favore la collocazione collinare posta a circa 700
m slm. In tale area si possono facilmente sfruttare
i versanti esposti direttamente a mezzogiorno
nella zona a sudest dei fabbricati, adattissimi, per
uno sviluppo di 600 metri, per l’installazione di
sistemi fotovoltaici ad inseguimento e a
concentrazione. Ciascun sistema potrebbe avere
una potenza di 20-30 kW, arrivando ad una
potenza installata di oltre 1 MW.
Inoltre il sistema di raffreddamento attivo potrebbe
ottimamente giovarsi del bacino idrico al centro
della cava per mantenere la temperatura di lavoro
sotto i 25° C per tutto l’anno.
La convenienza economica dell’investimento su
un impianto CPV ad oggi è garantita dalla
presenza degli incentivi per sistemi solari a
concentrazione, specificamente previsti al Titolo
IV del DM 6/8/2010, che prevede tariffe
incentivanti a favore di persone giuridiche e i
soggetti pubblici.
A titolo indicativo, si riportano di seguito le tariffe
incentivanti per l’energia elettrica prodotta dagli
impianti a concentrazione che entrino in esercizio
entro al 31/12/2011.
Nel caso di un impianto di taglia inferiore ad 1
MW, la tariffa incentivante è pari a 0,32 Euro/kWh,
come si vede nella successiva tabella 1.
Intervallo di potenza ����
Tariffa corrispondente �������
A 1����� 0,37
B 200 ������ 0,32
C ������ 0,28
tabella 1 - tariffe incentivanti per gli impianti fotovoltaici a
concentrazione secondo DM 6/8/2010
4.1.3 LE CELLE A COMBUSTIBILE - REGENE-
RATIVE FUEL CELL SYSTEM (RFC)
Il fotovoltaico, come altri sistemi di generazione
elettrica innovativi quali l’eolico, è caratterizzato
dal disallineamento temporale tra la sua
generazione, che segue andamenti dipendenti da
fattori di tipo climatico-ambientali, e la domanda
da parte degli utenti, che segue profili fortemente
condizionati da fattori sociali.
La sola soluzione tradizionalmente praticabile a
costi ragionevoli a livello di grandi energie è
costituita da impianti di pompaggio in bacini in
quota per mezzo di centrali idroelettriche
reversibili, che ovviamente possono essere
realizzati solo in zone montane e presentano
comunque un forte impatto ambientale.
Il Regenerative Fuel Cell System (RFC) si
17
propone come sistema alternativo ed innovativo di
accumulo energetico, totalmente svincolato da
limitazioni geografiche.
Il sistema accoppiato [celle a combustibile ad
elettrolita polimerico (PEMFC)]-[elettrolizzatori
(EL)], comunemente denominato “Regenerative
Fuel Cell System” (RFC), permette di separare la
conversione di potenza dallo stoccaggio di
energia. In questo modo, ognuna delle funzioni
viene ottimizzata individualmente in termini di
prestazioni, costi e fattori di installazione. Il
sistema RFC diventa cosi un efficiente e potente
metodo per la conversione e lo stoccaggio
dell’energia elettrica prodotta a Balangero dal
dispositivo fotovoltaico in idrogeno e per il suo
riutilizzo come combustibile convenzionale o
come corrente elettrica.
I dispositivi RFCs si basano sull’idrogeno come
mezzo per lo stoccaggio dell’energia che viene
generato per elettrolisi dell’acqua. Il ciclo RFC
idrogeno-ossigeno costituisce il fiore all’occhiello
del progetto che si vuole realizzare a Balangero.
Per esempio se si ha bisogno di 5kW di potenza
per un dispositivo, è sufficiente disporre di una
fuel cell caratterizzata da questo rate di potenza
che sia posizionata vicino al dispositivo e che
riutilizzi l’idrogeno stoccato prodotto
dall’elettrolizzatore. L’Idrogeno così prodotto e
immagazzinato non è affetto dalla temperatura,
durata dello stoccaggio, numero di cicli del
processo e può essere riutilizzato in ogni
momento senza alcuna dispersione.
Quando attraverso i processi di elettrolisi si deve
caricare di idrogeno l’impianto, serve solo l’acqua
purificata, già abbondantemente presente
nell’invaso dell’amiantifera, e la potenza elettrica
generata dall’impianto fotovoltaico istallato nel sito
di Balangero.
Concettualmente il sistema RFC basato sul ciclo
dell’acqua è relativamente semplice.
Infatti esso presenta una performance elevata ed
è il sistema di “back up” più adatto per le
disparate applicazioni di larga potenza senza
peraltro influire minimamente sull’impatto
ambientale.
Si tratta di una tecnologia dell’idrogeno, che è
sfruttato come vettore energetico: esso viene
prodotto per elettrolisi dell’acqua nei periodi di
eccesso di produzione elettrica, accumulato, e
quindi utilizzato per generare energia elettrica nei
periodi di eccesso di domanda. Lo schema di
principio di un RFC è mostrato in figura 2.
figura 2 - schema di principio di un RFC
Come si può osservare, H2O è decomposta
elettroliticamente in idrogeno ed ossigeno.
L’idrogeno è immagazzinato, mentre l’ossigeno
può essere sia immagazzinato che rilasciato
nell’ambiente. In questo modo quando è
necessario produrre potenza elettrica, è
sufficiente alimentare direttamente la cella a
combustibile (PEMFC). Infatti, l’idrogeno di
alimentazione stoccato è già perfettamente
compatibile (RH% perfettamente calibrata) con il
sistema PEMFC.
Gli unici input richiesti quindi sono: a) energia
elettrica; b) aria e acqua per il trattamento dell’aria
e per il raffreddamento del sistema (risorse queste
ampiamente disponibili nel sito di Balangero). È
chiaro che se per alimentare al catodo la PEMFC
si usa l’ossigeno immagazzinato non vi è più
alcuna necessita di adoperare l’aria e quindi
l’acqua per suo trattamento.
I sottosistemi di un RFC sono dunque:
1) L’elettrolizzatore (EL);
2) La batteria di celle a combustibile (Fuel Cell -
FC);
18
3) Il sottosistema di immagazzinamento del-
l’idrogeno (ed eventualmente dell’ossigeno).
Oltre che per l’ubiquità, esso si caratterizza per
bassissimo impatto ambientale, per l’accumulo
svincolato da fattori fisici come temperatura,
tempo dello stoccaggio, numero di cicli, e per la
vasta scalabilità. Nel seguito sono illustrati i
sottosistemi.
4.1.4 GLI ELETTROLIZZATORI (EL)
Lo EL è alimentato elettricamente e genera e
idrogeno in pressione. Sono presenti sul mercato
elettrolizzatori con elettrolita a membrana
polimerica (Proton Exchange Membrane - PEM)
detti PEMEL), anche di produzione nazionale, ad
elevate prestazioni capaci di generare idrogeno
alle pressioni di stoccaggio. Il funzionamento dei
PEMEL è schematizzato in figura 3.
figura 3 - schema di principio di un PEMEL
L’acqua introdotta all’anodo è decomposta per via
elettrolitica in protoni, ossigeno ed elettroni.
L’ossigeno evolve in stato gas mentre i protoni
migrano attraverso la PEM al catodo dove,
ricombinati agli elettroni, formano gas idrogeno.
Sono reperibili PEMEL di produzione nazionale
che generano idrogeno a 20 bar senza ausilio di
compressore ed esistono in commercio anche EL
specificamente sviluppare per produrre idrogeno
in alta pressione (ca. 200 bar), quali i sistemi
HOGEN della Proton Energy System per
applicazioni industriali con portate di 0.5, 1, 10
Nm3 di idrogeno all’ora.
4.1.5 LE BATTERIE DI CELLE A COMBUSTIBILE (FUEL CELL - FC)
La FC è alimentata a idrogeno ed ossigeno
(atmosferico o puro) per produrre energia
elettrica. Esistono varie tecnologie di FC, la più
versatile e flessibile delle quali, a ragione della
bassa temperatura di impiego (40-80°C) usa
come elettrolita una membrana polimerica (la
tecnologia è la stessa proposta per i PEMEL) e si
chiama PEMFC. Il funzionamento delle PEMFC è
schematizzato in figura 4.
figura 4 - Scema di principio di una PEMFC
Va osservato che l’idrogeno prodotto con i
PEMEL è già perfettamente compatibile (RH%
perfettamente calibrata) con le esigenze delle
PEMFC.
Grazie alla loro versatilità d’impiego e rapida
dinamica, specialmente nell’avvio, le PEMFC
sono oggi usate ampiamente come dispositivi
preferenziali per la conversione di energia a
bassa temperatura.
Sono vari produttori propongono PEMFC di
diverse potenze a prezzi di circa 50 US$/kW,
destinate ad applicazioni in autotrazione, e 500
US$/kW per applicazioni statiche.
Nella PEMFC l’idrogeno e l’ossigeno sono forniti
agli elettrodi per generare corrente e acqua. Nel
sistema proposto per l’impianto di Balangero si
prevede che i dispositivi PEMFCs vengano
alimenti con le combinazioni H2-O2 e H2-Aria ad
alta pressione. Tali sistemi oggi sono realizzati
facilmente in scala diversa da molte
organizzazioni con prezzi di circa 50 US$/kW per
le applicazioni in autotrazione e di 500 US$/kW
per applicazioni stazionarie.
4.1.6 I MODULI INTEGRATI PEMEL-PEMFC
Sono anche disponibili stacks reversibili, detti
Unitized Regenerative Fuel Cell (URFC), quali
quelli della UNIGEN, che integrano entrambe le
funzione di EL e FC (un esempio è mostrato in
19
figura 5).
figura 5 - Unitized Regenerative Fuel Cell (URFC)
Esistono URFC totalmente automatizzati, in grado
di funzionare senza intervento e supervisione,
impiegabili come moduli in sistemi più complessi.
Il rendimento globale ottenibile nell’intero ciclo di
EL-FC (EAR), pari al prodotto tra l’efficienza del
processo di elettrolisi nel PEMEL e per quella del
processo di generazione nella PEMFC, è
mostrata in figura 6: il dispositivo unificato
UNIGEN operante a 48.3°C e 2.76/3.45 bar di
H2/O2, presenta prestazioni energetiche migliori e
confrontabili con quelle delle convenzionali
stazioni di pompaggio e pertanto è un ottimo
candidato per l’installazione nel sito di Balangero.
figura 6. Rendimento del ciclo di andata e ritorno. � = UNIGEN a 48.3°C e 2.76/3.45 bar di H2/O2; � = LLNL URFC a 48.9°C e 2.76/3.45 bar di H2/O2; � = Cella a combustibile di riferimento/elettrolizzatore NASA HOGEN ® 10 a 48.9°C e 9.66/8.14 bar di H2/O2 normalizzati.
4.1.7 L’IMMAGAZZINAMENTO DELL’IDRO-GENO
Per poter istallare un impianto RFC altamente
produttivo e vantaggioso a Balangero è
necessario predisporre una sezione di stoccaggio
dell’idrogeno che combina in modo adeguato i
costi, il tempo di vita, la manutenzione e
l’istallazione. In tabella 1 è stata effettuata una
valutazione di massima delle caratteristiche di
quattro classi di sistemi per lo stoccaggio
dell’idrogeno considerando sia i contenitori di
bassa pressione che i sistemi innovativi basati su
materiali a base di carboni e idruri metallici. Come
è riportato in queste tabelle i serbatoi a bassa
pressione sono i più voluminosi ma presentano
costi vantaggiosi ed una tecnologia matura. È
chiaro che nel sito di Balangero lo spazio non
manca e tali dispositivi possono essere inseriti
all’interno di tutti i capannoni oggi presenti nel sito
in questione. In questo modo il loro impatto visivo
è praticamente inesistente.
La stazione d’immagazzinamento dell’idrogeno
deve rispettare vincoli di impatto paesaggistico,
durata, sicurezza di esercizio, manutenzione e
costo. La tabella 2 presenta un confronto di
massima tra quattro tipi di stoccaggio
dell’idrogeno: contenitori a pressione e sistemi
innovativi a cattura di idrogeno. Come si vede, i
serbatoi a bassa pressione sono vantaggiosi in
termini di costi e di affidabilità, essendo una
tecnologica matura. Per contro sono i più
ingombranti, ma questo non è un problema
rilevante nell’ex-sito minerario di Balangero,
potendo essere alloggiati nei capannoni dismessi
della miniera, con impatto paesaggistico nullo.
4.1.8 IL CONFRONTO TRA ACCUMULO ENERGETICO CON RFC E ACCUMULATORI ELETTROCHIMICI
A titolo di esempio, la tabella 3 presenta un
confronto tra URFC e accumulatori elettrochimici
convenzionali. I dati relativi ai costi si riferiscono
ad un sistema URFC di 200 kWh alimentato a
2 kW e una batteria equivalente di accumulatori
piombo-acido tipo GNB Absolyte. La figura 8
mostra come i vantaggi in termini di costo
aumentino al crescere della taglia del sistema.
20
figura 7 - costi di 10 anni di vita di URFC e accumulatori piombo-acido.
Va inoltre osservato che la tecnologia URFC per
accumulo di grandi energie presenta vantaggi
anche sui sistemi elettrochimici più innovativi di
quelli piombo-acido.
4.1.9 LECONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Tenuto conto della tecnologia fortemente
innovativa del sistema RFC, è consigliabile
considerare l’installazione iniziale di un sistema
pilota di taglia ridotta rispetto a quella del sistema
CPV. Tenuto conto che questo può avere potenza
eccedente 1 MW, il RFC potrebbe essere scalato
di un fattore 10, attestandosi sui 100 kW, con una
notevole semplificazione delle problematiche
tecnologiche inerenti, ed anche di quelle
innescate da aspetti normativi che possono
essere in parte lacunosi per un impianto di questo
tipo.
Il sistema URFC richiede di essere rifornito con
acqua purificata e ossigeno, oltre che dall’energia
elettrica prodotta in eccesso dal CPV. La prima è
facilmente ricavabile dal bacino idrico al centro
della cava. Il secondo, oltre che dall’aria, può
essere ottenuto dagli stessi PEMEL, che lo
producono insieme all’idrogeno, previo accumulo
complementare.
Sia l’idrogeno che l’ossigeno immagazzinati sono
peraltro plausibili di impiego ad altri fini. Il primo
può essere utilizzato per rifornire stazioni di
rifornimento per veicoli ad idrogeno, prototipi delle
quali sono già apparsi sul territorio nazionale. Il
secondo può essere usato per rifornire strutture
ospedaliere, una delle quali, tra l’altro, è presente
a breve distanza dalla zona ex-mineraria.
21
Tabella 2. Confronto tra le diverse tecnologie esistenti di stoccaggio dell’idrogeno
Caratteristiche Serbatoi a bassa pressione Serbatoi ad alta pressione
Serbatoi a tubi di nano fibre di
carbone
Serbatoi
ad idruri metallici
Volume Grande Medio Piccolo Piccolo
Peso/unità Medio Medio - in acciaio Piccolo Medio
Costo per unità Basso costo. Serbatoi operanti alla pressione dello stack
Basso-medio
(necessitano compressori per pressurizzare H2 a pressioni
superiori dello stack)
ND ND – attualmente alto. Dovrebbe diminuire in
grandi produzioni.
Durata 20+anni 20+anni TBD TBD
Ciclo di vita > 20000 ore > 20000 TBD TBD
Effetti di temperatura
Nessuno – i contenitori standard includono gli effetti di temperatura
Nessuno – i contenitori standard includono gli effetti di
temperatura TBD
La maggior parte rimuove il calore in fase
di ricarica
Misure di carica Pressione – diretta Pressione – diretta TBD Pressione – calibrata per gli idruri
Rischi tecnici Basso Basso Alti Medio per un carico del 5%
Requisiti per la carica
Nessuno – opera alla pressione dello stack di
elettrolisi (10-20 bar)
Richiede compressori per pressioni maggiori di quella
dello stack TBD Richiede una pressione
di 10 bar e gas secchi
Maturità tecnica alta Alta Bassa Media
Tabella 3. Confronto tra RFC e accumulatori elettrochimici.
Batterie URFC
Costo di vita per un sistema da 200 kWh 92400 € 15400 € compresa la manutenzione
Costo di vita addizionale per lo stoccaggio 115 – 210 €/kWh 15.4 €/kWh
Durata/ data di scadenza 5 ÷ 8 anni Sistema: 20 anni con la manutenzione
Ciclo di vita 6400 al 10% di DoD
800 al 100 % di DoD 20000 ÷cicli al 100% di DoD
Manutenzione richiesta Sostituzione della batterie alla fine del loro ciclo di vita o alla data di scadenza
Lo stack di cell deve essere rigenerato dopo 60000 h (circa 8 mesi), manutenzione
collaudo periodico dei contenitori di H2
Pericolosità operativa per l’ambiente Batterie devono essere conservate al coperto, presenza di acidi
L’impianto di stoccaggio di H2 può essere al coperto o all’aperto
Smaltimenti pericolosi Piombo, materiali acidi Nessuno: il sistema non è costituito con materiali pericolosi
4.1.10 LA GEOTERMIA A BASSA ENTALPIA
premessa
L’energia geotermica si trova nel sottosuolo sotto
forma di calore rilasciato dal nucleo e dal
mantello.
Il flusso geotermico totale attraverso la superficie
terrestre è pari a 40 miliardi di kW, di cui però è
tecnicamente possibile utilizzare solo una piccola
parte. Vicino alla superficie terrestre la
temperatura è una combinazione della radiazione
solare e del flusso geotermico; superati i 10 m di
profondità, la temperatura sale di circa 3°C ogni
100 m, senza subire l’influsso della radiazione
solare.
Numerose motivazioni giustificano l’utilizzo
dell’energia geotermica a bassa entalpia:
� non dipende dal prezzo del petrolio
� è rinnovabile e sempre disponibile
� non contribuisce all’inquinamento e al
riscaldamento dell’atmosfera
� è sviluppata e sfruttata nel mondo da più di
vent’anni.
principi di funzionamento
L’energia termica è estratta dal sottosuolo
mediante una sonda ad U contenente fluido
termovettore; mediante una pompa di calore
22
reversibile viene concentrata, ottenendo così un
fluido in grado di riscaldare o rinfrescare gli
ambienti con impianti a pavimento, a parete, a
soffitto (o split).
L’efficienza energetica può arrivare anche ad un
rendimento del 400%; si preleva dal terreno oltre il
75% dell’energia utilizzata e solo il restante 25%
viene fornito dalla rete elettrica per alimentare il
compressore della pompa di calore.
la resa termica
La successione stratigrafica e l’eventuale
presenza di acquiferi sono gli elementi che
maggiormente determinano la capacità di
scambio termico nelle sonde geotermiche.
sottosuolo rendimento indicativo (W/m)
granito 55-70
gneiss 60-70
Una famiglia di 4/5 persone ha una spesa annua
per il riscaldamento invernale, l’acqua calda
sanitaria e il raffrescamento estivo pari a:
impianto spesa risparmio %
geotermia 950 € ---------- ------------
metano 2.100 € 1.150 55
Valutando un costo medio di 10.000 euro per un
impianto a metano e di 18.000 euro per un
impianto geotermico l’ammortamento si ha in 7
anni.
4.1.11 LA GEOTERMIA AD ALTA ENTALPIA
descrizione della proposta Il progetto proposto è una innovazione
tecnologico-scientifica basata sugli ultimi
sviluppi scientifici delle tecniche di
esplorazione petrolifera. Si tratta di una
combinazione di applicazioni avanzate di
perforazioni speciali e di nuove frac-
operations.
Le perforazione verranno spinte ad una
profondità attorno ai 4000 m, in dipendenza del
gradiente gediermico.
L'acqua viene circolata in profondità e si
riscalda ad una temperatura attorno ai 120°C.
Poi è fatta risalire e circolare in una centrale
per la produzione di energia elettrica e di
riscaldamento per le città vicine.
La nuova tecnologia è denominata DDS Deep
Directivit Systems e fa parte di un brevetto
presentato al Deutsche Patentamt. II progetto
pilota rappresenta un primo stadio di
perfezionamento della tecnologia DDS, che può
a compimento effettivo essere esportato in tutto
il mondo poiché tale tecnologia è realizzabile in
ogni tipo di formazione, escluse evaporiti e
formazioni altamente fratturate. Per la
realizzazione del progetto è a disposizione un
team di specialisti di livello mondiale nel campo
23
della geofisica, della petrofisica e della
caratterizzazione ed integrazione sismica dei
giacimenti.
costi
costo totale (senza centrale e allacciamento termico)
5,1 milioni
durata 20 anni
costo/anno 250.000/anno
manutenzioni 60.000/anno
resa/efficienza EL. 1 Mw elettrico
resa/efficienza term. 2 Mw termico
4.1.12 EOLICO SISTEMA GULLWING
THE WIND TOWERS
Gullwing Wind Tower rappresenta una nuova e
valida alternativa alle tradizionali pale eoliche
ad asse orizzontale, consentendo, grazie
all’asse verticale, di svuotare l’interno della
struttura rendendola più leggera; riducendo
quindi il suo impatto ambientale, se ne migliora
inoltre la resa estetica e formale. Il sistema ad
asse verticale garantisce una maggiore
silenziosità dell’impianto.
La singola torre, con una altezza prevista di 25
m, è composta da 8 turbine ad asse di
rotazione verticale con diametro di 5 metri ed
alta 2,5 metri, accoppiata ad un alternatore a
magnete statico.
La parte inferiore della struttura, con base di
appoggio di diametro 6,5 metri, ha solo
funzione portante ed è sprovvista di turbine per
garantire il transito sicuro dei normali mezzi e
delle persone; si ha inoltre una maggiore facilità
nelle operazioni di manutenzione.
Il Design si ispira alle forme naturali cercando di
ottimizzare la capacità di resa delle pale/ali, per
la parte dinamica e funzionale il riferimento è
l’ala del gabbiano (gull wing).
Una analogia strutturale, anche se a scala
ridotta, si può trovare nei mulini da preghiera
tibetani.
aspetti economici ed energetici
Il singolo modulo del sistema eolico Gullwing
alto 25 metri garantisce una potenza pari a 40
kW che rapportata ad un periodo ventoso
annuale di circa 3.500 ore (dati riferiti
all’aeroporto di Caselle) porta ad una resa
annua di 140.000 kWh.
Il costo del singolo modulo viene valutato in
circa 250.000 €, ai quali vanno aggiunti circa
10.000 €/anno per la manutenzione.
La resa annua valutando un prezzo incentivato
pari a 0,35 €/kWh è ad oggi di circa 50.000 €.
Valutando una vita media dell’impianto pari a
20 anni l’impianto si ammortizza in circa 6 anni,
nei rimanenti 14 anni la resa è di circa 40.000
€/anno.
24
4.2 L’ATTREZZATURA DELL’AREA
La proposta progettuale complessiva di
attrezzatura dell’area si articola nei seguenti
interventi:
4.2.1 la piramide rovesciata e il lago
4.2.2 la coperta verde per l’ex palazzina uffici
4.2.3 l’osservatorio/belvedere
4.2.4 i captatori solari
4.2.5 gli apparati energetici ad alta e bassa
entalpia
4.2.6 i depositi di idrogeno
4.2.7 le celle a combustibile
4.2.8 gli elettrolizzatori
4.2.9 la centrale di comando e controllo degli
apparati
4.2.10 l’accessibilità
4.2.11 la riqualificazione vegetazionale e
faunistica
4.2.1 LA PIRAMIDE ROVESCIATA E IL
LAGO
premessa
Il bacino artificiale è al centro di un'area
altamente a rischio, dove qualsiasi intervento di
bonifica o consolidamento comporterebbe uno
sconvolgimento dell'attuale suggestivo scenario
ambientale, con conseguente forte impatto
visivo.
L'antropizzazione del sito si è rapportata con
l'elemento acqua che aggiunge un significativo
carico di elementi simbolici all'attuale scenario
paesaggistico di lago artificiale.
Per questo motivo si è scelto di accentuare il
suo valore simbolico trasformando il sito in arte
concettuale senza sconvolgere il suo attuale
assetto.
Sia per motivi di sicurezza, sia per accentuare
l'aspetto simbolico, il sito sarà percepibile da un
altro luogo: l’archivio della memoria e della
miniera a Balangero.
valore simbolico del sito
L'attuale scenario contiene già di per sé
elementi che richiamano al contempo la tragica
memoria e i segni di nuova speranza.
La così detta "gradinata dei giganti", lasciata al
rustico con i graffi ancora evidenti dell'antico
scavo, non viene modificata né nascosta, in
modo che la sua "nuda ferita" denunci e
richiami la memoria. Sarà il tempo, il corso degli
eventi naturali che via via la riplasmeranno, a
ricoprirla pian piano di nuove superfici vegetali.
Si veda l’immagine 1 in tavola 3.
Il lago, non è altro che un invaso di acqua
pura, simbolo di vita. La sua purezza è segno
che tutto ancora deve generarsi, un buon
auspicio per il futuro.
Si veda l’immagine 2 in tavola 3.
Ma la simbologia contenuta in questo bacino
artificiale non si limita a questo: la "gradinata
dei giganti" prosegue nel lago formando una
piramide rovesciata, o meglio il suo negativo.
La piramide è per sua natura geometrica
captatrice di energia, in questo caso dalla terra
verso il cielo.
E questa energia non viene raccolta entro
materia, così come per i sepolcri egizi, ma
all'interno del liquido vitale che è l'acqua del
lago.
E' così che il sito é ricco di riferimenti simbolici
che vengono accolti e interpretati con la
soggettività e le suggestioni di chi vi posa lo
sguardo.
Si veda l’immagine 3 in tavola 3.
25
accentuazione del valore simbolico
attraverso un intervento progettuale di land
art
L'installazione di alcune telecamere, attraverso
la scelta accurata dei punti di vista e della loro
collocazione mimetica nell'ambiente,
permetterà di poter vedere e godere il sito a
distanza, da altro luogo, all'interno dell’archivio
della memoria di Balangero.
Questo espediente diventa anche il mezzo per
trasformare una visione paesaggistica diretta
tridimensionale, in una visione di una
scenografia bidimensionale, percepita
attraverso uno o più schermi. Gli schermi
all'interno dell’archivio si configurano come
quadri (sara accentuato questo aspetto
attraverso la realizzazione di cornici di colore
che attorniano gli schermi): quadri dinamici di
immagini in movimento e temporalmente
differite. Alcuni schermi infatti riporteranno le
immagini in diretta; altri in differita di dodici ore
per mostrare ai visitatori I'aspetto diurno e
notturno del sito.
L'unico inserimento previsto nella proposta
progettuale a l'inserimento di una luce
sommersa da inserire nel baricentro energetico
della "piramide rovesciata " del lago. Una luce
delicata e pulsante che accentua il valore
simbolico dell'energia vitale, che, a partire dal
lago, si espande sul tutto il territorio interessato
dal progetto attraverso installazioni
tecnologiche di produzioni di energia.
Si vedano le immagini 4, 5, 6 e 7 in tavola 3.
altre implicazioni
L'installazione delle telecamere permetterà
anche di monitorare e registrare il paesaggio
faunistico sia diurno e notturno. In questo modo
sarà anche possibile valutare I'evoluzione
naturalistica del sito nel tempo.
4.2.2 UNA COPERTA VERDE PER L’EX
PALAZZINA UFFICI
premessa
Tenuto conto che la proposta progettuale non
prevede una fruizione turistica del sito se non
tramite uno specifico mezzo di trasporto con
abitacolo panoramico e confinato, il recupero in
termini di agibilità, ristrutturazione e
rifunzionalizzazione della palazzina uffici
comporterebbe solo uno spreco di risorse
economiche.
L’idea pertanto è quella di favorire e accelerare
la riappropriazione della natura sul costruito.
descrizione dell’intervento
La riappropriazione della natura sul costruito è
rappresentata da una “coperta vegetale” che
avviluppa l’intero volume del corpo di fabbrica
come i teli di Christo sui monumenti e la
fagocitazione dei templi sacri da parte della
vegetazione nella giungla indonesiana.
Questo vestito vegetale metterà in risalto solo
le forme volumetriche, così da lasciare memoria
del pre-esistente. Esso sarà realizzato tramite
l’applicazione di una maglia metallica flessibile
(50x50mm) ancorata alla struttura esistente,
che favorirà l’andamento di crescita delle piante
rampicanti previste nell’intervento.
26
Le piantumazioni saranno effettuate sia a terra,
sia in vaso, in modo da permettere fin dai primi
anni di poter godere dell’effetto. La
piantumazione sempreverde prevista, a edera,
sarà alternata da piantumazioni rampicanti
stagionali che permetteranno fin dai primi anni
di ottenere una copertura vegetale completa
mostrando l’effetto previsto. Nel tempo sarà poi
anche la vegetazione autoctona a invadere la
struttura e confondersi con quella inserita
nell’intervento portando ad una configurazione
più disordinata ma più significativa dal punto di
vista della riappropriazione della natura. Questo
evento sarà anche favorito nel dirigere verso
l’edificio piante rampicanti esistenti nell’intorno.
Saranno restaurate e visibili le due lapidi sul
fronte est: dei Caduti durante la Resistenza e
dei Caduti sul lavoro in miniera.
Si vedano le immagini 12 e 13 in tavola 3.
4.2.3 L’OSSERVATORIO/BELVEDERE
premessa
I luoghi della miniera hanno una forte valenza
geologica e storica e tuttavia non si prevede
una fruizione turistica del sito se non per il
tramite di uno specifico mezzo di trasporto con
abitacolo panoramico e confinato; si prevede di
realizzare un punto di osservazione, in
posizione panoramica, per la comprensione dei
fenomeni geologici, che hanno creato le
premesse per lo sfruttamento minerario dei
luoghi, e della singolarità della miniera stessa.
descrizione dell’intervento
Si prevede di realizzare una costruzione
“trasparente” per l’osservazione del paesaggio
circostante: avrà una struttura portante in profili
di acciaio e rivestimento in vetro energy, per
avere un ambiente confinato e controllato in
sovrapressione rispetto l’ambiente circostante.
Si vedano le immagini 20, 21 e 22 della tavola
3.
La costruzione è costituita da due elementi
principali: una cupola semisferica con diametro
di 20 metri ed un tunnel di accesso con sexione
semicircolare e lunghezza 18 metri.
4.2.4 I CAPTATORI SOLARI E L’APPARATO
EOLICO
4.2.5 GLI APPARATI ENERGETICI AD ALTA
E BASSA ENTALPIA
4.2.6 I DEPOSITI DI IDROGENO
4.2.7 LE CELLE A COMBUSTIBILE
4.2.8 GLI ELETTROLIZZATORI
4.2.9 LA CENTRALE DI COMANDO E CON-
TROLLO DEGLI APPARATI
Tutti gli apparati numerati dal paragrafo 4.2.4 al
paragrafo 4.2.9 sono descritti nel precedente
capitolo 4.1 e sono localizzati in grafia nella
tavola 1.
4.2.10 L’ACCESSIBILITÀ
È rappresentata in grafia di tavola 1 la strada
interna percorribile dall’ingresso attuale fino
all’Osservatorio Belvedere: un percorso di visita
protetto, un viaggio nella memoria.
Il mezzo di trasporto, di cui già si è detto nel
paragrafo 4.2.3, con abitacolo panoramico e
confinato, consentirà di vedere, nell’ordine:
� la palazzina, proposta come monumento
della memoria;
� gli ex stabilimenti, proposti come depositi
di idrogeno e di attrezzatura di celle a
combustibile;
� la centrale di comando e controllo degli
apparati;
� gli apparati energetici esterni;
� la piramide rovesciata e il lago.
Punto finale del percorso sarà l’osservatorio.
4.2.11 LA SISTEMAZIONE DELLE
SCARPATE E LA RIQUALIFICAZIONE
VEGETAZIONALE E FAUNISTICA
27
Il concorso d’idee è finalizzato a riqualificare
l’area, il che per l’ambiente biotico corrisponde
a rinaturalizzare un sito minerario.
Perché la rinaturalizzazione sia veramente tale
e non un puro e semplice intervento di “cosmesi
verde”, bisogna tener conto dei ritmi e
dell’intensità di “lavoro” della natura, molto più
lenti e minimali rispetto a quelli dell’uomo.
Ciò vuol dire che la realizzazione del paesaggio
vegetazionale finale previsto dal progetto di
rinaturalizzazione, e di conseguenza di quello
faunistico, abbisogna di tempi molto più lunghi
rispetto alla “distruzione” ed è la conseguenza
di una serie di interventi a basso impatto,
intonati alle caratteristiche ambientali (lasciar
“lavorare” la natura) e allo status attuale dei
luoghi.
In termini più puntuali e operativi, il paesaggio
vegetazionale finale deve ricondursi, per le
considerazioni espresse in precedenza, alla
vegetazione naturale potenziale, che nello
specifico si identifica con il querceto acidofilo
alternato a chiarie erbose nelle zone che, per
eccessiva pendenza o non idoneità del
substrato, non possono ospitare il bosco.
Il raggiungimento di quest’obiettivo presuppone
l’attivazione di quindici fasi operative, così
sintetizzabili:
1. rilievo floristico e vegetazionale dello stato
di fatto del sito e delle aree rappresentative
dell’intorno, con riconoscimento e
rappresentazione cartografica delle
associazioni presenti;
2. valutazione della divergenza fra stadio
climacico e stato di fatto;
3. rilievo pedologico di dettaglio per valutare la
capacità dei suoli di ospitare la vegetazione
potenziale;
4. scelta delle specie arboree e arbustive da
utilizzare per l’imboschimento, in funzione
della loro autoecologia, dei fattori
ambientali e della possibile evoluzione del
soprassuolo;
5. contemporaneamente alla fase 4), scelta
dei miscugli cui far ricorso per gli
inerbimenti delle superfici non imboscabili o
imboscabili in tempi lunghi;
6. modellamento “minimo” delle superfici nude
di scavo e di discarica e dei terrazzamenti,
per conferire loro sezioni prossime alla
naturalità; per questa operazione è
preferibile far ricorso, più che all’impiego di
macchine per movimento terra, a minime
opere d’ingegneria naturalistica
(cordolature), capaci di far “lavorare
naturalmente” le acque di deflusso
superficiale (in pratica come si opera per la
sistemazione dei calanchi);
7. ricarica con terra delle superfici
caratterizzate da potenza minimale (o
addirittura nulla) dello strato attivo di suolo;
si dovrà far uso di terreno agrario ben
dotato di sostanza organica o, in caso
contrario, ricorrere a preparazione di
terricciato da utilizzare maturo; per agire in
modo “naturale” (e limitare i costi) i versanti
da ricaricare devono essere sistemati con il
ricavo di banchine minimali (larghezza cm
20-30 circa), opportunamente distanziate, e
la terra di ricarica dovrà essere
ammucchiata alla sommità dei versanti
stessi (i terrazzamenti già esistenti non
necessitano, ovviamente, di
banchinamento); saranno le acque di
deflusso superficiale a distribuirla sui
versanti;
8. contemporaneamente alle fasi 6 e 7, taglio
raso delle conifere di rimboschimento, da
eseguire a strisce, per non favorire
fenomeni erosivi, facendo in modo che
nell’esbosco non si danneggi la
rinnovazione che può essere presente sulle
strisce tagliate in precedenza;
9. contemporaneamente alle fasi 6, 7 e 8,
diradamento selettivo (e fitosanitario se
necessario) delle superfici forestali a
28
latifoglie, finalizzato al raggiungimento di un
soprassuolo tendente al climacico,
plurispecifico con dominanza di rovere,
pluriplano e disetaneo;
10. contemporaneamente alle fasi 8 e 9,
inerbimento con idoneo miscuglio, arricchito
eventualmente con fiorume locale, delle
superfici non passibili di imboschimento o
passibili in tempi lunghi; le caratteristiche
ambientali fanno ipotizzare la possibilità di
ricorrere all’idrosemina, ma anche, nelle
situazioni pedologicamente più difficili, a
tecniche tipo nero-verde;
11. imboschimento, con tecnica a piccoli gruppi
(o microcollettivi), funzionale alla
costituzione di un bosco naturaliforme, delle
superfici a ciò destinate (in precedenza
nude o coniferate); per le modalità
d’impianto, si può in questa sede ipotizzare
il ricorso preferenziale a postime con pane
di terra (fitocella) e l’eventuale ricorso a
misure protettive contro i danni da
selvaggina; in alternativa (o associando le
due modalità) si può anche pensare, viste
le caratteristiche del substrato e i
“precedenti” (betulle sui terrazzamenti), alla
semina diretta; il risultato è più lento, ma
più “naturale”;
12. Approntamento di nidi artificiali, di piccole
mangiatoie di legno e di punti acqua per i
selvatici, da collocare all’interno del bosco
esistente;
13. Cure selvicolturali ai nuovi imboschimenti,
da eseguire essenzialmente nel primo
trentennio dall’impianto, consistenti nella
sostituzione delle fallanze, nel taglio delle
infestanti che ostacolano l’affermarsi della
rinnovazione, nell’eliminazione dei soggetti
d’invasione (come la robinia), nel
diradamento selettivo finalizzato a favorire
la dominanza del rovere e la formazione di
un popolamento pluriplano e disetaneo.
14. Cure selvicolturali periodiche ai boschi
esistenti, consistenti nel diradamento
selettivo indirizzato alla formazione di un
popolamento climacico, in relazione alla
fase 9;
15. Cure colturali agli inerbimenti tecnici, da
eseguire nei primi tre anni, consistenti nel
ripristino delle zone non sufficientemente
coperte dalla cotica erbosa.
4.3 L’ARCHIVIO DELLA MEMORIA E DELLA
MINIERA
Più che un museo, che rappresenta una visione
statica delle vicende, si propone di realizzare
un “Archivio della memoria e della miniera”
con pochi “pezzi” caratteristici ed una ampia
documentazione bibliografica e multimediale,
catalogata ed organizzata a scopo di memoria
e di banca dati per i futuri studi.
Non deve infatti assolutamente andare dispersa
la memoria, eredità, lascito dell’Amiantifera.
E’ preferibile che la struttura sia localizzata nel
paese: il suo insediamento nell’ambito della
miniera è di sicuro meno invitante, se non
pericoloso.
Si ha notizia della prossima dismissione della
attuale scuola materna, nella quale si
potrebbero ricavare i circa 200 metri quadrati
necessari.
Verrà inoltre impostato, compatibilmente con le
risorse disponibili, un Centro di Ricerca sulle
energie rinnovabili e sul recupero delle fibre di
amianto.
Indicativamente l’archivio si comporrà di:
1) Raccolta fotografica e multimediale; fotografie Amiantifera, altri documenti forniti da Comuni, associazioni, abitanti locali.
2) Sala multimediale con riprese dalla miniera 3) Storia e Tecnica della Coltivazione 4) Mineralogia e Geologia: Esposizione carte
e sezioni geologiche, rocce e minerali 5) Biblioteca di vario genere su Balangero principali riferimenti per le possibili fonti Coltivazione mineraria di Balangero
Politecnico di Torino - Prof. Sebastiano Pelizza
Dipartimento di Ingegneria del Territorio Mineralogia,
29
Cristallografia, Petrografia, Amianto.
Università di Torino - Scienze Mineralogiche
Proff. Giovanni Ferrarsi e Roberto Compagnoni
Rischio Amianto nelle Alpi Occidentali
Università di Torino
Centro Interdipartimentale “G. Scansetti”,
Museo Regionale di Scienze Naturali
Regione Piemonte - Sezione Mineralogia
5. I COSTI E I BENEFICI, LA MANUTEN-
ZIONE E LA GESTIONE, I FINANZIAMENTI
Si rimanda all’elaborato “Piano di Gestione”.
6. IL COMMIATO
[Puck]
Se noi ombre vi abbiamo irritato,
non prendetela a male, ma pensate
di aver dormito, e che questa sia
una visione della fantasia.
Non prendetevela, miei cari signori,
perché questa storia d'ogni logica è fuori:
noi altro non v'offriamo che un sogno;
della vostra indulgenza abbiamo bisogno.
Come è vero che sono un Puck onesto,
se abbiam fallito vi prometto questo:
che, per fuggir le lingue di serpente,
faremo assai di più, prossimamente.
Se no, chiamatemi bugiardo e mentitore.
Per ora buonanotte, signori e signore.
Non siate avari di mano: siamo amici,
e in cambio il Puck vi farà felici. [esce]
William Shakespeare
Sogno di una notte di mezz'estate
Atto V, ultima scena.
*****