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La Storia di

Don Chisciotte della Manciadi

MIGUEL DECERVANTES SAAVEDRA

PROLOGO

Sfaccendato lettore, potrai credermi senza che te ne facciagiuramento, ch'io vorrei che questo mio libro, come figliodel mio intelletto, fosse il pi bello, il pi galante ed il piragionevole che si potesse mai immaginare; ma non mi fudato alterare l'ordine della natura secondo la quale ognicosa produce cose simili a s. Che poteva mai generare losterile e incolto mio ingegno, se non se la storia d'un figliosecco, grossolano, fantastico e pieno di pensieri varii fraloro, n da verun altro immaginati finora? E ben ci siconviene a colui che fu generato in una carcere, ove ognidisagio domina, ed ove ha propria sede ogni sorta dimalinconioso rumore. Il riposo, un luogo delizioso,l'amenit delle campagne, la serenit dei cieli, il mormorardelle fonti, la tranquillit dello spirito, sono coseefficacissime a render feconde le pi sterili Muse, affinchdiano alla luce parti che riempiano il mondo di maraviglia edi gioia. Avviene talvolta che un padre abbia un figliuolodeforme e senza veruna grazia, e l'amore gli mette agliocchi una benda, sicch non ne vede i difetti, anzi li ha perfrutti di buon criterio e per vezzi, e ne parla cogli amici:come di acutezze e graziosit. Io per, bench sembriesser padre, sono padrino di don Chisciotte, n vo' seguirla corrente, n porgerti suppliche quasi colle lagrime agliocchi, come fan gli altri, o lettor carissimo, affinch tuperdoni e dissimuli le mancanze che scorgerai in questomio figlio. E ci tanto maggiormente perch non gliappartieni come parente od amico, ed hai un'anima tua nel

corpo tuo, ed il tuo libero arbitrio come ogni altro, e te nestai in casa tua, della quale sei padrone come un principede' suoi tributi, e ti noto che si dice comunemente: sotto ilmio mantello io ammazzo il re. Tutto ci ti disobbliga e tiscioglie da ogni umano ricordo, e potrai spiegar sulla miastoria il tuo sentimento senza riserva, e senza timored'essere condannato per biasimarla, o d'averneguiderdone se la celebrerai.

Vorrei per altro, o lettor mio, offrirtela; pulita eignuda, senza l'ornamento di un prologo, e spogliadell'innumerabil caterva degli usitati sonetti, epigrammi, odelogi che sogliono essere posti in fronte ai libri; e ti so direche sebbene siami costato qualche travaglio il comporla,nulla mi diede tanto fastidio quanto il fare questaprefazione che vai leggendo. Pi volte diedi di piglio allapenna per iscriverla, e pi volte mi cadde di mano per nonsapere come darle principio. Standomi un giorno dubbiosocon la carta davanti, la penna nell'orecchio, il gomito sultavolino, e la mano alla guancia, pensando a quello chedovessi dire, ecco entrar d'improvviso un mio amico, uomodi garbo e di fino discernimento, il quale, vedendomi tuttoassorto in pensieri, me ne domand la cagione. Io nongliela tenni celata, ma gli dissi che stava studiando alprologo da mettere in fronte alla storia di don Chisciotte, eci trovavo tanta difficolt, che m'ero deliberato di non farprologo, e quindi anche di non far vedere la luce del giornoalle prodezze di s nobile cavaliere.

Come volete voi mai, soggiuns'io, che non mitenga confuso il pensare a tutto ci che sar per dirnequell'antico legislatore che chiamasi volgo, quando veggache dopo s lungo tempo da che dormo nel silenzio delladimenticanza, ora che ho tant'anni in groppa, esco fuoricon una leggenda secca come un giunco marino, spogliad'invenzione, misera di stile, scarsa di concetti, mancantedi ogni erudizione e dottrina, senza postille al margine, esenz'annotazioni al fine del libro, di che vedo ricche le altreopere, tuttoch favolose e profane, e zeppe di sentenze diAristotele, di Platone, e di tutto lo sciame dei filosofi, ondene avviene che restano meravigliati i lettori, e tengono gliautori nel pi gran conto di dottrina, di erudizione, dieloquenza? Citando la divina Scrittura si fanno crederealtrettanti santi Tommasi e nuovi Dottori della Chiesa,conservando in ci un s ingegnoso decoro che in una rigati rappresentano un innamorato perduto, e nell'altra ti fannoun sermoncino cristiano, ch' una consolazione l'udirli o illeggerli! Deve di tutto ci essere spoglio il mio libro,poich non ho che citare nel margine, o che annotare nelfine, n so di quali autori mi valga il comporlo; e cos nonposso affibbiarveli, come da tutti si pratica, per le letteredell'abbicc, cominciando con Aristotele, e terminando conSenofonte e Zoilo o Zeusi, bench l'uno sia stato unmaldicente, l'altro un pittore. Ha pur il libro mio da mancaredi sonetti al principio, almeno di quelli composti da duchi,marchesi, conti, vescovi, dame o poeti celebratissimi;bench se pregassi di ci due o tre miei amici bottegai, ioso che me li darebbero, e tali da non poter essere superati

da quelli dei pi celebri della nostra Spagna. Insomma,signore e amico mio, soggiunsi, io mi risolvo a lasciar ilsignor don Chisciotte sepolto negli archivi della Mancia,finch il cielo faccia comparir chi lo adorni delle tantequalit che gli mancano, trovandomi io incapace dirimediarvi, attesa la mia insufficienza e la mia scarsaerudizione, ed anche perch sono naturalmente infingardoe lento nell'indagare autori che dicano quello che so direda me medesimo senza la lor dettatura. Di qui ha origine lasospensione e l'umore in cui mi trovaste; e ben devebastare per mettermi a tale stato tutto ci che da me aveteinteso.

All'udir queste cose il mio amico si diede unapalmata nella fronte, proruppe in un alto scoppio di ridere,e disse: Per bacco, fratello, che termino al presente ditogliermi da un inganno in cui son vissuto da che viconosco; giacch vi ho tenuto mai sempre per uomogiudizioso e prudente in tutte le vostre azioni, ed oram'avveggo, che voi ne siete lontano quanto il cielo dallaterra. Com' mai possibile che cose di s poco momento edi s facile rimedio abbiano tal possa da confondere esviare un ingegno s maturo com' il vostro, a cui s agevoleriesce il togliere e superare molto maggiori difficolt? Cideriva in fede mia, non da mancanza di abilit, ma dainfingardaggine, e da poco buon raziocinio. Volete la provadi ci? Statemi attento e vedrete come in un aprire echiuder d'occhio io svento tutte le vostre difficolt, e vengoa rimediare a tutte le mancanze; dalle quali dite essere

tenuto sospeso e avvilito per modo che vi ritraete dal dareal mondo il vostro famosissimo don Chisciotte, lume especchio di tutta la errante cavalleria. Or via, lointerruppi sentendo le sue parole: in qual modo divisate voidi riempire il vto del mio timore e di ridurre a chiarezza ilcaos della mia confusione? Al che soggiuns'egli: Quanto al primo imbarazzo in cui vi trovate a cagione de'sonetti, epigrammi ed elogi che mancano in fronte al vostrolibro, e ch' di mestieri che portino i nomi di personaggigravi e titolati, facile il rimediare. Prendetevi voi stesso labriga di comporli; poscia battezzateli voi medesimo colnome che pi vi talenta attribuendoli al prete Giannidell'India od all'imperatore di Trebisonda, i quali so essereopinione che abbiano avuto il vanto di poeti celebratissimi.Che se ci non vero, e sorgesse per avventura qualchepedante o baccelliere, che mordendovi le calcagnaimpugnasse questa verit, non per questo a voi, convinto dimenzogna, taglierebbero la mano che ha segnato nomicotanto illustri. E quanto al citare in margine libri ed autoriai quali attribuir le sentenze e i detti che vi piacessed'inserire nella vostra storia, basta che voi vi facciatecadere in acconcio alcune sentenze che sappiate amemoria, o che vi costino poca fatica a cercarle. Peresempio, trattando di libert e schiavit:

Non bene pro toto libertas venditur auro;

ed al margine citate Orazio, o chi l'ha detto. Separlerete del potere della morte:

Pallida mors quo pulsat pede

Pauperum tabernas regumque turres.

Se dell'amicizia, o dell'amore che il Signorecomanda di portare a' nemici, eccovi la divina Scrittura chevi somministra le parole di Dio stesso: Ego autem dicovobis: Diligite inimicos vestros. Trattando de' cattivipensieri ricorrete al Vangelo: De corde exeuntcogitationes mal. Se dell'incostanza degli amici, Catonevi somministrer il suo distico:

Donec eris felix, multos numerabis amicos;

Tempora si fuerint nubila, solus eris.

E di tal guisa latinizzando, od in tal'altra maniera,sarete tenuto per grammatico, ci che procura oggigiornonon poco onore e guadagno. Per ci che spetta alleannotazioni da porsi al fine del libro, potete sbarazzarvene

a questo modo. Se nominate nella vostra opera qualchegigante, supponetelo il gigante Golia: questo solo (chepoco vi costa) v'apre il campo ad un'ampia annotazionedicendo: Il Gigante Golia fu un Filisteo il quale venneucciso con un gran colpo di pietra dal pastore Davidenella valle di Trebinto, secondo ci che si legge nel librodei Re nel capitolo ove vedrete che questo sta scritto. Permostrarvi poi uomo erudito nelle umane lettere, ed anchecosmografo, fate in modo che nella vostra storia si nomini ilfiume Tago, e qui si aprir il campo ad un'altra famosaannotazione dicendo: Al fiume Tago diede il nome un redelle Spagne, nasce nel tal luogo, e muore nel mareOceano, bagnando le mura della famosa citt di Lisbona,e credesi abbia le arene d'oro, ecc. Dovendo parlar diladroni, vi dir la storia di tanti, ma celebrati dal maggiornumero: che se tanto vi riuscir di fare non avreteconseguito poco.

Io me ne stavo ascoltando con profondo silenzio ciche mi si dicea dall'amico, e tanto poterono sopra di me lesue ragioni che, senza altro dire, gliele menai tutte buone:anzi le feci servire di fondamento a questo prologo, nelquale riscontrerai, o delicato lettore, il retto discernimentodell'amico mio, e la buona ventura nell'essermi a questitempi avvenuto in s utile consigliere quando trovavamiirresoluto e indeciso. Tu n'avrai certo gran compiacenzanel leggere cos ingenua e cos pura la storia del famosodon Chisciotte della Mancia, il quale, per la fama che correfra tutti gli abitanti del distretto del Campo di Montiello, fu

l'innamorato pi casto, ed il pi valente cavaliere, che datanti anni in qua comparisse in que' dintorni; n io voglioesagerarti il servigio che ti fo nel darti a conoscere scelebre e onorato campione. Bramo per d'incontrare il tuogradimento per la conoscenza che ti far fare anche delfamoso Sancio Pancia suo scudiere, nel quale, a mioavviso, troverai congiunte tutte le disgrazie scudierili ches'incontrano sparse nella caterva degli inutili libri dicavalleria. Dio ti conservi in salute, e non mi porre indimenticanza. Sta sano.

CAPITOLO I

DELLA CONDIZIONE E DELLE OPERAZIONI DEL RINOMATOIDALGO DON CHISCIOTTE DELLA MANCIA.

Viveva, non ha molto, in una terra della Mancia, chenon voglio ricordare come si chiami, un idalgo di quelli chetengono lance nella rastrelliera, targhe antiche, magroronzino e cane da caccia. Egli consumava tre quarte partidella sua rendita per mangiare piuttosto bue che castrato,carne con salsa il pi delle sere, il sabato minuzzoli dipecore mal capitate, lenti il venerd, coll'aggiunta di qualche

piccioncino nelle domeniche. Consumava il resto perornarsi nei giorni di festa con un saio di scelto panno dilana, calzoni di velluto e pantofole pur di velluto; e nelrimanente della settimana faceva il grazioso portando unvestito di rascia della pi fina. Una serva d'oltrequarant'anni, ed una nipote che venti non ne compivaconvivevano con esso lui, ed eziandio un servitore da citte da campagna, che sapeva cos bene sellare il cavallocome potare le viti. Toccava l'et di cinquant'anni; forte dicomplessione, adusto, asciutto di viso; alzavasi di buonmattino, ed era amico della caccia. Vogliono alcuni cheportasse il soprannome di Chisciada o Chesada, nel chediscordano gli autori che trattarono delle sue imprese; maper verosimili congetture si pu presupporre che fossedenominato Chisciana; il che poco torna al nostroproposito; e basta soltanto che nella relazione delle suegesta non ci scostiamo un punto dal vero.

Importa bens di sapere che negli intervalli di temponei quali era ozioso (ch'erano il pi dell'anno), applicavasialla lettura dei libri di cavalleria con predilezione sdichiarata e s grande compiacenza che obbli quasiintieramente l'esercizio della caccia ed anche il governodelle domestiche cose: anzi la curiosit sua, giunta allamana d'erudirsi compiutamente in tale istituzione, loindusse a spropriarsi di non pochi dei suoi poderi a fine dicomperare e di leggere libri di cavalleria. Di questamaniera ne rec egli a casa sua quanti gli vennero allemani; ma nissuno di questi gli parve tanto degno d'essere

apprezzato quanto quelli composti dal famoso Feliciano deSilva, la nitidezza della sua prosa e le sue artifizioseorazioni gli sembravano altrettante perle, massimamentepoi quando imbattevasi in certe svenevolezze amorose, ocartelli di sfida, in molti dei quali trovava scritto: La ragionedella nissuna ragione che alla mia ragione vien fatta,rende s debole la mia ragione che con ragione mi dolgodella vostra bellezza. E similmente allorch leggeva: Glialti cieli che la divinit vostra vanno divinamentefortificando coi loro influssi, vi fanno meritevole del meritoche meritatamente attribuito viene alla vostra grandezza.

Con questi e somiglianti ragionamenti il poverocavaliere usciva del senno. Pi non dormiva per condursi apenetrarne il significato che lo stesso Aristotele nonavrebbe mai potuto deciferare, se a tale unico oggettofosse ritornato tra i vivi. Non gli andavano gran fatto asangue le ferite che dava e riceveva don Belianigi,pensando che di buon diritto nella faccia e in tutta lapersona avessero ad essergli rimaste impresse e vestigiae cicatrici, per quanto accuratamente foss'egli statoguarito; ma nondimeno lodava altamente l'autore perchchiudeva il suo libro con la promessa di quellainterminabile avventura. Fu anche stimolato le molte voltedal desiderio di dar di piglio alla penna per compierequella promessa; e senz'altro l'avrebbe fatto giungendo alloscopo propostosi dal suo modello; se distratto nonl'avessero pi gravi ed incessanti divisamenti. Ebbe aquistionar pi volte col curato della sua terra (uomo di

lettere e addottorato in Siguenza) qual fosse stato migliorcavaliere o Palmerino d'Inghilterra, o Amadigi di Gaula; eraperaltro d'avviso mastro Nicol, barbiere di quel paese,che niuno al mondo contender potesse il primato alcavaliere del Febo, e che se qualcuno poteva competercon lui, questi era solo don Galeorre fratello di Amadigi diGaula, da che nulla fu mai d'inciampo alle sue arditeimprese; e non era s permaloso e piagnone come ilfratello, a cui poi non cedeva sicuramente in valore. Insostanza quella sua lettura lo port siffattamenteall'entusiasmo da non distinguere pi la notte dal d, il ddalla notte; di guisa che pel soverchio leggere e per il pocodormire gli s'indebol il cervello, e addio buon giudizio. Altronon presentavasi alla sua immaginazione cheincantamenti, contese, battaglie, disfide, ferite, concettiaffettuosi, amori, affanni ed impossibili avvenimenti: e a taleccesso pervenne lo stravolgimento della fantasia, cheniuna storia del mondo gli pareva pi vera di quelle ideateinvenzioni che andava leggendo. Sosteneva egli che il CidRui Diaz era stato bens valente cavaliere, ma che doveaceder la palma all'altro dall'ardente spada, il quale d'unsolo manrovescio avea tagliati per mezzo due feroci esmisurati giganti. Pi gli piaceva Bernardo del Carpio peravere egli ucciso in Roncisvalle l'incantato Roldano,valendosi dell'accortezza d'Ercole allorch soffoc fra lesue braccia Anteo figlio della Terra. Celebrava il giganteMorgante perch discendendo egli da quella gigantescagena, che non d che scostumati e superbi, pure egli soloporgevasi affabile e assai ben creato. Dava per a Rinaldo

di Montalbano sopra ad ogni altro la preferenza, esegnatamente quando lo vedeva uscire dal suo castello, afar man bassa, di quanto gli capitava alle mani, derubandoin Aglienda quell'idolo di Maometto che era tutto d'orosecondoch riferisce la sua storia. Avrebbe egli sacrificatala sua serva, e di vantaggio pur la nipote alla smania chetenea d'ammaccare a furia di calci il traditor Ganelone.

In fine perduto affatto il giudizio, si ridusse al pistrano divisamento che siasi giammai dato al mondo. Gliparve conveniente e necessario per l'esaltamento delproprio onore e pel servigio della sua repubblica di farsicavaliere errante, e con armi proprie e cavallo scorreretutto il mondo cercando avventure, ed occupandosi negliesercizii tutti dei quali aveva fatto lettura. Il ripararequalunque genere di torti, e l'esporre s stesso ad ognimaniera di pericoli per condursi a glorioso fine, doveanoeternare fastosamente il suo nome; e figuravasi ilpover'uomo d'essere coronato per lo meno imperadore diTrebisonda in merito del valore del suo braccio. Immerso intali deliziosi pensieri, ed alzato all'estasi dalla straordinariasoddisfazione che vi trovava, si diede la pi gran frettaonde porli ad esecuzione. Applicossi prima di tutto a farlucenti alcune arme di cui si erano valsi i bisavoli suoi, eche di ruggine coperte giacevano dimenticate in uncantone: le ripul e le pose in assetto il meglio che gli fupossibile, poi s'accorse ch'era in esse una essenzialemancanza, perocch invece della celata con visiera, eravisolo un morione; ma; suppl a ci la sua industria facendo

di cartone una mezza celata, che unita al morione piglil'apparenza di celata intera. Egli vero che per metterne aprova la solidit trasse la spada, e vi diede due colpi colprimo dei quali, in un momento solo, distrusse il lavoro chel'aveva tenuto occupato una settimana; n gli and allora agrado la facilit con cui la ridusse in pezzi; ma ad oggettoche non si rinnovasse un tale disastro, la rifececonsolidandola interiormente con cerchietti di ferro, e restcos soddisfatto della sua fortezza che senza metterla anuovo cimento rinnovando la prova di prima, la ebbe inconto di celata con visiera di finissima tempra.

Si rec da poi a visitare il suo ronzino, e benchavesse pi quarti assai d'un popone e pi malanni che ilcavallo del Gonella che tantum pellis et ossa fuit gliparve che non gli si agguagliassero n il Babieca del Cid,n il Bucefalo di Alessandro. Impieg quattro giorninell'immaginare con qual nome dovesse chiamarlo, ediceva egli a s stesso che sconveniva di troppo che uncavallo di cavaliere s celebre non portasse un nomefamoso; e andava perci ruminando per trovarne uno chespiegasse ci che era stato prima di servire ad uncavaliere errante, e quello che andava a diventare. Era benragionevole che cambiando stato il padrone, mutassenome anche la bestia, ed uno gliene fosse applicatocelebre e sonoro; e quindi dopo aver molto fra sproposto, cancellato, levato, aggiunto, disfatto e tornato arifare sempre fantasticando, stabil finalmente di chiamarloRonzinante, nome a quanto gli parve, elevato e pieno di

una sonorit che indicava il passato esser suo ronzino, eci ch'era per diventare, vale a dire, il pi cospicuo tra tutti ironzini del mondo.

Stabilito con tanta sua soddisfazione il nome alcavallo, s'applic fervorosamente a determinare il proprio,nel che spese altri otto giorni, a capo dei quali si chiamdon Chisciotte. Da ci, come fu detto gi prima, trasseroargomento gli autori di questa verissima storia, che debbaessa chiamarsi indubitamente Chisciada e non Chesada,come ad altri piacque denominarla. Si risovvenne il nostrofuturo eroe che il valoroso Amadigi non erasi limitato achiamarsi Amadigi semplicemente, ma che affibbiato viaveva il nome del regno e della patria, per sua pi grandecelebrit, chiamandosi Amadigi di Gaula. Dietro sautorevole esempio, come buon cavaliere decised'accoppiare al proprio nome quello pur della patria, echiamarsi don Chisciotte della Mancia, con che, a parersuo, spiegava pi a vivo il lignaggio e la patria, e davaleonore col prendere da lei il soprannome.

Rese di gi lucide l'arme sue, fatta del morione unacelata, stabilito il nome al ronzino, e confermato il proprio,si persuase che altro a lui non mancasse se non se unadama di cui dichiararsi amoroso. Il cavaliere errante senzainnamoramento come arbore spoglio di fronde e privo difrutta; come corpo senz'anima, andava dicendo egli a sstesso. Se per castigo de' miei peccati, o per miabuona ventura m'avvengo in qualche gigante, come

d'ordinario intraviene ai cavalieri erranti, ed io lo fo balzarea primo scontro fuori di sella, o lo taglio per mezzo, o vintolo costringo ad arrendersi, non sar egli bene d'avere a cuifarne un presente? laonde poi egli entri, e ginocchionidinanzi alla mia dolce signora cos s'esprima colla vocesupplichevole dell'uomo domato: Io, signora, sono ilgigante Caraculiambro, dominatore dell'isolaMalindrania, vinto in singolar tenzone dal non maiabbastanza celebrato cavaliere don Chisciotte dellaMancia, da cui ebbi comando di presentarmi dinanzi allasignoria vostra, affinch la grandezza vostra disponga dime a suo talento. Oh! come si rallegr il nostro buoncavaliere all'essersi cos espresso! ma oh quanto pi sicompiacque poi nell'avere trovato a chi dovesseconcedere il nome di sua dama! Soggiornava in unpaese, per quanto credesi, vicino al suo, una giovanottacontadina di bell'aspetto, della quale egli era stato giamante senza ch'ella il sapesse, n se ne fosse avvistagiammai, e chiamavasi Aldolza Lorenzo; e questa gli parveopportuno chiamar signora de' suoi pensieri. Dappoicercando un nome che non discordasse gran fatto dal suo,e che potesse in certo modo indicarla principessa esignora, la chiam Dulcinea del Toboso perch del Tobosoappunto era nativa. Questo nome gli sembr armonioso,peregrino ed espressivo, a somiglianza di quelli che alloraaveva posti a s stesso ed alle cose sue.

CAPITOLO II

DELLA PRIMA PARTITA CHE FECE L'NGEGNOSO DONCHISCIOTTE DALLA SUA TERRA.

Fatti questi apparecchi, non volle differire pi oltre adar esecuzione al suo divisamento, affrettandolo a ci lapersuasione che il suo indugio lasciasse un gran male nelmondo; s numerose erano le ingiurie che pensava di dovervendicare, i torti da raddrizzare, le ingiustizie da togliere,gli abusi da correggere, i debiti da soddisfare. Senzadunque far parola a persona di quanto aveva divisato, esenza essere veduto da alcuno, una mattina del primogiorno (che fu uno dei pi ardenti) del mese di luglio,armato di tutte le sue armi sal sopra Ronzinante, si adattla sua malcomposta celata, imbracci la targa, prese lalancia, e per la segreta porta di una corticella usc allacampagna, ebro di gioia al vedere con quanta facilitaveva dato principio al suo nobile desiderio. Ma nonappena si vide all'aperto, gli sopravvenne un terribilepensiero, che per poco non lo fece desistere dallacominciata impresa; risovvenendosi allora ch'egli non eraarmato cavaliere, e che quindi conformemente alle leggi dicavalleria, n potea n dovea condursi a battaglia contro

verun cavaliere di questo mondo: oltre di che, quand'anchegi fosse stato cavaliere novizzo avrebbe dovuto portarearmi bianche senza impresa nello scudo finch non laguadagnasse col proprio valore. Questi pensieri lo fecerotitubante nel suo proposito; ma pi d'ogni ragione potendoin lui la pazzia, propose seco stesso di farsi armarcavaliere dal primo in cui s'imbattesse, ad imitazione dialtri molti che di tal guisa si regolarono, come aveva lettonei libri che a tale lo avevano condotto. Quanto allabianchezza dell'arme pens di forbirle al primo villaggioper modo che vincessero l'ermellino; e con questos'acquet e prosegu il suo viaggio senza calcar altra viache quella ove fosse piaciuto al suo cavallo di condurlo,tenendo per fermo che in ci consistesse la forza delleavventure.

Cos camminando il nostro novello venturieroparlava fra s e diceva: Chi pu dubitare che nei tempiavvenire quand'esca alla luce la vera storia delle famosemie gesta, il savio che la scriver, accingendosi a darconto di questa mia prima uscita s di buon'ora, noncominci in questa maniera? Aveva appena per l'ampiae spaziosa terra il rubicondo Apollo stese le dorate fila deisuoi vaghi capelli, e appena i piccoli dipinti augelli con lecanore lor lingue avevano salutato con dolce mellifluaarmonia lo spuntare della rosea Aurora, la qualeabbandonando le morbide piume del geloso maritomostravasi per le porte e finestre del Mancego orizzonte a'mortali, quando il famoso don Chisciotte della Mancia,

lasciate le oziose piume, sal sul famoso suo cavalloRonzinante, e cominci a scorrere l'antica e celebrecampagna di Montiello (ed era il vero, da che batteaquella strada) poi soggiunse esclamando; Oh etfortunata, o secolo venturoso in cui vedranno la luce lefamose mie imprese, degne di essere incise in bronzi,scolpite in marmi, e dipinte in tele per eterna memoria allaposterit! O tu savio incantatore, chiunque tu sia peressere, a cui sar dato in sorte d'essere il cronista diquesta peregrina storia, priegoti non obliare il mio buonRonzinante, perpetuo compagno in ogni mio viaggio evicenda. Talora prorompeva come se fosse statoinnamorato da vero: Ah principessa Dulcinea, signora diquesto prigioniero mio cuore, gran torto mi avete fatto coldarmi commiato comandandomi altres ch'io non osi maipi comparire al cospetto della vostra singolare bellezza.Vi scongiuro, signora mia, di rammentarvi di questo cuoreche v' schiavo, e che tanto soffre per amor vostro!Andava egli a questi infilzando altri spropositi, alla manieradi quelli che aveva appresi dai suoi libri imitandone a tuttasua possa il linguaggio; e intanto procedeva s lento, e ilsole, alzandosi, mandava un ardor s cocente, che avrebbepotuto diseccargli il cervello, se pur gliene fosse rimastoalcun poco.

A questo modo viaggi tutto quel giorno senza chegli avvenisse cosa degna d'essere ricordata; del chedisperavasi, bramando avidamente che gli si offerisseoccasione da cimentare il valor del suo braccio. Alcuni

autori affermano che la prima sua avventura fu quella delPorto Lapice: altri dicono quella dei mulini da vento: quelloper che ho potuto riconoscere, e che trovai scritto negliannali della Mancia si ch'egli and errando per tuttol'intiero giorno, e che all'avvicinarsi della notte s egli comeil suo ronzino, si trovarono spossati e morti di fame. Chegirando l'occhio per ogni parte per vedere se gli venissescoperto qualche castello o abituro pastorale ove ricovrarsie trovar di che rimediare a' suoi molti bisogni, vide nonlungi dal cammino pel quale andava, un'osteria, che gli fucome vedere una stella che lo guidasse alla soglia, se nonalla reggia della felicit. Affrett il passo, e vi giunseappunto sul tramontare del giorno. Stavano a caso sullaporta due giovanotte di quelle che si chiamano da partito,le quali andavano a Siviglia con alcuni vetturali cheavevano divisato di passar ivi la notte. Siccome tutto ciche pensava o vedeva o fantasticava il nostro avventuriere,tutto dentro di lui pigliava forma e sembianza della pazziache le sue letture gli avevano fitta in capo; cos appenascorse l'osteria, gli fu d'avviso di vedere un castello collesue quattro torri, con capitelli di lucido argento, con pontelevatoio sovrastante a profondo fosso, e fornito di tuttequelle altre appartenenze che sogliono essere attribuite asiffatte abitazioni. Avviatosi dunque all'osteria o castello,secondo che a lui pareva, e giuntovi da vicino, raccolse lebriglie e ferm Ronzinante, attendendo che qualche nano sifacesse dai merli a dar segno colla tromba che arrivava alcastello un cavaliere. Ma vedendo poi che tardavano; e cheRonzinante smaniava di far capo nella stalla, s'accost alla

porta dell'osteria sulla quale stavano le due mal costumateragazze, che a lui sembrarono due molto vaghe donzelle,ovvero due galanti signore che vagassero a bel diporto.

Avvenne che un porcaio per raccozzare un branco diporci (che con sopportazione cos appunto si chiamano)suon un corno al cui segnale tutti son usi di unirsi; equesto fece pago il desiderio di don Chisciotte,immaginandosi egli che un nano annunziasse cos la suavenuta. Con gioia ineffabile s'accost quindi alla porta ealle signore, le quali vedendo avvicinarsi un uomo armato aquel modo con lancia e targa, spaventate, si volsero percacciarsi nell'osteria. Ma don Chisciotte, arguendo dalla lorfuga la paura che le incalzava, alz la sua visiera dicartone, e facendo vedere la sua secca e polverosa faccia,disse loro con gentil modo e con voce tranquilla: Nonfuggano le signorie vostre, n paventino d'oltraggio alcuno,da che l'ordine cavalleresco da me professato divieta di fartorti a chicchessia, massimamente poi a donzelle d'altolignaggio, quali la presenza vostra vi fa conoscere. Le duegiovani lo andavano osservando, e cercavano di vederglibene la faccia, che poco si scopriva di sotto alla tristavisiera; ma quando s'intesero chiamar donzelle, nome sopposto alla loro professione, non poterono contenersi dalridere, in modo che don Chisciotte se ne risent, e disseloro: Quanto un dignitoso contegno s'addice alle belle,tanto sta male che prorompano per lieve cagione in talirisate; non per questo ve ne rimprovero, ma ci vi dico soloper desiderio che siate di animo benigno verso di me, ch

il mio tutta volont di servirvi. Il linguaggio non intesodalle donne e la trista figura del nostro cavaliereaccresceano in esse le rise e in lui la collera; e la cosasarebbe andata oltre se in quel momento non usciva l'oste,che per essere molto grasso era anche molto pacifico. Ilquale al vedere quella contraffatta figura, armata d'armi traloro cos discordanti, com'erano le staffe lunghe, la lancia,la targa ed il corsaletto, fu per mettersi a ridere anch'eglinon meno delle due giovani; ma tenendolo in qualcherispetto una macchina fornita di tante munizioni, pens diparlargli garbatamente e gli disse: Se la signoria vostra,signor cavaliere, domanda di essere alloggiata, dal letto infuori (ch non ve n'ha pur uno in questa osteria) trover intutto di che soddisfarsi abbondevolmente. Vedendo donChisciotte la gentilezza del governatore della fortezza (chetale a lui rassembrarono e l'oste e l'osteria) rispose: A me,signor castellano, ogni cosa mi basta, perch miei arredison l'armi, e mio riposo il combattere. L'oste s'immaginche don Chisciotte gli avesse dato il nome di castellanoper averlo creduto un sempliciotto Castigliano mentre erainvece di Andalusia, e di quelli della riviera di San Lucar,non dissimile a Caco nei ladronecci, e non menointrigatore d'uno studente o d'un paggio: e quindi glirispose in questo modo: A quanto dice la signoria vostra, isuoi letti debbon essere dure pietre, e il suo dormire unacontinua veglia: e se cos , ella abbia pure per certo chequi trover le pi opportune occasioni da non poter chiuderocchio per un anno intiero, non che per una sola notte.

Ci detto fu a tenere la staffa a don Chisciotte, ilquale smont con grande stento e fatica, come colui che intutto quel giorno era ancora digiuno, e raccomand subitoall'oste d'avere la pi gran cura del suo cavallo che era lamiglior bestia che fosse al mondo. L'oste lo squadr, e nongli parve quella gran cosa che don Chisciotte diceva, perallogatolo nella stalla, si rec subito a ricevere i comandidell'ospite suo. Questi si lasciava disarmare dalle donzellegi rappattumate con lui, ma bench gli avessero tolto didosso la corazza e gli spallacci, non trovaron elleno via nverso di aprirgli la goletta, n di levargli la contraffattacelata, che tenea assicurata con un legaccio verde; evolendogliela levare, bisognava toglierne i nodi, al che donChisciotte si rifiut risolutamente. Se ne rimase pertantotutta quella notte con la celata, ci che rendeva la piridicola e strana figura che immaginar si possa. Mentre poilo venivano disarmando (immaginando egli che quellefemmine scostumate fossero principali signore o dame diquel castello) disse loro con singolar gentilezza:

Cavalier non vi fu mai

Dalle donne ben servito

Come il prode don Chisciotte

Quando usc dal patrio lito.

Pensr dame al suo destino,

Principesse al suo Ronzino!

o piuttosto Ronzinante; perch questo, signore, ilnome del mio cavallo, ed il mio proprio don Chisciottedella Mancia. Io veramente avevo divisato di nonappalesarmi se non per qualche impresa da me condotta aglorioso fine in servigio vostro; ma la necessit diaccomodare al presente proposito quella vecchia romanzadi Lancilotto fu causa che voi lo abbiate saputo fin d'ora.Tempo verr per altro in cui le signorie vostre micomanderanno, ed io loro obbedir; e sar allora che ilvalor del mio braccio vi prover il desiderio che ho diservirvi. Le allegre giovani non avvezze a similiragionamenti, non risposero parola, ma gli domandaronosolamente se desiderava mangiar qualche cosa. Qualunque cosa, rispose don Chisciotte, giacch mi pareche ne sia ben tempo.

Avvenne che per essere venerd non eravi inquell'osteria se non se qualche pezzo di un pescechiamato Abadescio in Castiglia, Merluzzo in Italia,nell'Andalusia Baccagl iao, e altrove Curadigl io eTrucciola, n altro v'era da potergli dare. Se vi sono moltetrucciuole, disse don Chisciotte, potranno servire in luogodi una truccia grande, poich a me tanto fanno otto realiquanto una pezza da otto, e potrebbe anche darsi chequeste trucciole fossero come il vitello ch' migliore della

vacca, e il capretto che pi saporito del caprone: siaper come si voglia, mi si porti tantosto, perch la fatica eil peso dell'arme non si possono sostenere quando il ventrenon ben governato Gli fu posta la tavola presso la portadell'osteria al fresco, e l'oste gli rec una porzione del pimal bagnato e peggio cotto merluzzo, ed un pane tantonero ed ammuffato quanto le sue arme. Fu argomento digrandi risate il vederlo mangiare; poich avendo tuttavia lacelata e alzata la visiera, nulla potea mettersi in bocca colleproprie mani se da altri non gli era prto, e perci una diquelle sue dame si mise ad eseguire quell'ufficio. Ma inquanto al dargli da bevere, non fu possibile, n avrebbebevuto mai se l'oste non avesse bucata una canna, epostagliene in bocca una dell'estremit, non gli avesse perl'altra versato il vino; e tutto questo egli comportpazientemente, purch non gli avessero a rompere ilegacci della celata. In questo mezzo giunse per sorteall'osteria un porcaio, il quale al suo arrivare suon unzuffoletto di canna quattro o cinque volte. Allora donChisciotte fin di persuadersi che trovavasi in qualchefamoso castello, ove era servito con musica; che i pezzi dimerluzzo eran trote; che il pane era bianchissimo; damequelle femmine di partito; l'oste governatore del castello: equindi chiamava ben avventurosa la sua risoluzione e il suoviaggio. Ci per altro che molto lo amareggiava si era dinon vedersi ancora armato cavaliere, sembrandogli di nonpotersi esporre giuridicamente ad alcuna avventura senzaavere da prima con buona forma ricevuto l'ordine dellacavalleria.

CAPITOLO III

DEL GENTIL MODO CON CUI DON CHISCIOTTE FUARMATO CAVALIERE.

Travagliato da questo pensiero acceler il fine dellascarsa cena che quella taverna gli aveva somministrata;poi chiamato a s l'oste, si chiuse con lui nella stalla, ed ivibuttandosegli ginocchioni dinanzi, gli disse: Non mi levermai di qua, o valoroso cavaliere, se prima io non ottengadalla vostra cortesia un dono che mi fo ardito a chiedervi, ilquale ridonder a gloria vostra ed a vantaggio del genereumano. L'oste, che vide l'ospite a' piedi suoi, e ud questafanfaluca, stavasene confuso guardandolo senza saper chefare o che dirgli; n mai per pregar che facesse ottenneche si rizzasse, finch non gli ebbe promesso di farequanto gli chiederebbe. Meno attendermi non dovea dallavostra magnificenza, o mio signore, riprese don Chisciotte;ed ora vi dico che il dono che intendo di chiedervi, e chegi mi vien conceduto dalla liberalit vostra, si chedomani mattina mi abbiate ad armar cavaliere. Questanotte io veglier l'arme nella chiesetta di questo vostrocastello; e domani mattina, come ho detto, darem

compimento a quello che tanto desidero, affinch mi sialecito scorrere le quattro parti del mondo, cercandoavventure in favore dei bisognosi, com' debito dellacavalleria, e de' cavalieri erranti qual mi sono io, ildesiderio tutto volto a simile imprese.

L'oste, il quale, come si detto, era volpe vecchia,ed aveva gi qualche sospetto che l'ospite suo avessedato volta al cervello, se ne persuase intieramente nelsentirlo cos ragionare: e per aver da ridere in quella nottesi risolse di secondarne l'umore. Gli disse pertanto chequel suo divisamento era indizio della pi fina prudenza, eche una tale sua inclinazione era tutta propria e connaturalea cavalieri di quell'alta portata, ch'egli mostrava di essere,e di cui faceva testimonianza la sua galante presenza; indiaggiunse ch'egli stesso nei primi anni di sua giovinezzaerasi dedicato a quell'onorevole esercizio, recandosi a talfine in varie parti del mondo, cercando avventure, evisitando Perceli di Malaga, l'isola di Riarano, il Compassodi Siviglia, l'Azzoghescio di Segovia, l'Oliviera di Valenza,Rondigli di Granata, la spiaggia di San Lucar, il porto diCordova, le Ventiglie di Toledo, e molti altri paesi. Chequivi egli aveva esercitata la leggerezza de' suoi piedi e lapieghevolezza delle sue mani, occupandosi in ognimaniera di ribalderie; facendo cio continui torti,sollecitando molte vedove, svergognando non pochedonzelle, ingannando molti pupilli, e finalmente rendendosinoto a quante curie e tribunali ha la Spagna; da ultimo poiesser venuto a starsene in quel suo castello dove si viveva

colla propria e colla roba altrui, prestando ricovero a tutti icavalieri erranti d'ogni qualit e condizione, unicamenteper la molta affezione che ad essi portava, e per lasperanza che nel prender commiato, dovessero dividerecon lui ci che avevano, in ricambio delle sue buoneintenzioni. Soggiunse poi che in quel castello non v'erachiesetta in cui vegliar l'arme, giacch l'avea demolita perrifabbricarla di nuovo, ma che sapea benissimo che incaso di necessit poteasi far quell'ufficio ove pi tornassein acconcio, e che quindi potea quella notte vegliarle in unandito del castello; e la mattina, col favore del cielo,sariensi compiute le debite cerimonie, di maniera che eglisi trovasse armato cavaliere, e tal cavaliere qual verun altronel mondo. Gli domand inoltre se aveva seco denari: madon Chisciotte rispose di non aver nemmanco un quattrino,non avendo mai letto che alcun cavaliere errante portassedenari con s. A ci l'oste rispose che egli viveva in errore,mentre supposto pure che di ci non si facesse menzionealcuna nelle storie, gli scrittori l'aveano omesso,giudicando che non bisognasse notare una cosa sevidente e s necessaria quanto questa di non andar maisenza denari e biancherie di bucato; e non doversi percidubitare che non ne fossero ben provveduti. Avesse quindiper fermo e incontrastabile, che tutti gli erranti cavalieri, deiquali son pieni cotanti libri, portavano seco una borsamolto ben provveduta per tutto quello che loro potesseavvenire, e che in oltre recavano seco biancherie, ed unacassettina piena d'unguenti per le ferite che riceveano;poich nei campi e nei deserti dov'essi combattevan e

rimanevan feriti, non si trovava sempre chi all'istanteimprendesse la loro cura, a meno che qualche savioincantatore loro affezionato non li volesse soccorrere,facendo giungere a volo per l'aria in una nube, o unadonzella od un nano con una tazza piena d'acqua di talvirt, che a gustarne per una goccia guarivano dalle piaghee dalle ferite come se non avessero mai avuto alcun male.Ma potendo anche mancare questo soccorso, i cavalieriantichi trovarono sempre assai necessario che i loroscudieri avessero seco denari, ed altre indispensabilicose, come a dire fili e unguenti per medicarsi; e quelli chemancavano di scudieri (ci che assai di rado avveniva)portavano eglino stessi siffatte cose in bisacce tanto sottiliche quasi non si scorgevano, mettendole sulla groppa delcavallo come se fossero oggetti di maggiore importanza;giacch fuori di simile necessit non fu mai costume deicavalieri erranti di portar seco bisacce. Per lo consigliavacaldamente ed anche glielo comandava come a figlioccioqual era o stava per essere, che in avvenire nonviaggiasse mai senza denari e senza le suggeriteprecauzioni, poich quando meno se lo pensavaconoscerebbe col fatto quanto gli gioverebbe l'esserneprovveduto. Promise don Chisciotte di fare quanto gli eraconsigliato dopo di che fu deciso ch'egli vegliasse l'arme inun vasto cortile che stava a lato di quell'osteria.

Raccolte che l'ebbe tutte, le pose sopra una pila chegiaceva a canto di un pozzo; ed imbracciata la targa, epresa la lancia, misesi a passeggiar loro dinanzi col

miglior garbo del mondo, avendo cominciato il passeggioall'avvicinarsi della notte. L'oste inform quanti ritrovavansinell'albergo della pazzia dell'ospite suo, della veglia chefaceva all'arme e della fiducia in cui era di dover esserearmato cavaliere. Parve a tutti mirabile quel nuovo generedi pazzia, e fattisi ad un luogo donde potevano spiarequello che il nuovo arrivato facesse, videro che condecorosa gravit talor passeggiava, e talvolta appoggiatoalla sua lancia tenea l'occhio fisso all'arme sue senzalevarnelo per buon tratto di tempo. Si fece poi notte deltutto, ma la luna mandava cos gran luce, da poter quasigareggiare coll'astro che gliela prestava; di modo checiascuno vedeva benissimo tutto ci che il novellocavaliere faceva. In questo mezzo salt in capo ad uno deivetturali che stavano nell'osteria di abbeverare i suoi muli,e gli fu perci mestieri di levar dalla pila l'arme di donChisciotte; il quale vedendo costui, con alta voce esclam:Oh tu qual sia, ardito cavaliere che osi por mano sull'armedel pi valoroso errante che abbia giammai cinto spade,pon mente a quello che fai, e non toccarle se non vuoipagare colla vita il fio del tuo grave ardimento. Il vetturalenon si cur di quelle ciancie (e questo fu gran male per luiche poi dovette curare la propria salute), e prendendo lecinghie dell'armatura, la scagli gran tratto lontano da s.Quando don Chisciotte ci vide lev gli occhi al cielo, evolto il pensiero, per quanto parve, a Dulcinea sua signora,disse: Soccorretemi, signora mia, nel primo cimento chepresentasi a questo mio petto vassallo vostro; deh nonmanchi a me in questo primo incontro il favor vostro e la

vostra difesa! Proferendo queste ed altre tali filastrocche,deposta la targa, alz a due mani la lancia, e dato conessa un gran colpo sulla testa a quel vetturale, lo stramazzcos malconcio, che se un altro gliene accoccava non avriapi avuto bisogno di medico che il risanasse. Ci fatto,raccolse l'arme sue, e ricominci a passeggiare collastessa tranquillit di prima.

Di l a non molto, essendo ignaro del fatto, perch ilvetturale giaceva tuttavia fuor di s, un altro nesopravvenne, avvisandosi, come il primo, di abbeverar isuoi muli. Anche costui tolse l'arme onde sbarazzare lapila; ma l'irato don Chisciotte, senza proferir parola ochieder favore a chicchessia, getta una seconda volta latarga, e alzata la lancia, senza romperla, della testa delvetturale ne fece pi di tre, giacch la spacc in quattroparti. Accorse al rumore tutta la gente che trovavasinell'osteria e cogli altri anche l'oste. Come don Chisciotte livide imbracci la targa; e posto mano alla spada cosimprese a dire: O donna di belt, vigore e sostegnodell'affievolito mio cuore, ora il tempo che tu rivolga gliocchi della tua grandezza a questo cavalier tuo prigione, acui imminente cos perigliosa ventura! E tanto lo acceseil fervore con cui pronunzi queste parole, che non l'avrianofatto retrocedere tutti i vetturali del mondo. I compagni deiferiti, vedendoli pesti a quel modo, cominciarono dalontano a mandare sopra don Chisciotte una pioggia dipietre, ed egli andavasi parando alla meglio colla targa, enon osava scostarsi dalla pila per non abbandonare le

arme. L'oste gridava forte che nol maltrattassero, avendogi fatto saper loro ch'era un pazzo, e che un pazzo lapasserebbe netta quand'anche li ammazzasse tutti. DonChisciotte dal canto suo con pi alta voce li chiamava tutticodardi, e traditori aggiungendo che il signor del castelloera un vile e malnato cavaliere, dacch tollerava che sitrattassero a quel modo i cavalieri erranti: e buon per luich'egli non era per anche armato cavaliere, altrimenti gliavrebbe fatto pagar il fio del suo tradimento. Di voi poi,ribalda e bassa canaglia, non fo verun conto: scagliate,accostatevi, oltraggiatemi quanto potete, che ben avrete ilguiderdone che si conviene alla vostra stolida audacia.Profer queste parole d'un modo s risoluto e s franco chemise uno spavento terribile negli assalitori: i quali tra perquesto, e per le persuasioni dell'oste, cessarono dalcolpirlo, e si ristette pur egli dal tentar di ferire, tornandoalla veglia dell'arme sue con la stessa tranquillit e colsussiego di prima.

Non parvero punto piacevoli all'oste le burle diquesto suo ospite, e quindi si decise di finirla di quel suomalaugurato desiderio di essere armato cavaliere, primache non avvenisse di peggio. Accostatosi a lui pertanto siscolp di quanto gli era stato fatto da quella bassa gente,che senza sua saputa era arrivata a tanto eccesso, e loassicur che a suo tempo ne pagherebbero il fio. Gliripet, come gli aveva detto gi prima, che in quel castellonon trovavasi chiesetta, la quale per altro non eranecessaria, mentre ci che importava per essere armato

cavaliere consisteva nello scapezzone e nella piattonataper quanto egli sapeva del cerimoniale dell'ordine; e checi potea farsi anche in mezzo ad una campagna.Aggiunse che egli aveva adempito gi all'obbligo di vegliarl'arme, giacch bastavano due ore sole, ed egli ne avevavegliate gi pi di quattro. Se ne persuase don Chisciotte,e gli disse ch'era pronto ad obbedirlo, e che s'affrettasse acompiere ogni cosa colla maggior prestezza possibile:perch se un'altra volta fosse assalito quand'egli sitrovasse gi armato cavaliere, aveva deciso di non lasciarin quel castello persona viva, tranne coloro che da lui fossecomandato di rispettare, ai quali per amor suoperdonerebbe la vita. Impaurito il castellano da taleprotesta e da quanto aveva veduto, and subito a prendereun libro in cui registrava il fieno e l'orzo che dava aivetturali, e facendosi recare da un ragazzo un pezzo dicandela, seguito dalle due gi dette donzelle, venne allavolta di don Chisciotte. Gli comand allora di mettersiginocchione e leggendo il suo manuale, a modo come serecitasse qualche divota orazione, a mezza lettura alz lamano, e gli diede un gran scappellotto, poi colla suamedesima spada una gentil piattonata, mormorando fra identi come uno che recitasse qualche preghiera. Fatto ci,comand a una di quelle dame che gli cingesse la spada,la qual cosa essa esegu con molta disinvoltura e buongarbo, che veramente era difficile contenersi dal ridere aogni passo della cerimonia: ma le prodezze che avevanoveduto eseguire dal novello cavaliere mettevan freno aglischerzi. Nel cingergli la spada, la buona signora gli disse:

Dio faccia che la signoria vostra riesca il pi fortunato de'cavalieri, e ch'abbia gloria in ogni cimento. Don Chisciotteallora la richiese del suo nome per sapere a cui fossetenuto di tanto favore, divisando di farla partecipedell'onore che meritar si potesse mediante il valore del suobraccio. Rispose ella con molta modestia, che chiamavasila Tolosa, figliuola d'un ciabattino originario di Toledo, ilquale faceva il suo mestiere nelle botteguccie di SancioBienaia, e che lo avrebbe servito e tenuto per signoredovunque avesse avuto la sorte d'avvenirsi in lui. La replicdon Chisciotte che gli facesse favor per l'avvenire dipigliarsi il don, chiamandosi donna Tolosa; ed essa glielopromise. Lo stesso colloquio tenne con l'altra donzella, chegli mise lo sprone; la domand del suo nome, ed essarispose che chiamavasi Molinara, e ch'era figliuola d'unonorato mugnaio d'Antechera. A questa pure domanddon Chisciotte il favor che chiamar si facesse donnaMolinara, offrendosele ad ogni suo servigio e favore.Compiute poscia colla pi gran fretta le cerimonie non maivedute prima d'allora, don Chisciotte non volle tardare purun momento a mettersi a cavallo per andare in traccia diventure. Posta quindi senza indugio la sella a Ronzinante visal sopra, ed abbracciando il suo albergatore gli disse lecose pi strane del mondo (ringraziandolo senza fine delfavore di averlo armato cavaliere), e tali che non sarebbepossibile riferirle a dovere. L'oste, oltremodo voglioso divederlo fuori dell'osteria, rispose con non minoreampollosit, ma con pi brevi parole, e senza chiederglipagamento dell'alloggio lasciollo andare alla sua buon'ora.

CAPITOLO IV

DI CIO' CHE ACCADDE AL NOSTRO CAVALIEREQUANDO USCI' DALL' OSTERIA.

Era sullo spuntare dell'alba allorch don Chisciotteusc dell'osteria, contento e vispo, e tanto gioioso nelvedersi gi armato cavaliere, che il giubilo si diffondevasino alle cigne del suo cavallo. Ma tornandogli a mente iconsigli dell'ospite suo, cio di fornirsi delle cose pinecessarie, sopra tutto di danari e di biancherie, s'avvisdi tornare a casa per provvedersi di quelle e singolarmented'uno scudiere, designando valersi di un contadino suovicino, povero e carico di famiglia, ma tutto a proposito perservire agli scudierili offici della cavalleria. Con questaintenzione dunque avvi Ronzinante verso il proprio paese;e la buona bestia, come se avesse gi fiutata la stalla, simise ad andare cos rapidamente che parea non toccassela terra coi piedi. Non avea fatto molto cammino, allorchdal folto di un bosco che stava alla destra, gli parve disentir certe voci come di persona che si lamentasse. Nonle ebbe appena sentite che disse: Quai grazie non deggioalla sorte pel favor che m'imparte nell'offrirmi s tosto

occasione da esercitare i doveri di mia professione, ecogliere il frutto dei buoni miei desideri? Partono senzadubbio tai voci da alcuno o da alcuna che ha bisogno delmio soccorso e del mio favore. Volgendo pertanto leredini guid Ronzinante a quella parte donde gli parve chele voci venissero, ed inoltrato di pochi passi nel bosco videuna cavalla legata ad una quercia, ed un ragazzo di circaquindici anni, che, spogliato ignudo dal mezzo in su elegato ad un grand'albero, metteva i lamenti da lui sentiti. Epur troppo n'aveva cagione, perch un vigoroso contadinolo stava percotendo con una correggia di cuoio, edaccompagnava ogni colpo con una riprensione e con unconsiglio, dicendogli: Modera la tua lingua, e non tiperdere in frascherie. Rispondeva il ragazzo: Nol far pi,signor mio, ve lo giuro per la passione di nostro Signore,non lo far pi, e vi prometto che d'ora innanzi avr sempregran cura del vostro bestiame. Don Chisciotte a tal vistagrid con voce sdegnosa: Scortese cavaliere! granvergogna prendersela con chi non atto a difendersi;monta sul tuo cavallo, prendi la lancia (che una ne stavaappoggiata alla quercia ov'era legata la cavalla) che io tifar conoscere qual codardia sia quella che staicommettendo. Il contadino che si vide addosso quellafigura carica d'arme, e che gi gli faceva balenar quasi lalancia sulla faccia, si tenne per morto, e gli rispose consommesse parole: Signor cavaliere, questo ragazzo chesto castigando, un garzone che mi serve a guardare unbranco di pecore che tengo in questi dintorni; ma disattento per modo che ne va perduta una ogni giorno; e

quando io lo punisco della sua trascuraggine o della suafurfanteria, egli mi calunnia dicendo che cos lo tratto peravarizia e per defraudarlo del suo salario: ma giuro al cieloe sull'anima mia che egli mente. Mente dinanzi a me?malvagio villano, disse don Chisciotte; pel sole chec'illumina ch'io a pena mi tengo che io non ti passi dabanda a banda con questa lancia: pagalo sul fatto e senzaosar di replicare, o giuro per Dio che ti polverizzo qui suidue piedi! scioglilo immantinente. Il contadino chin latesta, e senza proferir parole sciolse il ragazzo, a cui donChisciotte domand quanto gli doveva il suo padrone; equesti gli rispose essergli debitore di nove mesi in ragionedi sette reali per mese. Don Chisciotte fece il conto, e trovche il credito del ragazzo ammontava a settantatre reali; edisse al villano che gli dovesse sborsare sul momento senon volea morire per la sua mala fede. L'atterrito contadinorispose che attesa l'angustia in cui trovavasi, e pelgiuramento gi fatto (si noti che non avea ancora giurato)non ascendeva a tanto quel credito, dovendosi scontare trepaia di scarpe ch'egli aveva somministrate al garzone, edun reale da lui speso per fargli cavar sangue due voltementre era ammalato. Tutto questo, soggiunse donChisciotte, va bene, ma la spesa delle scarpe e dei salassiservir a compensarlo delle frustate che senza sua colpagli hai date; che se egli ruppe il cuoio delle scarpe che glipagasti, tu gli hai levata la pelle del corpo; e se hai pagatoun barbiere che gli cavasse sangue quando era infermo, tuglielo cavasti poi sano, e per egli non ti debitore di nulla. Il male si , signor cavaliere, che non ho meco danari,

rispose il villano; ma venga Andrea a casa mia, e glipagher il suo avere un reale sopra l'altro. Io andarmenecon lui? disse il giovine, sarei pure il bel pazzo! neppureper sogno; che, quando mi avesse da solo, egli miscorticherebbe come un san Bartolomeo. Nol far, no,replic don Chisciotte; basta che io gliel comandi ed eglimi obbedir, e quando lo giuri per la legge di cavalleria dicui insignito, io lo lascier andar libero, e gli entrermallevadore per la esecuzione di sue promesse. Badibene, vossignoria, soggiunse il giovinetto, a quello chedice, perch il mio padrone non altrimenti cavaliere, nha ricevuto mai verun ordine di cavalleria, ma GiovanniAldudo il ricco, abitante di Chintanare. Non importa,rispose don Chisciotte; possono gli Aldudi esserecavalieri; e poi, ciascuno figlio delle proprie azioni. Eci incontrastabile, soggiunse Andrea; ma questo miopadrone di quali opere figlio, negando, com'egli fa, lamercede de' miei travagli e de' miei sudori? Non mirifiuto di soddisfarti, no, fratello Andrea, ripigli il contadino;compiaciti di seguitarmi, e ti giuro per tutti gli ordini dicavalleria ch'esistono al mondo di pagarti, come hoproposto, e profumatamente, reale sopra reale. Nonservono profumi, disse don Chisciotte, pagagli i reali chegli devi, e ci mi basta; e bada bene di mantenere quantohai giurato, perciocch in caso diverso, ti giuro in fe' delgiuramento medesimo che torner per punirti, e sapr benritrovarti, quand'anche ti nascondessi sotterra pi che unalucertola. E se vuoi sapere chi sia quegli che tel comanda,affinch pi ti stringa il dovere dell'obbedienza, sappi che

io sono il valoroso don Chisciotte della Mancia, disfacitoredei torti e punitor delle ribalderie. Addio, non ti cada dimente la pi rigorosa esecuzione di quanto hai promessoe giurato sotto pena del pronunziato castigo. Ci dettospron Ronzinante, e in breve si tolse alla loro vista.

Il contadino lo seguit cogli occhi e quando fu uscitodel bosco, s che pi nol vedea, si volse di nuovo al suofamiglio Andrea, e gli disse: Venite, figliuol mio, che vogliopagarvi ci che vi debbo, e come mi ha imposto queldisfacitore dei torti. Oh quanto far bene vossignoria,disse Andrea, ad obbedire i comandi di quel buoncavaliere, a cui auguro mille anni di vita, perch in fede miaegli tale da tornare, e da farvi mantenere la parola se visaltasse in capo di mancargli. Ed io giuro di nuovo divolergli obbedire, disse il villano; ma per l'amor che ti porto,voglio accrescere il debito mio verso di te, e di poi pagartiuna somma maggiore. E cos presolo pel braccio lo legdi nuovo alla quercia, e lo caric di tante frustate, che lolasci quasi morto. Chiama, signor Andrea mio, dicevaallora il contadino, chiama il disfacitore dei torti e vedrai sepotr disfar questo: bench non mi pare di averlocompiuto, e mi vien voglia di scorticarti vivo come temevi.All'ultimo non di meno lo sleg, e gli diede licenza d'andarepel suo giudice, affinch eseguisse la sentenza da luiproferita. Andrea si part di l in gran pianto, giurando cheandrebbe in traccia del valoroso don Chisciotte dellaMancia per informarlo a puntino di ci ch'era occorso,affinch gliela facesse pagar molto cara; ma dopo tutto

questo il giovine se n'and piangendo, ed il padrone restfacendo le pi gran risate.

E cos, disfece quel torto il valoroso don Chisciotte:il quale soddisfattissimo dell'avvenuto, e sembrandoglid'aver dato felicissimo cominciamento a' suoi cavallereschiesercizi, andava camminando verso la propria terra,contento pienamente di s medesimo; e dicea a bassavoce: Ben ti puoi chiamar fortunata sopra quante vivono interra, o sopra le belle, bella Dulcinea del Toboso, da chet' toccato in sorte di aver soggetto a' voleri tuoi e pronto aqualunque tuo servigio s valoroso e celebre cavalierecom' e sar don Chisciotte della Mancia; il quale (e nevola gi fama pel mondo) ha ricevuto l'ordine di cavalleria,ed oggi ha disfatto il pi gran torto che mai fosseimmaginato dalla giustizia, e compto dalla crudelt! Oggiho io tolta di mano la frusta ad un nemico spietato chesenza motivo alcuno batteva un dilicato fanciullo! Giunsefrattanto ad un luogo dove la strada si divideva in quattro; egli vennero a mente quei crocicchi dove i cavalieri errantisolevan pensare per quale via avessero da mettersi. Perimitarli ristette da prima alquanto, ma poscia, dopo averben riflettuto, lasci andare la briglia a Ronzinante,abbandonando la sua alla volont del cavallo: il quale,seguendo il naturale desiderio, si dirizz alla volta dellapropria stalla. Compite due miglia all'incirca, scopr donChisciotte una gran torma di gente; mercanti (come siseppe dappoi) di Toledo, che andavano a Murcia percomperar seta. Erano sei, ognuno col suo parasole, e loro

tenevano dietro quattro servitori a cavallo e tre vetturali apiedi. Non li scorse appena don Chisciotte, che si figur diavere alle mani una nuova ventura, e voglioso com'erad'imitare pienamente i casi letti nei libri suoi, volle coglierequella buona occasione per rinnovarne uno che volgevanell'animo. Con bel garbo adunque si strinse ben nellestaffe, impugn la lancia, si avvicin la targa al petto, epiantatosi nel mezzo della strada, stette attendendo chequei cavalieri erranti, com'egli gli giudicava, arrivassero. Equando gli si furono appressati, alz la voce, e con grandeardimento si fece a dire: Tutto il mondo si fermi, se tutto ilmondo non confessa che non avvi nell'universo unadonzella pi vaga della imperadrice della Mancia, dellasenza pari Dulcinea del Toboso. Al suono di queste paroleed alla vista della strana figura che le proferiva, queimercanti ristettero, e subitamente si accorsero della suafollia, ma vollero star a vedere chi andasse a colpire laconfessione che da loro si domandava. Per uno di essi,uomo d'allegro umore, gli rispose: Signor cavaliere, noinon conosciamo questa celebre signora da voimenzionata; fate che la vediamo, e s'ella porta il fregio diquella singolare bellezza, di cui voi le date vanto, benvolentieri e senza opposizione di sorta, confesseremo laverit che da noi richiedete. S'io ve la facessi vedere,replic don Chisciotte, qual merito avreste voi nelconfessare una verit cos manifesta? Ci che importa si che senza vederla abbiate a confessare, a giurare, adaffermare, a sostenere; e ricusandolo, vi sfido meco abattaglia, gente vile e superba. Avanzatevi uno ad uno,

come esige l'ordine di cavalleria, od unitevi tutti acombattermi in una volta, com' trista costumanza de' parivostri, che qui v'attendo a pi fermo, n ho dubbio alcuno divincervi, sostenuto dalla ragione che mi avvalora. Signorcavaliere, rispose un mercante, vi supplico a nome di tuttiquesti principi che vedete, che non vogliate costringerci adaggravare le nostre coscienze confessando una cosa danoi non veduta n intesa; e tanto maggiormente ve nepreghiamo, quanto che ci tornerebbe a pregiudizio delleimperatrici e regine dell'Alcaria e dell'Estremadura: oalmeno la signoria vostra degnisi di farci vedere il ritratto dicotale signora; che foss'egli piccolo come un granellino,noi dal filo di questo poco raccogliendo il gomitolo dellasua grande bellezza, saremo con questo soddisfatti etranquilli, e la signoria vostra contenta e appagata; e di pi,quand'anche scorgessimo dal ritratto, che fosse guercia daun occhio, e dall'altro le colasse zolfo o cinabro, con tuttoci, per mostrarci a vossignoria compiacenti, diremmotutto ci che potesse tornarle a genio. Non le cola,canaglia infame, rispose don Chisciotte avvampante dicollera, non le cola altro che ambra e zibetto tra labambagia; e non n guercia, n gobba, anzi pi drittache non un fuso di Guadarrama; ma voi pagherete il fiodella grave bestemmia con cui oltraggiaste una tantaprodigiosa bellezza quant' quella della mia signora. Nelproferire queste parole, abbass la lancia, portandola contanta furia contro colui che aveva parlato, che mal per lui seRonzinante non inciampava, e non cadeva a mezzo ilcammino. Precipit Ronzinante, e il suo padrone rotol

buona pezza per la campagna, n pot rialzarsi giammaiper quanto si sforzasse, tanto impaccio gli davano lalancia, la targa, gli sproni e la celata, in un col peso dellasua vecchia armatura. E mentre attendeva a cercar dirizzarsi, ma senza riuscirvi, tuttavia gridava: Non fuggite, ocodardi, o schiavi! attendetemi, ch non per mia colpa madel cavallo sono qui disteso. Uno di quei vetturali, chedoveva esser uomo di poco buon cuore, nel sentire lesmargiasserie di quel povero caduto non pot tollerarlesenza fargli provare fino alle costole il suo risentimento; eperci avvicinatosi a lui, prese la lancia, e fattala in pezzi,con uno di questi cominci a battere tanto duramente ilnostro don Chisciotte, che, a dispetto e in onta delle armesue, lo macin come grano al molino. Gli gridavano gli altriad alta voce che desistesse, che lo lasciasse; ma colui eras invelenito che non si tolse da quel gioco finch non ebbesoddisfatta la collera; e raccolti gli altri pezzi della lancia,non cess mai se prima non gli ebbe ridotti a scheggesopra l'infelice caduto. A fronte di tanta tempesta dipercosse che gli piovevan addosso, don Chisciotte, nonche tacere, minacciava il cielo e la terra e que' malandrini,come egli ora chiamava i mercanti. Si stanc finalmente ilvetturale, e tutti proseguirono il loro cammino, avendo diche occuparsi nel raccontare la bastonatura delpover'uomo, lasciato malconcio e fracassato. Egli,dappoich si vide solo, torn a tentar di rialzarsi; ma sequesto non gli era stato possibile mentre era sano egagliardo, come riuscirvi allora pesto a quel modo? Enondimeno si reputava felice parendogli che quella fosse

sventura da cavaliere errante, ed attribuendola a sola colpadel suo cavallo: ma ad ogni modo non poteva rizzarsi inpiedi, tanto il corpo suo era fracassato dalle ricevutepercosse!

CAPITOLO V

ANCORA DELLA DISGRAZIA AVVENUTA AL NOSTROCAVALIERE.

Conoscendo poi don Chisciotte che non poteamuoversi da s solo, pens di ricorrere al suo consuetorimedio, che era di meditare intorno a qualche passo de'libri suoi; e la bile gli ridusse nella memoria quello diBaldovino e del marchese di Mantova, quando Carlotto loabbandon ferito sopra una montagna; storia nota aibambini, non isconosciuta ai giovani, celebrata e credutadai vecchi, ma con tutto questo non punto pi vera deimiracoli di Maometto. Gli parve che questa calzasseappuntino allo stato in cui si trovava, e perci mostrando diprovare un dolore gravissimo, cominci a voltarsi per terra,ripetendo con fioca voce quello appunto ch' fama dicesseil ferito cavaliere del bosco.

Dove stai, vaga signora,

Che non duolti del mio mal?

O il mio mal da te s'ignora

O sei falsa e disleal.

E di questo passo andava proseguendo la canzonesino a quei versi che dicono:

O di Mantova marchese,

O mio zio e signor carnal.

Ma volle la sorte che in quel momento passasse dil un contadino del suo paese e vicino suo, che tornava dalmulino dove aveva condotta una soma di grano. Vedendoegli un uomo steso in terra a quel modo, se gli fecedappresso, gli domand chi fosse, e che male avesse, chetanto si lamentava. Don Chisciotte credette senza alcundubbio che colui fosse il marchese di Mantova suo zio;per invece di ogni risposta prosegu la romanza collaquale lo informava della sua sventura e degli amori delfiglio dell'imperatore con la sua sposa, nel modo appunto

che si canta nella canzone. Il contadino meravigliato diquelle stranezze, gli lev la visiera, gi pesta dallepercosse, e si diede a nettargli la faccia ch'era tuttacoperta di polvere; n gliela ebbe appena nettata chesubito lo conobbe, e gli disse: Signor Chisciada (cossoleva chiamarsi quand'aveva buon giudizio, e prima dicambiarsi da tranquillo idalgo in cavaliere errante), chitratt per tal modo vossignoria? Egli non rispondeva, maad ogni domanda ripigliava la sua canzone. Laonde il buonuomo con tutta la possibile diligenza gli trasse la corazza egli spallacci per conoscere s'era stato ferito; ma non trovn sangue n segno alcuno. Procur pertanto di rizzarlo daterra, e con molta fatica giunse a metterlo attraverso delsuo giumento, sembrandogli pi agiata cavalcatura.Raccolse l'arme tutte, fino alle schegge della lancia, e lebutt in un fascio sopra Ronzinante, poi preso questo perla cavezza, s'incammin verso la sua Terra, non senzagrande apprensione nel sentire gli spropositi che diceadon Chisciotte; il quale tutto confuso e mal reggendosisull'asino, talmente era pesto! di tanto in tanto mandavasospiri che giugnevano al cielo. Il villano gli domand dinuovo che mal si sentisse; ma pareva che il diavolo a bellaposta gli riducesse alla memoria le avventure tutte cheavevano somiglianza con quella sua. Perocchdimenticandosi di Baldovino a quel punto si risovvenne delmoro Aben-Darraez quando il castellano d'Antechera,Rodrigo di Narvaez, lo prese e lo men prigioniero alproprio castello. Di maniera che domandandolo ancora ilvillano dello stato suo, e come si sentisse della persona, gli

rispose colle stesse parole con cui il prigioniero Aben-Darraez avea risposto a Rodrigo di Narvaez, applicando as stesso quanto avea letto nella Diana di Giorgio diMontemaggiore. Il contadino strabiliava sentendo tantebestialit e finalmente avvedutosi che il suo vicino aveadato volta al cervello, si diede a punzecchiare il suo asinoper tornar presto al paese, e togliersi con ci dalmalincuore che gli procurava don Chisciotte co' suoivaneggiamenti. Questi intanto cos proruppe: Sappia lasignoria vostra, signor don Diego di Narvaez, che lavezzosa Scriffa, di cui ho parlato, di presente la vagaDulcinea del Toboso per amor della quale io feci e faccio efar le pi famose gesta di cavalleria che siensi finoravedute, o si veggano, o si debbano mai vedere nelmondo. A tutto questo soggiunse il contadino: Oh laSignoria vostra s'inganna! meschino di me! io non sonoaltrimenti Rodrigo di Narvaez, n il marchese di Mantova,ma sibbene Piero Alonso vicino suo; n vossignoria Baldovino o Aben-Darraez, ma l'onorato idalgo signorChisciada. Io sono chi sono, rispose don Chisciotte, eso molto bene che non solo posso essere quello che hodetto, ma s anche tutti i dodici paladini di Francia, edeziandio tutti i nove della Fama, perch le prodezze chefecero o tutti insieme o ciascuno da s non supererebberomai quelle che posso fare da solo. Con queste esomiglianti smargiasserie giunsero alla Terra sul far dellanotte, e il contadino giudic savio partito l'attendere che ilbuio crescesse un poco affinch non fosse veduto ilbastonato idalgo cos infelice cavaliere. Entr finalmente

nel paese, e fu all'abitazione di don Chisciotte, la quale eratutta sossopra. Vi si trovava il curato ed il barbiere,ch'erano grandi amici di don Chisciotte, ai quali la servacon alta voce stava dicendo: Che ne sembra a vostrasignoria, signor dottore Pietro Perez (cos chiamavasi ilcurato) della disgrazia del mio padrone? Sono gi passatisei giorni da che n egli si vede, n il suo ronzino, n latarga, n la lancia, n l'armatura; poveraccia di me! credofermamente, e com' certo ch'io sono nata per morire, chequesti maledetti libri di cavalleria ch'egli ha, e leggecontinuamente, l'abbiano fatto uscir di cervello; che ora benmi sovviene d'averlo inteso dire pi volte, parlando fra smedesimo, che bramava di farsi cavaliere errante e diandare pel mondo in cerca di avventure. Cos ne liportasse o Satanna, o Barabba cotesti libri, che hannoguasto e sconvolto il pi fino cervello che vantar potesse laMancia. La nipote poi proseguiva dicendo le stesse cose,e aggiungeva di pi: Sappia, signor maestro Nicol(questo era il nome del barbiere) che mille volte avvenutoal mio signor zio di spendere nella lettura di questimaledetti libri due notti e due giorni continui; a capo deiquali gettavali poi da banda, e impugnata la spada andavaa pigliarsela colle pareti finch stanco e spossato, dicead'avere ammazzato quattro giganti grandi come quattrotorri, volea che fosse sangue delle ferite da lui ricevute inbattaglia il sudore che lo copriva per la soverchia fatica.Dava allora di piglio ad un gran boccale d'acqua fresca, ese la beveva sin all'ultima goccia, con che risanava erimettevasi in tranquillit; affermando che quell'acqua era

una bevanda preziosissima, dono del savio Eschifo,celebre incantatore e amico suo. Ah! debbo accusare mestessa di tanto male; ch se avessi informate le signorievostre delle follie del mio signor zio, ci avrebbero postorimedio prima che fosse giunto a questo termine; e queisuoi scomunicati libri li avrebbero dati alle fiamme: chmolti ne ha certamente degni di essere abbruciati come ilibri degli eresiarchi. Sono anch'io dello stesso avviso,soggiunse il curato, e vi giuro in fede mia, che non passerdimani senza averne fatto un auto-da-f, dannandogli tuttial fuoco, affinch non diano occasione a qualche altro difare ci che il mio povero amico debbe aver fatto.

Don Chisciotte ed il contadino udiron siffattidiscorsi; laonde quest'ultimo convinto intieramente dellamalattia del suo vicino, si diede a gridare: Facciano largole signorie al signor Baldovino, e al signor marchese diMantova che arriva ferito pericolosamente; facciano largoal signor moro Aben-Darraez che trae seco prigione ilprode Rodrigo di Narvaez castellano di Antechera. Aqueste parole uscirono tutti e conobbero gli uni l'amico, lealtre il padrone e lo zio, che non aveva per anche potutosmontare dall'asino, tanto era malconcio. Corsero adabbracciarlo, ma incontanente egli disse: Fermatevi tutti,ch'io vengo malamente ferito per colpa del mio cavallo;mettetemi nel mio letto, e chiamate, se possibile, la saviamedichessa Urganda, affinch vegga che sorta di feriteson queste mie. Oh guardate mo, disse allora la serva,se il cuore mi diceva di che piede zoppica il mio padrone!

E venga in buon'ora la signoria vostra, che da noi solesapremo guarirla senza che la signora Urganda se neingerisca n punto n poco. Siano pur maledetti, lo ripetouna e mille altre volte, questi libri di cavalleria che hancondotto vossignoria a s tristo partito. Quindi loadagiarono subito sul letto, e cercatolo in ogni parte delcorpo non trovarono che fosse punto ferito. Don Chisciottepoi disse loro ch'egli era a quella guisa malconcio peressere stramazzato col suo cavallo Ronzinantecombattendo a fronte di dieci giganti dei pi forti eardimentosi che trovar si potessero sulla terra. Ve' ve',disse il curato, anche giganti in ballo! per fede mia, nonson chi sono se dimani prima che giunga la notte io non lido tutti alle fiamme. Fecero mille domande a donChisciotte, ma egli nient'altro rispondeva se non che gliportassero da mangiare, e lo lasciassero dormire, poichdi questo pi che d'ogni altra cosa aveva molto bisogno.Cos segu; e il curato frattanto pi a lungo domand ilcontadino come gli fosse avvenuto di trovar don Chisciotte.L'altro lo inform d'ogni cosa, ed anche delle stranezze chegli aveva sentito dire quando lo trov, e poi lungo ilcammino: donde si accrebbe nel curato la voglia di farequello che fece nel giorno seguente, cio di chiamare a sil suo amico barbiere maestro Nicol, e di venirne con luialla casa di don Chisciotte.

CAPITOLO VI

DEL BELLO E GRANDE SCRUTINIO CHE FECERO ILCURATO E IL BARBIERE

ALLA LIBRERIA DEL NOSTRO INGEGNOSO IDALGO.

Mentre che don Chisciotte dormiva, il curatodomand alla nipote le chiavi della stanza dove trovavansi ilibri, cagione di tanti malanni; ed essa gliela diede dibuona voglia. Quindi entrarono tutti e con essi anche laserva; e trovarono da pi di cento volumi grandi assai, benlegati, ed altri di picciola mole. Non li ebbe appena vedutila serva che usc frettolosa della stanza, poi torn subitocon una scodella d'acqua benedetta e con lo aspergesdicendo: Prenda la signoria vostra, signor curato, ebenedica questa stanza affinch non resti qui alcunodegl'incantatori dei quali sono zeppi, cotesti libri, e non cifacciano addosso qualche incantesimo per vendetta diquello che noi vogliam fare di loro cacciandoli dal mondo.La semplicit della serva mosse a riso il curato; ed ordinal barbiere che glieli venisse porgendo uno alla volta perconoscere di che trattassero, potendo essere che qualcheopera non meritasse la pena del fuoco. No, no, disse lanipote, non si dee perdonare ad alcuno di essi, mentre tuttisono concorsi a questo danno: il pi savio partito sarebbegittarli dalla finestra nell'atrio, farne un mucchio edappiccarvi il fuoco; o per evitare il fastidio del fumo

sarebbe anche meglio fatto trasportarneli in corte ed iviincendiarli. Lo stesso disse la serva, s grande era inambedue la smania di veder morti quegl'innocenti; ma nonv'assent il curato senza leggerne almeno i titoli. Il primopertanto che maestro Nicol gli porse fu quello dei Quattrolibri d'Amadigi di Gaula. Sembra, disse il curato, che quivi stia qualche mistero, da che, a quanto intesi dire, questofu il primo libro di cavalleria stampato in Ispagna, e gli altritutti che di poi gli tennero dietro pigliarono da lui principioed origine. Laonde mi pare che come capo di mala setta sidebba dare alle fiamme senza veruna remissione. Signor no, soggiunse il barbiere, ch mi fu detto chequesto il migliore di quanti di simil fatta furono composti;e perci, come unico nella sua specie, pu meritareperdono. vero, disse il curato, e perci gli si preservila vita per ora. Vediamo quest'altro che gli sta a canto. Sono, disse il barbiere, le Prodezze di Splandianofigliuolo legittimo di Amadigi di Gaula. In verit che quinon ha da giovare al figlio la bont del padre: prendete,signora serva, aprite questa finestra, gittatelo in corte, econ esso diasi principio alla catasta che a suo tempo sarpoi consumata dal fuoco. La serva obbed con moltopiacere; e per tal modo il buon Splandiano vol nella corteattendendo pazientemente il fuoco da cui era minacciato.Tiriamo innanzi, disse il curato. Questo che viene,soggiunse il barbiere, Amadigi di Grecia, e per quantomi pare, quelli che stanno da questa parte sono tutti dellignaggio degli Amadigi. E bene, replic il curato,vadano tutti in corte; che per poter abbruciare la regina

Pintichiniestra ed il pastor Darinello con le sue egloghe ecoi lambiccati concettini del suo autore, brucerei con essi ilpadre che m'ha generato se mi venisse dinanzi in figura dicavaliere errante. Sono del medesimo sentimento,soggiunse il barbiere. Ed io pure, replic la nipote. Quand' cos, disse la serva, vadano in corte; e preseli tuttiinsieme, che erano molti, per risparmiar la fatica di far lascala, li gett dalla finestra. Che cotesto grossovolume, domand il curato? , rispose il barbiere, donUlivante di Laura. L'autore di questo libro, soggiunse ilcurato, quello stesso che compose il Giardino dei Fiori; ein fede mia che non saprei dire quale dei due sia piveritiero, o piuttosto manco bugiardo; so bene che anderin corte per le sue scimunitaggini e per la sua arroganza. Questo che gli vien dietro, Florismarte d' Ircania,disse il barbiere. Ah! qui trovasi il signor Florismarte?replic il curato: oh s, s, s'affretti d'andare in corte adispetto del suo straordinario nascimento e delle sueimmaginate avventure, che altro non meritano la durezza el'infecondit del suo stile: alla corte, signora serva, vadaegli insieme con quest'altro. Oh tutto ci, signor mio,molto mi va a sangue, rispose ella; e contentissimaeseguiva quanto le si ordinava. Questi il CavalierePlatir, disse il barbiere. libro di antica data, rispose ilcurato, n trovo in lui cosa alcuna che gli possa ottenereperdono; senza pi s'accompagni cogli altri; e cos fu fatto.Fu aperto un altro libro, e si trov che era intitolato ilCavaliere della Croce. In grazia del santo nome che portagli si potrebbe perdonare la sua ignoranza; ma suol dirsi

che talvolta il diavolo s'asconde dietro la croce; percivada alle fiamme. Prese il barbiere un altro libro e disse: Questo lo Specchio della Cavalleria. Ah! loconosco molto bene, rispose il curato; ecco qua il signorRinaldo Montalbano cogli amici e compagni suoi pi ladridi Caco, e i dodici paladini col loro storico veritieroTurpino! In verit che sarei per condannarli soltanto adeterno bando non per altro se non perch hanno avuto granparte nella invenzione del celebre Matteo Boiardo, dondeha poi ordita la sua tela il cristiano poeta Lodovico Ariosto;al quale, se qui si trovasse, e parlasse un idioma diversodal suo proprio, non porterei rispetto, ma se fosse nel suolinguaggio originale, me lo riporrei sopra la testa. Io lotengo in italiano, disse il barbiere, ma non l'intendo. Non neppur bene che da voi sia inteso, rispose il curato; eperdoniamo per ora a quel signor capitano che lo hatradotto in lingua castigliana, togliendogli gran parte delnativo suo pregio; ma cos avverr a tutti coloro che siimpegnano a tradurre libri poetici, mentre per quantostudio vi pongano, per quanta attitudine vi abbiano, nonpotranno mai darceli tali quali essi nacquero. Giudicopertanto che questo, e gli altri libri tutti che troveremo, eche trattano di simili cose di Francia, si raccolgano e sipongano in deposito entro un pozzo senz'acqua finch siadeciso ponderatamente quale dovr essere il loro destino.Questo non vale per Bernardo del Carpio che qui si trova,n d'un altro chiamato Roncisvalle, i quali se capitanonelle mie mani hanno da passare in quelle della serva, e daqueste senza nessuna remissione alle fiamme.

Il barbiere assent pienamente al curato,riconoscendo che egli era un buon cristiano, e saffezionato alla verit che non si sarebbe scostato da essaper tutto l'oro del mondo. Aprendo un altro libro vide ch'eraPalmerino d'Uliva; poi subito dopo Palmerinod'Inghilterra; laonde il curato soggiunse: Si rompa inminute parti questa uliva, e sia consunta dal fuoco permodo che non ne resti nemmen la cenere; ma venga, comecosa unica, conservata questa palma d'Inghilterra, e siformi per essa una cassettina pari a quella che trovAlessandro fra le spoglie di Dario, e la destin percustodia delle opere del poeta Omero. Questo libro, signorcompare, merita la pi grande considerazione prima peressere pregevolissimo in s stesso; poi perch corre famache ne sia stato autore un re di Portogallo fornito di gransaggezza. Hanno il pregio di gran merito e di sommoartifizio le avventure del castello di Miraguarda, vivaci edevidenti ne sono i discorsi che mantengono il decoro di chiparla, e sono posti con gran propriet e avvedimento;conchiudo pertanto (avuto per riguardo al vostro savioparere, maestro Nicol) che questo e Amadigi di Gaulaevitino il fuoco; poi gli altri tutti, senza pi esami o riserve,siano bruciati. Oib, signor compare, replic il barbiere,ch'io tengo qui il famoso don Belianigi. Rispetto aquesto libro, rispose il curato, la seconda, terza e quartaparte abbisognano d'una buona dose di rabarbaro che lipurghi dalla disordinata collera che hanno, e fa di mestieritagliar fuori tutto ci che vi si trova intorno al castello della

Fama, ed altre sconvenienze di maggior momento; eperci se gli conceda quel lungo termine che suol darsi achi abita oltremare per emendarsi ed ottenere quindimisericordia o giustizia; frattanto custoditelo in casa vostra,compare, e non permettete che si legga da nessuno. Sono ben contento rispose il barbiere; e senza stancarsidi leggere altri libri di cavalleria, comand alla serva chepigliasse i pi grandi e li gettasse in corte. N 'l disse giad una stupida o ad una sorda, ma a chi aveva pi vogliadi dar quei libri alle fiamme che di non fare una tela pergrande e fina che fosse stata: e perci pigliandone otto inuna volta, li gett fuori della finestra. Ma per averne presimolti ad un tempo avvenne che uno ne cadde appi delbarbiere il quale s'invogli di conoscere che fosse, e lesse:Istoria del famoso cavaliere Tirante il Bianco. Oh poffaredi me! sclam il curato; ed pur possibile che qui si troviTirante il Bianco? A me, a me, compare, che io contod'aver trovato in esso un tesoro da rendermi beato; ed unafonte perenne di trattenimento: qui si legge la storia di donKirieleisonne da Montalbano, valoroso cavaliere, e di suofratello Tommaso; poi il cavaliere Fonseca, e la battagliadel forte Detriano con l'Alano, e le sottigliezze d'ingegnodella donzella Piacerdimiavita, con gli amori e gl'intrighidella vedova Riposata, e finalmente la signora imperatriceinnamorata d'Ippolito suo scudiero. Ad onore della veritmi convien dire, signor compare, che questo supera ognialtro libro del mondo in quanto allo stile. Qui poi i cavalierimangiano, dormono, muoiono sopra il loro letto; fanno illoro testamento prima di morire, e vi si riscontrano tante e

tante altre cose delle quali non si fa neppur menzione inaltri simili libri. Contuttoci colui che lo scrisse (perchsenza necessit scrisse tante scempiaggini) meriterebbela galera a vita; recatelo a casa vostra; e vedrete di per voistesso se io m'inganno. Non mi oppongo, disse ilbarbiere, ma che farem noi di questi altri piccoli libri cherimangono? Questi, rispose il curato, non debbonoessere libri di cavalleria, ma piuttosto di poesia; edaprendone uno vide che era la Diana di Giorgio diMontemaggiore. Disse allora (supponendoli tutti dellostesso genere): Questi non meritano, come gli altri, d'esserdati alle fiamme, perch non recano, n recherannogiammai il danno de' libri di cavalleria, ma sono libri dapassatempo senza pregiudizio di alcuno. O signore,soggiunse la nipote, il miglior partito sar di mandarli comegli altri al fuoco, perch non sarebbe gran meraviglia, cheriuscendoci di risanare il mio signor zio dalla malattiacavalleresca, egli si desse a leggere questi libri, e quindigli venisse il capriccio di farsi pastore, e di andarsene perboschi e per prati cantando e sonando, o, ci che sarapeggio, diventar poeta; che, a quanto si dice, un'altramalattia insanabile e contagiosa. Questa ragazza parladel miglior senno, disse il curato, e quindi sar ben fatto ditogliere dinanzi al nostro amico siffatto pericolo di ricadere.E giacch abbiamo cominciato dalla Diana diMontemaggiore, stimo che non vada abbruciata, purch sene levi quanto appartiene alla savia Felicia e all'Acquaincantata, con quasi tutti i versi, sicch le resti la sua prosaeccellente, e l'onore di essere stato il primo libro di questa

specie. Questo che viene, disse il barbiere, la Dianachiamata Seconda del Salmantino; e di quest'altro cheporta lo stesso titolo, n' l'autore Gil Polo. Quanto a quelladel Salmantino, disse il curato, accompagni ed accrescapure il novero de' condannati alla corte; quello di Gil Polo sicustodisca gelosamente come se derivasse da Apollomedesimo. Ma passi innanzi, signor compare, eaffrettiamoci, che si va facendo tardi.

Questi, disse il barbiere aprendo un altro volume,sono i Dieci libri della fortuna di Amore composti daAntonio di Lofraso poeta sardo.

Per quanto vale il giudizio mio, disse il curato, dache Apollo Apollo, muse le muse, e poeti i poeti, non fucomposto giammai libro tanto grazioso e spropositato a untempo medesimo quanto questo; per la sua invenzione ilmigliore e il pi singolare di quanti n'uscirono mai alla lucedel mondo, e chi non lo ha letto pu far conto di non averletto mai produzione veramente gustosa: datelo qua,compare, che sono pi contento d'aver trovato questo libroche se qualcuno mi avesse regalata una veste di raso diFirenze.

Con somma compiacenza lo mise da banda, e ilbarbiere prosegu leggendo il Pastore a' Iberia, le Ninfe diHenares, i Rimedii della gelosia.

Altro non occorre per questi, disse il curato, senon consegnarli al braccio secolare della servente; e non

me ne domandate la ragione, che non finirei mai pi.

Questo che viene il Pastore di Filida, disse ilbarbiere.

Non un pastore, disse il curato, ma uncortigiano valente: sia custodito come una gioia preziosa.

Questo gran volume che lo segue, s'intitola, disseil barbiere, Tesoro di varie poesie.

Se non fossero in numero s grande, soggiunse ilcurato, sarebbero tenute in assai maggior conto, e bisognapurgar questo libro scartandone le bassezze che vi sonoframmischiate al molto suo bello: sia custodito, e perch mio amico il suo autore, e per riverenza ad altre pipreziose opere da lui composte.

Questo, seguit il barbiere, il Canzoniere diLopez Maldonado.

Anche l'autore di questo libro, disse il curato, mio grande amico. I versi ch'egli recita sogliono destarel'ammirazione di chi li ascolta, e la soavit della voce concui li modula un incantesimo. Nelle egloghe alquantoprolisso: ma il buono non fu mai troppo: si serbi cogli altriche gi si sono messi da canto. Ma che libro questo chegli sta s vicino?

La Galatea d i Michele Cervantes, disse ilbarbiere.

Gi da molti anni mio grande amico questoCervantes, soggiunse il curato, e so che egli si intende pidi sventure che di versi. Convengo che se gli puconcedere qualche lode nell'invenzione; ma egli semprepropone e poi non conclude mai: attenderemo la secondaparte che ci promette, e forse, migliorando, si meriter quelperdono che per ora gli vien rifiutato; ma fin a tanto che sivegga come andr a terminar la faccenda tenetelocustodito in casa vostra, signor compare.

Ne sono soddisfattissimo, rispose il barbiere.Qui seguono tre libri uniti insieme: Araucana di don Alonzod'Erciglia; l'Austriada d i Giovanni Rufo Giurato diCordova; e il Monserrato di Cristoforo di Viruez, poeta diValenza

Non esistono, disse il curato, libri di verso eroicoscritti in lingua castigliana pi pregiati di questi, e possonostare in competenza coi pi illustri d'Italia: si custodiscanocome le pi preziose gioie poetiche, che vanti la Spagna.

Si stanc il curato di vedere altri libri, e senza farnuovi esami ordin che tutti in un fascio fossero abbruciati;ma il barbiere uno ne teneva aperto ch'era intitolato: Lelagrime d'Angelica.

Il curato vedendolo disse: Lo avrei pianto se fossestato per mio ordine dato alle fiamme, poich il suo autorefu uno dei pi celebri poeti del mondo, non tanto nelle

opere sue originali spagnuole, quanto nelle eccellenti suetraduzioni di alcune favole di Ovidio.

CAPITOLO VII

DEL SECONDO VIAGGIO DEL NOSTRO BUONCAVALIERE DON CHISCIOTTE DELLA MANCIA.

Ol, cominci intanto a gridare don Chisciotte; olvalorosi cavalieri; qui fa d'uopo mettere a prova la forza delvostro braccio, che gli uomini di corte se ne portano l'onoredel torneo. Per accorrere a quello schiamazzo fu interrottolo squittinio dei libri che restavano ancora da esaminare, etiensi per certo che andassero al fuoco senza esser vedutin intesi la Carolea e il Leone di Spagna con le Gestedell'Imperadore, composti da don Luigi de Avila, chedoveano trovarsi indubitatamente fra quelli che restavano,e forse che sottraevansi a s rigorosa sentenza se il curatoli avesse veduti.

Quando si recarono da don Chisciotte lo trovaronogi fuori del letto che prorompeva nelle solite sue strida epazzie, menando manrovesci da ogni parte, e tenendo sspalancati gli occhi come se non avesse mai dormito. Loabbracciarono e a viva forza lo rimisero a letto; e da poi

che si pose un po' in calma, voltosi al curato gli disse: Nonv'ha dubbio, signor arcivescovo Turpino, che non ricada agran vergogna di noi altri dodici Paladini di lasciar coglierela palma di questo torneo ai cavalieri cortigiani, mentre noiventurieri colto avevamo nei tre d antecedenti l'onore dellavittoria. Si dia pace la signoria vostra, signor compare,disse il curato, che piacendo a Dio cambieremo le cose, equello che oggi si perde si guadagner dimani; attendaintanto a risanarsi, che per quanto mi pare, elladebb'essere affaticata oltremodo, se pure non feritapericolosamente. Ferito no, disse don Chisciotte, masibbene macinato e pesto, perch quel bastardo di donRoldano mi fracass a bastonate con un troncone diquercia, mosso da invidia, vedendo ch'io solo mi possocontraporre alla sua valenta; io per altro non sar Rinaldodi Montalbano se levandomi di questo letto non gliene farpagar il fio a dispetto dei suoi incantamenti; ma intantorecatemi da mangiare, che quanto mi occorre alpresente, e si lasci poi a me la cura di compiere le mievendette. Cos fu fatto: gli diedero da sfamarsi, dopo diche egli si addorment di nuovo, lasciandoli tutti semprepi meravigliati delle sue pazzie. In quella stessa notte laserva abbruci nella corte quanti libri trovavansi per lacasa, di maniera che n'arsero molti anche di quelli chemeritavano d'essere custoditi perpetuamente negli archivi;ma nol permise il loro destino, n l'indolenza del revisore,verificandosi cos quel proverbio, che talvolta patisce ilgiusto per il peccatore. Uno de rimed che il curato e ilbarbiere pensarono intanto di porre in opera per guarire la

malattia dell'amico, fu di trasportarlo in un'altra stanza e dimurare quella dei libri affinch non trovandoli pi al suosvegliarsi, tolta la causa, cessasse