CONCETTO DI TENSEGRITA’ IN OSTEOPATIA · Traduzione di Erio Mossi DO-mROI Appunti di Gian Luca...

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CONCETTO DI TENSEGRITA’ IN OSTEOPATIA Alain Gehin D.O. Bologna- 1° parte (12/13 febbraio 2011) Traduzione di Erio Mossi DO-mROI Appunti di Gian Luca Begni DO-mROI x CRESO Il concetto di tensegrita’ e’ maturato nel mondo delle costruzioni, ma la paternita’ del concetto probabilmente risale allo scultore Snelson. Anche se quest’ultimo l’aveva definita “compressione flottante”. Una struttura interessante per comprendere la tensegrita’ e’ l’icosaedro: un solido composto da 20 triangoli, che puo’ essere costruito come modello composto da parti rigide in discontinuita’ tra loro e parti elastiche in continuita’. Una forza applicata a tale struttura ne modifica la forma ma questa cessata la forza torna alla forma originale. Interessante notare che tutta la struttura partecipa al cambio di forma. Per anni si e’ creduto che la forza di gravita’ mantenesse stabili le strutture – pensiamo solo alle colonne dei templi antichi- ma cio’ e’ falso. Non possiamo ragionare solo in termini di forza di gravita’ applicata verticalmente: in calcagno di un saltatore o di un altro atleta all’impatto con il suolo si frantumerebbe! Nicholson ha dimostrato che la pressione intradiscale e’ la stessa sia con soggetto in piedi che inclinato in avanti, grazie allo “scarico” della pressione su tutte le fibre esterne del disco. Quindi per ben comprendere la biomeccanica dobbiamo aggiungere al concetto di forza di gravita’ anche quelli di tensione e compressione.

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CONCETTO DI TENSEGRITA’ IN OSTEOPATIA

Alain Gehin D.O.

Bologna- 1° parte (12/13 febbraio 2011)

Traduzione di Erio Mossi DO-mROI

Appunti di Gian Luca Begni DO-mROI x CRESO

Il concetto di tensegrita’ e’ maturato nel mondo delle costruzioni, ma la paternita’ del concetto probabilmente risale allo scultore Snelson. Anche se quest’ultimo l’aveva definita “compressione flottante”. Una struttura interessante per comprendere la tensegrita’ e’ l’icosaedro: un solido composto da 20 triangoli, che puo’ essere costruito come modello composto da parti rigide in discontinuita’ tra loro e parti elastiche in continuita’. Una forza applicata a tale struttura ne modifica la forma ma questa cessata la forza torna alla forma originale. Interessante notare che tutta la struttura partecipa al cambio di forma. Per anni si e’ creduto che la forza di gravita’ mantenesse stabili le strutture – pensiamo solo alle colonne dei templi antichi- ma cio’ e’ falso. Non possiamo ragionare solo in termini di forza di gravita’ applicata verticalmente: in calcagno di un saltatore o di un altro atleta all’impatto con il suolo si frantumerebbe! Nicholson ha dimostrato che la pressione intradiscale e’ la stessa sia con soggetto in piedi che inclinato in avanti, grazie allo “scarico” della pressione su tutte le fibre esterne del disco. Quindi per ben comprendere la biomeccanica dobbiamo aggiungere al concetto di forza di gravita’ anche quelli di tensione e compressione.

Dopo che da un punto di vista concettuale e pratico la tensegrita’ si e’ sviluppata nell’architettura (ad es.nella costruzione di ponti), il concetto e’ stato trasferito sugli esseri viventi. Ingber ha intuito che la struttura degli esseri viventi dipende piu’ dall’architettura “reciproca” degli elementi piu’ che dalla loro composizione chimica. Le sollecitazioni meccaniche aiutano e spingono la cellula a vivere, a patto di restare entro sollecitazioni fisiologiche per quel tipo di cellula. La cosa piu’ importante nel concetto di tensegrita’ cellulare e’ l’importanza della T. tensionale e lo stato di pre- tensione per la stabilita’ della forma della cellula. Nel campo della biotensegrita’ ritroviamo elementi rigidi in discontinuita’ ed elementi flessibili, sotto pre-tensionamento, in continuita’. Quali sono i vantaggi del considerare la tensegrita’ applicata all’essere umano?

- La T.obbliga l’essere umano a lavorare in sinergia - Ogni sollecitazione viene distribuita in modo omnidirezionale - La stabilita’ del corpo non e’ data dalla gravita’ (il corpo e’ sottomesso

alla gravita’ ma non dipende da essa). - Gli elementi rispondono alle sollecitazioni nella loro totalita’ - Il movimento si effettua per cambi di tensione legamentosa

nell’articolazione Hook ha indagato sulle diverse risposte del tessuto inerte e del tessuto vivente all’intensita’ ed alla durata degli stimoli meccanici. Il tessuto vivente prima ha una reazione minima allo stimolo meccanico, poi ad un certo punto ha una reazione che diviene rapidamente massima. Gli stimoli che da’ il terapeuta devono esssere al confine tra queste due risposte cosi’ diverse (alla fine della risposta minima e prima che inizi quella piu’ ampia). Visto che abbiamo parlato di tensioni interne omnidirezionali, pensiamo alla sfera: se applico una forza esterna essa si propaga su tutta la sfera, e se e’ una sfera pneumatica riprende la sua forma. Nel corpo umano va considerata un’altra cosa: nel momento in cui una parte viene compressa si verifica un avvitamento, cioe’ una risposta in torsione. La torsione e’ la prima risposta adattativa del corpo umano. Perche’? Perche’ la torsione immagazzina energia cinetica che puo’ essere restituita per il recupero della posizione iniziale. Nell’applicazione pratica del concetto di T.dovremo fare in modo che il sistema nel suo complesso abbia la forza di bilanciare gli squilibri di parte di esso. Se applico una forza di trazione alle estremita’ di un osso, la compressione all’interno dell’osso dovra’ aumentare o diminuire? Parrebbe dover diminuire, invece deve aumentare per resistere alle maggiori tensioni applicate!

Se pensiamo alla lesione osteopatica, sappiamo che e‘ reversibile: diversamente sarebbe una lesione anatomica. Se la lesione e’ reversibile, intervenendo sia in maniera distrettuale sia globale possiamo ripristinare una situazione fisiologica. Secondo Gehin qualsiasi terapeuta e’ meno capace del corpo stesso, quindi per trattare il corpo e’ necessario che il terapeuta si metta in ascolto ed in sintonia - in tensegrita’- con il corpo . 1°- VALUTAZIONE DEL SISTEMA DI TENSEGRITA’

a- Torsione preferenziale b- Punto di arresto c- C’e’ una lesione di tensegrita’? d- C’e’ deformabilita’ locale? e- La mano testimone

Sapere quale e’ il punto di torsione preferenziale e’ importante per capire quali sono i punti di fissazione. Ciascuno di noi vive con cerniere di movimento proprie. Ad esempio quasi tutti camminano appoggiandosi sulla cerniera DL: quando il terapeuta libera la cerniera DL, il paziente nei primi giorni sente di aver perso il punto di appoggio. Secondo G.la paura crea invece degli appoggi preferenziali su D4/D5 . a-G.induce nel paziente in piedi una torsione globale a dx e sn e valuta quale e’ il lato della torsione preferenziale (vedi foto sotto)

b-G.ancora induce una torsione globale e valuta in quale punto della colonna compare un punto di “rallentamento” della torsione- il punto di arresto- oltre il quale poi la rotazione riprende con una certa fluidita’(vedi foto sotto) NB: se all’inizio della torsione globale si muove subito il bacino, meglio fare il test in posizione seduta, per poter ben valutare la colonna. NB: in questo esame le risposte motorie del paziente sono interessanti perche’ sono vere: il paziente non sa che cosa cerchiamo.

c-Anche se non ho avuto risposte particolarmente indicative nei punti precedenti, ora andro’ a testare se esistono punti sensibili che perturbano il sistema. Appoggio il polpastrello sulla colonna iniziando dalla cerniera CD e a scendere. Valuto se il tocco di un punto mi da’ una perturbazione del sistema (uno spostamento avanti o indietro del corpo). E’ importante valutare quale punto e’ maggiormente destabilizzante per l’insieme, mentre non e’ importante vedere se la “caduta” e’ avanti o indietro. L’esecuzione del test e’ mostrata nelle foto sotto.

d-l’esame procede valutando se il punto che destabilizza la struttura e’ veramente importante. Come mostrato nella foto a lato la mano su vertex induce una pressione verticale progressiva fino a quando questa non arriva alle dita posizionate di fianco al punto sensibile individuato. Sento ad esempio che la pressione arriva su un dito e li’ si distribuisce in tutte le direzioni, sull’alltro dito ho l’impressione che si fermi li’. Questo non implica che il paziente abbia dolore o sintomi li’, bensi’ significa che questo punto non si integra con la tensegrita’ del resto del corpo.

Se voglio confermare quello che ho trovato con il test, posso eseguire un test in lateroflessione (in questo caso su L2) o in torsione (meglio,nel caso di L3) per avere la conferma del lato e della zona in disfunzione. Secondo recenti studi pare che L1 sia la vertebra chiave, che risponde maggiormente, in EXT della colonna lombare, L2 in S, L3 in R. Passo poi a testare, salendo, a livello dorsale, dove occorre piu’ sensibilita’ per la presenza delle coste che danno piu rigidita’ (vedi foto sopra). NB: se trovo piu’ lesioni di tensegrita’, le valutero’ “soppesando” il peso che anno sull’equilibrio dell’organismo prese singolarmente. In tensegrita’ dovremo concentrare l’intervento sull’elemento maggiormente in dissonanza con il resto del sistema, che lo perturba maggiormente, non dove il paziente riferira’ il sintomo o dove mostrera’ altre disfunzioni cinetiche. La ricerca della rotazione da parte dell’organismo mostra l’assoluta necessita’ di compensare, quindi ci indica una lesione di tensegrita’ piuttosto importante.

NB:il test di ricerca dei punti sensibili (punto C) e’ realizzabile perche’ come abbiamo gia’ detto vado alla ricerca del punto limite di equlibrio del corpo, il punto in cui un piccolo stimolo ancora causa una grande reazione. Con l’approccio sulla T.e quello osteopatico classico si trovano le stesse zone in disfunzione? Dovrebbe sempre essere cosi’: cambiano solo le ragioni che vengono addotte per giustificare quanto trovato. e-Non tutti noi abbiamo gli stessi tempi biologici. Sono stati fatti a rigurado degli studi dulle fratture da parte dei giapponesi. Quando noi nel concetto di tensegrita’ induciamo la pressione a livello di vertex con la mano dobbiamo essere estremamente progressivi. Se abbiamo individuato un punto di lesione di tensegrita’ e vogliamo testare la risposta dell’organismo in generale (come quando nel pallone della tensegrita’ premo da una parte e valuto la risposta su tutta la palla), usiamo il test detto della mano testimone. Come mostrato nella foto sotto con la Tranchina, con una mano in una zona che reputo mobile, in questo caso la griglia costale dx, induco un movimento ripetuto, una spinta alternata con lo stesso ritmo. Con l’altra mano, nell’esempio sotto quella caudale, tocco diverse parti del corpo. Quando la mano caudale, che “tocca”, arriva in un punto di lesione di tensegrita’, che puo’ essere una placca di metallo di artroprotesi o una zona lesa, ad es.una zona di distorsione di TT, a parita’ di induzione di movimento della mano testimone sento che questa si blocca. Questa tecnica mi puo’ servire per individuare tra piu’ lesioni quella primaria, quella che piu’ disturba l’insieme.

Ad esempio nelle 2 immagini sopra si valuta se e’ una lesione di tensegrita’ piu’ importante quella sull’anca dx (con artroprotesi d’anca) o quella sull’anca sn (coxartrosi severa ma senza artroprotesi).

Per testare la TT ed il piede utilizzo la tecnica la tecnica mostrata in foto, con la mano testimone sulla coscia che da’ spinte ritmiche e l’altra mano che tocca le diverse parti della TT e del piede. La mano testimone puo’ essere posizionata in qualunque parte del corpo preferendo zone con una discreta elasticita’ e mobilita’ e comode per la posizione dell’operatore.

Torniamo ora al principio base della tensegrita’ ovvero la costituzione del corpo umano di una sequenza di elementi ossei, quindi rigidi, discontinui uniti da elementi elastici continui. Partiremo dai piedi del paziente ed andremo a testare questa continuita’ e discontinuita’ (vedi 2 foto sotto). A livello del bacino del paziente dovrei sentire una rotazione esterna degli arti inferiori. Da notare che quando mi sposto all’indietro induco quasi una flessione dorsale dei piedi, ovvero mi dispongo in modo che le mie braccia e gli arti inferiori del paziente formino una linea curva con concavità rivolta verso il basso. Secondo gli studi di Hawkins le forze si propagano secondo una linea curva. Se inducessi una trazione su linea retta avrei difficolta’ a percepire le risposte nelle varie direzioni dello spazio.

L’operatore si dispone in piedi dietro al capo del paziente-vedi foto sotto- e ponendo le dita a rombo- come mostrato nel particolare- sopra e sotto alla linea nucale traziona spostandosi indietro e valuta la risposta nell’alternanza di rigido ed elastico di vertebre e dischi. Quando si arriva a livello di C7/D1 avvertiamo, scendendo con il test, una espansione laterale molto piu’ ampia rispetto alle cervicali.

2° GIORNO NB: per quanto riguarda le sollecitazioni sul disco intervertebrale, G.sostiene che nelle diverse posizioni del corpo le pressioni interne al disco rimangono le stesse: e’ il modo in cui si scaricano sulla struttura del disco stesso che cambia, a causa del suo cambio di forma a causa delle solecitazioni meccaniche. CARATTERISTICHE (COMPONENTI) DELLA TENSEGRITA’

- Sinergia - Stabilita’ - Omnidirezionalita’ - Totalita’ (l’equilibrio di un segmento non significa equilibrio del sistema!) - Pretensionamento delle articolazioni

NB: dopo aver riequilibrato una parte occorre riequilibrare il tutto: se non lo facciamo nel peggiore dei casi non avremo buoni risultati, il piu’ delle volte il corpo stesso del paziente riequilibrera’ il tutto ma in un tempo piu’ lungo e solo se il paziente si tiene in movimento. NB: come la lesione osteopatica anche la lesione di tensegrita’ puo’ essere muta e se la persona non la sollecita il sintomo non si manifesta, ma il sistema e’ perturbato. Gehin cita l’esempio di lesioni trovate in un paziente che soffriva di insonnia ma non aveva dolori! Se lavoriamo in tensegrita’ non dobbiamo farci sviare dal sintomo. ALCUNE NOTE METODOLOGICHE

- La pressione ritmica della mano testimone deve essere rivolta verso

l’asse centrale, senza troppo “scivolamento”. - Solitamente Gehin preferisce 3 punti di ascolto della mano testimone:

coscia, rampa condro costale/torace, spalla.

- Per il test generale del cranio le prese: dapprima occipitale, poi parietale/vertex, poi frontale.

- Per il test del massiccio facciale si prosegue il test craniale: dalla presa fontale si prosegue con quella maxillo/zigomatica e poi con quella mandibolare.

- Quando si trovano piu’ lesioni di tensegrita’, per valutare quella primaria si invertono la mano testimone e l’altra mettendole sulle due lesioni: quella che piu’ ferma la mano testimone e’ la primaria.

- Se troviamo tra le varie lesioni una lesione craniale – piu’ spesso una lesione intraossea che suturale- questa va trattata di solito prima delle altre lesioni (strutturali, viscerali) e va trattata in ogni seduta.

TEST E CORREZIONE CON PAZIENTE PRONO (CON RECOIL) Stessa modalita’, con mano testimone sulla spalla. Una volta individuata una zona, ad esempio su una vertebra dorsale o su una costa, bisogna valutare con piu’ precisione il tipo di lesione, ovvero quale struttura e’ esattamente in disfunzione, in quale direzione si manifesta la lesione, se e’ maggiore in inspirazione o in espirazione. Se e’ per una vertebra o una costa- ma in questo caso l’analisi andrebbe estesa a tutta la costa- occorre valutare se la lesione e’ in INSP o in ESP. In questo caso la correzione avviene con un recoil il insp per le lesioni in INSP, in esp per le lesioni in ESP, su respirazione profonda. La correzione va fatta posizionandosi come mostrato nella foto con le dita e portandosi al limite della capacita’ cinetica della struttura in esame (vedi sequenza fotografica sotto).

NB:prima del recoil occorre aumentare leggermente la pressione (per essere

al punto limite della capacita’ cinetica della struttura). Occorre inoltre dare il

comando di interruzione della inspirazione o espirazione una frazione di

secondo prima di eseguire il recoil.

TEST E CORREZIONE SUL CRANIO (CON RECOIL)

Come mostrato nelle foto sotto, la mano testimone si posiziona a livello

toracico. Si procede con il test generale a livello cranico con mano “check”

dapprima occipitale, poi parietale ed infine frontale. Una volta trovato una

zona di lesione di tensegrita’, svolgo un test piu’ accurato per individuare il

punto preciso della lesione (vedi foto sotto in alto a dx).

Trovato il punto preciso cerco di individuare la direzione esatta della lesione

(foto sotto in basso a sn) e se la lesione si manifesta piu’ in inspirazione o in

espirazione.

CORREZIONE(foto sotto in basso a dx):con i pollici sovrapposti l’op.si

posiziona sul punto della lesione, nella direzione della lesione e con la

pressione al massimo delle possibilita’ cinetiche della zona. Poi in una fase

respiratoria corrispondente alla lesione si comanda il blocco della resp.del

paziente, si aumenta molto leggermente per una frazione di secondo la

pressione e si rilascia con estrema rapidita’ (recoil).

CORREZIONE CON SOLA TENSIONE

I test visti all’inizio della parte pratica possono essere trasformati in tecniche

di correzione. Con le prese gia’ viste nei tests mantengo la tensione

aggiungendo una leggerissima trazione in piu’, per 30 secondi. Importante

che la tensione sia focalizzata sul punto in disfunzione (vedi foto sotto).

Dopo il mantenimento dei 3” di tensione i legamenti periarticolari perderanno

la tensione anomala . A questo punto, dopo i 30”, percepiremo un

“avvitamento” e allora aggiungeremo una lievissima trazione in piu’. Avremo

quindi il rilasciamento, e lasceremo “riposare” la zona per 30” prima di

toccarla ancora.

Dobbiamo fare attenzione a non avere impatti troppo forti sui pazienti,

causando reazioni psico emozionali eccessive, facendo particolare attenzione

ai livelli D2 e D3.

Nel trattamento sopra descritto semplicemente individuiamo una zona

disarmonica, la mettiamo in tensione leggermente di piu’ e la lasciamo

riarmonizzare.

RAPPORTI TRA TENSEGRITA’ E

OSTEOPATIA:

- La tensegrita’ non fa parte

dell’osteopatia classica

- La tensegrita’ e’ un approccio di tipo

osteopatico

- La tensegrita’ non e’ solamente un

approccio osteopatico

TECNICA DI CORREZIONE CON UTILIZZO DI UN FULCRO Ora potenziamo la tecnica correttiva utilizzando un fulcro. Con paziente prono vado con i palmi sotto alle scapole ed approccio le dorsali con le mani come mostrato nelle foto sotto, ovvero l’appoggio delle dita sul lettino mi permette di creare un fulcro. Una volta individuato il livello in disfunzione valuto sui parametri E/F, S dx/sn, R dx/sn in quali la lesione di tensegrita’ si manifesta maggiormente. Utilizzando il fulcro aumento leggermente la pressione (“aumento di un grammo”) in senso correttivo, quindi contro i parametri disfunzionali (tecnica di correzione diretta) ed attendo il rilasciamento dei tessuti (diversamente attendo i 30 secondi gia’ detti). NB: nelle foto sotto la tecnica e’ mostrata su paziente supino solo per mostrare la posizione delle mani!

TRATTAMENTO DELLA TIBIA Noteremo che le risposte dei tessuti ossei anche dal punto di vista della tensegrita’, quindi della tensione, danno risposte diverse dai tessuti molli. Inoltre le risposte del tessuto osseo sono molto lente. Seduto con paziente supino, impugno una tibia come mostrato nella foto, inducendo una rotazione esterna con la mano cefalica e una rotazione interna con quella caudale, aggiungendo una componente di “avvicinamento” delle mani (“stringere lo straccio”), cioe’ aumentando la compressione.

Ascolto i movimenti che mi compaiono sotto alle mani. Poi mi sposto all’altro lato del paziente e testo l’altra tibia, dopodiche’ comparo le risposte: la tibia meno mobile, con meno vitalita’, e’ quella che richiede il mio intervento. CORREZIONE: aumento il parametro di compressione (“avvicinamento” delle mani) e di rotazione (sempre RI caudale/distale e RE cefalica/prossimale)ed attendo un cambio della risposta dei tessuti. Tecnica molto utile dopo fratture!!

2° PARTE (09/11 APRILE 2011)

CONCETTO VERTEBRALE IN TENSEGRITA’

Il ruolo del disco e’ di ripartire non verticalmente ma in tutte le direzioni le

sollecitazioni che riceve. Nicholson ha svolto studi in questo senso.

Secondo gli studi di Roth L2 non sostiene L1 ma L1 si appoggia su L2, o

meglio e’ sospesa sopra L2. Un ruolo importante e’ svolto dai legamenti delle

articolazioni interapofisarie. I legamenti vanno da L1 a L2 secondo il concetto

di tensegrita’.

Come nel ginocchio: il film di sinoviale articolare rappresenta il disco. Infatti in

un ginocchio in situazione fisiologica non vediamo mai femore e tibia in

contatto. Sono stati fatti studi e si e’ visto che neppure il femore trasmette le

tensioni verticalmente sui piatti tibiali. Il movimento ricordiamo che in

tensegrita’ e’ la possibilita’ di variare la tensione.

Sul concetto di appoggio vertebrale in tensegrita’ sono state costruite delle

tecniche riabilitative, consistenti nel far prendere coscienza al paziente

dell’appoggio di una vertebra sull’altra e del movimento di queste vertebre e

poi muoversi di conseguenza autocorregendosi.

Per correggere ci sono diverse modalita’: ad esempio vado a bloccare L2 e

vado poi a mobilizzare L1 di alcuni gradi in tutte le possibilita’ di movimento

vertebrale (F,E, R ed S) muovendo il paziente con una mano sul capo. Di ciò

il paziente deve prendere coscienza e poi lui eseguira’ la mobilizzazione

bloccando lui stessa la vertebra sottostante. Tutto questo e’ semplice quando

l’operatore vede il paziente tutti i giorni, piu’ difficile quando si vede

saltuariamente il paziente.

Nel test sulle vertebre vado a testare

tutte le direzioni di movimento,

inducendo micromovimenti. Se trovo

una restrizione di movimento

importante vado a correggerla in

induzione separatamente dalle altre,

se trovo lesioni minori posso

correggerle insieme.

Importante, in armonia con il concetto di T., e’ di mobilizzare globalmente,

quindi in tutte le direzioni.

Ricapitoliamo quanto fatto a livello vertebrale:

1- Test in R globale del tronco con paziente in piedi, eventualmente con

aggravazione in compressione ponendo la mano sul capo del paziente,

per individuare il tratto con R limitata e in generale con minore mobilita’.

2- Test con delicata compressione delle spinose per individuare il punto

che maggiormente perturba il sistema

3- Test sulla mobilita’ nelle varie direzioni della vertebra individuata con il

test 2 e correzione bloccando la sottostante, educando il paziente

all’autocorrezione.

IL PIEDE

Articolazioni TT e sottoastrgalica

Come mostrato nelle foto sotto impugno il piede e testo dapprima la TT e poi

la sottoastragalica. Testo la liberta’ di movimento nella varie direzioni

rispettando la direzione dell’interlinea articolare. Ricordiamo che il movimento

della sottoastragalica e’ piu’ “corto”.

Una volta individuata una direzione di movimento limitata, la metto in

tensione e aspetto. Avro’ dapprima una tensione di reazione dei tutti i

legamenti, che si riequilibreranno. Una volta avvenuto questo riequilibrio

percepiro’ un rilasciamento: la correzione e’ fatta.

Nella foto sopra a dx la presa per la TT, sotto a sn per l’art.sottoastragalica.

NB: Gli assi di TT e sottoastragalica non sono paralleli (vedi foto sopra in

basso a dx) e di questo dovro’ tenere conto durante test e correzione.

NB: Nel test/correzione della TT i pollici sono posizionati tra testa e collo

astragalico e premono, mentre quando testo la sottoastrag.i pollici non fanno

alcuna pressione, ma la presa e’ resa salda dagli indici (in caso contrario

testerei le 2 articolazioni insieme). Notare nella 2° e 3° foto sopra le due

differenti impugnature del piede.

NB: in caso di lassita’ legamentosa, se ho squilibri li trovero’ piu’ “lontano” ma

li trovero’.

NB:se non trovo problemi su questi assi (orizzontali) andro’ a cercare

disfunzioni sugli assi verticali.

IL PIEDE: articolazioni di Lisfranc e Chopart

Vado in presa come mostrato nelle foto sotto in presa sui metatatarsi: con

uno spostamento all’indietro del corpo testo dapprima l’interlinea di Lisfranc

(art.tarso/metatarsale ), aumentando leggermente la trazione testo l’interlinea

di Chopart.

Al test di Lisfranc con una lieve rotazione del corpo dell’operatore “apro” la

parte esterna dell’articolazione e testo, poi faccio lo stesso con la parte

interna. Nel caso in cui trovassi una restrizione di mobilita’, aggiungo una

lieve trazione in piu’, aspetto dopo la restrizione il riequilibrio ed il

rilasciamento dei legamenti.

NB: con i pollici in presa e’ necessario

differenziare ed allargare la zona tra 1° e 2°

met.da un lato (la parte responsabile della

mobilita’) e 3°-4°-5° met.dall’altro (la zona

responsabile della solidita’ dell’appoggio).

Una riprova di cio’ e’ la rotazione mediale del 2° metatarso rilevata dagli

antropologi nel passaggio dalla stazione quadrumane a quella bipede dei

primi ominidi.

Passo poi a testare l’articolazione di Chopart (vedi foto sotto a sn).In questo

caso e’ importante prima “salire” per portarsi sull’interlinea

astragalo/scafoidea, poi “scendere” e quindi portarsi sull’articolazione

calcagno/cuboidea. Importante decoattare il cuboide dallo scafoide,

mobilizzandolo in alto ed in basso (vedi foto sotto a dx). Ricordiamo che il

cuboide non appoggia direttamente a terra ma e’ un osso “sospeso” da

numerosi ed importanti legamenti, poiche’ la sua “sospensione” aumenta

l’azione ammortizzante del piede.

Da notare inoltre che l’andamento delle interlineee articolari e la loro

irregolarita’ ricalcano l’andamento del carico durante la marcia: il carico parte

esterno nell’appoggio calcaneare, attraversa il medio piede seguendo

l’interlinea di Chopart per poi divenire mediale (mobilita’) quando il piede alla

fine della rullata lascia il suolo.

LA MEMBRANA INTEROSSEA

Le fibre della membrana interossea sono intrecciate. In una visione di

tensegrita’ consideriamo tibia e perone come segmenti rigidi e la membrana

come elemento mobile, come se si trattasse di un’articolazione.

Fisseremo un elemento, la tibia, in RI con una dorsiflessione del piede ed

andremo a mobilizzare il perone con un movimento a stantuffo, con ADD e

ABD. Poi fisseremo la tibia con una flessione plantare del piede (tibia in RE)

e mobilizzeremo a stantuffo il perone, sempre con ADD/ABD.

Il movimento a stantuffo del perone nei 2 casi va a mobilizzare la membrana

interossea nelle direzioni delle fibre, liberando i punti di passaggio vasculo

nervosi.

Come mostrato nelle foto sopra, la mano superiore decoatta la testa

peroneale. La mano inferiore con l’aiuto della gamba induce il movimento a

pistone nelle 2 modalita’.

IL GINOCCHIO

LLI

Operatore seduto su un lettino basso. Ginocchio del paziente in leggera

flessione. Induco una lieve abd dell’emirima artcolare ed una lieve RI, per

porre in tensione il LLI. Se trovo una lesione aumento la tensione di poco,

attendo la contrazione ed il successivo rilasciamento – dopo il riequilibrio- del

tessuto legamentoso.

LLE

Ricordiamo l’orientamento del LLE. L’operatore induce decoattazione e

traslazione esterna, marcata RE. In caso di lesione induco un lieve aumento

di tensione (“+ 1 grammo”) attendo contrazione dei tessuti e successivo

riequilibrio e rilasciamento. Per mettere in tensione il legamento si utilizza lo

spostamento in avanti del busto (vedi foto sotto a dx).

LCA/LCP

E’ un legamento molto forte. Le inserzioni sono in realta’ quasi sulla stessa

verticale.

L’operatore si dispone come gia’ visto. Induco per testare i parametri di

decoattazione mettendo in tensione i legamenti nelle direzioni mostrate nelle

foto sotto, ovviamente diverse per i 2 legamenti. Se rilevo una lesione –

ovvero uno stato di tensione non fisiologico- lo tratto come gia’ visto,

aumentando di poco la messa in tensione, ecc.ecc.

Nella foto della riga sopra a dx e’ mostrata la direzione della trazione per

testare e trattare il LCA, in quella subito qui sopra la direzione per il LCP.

L’arto deve essere flesso a circa 30°.

I LEGAMENTI CONIUGATI

Vanno dai corni anteriori dei menischi al bordo antero superiore del piatto

tibiale. Nei calciatori sono spesso in sofferenza, in particolar modo il mediale.

Come mostrato nella foto sotto prendo contatto con il legamento sul margine

tibiale e con l’altra mano fisso il femore. Per testare metto in tensione

trazionando il legamento (e trazionando caudalmente la tibia)aumentando la

flessione del ginocchio (vedi foto sotto a dx). Questo perche’ il menisco oltre

un certo grado di flessione si sposta indietro, trazionando quindi verso dietro i

legamenti coniugati. Se c’e’ lesione tratto al solito modo.

TECNICA GLOBALE PER IL GINOCCHIO

Unisce le tecniche precedenti un un’unica sequenza.

Primo fattore da indurre e’ la separazione (decoattazione femoro/tibiale). Poi

induco sulla tibia arretramento, trasl.interna e RI e testo cosi’ il LLI. Lascio

tornare il ginocchio al punto neutro. Poi ancora decoattazione, induco

trasl.esterna, anteriorizzazione tibiale e una discreta RE e testo il LLE.

Lascio tornare il ginocchio al punto neutro. Poi anteriorizzazione, leggero

grado di RI e trazione nella direzione del legamento per il LCA .Test e

normalizzazione come gia’ visto.

Per il LCP discreta RE, separazione

antero esterna della tibia e trazione

nella direzione del legamento

Per i legamenti coniugati presa di

contatto del legamento e traziono

verso il basso aumentando il grado di

flessione del ginocchio.

LA MEMBRANA OTTURATORIA

Le diverse fibre connettivali della membrana interossea esercitano delle

trazioni sui bordi della membrana, rilevabili dalle dissezioni anatomiche.

Questo ci porta a concludere che permane una residua capacita’ di mobilita’

tra ileo, ischio e pube. Il bacino e’ composto da tre ossa che mantengono

elasticita’ nello spazio grazie a linee curve. Tratteremo la cresta iliaca, la

tuberosita’ ischiatica e la branca pubica.

Tecnica tra cresta iliaca e tuberosita’ ischiatica (ileo e ischio)

Come mostrato nella foto sotto, con movimento nelle 3 direzioni dello spazio

“apro” tra cresta iliaca e ischio,accompagnando l’iliaco in rotazione

posteriore, e “richiudo”. Nel momento in cui trovo una barriera aggiungo una

leggera pressione(“apertura”) in piu’, aspetto il momento di reazione dei

legamenti che poi si adattano e si rilasciano. Notare il particolare delle mani

che “aprono” lo spazio tra cresta iliaca e tuberosita’ ischiatica.

Importante che il rilascio dopo la tecnica sia lento e dolce.

L’appoggio della mano dovra’ essere avvolgente ed accompagnare l’iliaco in

rotazione posteriore, senza premere sulle spine iliache.

Tecnica tra ileo e pube

Normalmente ileo e pube ruotano nello stesso senso. Nella tecnica andiamo

ad indurre una sollecitazione rotatoria non fisiologica per stimolare l’elasticita’

delle fibre, come mostrato nella foto sotto. Ileo e pube vengono “allontanati”

con un movimento rotatorio ma non direttamente separati, e’ importante.

Molta attenzione e delicatezza quando trattiamo il pube nelle donne dopo il

parto. La foto sotto a dx mostra il movimento che viene indotto sulle due

ossa. Il pube viene “ruotato”verso il piede opposto.

Questa tecnica e’ applicabile anche nel trattamento delle pubalgie.

Tecnica tra ischio e pube

E’ la tecnica piu’ semplice ma puo’ essere dolorosa per il paziente. Se

mobilizzo le ossa fino al limite abituale, quello entro cui lavorano di solito, non

c’e’ dolore, ma se per stimolare la struttura vado un po’ oltre guadagno in

efficacia ma la tecnica puo’ risultare dolorosa.

Sempre con operatore dal lato opposto a quello da trattare, una mano

impugna in maniera salda l’ischio, in particolare la tuberosita’ ischiatica, ed

induce una rotazione verso l’esterno, mentre l’altra come mostrato nella foto

sotto va sul pube, su cui induce una rotazione verso avanti/basso

(immaginiamo con le due mani di “aprire” il coperchio di un barattolo).

Possiamo eseguire le 3 tecniche sul bacino in sequenza come mostrato nelle

foto sotto. Ricordiamo che queste tecniche risultano efficaci anche sulla

membrana interossea.

Da sn a dx: ileo/ischio, ileo/pube e pube/ischio.

Importante ricordare che la mano pubica non deve schiacciare il pube verso il

basso ma indurre sul pube stesso una rotazione sul suo asse.

Per migliorare la propriocettivita’ del sistema

vado in compressione sulla sinfisi pubica,

faccio respirare il paziente, 10” di apnea, faccio

espirare ed inspirare, ancora 10” di apnea,

durante i quali aumento molto lentamente la

pressione, poi il paz.riprende la respirazione

normale e l’operatore diminuisce lentamente la

pressione. La tecnica termina quando

l’op.avverte l’elasticita’ dei tessuti che lo spinge

via.

E’ opportuno utilizzare questa tecnica una sola

volta.

L’ARTICOLAZIONE COXO-FEMORALE

Nel trattare l’anca occorre considerare

con attenzione le linee di forza attraverso

cui si distribuisce il carico nel bacino

Il trattamento proposto tratta separatamente i legamenti dell’art.coxo-

femorale.

Trattamento del legamento di Bertin

L’operatore si dispone seduto come mostrato nella foto sotto. Attenzione che

il braccio- caudale- in presa sull’arto non induca rotazioni fastidiose per il

ginocchio del paziente. La decoattazione viene indotta con la mano in presa

vicino all’articolazione mentre la manovra vera e propria avviene soprattutto

con una rotazione del busto dell’operatore.

Leg pubo-femorale

Questo legamento limita l’ABD e la RE.

Occore che l’op.sia seduto a livello del ginocchio. Non occorre ruotare il

busto: e’ sufficiente appoggiarsi sul braccio in presa vicino all’articolazione.

Le 2 foto sopra mostrano la posizione di partenza e quella di arrivo per il

trattamento del legamento pubo femorale.

Trattamento del legamento ischio-femorale

Questo legamento limita la RI. Nella manovra dapprima si sollevano la testa

ed il collo femorale, con la gamba dell’operatore, poi li si porta in abd

(rotazione del busto dell’operatore) e poi li si decoatta (spostamento indietro

del busto dell’op.).

Nella foto sopra a dx la prima fase della manovra: sollevamento dell’arto e

spinta della mano sulla coscia verso l’esterno.

Nelle foto sopra 2° e 3° fase della manovra. Ogni fase e’ rivolta in particolare

ad uno dei 3 fasci del leg.ischio-femorale.

ARMONIZZAZIONE DELLE FORZE DI COMPRESSIONE

Dapprima l’op.si posiziona per indurre una anteriorizzazione dell’iliaco

(facciamo riferimento al lungo braccio della SI), poi mette compressione

assiale sul femore e valuta se c’e’ elasticita’.

Poi come mostrato nella foto sotto l’op.si porta sul corto braccio della Si

(inducendo spinta verso il basso) e sull’art.coxo femorale(trazione) . Con uno

sbilanciamento avanti/rotazione del busto l’op.va su una o l’altra di queste

componenti e si porta al limite dell’elasticita’. Trovata una barriera, la tratta

come abbiamo gia’ visto in tensegrita’.

LA CERNIERA LS E LE ARTICOLAZIONI SI

Anche a livello di cerniera LS e di SI agiremo secondo lo stesso principio:

mettiamo in tensione i legamenti in disfunzione, aggiungiamo pressione e

dopo la fase di restrizione avvertiremo il rilasciamento.

TRATTAMENTO DELLA SI

L’op.si posiziona, dal lato opposto a quello da trattare, come mostrato nella

foto sotto: dapprima fissa l’iliaco in anteriorizzazione e traziona il sacro verso

il lato opposto per mettere in tensione il leg.di Zaglas, con una componente di

flessione (meccanica) sacrale. Poi con sacro in posizione neutra ma

trazionato sempre verso il lato opposto passa sul leg.assile. infine

inducendo una trazione del sacro un po’ piu’ verso il basso ma sempre verso

il lato opposto e portandolo in estensione mette in tensione il leg.di Bichat.

Per i leg.sacro tuberosi si incrementa il parametro di inflare dell’iliaco e la

porzione inferiore del sacro viene ulteriormente traslata verso l’altro lato.

IL CINGOLO SCAPOLO OMERALE

La cintura scapolare e’ appoggiata sul torace. L’appoggio anteriore e’ a livello

dell’art.sterno/clavicolare, importante per la presentazione dell’arto.

Perche’ il sistema sia stabile occorre che i punti di appoggio siano stabili. In

senso verticale la tenuta anteriormente e’ data dal legamento sterno costo

clavicolare (o leg.costo-clavicolare, vedi disegno sopra) pressoche’ verticale.

Gehin inizia con un test di ingresso sul cingolo scapolo omerale: presa come

mostrato nella foto sotto. Viene abbassata la spina scapolare (pollici)

bilateralmente e si compara tra dx e sn. Poi si abbassa la 1° costa e questo

x tensione legamentosa abbassa anche la clavicola.. Poi si esercita una

pressione sulla coracoide ed infine si induce una rotazione interna delle due

scapole ed una RE delle teste omerali.

Con questo test di ingresso G.riesce a valutare quale leg.e’ in disfunzione.

LEG. INTERCLAVICOLARE E LEG.DELL’ART.STERNO/CLAVICOLARE

Viene dapprima indotta una separazione tra le due clavicole: se trovo

tensione tratto in tensegrita’ ( foto sotto a dx).

Poi fissando lo sterno induco una rotazione anteriore sulla clavicola, quindi

una rotazione posteriore ( foto sotto a sn). Se trovo disfunzioni tratto

monolateralmente con la solita tecnica. Quindi ritesto e comparo dx e sn.

Successivamente Gehin abbassa con l’indice, come mostrato nella foto sotto,

la 1° costa, mettendo cosi’ in tensione il leg.costo/clavicolare. In caso di

disfunzione solita tecnica di trattamento, ricordando di dare il tempo

necessario per avere la reazione dei tessuti!

La clavicola e’ un osso con una certa elasticita’. Con la prossima manovra

andremo a testare e trattare proprio l’elasticita’ della clavicola, sapendo fin

d’ora che nel passaggio dai 2/3 interni al terzo esterno trovero’ una densita’

differente. Il tp.si posiziona come mostrato nella foto sotto, con indice e medio

che seguono il bordo dell’osso, e trazionando e mobilizzando le estremita’

clavicolari testa la flessibilita’ dell’osso partendo dal terzo interno e

procedendo verso l’esterno. Il movimento non e’ di trazione ma di

“piegamento” dell’osso.

Possiama testare e trattare l’elasticita’ tra la parte interna e la parte esterna

della clavicola come mostrato nelle foto sotto. Il test consiste nel valutare se

fino ad un certo grado di ABD del braccio del paziente percepisco un

sollevamento dela parte esterna della clavicola ma non della parte interna,

grazie alla flesssibilita’ dell’osso. Se trovo una disfunzione passo a trattare

con la solita tecnica, ripristinando l’elasticita’ dell’osso. E’ una tecnica molto

utile dopo traumi e/o fratture alla clavicola.

ARTICOLAZIONE ACROMIO/CLAVICOLARE E LEG CONOIDE

L’op.alle spalle del paz.si posiziona con gli indici sui capi articolari

dell’art.acromio/clavicolare e testa l’elasticita’ della struttura e tratta in caso di

disfunzione. Nella prima fase della tecnica (foto sotto a sn) si decoatta

l’articolazione, allontanando e ruotando i 2 capi articolari

Secondo G.ogni disfunzione dei legamenti acr/clav., soprattutto per cio’ che

riguarda la porzione orizzontale dei legamenti, avviene per la mancata

protezione dell’articolazione da parte del legamento conoide, che quindi

andra’ trattato.

Per trattare il leg.conoide la mano esterna dell’op.si posiziona sul bordo

distale della clavicola, la mano interna si posiziona sulla proiezione della

coracoide. Il trattamento, secondo le consuete modalita’, avviene inducendo

una rotazione esterna dell’omero e dell’estremo clavicolare con la mano

esterna, fissando con la mano interna la coracoide (foto sopra a sn).

IL LEG TRAPEZOIDE

L’op.alle spalle del paziente si

posiziona con la mano esterna sulla

proiezione della coracoide e sulla

spalla, con la mano interna “aggancia”

da sotto il margine claveare esterno. In

caso di rigidita’, solito: messa in

tensione, aggiunta di lieve trazione in

piu’, attesa e rilasciamento.

LEG GLENO/OMERALI

Operatore alle spalle del paziente con la mano esterna impugna il complesso

della spalla, senza stringere eccessivamente, con la mano interna va in presa

su bordo glenoideo/coracoide. La mano esterna induce una rotazione

esterna del complesso della spalla con 1-una componente verso l’alto 2- RE

pura 3- una componente verso il basso, per testare ed eventualmente trattare

i 3 fasci del legamento gleno omerale.

ARTICOLAZIONE GLENO/OMERALE

Nelle disfunzioni della testa omerale nella glenoide trovo piu’ frequentemente

la testa omerale anteriore. Per testare e trattare l’op.si posiziona come

mostrato nella foto sotto e dopo aver fatto punto fisso con la mano interna,

con la mano esterna induce sulla testa omerale nell’ordine:

1-spinta anteriore

2-trazione verso l’esterno aprendo anteriormente (RE) o posteriormente (RI)

3-RI /RE pure

4-spinta posteriore (qui piu’ facilmente rilevera’ disfunzioni).

La correzione dell’anteriorizzazione avverra’ in RE, dell’eventuale

posteriorizzazione la correzione sara’ in RI.

NB: nel 4° punto non si deve dare una spinta continuativa verso dietro, ma

solo un’induzione, un input di movimento, valutando poi la reazione del

tessuto legamentoso.

Gehin termina il lavoro sulla spalla con un

riequilibrio globale (gia’ nota tecnica fasciale

sulla scapola) mostrato nella foto a lato.

LA SFERA VISCERALE

Anche in tensegrita’ dal punto di vista viscerale si considerano gli ambiti di

mobilita’, motricita’ e motilita’.

La mobilita’ viene riferita al movimento, non solo a quello diaframmatico, ma

a tutto il muscolo-scheletrico.

La motricita’ e’ legata ai collegamenti viscero-somatici.

La motilita’ e’ riferita al movimento intrinseco dell’organo, legato al suo

movimento muscolare (viscere) o al suo apparato legamentoso (visc/org.).

Gehin inizia con un test di attrazione: e’ simile all’ascolto viscerale globale ma

con una componente di pressione sicuramente maggiore.

Per quanto riguarda il trattamento, G.”isola” l’O/V da trattare rispetto al resto

del corpo, trattando l’organo o il viscere secondo i suoi assi di movimento,

globalmente o asse per asse se ha rilevato particolari disfunzioni su uno di

essi. Nel caso del fegato, G.tratta i legamenti (foto sotto a dx) e gli assi di

movimento (nella foto sotto a dx e’ mostrato il trattamento di uno degli assi).

Gehin utilizza il seguente protocollo: dapprima con il test di attrazione valuta

quale zona non e’ in tensegrita’ con il resto, poi tratta i piani di scivolamento

dell’O/V trovato in disfunzione, infine tratta l’O/V stesso.

Gian Luca Begni DO-mROI [email protected]